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Visualizza Versione Completa : 7 febbraio - Beato Pio IX Papa



Colombo da Priverno
07-02-03, 11:11
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PIO . IX . P . M .
IN . BEATORVM . INDICE
NVNC . DEMVM . FELICITER. ADSCRIPTO
QVOD . PERSPECTAM . VITAE . EXERCVERIT
NEC . NON . EVANGELICAM . FORMAM . VIRTVTVM
QVODQVE. DEIPARAM. VIRGINEM. MARIAM
INMACVLATAM . EX . CATHEDRA . DEFINIERIT
IVRA. DEI. ET. ECCLESIAE LIBERTATEM
SVMMO . SIT . STVDIO . TVTATVS
MAIOREMQVE. IN . EGENOS . LARGITATEM
QVAM. QVIS. AESTIMARE. POSSIT. EFFVDERIT
SENOGALLENSIS. POPVLVS
VNA . CVM . ORBE . VNIVERSO
PLAVSVS . IMPERTIT . MAXIMOS

Colombo da Priverno
07-02-03, 11:19
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È stato molto amato, ma anche odiato e calunniato. In mezzo agli eventi turbinosi del suo tempo è brillata più vivida la luce delle sue virtù

Ricordiamo il Beato Pio IX con parte dell'omelia che il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II ha pronunziato in occasione della cerimonia di beatificazione.

"Ascoltando le parole dell'acclamazione al Vangelo: "Signore, guidaci sul retto cammino", il pensiero è andato spontaneamente alla vicenda umana e religiosa del Papa Pio IX, Giovanni Maria Mastai Ferretti. In mezzo agli eventi turbinosi del suo tempo, egli fu esempio di incondizionata adesione al deposito immutabile delle verità rivelate. Fedele in ogni circostanza agli impegni del suo ministero, seppe sempre dare il primato assoluto a Dio ed ai valori spirituali. Il suo lunghissimo pontificato non fu davvero facile ed egli dovette soffrire non poco nell'adempimento della sua missione al servizio del Vangelo. Fu molto amato, ma anche odiato e calunniato.

Ma fu proprio in mezzo a questi contrasti che brillò più vivida la luce delle sue virtù: le prolungate tribolazioni temprarono la sua fiducia nella divina Provvidenza, del cui sovrano dominio sulle vicende umane egli mai dubitò. Da qui nasceva la profonda serenità di Pio IX, pur in mezzo alle incomprensioni ed agli attacchi di tante persone ostili. A chi gli era accanto amava dire: "Nelle cose umane bisogna contentarsi di fare il meglio che si può e nel resto abbandonarsi alla Provvidenza, la quale sanerà i difetti e le insufficienze dell'uomo".

Sostenuto da questa interiore convinzione, egli indisse il Concilio Ecumenico Vaticano I, che chiarì con magisteriale autorità alcune questioni allora dibattute, confermando l'armonia tra fede e ragione. Nei momenti della prova, Pio IX trovò sostegno in Maria, di cui era molto devoto. Proclamando il dogma dell'Immacolata Concezione, ricordò a tutti che nelle tempeste dell'esistenza umana brilla nella Vergine la luce di Cristo, più forte del peccato e della morte.

Augustinus
07-02-04, 20:29
In onore di questo grande Pontefice, che si trovò a fronteggiare le spinte della Massoneria; che favorì lo spirito missionario, specialmente in Asia; che ricostituì la gerarchia cattolica in Inghilterra dai tempi dello scisma con il card. Wiseman; che proclamò il dogma dell'infallibilità pontificia in materia di fede e di costumu, nonchè il dogma dell'Immacolata Concezione di Maria, apro questo thread.
Pur non costituendo tale memoria una festa mariana, nondimeno il fatto che a questo Sovrano Pontefice si debba uno dei più importanti dogmi legati a Maria (vale a dire l'Immacolato Concepimento della Vergine) giustifica l'inserimento del ricordo di questo Papa nella sezione mariana.

Augustinus

*****
dal sito Pio IX (http://www.papapionono.it/gherardini.html):

PIO IX

L’Uomo - il Maestro - il Santo

di Mons. Gherardini Brunero, Postulatore della causa di canonizzazione del Beato PAPA PIO IX

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PIO . IX . P . M .
IN . BEATORVM . INDICE
NVNC . DEMVM . FELICITER. ADSCRIPTO
QVOD . PERSPECTAM . VITAE . EXERCVERIT
NEC . NON . EVANGELICAM . FORMAM . VIRTVTVM
QVODQVE. DEIPARAM. VIRGINEM. MARIAM
INMACVLATAM . EX . CATHEDRA . DEFINIERIT
IVRA. DEI. ET. ECCLESIAE LIBERTATEM
SVMMO . SIT . STVDIO . TVTATVS
MAIOREMQVE. IN . EGENOS . LARGITATEM
QVAM. QVIS. AESTIMARE. POSSIT. EFFVDERIT
SENOGALLENSIS. POPVLVS
VNA . CVM . ORBE . VNIVERSO
PLAVSVS . IMPERTIT . MAXIMOS

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Cap. 1: Profilo biografico

Nella storia, ogni tanto, fan la loro comparsa straordinarie persone: straordinarie perché dotate di qualità non comuni e perché evidentemente chiamate a compiti altrettanto non comuni. Persone carismatiche, con doni proporzionati alla missione loro assegnata. Persone, quindi, della divina Provvidenza.

Chi potrebbe mai dubitare che il Pontefice felicemente regnante, Karol Vojtyla, sia una di tali persone? La sua statura morale, la ricchezza carismatica che lo distingue e la coerenza con la quale ad essa corrisponde non lasciano dubbi sul compito divinamente affidatogli, non solo di "pascere la Chiesa di Dio" (At 20,28), ma di traghettarne la barca tra i marosi del tempo, il più felicemente possibile, dall’uno all’altro millennio.

Si è stati testimoni di questo passaggio: la figura del vecchio e malandato Pilota ha giganteggiato dinanzi al mondo intero e si è consegnata alla storia come protagonista assoluto del passaggio stesso.

E’ una figura che, per analogie storiche ma non personali, ne evoca un’altra, anch’essa protagonista al di sopra di altri: quella di Pio IX. Vistosamente diverso da Giovanni Paolo II per temperamento e per altre qualità naturali, non meno di lui ricco di grazia e di destino, proprio da lui, dal vecchio e malandato papa polacco, ha ricevuto l’aureola della santità ufficiale

Anche Pio IX ebbe dalla divina Provvidenza un compito immane da svolgere e doni proporzionati a quel compito: in tempi anche più procellosi dei nostri, resistendo alla furia delle onde in rivolta e vincendola, traghettò egli pure il naviglio di Pietro da un’epoca ad un’altra. Il confronto tra i due Pontefici mette in evidenza difficoltà di pilotaggio incomparabilmente maggiori nel caso di Pio IX rispetto a quello di Giovanni Paolo II: questi è passato da un millennio all’altro, certo non senza avvertire l’urto di forze avverse (comunismo, secolarismo e la strisciante "inimica vis" che mai demorde); l’altro, sotto i colpi del liberalismo massonico ed anticlericale, portò la Chiesa da un mondo ad un altro salvando tutto il patrimonio della tradizione cattolica, rifiutando nettamente ogni attentato ad essa, ma con essa componendo, nei limiti del possibile, i valori del moderno e del nuovo. Non è né un caso, né un’esagerazione il fatto che l’ultima biografia del grande Pontefice porti come titolo: Pio IX; papa moderno.

Fu, il suo, un pontificato epocale. Una mentalità, una cultura, una Weltanschauung stava consumando i suoi guizzi residui; egli non le permise di travolgere il patrimonio affidato alla sua tutela. Nasceva e s’imponeva una diversa visione delle cose e dinanzi ad essa tremò, ma senza mai capitolare. Alla visione incentrata in Dio e nella sua rivelazione tentava di sostituirsi quella incentrata nell’uomo, nella sua ragione, nella sua libertà e nei suoi diritti. Martire della prima, fu il primo papa che seppe saggiamente aprirsi alla seconda. Gli altri han continuato la sua strada.

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Le condizioni socio-politiche d’allora misero spesso le due mentalità in irriducibile contrasto, quasi che l’una volesse sostituirsi all’altra non solo come diversa nella sua genesi e nel suo orientamento, ma come alternativa, ed alternativa diametralmente opposta. Per divina disposizione, a Pio IX toccò in sorte di fronteggiare codesta enorme contrapposizione, ma anche d'assumerne alcuni elementi di sicuro valore (p. es. sul piano delle istituzioni sociali) e d’impedire che la scomposta affermazione di altri elementi ridondasse a danno di quel patrimonio, per la cui salvaguardia era al timone della Chiesa.

Di questo Pontefice, che chiamar grande è poco, non ripercorrerò la lunga vicenda né mi soffermerò su di essa con intenti biografici. L’interesse biografico è già stato ampiamente soddisfatto ed "ogni lingua" (Rm 14,11; Ef 2,11) ha tessuto le lodi di papa Mastai Ferretti. Intere biblioteche, infatti, o parti di esse, son intitolate al suo nome.

Qui l’interesse è volto, in perfetta continuità con l’evento della sua beatificazione, al perché di esso, cioè alla santità di cui l’evento stesso testimonia non senza provocarne l’approfondimento e l`analisi. S’intende, in altri termini, rispondere, sia pur brevemente, alla domanda che ognuno potrebbe porsi in questi giorni: perché beato? che senso ha per la Chiesa e per il mondo questa beatificazione?

Ovviamente si dovrà procedere con ordine in mezzo alle non poche difficoltà di lettura del passato e interpretazione di esso.

I - Dalla nascita al sacerdozio

Benché il presente scritto prescinda dal genere biografico, la vita di papa Mastai ed i fatti salienti che lo videro in prima fila non possono esser ignorati del tutto.

Egli dunque nacque a Senigallia il 13 maggio 1792, nono figlio di Girolamo Benedetto Gaspare dei conti Mastai Ferretti e di Antonia Caterina Maddalena Solazzi, del patriarcato locale. Dei figli maschi era il quarto, dopo Gabriele, Gaetano e Giuseppe. Fu battezzato il giorno stesso della nascita col nome di Giovanni Maria Battista Pellegrino Isidoro da uno zio, il canonico Angelo Mastai, poi vescovo di Pesaro.

Era di delicata costituzione fisica, ma d’intelligenza sveglia e d’indole ottima. Appena poté, andò a messa ogni giorno con la pia mamma. Rivelò presto la sua devozione eucaristica e mariana. Fu dedito alla pratica dei "fioretti". Era stato cresimato il 6 giugno 1799 dall’Em.mo B. Honorati, vescovo di Senigallia, ed ammesso alla prima comunione nella cappella della Madonna della Speranza in cattedrale il 2 febbraio 1803.

http://www.papapionono.it/img/ritratto%20124.jpg Ritratto giovanile di Giovanni Maria Mastai Ferretti nel periodo in cui era studente a Volterra. (Donazione Augusti Arsilli, 1976, di autore ignoto della scuola del purista anconetano Vincenzo Podesti)

Il 20 ottobre di quel medesimo anno entrò nel Collegio dei Nobili, tenuto in Volterra dai Padri delle Scuole Pie. V rimase fino al 26 settembre 1809, dando prova d’ingegno vivace e d’esemplare comportamento.

Lo zio Paolino Mastai, canonico vaticano, l’accolse presso di sé, quando, nel 1809, Giovanni Maria lasciò Volterra e venne a Roma per gli studi superiori presso il Collegio Romano. Il giovane conte, a quell’epoca, non aveva dato ancora la sterzata decisiva alla sua vita in direzione del sacerdozio. Era ancora "in stato secolare", come egli stesso s’esprime, quel 10 aprile 1810, quando, a conclusione d’un ritiro spirituale, gettò le basi di tutta la sua futura esistenza: lotta al peccato, fuga da ogni occasione moralmente pericolosa, studio "non per l’ambizione del sapere" ma per il bene altrui, abbandono di sé nelle mani di Dio. E non mancò di rivolgere a sé stesso un’esortazione finale, per impegnarsi con tutte le sue forze all’osservanza dei suoi buoni propositi: "Eseguisci il sistema divino che hai disegnato".

Quel programma (o "sistema divino") era sintomatico della limpidezza interiore del giovane studente, già soprannaturalmente orientato, purtroppo non eran floride le sue condizioni di salute. Soffriva d’improvvisi attacchi che qualcuno considerò epilettici, anche se non si han prove sicure al riguardo. La cosa certa è che fu per questo costretto ad interrompere gli studi. Nel 1812, la malattia gli ottenne 1’esonero dalla chiamata di leva nelle Guardie d’onore del Regno. Chiese, invece, ed ottenne nel 1815 di far parte della Guardia Nobile Pontificia; ma a causa del suo male, ne fu presto dimesso. Paradossalmente, proprio in quello scorcio di tempo, San Vincenzo Pallotti gli vaticinò il supremo pontificato e la Vergine di Loreto lo liberò, sia pure in modo graduale, dal male che l’affliggeva.

Sempre nel 1815 fu tra i volontari che prestavano la loro opera educativo-didattica ai ragazzi del Tata Giovanni, un istituto dove prenderà poi dimora e che gli resterà caro per tutta la vita. Nel 1816 ebbe una parentesi senigalliese come catechista in una memorabile missione popolare. Poco dopo, nella Chiesa dell’Orazione e Morte, dove aveva appena finito di servire una messa, si decise per il sacerdozio, ponendo fine ad un quinquennio d’ondeggiamenti. Vesti l’abito talare, riprese gli studi, ebbe gli ordini minori il 5 gennaio 1817, il suddiaconato il 20 dicembre 1818 ed il diaconato il 6 marzo 1819. Un mese dopo, il 10 aprile, per grazia personale di Pio VII, venne ordinato prete. Ed egli, con chiara consapevolezza del suo nuovo stato, s’impegnò formalmente con se stesso ad evitare la carriera prelatizia per rimanere sempre e soltanto al servizio della Santa Chiesa. Vi rimase di fatto, anche nella carriera e nonostante gli inarrestabilì scatti di essa.

2 - Prete e vescovo

Celebrò la sua prima messa ai suoi cari ragazzi del Tata Giovanni, nella Chiesa di Sant’Anna. Nominato rettore di quell’istituto, vi si fermò fin al 1823.

Fu subito evidente con quale spirito fosse andato incontro al sacerdozio. Assiduo alla preghiera, al ministero della parola, alle sacre funzioni, al confessionale, il prete Mastai era ormai l’uomo per gli altri, specie per i più umili e bisognosi. Univa il raccoglimento alla disponibilità più generosa, I’unione con Dio all’attività del ministero vissuto sulla breccia, la vita contemplativa alla predicazione ed a qualunque altro servizio gli richiedessero le attese e le necessità delle anime. Foglietti provvidenzialmente sfuggiti alla distruzione costituiscono la più probante testimonianza della sua vita interiore di giovane prete, dei suoi spietati esami di coscienza, del suo rifugiarsi nel Cuore sacratissimo di Gesù ed in Maria.

Nel 1823 parve prender concretezza il suo sogno segreto: farsi missionario. I1 3 luglio lasciò Tata Giovanni per accompagnare in Cile il Nunzio Apostolico S. E. Mons. Giovanni Muzi e vi restò fin al 1825. Per tale missione, il Segretario di "Propaganda Fide" l’aveva così presentato: "E’ difficile ritrovare persone che riuniscano tutti i requisiti che s’incontrano in questo rispettabilissimo sacerdote. Pietà singolare e soda, dolcezza di carattere, prudenza ed avvedutezza non ordinarie, zelo grandissimo accompagnato dalla scienza che in lui bene si trova in abbondanza,...desiderio di servire Dio e di essere utile al prossimo per le missioni presso gli infedeli".

La madre ne fu profondamente addolorata, soprattutto per l’incognita della salute. Ma né la costernazione materna, né altre contrarietà fermarono l’ardente "missionario’`.

La missione si rivelò più difficile del previsto e richiese soprattutto saggezza, prudenza e spirito di Fede. Eran le doti precipue del giovane Mastai, le uniche armi ch’egli impugnò per il bene della società cilena e l’onore di Dio. Non era un diplomatico; non lo sarà mai in tutta la vita. Era un prete. E come tale si comportò anche in un contesto diplomatico come quello della missione cilena.

Sarebbe rimasto molto volentieri in quella terra ormai da lui amata. Ma Roma lo reclamò per altri e non meno delicati servizi. Obbedì serenamente.

Nel 1825 fu eletto preside dell’Ospizio Apostolico di San Michele: un’opera complessa e grandiosa, ma per non pochi motivi non più all’altezza dei suoi compiti e bisognosa perciò di seria riforma. E’ quel che fece il Mastai con oculatezza pari all’intraprendenza. Gli esiti furon lusinghieri.

Ma il campo nel quale egli prodigava i tesori di natura e di grazia di cui era straordinariamente dotato, restò sempre quello pastorale. Fu un vero apostolo.

Aveva appena 35 anni, quando Leone XII, il 3 giugno 1827, lo destinò all’arcidiocesi spoletina. Il novello Pastore vi fece solenne ingresso il 7 luglio. L’obbedienza al successore di Pietro ne vinse la non formale resistenza, non si sentiva meritevole di tanto e soprattutto era convinto d’essere impari a quanto la responsabilità episcopale gli avrebbe richiesto. Ma il Papa fu fermo nel suo disegno e fece di lui, in quell’occasione, il seguente elogio: "Uomo commendevole per gravità, prudenza, dottrina, rettitudine di costumi, esperienza delle cose".

L’elogio rivelava la grande fiducia del Pontefice nel suo collaboratore, il quale lo ripagò da par suo: a Spoleto fu un prodigio di zelo pastorale, che vinse diffidenze ed ostilità di prevenuti, questi a sé conciliando ed assimilando a quanti lo stimavano amavano e seguivano.

Il suo zelo, peraltro, fu fecondato anche da non poche sofferenze. La rivoluzione nel febbraio del 1831, imperversò in tutta 1’Umbria, dopo aver preso le mosse dai ducati di Parma e di Modena, lasciando il segno del suo passaggio a Bologna e perfino a Roma. A Spoleto trovò la strada spianata da frodi e tradimenti, che resero ancor più pesante la difficile situazione sul cuore dell’Arcivescovo. Questi segui la vicenda, rivivendone intimamente il dramma. Con dolore acconsentì alla difesa, ma non allo spargimento di sangue fraterno. E quando la calma fu ristabilita, elargì a tutti, anche a chi non lo meritava, il suo paterno perdono.

Dopo Spoleto l’attendeva un’altra non facile diocesi. Il vecchio card. Giacomo Giustiniani non aveva potuto far altro che dimettersi dalla guida della diocesi di Imola. E Gregorio XVI nulla di meglio intravide che trasferire ad essa lo zelante ed affermato vescovo di Spoleto: era il 22 dicembre 1832.

Il compito, difficile oltre ogni ragionevole sospetto, non sgomentò il Mastai, il quale, della sua nuova diocesi, fece il teatro della sua fede invitta, della sua carità senza limiti, del suo instancabile zelo. Ad Imola, infatti, si confermò uomo di profonda preghiera, predicatore facondo e suasivo, col cuore aperto a tutti, di ogni ordine e ceto; ricercatore indefesso del bene soprannaturale, ma anche materiale, dei suoi diocesani; difensore strenuo della giustizia contro ogni intemperanza e sopruso; promotore d’opportune forme d’educazione giovanile; spiritualmente e materialmente vicino ai monasteri di vita contemplativa, alla cui importanza ed alle cui esigenze sarà anche in seguito sensibilissimo; infiammato per la devozione al Sacro Cuore di Gesù e alla Madonna; tutto premure, se pur fermo sui principi, per i suoi preti ed il suo seminario.

http://www.papapionono.it/img/ritratto125.JPG Ritratto del Cardinale Giovanni Maria Mastai Ferretti (Pietro Gobbetti, sec. XIX)

Aveva appena 48 anni, quando, il 10 dicembre 1840, gli fu conferito l’onore della sacra porpora.

Augustinus
07-02-04, 20:31
3 - Papa

Pur rifuggendo dagli onori per indole e per decisione, si trovò presto sotto il loro peso, tanto più grave quanto più alto fosse l’onore stesso.

Il 1 giugno 1846 morì Gregorio XVI; due settimane dopo, il 14, cinquantadue cardinali si riunirono in conclave per eleggerne il successore. Sulla sera del 16, il card. Giovanni Maria Mastai Ferretti era già papa con il nome di Pio IX. Rimarrà sul soglio di Pietro per 32 anni, dando vita al più lungo pontificato della storia.

http://www.papapionono.it/img/Ritratto%20126.jpg Ritratto di PIO IX (Alessandro Capalti 1817-1868)

Non è stato, e non è facile, per l’incrocio di circostanze varie e segnatamente per la presenza di passioni politiche, darne un giudizio univoco. Qualcuno definì Pio IX una "figura complessa", c’è perfino chi lo giudica mediocre e non adatto all’altissimo compito, gli uni e gli altri dando prova di non poca superficialità e di scarsa informazione. Come ieri, così anche oggi la passione e l’emotività sono spesso una griglia deformante nei riguardi della sua figura e del suo operato. Il pontificato di Pio IX fu indubbiamente difficile, tra i più difficili in tutto l’arco della storia ecclesiastica; il santo Pontefice lo visse tutto raccolto nella sua autocoscienza di Vicario di Cristo, che non gli consenti mai né transazioni né compromessi, pagando di persona la sua coerenza.

Sta qui, in gran parte, la spiegazione delle difficoltà da lui incontrate e delle obiezioni che gli vennero mosse. Al di sopra delle une e delle altre, giganteggia il suo animo di prete, di pastore e di padre.

Il 16 luglio 1846, dimostrando per 1’ennesima volta il sentire cristiano che l’animava, promulgò l’amnistia per tutt’i detenuti politici. Di qualche mese dopo è la sua prima enciclica: la Qui pluribus, del 9 novembre, un documento impressionante per la sua chiarezza, il suo realismo, la sua ampia visione degli incombenti pericoli e dei necessari rimedi. "In nuce" c’era già tutto Pio IX, almeno sul piano magisteriale. I punti essenziali del Vaticano I vi erano anticipati; gli errori di fondo eran nettamente percepiti e condannati; la delimitazione tra verità ed errore in materia di fede e della sua traduzione morale era decisamente segnata ed altrettanto quella tra Chiesa e società segrete.

Che non si trattasse di miopia culturale e di spirito reazionario è comprovato dal fatto che, poco dopo, il 13 marzo 1847, concesse per decreto ampia e sorprendente liberta di stampa.

Il 5 ottobre fu la volta della Guardia civica, nel quadro di altre aperture liberali Pio IX si rivelava in tal modo un sovrano saggio ed aperto, capace d’indiscussa fedeltà alla tradizione, ma non per questo meschinamente ottuso dinanzi alla cultura emergente. Il suo acuto discernimento, pur intuendone i pericoli, ne colse anche i pregi. Ed a tale discernimento restano legati i suoi primi atti di governo, i più difficili proprio perché i primi: I’istituzione del Municipio, del Consiglio comunale e della Consulta di Stato, rappresentativa di tutte le province, ed infine dello Statuto. Ben nota e fin da allora non ben capita fu l’allocuzione del 10 febbraio 1848, che conteneva l’implorazione: "Benedite, Gran Dio, I’Italia e conservatele sempre questo dono di tutti preziosissimo, la Fede".

Un’altra allocuzione, di portata storica, fu quella del 29 aprile. Confermando in essa il suo "paterno amore" per tutt’i popoli e non per quello italiano soltanto, Pio IX si alienò l’animo dei più accaniti liberali. A poco valse la sua convinta difesa dell’indipendenza italiana in un dispaccio all’imperatore d’Austria; per non pochi, più facinorosi e prevenuti che patrioti, egli fu semplicemente un traditore. Ed anche in seguito perfino nei libri di scuola, non gli han perdonato un tradimento che non c’era mai stato.

Il 15 novembre fu ucciso il capo del governo, Pellegrino Rossi, nove giorni dopo lo stesso Pio IX si vide costretto a lasciare la sua Roma, rifugiandosi a Gaeta.

Le cose in effetti si facevano ogni giorno più difficili. Il 9 febbraio 1949 venne proclamata la Repubblica Romana. L’augusto Esule prima si trasferì a Portici (4 settembre), quindi rientrò nell’Urbe e si stabili in Vaticano (12 aprile 1850), dando da allora in poi un’ancor più definita impronta pastorale al suo pontificato. Tutte le genti e tutti i non prevenuti sentivano d’aver in Lui un vero padre, così come, per i suoi sudditi, fu un sovrano amabilissimo.

Subito riordinò il Consiglio di Stato (12 settembre 1850), istituì la Consulta per le Finanze, elargì una nuova e più ampia amnistia. Il giorno 20 ristabilì la regolare gerarchia cattolica in Inghilterra; altrettanto fece, tre anni dopo, per l’Olanda.

L’11 marzo 1853 condannò le dottrine gallicane ed il 28 giugno fondò il Seminario Pio. Anche le Catacombe, nel maggio del 1854, furon oggetto della sua generosa sollecitudine; nello stesso tempo istituì la Commissione d’Archeologia Cristiana e ne nominò il presidente nella persona del grande Giovanni Battista de’ Rossi. E’ poi doveroso aggiungere che il 1854 sarebbe rimasto scolpito a caratteri d’oro nella storia personale di Pio IX ed in quella della Chiesa cattolica per la solenne proclamazione dogmatica dell’Immacolato Concepimento di Maria (8 dicembre); in questo dogma, oltre che in quello sull’infallibilità papale (18 luglio 1870), il magistero di papa Mastai raggiunse il suo vertice. E non basta, il 1854 è degno di nota anche per la ricostruita Basilica di San Paolo, distrutta dall’incendio del 15 luglio 1823.

Le iniziative magisteriali, contestualmente a quelle sociali e politiche, si succedevano con ritmo incalzante, confermando insieme la prudenza e l’apertura del grande Pio. I1 3 aprile 1856 egli approvò il piano della strada ferrata nello Stato pontificio la cui prima attuazione (tratta Roma-Civitavecchia) venne inaugurata il 24 aprile 1859. Il Papa visitò i suoi territori dal 4 maggio al 5 settembre 1857, ovunque accolto da popolazioni in tripudio. Tra il 1855 ed il 1866 inviò missionari tra gli Esquimesi ed i Lapponi del Polo nord, in India, in Birmania, in Cina ed in Giappone. Intensificò le relazioni diplomatiche in Europa e nel mondo. Continuò la sua carità, ora alla luce del sole, ora nascosta, quotidiana, minuta ma significativa. Giorno dopo giorno, era al suo posto, con il cuore e con le mani aperte per chiunque, persone ed opere, avesse avuto bisogno di Lui.

L’orizzonte però s’ottenebrava. I moti risorgimentali, le annessioni piemontesi che smantellavano lo Stato pontificio, l’usurpazione delle Legazioni con discutibili plebisciti e vessazioni anche più sottili perché giuridicamente camuffate da alta e responsabile considerazione per la Chiesa e per la Sede Apostolica, obbligarono Pio IX a porsi sulla difensiva a tutela della libertà e dei diritti inalienabili dell’una e dell’altra. Mantenne sempre, peraltro, il suo sguardo attento al bene delle anime come "suprema legge" del suo e d’ogni altro ministero ecclesiastico. Nel 1862 eresse un dicastero speciale per gli affari con i cristiani di rito orientale e 1’8 dicembre 1864 emanò una delle sue più famose encicliche, la Quanta cura seguita dal non meno famoso Syllabus, per condannare l'insieme degli errori moderni.

Le sempre crescenti difficoltà politiche avevan l’effetto d’impegnarlo ancora di più, se possibile, nella cura pastorale. I1 29 giugno 1867 celebrò con straordinaria solennità il XVIII centenario del martirio di Pietro e Paolo. I1 2 maggio 1868 approvò la "Società della Gioventù Cattolica Italiana", fondata il 29 giugno 1867 da M. Fani e G. Acquaderni. L'11 aprile 1869, ricorrendo il suo giubileo sacerdotale, ebbe dal mondo intero uno straordinario omaggio di gratitudine e d’attaccamento alla sua venerata persona.

C’è, tra i suoi fasti, un avvenimento d’eccezione: il Concilio Ecumenico Vaticano I, ch’Egli apri il 7 dicembre 1869 e chiuse il 18 luglio 1870.

Con la caduta di Roma (20 settembre 1870) e la perdita dello Stato, amareggiato ma non domo Pio IX si chiuse in volontaria prigionia in Vaticano. Resistette alla Legge per le Guarentigie, celebrò il giubileo del suo pontificato (23 agosto 1871), approvò l’"Opera dei Congressi" (1874), consacrò la Chiesa al Sacro Cuore di Gesù (16 giugno 1875), disciplinò la partecipazione dei cattolici italiani alla vita politica (29 gennaio 1877), restaurò la regolare gerarchia in Scozia (29 gennaio 1878).

Già minato nella sua salute, tenne il suo ultimo discorso ai parroci dell’Urbe il 2 febbraio 1878. Pochi giorni dopo, esattamente il 7, a 85 anni, spirò piamente.

Cap. 2: L’Uomo

Dire dunque di Lui che fu eccezionale, è dire una verità sulla quale soltanto il settarismo e la prevenzione osano d’eccepire. Occorre però precisare meglio sia la portata della sua eccezionalità, sia i livelli specifici sui quali essa s’impone alla serena ed obiettiva considerazione.

Non credo che tale eccezionalità sia da qualcuno intesa nel senso d’una proiezione del personaggio oltre i limiti della documentazione storica e della sua stessa condizione umana; e neanche nel senso d’una sua eccellenza in tutt’i settori dell’umano. Era anch’Egli un uomo: con doti eccelse, si, ma anche con il loro limite il quale, non riducendone le dimensioni, lo caratterizza come quel "singolo" uomo. Doti e limite son così ampiamente documentati, che di Lui si conosce ormai tutto, e solo secondo questa documentazione bisogna parlarne. Non si può dire, p. es., che fu un politico nato, solo perché lo si è detto eccezionale; ma non si dirà nemmeno che fu un politico fallito, solo perché dovette assistere al frantumarsi del suo Stato. Sarà peraltro opportuno che anche il giudizio sul suo operato politico, probabilmente al di sotto di tutti gli altri suoi meriti, venga vagliato al filtro documentale, non a quello ideologico o a quello emozionale.

Sbaglierebbe però, ed alcuni di fatto hanno sbagliato, chi prendesse spunto dal ricordato limite per un giudizio genericamente riduttivo su Pio IX, o peggio per l’attenuazione se non anche la negazione d’ogni valore al suo governo ed alla sua politica. I meriti di Lui restano nella loro intatta realtà, anche se dai documenti risultano più accentuati in un campo e meno in altri. Alla critica storica spetta di far luce a tale riguardo.

Mi pare di poter sostenere che l’eccezionalità di Pio IX, grazie appunto alla critica storica, è oggi un giudizio scientificamente fondato, riguardante tanto le qualità umane di Lui quanto le sue virtù. Delle une parlerò in questo capitolo; alle altre andrà la mia attenzione strada facendo.

I - L "imperterrita serenità"

Parlando di documentazione, non bisogna ignorare quella iconografica, là ovviamente dove esista. E nel nostro caso esiste; addirittura in abbondanza. Di Pio IX si conserva anzi il dagherrotipo della prima fotografia d’un papa.

L’impressione che se ne ricava è quella d’una persona di bell’aspetto anche in età avanzata, dai tratti regolari, lo sguardo sereno, il volto non privo di forza accattivante ed il portamento in pari tempo aristocratico e semplice. Dall’insieme si sprigiona una nota di maestosità, che tuttavia non incute timore. La documentazione iconografica conferma così quella scritta e testimoniale.

Pio IX aveva in effetti un’innata dolcezza ed una singolare delicatezza d’animo, che si notavano in ogni suo gesto e movimento. Armonizzava insieme dolcezza e delicatezza, qualora ciò fosse stato necessario, con una virile energia ed una forza irriducibile.

Bella era la sua voce e robusta. Cantasse o parlasse, affascinava la gente. Un testimone lo ricorda proprio per questo, senza esclusione, beninteso, d’altri motivi: "Non ho mai udito un oratore che avesse così calda e squillante la voce, così sovrani il gesto e lo sguardo". I1 fascino della sua voce e di tutta la sua persona non colpiva soltanto i suoi amici ed estimatori, suscitandone o confermandone l’entusiasmo; ma incideva anche sul sospettoso e talvolta astioso atteggiamento dei suoi dichiarati avversari.

L’indole sua, il temperamento, il carattere depongono a favore di quella "imperterrita serenità" che Giuseppe Toniolo, del quale pure è oggi in corso la causa di beatificazione, rilevò nel papa marchigiano poco prima del suo pio decesso. In queste due parole, il cui accostamento dà ragione dell’animo forte e soave poco sopra affermato, sta forse la più obiettiva raffigurazione di Giovanni Maria Mastai Ferretti sul piano naturale. Su tale raffigurazione concorda in genere la critica, eccezion fatta per pochi ed irrilevanti giudizi o diversi o contrari: anche il sole ha le sue ombre a conferma della sua luce. Depone infatti per la sua fortezza quell’aggettivo "imperterrita" in cui è pienamente riconoscibile il Pio IX che, senza mezzi termini, denuncia i soprusi subiti, non si piega all’ingiustizia, condanna gli errori, difende la Fede, la Chiesa, la Sede Apostolica. I1 sostantivo "serenità" lo riproduce qual effettivamente era: non "una canna agitata dal vento" (Mt 11,8), non 1’uomo sopraffatto da avvenimenti incontrollabili o, almeno in apparenza, più grandi di Lui, non il fallito che tira i remi in barca e si lascia andare rassegnato alla deriva, ma l’uomo che, forte della propria autocoscienza, innalza una diga di coerenza e di soprannaturale fiducia dinanzi al dilagare delle cose avverse.

E di cose avverse fu lastricato il suo lunghissimo ministero papale. Il predecessore Gregorio XVI, a suo modo anch’egli grande, gli aveva lasciato un’eredità pesante. Intransigente, autoritario ed anche ostinato, Gregorio aveva combattuto invano sia la vaga religiosità del romanticismo, sia le rivendicazioni antidogmatiche del naturalismo razionalistico, sia il subdolo (quando non era burbanzosamente scoperto) accerchiamento delle sette segrete. La massoneria imperversava; nelle sue avide mani era ormai ogni potere; la presenza d’una Chiesa dotata non solo del potere spirituale, ma anche di quello temporale, era per essa non più sopportabile. E così, sul pontificato di Gregorio XVI soffiarono venti fortissimi, che ne provocarono reazioni decisamente autoritarie. Non si trattava di qualche leggero e piacevole zefiro, o di qualche movimento di fronda, erano venti che travolgevano: discordie dinastiche; difficoltà diplomatiche; filosofie in antitesi col pensiero cattolico, teorie teologiche e filosofico-politiche, come il gallicanesimo ed il febronianismo, in contrasto con l’ecclesiologia cattolica e con il diritto pubblico ecclesiastico, contro il primato petrino e contro il suo universale magistero, protestanti e cattolici in lotta, specialmente in Svizzera; I’America latina dilaniata dalla rivoluzione; le idee eversive di Hermes, Guenther e del semirazionalismo in genere. Si, questi erano i venti, questo l’asse ereditario che piombò d’improvviso sulle spalle del card. Giovanni Maria Mastai Ferretti e che avrebbe fatto impallidire chiunque altro, non lui: "Ecce indignus servus tuus, fiat voluntas tua", esclamò con le lacrime agli occhi nel divenire Pio IX, arieggiando Lc 1,38 in cui Maria assicura a Dio la sua totale disponibilità: "Sono la tua serva; fai di me quanto hai deciso di fare".

Il cambiamento di rotta, rispetto a quella di Gregorio XVI, non fu un calcolo. Fu l’effetto della sua innata affabilità, della sua dolcezza, della sua mitezza, della sua inclinazione alla comprensione e alla clemenza. La gente lo capì e ne fece il più celebrato personaggio dell’epoca, l’uomo più popolare del suo tempo.

La clemenza non era acquiescenza. Né poteva risolversi in cedimento. Dolce e mite, comprensivo e clemente, Pio IX fronteggiò sempre l’eversione rivoluzionaria e non si dette mai per vinto dinanzi alle sue prepotenze. Fu proprio dinanzi ad esse che emerse la "imperterrita serenità" dell’uomo superiore: concesse senza scendere a patti compromissori, resistette senza violentare l’innata mitezza. L’amnistia generale, da Lui decretata nel 1849, e gli altri provvedimenti sociali che la contornarono e le fecero seguito son la riprova della "soave fortezza" di questo troppo spesso non capito e talvolta bistrattato Pontefice.

E’ facile scorgere, come concause d’un siffatto atteggiamento, un’intelligenza acuta e penetrante ed una volontà pronta e conseguente. Intelligenza e volontà che, in Lui, si sintetizzano con l’unità e l’armonia della sua "imperterrita serenità". Vedeva la sostanza delle cose, le controllava agevolmente, spesso le antivedeva e decideva: esattamente come avviene in ogni persona di chiaroveggente ingegno e di risoluta determinazione.

La grandezza non comune di Pio IX maturò in codesta sintesi. Riconobbe i tempi e ne lesse i segni. Capì di dover accompagnare e pilotare il naviglio di Pietro in una turbolenta fase di transizione tra la cultura imperante fin alla rivoluzione francese e quella dei tempi nuovi, non ancora compiutamente evolutisi. Il trapasso non era per nessuno neanche per Pio IX, di facile gestione, non privo essendo d’incognite, di scogli non facilmente superabili e dei correlativi pericoli. Si può perfino convenire, con il senno del poi, che avrebbe potuto esser gestito meglio. Pio IX lo gestì da Pio IX: con una fedeltà che Egli, lungimirante come non pochi, antepose alla lungimiranza; con la difensiva più che con il pionierismo, combattendo a spada tratta l’errore, dovunque affiorasse, per assicurare alla Fede e alla Chiesa un presente ed un domani conformi ai fasti del passato.

2 - Sentimenti ed affetti

Ogni epistolario, così come ogni diario, è sempre una finestra aperta sulle più recondite pieghe dell’animo e della vita intima di chi scrive. Pio IX non fa eccezione. In ogni sua missiva si scopre qualcosa di Lui. Ed altrettanto in quei fogli, numerosissimi e vari, che, sottratti alla dispersione o al cestino, hanno permesso alla critica la ricostruzione storica di vicende giornaliere e della temperie nella quale esse si svilupparono. Si sono così conosciuti particolari interessantissimi anche se non roboanti, relativamente a ciò ch’Egli senti pensò e fece, improvvise stimolazioni sui suoi stati d’animo, vibrazioni intensissime della sua sensibilità e personalità, perfino qualche zona d’ombra, appena percepibile, della sua umana natura.

Non poche delle dette lettere e degli scritti sopra accennati permettono una concreta e realistica visione di particolari momenti che segnarono la vita di Pio IX e quasi una partecipazione ai medesimi; una maggiore e sempre più obiettiva conoscenza della sua famiglia e dei rapporti con essa mantenuti; le ripercussioni che ebbe sul suo animo la morte del padre, della madre e dei fratelli; le sollecitudini ed i gestì di non discutibile carità (mai del resto scantonati nel privilegio e nel nepotismo), da Lui compiuti in più d’una occasione a favore di fratelli parenti ed amici.

Da tutto l’insieme emerge un’ulteriore pennellata per una definizione più puntuale della sua immagine, della sua indole, del suo mondo interiore, insomma dei suoi sentimenti ed affetti.

Quando non eran in gioco i diritti di Dio, la libertà della Chiesa e della Sede Apostolica, il bene delle anime e la giustizia, prevaleva in Pio IX la tendenza a temperare ogni spigolosità, a scusare le altrui miserie, a presumere una bontà di fondo, almeno intenzionale, anche in chi lo contrastasse. Si capisce molto bene, tuttavia, che quel suo fare conciliante né indicava, di per sé, una natura imperturbabile, né era del tutto alieno da una forte disciplina interiore. Pio IX aveva, infatti, conosciuto ben presto i suoi difetti e su di essi esercitò sempre un controllo che qualcuno, mal interpretando le sue facezie, le battute spiritose e la capacità di rilevare con immediatezza i punti deboli delle persone e delle cose, stenta ancor oggi a riconoscergli. Non era certo colpa sua se aveva occhi per vedere ed orecchi per intendere. Quando s’accorgeva della piega che le circostanze prendevano, non esitava a manifestare il timore che "sotto ci sia qualche giraccio", che responsabili ne fossero i soliti giochi di potere, che le beghe l’avevano profondamente "turbato", anche se si ricomponeva presto nella sua "imperterrita serenità". Non s’equivochi tra questo `imperterrita" e 1’"imperturbabile" poco prima accennato: questo è dello stato d’animo che non s’increspa mai, quello della serenità raggiunta con l’autocontrollo e la costante disciplina.

L’innata dolcezza non neutralizzava in Lui la vivacità temperamentale, gli capitava perfino, in qualche rara occasione, di rispondere alle sollecitazioni indiscrete con uno scatto improvviso; qualcuno parla d’irascibilità e di collera. Qualche altro perfino di sarcasmo. Ma l’analisi della documentazione riconduce quei rari fenomeni alle loro effettive dimensioni. Pio IX si controllava. Riportava tutto ciò che sapesse di screzio "al petto dell’amicizia" e l’annullava con la sua carità.

D’altra parte, quella sua immediatezza che gli rendeva rapida l’intuizione e la percezione, e ne accelerava di conseguenza l’espressione, non riguardava i casi gravi; non di rado il tutto non era che una battuta di spirito dinanzi alle piccole cose d’ogni giorno.

Direi allora: immediato si, ma non impulsivo. Ed ancor meno irriflessivo. Grazie infatti alla riflessione, si facevano strada in Lui la chiarezza, la comprensione, la carità. Metteva a fuoco le situazioni e le altrui posizioni giudicandole secondo la loro realtà, cercava di capirne le motivazioni anche se non tutte poteva scusarle, su tutte però stendeva il manto della carità e là dove s’arrestava la sua capacità d’intervento, tutto rimetteva nelle mani di Dio.

La carità non era per Lui un pretesto per tacere, al contrario il suo parlar chiaro era vera carità, come quando scriveva al nipote Luigi: "Siccome avete mantenuta la relazione mi pare indubitato il dovere che vi resta d’adempiere. Me ne furono fatte premure nei febbraio ed io ve ne scrivo in luglio. Vedete che scrivo veramente a caso pensato".

A parte questi doverosi puntini sulle "i", fu sempre, con i suoi interlocutori parenti o no, d’una dolcezza squisita, anche se ferma e mai goffa. Parlavo chiaro, quando era il momento di parlar chiaro: "Protesto di non farne più parola, né di ritornare su questo argomento con chi che sia". Ma sulla chiarezza prevaleva sempre il nobile sentire e soprattutto la bontà del cuore: "Il desiderio di tornare a vedervi è grande", "Divertitevi nel vostro gabinetto, ricordatevi di me qualche volta e crediatemi (sic, ed è spesso ricorrente) costantemente..."; "Voglio credere che i vostri cari figli stiano tutti bene, e ardisco pregarvi di darci un bacio a mio nome". Piccoli ma significativi attestati di quanto vivo fosse il suo sentimento di premuroso affetto per chiunque, a qualunque titolo, fosse entrato in contatto con Lui.

Mantenne con i familiari e i parenti un rapporto improntato al rispetto non formale dei legami di sangue, ossia alla sincerità e verità dell’amore. "Vi benedico e vi abbraccio", era la conclusione più ricorrente delle sue lettere. Ma proprio nel culto di tale verità, non volle mai immischiarsi nelle grandi manovre matrimoniali sociali e finanziarie della sua nobile famiglia. Qualche consiglio, qualche modesto e raro aiuto finanziario tratto dal suo peculio personale ed in casi di provata impellente necessità ("In questo caso ho già stabilito l’aiuto da darti"), o un defilarsi garbato ma fermo: "Il Papa ha sempre dichiarato che niuna parte vuol avere in questo matrimonio"; "Mi dispiace di non poter secondare i vostri desideri; per cui troverete maniera di rassegnarvi". Riemergeva insomma, anche dalle sue relazioni con familiari e parenti, quell’autocoscienza papale, che gli ricordava i "figli" avuti dalla Divina Provvidenza e per i quali, prima che per altri, fossero anche del suo sangue, si dichiarava disposto a dare tutto quanto possedeva. Del resto, come "potrebbe somministrare denari" chi "vive di soccorsi"?

Non permetteva comunque che qualche suo giustificato rifiuto pregiudicasse l'armonia del rapporto: "Io non ho intenzione di irritarmi con chi che sia e solo desidero ardentemente la concordia e la pace in Famiglia". Aveva però una spina nel cuore e ne soffriva immensamente. Sua sorella Maria Isabella, sposa d’Isidoro Benigni e madre di Giovanni, s’era separata dal marito per incompatibilità di carattere. Era lei la spina: "Per le cose mie domestiche, niun motivo di doglianza...quello che mi affligge si è la causa ..di questa mia sorella". Un risvolto non esaltante, che peraltro dà, sul piano affettivo la misura d’un Uomo veramente superiore.

3 - Bonomia ed ilarità

Desidero insistere ancora sulla sfaccettatura d’una personalità da qualcuno "equivocata" in base ad alcuni del suoi tratti meno convenzionali.

Parlando d’un nobile e per giunta non dei nostri giorni, si è indotti ad immaginarlo tutto compreso del suo alto lignaggio e delle distanze che lo separano dalla gente comune. Trattandosi però del conte Giovanni Maria Mastai Ferretti, papa Pio IX, il ritratto da fare è esattamente l’opposto.

Un papa tra la gente oggi non fa più meraviglia; Giovanni Paolo II ci ha abituati ad una forse programmata rottura degli schemi burocratici ed anche se non si può pensare d’andar liberamente a stringere la mano del Pontefice, è spettacolo frequente quello del Pontefice che stringe la mano ai più vicini, ai lati che fiancheggiano il suo passaggio.

Lo schema, a dir il vero, era già stato infranto: Paolo VI, Giovanni XXIII, Pio XII lo fecero in diverse occasioni. Nessuno può evocare, senza commuoversi, la bianca figura del Pastor Angelicus imbrattata di sangue in mezzo alla popolazione di San Lorenzo, dove un bombardamento era appena cessato. Pio IX non conobbe limiti a questo immediato contatto con la sua gente. Ogni occasione era buona per abbandonare la carrozza ed intrattenersi bonariamente con i suoi Romani, o per cancellare il cerimoniale fastoso ed imponente dei tempi passati a tutto vantaggio della comunicazione in alto ed in basso. Quasi ogni giorno rinnovava questa comunicazione diretta e non aspettava d’esser in campagna o fuori porta, come il cerimoniale gl’imponeva, per scender di carrozza, camminare a piedi, fermarsi con i primi incontrati, interessarsi ai loro problemi, ascoltarne gli umori, lasciar loro una buona parola e non soltanto quella.

Di fatto si poteva incontrarlo al Pincio, al Corso o in Piazza del popolo, al centro o in periferia, nell’atto di rispondere ad un saluto, di colloquiare affabilmente, d’ascoltare con paterno interesse chiunque avesse avuto bisogno d’esporgli il suo caso. A distanza di pochi metri, il segretario distribuiva danaro ai poveri: una scena tanto frequente da esser considerata un copione.

Era tanta l’affabilità del Pontefice, tanta la sua semplicità e tanto l’interesse prestato alla consueta litania di suppliche e lagnanze, che la gente si sentiva invogliata a rivolgergliele. Questo atteggiamento era indubbiamente dettato da un animo aperto e buono, condiscendente e compassionevole, ma Lui, Pio IX, l’aveva anche temprato in tal modo fin da giovane, quando prestava la sua opera tra i ragazzi di Tata Giovanni, e più tardi, quando gli fu affidato il difficile complesso di San Michele, dove toccò con mano la sofferenza e la solitudine dei poveri.

Per essi non rifuggiva nemmeno da qualche gesto fuori le righe. Come quando entrò personalmente nel negozio d’un vinaio, acquistò un buon fiasco ad Orvieto e lo regalò ad un ragazzo piangente dinanzi ai vetri rotti del fiasco scivolatogli di mano. Altre volte, per evitare che i beneficiati si sentissero in obbligo di ringraziarlo, riusciva a far loro pervenire l’aiuto nel modo più anonimo, perfino calandolo da una finestra o introducendolo furtivamente da una porta.

A testimonianza del suo legame con la gente, è da tener presente anche il ragguardevole elenco di fondazioni ed istituzioni varie, volute per sollevare i poveri dalle necessità materiali e morali: dalla fame, dall’ignoranza, dalla solitudine, dalla malattia, dal bisogno. Segno anch’esse del "cuor ch’egli ebbe".

Richiamo infine l’attenzione su un aspetto tra i non meno rilevanti della personalità di Pio IX e nel quale affrettati o prevenuti critici han trovato materia per riserve ed accuse da suggerire all’"avvocato del diavolo". Tale aspetto trova la sua spiegazione nel quadro di quell’immediatezza che fu già rilevata e sottolineata. Alludo alla sua arguzia, alla sua ilarità, al suo umorismo. Ne nascevano battute anche pungenti, o salaci, che o sconcertavano l’interlocutore o lo mandavano in visibilio. Dicono che l’arguzia sia tra le caratteristiche dei marchigiani; certo è che Pio IX ne era abbondantemente dotato. E ne faceva uso non raro, specie se si trattava d’addolcire l’atmosfera un po’ troppo tesa, di sollevare l’ilarità altrui, di sdrammatizzare qualche momento difficile. In certi casi, basta una parola per troncare un discorso, sviare l’attenzione, suscitare una provvidenziale risata. Pio IX, a questo riguardo, era un vero maestro.

Nella sua vita abbondano gli aneddoti legati al suo umorismo. Non posso raccontarne molti; ne segnalo alcuni a solo titolo esemplificativo .

Sono noti, p. es., quelli che ebbero per protagonista un certo Mons. Casali, un buon uomo, ma non un pozzo di scienza né una mente acuta. Un giorno, mentre si parlava dinanzi a Pio IX di Papa Sisto V, il buon Casali se ne usci in quest’esclamazione: quelli si che eran veri papi ! Pio IX, nient’affatto offeso, replicò: se lo dice lui ! E quando Mons. Casali riferì al Pontefice d’aver ricevuto uno schiaffo dalla madre, Pio IX domandò: uno solo? Ve ne doveva dare almeno due, uno anche per conto mio!

Ad un benedettino che smaniava per la porpora rivelò: ho intenzione di far cardinale un benedettino. Si fermò per tenere in tensione il buon padre, poi continuò: il suo cognome incomincia con la P. Si dà il caso che con la P incominciasse quello dell’aspirante cardinale (Pescetelli), il quale però si senti andar il sangue in acqua, quando il Papa concluse: ma non è un italiano.

Ad un genitore che Gli chiedeva di sistemare il figlio di modesto ingegno, Pio IX dette la seguente assicurazione: ho trovato, ne faremo un impiegato della Reverenda Camera Apostolica!

Equivocando un giorno sul significato metaforico di "pettinare", mise le mani sui capelli d’una piccola accompagnata dalla mamma, vi nascose 2000 scudi e, con riferimento al padre che aveva ridotto la famiglia in miseria, invitò la bambina a farsi pettinare soltanto dalla mamma.

Aveva la bocca piena e masticava a quattro palmenti un avventore uscito da un’osteria per vedere Pio IX che passava, e gridarGli: "Santità, muoio di fame". E il Papa:"lo vedo, lo vedo!".

Un prete di Romagna, per il quale Pio IX aveva pagato di tasca propria un corso di Esercizi Spirituali in riparazione di sfuriate romagnole, al Papa che lo invitava a non commetterne mai più rispose: non dubiti, Padre Santo, ho imparato a mie spese. Ma il Papa corresse: vorrete dire a mie spese.

Durante un’udienza, Gli fu presentata una signora dal cui cappello svettavano altissime piume. Appena seppe che si chiamava Guerrieri, osservò: già, me n’ero accorto dal cimiero!

Un friggitore, sfrattato dal Municipio, fermò la carrozza di Pio IX e Lo pregò di poter continuare a friggere. Il Papa, avuta una penna ed un foglio di carta, emanò il più faceto rescritto di tutta la sua vita: frigga come vuole, frigga dove vuole, frigga quanto vuole.

A chi Gli faceva notare che il Concilio sarebbe costato ogni giorno un numero esorbitante di scudi, Pio IX rispose: non so se da questo Concilio il Papa uscirà fallibile o infallibile, so però che ne uscirà fallito!

Continuare? sarebbe piacevole, ma non aggiungerebbe più nulla alla definizione della sua fisionomia, ormai ben tratteggiata. "Ecco l’uomo", disse un giorno Pilato di Nostro Signor Gesù Cristo (Gv 19,5); "questo è 1’uomo", si può ora dire di Giovanni Maria Mastai Ferretti.

4 - Due questioni a parte

Alcuni storici e personalità pubbliche di Senigallia non esitarono a fare di Pio IX il giustiziere spietato ("sordo non pure ad ogni voce di giustizia, si anche ad ogni richiamo di pietà che gli veniva dal dolce luogo natio") del colonnello della Guardia civica Gerolamo Simoncelli. I fatti son tristemente noti. Due sentenze, l’una del 31dicembre 1851 e 1’altra del 21 febbraio 1852, con votazione quasi plebiscitaria fanno del Simoncelli il capo indiscusso d’una fazione operante a supporto della "Compagnia Infernale o degli Ammazzarelli". Per la carica da lui ricoperta, che ne faceva non tanto un uomo d’ordine quanto il responsabile dell’ordine pubblico, su di lui furon fatti ricadere, prima che su altri, i misfatti della "Compagnia Infernale" e per essi venne condannato a morte insieme con altri 12 imputati. Il Sovrano, cioè Pio IX, indubbiamente avrebbe potuto graziare il Simoncelli allo stesso modo che graziò, per le condizioni della sua famiglia, il Simonetti. Tentativi a tale scopo non mancarono, ed alcuni autorevolissimi; ce ne fu uno perfino della sorella di Pio IX, Teresa Mastai Giraldi. Le sentenze ebbero però attuazione e gl’imputati vennero messi a morte.

Bisogna, al riguardo, procedere con somma cautela. Non consta che la domanda di grazia sia mai stata avanzata dal Simoncelli in persona; a suo favore intervennero le sorelle, non lui. Il silenzio significò pertinacia, non pentimento; e la grazia si concede ai pentiti. Consta d’altra parte che Pio IX era ben disposto alla grazia, solo aspettando che il colpevole gliela richiedesse. Nel silenzio di lui, di fronte a ben due sentenze univoche sulla colpevolezza personale dell’imputato, lasciò (forse a malincuore) che la legge avesse il suo corso. Si noti una circostanza: non firmò il decreto di condanna.

L'uomo d’oggi resta esterrefatto: una conseguenza dell’imperante buonismo"? Si, ma anche d’una radicalmente diversa mentalità, di quella comune e di quella giuridica. Sta di fatto che la pena di morte urta contro le fibre più sensibili e delicate della coscienza umana. Oggi in genere la escludiamo. Ma allora? Era legge, come legge era al tempo dei predecessori Gregorio VI, Sisto V e San Pio V. Più che legge, era convinzione morale universale che fosse legittimo cautelarsi contro l’ingiusto aggressore del bene comune anche con la pena di morte. E Pio IX, in questa così come in altre occasioni, non potè sottrarsi al dovere di tutelare la giustizia e quindi il bene comune: l’ordine pubblico, la legge dello Stato, la difesa degli uccisi. Perché lo si giudica con la sensibilità morale e con le acquisizioni giuridiche di oggi per fatti avvenuti in un altro contesto storico e secondo la logica della sua cultura? Se c’è qualcosa d’ingiusto, è proprio questo mancato trasferirsi nel contesto e nella cultura d’allora per giudicarne fatti e persone in base a parametri di giudizio odierni.

L’altro fatto è quello, non meno delicato, riguardante Edgardo Levi Mortara, un ebreo battezzato clandestinamente, nel 1852, da Anna Morisi che prestava servizio presso la famiglia israelitica dei Mortara a Bologna. Il piccolo Edgardo aveva diciassette mesi circa, quando fu colto da malattia allora giudicata mortale e fu, per questo, battezzato dalla solerte fantesca. Risaputa la cosa nel 1858, per incarico della Congregazione dell’Inquisizione alcuni gendarmi il 24 giugno prelevarono Edgardo e, da Bologna, lo condussero a Roma. Pio IX l’accolse con paterna bontà dichiarandosi suo padre adottivo e provvedendo al suo futuro. A sue spese lo fece studiare presso l’Istituto dei Catecumeni in Roma e quando il giovane Mortara raggiunse l’età della discrezione, gli domandò se volesse ritornare in famiglia. Avutane risposta negativa, gli continuò la sua alta protezione. A tredici anni il Mortara fu aspirante presso i canonici regolari di san Pietro in Vincoli e poco dopo (1866) novizio. Professò i voti semplici il 17 novembre1867 a Sant’Agnese fuori le mura ed emise la professione solenne il 31 dicembre 1871 nel Tirolo austriaco. Insegnò poi scienze sacre in Italia e all’estero e predicò indefessamente in varie lingue. Morì a Roma nel 1940 all’età di 89 anni, senz’aver mai perso i contatti con la sua famiglia e mantenendo sempre la più filiale gratitudine a Pio IX, dal quale aveva tanto ricevuto.

Sulla vicenda l’anticlericalismo dell’epoca e non soltanto quello montò il "caso" Mortara. Non mi riferisco ai ben comprensibili tentativi della famiglia per riavere Edgardo ma allo scatenarsi dell’odio liberale e massonico contro Pio IX, "reo" d’aver soppresso il diritto naturale per una "discutibile" questione di fede. Non potendo agire direttamente contro di Lui, fu processato ed incarcerato il P. Feletti, che aveva disposto il prelievo d’Edgardo, nel 1870 lo stesso Mortara, quotidianamente pedinato dalla polizia, preferì emigrare, senza che ciò attutisse il rumore del suo "caso", un rumore che Pio IX in persona chiamò una bufera universale contro di me e la Sede Apostolica", orchestrata da organismi internazionali ebraici ed appoggiata dall’anticlericalismo americano, belga francese, svizzero e perfino russo. Anche la Chiesa anglicana ci mise lo zampino.

La ragione è che si volle idolatrare ed assolutizzare il diritto naturale d’un minorenne alla propria famiglia, e di questa che a tutto poteva pensare fuorché alla perdita del proprio figlio. Non si volle riflettere sulla logica evangelica della salvezza eterna, come prima e suprema legge, alla quale anche il diritto naturale è subordinato.

Oggi, come allora, del "caso" Mortara si fa un argomento contro il presunto antiebraismo di Pio IX. L’accusa ha del risibile. Se c’è un Papa che ha protetto ed aiutato oltre ogni limite gli Ebrei, è proprio lui, Papa Mastai Ferretti. Fin dal 1848, agli albori cioè del suo pontificato, li ammise come "non più stranieri" alle elemosine papali; li proclamò suoi figli; li sottrasse all’umiliante corteo annuale che li portava in Campidoglio per un tributo di legge; e nella pasqua di quell’anno fece abbattere le porte e le catene del ghetto, questo poi allargando e ripristinando. Le provvidenze a favore degli Ebrei, inoltre, furon tali e tante che alcuni di essi non esitarono a chiedersi se non fosse proprio lui l’atteso Messia.

E’ davvero il caso di ripetere: "Ecco l’Uomo" (Gv 19,5).

Cap. 3: Il Maestro

Un’attenzione particolare va riservata al magistero di Pio IX, non senza dimenticare che l’espressione più nobile di esso è la sua stessa vita: una lezione luminosa di dedizione a Dio ed alla Chiesa.

Un po’ per la sua bonomia, un po’ perché non fu uno studioso, qualcuno potrebbe pensare che Pio IX abbia dato vita ad un pontificato scialbo dal punto di vista magisteriale. Niente di più errato. Pio IX aveva il fiuto dell’errore e l’occhio clinico per individuarlo a prima vista. Ed aveva pronto, in pari tempo, l’antidoto. Non tutti sanno che la ripresa del tomismo nei seminari e nelle università, prima che di Leone XIII fu merito di Pio IX.

Ciò che sorprende in un uomo divorato dallo zelo per le anime e non dal fascino d’una cattedra universitaria, è l’informazione. Già da vescovo e da cardinale sapeva riconoscer di lontano la matrice di certe storture dottrinali, giudicandole "una meschina fusione dei pensieri di Potter, La Mennais e Bunsen". Sapeva anzi distinguere "dal primo e dal terzo", accaniti antiromani, il secondo, il cui equivoco consisteva in un erroneo concetto di tradizione. Sapeva del giansenismo ed era capace di riconoscerne i sintomi anche in teologi, e perfino in vescovi, che vi s’ispiravano più o meno scopertamente, in Italia e all’estero.

Non era cieco neanche dinanzi agli errori teologico-politici, che attanagliavano il clero della sua epoca. Non suscita dunque alcuna meraviglia che gran parte del suo pontificato si caratterizzi sul piano magisteriale, a difesa del deposito della Fede e a proposta d’indirizzi sicuri.

1 - L'Immacolata Concezione

Era ancora a Gaeta, esule e vittima della prepotenza politica, quando mise in moto il progetto relativo alla definizione dogmatica dell’immacolato concepimento di Maria. Non si trattava d’un fatto puramente devozionale e non era in gioco il suo personale trasporto per la Vergine Santa. Si trattava di sapere se Maria fosse stata concepita senza peccato originale e se ciò facesse parte della rivelazione cristiana.

Una consultazione mondiale fu allora promossa con l’enciclica Ubi primum. I vescovi di tutto il mondo dovevan pronunciarsi sulla legittimità e sull’opportunità o meno d’una definizione dogmatica a tale riguardo. 593 furon le risposte, delle quali 8 soltanto negative, 2 incerte, 35 favorevoli con riserva e tutte le altre, cioè la stragrande maggioranza, pienamente a favore.

Che Maria fosse stata concepita senza peccato originale era solo una pia credenza, diffusa peraltro in tutta la Chiesa, ma priva del vincolo dogmatico. Presente nella preghiera liturgica, variamente intesa dai grandi teologi del passato dei quali alcuni non ne erano stati entusiasti, accolta ed approfondita dalla scuola francescana, garantita per così dire da un avallo preternaturale (le apparizioni a S.ta Caterina Labouré) e successivamente confermata da un altro evento preternaturale (le apparizioni a S.ta Bernadette Soubiroux) la pia credenza s’apprestava a rivestirsi di portata dogmatica, quando il parere quasi unanime dei vescovi confortò il progetto di papa Mastai.

Più di sei anni, tuttavia, furono ancora necessari, sei anni di preghiera, di studio e di riflessione, prima che con l’Ineffabilis Deus Pio IX promulgasse il nuovo dogma mariano. Ad una preliminare commissione teologico-consultiva, altre 4 ne seguirono di cardinali, vescovi e teologi per trattare adeguatamente l’argomento da tre distinti punti di vista: la definibilità, I’opportunità, la redazione del testo.

Anche in tale occasione, Pio IX rivelò una prudenza pari alla fermezza del suo intento. Sottomise al giudizio di 16 teologi il primo abbozzo del testo, redatto da G. Perrone. Altri 7 vennero di volta in volta preparati analizzati e valutati. Bisognava che ci fosse provata chiarezza non solo sull’esistenza "ab antiquo" della pia credenza nella Chiesa universale, ma anche sul tenore delle risposte ricevute e delle obiezioni prima ed allora sollevate. In particolare, occorreva superarne due, senza dubbio gravi: il silenzio neotestamentario e l’universalità del peccato originale.

I lavori delle commissioni e dei singoli teologi furono intensi, accompagnati dall’interessamento personale del Papa e dalla sua ininterrotta preghiera. Con Lui pregavano tante altre persone, alle quali Egli stesso s’era rivolto; in particolare, le claustrali. A quattro giomi dalla proclamazione, il testo non era ancora perfettamente a posto e si deve ai suggerimenti diretti di Pio IX il superamento definitivo delle difficoltà.

8 dicembre 1854. Con una solennità inaudita, nella patriarcale basilica di S. Pietro in Vaticano, alla presenza di 53 cardinali, 43 arcivescovi e 99 vescovi, accorsi appositamente per testimoniare il consenso della Chiesa universale, il Santo Padre, non senza commozione, definì come dogma di fede l’immacolato concepimento della Vergine Maria. Tre anni dopo il Papa stesso rievocò quel momento paradisiaco: "Quando iniziai a leggere il decreto...sentii la mia voce incapace di farsi capire dall’immensa moltitudine che riempiva la basilica vaticana. Ma quando arrivai alla formula, Dio donò alla voce del suo Vicario una forza tale e tale vigore soprannaturale, da farla risuonare in tutta la basilica. Ero così impressionato d’un tale divino soccorso, che dovetti interrompermi un momento per dar libero sfogo alle mie lacrime".

Questo dogma, sia ben chiaro, s’impone all’attenzione critica e alla Fede della Chiesa non per le lacrime di Pio IX, ma per il suo contenuto pienamente conforme alla Fede e per il valore dottrinario della sua formulazione. Pio IX capiva l’interconnessione dell’Immacolata con le altre verità rivelate ed ebbe il coraggio, la fermezza e la coerenza d’insistere su una siffatta connessione per far diventare dogma una pia ed antichissima credenza. Aveva anche capito che l’Immacolata s’articolava direi organicamente con l’Assunta, questa dipendendo da quella; ma a chi lo sollecitava per procedere anche alla definizione dogmatica di Maria assunta corpo ed anima nella gloria celeste, rispose di non esserne degno, anche se sicuro che ciò si sarebbe avverato più tardi.

A scanso d’equivoci, sembra ora opportuno sostare dinanzi al testo per coglierne il significato autentico.

Esso s’apre con l’appello all’autorità che dà garanzia dogmatica al magistero papale: "Per l’autorità di Nostro Signore Gesù Cristo, dei Beati Apostoli Pietro e Paolo e nostra". Anche dal punto di vista della formulazione tecnica, si è di fronte ad un esordio magisteriale. L’intervento del Papa si giustifica in base al fatto ch’esso dipende non da una decisione privata del Pontefice stesso (e per tale motivo ho tradotto "nostra" invece che "la nostra"; quell’articolo indicativo potrebbe in effetti distinguere l’autorità del Papa da quella di Cristo e degli Apostoli Pietro e Paolo, mentre si tratta della medesima ed unica autorità), ma da una decisione "pubblica", dovuta cioè alla sua "persona pubblica", ovvero al suo ufficio magisteriale di Capo Maestro e Pastore supremo della Chiesa, al quale lo Spirito Santo assicura l’autorità stessa di Cristo capo Maestro e Pastore.

"Noi dichiariamo affermiamo e definiamo". Linguaggio classico, che troverà conferma, poco dopo, nella "Pastor aeternus" del Vaticano I. Nel "noi" non risuona un semplice plurale maiestatico, ma la limpida coscienza dell’ufficio papale: pertanto, non la sola rappresentatività di tutta la Chiesa, ma la responsabilità universale che tutta la coinvolge, in ogni tempo, in ogni dove, nella professione del dogma mariano.

"Che la dottrina, secondo la quale la Beatissima Vergine Maria. fin dal primo istante in cui venne concepita, per singolare grazia e privilegio di Dio, in considerazione dei meriti di Gesù Cristo Salvatore del genere umano, fu preservata immune da ogni macchia del peccato originale, è da Dio rilevata ed è pertanto fermamente e costantemente". Sta qui il contenuto dottrinale della definizione piana, dove peraltro occorre far una distinzione: il contenuto rigorosamente dogmatico è quello relativo alla dottrina in quanto rivelata e perciò "credenda"; la specificazione di tale dottrina indica i limiti di ciò che fu rivelato e che bisogna credere: non al di sopra, non al di sotto di essi. Da notare anche la contraddizione di qualche antica e moderna traduzione del "praeservatam immunem" con "affrancata"; se affrancata dal peccato, Maria non ne sarebbe stata immune.

2 - Il Vaticano I

Procedo per sommi capi, impossibile essendo, ora, un’esposizione analitica completa sul magistero di Pio IX. Sarebbe di grande interesse il soffermarsi sul peso magisteriale delle sue non poche encicliche; ma è di gran lunga maggiore l’interesse che collega il peso suddetto all’evento epocale la cui sola memoria basta ad immortalare il grande Pontefice: parlo del Concilio Ecumenico Vaticano I.

Ne parlo non per tesserne la storia, ormai investigata in ogni suo più piccolo particolare, ma per documentarne quel peso magisteriale al quale prima accennavo, e che ridonda in ultima analisi a merito di Colui che quel Concilio volle, aprì, diresse e promulgò.

http://www.papapionono.it/img/vaticanoIb.jpg Apertura del Concilio Vaticano I del 1869

Anche il progetto d’un Concilio ecumenico nacque a Gaeta nel 1849. Nel 1863 fu il card. Wiseman a parlarne con Pio IX. E questi, il 6 dicembre 1864, confidò la sua speranza ai 15 cardinali della Congregazione dei Riti. L’anno successivo entrò in azione una commissione cardinalizia. E così, di commissione in commissione, di consulta in consulta, non assenti nemmeno alcune contromanovre da parte sia di circoli massonici ed anticlericali, sia d’ecclesiastici d’avanguardia, s’arrivò all’apertura del Concilio: 7 dicembre 1869.

Fu davvero un Concilio Ecumenico: 55 cardinali, 6 patriarchi, sei abati "nullius", 24 abati generali, 29 generali di ordini e congregazioni religiose, 964 vescovi. E’ risaputo che non tutto il materiale preparato venne di fatto discusso ed approvato. I venti di guerra e le condizioni politiche italiane determinarono la chiusura precoce del Concilio (18 luglio 1870) e due sole furono le Costituzioni dogmatiche approvate: la "Dei Filius" e la "Pastor aeternus".

L’una fu discussa per oltre un mese e concluse il suo itinerario con miglioramenti e varianti di carattere formale e teologico. Altrettanto avvenne per l’altra, anche se l’incerto clima politico ne condizionò almeno in parte la discussione.

La "Dei Filius", approvata in sessione plenaria il 24 aprile 1870, fu promulgata seduta stante da Pio IX, evidentemente compiaciuto e grato al Signore. Nel prologo si passavano in rassegna i principali errori dell’epoca moderna, con particolare riferimento a quelli sull’esegesi biblica, sul razionalismo e sul naturalismo, donde si cade "nell’abisso del panteismo, del materialismo e dell’ateismo". In evidenza, ovviamente, venivan messi anche gli errori teologici che confondevano i confini della natura e della grazia e si discostavano dall’insegnamento tradizionale della Chiesa

Dopo il prologo, quattro brevi capitoli sulla genuina Fede cattolica: Dio Creatore dell’universo; La Rivelazione divina, la Fede, la Fede e la ragione. Il contenuto di questi quattro capitoli trova poi la sua formulazione dogmatica in 18 canoni che infliggono la scomunica a chiunque osi negarne il contenuto dottrinale, diffondendo e sostenendo dottrine ad esso contrarie.

Non mancarono, qua e là, delle critiche: vescovi poco convinti, teologi d’ispirazione liberale e neogallicana, storici il cui metro per valutare la vita della Chiesa prescindeva dal soprannaturale. La maggior parte dei destinatari, però, gioì con Pio IX perché il Concilio aveva raggiunto uno dei suoi scopi principali: aveva non solo condannato gli errori, ma a questi aveva contrapposto la verità immutabile della rivelazione divina.

La seconda Costituzione dogmatica del Vaticano I, la "Pastor aeternus", è comunemente conosciuta come la costituzione sulla Chiesa; in realtà i tempi ristretti dei lavori conciliari furon la causa del loro "cursus in fine velocior". I Padri stessi, o alcuni di essi, non vedevan l’ora di far ritorno alle loro sedi. Ne fecero le spese soprattutto i temi ecclesiologici, dei quali si discusse ed approvò solo una piccola parte (il cap. XI dello schema "de Ecclesia"), riguardante la dottrina del Romano Pontefice. La si articolò in tre capitoletti, ai quali fu poi aggiunto il cap. IV sull’infallibilità papale.

In quella fase conciliare, infallibilisti ed antinfallibilisti misero in atto sottili ed accorte manovre, capaci di portare la questione dell’infallibilità al centro dell’interesse conciliare. Come sempre in casi del genere, le posizioni andavano dal si al no passando attraverso sfumature varie, il cui scopo era quello di mediare gli estremi.

Il 6 marzo 1870 fu consegnato un progetto, frutto di lunghe discussioni, che s’aggiungeva al cap. XI poco sopra ricordato e che ebbe subito il massimo interesse dei Padri conciliari. Proseguiva intanto la discussione del cap. XI sull’ufficio primaziale del vescovo di Roma. 139 furono gli emendamenti proposti e poi discussi ed approvati. Alla fine, il testo ebbe il gradimento comune circa la dottrina che stabiliva come dogma di Fede che al solo Pietro il Signore donò il primato sulla Chiesa universale; che tale primato è per divina disposizione transpersonale, da trasmettere cioè ai legittimi successori del principe degli Apostoli; e che esso consiste non in una supervisione o nella posizione del "primus inter pares", ma in una vera e propria giurisdizione.

La questione di fondo rimaneva, tuttavia, quella del progetto aggiuntivo sulla infallibilità papale. Le proposte s’accavallavano a vicenda. Quelle favorevoli incontravano la resistenza d’una minoranza teologicamente agguerrita e non incline al facile cedimento. Nuovi gallicani e frange non indifferenti di conciliarismo mitigato pretendevano almeno questo: che prima di procedere ad una definizione dogmatica, nella quale pertanto fosse impegnata l’infallibilità dell’asserto, il Papa avesse l’assenso dei vescovi, per la ragione che essi concorrono con Lui al governo della Chiesa. La maggioranza rispondeva che all’esercizio dell’ufficio petrino, uno ed indiviso, non ha parte l’episcopato, con la conseguenza che il Papa di per se stesso, e non mediante il consenso dei vescovi o della Chiesa, è capace di definizioni infallibili.

Il 4 luglio, per la sesta volta in quattro mesi, fu proposta una formula aperta ad alcuni emendamenti, ma ferma sulla sostanza. Una maggioranza schiacciante l’approvò il 13; ma la minoranza non si dette per vinta. Valendosi dell’ampia libertà concessa da Pio IX a chiunque volesse o avesse da eccepire, Mons. Dupanloup suggerì al Papa d’approvare, si, come decisione conciliare la dottrina dell’infallibilità sulla quale confluiva il parere della maggior parte dei Padri, ma d’astenersi dal promulgarla per non turbare gli spiriti già molto preoccupati. Insomma, si voleva metter la mordacchia a Pio IX, il quale non era affatto disposto a lasciarsela mettere.

Arrivò il 18 luglio. Su 535 presenti, 2 soltanto si dissero contrari, una quarantina di vescovi aveva lasciato Roma, un po’ per la precarietà della situazione politica, un po’ per non partecipare alla plenaria. Non senza commozione ma fermo sulle sue posizioni, Pio IX rassicurò i confratelli nell’episcopato sui rapporti tra l’episcopato stesso e l’infallibilità, nel senso che questa suprema prerogativa dell’autorità papale, anziché schiacciare quella episcopale, è a tutela e garanzia di essa.

In realtà, non si trattava della divinizzazione d’un uomo né dell’assorbimento, da parte sua, delle responsabilità e prerogative dei vescovi. Il Papa, chiunque fosse, anche dopo la definizione dogmatica della sua infallibilità restava l’uomo che era e come era: con i suoi pregi ed i suoi difetti. In quanto dottore privato, può sempre cadere in errore come ogni altro privato dottore. Ma in quanto Capo supremo, Maestro e Pastore di tutta la Chiesa, in ciò che riguarda le verità da credere e da incarnare nel tessuto quotidiano, gode d’uno speciale carisma, cioè di quell’infallibilità che rende le sue decisioni irreformabili di per sé e non per il consenso della Chiesa.

Tale formula entrò come quarto capitolo nella "Pastor aeternus". Ognuno dei quattro capitoli venne quindi specificato da un canone dogmatico. Si chiudeva in tal modo, con una evidentissima vittoria della Divina Provvidenza che guida i passi degli uomini verso i suoi traguardi, oltre che con l’oscurarsi dell’orizzonte politico internazionale ed italiano, il Concilio Ecumenico Vaticano I. Esso fu pure, in ultima analisi, la vittoria di Pio IX. A me piace considerarlo, per le sue due Costituzioni dogmatiche, una perla del magistero piano.

3 - Il Sillabo

Affronto per ultima, anche se cronologicamente avrei dovuto parlarne prima, una delicata questione, causa di non rari malintesi e d’infondate accuse sia contro Pio IX sia contro la Chiesa: la questione del Sillabo.

Il 9 giugno 1862, ad un buon terzo dell’episcopato mondiale convenuto a Roma per la beatificazione di 26 martiri giapponesi, Pio IX tenne una ben nota allocuzione sui "terribili mali" che affliggevano la Chiesa e la stessa società civile. Fu, da parte sua, l’ennesima denuncia del razionalismo, del panteismo, dell’ateismo e di ciò che tra breve sarebbe stato chiamato modernismo. In particolare eran direttamente colpiti quanti giudicavano la divina rivelazione "imperfetta e soggetta ad un progresso continuo ed indefinito, conforme al progressivo sviluppo della ragione umana". Pio IX colpiva inoltre chi riduceva a favole i miracoli e le profezie dei Libri Sacri, chi nei misteri della Fede null’altro vedeva che il risultato d’investigazioni filosofiche, chi dava per scientificamente accertato che Antico e Nuovo Testamento contenessero soltanto dei miti e che lo stesso Cristo fosse "mito e finzione".

Come si chiamassero i colpiti da Pio IX era implicito nelle sue parole: David F. Strauss in Germania; Emesto Renan in Francia; altri seguaci dell’uno e dell’altro. Il Papa voleva impedire che i loro errori si propagassero nei Seminari e nelle Università, magari sotto il titolo di progresso scientifico.

Era insomma un Sillabo "in nuce". Del resto il Sillabo, cioè l’elenco dei principali errori del tempo, era cominciato prima di Lui. Pur tacendo altri nomi, una menzione va fatta per Gregorio XVI, anch’egli invitto difensore della Fede contro l’attacco portatole dal razionalismo illuministico, dal secolarismo e dall’ateismo di varia estrazione. Pio IX ne segui le orme già con la sua prima enciclica (Qui pluribus del 9 novembre 1846), autentico anticipo della Quanta cura e dello stesso Sillabo. Chi non fa questo collegamento corre il rischio di fermarsi ad un’immagine di Pio IX che intraprende il suo pontificato con sentimenti e propositi difformi dalla sua spiritualità e non in linea con le sue preoccupazioni pastorali. Al contrario, l’alba di questo pontificato, con la Qui pluribus, s’illuminava di quella severa vigilanza magisteriale che, già presente nell’animo del giovane prelato a Roma, in Cile, a Spoleto e ad Imola, accompagnerà il suo non facile pilotaggio del naviglio petrino e si evidenzierà in modo speciale proprio con il Sillabo.

Sembra che il suggerimento di catalogare e condannare pubblicamente gli errori moderni sia stato rivolto a Pio IX per la prima volta, già nel 1849, dal card. Gioacchino Pecci, il futuro Leone XIII: un collegamento significativo, che annulla sul nascere troppo precipitose contrapposizioni dei due Pontefici. Nel 1851 toccò ad un laico di Torino Emiliano Avogadro della Motta, a sollecitare dal Papa la pubblica condanna dei numerosi e perniciosi errori moderni. E nel maggio di quel medesimo anno, Pio IX ordinò un primo sondaggio su vasta scala in ordine ad una tale prospettiva.

Nuove indagini vennero condotte tra il 1859 ed il 1860. L’esito si concretò in 79 proposizioni condannabili, raccolte sotto il titolo "Syllabus errorum in Europa vigentium". La prospettiva andava verso il suo epilogo; ma il cammino non era stato ancora percorso per intero.

L’episcopato, nella sua grande maggioranza, assecondava Pio IX e procedeva nella stessa direzione. E’ nota la pastorale di Mons. Gerbert, vescovo di Perpignano: una nuova raccolta di errori. Pio IX, anzi, decise di rifarsi ad essa per la redazione del suo Sillabo, cioè di quello ufficiale. Nominò nel maggio del 1861 una commissione speciale perché esaminasse le 85 proposizioni di Mons. Gerbert. La commissione lavorò alacremente e, dopo decine di sedute, il documento ufficiale era pronto. Il Papa l’esaminò e lo fece consegnare ai vescovi presenti in Roma per la già ricordata beatificazione dei martiri giapponesi.

Come si vede, Pio IX non era l’uomo dei "colpi di testa". Prudente e rispettoso delle idee altrui fino allo scrupolo, chiedeva ai vescovi ch’esprimessero liberamente il loro pensiero su un problema di tanta importanza e di tanta incidenza nell’atmosfera culturale del tempo. E circa un terzo dei vescovi interpellati, pur d’accordo sull’essenziale, giudicò inopportuna l’iniziativa.

Nel contempo, e precisamente nel dicembre del 1862, visto 1’aggravarsi della situazione in ambito teologico e filosofico, il Papa condannò l’abate Jacob Frohschammer, professore di filosofia all’università di Monaco, perché accordava "alla ragione umana forze che non le competono affatto", traendone la conseguenza d’una libertà senza freni, con pregiudizio per "i diritti, le funzioni e l’autorità della Chiesa". Tale condanna s’inseriva nel contesto d’altre severe prese di posizione nei confronti di tutta la corrente liberaloide tedesca, ma anche francese e belga. Il tempo era ormai maturo per una condanna a più vasto raggio, la qual cosa avvenne 1’8 dicembre 1864 con 1’enciclica Quanta cura e con il Sillabo. Questo, anche perché non datato, seguiva l’enciclica come un suo allegato. Ne faceva parte, dunque.

L’enciclica richiamava ancora una volta l’attenzione del mondo cattolico sui pericoli che correva la Fede cristiana a causa del propalarsi, a livelli sempre meno controllabili, d’errori gravissimi. Ancora una volta era messo a fuoco il naturalismo, che sopprime ogni legame tra società e religione; la libertà di coscienza e di culto, che già sant’Agostino aveva definito "libertà di perdizione"; l’estromissione della Chiesa da ogni compito educativo nei confronti dei giovani, che veniva riservato soltanto allo Stato; la sottomissione di essa, privata dei suoi nativi diritti temporali, allo Stato stesso; la negazione della divinità di Cristo. Pio IX parlava a tale riguardo d’ "insolenza criminale" e di "cospirazione...contro il Cattolicesimo e la Sede Apostolica".

Il Sillabo, richiamandosi ai precedenti atti papali d’analogo contenuto, condensava in 80 proposizioni, queste distinguendo in 10 settori, tutte riguardanti la "cospirazione" sopra accennata. In particolare cadevano sotto condanna:

- il naturalismo, il panteismo ed il razionalismo assoluto;

- il naturalismo moderato, con riferimento a Gunther, Frohschammer, Dollinger ed altri;

- l’indifferentismo ed il latitudinarismo;

- il socialismo, il comunismo, le società segrete ed altre società clerico-liberali;

- le idee eversive della natura della Chiesa e negatrici dei suoi diritti;

- gli errori sulla natura della società civile, specie su quello che asservisce la Chiesa allo Stato;

- gli errori relativi alla morale naturale e cristiana;

- gli errori sul matrimonio cristiano;

- gli errori sul potere temporale del Romano Pontefice;

- gli errori che sottopongono il Papa e la Chiesa al progresso, al liberalismo, ed alla moderna civilizzazione.

Come si sa, tanto l’enciclica quanto e soprattutto il suo elenco degli errori moderni suscitarono (e tuttora suscitano) un’infinità di critiche. Ne risenti la stessa causa di beatificazione, almeno nel senso che anche tali critiche contribuirono ad allungarne smisuratamente i tempi. Dico smisuratamente, perché le critiche si son poi rivelate, tutto sommato, infondate. A giustificarle non era certo sufficiente il taglio netto dell’espressione formale e meno ancora qualche sbrigativa ricostruzione delle posizioni condannate. Era ed è del pari riduttivo il giudizio sul Sillabo inteso come forma puramente negativa del magistero di Pio IX. Gli elementari criteri d’ermeneutica insegnano che da una dottrina condannata si desume la vera, d’altra parte, di magistero al positivo è pieno il pontificato di papa Mastai.

Bisogna inoltre capir bene che cosa Pio IX intendesse colpire: non il sacrario inviolabile della coscienza, ma l’indifferentismo religioso e non si riesce a spiegare come e perché un teologo del calibro di Y. Congar, senza calarsi nell’atmosfera piana, abbia messo in antitesi il Sillabo e la dichiarazione Dignitatis humanae del Vaticano 2. Chi infatti si colloca nell’ottica di Pio IX, non solo non contrappone i due documenti, ma potrebbe perfino individuare un passaggio logico (alludo alla "logica della Fede") dall’uno all’altro.

E’ doveroso infine osservare un’altra fondamentale legge interpretativa: nessuno è autorizzato a leggere con gli occhi d’oggi i fatti di ieri. Lo storico in questo si distingue dal cronista: ricupera la mentalità e la cultura del periodo studiato e dei protagonisti in esso operanti. Se qualcuno non lo fa, il suo Pio IX resta sospeso all’alea della manomissione, dell’incomprensione, ed in ultima analisi della falsificazione.

Cap. 4 - Il Santo

La spiritualità di Pio IX, già ben definita negli anni della giovinezza (che pur conobbe in Lui alti e bassi e non fu priva di pericoli e tentazioni) venne affinandosi nel tempo. E’ una legge comune: nessuno nasce con l’aureola. Quando Pio IX morì, l’accompagnava alla tomba non solo l’odio bieco ed astioso dell’anticlericalismo piazzaiolo, ma anche e soprattutto una fama di santità, diffusissima e al di sopra di ogni sospetto. "E’ morto un santo", fu il grido che attraversò l’orbe cattolico; e non mancarono riconoscimenti in tal senso anche da parte acattolica. Don Bosco, che gli era stato vicino e lo conosceva a fondo, pronosticò subito la gloria degli altari.

Dopo un esame minuzioso e lungo quasi un secolo, la Chiesa scioglie oggi ogni riserva e lo proclama pubblicamente beato.

Il lettore, tuttavia, ha diritto di sapere su quali basi.

1 - Un vero prete

Sono innumerevoli le grazie attribuite al grande Pontefice sia prima, sia dopo la sua morte. Certo, nessuna di esse può esser addotta a fondamento della sua santità, anche se è un indice della richiesta "Fama sanctitatis": il fondamento unico ed irrefragabile della santità è "la perfezione della carità". E’ questa l’angolatura dalla quale occorre posare lo sguardo su Pio IX, nel chiedersi se fosse o meno un vero santo.

Tuttavia, nel complesso delle grazie sopra accennate ce n’è una che, attentamente analizzata e valutata dalla Consulta Medica della Congregazione per le Cause dei Santi, è stata dichiarata miracolo. La detta Consulta, infatti, I’ha definita naturalmente e scientificamente inspiegabile. Da questa base è poi partito il giudizio teologico per approdare al miracolo e riconoscere in esso il dito di Dio, ossia l'avallo soprannaturale del giudizio di santità.

Sopra ho accennato alla perfezione della carità; santo infatti non è colui che va in estasi e sposta le montagne, ma colui che ama Dio al di sopra di tutto e di tutti e tutti gli altri per amore di Dio. E proprio questa è la nota che rifulge nella personalità di Pio IX: amava Dio immensamente, intensamente e, sotto certi aspetti, fanciullescamente traducendo il suo medesimo amore di Dio in amore del prossimo, di qualunque prossimo anche dei suoi nemici. Fu così nel fervore dei suoi anni verdi, preludio di ciò che sarebbe maturato negli anni del suo ministero vescovile e papale, fino alla vecchiaia e alla morte.

http://www.papapionono.it/img/fotopionono.jpg Pio IX vegliardo. Foto di Enrico Battista Canè, 1877. Dall'album conservato nel Museo Pio IX al Palazzo Mastai di Senigallia.

Visse il suo eccezionale momento storico, così ricco d'eventi che cambiarono il corso della storia in Italia, nella Chiesa e nel mondo, in perfetta amorosa unione con Dio ed altrettanto amorosa disponibilità per gli altri. In mezzo a vicende che oltrepassavano di gran lunga il limite dell'ordinario, oggetto non di rado d'accuse ingenerose e di lotte a tutto campo, continuava a dar il suo alto esempio d'amor di Dio e del prossimo, in tutto e per tutto abbandonato alla divina Provvidenza. Tale abbandono, che a qualcuno è sembrato debolezza, "mancanza di senso politico, pericoloso misticismo, attesa inerte e passiva". era la sua arma politica. Non soggiaceva alla prepotenza, ma la collocava nel Cuore del suo Cristo e tutto risolveva in un atto d'amore.

Quando poi parlava del divino Amore, voce e gesti s'infiammavano a tal punto che l'uditorio ne rimaneva conquiso e commosso.

Il suo amore per il prossimo come riflesso e testimonianza di quello per Dio non era mai puramente verbale, ma concreto e risolutivo. Mite, buono e comprensivo, a quanti ne avessero bisogno lasciava dietro i suoi passi un aiuto che superava talvolta le attese. E' risaputa la sua carità per le claustrali e le religiose in genere; ma anche per i poveri, i perseguitati, i prigionieri. Lenì più volte i deleteri effetti della guerra, sottrasse alla cattura da parte degli Austriaci non pochi rivoluzionari in fuga, raccomandò e per quanto era in suo potere Egli stesso concesse condoni e riduzioni di pene. Visitò gli ammalati e non esitò ad assistere personalmente i colerosi dei vari ospedali. Non solo disse parole di pace e di perdono ai garibaldini, prigionieri dopo la battaglia di Mentana in Castel Sant'Angelo, ma li rifornì anche di cibo e di vestiario ed infine li fece rimetter in libertà. Ho già ricordato che passeggiava per Roma con accanto il Segretario, nelle cui mani era sempre una borsa per sovvenire ai bisognosi che incontrava.

Pensò perfino a forme di pensionamento, non ancora previste nemmeno dagli ordinamenti più avanzati dell'epoca, per quei civili e militari della vecchia amministrazione pontificia, che dopo l'occupazione di Roma non avevano aderito al nuovo governo.

Ma fu soprattutto un prete. Un prete vero, perché "uomo di Dio" (2 Tm 3,17) tutto preso dal suo amore e votato al bene degli altri. Per i preti ebbe sempre speciali preoccupazioni. Curò la formazione sacerdotale, promosse i seminari, caldeggiò i buoni studi. Certo, non poté risolvere tuttti problemi da Lui incontrati, benché tutto facesse quant'era nelle sue possibilità per risolverli. Ebbe anch'egli, come uomo, i condizionamenti della sua natura; e come papa, i problemi immani dell'epoca in trapasso, cui rispondeva come sapeva e poteva. Ma su una cosa dovrebbero tutti concordare sostenitori e critici: sul fatto che fu prete esemplare, specchio delle più belle virtù sacerdotali e cristiane.

Specie negli ultimi anni del suo pontificato, crebbe la considerazione comune della sua santità in base alle sue virtù. Peccato, umanamente parlando, che il riconoscimento ufficiale di esse sia venuto così tardi!

2 - Pio di nome e di fatto

Se la carità ebbe tanto rilievo nella sua vita, fu perché tutto il complesso delle sue virtù trovò in essa la sua radice e la sua sintesi. Fu vibrante d'amore, quindi fu pieno di fede e di speranza, proiettato in Dio e sicuro del suo aiuto, da Lui solo attendendo la soluzione umanamente impossibile dei suoi gravissimi problemi. Dio solo cercava quando opponeva un irremovibile no all'onda montante del liberalismo anticlericale, del secolarismo che addormentava il senso religioso dell'esistenza e dell'ormai diffuso ateismo. Dio era la sola motivazione del suo tetragono atteggiamento di resistenza agli eventi inarrestabili, per cui anteponeva i diritti della Chiesa, della religione cristiana e delle Sede Apostolica, della stessa legge naturale ad ogni prospettiva secolarizzante. Fu e visse soltanto come "homo Dei".

Incarnò nel suo tenore quotidiano la pietà non soltanto come ragione del suo personale rapporto con Dio, la Vergine Immacolata, San Giuseppe ed altri Santi, ma anche come punto di riferimento e faro del suo senso pratico, del suo dovere d'ogni giorno e degli imprevisti che, pure ogni giorno, s'affacciavano sull'ingresso della sua stanza di lavoro.

"Non è un mistico - è stato scritto - o un asceta nel senso stretto dei termini quantunque le sue effusioni spirituali, che si rintracciano dovunque nelle sue lettere e nei suoi discorsi, possano talora farlo pensare, ma è un uomo che aspira del continuo alla perfezione". Forse si voleva soltanto osservare che era non privo di qualche difetto, ma deciso ad emendarsene, tanto da aspirare "del continuo alla perfezione". Lo strumento da Lui a tal fine adoperato, il rimedio assunto, continua il medesimo biografo, "è la preghiera; in ogni evenienza prega e fa pregare; Egli è principalmente l'uomo della preghiera...Tale sarà sempre fino alla morte".

Da questa sua qualità di orante discendono alcuni indirizzi particolari che, nulla togliendo all'insieme e nulla al centro della sua religiosità, la specificano e ne definiscono le componenti varie. Fin da giovane, il Mastai si rivelò devotissimo del Sacro Cuor di Gesù e fin dai primissimi anni del suo ministero episcopale s'impegno a diffondere questa devozione. Ne percepiva con chiarezza il senso teologico. Sapeva che ogni omaggio al Sacro Cuore ridondava sulla persona adorabile di Cristo e sulla sua umanità sacrosanta. Ne derivava non solo il suo devoto atteggiamento, ma anche lo zelo con cui ne parlava ed operava. E' qui praticamente impossibile riferire quanto Egli fece per il Sacro Cuore; ma non posso tacere su alcuni discorsi da Lui tenuti agli albori del suo presbiterato e come piattaforma del suo sviluppo futuro. Si tratta di due tridui, già nei quali il Sacro Cuore si poneva in evidenza come un chiaro coefficiente della sua spiritualità, la quale pertanto già preludeva alle caratteristiche e dimensioni che avrebbe assunto in seguito. E quante opere videro la luce, da Lui promosse o da Lui approvate, riguardanti il Sacro Cuore: confraternite, chiese, famiglie religiose. Si capisce così la ragione per la quale consacrò al Sacro Cuore la Chiesa.

Un altro aspetto non meno significativo del suo orientamento spirituale è la devozione alla Madonna. Anche questa seppe ben radicare in opportune ragioni teologiche ed innestare sul suo costume personale, come un'espressione tipica di esso. Era una delle devozioni nate nel suo animo fin dalla fanciullezza; e fu il suo distintivo per tutta la vita. Avrebbe potuto ben dire anch'Egli: "Totus tuus"; era davvero tutto di Maria. A Lei riferiva tutto quanto ebbe una speciale rilevanza nella sua lunga giornata: la guarigione da una malattia che per qualcuno fu epilessia, anche se la fondatezza di tale diagnosi non fu mai dimostrata, la vocazione sacerdotale, l'episcopato spoletino ed imolese; la stessa porpora cardinalizia. Sotto il manto della Vergine Immacolata e segnatamente della Madonna di Loreto Egli pose poi il suo ministero papale. Tutta la sua esistenza si svolse in atmosfera mariana.

Si conoscono, inoltre, i suoi discorsi giovanili su Maria Assunta in cielo. Col loro impianto biblico-teologico, già preludevano al suo futuro e ben consolidato convincimento circa il vincolo esistente tra Immacolata Concezione ed Assunzione. Ho già ricordato codesto convincimento. Nel 1864 ne parlò una volta alla Regina di Spagna, che già pregustava la gioia d'una nuova definizione dogmatica: "Non c'è dubbio che l'Assunzione...è una conseguenza del dogma della sua Concezione Immacolata...io non mi credo degno istrumento per pubblicare come dogma anche questo secondo Mistero; ma tempo verrà..." La medesima speranza aveva del resto espresso in altre occasioni, anche molto prima.

In un certo senso, Maria era nel suo cuore; la causa di Lei faceva parte di Lui, perciò non poteva non parlarne e lo faceva non senza personale trasporto.

La storiografia ricorda anche la sua devozione a San Giuseppe, che culminò, l'8 dicembre 1870, con la proclamazione del verginale Sposo di Maria a patrono della Chiesa universale.

Ma il giudizio sulla sua spiritualità né si evince del tutto da queste sue devozioni, né s'esaurisce in esse. Queste, anzi, potettero sussistere solo grazie alla qualità teologale della sua vita. Era davvero "I'uomo di Dio" tutto proteso verso di Lui; Dio, a sua volta, era nell'intimo del suo Servo fedele: la sua forza, la sua luce, la ragione unica del suo essere ed operare. Se qualcuno continuerà a valutarlo prescindendo da questo rapporto, continuerà pure a non capirlo e a diffonderne un'immagine irreale.

E' un rapporto, del resto, che traspare da tutte le sue scelte: non solo, e son le più importanti, da quelle decise sul soglio di Pietro, ma anche da quelle anteriori, queste pure colme dello stesso significato. Son le scelte che hanno in Dio il loro senso e la loro motivazione. Si, la loro causa immediata, che forse sarebbe meglio chiamare occasione, è riconoscibile nei gravi problemi che Pio IX dovette affrontare, nelle non facili relazioni inteme ed esterne della Chiesa, nelle mire nemmeno tanto coperte del mondo massonico ed anticlericale, ma la causa profonda è quella che tutto riconduceva a Dio e alla "pietas" filiale del novello Beato verso di Lui.

Non posso terminare questo paragrafo senza accennare, almeno di sfuggita, ad un'altra componente della sua spiritualità: la direzione delle anime. Figurano tra queste molte religiose: Sr. Castellano di Spoleto, Sr. Rosa Felice Mayer di Fognano, Sr Maria Nazarena Zampieri di Santo Stefano in Imola, Sr. Chiara Teresa del Sacro Cuore di Maria di Montefalco. E tante altre ancora. Logicamente, tale direzione non si fermò alle Religiose. Erano i virgulti del giardino di Dio, dovunque si trovassero, ad esser da Lui coltivati. Giovani, seminaristi, preti, personalità insigni o no, trovarono nella persona del Mastai il "cultore" illuminato e pio. Il fatto è che il Santo comunica sempre, per via diretta o per le articolazioni misteriose della Comunione dei Santi, i segreti e i benefici della santità. E Pio IX, in codesta comunicazione, si distinse egregiamente.

3 - La Causa di Beatificazione

Ufficialmente ebbe inizio nel 1907 e terminò nel 1999 con la lettura del decreto d'approvazione del miracolo attribuito all'intercessione del Ven. Servo di Dio Papa Pio IX. In seguito alla sua beatificazione, s'apre un'altra fase, I'ultima o della canonizzazione, che gli darà il titolo di Santo.

Al di fuori dell'ufficialità, il Terzo Ordine francescano di Vienna, l'8 febbraio 1878, ad appena 24 ore dalla morte del santo Pontefice, espresse l'augurio che "il Padre di tutta la cristianità potesse esser beatificato senz'alcun indugio". Tale era anche l'augurio di tutto l'episcopato austriaco, come risulta da lettere inviate a Roma uno o due giorni dopo il luttuoso 7 febbraio. Ed in ultima analisi era anche l'augurio di tutto l'Orbe cattolico, perfino in quei suoi strati che non avevan sempre condiviso alcune scelte di politica ecclesiastica di papa Mastai, ma non nutrivano alcun dubbio sulla sua santità.

Un'istanza simile a quella del Terzo Ordine francescano, al quale Pio IX apparteneva, fu rivolta all'arcivescovo di Palermo da fedeli di quella diocesi. Altra riprova della "Fama sanctitatis" di cui il Pontefice godeva sua vita natural durante e che non s'era spenta dopo la sua morte.

In forma canonicamente corretta ed ufficiale, la prima vera istanza di beatificazione fu quella dell'episcopato veneto, del 24 maggio 1878, cioè ad appena quattro mesi dalla morte di Pio IX. In essa si legge che papa Mastai esercitò le virtù teologali e morali "in modo così elevato da meritare d'esser proposto come modello ed esser venerato come santo". Seguirono analoghe domande da parte dei vescovi canadesi, del vescovo di Napoli e dei vescovi d'altre diocesi. Da allora in poi, una vera pioggia di "Lettere postulatorie" s'è riversata sulla Santa Sede.

Leone XIII rimase però esitante. La questione politica era ancora aperta. Non parve invece esitante San Pio X il quale, nel cinquantenario del dogma dell'Immacolata Concezione di Maria, promosse le inchieste preliminari sulla fama di santità e sul suo fondamento (virtù in grado eroico e miracoli) del proprio predecessore Pio IX.

Tre anni dopo, nel 1907, ebbe inizio il vero processo informativo, il cui primo postulatore fu Mons. Antonio Cani. Dal 1907 al 1922 vennero escussi 83 testi. Dal 1908 al 1915 fu celebrato un processo rogatoriale a Senigallia con l'escussione di 16 testi. Nel 1916 il processo rogatoriale di Spoleto arricchì la causa d'altri 24 testi. Ad Imola, ancora un processo rogatoriale che, protrattosi dal 1908 al 1916, raccolse le testimonianze d'altri 29 testi; infine quello di Napoli, dal 1907 al 1913, fu confortato dalla disponibilità di ben 91 testi. Nel complesso si trattò di 243 testimonianze "de visu vel de auditu a videntibus", tutte cioè di persone che avevano avuto rapporti col Servo di Dio o conservavano il ricordo di testimoni diretti, rilasciate da ecclesiastici e da non pochi laici, sull'attendibilità dei quali nessuna ombra è possibile sollevare.

L'enorme materiale raccolto confluì quindi in una ponderosa positio: ben 12 grossissimi volumi.

Nel 1952 il patrono della causa, Mons. Giuseppe Stella, ne estrasse il Summarium: 1159 pagine che, esaminate in ogni loro particolare, portarono il 7 dicembre 1954 al decreto per l'introduzione della causa, cioè per la fase apostolica del processo.

Questa fu celebrata dal 1955 al 1956 con 1'escussione d'altri 19 testi sulle virtù in grado eroico e sui "miracoli" di papa Mastai. Il postulatore d'allora, Mons. Alberto Canestri, pubblicò un ragguaglio di ben 133 "miracoli" attribuiti all'intercessione del Servo di Dio Papa Pio IX.

Il 25 ottobre 1956 ci fu un altro dei previsti adempimenti: l'esumazione e il riconoscimento della salma. Tra i presenti si notarono il card. vicario Micara, il prefetto della Congregazione dei Riti card. Cicognani, il prefetto della Congregazione dei Religiosi card. Valeri, il postulatore Mons. Canestri ed altri prelati. Con manifesta gioia degli astanti, il venerato corpo fu trovato intatto ed il fatto fu rilevato anche dai rappresentanti della stampa quotidiana, li presenti. Il 23 novembre le sacre spoglie vennero nuovamente ricomposte nella tomba.

La causa riprese il suo corso. Tre sedute (o congregazioni) dovevano esser dedicate all'esame delle virtù in grado eroico: l'antepreparatoria, la preparatoria e la generale. La prima si tenne il 2 ottobre 1962; la seconda il 28 maggio 1963; ma la terza tardò a riunirsi.

Morto nel 1971 Mons. Canestri, il 31 maggio gli subentrò nell'incarico di postulatore Mons. Antonio Piolanti, già Rettor Magnifico della Pontificia Università Lateranense. La causa ne ebbe subito un nuovo impulso e nuova vitalità. Nel 1972 Mons. Piolanti fondò la rivista Pio IX, che avrebbe dato un contributo inestimabile, se pur indirettamente, alla causa in atto. Poco dopo, nel 1975, fece la sua comparsa il primo volume della collana Studi piani, fondata anch'essa e diretta dall'infaticabile Postulatore.

Dopo che quattro cardinali (Pietro Parente, Sergio Guerri, Umberto Mozzoni e Pietro Palazzini) il 6 novembre 1973 inoltrarono una supplica al papa Paolo VI perché disponesse la ripresa della causa, il promotore generale della Fede P. Pérez Femandez, sollecitato ancora dai card. Palazzini e Parente, fece conoscere le 13 obiezioni emerse durante le sedute antepreparatoria e preparatoria; era il 15 aprile del 1974. La postulazione nominò allora un nuovo Patrono nella persona dello svizzero avv. Carlo Snider il quale, il 7 ottobre 1984, presentò una risposta esauriente ed ineccepibile, anche sul piano metodologico, ad ognuna delle 13 obiezioni.

Poté aver luogo allora la terza congregazione, quella generale, che 1'11 dicembre 1984 si pronunciò affermativamente sul quesito: "Se consti che il Servo di Dio Giovanni

Maria Mastai Ferretti papa Pio IX abbia esercitato in grado eroico le virtù teologali della Fede, della Speranza e della Carità verso Dio e verso il prossimo; le virtù cardinali della Prudenza, della Giustizia, della Temperanza e della Fortezza; nonché le virtù con esse collegate". Avutane risposta affermativa, il Santo Padre Giovanni Paolo 2 ordinò allora il decreto sull'eroicità delle virtù che, firmato dal Card. Palazzini, prefetto della Congregazione per le cause dei Santi, e da S. E. Mons. Traiano Crisan, segretario, fu reso di pubblica ragione il 6 luglio 1985. Da quel momento il Servo di Dio Pio IX era di fatto e di diritto insignito del titolo di "Venerabile".

Non era ancora, però, "Beato". Le cose, tuttavia, se pur lentamente s'avviarono verso l'epilogo da tutti sperato. I1 15 gennaio 1986 la Consulta medica della Congregazione per le cause dei Santi attestò l'inspiegabilità naturale e scientifica della guarigione di Sr. Marie-Thérèse de St-Paul, carmelitana di Nantes, la quale si dichiarava miracolosamente (cioè d`improvviso, completamente, senza ricadute né uso di farmaci) guarita da grave malattia ossea.

Quando tutto pareva ormai pronto, un nuovo sussulto di scrupolosità portò alla costituzione (nel 1987) d'una nuova speciale commissione di 7 membri, che avrebbero dovuto pronunziarsi sull'opportunità della beatificazione. Al termine della quarta seduta, la commissione passò alla votazione: 5 membri di essa furono per il si, uno per il si con riserva ed uno solo nettamente negativo. Bastò questo per bloccare di nuovo, se pur momentaneamente, la felice conclusione d'un iter quasi centenario.

Finalmente il 21 dicembre 1999 papa Vojtyla promulgò il decreto sul miracolo di cui sopra e, successivamente, stabilì il giorno tanto atteso della beatificazione: il 3 settembre del 2000,1'anno del Grande Giubileo.

Iter concluso? Come ho detto, quello della beatificazione ne apre un altro che si concluderà, a Dio piacendo, con la canonizzazione. Si può solo sperare che non duri quanto il precedente.

Osservazioni conclusive

Tra gli scopi di questa pubblicazione, dichiarati in partenza, c'era anche quello di sapere che senso la beatificazione di Pio IX potesse avere per la Chiesa e per il mondo d'oggi. Non mi pare che, per rispondere alla domanda, ci sia bisogno di molta fatica.

I - Non c' è dubbio che, nella beatificazione di Pio IX, sia anzitutto doveroso scorgere un atto di giustizia. Un atto, cioè, con cui la Chiesa Gli rende giustizia dinanzi al mondo e alla storia, perché ognuno capisca.

Mi spiego. "Atto di giustizia" non significa che Pio IX avesse acquisito un diritto alla sua beatificazione; "atto di giustizia" si, ma non in questo senso. Per quanto grandi, o addirittura eccezionali possano esser i meriti e le virtù d'un cristiano, mai costui, o altri per lui, potrà rivendicare un suo diritto all'onore degli altari. Davanti a Dio anche il santo è spoglio di diritti, perché Dio stesso dona ciò per cui premia. E quando ciò la Chiesa riconosce nella vita d'un suo figlio, non ne riconosce i diritti, ma la grazia e la fedeltà ad essa. Inoltre, alla Chiesa spetta soltanto il compito d'indagare su tale fedeltà e di decidere poi se, con riferimento al grado eroico della fedeltà stessa, quel suo figlio possa (non debba) esser proclamato santo. Così è avvenuto per ogni santo; così anche per Pio IX. La sua beatificazione, dunque, non appartiene alla giustizia distributiva e retributiva, che riconosce gli altrui diritti e dà a ciascuno il suo.

Il concetto di giustizia, tuttavia, non è univoco, ma complesso. C'è anche la giustizia che risponde al sentimento naturale del giusto e si chiama equità, perché è applicata in considerazione non dei soli principi astratti, ma anche della loro concreta e possibile attuazione nel tempo. Essa ristabilisce l'ordine eventualmente violato, riconferma la verità prima taciuta o esagerata, riconosce meriti o demeriti ingiustamente ignorati o non obiettivamente valutati.

Il chiedersi quante valutazioni malevole, deformanti la verità o assolutamente infondate han colpito Pio IX dagli anni della sua giovinezza ad oggi, è del tutto superfluo. Bastò la notizia della sua beatificazione perché subito e sempre di nuovo 1' "inimica vis" del settarismo preconcetto rispolverasse accuse vecchie ed inconsistenti, perdendo perfino la faccia con l'inaudita impudenza di dettar legge al Papa o quanto meno insegnargli l'atteggiamento da tenere.

Questa è la giustizia alla quale, moralmente parlando, Pio IX aveva diritto ed alla quale la Chiesa ha voluto corrispondere dinanzi ai suoi figli e al mondo intero. La beatificazione, in effetti, ristabilisce la giusta visione delle cose, superando e neutralizzando ogni visione distorta di esse. La beatificazione diventa pertanto, sulla base della verità provata, anche un giudizio di merito circa la figura e l'opera del Mastai sottraendolo al morso della denigrazione sistematica, riaffermando la cristallina moralità delle sue scelte e della sua vita, riproponendo in benedizione il suo ricordo.

2 - Va detto, peraltro, che la beatificazione di Pio IX ha significati più propri. Esattamente come qualunque altra beatificazione, sebbene con tonalità specifiche e personali.

Quando la Chiesa proclama un beato o lo canonizza, non a caso procede ordinariamente sulla via delle virtù cristiane eroicamente esercitate. Nel giudizio della Chiesa, il beato ed il santo assurgono a luminosi esemplari di testimonianza cristiana, d'esperienza teologale nella fede, nella speranza e nella carità, ad autentici eroi delle virtù cardinali, dell'umiltà, della povertà, castità ed obbedienza. Ogni nuovo iscritto nell'albo dei beati e dei santi ne esce, per così dire, con la sua carica forte e discreta d'esemplarità, per collocarsi accanto ad ognuno di noi come modello da ammirare ed imitare. Ed ognuno, per qualche sua peculiare ragione, oltre che per quell'esemplarità che è comune a tutti, ieri oggi e domani: la fedeltà al comandamento nuovo dell'amore (Gv 13,34).

Anche Pio IX, per il solo fatto d'esser proclamato beato, viene innalzato sul piedistallo ed additato a modello di tutto il popolo di Dio. Anche in Lui l'esemplarità va oltre il limite dei valori comuni ad ogni santo. C'è anche in Lui una specificità che ne definisce l'immagine e la singolarizza nello sconfinato firmamento dei santi e dei beati. Non si tratta d'una sola qualità particolare; la sua è una specificità talmente ricca che è anche poco agevole restringerla in poche parole. Penso alla fedeltà eroica del suo rapporto con il patrimonio delle verità rivelate; alla sua incrollabile Fede, matrice dell' "imperterrita serenità" già ricordata; al suo abbandono nelle mani della divina Provvidenza, tanto più insistente e significativo, quanto piu difficile fosse la contingenza negativa che lo suggeriva; al suo trasporto d'amore per il Padre e i fratelli; alla nota eucaristico-mariana della sua spiritualità; al suo indomito impegno per la Chiesa e la Sede apostolica, dettato soltanto da motivi di Fede; alla sua invitta difesa dei diritti di Dio e del suo Vicario in terra: sono questi gli aspetti salienti della sua specificità, questi i motivi per i quali la sua dolce e mite figura s'impone all'ammirazione di tutti e all'imitazione dei cristiani.

3 - Per motivi diversi, che talvolta sembrano aver rovesciato la situazione di oggi rispetto a quella di papa Mastai, non meno urgente appare la "invitta difesa" alla quale ho sopra accennato, ammirevole anch'essa ed imitabile secondo lo spirito e la prassi d'assoluta gratuità con cui la mise in atto Pio IX. Nessun segno in Lui di quell'orgoglio dinastico che, entro i limiti della giustizia e dell'equità, giustifica la difesa della corona ereditata. Nessuna montatura nazionalista e "sciovinista". Egli non difendeva il suo, ma quell'indipendenza anche temporale che consentiva alla Chiesa di comunicare liberamente col mondo e diffondere ovunque la Fede.

Né ha molta importanza il fatto che, edotti dall'esperienza storica, si sia oggi capito quanto poco bisogno la Chiesa avesse, anche allora, del potere temporale e d'una più o meno grande autonomia geografica per la libertà della sua azione evangelizzatrice. Pio IX non poteva rendersi conto di ciò che solo in seguito si sarebbe acquisito. Parlava da uomo del suo tempo, con una visione delle cose nettamente diversa da quella attuale e soprattutto con la chiara consapevolezza di chi, avuto un patrimonio culturale e spirituale da salvaguardare, fa di tale salvaguardia un suo punto d'onore. Tutta la sua intelligenza infatti, la sua sagacia, la sua forza d'animo Egli impegnò a tal fine.

4 - Giovanni Spadolini, eminente uomo politico e statista di non piccolo spessore che sia pur impropriamente ricorreva all'aggettivo "laico" per definirsi estraneo a qualunque posizione confessionale, riconobbe che "Pio IX mostrava di comprendere che una rinascita cattolica sarebbe partita soltanto da Roma e che solo Roma, sia pure la Roma ideale del magistero vaticano, poteva assicurare l'unità di tutte le falangi cattoliche inquiete, divise e ondeggianti, poteva scongiurare tutte quelle molteplici tendenze economiche, geografiche, politiche che favorivano gli scismi, che guardavano alle chiese nazionali, che puntavano verso la riduzione del cattolicesimo ad una cappellania degli Stati". E scrisse ancora: "Il merito storico di Pio IX fu quello d'aver compreso che la causa del Papato poteva esser salvata sul piano universalistico della Fede e che nessuna combinazione diplomatica sarebbe riuscita ad evitare il particolarismo degli Stati, a scongiurare il trionfo delle nazionalità, a prevenire il successivo definirsi e differenziarsi dei blocchi".

E' questo un giudizio che ribalta, nonostante la non familiarità del "laico" Spadolini con la proprietà del linguaggio "cattolico", i giudizi d'inettitudine politica troppo spesso formulati contro Pio IX. Il grande politico e storico dell'epoca moderna seppe, come non molti altri, penetrare a fondo nell'animo di papa Mastai per trame motivi d'ammirazione e di valutazioni obiettive e serene. Capì lo stretto legame tra politica e Fede che caratterizzò il pensiero e l'azione di Pio IX; e capi pure che qualunque fosse la scelta politica da compiere, Egli non avrebbe mai potuto discostarsi con essa e per essa dall'universalismo della Fede.

La visione universalistica di Pio IX è oggi il titolo dell'azione pastorale e culturale della Chiesa. Anche per questo la Chiesa celebra in Lui il servo fedele che le apri le strade del futuro.

Appendice

Martedì, 4 aprile 2000, nella Cripta della stupenda Basilica romanica di S. Lorenzo fuori le Mura, in Roma, da poco riportata al suo originario splendore, s'effettuò il pio adempimento del rito che precede ogni beatificazione e canonizzazione: la ricognizione dei resti mortali del Ven. Servo di Dio Pio IX. Lì, infatti, il Papa dell'Immacolata e del Concilio Vaticano I aveva deciso d'esser sepolto, per rimaner sempre accanto ai suoi figli sino al giorno della risurrezione finale.

Il Tribunale Diocesano di Roma era presente per competenza nelle persone del Presidente, il Rev.mo Mons. Dr. Gianfranco Bella; del Promotore di Giustizia Sac. Giuseppe D'Alonso; e del Cancelliere Cav. Giuseppe Gobbi.

Con il Postulatore della Causa, Mons. Brunero Gherardini, eran pure presenti S.E. Rev.ma il sig. Card. Jorge Arturo Medina Estévez, prefetto della Congregazione per il Culto divino e la disciplina dei Sacramenti; I'Ecc.mo Segretario della medesima, Mons. Francesco Pio Tamburrino; il Vescovo emerito di Senigallia, Mons. Odo Fusi Pecci unitamente ad una rappresentanza di sacerdoti senigalliesi; alcuni membri della Curia Romana, tra i quali S. E. Rev.ma Mons. Luigi De Magistris, Reggente della Penitenzieria Apostolica e Mons. Carlo Liberati, ufficiale della Congregazione per le Cause dei Santi. Il Rev.mo Capitolo Vaticano era rappresentato dai Cann. Mons. Jesus Irigoyen e Michele Basso; i Padri Cappuccini, alla cui custodia è affidata la tomba del novello Beato, daiRev.di PP. Marco Luigi Volpi e Sergio Martina. Presenti eran pure alcuni ecclesiastici stranieri e la ND Patrizia Flaminia Torlonia, nipote di Papa Mastai Ferretti.

Alle ore 10,15, dopo una breve preghiera, il Rev.mo Mons. Bella dette lettura degli atti in base ai quali si poteva procedere alla ricognizione ed autorizzò l'inizio del rito. La bara, in tutto corrispondente ai dati descritti nel rogito del 1956, fu fatta estrarre dal loculo in cui giaceva e, quindi, venne processionalmente portata in una sala interna del Convento, riservata dai PP. Cappuccini per le operazioni del caso.

Qui giunti, Mons. Bella, d'accordo con il Chiar.mo Prof. Amaldo Capelli anatomo-patologo della Facoltà di Medicina dell'Università del Sacro Cuore in Roma, e con la collaborazione dell'Ill.mo Dr. Comm. Nazareno Gabrielli, del Gabinetto ricerche scientifiche dei Musei Vaticani, dispose l'apertura della cassa funebre, consistente in una robusta ricopertura di rame a protezione della vera cassa di legno. Niente di particolarmente pregiato; il tutto, anzi, rivelò la caratteristica della semplicità, così cara a Pio IX.

Ad un tratto la commossa attesa dei presenti esplose in un canto liturgico: tolti i sigilli e sollevato il coperchio, la Venerata Salma apparve, serenamente composta e perfettamente conservata. Così era stata riscontrata anche nella precedente ricognizione del 1956, alla quale aveva partecipato, unica fra tutti i presenti, anche la ricordata principessa Torlonia.

Il Rev.mo Postulatore prese, intanto, in custodia le trentadue monete di bronzo che testimoniano il più lungo pontificato della storia, la croce pettorale e l'anello in non perfetto stato di conservazione, perché, riportato il tutto al suo primo splendore, possa esser nuovamente inserito nella nuova cassa sepolcrale.

Ogni fase della complessa ricognizione venne ovviamente fotografata per l'opportuna documentazione. Nei giorni successivi, a varie riprese, gl'illustri periti sopra menzionati provvidero alla pulizia generale, mediante trattamento chimico, della Salma che, rivestita di nuovi indumenti a sostituzione dei precedenti che Pio XII aveva messo a disposizione nel 1956, venne poi deposta (2 giugno 2000) in una ammirevole urna di cristallo e riportata nella cripta di San Lorenzo, in posizione più consona alla venerazione dei fedeli.

Augustinus
07-02-04, 20:33
IL PENSIERO SU PIO IX
DI S.E. REV.MA MONS. LORIS FRANCESCO CAPOVILLA

ESPRESSO NEL TEMA
"GIOVANNI XXIII E PIO IX"

Abbiamo inviato i nostri Inserti Mensili su Pio IX a S.E. Mons. Capovilla, chiedendogli anche un suo scritto per illustrare la venerazione di Papa Giovanni XXIII verso Pio IX. L'Ecc.mo Presule ci ha inviato una sua preziosa lettera e l'articolo sulla profonda devozione di Papa Roncalli a Papa Mastai, memorie che pubblichiamo.

"Reverendo Monsignore Angelo Mencucci, vice presidente Comitato Pio IX, Senigallia, ho letto a verbo ad verbum i sette Inserti de La Voce Misena sul bicentenario della nascita di Pio IX, con esultanza, trepidazione e fiducia. I fondi redazionali, scaturiti dalla fede e dalla devozione, dalla mente e dal cuore di lei, meritano il plauso e il consenso di tutti gli ammiratori del Papa Marchigiano per la chiarezza, la forza persuasiva, la sincerità, l'ardore mistico di cui sono pervasi. Per chi nell'intimo è già convinto dell'opportunità di mettere "la lucerna sul moggio" (mt 5, 15) non occorrono ulteriori elaborazioni; per chi teme le reazioni scomposte del mondo laico, i tempi non saranno mai maturi".

Nel corso delle celebrazioni centenarie dell'unità d'Italia, l'11 aprile 1961, ricevendo in udienza il presidente del consiglio, on. Amintore Fanfani, Giovanni XXIII, con meraviglia dell'ambiente stesso Vaticano, esaltò esplicitamente Pio IX: "... Ad osservare con attenzione serena il corso degli avvenimenti del passato più o meno lontano, torna bene il motto: La storia tutto vela e tutto svela. Ai figli d'Italia, per cui negli anni più accesi del movimento per l'unità nazionale certa letteratura, alquanto scapigliata, fu motivo di turbamento, non può sfuggire che astro benefico e segno luminoso, invitante al trionfo del magnifico ideale, fu papa Pio IX, che lo colse nella sua significazione più nobile e, da parte sua, lo vivificò come palpito della sua grande anima così retta e così pura. Tutto il resto di quel periodo storico fu, nei disegni della Provvidenza, preparazione alle pagine vittoriose e pacifiche dei patti Lateranensi, che la saggezza di un altro Pio, dal motto felicissimo Pax Christi in regno Christi avrebbe segnato a celebrazione finale della vera e perfetta unità di stirpe, di lingua, di religione, che era stato il sospiro degli italiani migliori" (SD, 111, 205).

Subito dopo quell'incontro, nel prendere visione dei primi commenti di agenzia stampa, Giovanni XXIII annotava nella sua agenda personale:

"Giornata solenne. Visita del Capo del Governo prof. Amintore Fanfani a Papa in forma ufficiale, anche in commemorazione del centenario dell'unità d'Italia. Tutto riuscì bene: con dignità, con saggezza, con discrezione per il mio indirizzo, circa il quale mi attendo dalla stampa d'opposizione ben altro trattamento. È la prima volta, dopo un secolo, che viene dal Vaticano una parola di compiacimento in buona aria cristiana, circa l'unità d'Italia come hanno compiuto e ormai senza rimpianti. Due cose bene intese: la storia tutto vela e tutto svela e il richiamo dei Patti Lateranensi: dunque di Pio IX (1848) a Pio XI (11 febbraio 1929). Questo è un altro passo felice nel cammino della santa chiesa. Sic semper Deus me adiuvet. Così Dio mi aiuti sempre ".

Strano a dirsi: nessuna reazione irritata da parte della stampa laica sul richiamo di Pio IX, nessun risentimento da parte di chicchessia.

Prima di quella data e dopo, Giovanni XXIII, nei suoi discorsi e nelle sue conversazioni pastorali, fece pubblicamente il nome di Pio IX non meno di cinquanta volte.

Nei miei appunti trovo annotato un lamento del Papa sulla critica di un incontentabile prelato italiano, convinto che i cattolici stessero per scivolare all'incontro e all'abbraccio di ideologie aberranti: "Direi a quel vescovo: le virtù teologali e cardinali sono sette. Lei ne ha cinque. Le mancano carità e prudenza". Notevole il panegirico (tale può definirsi) che Giovanni XXIII fece di Pio IX alla festa dell'Immacolata 1960 a Santa Maria Maggiore: "In questo 8 dicembre, che tutti gli anni ricorda la solenne e più che centenaria proclamazione del dogma soave e luminosissimo dell'Immacolata il mio pensiero corre spontaneo a colui che di esso fu voce autorevole, infallibile oracolo. La soave figura del mio predecessore Pio IX, di grande di santa memoria, mi è particolarmente venerata e cara, perchè egli nutrì per la Vergine un amore tenerissimo e si applicò sin dai giovani anni allo studio ed alla penetrazione del privilegio dell'immacolato concepimento di Maria santissima"

Richiamava poi il ricordo del mosaico dell'Immacolata della cappella del coro della Basilica Vaticana: "È appunto questa immagine, così nobile ed imponente, che Pio IX con incomparabile solennità incoronò 1'8 dicembre 1869 in occasione dell'apertura del Concilio Vaticano I. Ed è motivo di tenerezza e di spirituale compiacimento per il mio spirito il ricordo viva di aver assistito, mezzo secolo dopo la definizione dogmatica, esattamente 1'8 dicembre 1904, e di aver seguito coi miei occhi di sacerdote novello, il gesto di Pio X, che rinnovava l'atto dell'incoronazione con un serto più splendente di gemme preziose, raccolte dalla pietà mariana da tutti i punti della terra.

Questo breve excursus storico mi riconduce alla mitissima figura del pontefice Pio IX. La luce di Maria immacolata posata sopra di lui mi fa com

prendere il segreto di Dio nel servizio altissimo e santo che egli diede alla Chiesa. Trentadue anni di pontificato gli permisero di toccare tutti i punti della cattolica dottrina, di volgersi paterno e suadente ai figli suoi del mondo intero per un richiamo sollecito, affettuoso, instancabile di disciplina, di onore, di coraggio, in faccia alle accresciute difficoltà, agli attacchi velati o aperti, alle sfide gettate alla religione, proprio allora quando da persone di alta fama si proclamava moribonda o già morta.

Pio IX seppe contro speranza credere alla speranza (Rm 4, 18), e tenere radunato, con incrollabile fermezza e infinita amorevolezza, il gregge spaurito e incerto; e così mite che egli era, non ebbe timore davanti alle macchinazioni tenebrose delle sette, non vacillò di fronte alle opposizioni, non indietreggiò in faccia alle calunnie.

La sua figura si leva alta e indicatrice davanti a me e mi propone la via giusta. Io ci tengo, con l'aiuto di Dio, ad imitarlo e lo imiterò nel proseguire il mio apostolico ministero: con calma, con mitezza, con inespugnabile pazienza, ardore di speranza e di vittoria spirituale, qualunque cosa mi accada. I1 volgersi delle circostanze di umane convenienze, talora propizie, tal altra avverse o silenziose alle mie intraprese, non potrà né esaltarmi oltre misura, né deprimere le mie energie, che contano sopra tutto su l'intercessione della Madre Immacolata di Gesù, mater Ecclesiae, madre della Chiesa e madre mia dolcissima".

Dalla devozione di Pio IX per l'Immacolata, veniva spontaneo a Giovanni XXIII riallacciarsi al fervore di iniziative nell'attesa del Concilio Vaticano II: "Due anni or sono, la mia voce tremava di commozione al primo annuncio del Concilio, ed ha suscitato sempre maggior zelo di partecipazione e di interesse all'evento, ormai avviato con ritmo costante e sicuro, così da corrispondere sempre meglio all'ispirazione del mio cuore e all'ansiosa attesa del mondo cristiano. [...] I1 Concilio Vaticano II non è ancora aperto ufficialmente, ma il lavoro preparatorio, che comporta la elaborazione dell'immenso materiale già proposto allo studio delle dieci commissioni, è in assetto di attività ed è già inizio di Concilio. Leggevo ieri nel breviario le parole di Isaia profeta: "ini consilium: coge concilium". Dacci un consiglio, prendi una decisione (Is. 16, 3). Esse sono già in esecuzione. E sopra questo lavoro, posto sotto gli auspici di Maria Immacolata, come mi sembra ben armoniosa e cara la voce di Pio IX, a cui quella del suo sesto successore umilmente ma fervidamente fa coro: Tu, o madre dell'amore, della conoscenza e della santa speranza, regina e difenditrice della Chiesa, ricevi nella tua materna fede e tutela noi, le consultazioni nostre, e impetraci con le tue preghiere presso Dio, che siamo sempre di un solo spirito e di un solo cuore" (DMC, 111, 71-80).

Sono sprazzi di oratoria pastorale, scintille scoccate da un cuore ardente; cuore di chi credeva a ciò che diceva. Rileggere e rimeditare questo panegirico gioverebbe anche ai sapienti (in nessun modo vorremmo mancare di rispetto), ma freddi costruttori di sillogismi e di teoremi. L'ora di Pio IX vuol forse scoccare con l'apertura dell'anno santo imminente. Dio voglia.

Al caro mgr. Mencucci e collaboratori, il mio cordiale e riconoscente ossequio fraterno.

† Loris Francesco Capovilla

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Mencucci A. , Brunetti M. (a cura di), Atti senigalliesi nel Bicentenario della nascita di Pio IX, Senigallia, 1992, pp. 245-248.

Fonte: PIO IX (http://www.papapionono.it/capovilla.html)

Augustinus
07-02-04, 20:35
Ufficialmente ebbe inizio nel 1907 e terminò nel 1999 con la lettura del decreto d'approvazione del miracolo attribuito all'intercessione del Ven. Servo di Dio Papa Pio IX. In seguito alla sua beatificazione, s'apre un'altra fase, I'ultima o della canonizzazione, che gli darà il titolo di Santo.

Al di fuori dell'ufficialità, il Terzo Ordine francescano di Vienna, l'8 febbraio 1878, ad appena 24 ore dalla morte del santo Pontefice, espresse l'augurio che "il Padre di tutta la cristianità potesse esser beatificato senz'alcun indugio". Tale era anche l'augurio di tutto l'episcopato austriaco, come risulta da lettere inviate a Roma uno o due giorni dopo il luttuoso 7 febbraio. Ed in ultima analisi era anche l'augurio di tutto l'Orbe cattolico, perfino in quei suoi strati che non avevan sempre condiviso alcune scelte di politica ecclesiastica di papa Mastai, ma non nutrivano alcun dubbio sulla sua santità.

Un'istanza simile a quella del Terzo Ordine francescano, al quale Pio IX apparteneva, fu rivolta all'arcivescovo di Palermo da fedeli di quella diocesi. Altra riprova della "Fama sanctitatis" di cui il Pontefice godeva sua vita natural durante e che non s'era spenta dopo la sua morte.

In forma canonicamente corretta ed ufficiale, la prima vera istanza di beatificazione fu quella dell'episcopato veneto, del 24 maggio 1878, cioè ad appena quattro mesi dalla morte di Pio IX. In essa si legge che papa Mastai esercitò le virtù teologali e morali "in modo cosi elevato da meritare d'esser proposto come modello ed esser venerato come santo". Seguirono analoghe domande da parte dei vescovi canadesi, del vescovo di Napoli e dei vescovi d'altre diocesi. Da allora in poi, una vera pioggia di "Lettere postulatorie" s'è riversata sulla Santa Sede.

Leone XIII rimase però esitante. La questione politica era ancora aperta. Non parve invece esitante San Pio X il quale, nel cinquantenario del dogma dell'Immacolata Concezione di Maria, promosse le inchieste preliminari sulla fama di santità e sul suo fondamento (virtù in grado eroico e miracoli) del proprio predecessore Pio IX.

Tre anni dopo, nel 1907, ebbe inizio il vero processo informativo, il cui primo postulatore fu Mons. Antonio Cani. Dal 1907 al 1922 vennero escussi 83 testi. Dal 1908 al 1915 fu celebrato un processo rogatoriale a Senigallia con l'escussione di 16 testi. Nel 1916 il processo rogatoriale di Spoleto arricchì la causa d'altri 24 testi. Ad Imola, ancora un processo rogatoriale che, protrattosi dal 1908 al 1916, raccolse le testimonianze d'altri 29 testi; infine quello di Napoli, dal 1907 al 1913, fu confortato dalla disponibilità di ben 91 testi. Nel complesso si trattò di 243 testimonianze "de visu vel de auditu a videntibus", tutte cioè di persone che avevano avuto rapporti col Servo di Dio o conservavano il ricordo di testimoni diretti, rilasciate da ecclesiastici e da non pochi laici, sull'attendibilità dei quali nessuna ombra è possibile sollevare.

L'enorme materiale raccolto confluì quindi in una ponderosa Posido: ben 12 grossissimi volumi.

Nel 1952 il patrono della causa, Mons. Giuseppe Stella, ne estrasse il Summarium: 1159 pagine che, esaminate in ogni loro particolare, portarono il 7 dicembre 1954 al decreto per l'introduzione della causa, cioè per la fase apostolica del processo.

Questa fu celebrata dal 1955 al 1956 con 1'escussione d'altri 19 testi sulle virtù in grado eroico e sui "miracoli" di papa Mastai. Il postulatore d'allora, Mons. Alberto Canestri, pubblicò un ragguaglio di ben 133 "miracoli" attribuiti all'intercessione del Servo di Dio Papa Pio IX.

Il 25 ottobre 1956 ci fu un altro dei previsti adempimenti: l'esumazione e il riconoscimento della salma. Tra i presenti si notarono il card. vicario Micara, il prefetto della Congregazione dei Riti card. Cicognani, il prefetto della Congregazione dei Religiosi card. Valeri, il postulatore Mons. Canestri ed altri prelati. Con manifesta gioia degli astanti, il venerato corpo fu trovato intatto ed il fatto fu rilevato anche dai rappresentanti della stampa quotidiana, li presenti. Il 23 novembre le sacre spoglie vennero nuovamente ricomposte nella tomba.

La causa riprese il suo corso. Tre sedute (o congregazioni) dovevano esser dedicate all'esame delle virtù in grado eroico: l'antepreparatoria, la preparatoria e la generale. La prima si tenne il 2 ottobre 1962; la seconda il 28 maggio 1963; ma la terza tardò a riunirsi.

Morto nel 1971 Mons. Canestri, il 31 maggio gli subentrò nell'incarico di postulatore Mons. Antonio Piolanti, già Rettor Magnifico della Pontificia Università Lateranense. La causa ne ebbe subito un nuovo impulso e nuova vitalità. Nel 1972 Mons. Piolanti fondò la rivista Pio IX, che avrebbe dato un contributo inestimabile, se pur indirettamente, alla causa in atto. Poco dopo, nel 1975, fece la sua comparsa il primo volume della collana Studi piani, fondata anch'essa e diretta dall'infaticabile Postulatore.

Dopo che quattro cardinali (Pietro Parente, Sergio Guerri, Umberto Mozzoni e Pietro Palazzini) il 6 novembre 1973 inoltrarono una supplica al papa Paolo VI perché disponesse la ripresa della causa, il promotore generale della Fede P. Pérez Femandez, sollecitato ancora dai card. Palazzini e Parente, fece conoscere le 13 obiezioni emerse durante le sedute antepreparatoria e preparatoria; era il 15 aprile del 1974. La postulazione nominò allora un nuovo Patrono nella persona dello svizzero avv. Carlo Snider il quale, il 7 ottobre 1984, presentò una risposta esauriente ed ineccepibile, anche sul piano metodologico, ad ognuna delle 13 obiezioni.

Poté aver luogo allora la terza congregazione, quella generale, che l'11 dicembre 1984 si pronunciò affermativamente sul quesito: "Se consti che il Servo di Dio Giovanni

Maria Mastai Ferretti papa Pio IX abbia esercitato in grado eroico le virtù teologali della Fede, della Speranza e della Carità verso Dio e verso il prossimo; le virtù cardinali della Prudenza, della Giustizia, della Temperanza e della Fortezza; nonché le virtù con esse collegate". Avutane risposta affermativa, il Santo Padre Giovanni Paolo 2 ordinò allora il decreto sull'eroicità delle virtù che, firmato dal Card. Palazzini, prefetto della Congregazione per le cause dei Santi, e da S. E. Mons. Traiano Crisan, segretario, fu reso di pubblica ragione il 6 luglio 1985. Da quel momento il Servo di Dio Pio IX era di fatto e di diritto insignito del titolo di "Venerabile".

Non era ancora, però, "Beato". Le cose, tuttavia, se pur lentamente s'avviarono verso l'epilogo da tutti sperato. I1 15 gennaio 1986 la Consulta medica della Congregazione per le cause dei Santi attestò l'inspiegabilità naturale e scientifica della guarigione di Sr. Marie-Thérèse de St-Paul, carmelitana di Nantes, la quale si dichiarava miracolosamente (cioè d`improvviso, completamente, senza ricadute né uso di farmaci) guarita da grave malattia ossea.

Quando tutto pareva ormai pronto, un nuovo sussulto di scrupolosità portò alla costituzione (nel 1987) d'una nuova speciale commissione di 7 membri, che avrebbero dovuto pronunziarsi sull'opportunità della beatificazione. Al termine della quarta seduta, la commissione passò alla votazione: 5 membri di essa furono per il si, uno per il si con riserva ed uno solo nettamente negativo. Bastò questo per bloccare di nuovo, se pur momentaneamente, la felice conclusione d'un iter quasi centenario.

Finalmente il 21 dicembre 1999 papa Vojtyla promulgò il decreto sul miracolo di cui sopra e, successivamente, stabilì il giorno tanto atteso della beatificazione: il 3 settembre del 2000,1'anno del Grande Giubileo.

Iter concluso? Come ho detto, quello della beatificazione ne apre un altro che si concluderà, a Dio piacendo, con la canonizzazione. Si può solo sperare che non duri quanto il precedente.

Tratto da: GHERARDINI B., Pio IX. L'Uomo, il Maestro, il Santo, 2000.

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DECRETO SULLE VIRTU' EROICHE
DEL SERVO DI DIO PIO IX

6 luglio 1985

Sulla DOMANDA

se consta che Pio IX abbia praticato le Virtù Teologali della Fede, della Speranza, della Carità verso Dio e il prossimo, e inoltre le Virtù Cardinali della Prudenza, della Giustizia, della Temperanza e della Fortezza e di quelle ad esse annesse, in grado eroico, si risponde che il seguente DECRETO:

1. - Pio IX fu veramente un Sommo Sacerdote

"Il gran Sacerdote che durante la vita ha riparato l'edificio e nei suoi giorni ha fortificato il Tempio" (Sir 59,1).

Questi encomi di Simone figlio di Osia convengono giustamente al Pontefice Pio IX che per tanti anni governò e resse la Chiesa di Cristo. Nel suo lungo Pontificato rifulsero parimenti fortezza e sapienza. Infatti per compiere il suo ufficio supremo non si risparmiò nessuna fatica, nessuna veglia; emise molti e importanti documenti, dotato di grande vigilanza onde proporre sempre la illuminata dottrina della divina verità.

Inoltre molto operò e molto anche soffrì, sì che a lui veramente convengono le parole del Vangelo: "Il Buon Pastore dà la vita per le sue pecore". (Giov. 10,11).

2. - L'elogio di Leone XIII

Subito dopo la sua morte un elogio con parole molto giuste fu pronunziato da Leone XIII, suo immediato successore nella Cattedra di S. Pietro, nella sua prima allocuzione ai Cardinali. Egli, quasi oppresso dal grave peso del Pontificato che gli era stato conferito, così si espresse: "La debolezza delle nostre forze è profondamente impari a sopportare un incarico tanto grande, che invero avvertiamo anche più grande quanto più luminosa e celebre è la fama del Nostro predecessore Pio IX d'immortale memoria, diffusa in tutto il mondo.

Quell'insigne reggitore del gregge cattolico combatté sempre con animo invitto per la verità e per la giustizia e colle sue grandi fatiche nel governare la cristianità adempì pienamente ai suoi doveri in maniera esemplare; non solo fece onore a questa Sede Apostolica con lo splendore delle sue virtù, ma colmò pure talmente tutta la Chiesa di amore e d'ammirazione per Lui, che, come egli superò tutti i Pontefici per la lunghezza del suo Pontificato, così forse riscosse più di tutti gli altri grandissime testimonianze di pubblico ossequio e venerazione". (Atti di Leone XII, vol. 1, pag. 37-38 - Allocuzione del 13 maggio 1878 ai Rev. Cardinali, nel Palazzo Vaticano).

3. - Giovinezza di Pio IX

Con queste profetiche parole, Leone XIII prevenne quasi la futura Causa di Beatificazione e Canonizzazione.

Papa Pio IX nacque a Senigallia, nelle Marche, il 13 maggio 1792. Suo padre si chiamava Girolamo dei Conti Mastai-Ferretti; sua madre, Caterina Solazzi.

Nello stesso giorno della nascita ricevette il Battesimo e nacque alla vita soprannaturale. Gli fu imposto il nome Giovanni-Maria. Fu educato fin dall'infanzia dalla piissima sua madre, dimostrò una tenera devozione al SS. Sacramento dell'Altare ed arse di soave amore per la Beatissima Vergine Maria. Perfezionò questa educazione religiosa con lo studio delle lettere, in cui fece grandi progressi, presso il Collegio S. Michele (detto dei Nobili) diretto dai Padri delle Scuola Pie, a Volterra, dall'ottobre 1803 all'ottobre 1809.

Incline alla vocazione sacerdotale, ricevette la tonsura e fu accettato tra gli aspiranti al Sacerdozio. Ma fu colpito dal male della epilessia e - costretto ad interrompere gli studi - fu dimesso dal Collegio.

Alquanto incerto sul suo futuro stato, fece un pellegrinaggio al Santuario della Beatissima Vergine di Loreto e ottenne gradualmente la grazia della guarigione.

Con grazia personale del papa Pio VII allora regnante, compì a Roma gli studi filosofici e teologici e il 10 Aprile 1819 fu ordinato Sacerdote; fin dall'inizio fece il prossimo di rimanere al di fuori di ogni carriera prelatizia, desiderando solo di cercare la gloria di Dio e la salvezza delle anime.

4. - Missione in Cile e vescovo

Prima e dopo l'ordinazione sacerdotale si dedicò ad una profonda vita spirituale, attingendo abbondantemente l'ardore religioso non solo dalla preghiera e dagli esercizi spirituali, ma anche da pie conversazioni con sacerdoti e dalla adesione al Terzo Ordine Francescano.

Ebbe fino all'anno 1823 l'incarico di Rettore dell'Ospizio detto in romanesco "Tata Giovanni" e conseguì intensi frutti nell'educazione cristiana degli orfani; in seguito intraprese il difficile viaggio verso l'America Meridionale come addetto della Nunziatura Apostolica guidata dall'Arcivescovo Giovanni Muzi, Visitatore Apostolico; si recò in Cile, sperando di rimanervi come missionario.

- nel 1825, di ritorno da questo viaggio, fu eletto Preside dell'Ospizio Apostolico di S. Michele. Ma per breve tempo, giacché il Sommo Pontefice Leone XII, conoscendo a fondo le virtù e le esimie doti del Canonico Mastai-Ferretti, lo promosse alla Sede Arcivescovile di Spoleto. Ivi ben presto così rifulsero la sua diligenza e il suo zelo pastorale che dopo cinque anni - con gran dolore della Diocesi di Spoleto - fu trasferito nell'anno 1832, dal Sommo Pontefice Gregorio XVI al più difficile impegno di governare la Chiesa di Imola in Emilia.

5 - Elezione a Sommo Pontefice

Nel 1840 il medesimo Pontefice lo elesse nel Sacro Collegio dei Cardinali. Continuò il Suo ministero di Vescovo di Imola, suscitando col passare del tempo sempre più ammirazione.

Non è perciò da meravigliarsi che alla morte di Gregorio XVI con un brevissimo Conclave egli sia stato eletto Papa, il 16 Giugno 1846, col plauso di tutto il mondo. In questo officio superò per la lunghezza del tempo tutti gli altri Romani Pontefici e non fu inferiore a nessuno di essi nelle virtù.

La fama della santità di Pio IX non ebbe inizio soltanto dopo la sua elezione al Pontificato. Se si considera attentamente il suo zelo per le anime, la sua assoluta dedizione nell'educare i giovanetti più poveri e nello intraprendere il difficilissimo viaggio verso l'America coll'intenzione di rimanervi a fare il missionario, appare che nel suo animo c'era un'indole eroica. Infatti quando egli era a Genova e si accingeva a partire per le regioni dell'America, così scrisse di lui il Card. Luigi Lambruschini che lo conosceva bene: "Molte cose ha operato Dio in quel purissimo cuore e lo inonda di un profluvio di suprema carità". (Lettera del 2 aprile 1825 in Manzini - ll Card. Luigi Lambruschini - Edit. Vaticana, 1960- pag. 392).

6. - La caduta del potere temporale

Bisogna sinceramente riconoscere che i tempi in cui la Divina Provvidenza affidò a Pio IX la guida di tutta la Chiesa furono i più tempestosi fra tutti.

Ma il Servo di Dio non solo pilotò con costanza la nave della Chiesa attraverso gl'irruenti marosi di quel secolo ma, allorché fu privata del potere temporale per violenza altrui, egli la configurò in una nuova e migliore forma apostolica. Infatti la Chiesa, spogliata del potere civile, divenne più sollecita delle cose di Dio e, sotto la guida del Papa, riuscì a consolidarsi nell'unità interna, mentre, animata di nuovo fervore, si innalzò talmente che, dal tempo di Pio IX fino ai nostri giorni, la Sede Apostolica non ha mai raggiunto un maggiore prestigio.

Si può dire che Pio IX abbia instaurato il Pontificato moderno e con esito tanto felice da far apparire verifiche le profetiche parole di Cristo: "E le porte dell'inferno non prevarranno contro di lei". (Matteo, 16-18).

7. - Prodigiosa operosità pastorale

Riprodusse nella sua vita l'immagine del vero Pastore non solo custodendo e alimentando il gregge a lui affidato, ma aumentandolo grandemente. Nel corso degli anni del suo Pontificato ingrandì la Chiesa in modo mirabile. Oltre ad aver costituito il patriarcato Latino nella Santa Città di Gerusalemme, eresse 29 Sedi Metropolitane, fondò 133 Sedi Episcopali, 3 Prefetture Apostoliche e 3 Delegazioni Apostoliche. Nelle terre di Missione istituì 33 nuovi Vicariati Apostolici e 15 Prefetture; ricostituì la Sacra Gerarchia in Inghilterra ed in Olanda. Ebbe una cura speciale per le Missioni e diede ad esse un nuovo impulso, specialmente in America Latina.

Donò il primo Cardinale all'America Settentrionale favorì le tradizioni e i riti della Chiesa Orientale. E manifestò segno del suo favore verso di essa fu la Canonizzazione di San Giosafat Vescovo e Martire.

Pose le prime basi della Congregazione per le Chiese Orientali istituendo la Sezione autonoma per gli Orientali nella Sacra Congregazione di Propaganda Fide. Ebbe la massima cura per una conveniente preparazione e formazione spirituale e intellettuale del Clero. Fondò moltissimi Seminari, sia a Roma, sia in tutto il mondo. Fra questi bisogna ricordare il SEMINARIO PIO, costruito a sue spese. Parimenti ebbe la massima cura della vita religiosa. Innumerevoli nuove istituzioni trovarono in Pio IX non solo un fautore, ma quasi un autore, tanto che, ad esempio la Società Salesiana di S. Giovanni Bosco riconosce il Servo di Dio Pio IX come secondo fondatore. Rinnovò gli Istituti e gli Ordini Religiosi più antichi e sembrò quasi avere infuso in essi nuova vita.

8. - Difesa di popoli oppressi

Difese i popoli oppressi, come ad esempio i Polacchi, con grande coraggio, nei discorsi e nelle azioni. Proclamò con energia i diritti e la libertà della Chiesa non per ambizione, nè per desiderio di dominio, ma soltanto per rimuovere gli ostacoli che impedivano la piena potestà e libertà del Sommo Pontefice (cfr: Leone XIII, Atti, vol. 1, Lettera Enciclica "Inscrutabili Dei Consiglio - 12 maggio 1878, PP. 51-52).

9. - Atti di supremo magistero

L'opera più importante del Servo di Dio Pio IX è però il Concilio Vaticano I, che gettò le fondamenta dell'Ecclesiologia, portata poi a perfezione dal Concilio Vaticano II, per mezzo del Primato e del magistero infallibile del Romano Pontefice (cfr. Concilio Vaticano II "Lumen Gentium", III, 18).

Un altro merito del Servo di Dio Pio IX, per il quale non c'è lode adeguata, è la solenne definizione del dogma dell'Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria, che commosse e allietò intensamente tutta la Chiesa e favorì vivamente la pietà cattolica. La devozione Mariana infatti porta con se necessariamente la devozione verso Gesù Eucaristia: ogni Santuario Mariano è sempre stato anche un centro di culto dell'Eucaristia.

Nè è da dimenticare il fatto che Pio IX ha dichiarato S. Giuseppe Patrono Universale della Chiesa. Fra l'esultanza di tutto il popolo di Dio; ne derivò un grande aumento della devozione cristiana.

Bisogna aggiungere che questo piissimo Pontefice onorò con la corona dei Santi innumerevoli seguaci di Cristo che si erano distinti per la virtù della loro vita, e conferì il grande titolo di Dottore della Chiesa a tre illustri Vescovi, quali S. Ilario di Poitiers, S. Francesco di Sales e S. Alfonso de' Liguori.

10. - Azione Cattolica e rinnovamento degli studi

Sono da ricordare infine tre cose che dimostrano il suo ardente zelo per il progresso della Chiesa nei nostri tempi: la fondazione cioè dell'Azione Cattolica, il vigore con il quale promosse le Leghe Cattoliche degli Operai, il rinnovamento e il riordinamento degli studi ecclesiastici per una maggiore formazione del Clero sulle orme di S. Tommaso; scelta che i suoi Successori ampliarono più diffusamente.

11. - Pio IX "Uomo di Dio"

La fonte però di tutte queste opere di Pio IX sta nella sua ardente vita spirituale. Difatti, fin dall'inizio del suo sacerdozio si era proposto: "Tutto il mio operare in Dio, con Dio e per Iddio".

Tutto ciò che fece ed insegnò deve dunque essere esaminato solamente tenendo conto di questo principio e tutto deve essere giudicato con questo criterio. Se qualcuno, sia pur senza volerlo fare di proposito, dimentica questa sua intenzione fondamentale e la separa dalla sua attività, proferisce un giudizio riduttivo ed erroneo.

Come Sacerdote, come Vescovo e come Sommo Pontefice il Servo di Dio, senza interruzione e in modo continuo, apparve e fu veramente "UOMO di DIO"; uomo di preghiera assidua, senz'altro desiderio che la gloria di Dio il bene della Chiesa e la salvezza delle anime; e non cercava niente altro se non compiere in tutte le cose la volontà di Dio e a quella aderiva con tutta l'anima, per quanto grandi fossero le sofferenze che doveva sopportare. Questo solo fu sempre la regola principale della sua vita e della sua attività pastorale.

Mirando solo a questo, egli cercò di risolvere problemi talvolta difficilissimi che nel più alto ministero pastorale non raramente fu costretto ad affrontare:

"NON VOGLIO SCOSTARMI UN APICE DALLA DIVINA VOLONTA"' (A. Serafini - Pio IX - Vaticano 1958, pag. 1682).

Proprio perché volle aderire alla volontà di Dio accettò per obbedienza l'Episcopato, sebbene con animo trepidante; e con timore e tremore si assoggettò al peso del Sommo Pontificato. Nella totale adesione alla divina volontà sopportò sempre con animo forte le più gravi aggressioni contro la Sede Apostolica. Sempre camminando sotto lo sguardo di Dio, come se lo vedesse coi propri occhi, trovò nella preghiera un sostegno in tutte le difficoltà e i dolori che veramente trasformarono il suo lungo pontificato in una lunga Via Crucis.

12. - Profonda devozione alla Madonna SS.

La devozione alla Madonna in certo modo si deve considerare la principale caratteristica della spiritualità del Servo di Dio Pio IX; e questa non fu altro che una via più facile a Cristo. Egli era solito accostarsi al Sacro Cuore di Gesù per mezzo di Maria, nell'augusto Sacramento dell'Eucaristia, adorando il quale era solito trascorrere non breve tempo, ora nella Cappella privata, ora in luogo pubblico quando gli era possibile.

Questa devozione alla beata Vergine Maria ebbe da lui la più grande manifestazione nel 1854 quando definì solennemente la verità dell'Immacolata Concezione dinanzi a moltissimi Vescovi convenuti a Roma da ogni parte del mondo; la stessa Beatissima Vergine, come scendesse luminosamente dal cielo, confermò maternamente questa definizione, quando nella sua apparizione a Lourdes in Francia disse: "IO SONO L'IMMACOLATA CONCEZIONE".

13. - Carità animatrice della religiosità cristiana

La devozione nasce dalla fede e riconduce alla fede la quale opera per mezzo della carità. Quando più la carità è grande, tanto più è operosa. "L'amore verso Dio non è ozioso. Se c'è fa grandi cose. Se rifiuta di operare, non è amore. La testimonianza dell'agire infatti è la prova dell'amore". (San Tommaso - Sull'epistola agli Ebrei - lett. 12 - Ed. CAI num. 211).

Dalla carità verso Dio e verso il prossimo ha origine tutta la operosità di Pio IX. Dalla carità gli venne la fortezza, per mezzo della quale sostenne tutte le avversità con animo sereno, tanto che il suo buon umore rimase proverbiale.

Poiché egli era il Sommo Pontefice, la sua vita spirituale si trasfuse nel popolo cristiano per mezzo delle sue parole e delle due azioni. Gli storici specializzati non esitano a dire che sotto il regno di Pio IX il popolo cristiano aveva riscoperto lo stesso Cristo come centro di tutta la spiritualità cattolica. (Cfr. Aubert-Martina - ll Pontificato di Pio IX, vol. II, pag. 714).

Dato a Cristo il posto principale e alla Vergine il compito di guida e ausiliatrice, egli rinnovò dalle fondamenta la religiosità dei cattolici, sì da farla rifiorire. Questa restaurazione interna rinforzò nel contempo la coesione della Chiesa sì da renderla pronta ad affrontare i nuovi difficilissimi tempi.

Perciò al Servo di Dio Pio IX convengono chiaramente e pienamente le parole del Signore: "Dice Gesù a Simon Pietro: Simone, figlio di Giovanni, mi ami tu più di costoro? Gli risponde: Sì, Signore, tu lo sai che ti amo. Gli dice: Pasci le mie pecore". (Giovanni 21,15 e segg.).

14. - Fama di Santità in vita e dopo morte

La sua fama di santità che era già universalmente riconosciuta quando ancora era in vita, fu conclamata apertamente anche da Santi oggi canonizzati.

La sua morte, il 7 febbraio 1878, fu considerata dalla Chiesa come la morte di un Santo. Dopo la sua morte, la fama della sua santità e dei suoi miracoli si è conservata integra ed anzi è aumentata sempre, come risulta soprattutto in lettere si può dire numerosissime, inviate a Leone XIII e ai suoi Successori, nelle quali la canonizzazione di questo Pontefice "angelico" veniva insistentemente richiesta da Vescovi della Chiesa e da fedeli.

15. - Inizio della Causa di Beatificazione

San Pio X diede inizio alla Causa di Beatificazione e autorizzò l'inizio dei processi diocesani a Roma. Spoleto Senigallia, Imola e Napoli. In essi furono interrogati 243 testimoni.

I1 7 dicembre 1954, poi, su istanza del Rev.mo Mons. Alberto Canestri, Postulatore della Causa, osservate le prescrizioni canoniche su tale materia, il Papa Pio XII firmò di propria mano, come di norma, la istituzione della Commissione per la introduzione della Causa di Beatificazione.

Concluso il Processo Apostolico, il 28 giugno 1956 fu fatta l'esumazione del Servo di Dio il 23 settembre 1956, nella Basilica Patriarcale di San Lorenzo fuori le Mura dove il corpo incorrotto del grande Pontefice si osserva in un sepolcro artisticamente ornato.

16. - Esame sulle sue virtù Teologali e Cardinali

Tutto ciò compiuto secondo le norme canoniche si iniziarono presso la Sacra Congregazione dei Riti: I'esame e la discussione delle virtù teologali e cardinali e quelle ad esse collegate, del medesimo Servo di Dio Papa Pio IX; dapprima, il 2 ottobre 1962 nella Congregazione detta "Antepreparatoria" poi il 28 maggio 1963, nella Congregazione detta "Preparatoria" avendo come "Ponente" l'Eminentissimo card. Benedetto Aloisi Masella.

Fu presentata poi la relazione al Sommo Pontefice Paolo VI il 6 luglio dello stesso anno e Sua Santità decretò benignamente che si dovesse procedere ad ulteriori passi.

Ad istanza del Rev.mo Mons. Antonio Piolanti, attivissimo nuovo Postolatore della Causa, 1'11 dicembre 1984 si tenne la Congregazione Ordinaria dei Cardinali e dei Vescovi che - relatore il Card. Francesco Carpino - diedero il voto affermativo sul seguente dubbio: "Se consti delle virtù teologali, Fede, Speranza e Carità, sia verso Dio, sia verso il prossimo, nonché delle virtù cardinali, Prudenza, Giustizia, Temperanza e Fortezza e di quelle ad esse connesse del Servo di Dio Papa Pio IX, esercitate in grado eroico, per lo scopo di cui si tratta nella presente Causa".

17. - Decreto sulla eroicità delle Sue virtù

Fatta una fedele relazione di tutte queste cose al Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, Sua Santità accolse i voti dei Padre Cardinali e Vescovi e ordinò che si preparasse il decreto sulle Virtù.

Fatto questo secondo il consueto rito canonico e convocati oggi i Cardinali e il sottoscritto Prefetto, nonché il Cardinale "Ponente" della Causa e me, Vescovo Segretario, e gli altri che si devono convocare secondo l'uso, il Beatissimo Padre dichiarò: "Consta delle Virtù teologali, Fede, Speranza e Carità sia verso Dio che verso il prossimo, nonché delle Virtù cardinali, Prudenza, Giustizia, Temperanza e Fortezza e di quelle ad esse collegate, del Servo di Dio Papa Pio IX, esercitate in grado eroico per lo scopo di cui si tratta".

Ingiunse inoltre che questo Decreto diventasse di pubblica ragione e fosse trascritto negli Atti della Sacra Congregazione per le Cause dei Santi.

Roma, 6 luglio 1985

Card. Pietro Palazzini, Prefetto

† Traiano Crisan, Segretario

Arcivescovo di Divresto (Dalmazia)

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MIRACOLO PROPOSTO PER
LA BEATIFICAZIONE DI PIO IX
ROMANA
CANONIZATIONIS
Ven. Servi dei
PII PAPAE IX
Summi Pontificis
(1792-1878)

***
RELAZIONE sulla Seduta della Consulta Medica della S.C. per le Cause dei Santi del 15 gennaio 1986 sul caso clinico proposto per la Beatificazione del suddetto Ven. Servo di Dio.

Il 15.1.1986, alle ore 8,30, nella sala del Congresso della S.C. per la Cause dei Santi, si è riunita la Consulta Medica per l'esame della guarigione di Suor Marie-Thérèse de St-Paul.

La seduta si è tenuta alla presenza del Rev.mo Mons. Fabiano Veraja, Sottosegretario della S. Congregazione e del Rev.mo Mons. Antonio Petti, Promotore Generale della Fede.

La Consulta Medica era composta dal Presidente, Prof. Raffaello Cortesini-Finali e dai componenti Dott. Antonio Bonatti, Prof. Dante Costanzo, Prof. Franco De Rosa, Prof. Francesco Santori.

Segretario il Dott. Marcello Meschini.

... Omissis ...

La lunga relazione sulla Consulta Medica espone innanzitutto lo stato di salute della suora di 37 anni con sintomatologia dolorosa durata 11 anni a causa di frattura di rotula con notevole diastasi dei frammenti "ab initio" con pseudoartrosi; sono inoltre espressi i pareri medico-legali e degli altri componenti della Consulta Medica; dopo la discussione collegiale viene proposta la definizione conclusiva che riportiamo testualmente:

Prognosi: "Riservata quoad valetudinem" (5 su 5).

Terapia: "Inadeguata per mancata effettuazione di terapia ortopedica chirurgica e per insufficiente immobilizzazione" (5 su 5).

Modalità di guarigione: "Scomparsa dei dolori e miglioramento, della funzionalità dell'arto verificatisi improvvisamente dopo circa undici anni di persistenza della sintomatologia dolorifico-funzionale. Guarigione rapida, completa e duratura, non spiegabile secondo le attuali conoscenze mediche" (5 su 5).

Il Segretario
Dott. Marcello Meschini
N. 348/113

Romae, die 4-Feb.-1986

Il Presidente
Prof. Raffaello Cortesini-Finali
REVISA Fabianus Veraja Subsecret.

La relazione della Consulta Medica è stata approvata dal Collegio dei Teologi (Congressus Peculiaris) incaricato dalla Congregazione della Causa dei Santi il 9 maggio 1986.

In data 20 dicembre 1999 il miracolo attribuito a Pio IX: è stato promulgato con Decreto della Congregazione della Causa dei Santi ed approvato dal Santo Padre Giovanni Paolo II.

Con questo provvedimento la Causa di Beatificazione di Pio lX è completa e il giorno della sua Beatificazione fu fissato per il 3 Settembre 2000.

Tratto da FARAONI V., MENCUCCI A., "Vita del Venerabile PIO IX", Foggia, 2000, pp. 132-144.

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Il Vescovo Diocesano di Senigallia S.E. Mons. Giuseppe Orlandoni, avuta notizia della prossima beatificazione di Papa PIO IX, così ne dava comunicazione al clero ed ai fedeli della Città e della Diocesi:

La Diocesi di Senigallia accoglie con profonda gioia e gratitudine l'annuncio ufficiale che Papa Pio IX sarà proclamato Beato, domenica 3 settembre 2000, dal Santo Padre Giovanni Paolo II, in Piazza San Pietro a Roma.

L'annuncio è stato dato a Roma, lunedì 7 febbraio, nel corso di una solenne Concelebrazione eucaristica nella Basilica di San Lorenzo, in occasione del 122 anniversario della morte del Papa senigalliese. Alla celebrazione hanno partecipato Cardinali, Vescovi, sacerdoti e fedeli laici.

La Diocesi di Senigallia era presente con il Vescovo Mons. Giuseppe Orlandoni, il Vescovo Emerito Mons. Odo Fusi Pecci e il Vescovo Emerito della Diocesi di Fano, Fossombrone, Cagli, Pergola Mons. Mario Cecchini, alcuni sacerdoti, una rappresentanza dell'Opera Pia "Mastai Ferretti" guidata dal Presidente Luciano Verzolini e un folto gruppo di fedeli.

La beatificazione di un figlio di questa terra, il primo Pontefice marchigiano ad essere elevato agli onori degli altari, riempie di gioia il cuore dei credenti, che vedono in lui un intercessore e un modello di santità.

La comunità cristiana si raccoglie in preghiera per elevare al Signore un inno di lode e di ringraziamento per il dono che Egli fa alla Chiesa di un nuovo Beato.

La gratitudine della Diocesi si estende alla Congregazione delle Cause dei Santi, alla Postulazione della Causa del Servo di Dio Giovanni Maria Mastai Ferretti e a tutti coloro che hanno contribuito a mettere in luce la figura e la santità di vita di Pio IX.

Mentre ci si prepara al fausto giorno della Beatificazione, la Chiesa di Senigallia, anche riconoscente per le numerose opere benefiche istituite da Papa Mastai a favore della sua città natale e diocesi, invita tutti i suoi figli e i cittadini a onorare il nostro grande Pontefice e concittadino con preghiere e con la più approfondita conoscenza, attraverso la documentata ricerca storica, della sua eccezionale personalità.

Senigallia, 8 febbraio 2000

Giuseppe Orlandoni
Vescovo

Fonte: PIO IX (http://www.papapionono.it/beatif.html)

Augustinus
07-02-04, 20:38
Con quanta cura e pastorale vigilanza i Romani Pontefici Predecessori Nostri, eseguendo l’ufficio loro affidato dallo stesso Cristo Signore nella persona del Beatissimo Pietro, Principe degli Apostoli, e l’incarico di pascere gli agnelli e le pecore, non abbiano mai tralasciato di nutrire diligentemente tutto il gregge del Signore con le parole della fede, di educarlo con la salutare dottrina e di rimuoverlo dai pascoli velenosi, a tutti ed a Voi in particolare, Venerabili Fratelli, è chiaro e manifesto. Invero i predetti Nostri Predecessori dell’augusta Religione cattolica – difensori e garanti della verità e della giustizia, sommamente solleciti della salute delle anime – non ebbero a cuore niente di più che individuare e condannare, con le loro sapientissime Lettere e Costituzioni, tutte le eresie e gli errori i quali, avversando la divina nostra fede, la dottrina della Chiesa cattolica, l’onestà dei costumi e l’eterna salute degli uomini, spesso suscitarono gravi tempeste e funestarono in modo devastante la cristiana e la civile repubblica. Pertanto i suddetti Nostri Predecessori con apostolica forza continuamente resistettero alle nefande macchinazioni di uomini iniqui che, schizzando come i flutti di procelloso mare la spuma delle loro fallacie e promettendo libertà mentre sono schiavi della corruzione, con le loro opinioni ingannevoli e con i loro scritti perniciosissimi si sono sforzati di demolire le fondamenta della Religione cattolica e della società civile, di levare di mezzo ogni virtù e giustizia, di depravare gli animi e le menti di tutti, di sviare dalla retta disciplina dei costumi gl’incauti, e principalmente la gioventù impreparata, e di corromperla miseramente, di imprigionarla nei lacci degli errori e infine di strapparla dal seno della Chiesa cattolica.

Intanto, come a Voi, Venerabili Fratelli, è ben noto, poiché per un’arcana decisione della divina provvidenza, non certo per qualche Nostro merito, fummo innalzati a questa Cattedra di Pietro, vedendo Noi con estremo dolore del Nostro animo l’orribile procella sollevata da tante prave opinioni e i gravissimi, e non mai abbastanza lacrimabili danni che da tanti errori ridondano sul popolo cristiano, per dovere del Nostro Apostolico Ministero, seguendo le vestigia illustri dei Nostri Predecessori, alzammo la Nostra voce e con parecchie Lettere Encicliche divulgate per mezzo della stampa, con le Allocuzioni tenute nel Concistoro e con altre Lettere Apostoliche condannammo i principali errori della tristissima età nostra, e stimolammo la Vostra esimia vigilanza episcopale, ammonimmo con ogni Nostro potere ed esortammo tutti i figli della Chiesa cattolica a Noi carissimi che avessero in sommo abominio l’infezione di una peste così crudele e la fuggissero. Specialmente poi con la Nostra prima Lettera Enciclica del 9 novembre 1846 e con due Allocuzioni (delle quali una fu tenuta da Noi nel Concistoro del 9 dicembre 1854, e l’altra in quello del 9 giugno 1862) condannammo le mostruose enormità delle opinioni che segnatamente dominano in questa nostra età, con grandissimo danno delle anime e con detrimento della stessa civile società, le quali non solo avversano la Chiesa cattolica, la sua salutare dottrina e i suoi venerandi diritti, ma altresì la sempiterna legge naturale scolpita da Dio nei cuori di tutti e la retta ragione; da tali opinioni traggono origine quasi tutti gli altri errori.

Ma quantunque non abbiamo omesso di bandire spesso e di riprovare i più capitali errori di tal fatta, nondimeno la causa della Chiesa cattolica, la salute delle anime a Noi divinamente affidate e il bene della stessa società umana richiedono assolutamente che di nuovo eccitiamo la Vostra pastorale sollecitudine a sconfiggere altre prave opinioni, che scaturiscono dai predetti errori come da fonte. Tali false e perverse opinioni tanto più sono da detestare, in quanto mirano in special modo a far sì che sia impedita e rimossa quella salutare forza che la Chiesa cattolica, per istituzione e mandato del suo divino Autore, deve liberamente esercitare fino alla consumazione dei tempi, sia verso i singoli uomini, sia verso le nazioni, i popoli e i supremi loro Principi: esse operano affinché sia tolta di mezzo quella mutua società e concordia fra il Sacerdozio e l’Impero, che sempre riuscirono fauste e salutari alle cose sia sacre, sia civili . Infatti Voi sapete molto bene, Venerabili Fratelli, che in questo tempo si trovano non pochi i quali, applicando al civile consorzio l’empio ed assurdo principio del naturalismo (come lo chiamano) osano insegnare che "l’ottima regione della pubblica società e il civile progresso richiedono che la società umana si costituisca e si governi senza avere alcun riguardo per la religione, come se questa non esistesse o almeno senza fare alcuna differenza tra la vera e le false religioni". Contro la dottrina delle sacre Lettere della Chiesa e dei Santi Padri, non dubitano di affermare "essere ottima la condizione della società nella quale non si riconosce nell’Impero il dovere di reprimere con pene stabilite i violatori della Religione cattolica, se non in quanto lo chieda la pubblica pace". Con tale idea di governo sociale, assolutamente falsa, non temono di caldeggiare l’opinione sommamente dannosa per la Chiesa cattolica e per la salute delle anime, dal Nostro Predecessore Gregorio XVI di venerata memoria chiamata delirio , cioè "la libertà di coscienza e dei culti essere un diritto proprio di ciascun uomo che si deve proclamare e stabilire per legge in ogni ben ordinata società ed i cittadini avere diritto ad una totale libertà che non deve essere ristretta da nessuna autorità ecclesiastica o civile, in forza della quale possano palesemente e pubblicamente manifestare e dichiarare i loro concetti, quali che siano, sia con la parola, sia con la stampa, sia in altra maniera". E mentre affermano ciò temerariamente, non pensano e non considerano che essi predicano "la libertà della perdizione" , e che "se in nome delle umane convinzioni sia sempre libero il diritto di disputare, non potranno mai mancare coloro che osano resistere alla verità e confidano nella loquacità della sapienza umana, mentre la fede e la sapienza cristiane debbono evitare questa nociva vanità, in linea con la stessa istituzione del Signor Nostro Gesù Cristo" .

E poiché nei luoghi nei quali la religione è stata rimossa dalla società civile o nei quali la dottrina e l’autorità della rivelazione divina sono state ripudiate, anche lo stesso autentico concetto della giustizia e del diritto umano si copre di tenebre e si perde, ed in luogo della giustizia vera e del diritto legittimo si sostituisce la forza materiale, quindi si fa chiaro il perché alcuni, spregiando completamente e nulla valutando i principi certissimi della sana ragione, ardiscono proclamare che "la volontà del popolo manifestata attraverso l’opinione pubblica (come essi dicono) o in altro modo costituisce una sovrana legge, sciolta da qualunque diritto divino ed umano, e nell’ordine Politico i fatti consumati, per ciò stesso che sono consumati, hanno forza di diritto". Ma chi non vede e non sente pienamente che una società di uomini sciolta dai vincoli della religione e della vera giustizia non può avere altro proposito fuorché lo scopo di acquisire e di accumulare ricchezze, e non può seguire nelle sue operazioni altra legge fuorché un’indomita cupidigia di servire alle proprie voluttà e comodità? Conseguentemente questi uomini, con odio veramente acerbo, perseguitano le Famiglie Religiose, quantunque sommamente benemerite della cosa cristiana, civile e letteraria, e vanno dicendo che esse non hanno alcuna ragione di esistere, e con ciò applaudono le idee degli eretici. Infatti, come sapientissimamente insegnava Pio VI, Nostro Predecessore di venerata memoria, "l’abolizione dei regolari lede lo stato di pubblica professione dei consigli evangelici, lede una maniera di vita raccomandata nella Chiesa come consentanea alla dottrina Apostolica, lede gli stessi insigni fondatori che veneriamo sopra gli altari, i quali non ispirati che da Dio istituirono queste società" . Ed affermano altresì empiamente doversi togliere ai cittadini e alla Chiesa la facoltà "di potere pubblicamente erogare elemosine per motivo di cristiana carità", e doversi abolire la legge "che per ragione del culto divino proibisce le opere servili in certi determinati giorni" con il fallace pretesto che quella facoltà e quella legge contrastano con i principi della migliore economia pubblica. Né contenti di allontanare la religione dalla pubblica società, vogliono rimuoverla anche dalle famiglie private. Infatti, insegnando e professando il funestissimo errore del Comunismo e del Socialismo dicono che "la società domestica, cioè la famiglia, riceve dal solo diritto civile ogni ragione della propria esistenza, e che pertanto dalla sola legge civile procedono e dipendono tutti i diritti dei genitori sui figli, principalmente quello di curare la loro istruzione e la loro educazione". Con tali empie opinioni e macchinazioni codesti fallacissimi uomini intendono soprattutto eliminare dalla istruzione e dalla educazione la dottrina salutare e la forza della Chiesa cattolica, affinché i teneri e sensibili animi dei giovani vengano miseramente infettati e depravati da ogni sorta di errori perniciosi e di vizi. Infatti, tutti coloro che si sono sforzati di turbare le cose sacre e le civili, e sovvertire il retto ordine della società e cancellare tutti i diritti divini ed umani, rivolsero sempre i loro disegni, studi e tentativi ad ingannare specialmente e a corrompere l’improvvida gioventù, come sopra accennammo, e nella corruzione della medesima riposero ogni loro speranza. Pertanto non cessano mai con modi totalmente nefandi di vessare l’uno e l’altro Clero da cui, come viene splendidamente attestato dai certissimi monumenti della storia, tanti grandi vantaggi derivarono alla cristiana, civile e letteraria repubblica; e vanno dicendo che "il Clero, come nemico del vero ed utile progresso della scienza e della civiltà, deve essere rimosso da ogni ingerenza ed ufficio nella istruzione e nella educazione dei giovani".

Altri poi, rinnovando le prave e tante volte condannate affermazioni dei novatori, ardiscono con rilevante impudenza sottomettere all’arbitrio dell’autorità civile la suprema autorità della Chiesa e di questa Sede Apostolica, ad essa affidata da Cristo Signore, e di negare alla Chiesa e alla Sede Apostolica tutti i diritti che a loro appartengono intorno alle cose che si riferiscono all’ordine esterno. Infatti costoro non si vergognano di affermare che "le leggi della Chiesa non obbligano in coscienza se non quando vengono promulgate dal potere civile; che gli atti e i decreti dei Romani Pontefici relativi alla Religione e alla Chiesa hanno bisogno della sanzione e dell’approvazione, o almeno dell’assenso, del Potere civile; che le Costituzioni Apostoliche con le quali sono condannate le associazioni clandestine, sia che in esse si esiga, sia che non si esiga il giuramento di mantenere il segreto, e con le quali sono fulminati di anatema i loro seguaci e fautori, non hanno vigore in quelle contrade dove siffatte associazioni sono tollerate dal governo civile; che la scomunica inflitta dal Concilio di Trento e dai Romani Pontefici a coloro i quali invadono ed usurpano i diritti e i beni della Chiesa si appoggia alla confusione dell’ordine spirituale col civile e politico, per promuovere il solo bene mondano; che la Chiesa non deve decretare nulla che possa costringere le coscienze dei fedeli in ordine all’uso delle cose temporali; che alla Chiesa non compete il diritto di reprimere con pene temporali i violatori delle sue leggi; che sia conforme alla sacra teologia ed ai principi del diritto pubblico attribuire e rivendicare al governo civile la proprietà dei beni posseduti dalle Chiese, dalle Famiglie Religiose e dagli altri luoghi pii".

Né arrossiscono di professare apertamente e pubblicamente le parole e i principi degli eretici, da cui nascono tante perverse sentenze ed errori. Essi ripetono che "la potestà ecclesiastica non è per diritto divino distinta ed indipendente dalla potestà civile, e che questa distinzione e questa indipendenza non possono essere mantenute senza che da parte della Chiesa non si usurpino i diritti essenziali della potestà civile". Né possiamo passare sotto silenzio l’audacia di coloro che, intolleranti della sana dottrina, pretendono "che si possa, senza peccato e pregiudizio della professione cattolica, negare l’assenso e l’obbedienza a quei decreti e a quelle disposizioni della Sede Apostolica che hanno per oggetto il bene generale della Chiesa, i suoi diritti e la sua disciplina, purché essi non tocchino i dogmi della fede e dei costumi". Quanto ciò grandemente contrasti con il dogma cattolico della piena potestà del Romano Pontefice, divinamente conferitagli dallo stesso Cristo Signore in ordine a pascere, reggere e governare la Chiesa universale, non è chi apertamente e chiaramente non vegga ed intenda. Noi dunque, in tanta perversità di depravate opinioni, ben memori del Nostro apostolico ufficio e massimamente solleciti della santissima nostra religione, della sana dottrina e della salute delle anime affidateci da Dio, e del bene della stessa società umana, abbiamo ritenuto di dovere nuovamente elevare la Nostra apostolica voce. Pertanto, tutte e singole le prave opinioni e dottrine espresse nominatamente in questa Lettera, con la Nostra autorità apostolica riproviamo, proscriviamo e condanniamo; e vogliamo e comandiamo che esse siano da tutti i figli della Chiesa cattolica tenute per riprovate, proscritte e condannate.

Ma, oltre a queste, Voi ben sapete, Venerabili Fratelli, che nel presente tempo altre empie dottrine d’ogni genere vengono disseminate dai nemici di ogni verità e giustizia con pestiferi libri, libelli e giornali sparsi per tutto il mondo, con i quali essi illudono i popoli e maliziosamente mentiscono. Né ignorate come anche in questa nostra età si trovino alcuni che, mossi ed incitati dallo spirito di Satana, pervennero a tanta empietà da non paventare di negare con scellerata impudenza lo stesso Dominatore e Signore Nostro Gesù Cristo ed impugnare la sua Divinità. E qui non possiamo astenerci dall’elogiare con massime e meritate lodi Voi, Venerabili Fratelli, che in nessun modo tralasciaste di elevare con tutto zelo la Vostra voce episcopale contro tanta nequizia.

Pertanto, con questa Nostra Lettera riprendiamo con tanto affetto il discorso con Voi che, chiamati a partecipare della Nostra sollecitudine, Ci siete di sommo conforto, letizia e consolazione in mezzo alle gravissime Nostre angosce, per l’egregia religione e pietà per cui Vi siete segnalati, e per quel meraviglioso amore, per la fedeltà e per l’osservanza con cui, stretti a Noi ed a quest’Apostolica Sede con cuori concordi, Vi sforzate di adempiere strenuamente e diligentemente al Vostro gravissimo ministero episcopale. In verità, dall’esimio Vostro zelo pastorale Ci aspettiamo che, impugnando la spada dello spirito, che è la parola di Dio, e confortati nella grazia del Signore Nostro Gesù Cristo, vogliate con rinforzate cure ogni giorno più provvedere a che i fedeli affidati alla Vostra sollecitudine "si astengano dalle erbe nocive che Gesù Cristo non coltiva perché non sono piantagione del Padre" . Né mancate d’inculcare sempre agli stessi fedeli che ogni vera felicità ridonda negli uomini dall’augusta nostra religione, dalla sua dottrina e dalla sua pratica: è beato quel popolo il cui Signore è il suo Dio (Sal 144,15). Insegnate "che sul fondamento della fede cattolica restano saldi i regni , e nulla è così mortifero, così vicino al precipizio, così esposto a tutti i pericoli, come il credere che ci possa bastare di aver ricevuto, quando nascemmo, il libero arbitrio, e non occorra domandare più altro al Signore: questo è dimenticare il nostro creatore e rinnegare, per mostrarci liberi, la sua potenza" . Né trascurate parimenti d’insegnare "che la reale potestà non fu data solamente per il governo del mondo, bensì soprattutto per il presidio della Chiesa , e nulla vi è che ai Principi e ai Re possa recare maggior profitto e gloria quanto, come un altro sapientissimo e fortissimo Nostro Predecessore, San Felice, inculcava a Zenone imperatore: lasciare che la Chiesa cattolica... si serva delle sue leggi, e non permettere che alcuno si opponga alla sua libertà... Giacché è certo che sarà loro utile che, quando si tratta della causa di Dio, si studino, secondo la Sua legge, non di anteporre ma di sottoporre la regia volontà ai Sacerdoti di Cristo" .

Ma se fu sempre necessario, Venerabili Fratelli, ora specialmente, in mezzo a così grandi calamità della Chiesa e della società civile, in tanta cospirazione di avversari contro il cattolicesimo e questa Sede Apostolica, e fra così gran cumulo di errori, è assolutamente indispensabile che ricorriamo con fiducia al trono della grazia per ottenere misericordia e trovare benevolenza nell’aiuto opportuno. Perciò abbiamo ritenuto giusto eccitare la devozione di tutti i fedeli affinché, insieme con Noi e con Voi, con fervidissime ed umilissime preci preghino e supplichino incessantemente il clementissimo Padre della luce e delle misericordie; nella pienezza della fede ricorrano sempre al Signore Nostro Gesù Cristo, che ci redense a Dio nel Sangue Suo; e caldamente e continuamente implorino il Suo dolcissimo Cuore, vittima della Sua ardentissima carità verso di noi, perché coi vincoli del Suo amore attiri tutto a se stesso, e tutti gli uomini, infiammati del Suo santissimo amore, camminino rettamente secondo il Cuore Suo, in tutto piacendo a Dio e fruttificando in ogni opera buona. Ed essendo, senza dubbio, più gradite a Dio le preghiere degli uomini se questi ricorrono a Lui con l’animo mondo da ogni macchia, perciò abbiamo creduto giusto aprire con apostolica liberalità i celesti tesori della Chiesa affidati alla Nostra dispensazione, perché gli stessi fedeli più intensamente accesi alla vera pietà e lavati dalle macchie dei peccati nel Sacramento della Penitenza, con maggiore fiducia volgano a Dio le loro preghiere e conseguano la Sua grazia e la Sua misericordia.

Dunque con questa Lettera, con la Nostra autorità Apostolica, a tutti e ai singoli fedeli del mondo cattolico di ambo i sessi concediamo l’Indulgenza Plenaria in forma di Giubileo per il periodo solamente di un mese, fino a tutto il prossimo anno 1865, e non oltre, da stabilirsi da Voi, Venerabili Fratelli, e dagli altri legittimi Ordinari, nello stesso modo e forma in cui all’inizio del sommo Nostro Pontificato lo concedemmo con l’apostolica Nostra Lettera in forma di Breve del 20 novembre 1846 e mandata a tutto il vostro Ordine episcopale, la quale comincia "Arcanae Divinae Providentiae consilio", e con tutte le stesse facoltà che con detta Lettera furono da Noi concesse. Vogliamo però che si osservino tutte quelle cose che sono prescritte in detta Lettera, e si eccettuino quelle che dichiarammo eccettuate. Ciò concediamo, nonostante le cose contrarie, qualunque siano, ancorché degne di speciale ed individua menzione e deroga. E perché siano eliminati ogni dubbio e difficoltà, abbiamo disposto che Vi si mandi copia di tale Lettera.

"Preghiamo, Venerabili Fratelli, dall’intimo del cuore e con tutta l’anima, la misericordia di Dio, perché Egli stesso disse: "Non disperderò la mia misericordia da loro". Domandiamo e riceveremo, e se vi saranno indugio e ritardo nel ricevere, poiché peccammo gravemente, bussiamo, perché a chi bussa verrà aperto, purché alla porta si bussi con le preghiere, con i gemiti e con le lacrime nostre, con le quali bisogna insistere e durare; e se sia unanime la nostra orazione... ciascuno preghi Dio non solamente per sé, ma per tutti i fratelli, così come il Signore ci insegnò a pregare" . E perché il Signore più facilmente si pieghi alle preghiere Nostre, Vostre e di tutti i fedeli, con ogni fiducia adoperiamo presso di Lui come interceditrice l’Immacolata e Santissima Vergine Maria, Madre di Dio, la quale uccise tutte le eresie nell’universo mondo, e madre amantissima di tutti noi "è tutta soave... e piena di misericordia... a tutti si offre indulgente, a tutti clementissima; e con un sicuro amplissimo affetto ha compassione delle necessità di tutti" ; come Regina che sta alla destra dell’Unigenito Figlio suo, il Signore Nostro Gessù Cristo, in manto d’oro e riccamente vestita, nulla esiste che da Lui non possa impetrare. Domandiamo anche l’aiuto del Beatissimo Pietro, Principe degli Apostoli, e del suo Coapostolo Paolo e di tutti i Santi che, divenuti già amici di Dio, pervennero al regno celeste e, coronati, posseggono la palma; sicuri della loro immortalità, sono solleciti della nostra salvezza.

Infine, invocando da Dio, con tutto l’animo, su di Voi l’abbondanza di tutti i doni celesti, come pegno della singolare Nostra benevolenza verso di Voi, con tanto amore impartiamo l’Apostolica Benedizione che viene dall’intimo del Nostro cuore a Voi stessi, Venerabili Fratelli, ed a tutti i Chierici e Laici fedeli affidati alle Vostre cure.

Dato a Roma, presso San Pietro, 1’8 dicembre dell’anno 1864, decimo dopo la dogmatica Definizione dell’Immacolata Concezione della Vergine Maria Madre di Dio, anno decimonono del Nostro Pontificato.


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SILLABO

DEI PRINCIPALI ERRORI DELL’ETÀ NOSTRA, CHE SON NOTATI NELLE ALLOCUZIONI CONCISTORIALI, NELLE ENCICLICHE E IN ALTRE LETTERE APOSTOLICHE DEL SS. SIGNOR NOSTRO PAPA PIO IX



I - Panteismo, naturalismo e razionalismo assoluto

I. Non esiste niun Essere divino, supremo, sapientissimo, provvidentissimo, che sia distinto da quest’universo, e Iddio non è altro che la natura delle cose, e perciò va soggetto a mutazioni, e Iddio realmente vien fatto nell’uomo e nel mondo, e tutte le cose sono Dio ed hanno la sostanza stessissima di Dio; e Dio è una sola e stessa cosa con il mondo, e quindi si identificano parimenti tra loro, spirito e materia, necessità e libertà, vero e falso, bene e male, giusto ed ingiusto.

Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862.

II. È da negare qualsiasi azione di Dio sopra gli uomini e il mondo.

Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862.

III. La ragione umana è l’unico arbitro del vero e del falso, del bene e del male indipendentemente affatto da Dio; essa è legge a se stessa, e colle sue forze naturali basta a procurare il bene degli uomini e dei popoli.

Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862.

IV. Tutte le verità religiose scaturiscono dalla forza nativa della ragione umana; laonde la ragione è la prima norma, per mezzo di cui l’uomo può e deve conseguire la cognizione di tutte quante le verità, a qualsivoglia genere esse appartengano.

Encicl. Qui pluribus, 9 novembre 1846.

Encicl. Singulari quidem, 17 marzo 1856.

Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862.

V. La rivelazione divina è imperfetta, e perciò soggetta a processo continuo e indefinito, corrispondente al progresso della ragione umana.

Encicl. Qui pluribus, 9 novembre 1846.

Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862.

VI. La fede di Cristo si oppone alla umana ragione; e la rivelazione divina non solo non giova a nulla, ma nuoce anzi alla perfezione dell’uomo.

Encicl. Qui pluribus, 9 novembre 1846.

Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862.

VII. Le profezie e i miracoli esposti e narrati nella sacra Scrittura sono invenzioni di poeti, e i misteri della fede cristiana sono il risultato di indagini filosofiche; e i libri dell’Antico e Nuovo Testamento contengono dei miti; e Gesù stesso è un mito.

Encicl. Qui pluribus, 9 novembre 1846.

Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862.



II - Razionalismo moderato

VIII. Siccome la ragione umana si equipara colla stessa religione, perciò le discipline teologiche si devono trattare al modo delle filosofiche.

Alloc. Singulari quadam perfusi, 9 dicembre 1854.

IX. Tutti indistintamente i dommi della religione cristiana sono oggetto della naturale scienza ossia filosofia, e l’umana ragione, storicamente solo coltivata, può colle sue naturali forze e principi pervenire alla vera scienza di tutti i dommi, anche i più reconditi, purché questi dommi siano stati alla stessa ragione proposti.

Lett. all’Arciv. di Frisinga Gravissimas, 11 dicembre 1862.

Lett. al medesimo Tuas libenter, 21 dicembre 1862.

X. Altro essendo il filosofo ed altro la filosofia, quegli ha diritto e ufficio di sottomettersi alle autorità che egli ha provato essere vere: ma la filosofia né può, né deve sottomettersi ad alcuna autorità.

Lett. all’Arciv. di Frisinga Gravissimas, 11 dicembre 1862.

Lett. al medesimo Tuas libenter, 21 dicembre 1862.

XI. La Chiesa non solo non deve mai correggere la filosofia, ma anzi deve tollerarne gli errori e lasciare che essa corregga se stessa.

Lett. all’Arciv. di Frisinga Gravissimas, 11 dicembre 1862.

XII. I decreti della Sede apostolica e delle romane Congregazioni impediscono il libero progresso della scienza.

Lett. all’Arciv. di Frisinga Tuas libenter, 21 dicembre 1862.

XIII. Il metodo e i principi, coi quali gli antichi Dottori scolastici coltivarono la teologia, non si confanno alle necessità dei nostri tempi e al progresso delle scienze.

Lett. all’Arciv. di Frisinga Tuas libenter, 21 dicembre 1862.

XIV. La filosofia si deve trattare senza aver riguardo alcuno alla soprannaturale rivelazione.

Lett. all’Arciv. di Frisinga Tuas libenter, 21 dicembre 1862.

N. B. – Col sistema del razionalismo sono in massima parte uniti gli errori di Antonio Günther, che vengono condannati nella Lett. al Card. Arciv. di Colonia, Eximiam tuam, 15 giugno 1847, e nella Lett. al Vesc. di Breslavia, Dolore haud mediocri, 30 aprile 1860.



III - Indifferentismo, latitudinarismo

XV. È libero ciascun uomo di abbracciare e professare quella religione che, sulla scorta del lume della ragione, avrà reputato essere vera.

Lett. Apost. Multiplices inter, 10 giugno 1851.

Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862.

XVI. Gli uomini nell’esercizio di qualsivoglia religione possono trovare la via della eterna salvezza, e conseguire l’eterna salvezza.

Encicl. Qui pluribus, 9 novembre 1846.

Alloc. Ubi primum, 17 dicembre 1847.

Encicl. Singulari quidem, 17 marzo 1856.

XVII. Almeno si deve bene sperare della eterna salvezza di tutti coloro che non sono nella vera Chiesa di Cristo.

Alloc. Singulari quadam, 9 dicembre 1854.

Encicl. Quanto conficiamur, 17 agosto 1863.

XVIII. Il protestantesimo non è altro che una forma diversa della medesima vera religione cristiana, nella quale egualmente che nella Chiesa cattolica si può piacere a Dio.

Encicl. Noscitis et Nobiscum, 8 dicembre 1849.



IV - Socialismo, comunismo, società segrete, società bibliche, società clerico-liberali

Tali pestilenze, spesso, e con gravissime espressioni, sono riprovate nella Epist. Encicl. Qui pluribus, 9 novembre 1846; nella Alloc. Quibus quantisque, 20 aprile 1849: nella Epist. Encicl. Nostis et Nobiscum, 8 dicembre 1849; nella Alloc. Singulari quadam, 9 dicembre 1854; nell’Epist. Quanto conficiamur, 10 agosto 1863.



V - Errori sulla Chiesa e suoi diritti

XIX. La Chiesa non è una vera e perfetta società pienamente libera, né è fornita di suoi propri e costanti diritti, conferitile dal suo divino Fondatore, ma tocca alla potestà civile definire quali siano i diritti della Chiesa e i limiti entro i quali possa esercitare detti diritti.

Alloc. Singulari quadam, 9 dicembre 1854.

Alloc. Multis gravibusque, 18 dicembre 1860.

Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862.

XX. La potestà ecclesiastica non deve esercitare la sua autorità senza licenza e consenso del governo civile.

Alloc. Meminit unusquisque, 30 settembre 1861.

XXI. La Chiesa non ha potestà di definire dommaticamente che la religione della Chiesa cattolica sia l’unica vera religione.

Lett. Apost. Multiplices inter, 10 giugno 1851.

XXII. L’obbligazione che vincola i maestri e gli scrittori cattolici, si riduce a quelle cose solamente, che dall’infallibile giudizio della Chiesa sono proposte a credersi da tutti come dommi di fede.

Lett. all’Arciv. di Frisinga Tuas libenter, 21 dicembre 1862.

XXIII. I Romani Pontefici ed i Concilii ecumenici si scostarono dai limiti della loro potestà, usurparono i diritti dei Principi, ed anche nel definire cose di fede e di costumi errarono.

Lett. Apost. Multiplices inter, 10 giugno 1851.

XXIV. La Chiesa non ha potestà di usare la forza, né alcuna temporale potestà diretta o indiretta.

Lett. Apost. Ad Apostolicae, 22 agosto 1851.

XXV. Oltre alla potestà inerente all’episcopato, ve n’è un’altra temporale che è stata ad esso concessa o espressamente o tacitamente dal civile impero il quale per conseguenza la può revocare, quando vuole.

Lett. Apost. Ad apostolicae, 22 agosto 1851.

XXVI. La Chiesa non ha connaturale e legittimo diritto di acquistare e di possedere.

Alloc. Nunquam fore, 15 dicembre 1856.

Lett. Encicl. Incredibili, 17 settembre 1863.

XXVII. I sacri ministri della Chiesa ed il Romano Pontefice debbono essere assolutamente esclusi da ogni cura e da ogni dominio di cose temporali.

Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862.

XXVIII. Ai Vescovi, senza il permesso del Governo, non è lecito neanche promulgare le Lettere apostoliche.

Alloc. Nunquam fore, 15 dicembre 1856.

XXIX. Le grazie concesse dal Romano Pontefice si debbono stimare irrite, quando non sono state implorate per mezzo del Governo.

Alloc. Nunquam fore, 15 dicembre 1856.

XXX. L’immunità della Chiesa e delle persone ecclesiastiche ebbe origine dal diritto civile.

Lett. Apost. Multiplices inter, 10 giugno 1851.

XXXI. Il foro ecclesiastico per le cause temporali dei chierici, siano esse civili o criminali, dev’essere assolutamente abolito, anche senza consultare la Sede apostolica, e nonostante che essa reclami.

Alloc. Acerbissimum, 27 settembre 1852.

Alloc. Nunquam fore, 15 dicembre 1856.

XXXII. Senza violazione alcuna del naturale diritto e delle equità, si può abrogare l’immunità personale, in forza della quale i chierici sono esenti dalla leva e dall’esercizio della milizia; e tale abrogazione è voluta dal civile progresso, specialmente in quelle società le cui costituzioni sono secondo la forma del più libero governo.

Epist. al Vescovo di Monreale Singularis Nobisque, 29 sett. 1864.

XXXIII. Non appartiene unicamente alla ecclesiastica potestà di giurisdizione, qual diritto proprio e connaturale, il dirigere l’insegnamento della teologia.

Lett. all’Arciv. di Frisinga Tuas libenter, 21 dicembre 1862.

XXXIV. La dottrina di coloro che paragonano il Romano Pontefice ad un Principe libero che esercita la sua azione in tutta la Chiesa, è una dottrina la quale prevalse nel medio evo.

Lett. Apost. Ad apostolicae, 22 agosto 1851.

XXXV. Niente vieta che per sentenza di qualche Concilio generale, o per opera di tutti i popoli, il sommo Pontificato si trasferisca dal Vescovo Romano e da Roma ad un altro Vescovo e ad un’altra città.

Lett. Apost. Ad apostolicae, 22 agosto 1851.

XXXVI. La definizione di un Concilio nazionale non si può sottoporre a verun esame, e la civile amministrazione può considerare tali definizioni come norma irretrattabile di operare.

Lett. Apost. Ad apostolicae, 22 agosto 1851.

XXXVII. Si possono istituire Chiese nazionali non soggette all’autorità del Romano Pontefice, e del tutto separate.

Alloc. Multis gravibusque, 17 dicembre 1860.

Alloc. Iamdudum cernimus, 18 marzo 1861.

XXXVIII. Gli arbìtri eccessivi dei Romani Pontefici contribuirono alla divisione della Chiesa in quella di Oriente e in quella di Occidente.

Lett. Apost. Ad apostolicae, 22 agosto 1851.



VI - Errori che riguardano la società civile, considerata in sé come nelle sue relazioni con la Chiesa

XXXIX. Lo Stato, come quello che è origine e fonte di tutti i diritti, gode un certo suo diritto del tutto illimitato.

Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862.

XL. La dottrina della Chiesa cattolica è contraria al bene ed agl’interessi della umana società.

Encicl. Qui pluribus, 9 novembre 1846.

Alloc. Quibus quantisque, 20 aprile 1849.

XLI. Al potere civile, anche esercitato dal signore infedele, compete la potestà indiretta negativa sopra le cose sacre; perciò gli appartiene non solo il diritto del cosidetto exequatur, ma anche il diritto del cosidetto appello per abuso.

Lett. Apost. Ad apostolicae, 22 agosto 1851.

XLII. Nella collisione delle leggi dell’una e dell’altra potestà, deve prevalere il diritto civile.

Lett. Apost. Ad apostolicae, 22 agosto 1851.

XLIII. Il potere laicale ha la potestà di rescindere, di dichiarare e far nulli i solenni trattati (che diconsi Concordati) pattuiti con la Sede apostolica intorno all’uso dei diritti appartenenti alla immunità ecclesiastica; e ciò senza il consenso della stessa Sede apostolica, ed anzi, malgrado i suoi reclami.

Alloc. In Concistoriali, 1° novembre 1850.

Alloc. Multis gravibusque, 17 dicembre 1860.

XLIV. L’autorità civile può interessarsi delle cose che riguardano la religione, i costumi ed il governo spirituale. Quindi può giudicare delle istruzioni che i pastori della Chiesa sogliono dare per dirigere, conforme al loro ufficio, le coscienze, ed anzi può fare regolamenti intorno all’amministrazione dei Sacramenti ed alle disposizioni necessarie per riceverli.

Alloc. In Concistoriali, 1° novembre 1850.

Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862.

XLV. L’intero regolamento delle pubbliche scuole, nelle quali è istruita la gioventù dello Stato, eccettuati solamente sotto qualche riguardo i Seminari vescovili, può e dev’essere attribuito all’autorità civile; e talmente attribuito, che non si riconosca in nessun’altra autorità il diritto di intromettersi nella disciplina delle scuole, nella direzione degli studi, nella collazione dei gradi, nella scelta e nell’approvazione dei maestri.

Alloc. In Concistoriali, 1° novembre 1850.

Alloc. Quibus luctuosissimis, 5 settembre 1851.

XLVI. Anzi, negli stessi Seminari dei Chierici, il metodo da adoperare negli studi è soggetto alla civile autorità.

Alloc. Numquam fore, 15 dicembre 1856.

XLVII. L’ottima forma della civile società esige che le scuole popolari, quelle cioè che sono aperte a tutti i fanciulli di qualsiasi classe del popolo, e generalmente gl’istituti pubblici, che sono destinati all’insegnamento delle lettere e delle più gravi discipline, nonché alla educazione della gioventù, si esimano da ogni autorità, forza moderatrice ed ingerenza della Chiesa, e si sottomettano al pieno arbitrio dell’autorità civile e politica secondo il placito degli imperanti e la norma delle comuni opinioni del secolo.

Epist. all’Arciv. di Frisinga Quum non sine, 14 luglio 1864.

XLVIII. Può approvarsi dai cattolici quella maniera di educare la gioventù, la quale sia disgiunta dalla fede cattolica, e dall’autorità della Chiesa e miri solamente alla scienza delle cose naturali, e soltanto o per lo meno primieramente ai fini della vita sociale.

Epist. all’Arciv. di Frisinga Quum non sine, 14 luglio 1864.

IL. La civile autorità può impedire ai Vescovi ed ai popoli fedeli di comunicare liberamente e mutuamente col Romano Pontefice.

Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862.

L. L’autorità laicale ha di per sé il diritto di presentare i Vescovi e può esigere da loro che incomincino ad amministrare le diocesi prima che essi ricevano dalla S. Sede la istituzione canonica e le Lettere apostoliche.

Alloc. Nunquam fore, 15 dicembre 1856.

LI. Anzi il Governo laicale ha diritto di deporre i Vescovi dall’esercizio del ministero pastorale, né è tenuto ad obbedire al Romano Pontefice nelle cose che spettano alla istituzione dei Vescovati e dei Vescovi.

Lett. Apost. Multiplices inter, 10 giugno 1851.

Alloc. Acerbissimum, 27 settembre 1852.

LII. Il Governo può di suo diritto mutare l’età prescritta dalla Chiesa in ordine alla professione religiosa tanto delle donne quanto degli uomini, ed ingiungere alle famiglie religiose di non ammettere alcuno ai voti solenni senza suo permesso.

Alloc. Nunquam fore, 15 dicembre 1856.

LIII. Sono da abrogarsi le leggi che appartengono alla difesa dello stato delle famiglie religiose, e dei loro diritti e doveri; anzi il Governo civile può dare aiuto a tutti quelli i quali vogliono disertare la maniera di vita religiosa intrapresa, e rompere i voti solenni; e parimenti, può spegnere del tutto le stesse famiglie religiose, come anche le Chiese collegiate ed i benefici semplici ancorché di giuspatronato e sottomettere ed appropriare i loro beni e le rendite all’amministrazione ed all’arbitrio della civile potestà.

Alloc. Acerbissimum, 27 settembre 1852.

Alloc. Probe memineritis, 22 gennaio 1855.

Alloc. Cum saepe, 27 luglio 1855.

LIV. I Re e i Principi non solamente sono esenti dalla giurisdizione della Chiesa, ma anzi nello sciogliere le questioni di giurisdizione sono superiori alla Chiesa.

Lett. Apost. Multiplices inter, 10 giugno 1851.

LV. È da separarsi la Chiesa dallo Stato, e lo Stato dalla Chiesa.

Alloc. Acerbissimum, 27 settembre 1852.



VII - Errori circa la morale naturale e cristiana

LVI. Le leggi dei costumi non abbisognano della sanzione divina, né è necessario che le leggi umane siano conformi al diritto di natura, o ricevano da Dio la forza di obbligare.

Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862.

LVII. La scienza delle cose filosofiche e dei costumi, ed anche le leggi civili possono e debbono prescindere dall’autorità divina ed ecclesiastica.

Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862.

LVIII. Non sono da riconoscere altre forze se non quelle che sono poste nella materia, ed ogni disciplina ed onestà di costumi si deve riporre nell’accumulare ed accrescere in qualsivoglia maniera la ricchezza e nel soddisfare le passioni.

Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862.

Epistola encicl. Quanto conficiamur, 10 agosto 1863.

LIX. Il diritto consiste nel fatto materiale; tutti i doveri degli uomini sono un nome vano, e tutti i fatti umani hanno forza di diritto.

Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862.

LX. L’autorità non è altro che la somma del numero e delle forze materiali.

Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862.

LXI. La fortunata ingiustizia del fatto non apporta alcun detrimento alla santità del diritto.

Alloc. Iamdudum cernimus, 18 marzo 1861.

LXII. È da proclamarsi e da osservarsi il principio del cosidetto non-intervento.

Alloc. Novos et ante, 28 settembre 1860.

LXIII. Il negare obbedienza, anzi il ribellarsi ai Principi legittimi, è cosa logica.

Encicl. Qui pluribus, 9 novembre 1846.

Alloc. Quisque vestrum, 4 ottobre 1847.

Epist. Encicl. Nostis et Nobiscum, 8 dicembre 1849.

Lett. Apost. Cum catholica, 26 marzo 1860.

LXIV. La violazione di qualunque santissimo giuramento e qualsivoglia azione scellerata e malvagia ripugnante alla legge eterna, non solo non sono da riprovare, ma anzi da tenersi del tutto lecite e da lodarsi sommamente, quando si commettano per amore della patria.

Alloc. Quibus quantisque, 20 aprile 1849.



VIII - Errori circa il matrimonio cristiano

LXV. Non si può in alcun modo tollerare che Cristo abbia elevato il matrimonio alla dignità di Sacramento.

Lett. Apost. Ad apostolicae, 22 agosto 1851.

LXVI. Il Sacramento del matrimonio non è che una cosa accessoria al contratto, e da questo separabile, e lo stesso Sacramento è riposto nella sola benedizione nuziale.

Lett. Apost. Ad apostolicae, 22 agosto 1851.

LXVII. Il vincolo del matrimonio non è indissolubile per diritto di natura, ed in vari casi può sancirsi per la civile autorità il divorzio propriamente detto.

Lett. Apost. Ad apostolicae, 22 agosto 1851.

Alloc. Acerbissimum, 27 settembre 1852.

LXVIII. La Chiesa non ha la potestà d’introdurre impedimenti dirimenti il matrimonio, ma tale potestà compete alla autorità civile, dalla quale debbono togliersi gl’impedimenti esistenti.

Lett. Apost. Multiplices inter, 10 giugno 1851.

LXIX. La Chiesa incominciò ad introdurre gl’impedimenti dirimenti, nei secoli passati non per diritto proprio, ma usando di quello che ricevette dalla civile potestà.

Lett. Apost. Multiplices inter, 10 giugno 1851.

LXX. I canoni tridentini, nei quali s’infligge scomunica a coloro che osano negare alla Chiesa la facoltà di stabilire gl’impedimenti dirimenti, o non sono dommatici, ovvero si debbono intendere dell’anzidetta potestà ricevuta.

Lett. Apost. Ad apostolicae, 22 agosto 1851.

LXXI. La forma del Concilio Tridentino non obbliga sotto pena di nullità in quei luoghi, ove la legge civile prescriva un’altra forma, e ordina che il matrimonio celebrato con questa nuova forma sia valido.

Lett. Apost. Ad apostolicae, 22 agosto 1851.

LXXII. Bonifazio VIII per primo asserì che il voto di castità emesso nella ordinazione fa nullo il matrimonio.

Lett. Apost. Ad apostolicae, 22 agosto 1851.

LXXIII. In virtù del contratto meramente civile può aver luogo tra cristiani il vero matrimonio; ed è falso che, o il contratto di matrimonio tra cristiani è sempre sacramento, ovvero che il contratto è nullo se si esclude il sacramento.

Lett. Apost. Ad apostolicae, 22 agosto 1851.

Lett. di S. S. Pio IX al Re di Sardegna, 9 settembre 1852.

Alloc. Acerbissimum, 27 settembre 1852.

Alloc. Multis gravibusque, 17 dicembre 1860.

LXXIV. Le cause matrimoniali e gli sponsali di loro natura appartengono al foro civile.

Lett. Apost. Ad apostolicae, 22 agosto 1851.

Alloc. Acerbissimum, 27 settembre 1852.

N. B. – Si possono qui ridurre due altri errori, dell’abolizione del celibato de; chierici, e della preferenza dello stato di matrimonio allo stato di verginità. Sono condannati, il primo nell’Epist. Encicl. Qui pluribus, 9 novembre 1846, il secondo nella Lettera Apost. Multiplices inter, 10 giugno 1851.



IX - Errori intorno al civile principato del Romano Pontefice

LXXV. Intorno alla compatibilità del regno temporale col regno spirituale disputano tra loro i figli della Chiesa cristiana e cattolica.

Lett. Apost. Ad apostolicae, 22 agosto 1851.

LXXVI. L’abolizione del civile impero posseduto dalla Sede apostolica gioverebbe moltissimo alla libertà ed alla prosperità della Chiesa.

Alloc. Quibus quantisque, 20 aprile 1849.

N. B. – Oltre a questi errori censurati esplicitamente, molti altri implicitamente vengono riprovati in virtù della dottrina già proposta e decisa intorno al principato civile del Romano Pontefice: la quale dottrina tutti i cattolici sono obbligati a rispettare fermissimamente. Essa apertamente s’insegna nell’Alloc. Quibus quantisque, 20 aprile 1849; nell’Alloc. Si semper antea, 20 maggio 1850; nella Lett. Apost. Cum catholica Ecclesia, 26 marzo 1860; nell’Alloc. Novos, 28 settembre 1860; nell’Alloc. Iamdudum, 18 marzo 1861, e nell’Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862.



X - Errori che si riferiscono all’odierno liberalismo

LXXVII. In questa nostra età non conviene più che la religione cattolica si ritenga come l’unica religione dello Stato, esclusi tutti gli altri culti, quali che si vogliano.

Alloc. Nemo vestrum, 26 luglio 1855.

LXXVIII. Però lodevolmente in alcuni paesi cattolici si è stabilito per legge che a coloro i quali vi si recano, sia lecito avere pubblico esercizio del culto proprio di ciascuno.

Alloc. Acerbissimum, 27 settembre 1852.

LXXIX. È assolutamente falso che la libertà civile di qualsivoglia culto, e similmente l’ampia facoltà a tutti concessa di manifestare qualunque opinione e qualsiasi pensiero palesemente ed in pubblico, conduca a corrompere più facilmente i costumi e gli animi dei popoli, e a diffondere la peste dell’indifferentismo.

Alloc. Numquam fore, 15 dicembre 1856.

LXXX. Il Romano Pontefice può e deve riconciliarsi e venire a composizione col progresso, col liberalismo e con la moderna civiltà.

Alloc. Iamdudum cernimus, 18 marzo 1861.

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http://www.cattolicesimo.com/immsacre/PiusIX.jpg Anello del Beato Pio IX

http://www.cattolicesimo.com/immsacre/PiusIX1.jpg Tiara del Beato Pio IX

Augustinus
07-02-04, 20:46
1. Genesi e fine dottrinale

Il Sillabo ormai ha centoventott'anni: non troppi, se è ricordato ancora in tutte le opere storiche sull'Ottocento europeo; ma troppi comunque, da poter essere vivo nella coscienza popolare ed ecclesiale.

Riparlarne oggi, quando tanti argomenti attuali sarebbero da mettere sul tappeto, parrebbe hobby da antiquariato, da archeologia teologica. Ma il Sillabo mette in causa Pio IX, e Pio IX ci riguarda; il Sillabo investe il Magistero pontificio, ogni giorno più attivo sulla nostra cultura, e ripropone il capitolo, mai chiuso, del rapporto fra cattolicesimo e civiltà moderna.

Pio IX nel Sillabo avrebbe condannato tutti i principi fondamentali del Liberalismo (libertà di pensiero, di stampa, di coscienza, di culto; la laicità dello Stato; la indipendenza di principi e di metodi della scienza; la ricerca del progresso...). Gli stavano suggerendo di conciliarsi e concordarsi col progresso, col Liberalismo, con la moderna civiltà - come hanno fatto poi Giovanni XXIII nella Pacem in terris e Paolo VI -; invece colpì d'anatema anche questa invocazione.

Si presenta così la domanda: poteva Pio IX essere il papa: il custode e garante dell'ortodossia cattolica, il supremo maestro della fede e della morale e, insieme, condividere e accreditare il Liberalismo?

Se fosse stato obiettivamente possibile, allora Pio IX fu miope e ritardò, se proprio non fece indietreggiare, il cammino della Chiesa; se invece non si poteva essere cattolici e liberali (di quel Liberalismo), allora gli si dovrà riconoscere, storicamente, coerenza intellettuale e morale - che è fattore di umana grandezza.

Quindici anni - o, limitandoci ai tempi operativi, almeno dodici - ha impiegato il Sillabo a nascere; e sono ormai definitivamente accertate le vicende e le fasi attraverso cui si è giunti alla sua promulgazione 1'8 dicembre 1864: consultazione di Vescovi; commissioni preparatorie di Cardinali e teologi; bozze, schemi, istruzioni, memorie preparati da Vescovi, teologi, rettori di università famose; sospensioni e riprese di lavori a seguito di emergenze politiche, a fughe di documenti, ad interventi critici, a pressioni dissuasorie od esortative. Sappiamo ormai tutto (1), come forse di nessun altro Documento magisteriale.

Ciò che si ricava perentoriamente da tutta la massa d'informazioni storiche in nostro possesso è che:

1) Il Sillabo fu immaginato e promulgato come atto dovuto del Magistero ecclesiastico, della missione propria del Papato di custodire e garantire l'ortodossia cattolica, in conformità e in ossequio ad una autorevole tradizione, che continuerà anche dopo Pio IX.

2) Ragioni e circostanze particolari, come in Francia la politica antiecclesiastica di Napoleone III e in Italia del Piemonte; l'occupazione delle Legazioni dell'Umbria e delle Marche; la soluzione anticlericale della questione risorgimentale; ed il bisogno, ovunque, di riaccreditare la diminuita autorità del Papa...: possono aver avuto qualche influenza su tempi e modi della elaborazione, mai però sul merito del Documento, la cui prima idea risale al 1849, a prima cioè di tutte quelle vicissitudini, e il cui destinatario non è la Francia o l'Italia, ma la Chiesa universale ("A tutti i venerabili fratelli Patriarchi, Primati, Arcivescovi e Vescovi che hanno la grazia e la comunione della Sede Apostolica").

3) Così che la tesi di una genesi e giustificazione politica del Sillabo (2) risulta gratuita e antistorica.

La conoscenza documentaria di tutte le faticose controversie attraversate dal Documento è senza dubbio illuminante dal punto di vista ermeneutico, e non lo è di meno l'accurata disamina delle interpretazioni, appropriazioni, manipolazioni sopravvenute (3). Ma ciò su cui si ha da pronunciare il giudizio storico-teologico non sono né le une né le altre, bensì il Documento così com'è, nel suo genere letterario, con la sua struttura, il suo lessico, la sua sintassi, col significato che inside e promana nelle e dalle parole che lo costituiscono, con le caratteristiche che gli sono proprie e bisogna mostrare.

2. Natura teologica del Sillabo

Si tratta di un documento teologico sia nella sostanza che nella forma o tecnica di redazione, nel senso che:

a) consiste in giudizio e valutazione di tesi o idee filosofiche, politiche e sociali, non secondo criteri intrinseci logico-filosofici; non sulla base dell'evidenza o della logica dimostrazione dei rapporti in esse correnti fra soggetto e predicato; né sulla base di effetti ottenibili da loro applicazione in ordine all'individuo o alla società; ma sub specie veritatis revelatoe (alla luce della verità rivelata), in rapporto ai dati della fede: se coerenti o meno, quelle idee e tesi, con le certezze cristiane e se capaci di favorire il cammino della salvezza, di mandare la Chiesa avanti verso Dio "in sé sicura ed anche a lui più fida" (4).

b) È redatto nel linguaggio e nei moduli propri della teologia: di una teologia che si vale delle categorie e dei procedimenti propri della filosofia aristotelico-tomista, recentemente e da Pio IX stesso rimessa in auge nella cultura cattolica.

Ne segue che indebita, impropria, deviante sarà ogni lettura ed interpretazione del Sillabo fuori dell'ottica teologica e senza gli idonei strumenti ermeneutici.

Nell'ambito dei documenti magisteriali teologici il Sillabo costituisce un genere particolare, inusitato e, nel suo insieme, unico. Si tratta, infatti, di un "Elenco dei principali errori dell'età nostra": di un elenco di 80 proposizioni, secche, stringate, essenziali, la più lunga delle quali, la 47 a, è di una cinquantina di parole e le più corte, la 55a, 63a, 74a, di cinque parole.

Le 80 proposizioni, non recano, nessuna, la cosiddetta nota teologica che, cioè, la qualifichi come eretica, temeraria, scandalosa, offensiva delle orecchie pie ecc.; ma sono giudicate e condannate tutte insieme nel Titolo genericamente come errori.

Proprio per questa novità di struttura e anche per il fatto d'essere presentato dal card. Antonelli, autorità non magisteriale; non risultandone, appunto, dalla forma l'autorità e il tipo di assenso da esigere: il Sillabo è legato ad una Enciclica, la Quanta Cura - documento indubbiamente magisteriale - e con essa, in rapporto con essa, va accolto e letto.

Credo che proprio per queste ragioni, e per altra che subito dirò, l'enciclica Quanta Cura contenga essa stessa un elenco di proposizioni errate, il maggior numero delle quali un po' diverse, ma solo sul piano espressivo (e verosimilmente attinte ad una bozza del 1862), recitate però in un tessuto espositorio, dimostrativo e parenetico, mentre il Sillabo è, come già detto, un elenco di proposizioni secche, appena aggruppate sotto dieci titoli o in dieci paragrafi. Reduplicazione senza dubbio cosciente, a far intendere l'inscindibilità del Sillabo dalla Quanta Cura e l'equivalente valore.

3. Di chi le proposizioni?

Ci si potrebbe chiedere, adesso, donde vengano, di chi siano quelle 80 proposizioni che i due Documenti condannano come errori.

Esse sono ricavate dalle Encicliche e da Documenti, molteplici, che Pio IX aveva già pubblicato per esporre insegnamenti vari e segnalare via via opinioni contrarie alle verità professate nella Chiesa. Minuziosamente il Sillabo, e puntualmente, indica, dopo ogni proposizione, le fonti piane di provenienza.

Quanto, dunque, contiene il Sillabo era stato già tutto condannato. E rimane difficile da spiegare, altrimenti che per ignoranza o per malafede, la sorpresa e l'indignazione contro il Sillabo, quando né altrettale né altrettanta se n'era avuta nei confronti delle Encicliche. Di nuovo c'era solo che tanti diversi errori, già singolarmente condannati in diversi Documenti, ora erano elencati e condannati insieme, tutti in una volta in unico Documento.

Ma, pur sapendo che quelle proposizioni errate sono immediatamente desunte da fonti piane, resta da affermare che, in quelle prima e nel Sillabo poi, esse erano pervenute da opere e trattati, o da comportamenti e provvedimenti tradotti in testi, di Illuministi, Razionalisti, Semirazionalisti, Giurisdizionalisti, Socialisti, Massoni, Liberali...; non sempre tali quali erano uscite dalle loro penne, ma riformulate teologicamente ed uniformate stilisticamente.

Così che, tali e quali sono nei Documenti del '64, (Quanta Cura e Sillabo) paradossalmente non sono di altri che dei redattori di questi Documenti; e per gran parte di esse, qualora non soltanto le proposizioni ma i loro assertori si fossero voluti condannare, difficilmente su persone definite, nome e cognome, sarebbe potuta cadere la censura.

Non sarebbe stato meglio, allora, riproporre, anche nel loro contesto immediato, le proposizioni autentiche, cioè del loro proprio e riconoscibile autore?

A parte il fatto che ciò non sarebbe stato sempre possibile essendo non poche tesi ricostruite da fatti, leggi, prowedimenti, per interpretazione, esplicitazione e reductionem ad principia, la ragione della procedura del Sillabo sta nel suo destinatario e nel suo scopo: voleva essere, ed è, un documento indirizzato ai Vescovi al fine pastorale di indicare loro le idee da cui tener lontani i credenti, al fine di indicare gli errori, non di colpire gli erranti, e semmai mettere in causa proprio e solo coloro che precisamente quelle idee e tesi professassero.

4. La religione della libertà

Quanta Cura e Sillabo non si limitavano a questo: a stralciare da contesti immediati delle frasi, a formularne dove mancassero esplicite, a dare a tutte una veste formulare medesima. Riconducevano e riordinavano a sistema proposizioni sparse, slegate fra loro e appartenenti a sfondi ideologici disparati (razionalismo, illuminismo, positivismo storicistico ecc.), in modo da lasciar trasparire e far cogliere, come in filigrana, una tessitura compatta, anzi la matrice remota unica donde tutte promanano. Questa: invece che la religione di Dio (da cui discendono agli uomini diritti e doveri, precetti morali e sociali, salvezza da coercizioni e decadimenti...), la religione della libertà che, intesa come libertà dalla religione, equivale ad assolutizzazione ed infinitizzazione della soggettività, ossia della coscienza, del pensiero, delle libertà individuali.

Non si insisterebbe mai troppo su questa caratteristica di sistematicità dei due Documenti Piani, diciamo pure ormai globalmente del Sillabo: di sganciare le singole e disparate tesi della cultura laica mediottocentesca dai loro prossimi e provvisori contesti storici e locali, per collegarle invece tra loro (orizzontalmente) e radicarle (verticalmente) alla loro comune matrice, e situarle in quello che ritiene essere il loro vero orizzonte: il liberalismo filosofico.

Fu un'operazione metodologicamente necessaria e culturalmente preziosa.

Bisogna infatti ricordare che diversa era nei Paesi Occidentali la accezione di Liberalismo; diverse le idee, i contenuti, i sentimenti, i valori, le prospettive che quell'orientamento e le sue parole d'ordine evocavano.

In Italia si sapeva che Progresso, Libertà e Nuova Civiltà significavano (anche) ferrovie, illuminazione delle strade a gas e tutte le altre migliorie così interessanti per Pasolini, Minghetti, Cavour. Ma gli Italiani probabilmente non ponevano tali cose in cima ai loro pensieri; quei termini nel loro significato controverso stavano per laicismo ed anticlericalismo, soppressione dei conventi e dei monasteri e costrizione ad educazione laica. In Inghilterra invece Progresso e Nuova Civiltà volevano dire anzitutto la grande Esposizione del 1851, mentre Liberalismo era più vicina a quella italiana, significando, per moltissimi, i principi e le gesta della Rivoluzione del 1789. In America, infine, in quella parole si vedeva indicato quanto vi era di più sacro, e rara o assente vi era la connotazione antireligiosa ed anticristiana.

Ebbene, il Sillabo, redigendo le tesi di questo vario Liberalismo e riconducendole a una sola radice:

1) ne forniva una precisa ed esclusiva chiave di lettura e di interpretazione; 2) ne indicava perentoriamente, a chi non se ne fosse accorto, non volesse vedere o intendesse nascondere, ambito e contenuti opposti alla fede e alla morale cattolici.

Come dire che: quelle tesi liberali che - soltanto quelle che e nella misura in cui - si riconducevano ed equivalevano al principio ultimo del liberalismo filosofico anticristiano erano condannate come contrarie alla fede cattolica.

5. Lettura sistematica

Si può comprendere come, concepito e redatto in chiave di sistema, il Sillabo vada letto e giudicato nel suo insieme, ossia: né leggendone e giudicandone le tesi una separatamente dalle altre, né, tanto meno, prescindendo dallo sfondo od orizzonte ideologico, dalla matrice filosofico-teologica, da cui tutte e ciascuna provengono, in relazione a cui tutte e ciascuna pigliano significato.

Perchè si capisca meglio e concretamente, al proposito dirò che talune tesi (così come prodotte nel Sillabo), prese isolatamente - qualora, cioè, non si tenesse conto della sistematicità, del contesto - potevano essere assunte e fatte proprie sia da liberali radicali che da cattolici (liberali e conservatori) e sono oggi accettabili o accettate. Ne traduco (in lessico e sintassi attuali) alcune:

15° Ogni uomo è libero di abbracciare e professare quella religione che, alla luce della ragione, riterrà vera.

16° Praticando qualsiasi religione gli uomini possono conseguire la salvezza.

78° Ovunque a ciascuno per legge deve essere concessa libertà di culto.

18° Il protestantesimo non è che una forma diversa della medesima vera religione di Cristo e in esso, ugualmente che nella Chiesa cattolica, si può piacere a Dio.

(Alcuna di queste proposizioni è stata, addirittura, la rivendicazione vittoriosa del cattolicesimo nei confronti dei regimi comunisti).

Cambia però il senso di queste proporzioni; esse non saranno più accettabili dal cattolico, qualora si leggano - come si hanno da leggere - in correlazione a queste altre:

1° Non c'è nessun Dio distinto dal mondo

2° Non si può ammettere (razionalmente) alcun intervento di Dio sugli uomini e sul mondo

3° La ragione umana non ha bisogno di ammettere Dio; essa è l'arbitra unica del vero e del falso, del bene e del male, ed è totalmente autonoma

4° Tutte le verità religiose sono soltanto verità di ragione

6° Rivelazione e fede contraddicono alla ragione e sono di ostacolo alla perfezione dell'uomo

7° Profezie, miracoli, Sacra Scrittura e Gesù Cristo stesso sono favole e miti

40° La dottrina della Chiesa cattolica è contraria al bene e agli interessi della umanità.

Così pure, fuor di contesto, sarebbero accettabili proposizioni come:

27° Clero e papa debbono essere esclusi da ogni cura e dominio di cose temporali

76° L'abolizione del potere temporale gioverebbe moltissimo alla libertà e prosperità della Chiesa

32° Il clero va giudicato dalla comune magistratura per eventuali reati civili o penali

33° È giusto che anche i chierici facciano il servizio militare

77° Oggi non è più giusto ed utile che la religione cattolica sia ritenuta l'unica religione di stato

55° Chiesa e Stato debbono essere separati.

Diventano invece contrarie alla dottrina cattolica, quando si leggano alla controluce delle proposizioni:

19° La chiesa non è una vera e perfetta società completamente libera, né ha diritti suoi propri che le siano stati conferiti dal suo divino Fondatore; ma spetta al Potere Civile definire quali siano i diritti della Chiesa e i limiti dentro i quali possa esercitarli

20° Il potere ecclesiastico non paò essere esercitato senza il permesso e il consenso del Governo civile

39° Lo Stato, come origine e fonte di tutti i diritti, gode di un diritto tale che non ammette confini

42° Nel conflitto fra legge dello Stato e legge della Chiesa prevale il diritto dello Stato

44° L'autorità civile può intervenire nelle cose concernenti la religione, la morale, la coscienza e l'amministrazione dei sacramenti

49° e dettarne norme circa 1'esistenza, la sostanza

51° e le forme, nonché i beni

54° delle Professioni e degli Ordini religiosi.

Quanto detto sinora è l'indispensabile premessa per un giudizio sul Sillabo più illuminato, più equo di quanti ne siano stati già formulati.

E un verdetto di moda, pronunciato una volta, allora, dopo l'8 dicembre 1864, e ripetuto instancabilmente, acriticamente, purtroppo anche da teologi (da Dollinger, a Kung, ad Hasler, a Tillard, a P. De Rosa) che Pio IX col Sillabo "abbia condannato a suon di elenchi, senza alcun barlume di riflessione ecclesiastico-teologica, le idee fondamentali della civiltà moderna": libertà di pensiero, di stampa, di coscienza, di culto, di ricerca scientifica, esigendo l'incondizionata sottomissione dell'uomo, della scienza, dello Stato all'autorità della Chiesa (5).

In verità la Quanta Cura condanna come "opinione sommamente ruinosa per la Chiesa cattolica e per la salute delle anime - chiamata delirio e libertà di perdizione dal nostro predecessore Gregorio XVI - quella secondo cui:

a) la libertà di coscienza e di culto è un diritto proprio di ciascun uomo. ...

b) i cittadini hanno diritto ad una libertà totale, che non deve essere ristretta da alcuna autorità ecclesiastica o civile,

c) e possano manifestare pubblicamente i loro pensieri a parole, a mezzo stampa, in ogni modo...".

E il Sillabo condanna, nella prop. 3°, il principio per cui la ragione è criterio unico ed autonomo di verità; e, nella prop. 79°, chi non ritiene pericolosa per la fede e per la morale la libertà di pensiero, di opinione e di culto.

6. Giudizio storicizzato

Ma, per capire esattamente queste condanne e non cadere volgarmente in equivoco, bisogna osservare e ricordare l'ultima caratteristica strutturale dei due Documenti piani: quella della storicità.

Il giudizio di Pio IX sulle famose libertà è storicizzato: non verte su quelle in sé e per sé, astrattamente considerate, in assoluto, o come avrebbero potuto intenderle i cattolici; bensì "nel senso preciso in cui le intendevano i nemici della Chiesa" in quel preciso momento storico (6): cioè nella precisa prospettiva del liberalismo illuministico, nell'orizzonte della religione della libertà, nell'accezione e nella interpretazione romantica (fuor d'ogni limite, infinitivamente, sino all'al di là del bene e del male, per dirla in termini di poco dislocati) a cui Quanta Cura e Sillabo le riconducevano.

Chi legge, dunque, il Sillabo come esso richiede, ossia vedendone le proposizioni imbevute dello spirito proprio del liberalismo illuministico, non può più sostenere la reazionarietà di Pio IX relativamente ai principi liberali e progressisti. Vede bene - anche rifacendosi alle Encicliche donde le proposizioni sono estratte, come ad esempio all'Editto del 15-3-1847 dove si distingue accuratamente fra onesta libertà dello stampare dalla dannosa licenza - come il Mastai condanni non i principi in assoluto e in astratto, ma nella concretezza delle circostanze storiche e culturali. Non condanna, ad esempio, la libertà di pensiero, di parole, di stampa, di coscienza e di culto sic et simpliciter, ma respinge la sfrenata libertà di pensiero, quella, cioè, che non riconosce nemmeno la destinazione essenziale del pensiero alla verità, che per un cattolico è, non esclusivamente bensì fondamentalmente, la verità divina rivelata; non la libertà di parola in astratto, ma la libertà di parola che non tenga conto della suggestionabilità dei deboli, degli ignoranti o meno provveduti, e del pericolo di trarli in errore e far perdere loro il beneficio della fede; non la libertà di coscienza e di culto in astratto, cioè di chi non conosca o non sia riuscito, in buona fede, a convincersi della trascendente ed unica verità del Cristianesimo, ma quelle libertà in quanto rivendicate in nome di un totale indifferentismo religioso e di un intransigente agnosticismo...

7. Dottrina cattolica

Vedrebbe, infine, che Pio IX, proprio a titolo della sua responsabilità di Maestro e di Pastore supremo e universale, non poteva procedere che come ha fatto, muovendosi su di un orizzonte culturale diverso, attenendosi cioè alla dottrina cattolica.

Secondo questa, il pensiero ha un limite intrinseco: il consentiment all'essere, l'adaequatio ad rem, l'evidenza o la dimostrazione, la Rivelazione dimostrata possibile e storicamente accertata; la volontà un limite intrinseco: l'adesione al bene come a suo oggetto formale e fine: che poi non è un limite, ma la perfezione; la libertà un limite intrinseco (l'illuminazione dell'intelletto non deviato dalle passioni) e una condizione sine qua non (la dissoggettazione alla violenza cogente delle passioni o alla violenza esterna); la libertà d'espressione un limite intrinseco (l'ossequio alla verità) ed uno estrinseco (il rispetto della coscienza altrui e l'intenzione di far progredire nel vero e nel bene), e via dicendo.

La posta in giuoco era tale, l'urgenza di ristabilire la verità e la libertà cattolica era tanta, che né timore d'impopolarità, né previsione di sconforti e ferite morali poterono trattenere Pio IX dall'intervenire contro quel liberalismo.

Temettero i cattolici liberali - in ciò anche intimoriti dalle interpretazioni di cattolici intransigenti - che fossero state condannate anche le loro idee, d'essere stati anch'essi condannati. Ma ciò che il Sillabo condanna è chiarissimamente indicato: idee e tesi - che riguardino la religione, la Chiesa, i rapporti fra Chiesa e Stato, la libertà, la morale...- in quanto ispirate all'agnosticismo, all'indifferentismo religioso. Se il liberalismo cattolico non era questo, non era condannato.

Il se dipende dal fatto che il cosiddetto liberalismo cattolico comprendeva posizioni molto diverse, difficili da ridurre a denominatore comune. Tutti sostenevano la necessità di conciliazione fra cristianesimo, e libertà e progresso. Ma il modo e i limiti in cui si intendeva quella conciliazione erano molto differenziati, fino a dare, taluni, l'impressione di essere sul punto di scivolare dal terreno delle concessioni pratiche, ammissibili, in quello dell'abbandono dei principi. Pio IX conosceva (non: perse di vista, come direbbe Aubert) la distinzione fra liberali puri e semplici e cattolici liberali. Ma vedeva anche le differenze fra questi ultimi. Si rendeva conto che svolgevano un compito utile e prezioso: di tentare lo sganciamente delle libertà civili dalla matrice illuministica irreligiosa, per assumerle nella civiltà cristiana; ma capiva pure quanto fosse rischiosa una critica interna del liberalismo radicale, che, a sua volta, nulla concedeva al cristianesimo, alla Chiesa. Facessero pure, i cattolici liberali, con molta cautela, la loro opera di ermeneusi e di teologia! Magari avessero trovato una via cristiana a quelle libertà (il vescovo Maret, ma lui solo e inascoltato)! Pio IX sentì che al Magistero ecclesiastico, pontificio, in quel momento e in quella situazione, incombeva altro compito: quello medicinale-pedagogico di indicare e condannare gli errori.

Oggi ci accorgiamo, ad itinerario concluso (e ce lo ha ricordato Giovanni XXIII nella Pacem in Terris) come il liberalismo, anche nato da una filosofia naturalistica, poteva avere una evoluzione non necessariamente incompatibile col cattolicesimo. Ma in quel momento gli si opponeva diametralmente e ab extrinseco, contraddicendone i principi basilari. Non si poteva che respingerlo in tronco, ugualmente ab extrinseco, lasciando magari che le forze vitali del pensiero cattolico, rese più guardinghe e awertite dalla condanna papale, cimentandosi col pensiero liberale, ne valorizzassero l'anima di verità e lasciassero decantare l'errore.

Dispiace constatare come al Silabo abbiano reagito nervosamente - non intendendo il dovere magisteriale e la preoccupazione pastorale del Papa - anche cattolici benemeriti come Montalembert, od abbiano arrecato, in buona fede e al nobile scopo di far smontare l'uragano della contestazione radicale, interpretazioni ingegnose ma sostanzialmente riduttive se non devianti, come il vescovo Dupanloup (7). E dispiace il dissenso di teologi e di storici cattolici attuali, di cui singolarmente espressivo e negativamente esemplare è questo passo:

"Il documento, preparato durante quindici anni, passato per tante redazioni successive, oggetto di tante discussioni, non era riuscito a precisare in modo chiaro gli errori del tempo; e se aveva il merito di ribadire ancora una volta l'ordine soprannaturale, non rispondeva agli interrogativi sempre più urgenti sui limiti della libertà. Alla radice di tutte le ambiguità del Sillabo, che provocarono discussioni largamente inutili e costituirono un grave handicap di libertà di coscienza, sta l'assoluta mancanza di prospettiva storica e concreta dei consultori romani, e l'univocità con cui essi intendevano la libertà di coscienza. Per essi, come per Gregorio X VI, questa era solo un corollario dell'indifferentismo; sarebbe stato necessario un secolo per ricordare e accettare altri significati, ben diversi, della libertà di coscienza, fondata sulla dignità della persona umana.

Intanto cattolico-liberali e intransigenti, sia pure con qualche sfumatura nuova, rimanevano sulle posizioni di prima: il Sillabo aveva fallito il suo scopo" (8). (Martina)

8. Validità della ragione

Purtroppo per chi tali righe ha vergato, non ci sono ambiguità nel Sillabo, né ci fu mancanza di prospettiva storica in chi lo propose. E quanto all'univocità non è da addebitare meno ai liberali di quanto non la si rimproveri ai cattolici.

Infine, il Sillabo non ha fallito il suo scopo. Volle essere, e fu, la condanna di errori. E all'uomo serve che gli si additi l'errore non meno di quanto gli occorra la proposta della verità. Così il Sillabo concorse a che la cultura liberale evolvesse in senso non anticristiano, si lasciasse, anzi, permeare in profondità dalla tradizione cristiana.

È vero però che da quell'8 dicembre acre si fece il rancore dei liberali contro il papa del Sillabo, e risentita, amara, non scevra di riserve l'adesione alla Chiesa dei cattolici moderati, deluso l'amore e l'entusiamo verso il papa, che si sarebbe atteggiato a nemico della civiltà moderna, ad anacronistico ripropositore della ierocrazia di un Innocenzo III, di un Bonifacio VIII.

Ma non sarebbero passati cinque anni (1870: Concilio Vaticano I) che si sarebbe potuto capire come, paradossalmente, proprio dentro la cultura dell'Ottocento, donde più fervido pareva levarsi l'inno alla Ragione, se ne delimitava difatto il raggio e la portata d'azione; e proprio da parte di quel magistero ecclesiastico, da parte di quella fede cristiana che dal Razionalismo era stata messa in stato d'accusa, da parte di quel Pio IX che col Sillabo avrebbe negato libertà al pensiero, ne sarebbe venuta la più alta riaffermazione.

Qual era poi quella libertà del pensiero che tanto fieramente si conclamava e reclamava, da paventare oppositori anche dove non erano? Qual era poi questa già dea Ragione, in nome della cui sovranità e indipendenza tanti credevano di dover combattere contro la Chiesa di Pio IX?

Ma non l'aveva già, proprio Cartesio, il padre del Razionalismo, disancorandola dall'essere, ripiegata narcisisticamente su se stessa e costretta nella camicia di forza delle idee innate? E non erano proprio l'Illuminismo, il Criticismo Kantiano e, poco più tardi, al tempo di Pio IX, il Positivismo a tagliare le ali alla Ragione ed a rinchiuderla, lei che aveva spaziato per i cieli amplissimi della metafisica, dentro le sbarre sicure ma anguste della esperienza? E non era stato -recente e tuttora vitale al tempo del Sillabo - il Romanticismo a scoronare la Ragione del primato, del ruolo di misura e di guida nell'ambito delle facoltà umane, attribuendolo invece al sentimento, all'irrazionale? Ed anche l'Idealismo, nella pretesa di restituire infinità alla Ragione, non potrà far altro che insediare l'irrazionale nel centro dello spirito.

L'inno al pensiero si smorzava, alla fine dell'Ottocento, in necrologio. Ormai al tanto deprecato dogmatismo succedevano problematicismo, relativismo, scetticismo (oggi il pensiero debole). E se il pensiero era stato sempre riconosciuto l'originale titolo di nobiltà dell'uomo, la dichiarata (non da Pio IX!) miseria del pensiero non avrebbe potuto che avviare all'umiliazione dell'uomo: agli orrori delle guerre e poi dei campi di sterminio, delle dittature, della miseria di interi continenti. E quando l'uomo non crede più in se stesso, non ha più fiducia nel pensiero, non ci si illuda che sia il momento della fede, dell'abbandono in Dio! Vana è la fede che pretenda innalzarsi sulle rovine, sulle ceneri della ragione.

Tanto più umana ed utile all'uomo, la fede, quanto più forte si regge e s'innalza sulle spalle della ragione ("fundamenta eius in montibus altis").

Pio IX comprese che per esaltare la fede occorreva riconoscere, ridare fiducia alla ragione, memore - lui, promotore della ripresa della filosofia scolastica - del grande effato tomistico: "fides non potest universaliter praecedere intellectum : non enim po s set homo as senti re credendo aliquibus propositis, nisi ea aliqualiter intelligeret" (la fede non può sempre e in tutto precedere la comprensione dell'intelletto: non potrebbe infatti un uomo assentire col credere a qualcosa che gli venga proposto, se non potesse in qualche modo capirlo) (9).

E uscì dal Vaticano I - da quello stesso Concilio da cui usciì il dogma dell'infallibilità del papa, in cui volle vedersi l'atto conclusivo del Sillabo, la condanna finale della libertà di pensiero, sacrificata all'autorità assoluta di una testa sola - uscì dal Vaticano I la Costituzione dogmatica Dei Filius, in cui si riconosce alla ragione: di essere fatta per la verità, di potersi elevare alla conoscenza di Dio, di poter dimostrare possibilità e fatti che sono al fondamento della fede e in cui si afferma, non solo l'impossibilità di opposizione, ma l'aiuto reciproco fra fede e ragione, e si conclude:

"è tanto lontano dall'intenzione della chiesa di opporsi al progresso della scienza, da aiutarlo e promuoverlo anzi in molti modi. Non ignora, infatti, né disprezza i vantaggi che ne derivano agli uomini; riconosce anzi che, come sono uscite, le scienze, da Dio, così possono a Dio ricondurre. E tanto meno vieta che tali discipline nel loro proprio ambito usino principi e metodi propri; ma riconosce questa loro giusta libertà; ed accuratamente si preoccupa che l'umano sapere non introduca in sé l'errore con l'opporsi alla dottrina rivelata..." (10).

Così parlavano i teologi del Vaticano I, quelli stessi che avevano collaborato al Siltabo. Così diceva, sottoscriveva, avvolorava Pio IX, lo stesso papa che aveva emanato il Sillabo (non a contraddire, bensì a far capire il senso genuino di quel non lontano Documento).

9. Chiesa e Liberalismo oggi

Credo ci siano ragioni a che storici e teologi convengano esser effetto di ingenua e sprovveduta lettura del Sillabo l'opinione, e l'accusa a Pio IX, che egli abbia, condannando il Liberalismo del suo tempo, isolato la cultura cattolica dal mondo contemporaneo, provocato chiusure e ritardi che nemmeno il Vaticano II sarebbe riuscito a superare, gettato le radici della grave crisi del cattolicesimo d'oggi. Pio IX è stato quello che doveva essere, e così il Sillabo. La condanna di quel Liberalismo dipende dalla sua intrinseca incompatibilità col cattolicesimo: non con quel cattolicesimo - con una presunta interpretazione riduttiva o medievale che ne avrebbe data Pio IX -, ma con il cattolicesimo, del quale come Papa garantiva l'autenticità.

Se fosse vero che, dopo Pio IX, Paolo VI e il Vaticano II hanno rappresentato la tardiva realizzazione del cattolicesimo liberale - quello che temette d'essere condannato, anche lui, dal Sillabo - cercando di governare la modernità, sarebbe anche vero che la crisi dei comunismi e la sconfitta del materialismo di Stato consentono alla Chiesa di concentrare la sua attenzione contro l'avversario tradizionale, figlio dei Lumi e del 1789: consentono, cioè, a papa Wojtyla di improntare il suo magistero all'antica polemica contro il liberalismo, che egli identifica oggi con la secolarizzazione, il consumismo, il primato di valori terreni...

E se oggi la Chiesa cattolica - rinnovando la strategia rispetto a quella di Pio IX - non si riduce alla pura opposizione al secolarismo, figlio naturale del liberalismo filosofico, ma utilizza molti strumenti messi a punto dalla democrazia liberale (dalla rivendicazione dei Diritti Umani -elemento centrale del Magistero attuale - alle libertà civili: di pensiero, di stampa, di coscienza, di culto..., ai principi del diritto internazionale, ad alcuni meccanismi del capitalismo - cf. la "Centesimus annus", - ciò non si deve al fatto che il cattolicesimo si sia ravveduto nei confronti del Liberalismo o che il cammino della storia abbia smentito Pio IX, ma semplicemente al fatto che oggi abbiamo a che fare con un liberalismo economico e politico che in gran parte si è liberato dalla matrice filosofica illuministica e romantica. Abbiamo a che fare con un altro liberalismo rispetto a quello cui dovette opporsi il nostro papa Mastai.

Difficile dire se questo sarebbe stato il cammino del liberalismo senza il Sillabo. È certo, comunque, che Pio IX non ha rallentato, ma mantenuto nella giusta rotta il cammino della Chiesa.

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Mencucci A. , Brunetti M. (a cura di), Atti senigalliesi nel Bicentenario della nascita di Pio IX, Senigallia, 1992, pp. 25-37.

Fonte: PIO IX (http://www.papapionono.it/sillaboemoder.html)

http://www.papapionono.it/images/piononoasenigallia22.JPG Corpo di Pio IX a Senigallia il 2 febbraio 2001

http://www.catholicism.org/images/pope_pius_IX.jpg

http://www.villadiana.dk/images/OT272.JPG

Augustinus
08-02-04, 14:52
Reazionario? Ma nel 1864 mettere in guardia dai pericoli delle ideologie più funeste del '900 era addirittura profetico

"Pio IX lanciò un monito contro tutti gli "ismi" e solo noi, uomini del 2000, possiamo apprezzarne la lucidità"

L'8 dicembre 1864, lo stesso giorno in cui dieci anni prima era stato proclamato il dogma dell'Immacolata Concezione, veniva pubblicata l'enciclica Quanta cura. Recava annesso un catalogo (in latino Syllabus) di dottrine, idee, teorie e affermazioni che la Chiesa condannava.
Fosse uscita da sola, l'enciclica avrebbe avuto un effetto meno dirompente: si sa, le encicliche sono generalmente prolisse, avvolte in uno stile solenne e severo che stempera in qualche modo il rigore delle affermazioni. Ma quel repertorio di brevi proposizioni, secche, precise, terribili, ebbe l'effetto di un macigno piombato in un negozio di specchi. Non potevano esservi dubbi, né vi era spazio per erudite controversie di teologi: quelle 80 frasi erano lì, nero su bianco, seguite dal richiamo ai pronunciamenti pontifici che le fulminavano. Un pugno diretto allo stomaco del mondo moderno (anzi, al suo cuore), così come esso si era venuto sviluppando negli ultimi due secoli. La semplice impostazione di condanna (La Chiesa condanna chiunque affermi questo e quest'altro...) costituiva una sorta di prontuario per il credente: gli bastava fare il contrario per essere nella verità cattolica. Solo che in quel documento c'era l'universo intero, lo spirito della modernità era folgorato in toto, né rimaneva quasi spazio per altro.
In genere si dice che a chi crede bastano poche parole; è chi non crede o per quelli paucae fidei che, sempre in genere, "questo linguaggio è duro" (Gv 6,60). Duro, quello del Sillabo, lo era senz'altro; ma, altrettanto sicuramente, chiaro ed efficace. Infatti, all'epoca tutti capirono perfettamente. E da allora le cose non sono più state le stesse, con implicazioni e complicazioni che tuttora perdurano, a 136 anni di distanza. Molti cattolici, infatti, considerano il Sillabo una sorta di scheletro nell'armadio, un momento della loro storia di cui vergognarsi e scusarsi. Per mettere in difficoltà un cattolico in una discussione basta a un certo punto scagliargli in faccia un "E il Sillabo?". Di solito l'effetto che si ottiene è paragonabile a quello, terroristico e paralizzante, che si aveva quando, in tempi neanche tanto remoti, si dava del "fascista" a qualcuno.
Coloro che, quasi un secolo e mezzo fa, sostennero e difesero quel documento sono considerati, nella migliore delle ipotesi, "anime povere di vita che non sapevano nulla dei vasti orizzonti del mondo moderno". L'affermazione è di uno storico laico, Gabriele Pepe, ed è contenuta in un libretto dal titolo: Il Sillabo e la politica dei cattolici. Non vi sarebbe niente di strano, rispetto ai giudizi ancora correnti sul Sillabo, se queste parole non fossero datate Capodanno 1945, cioè a pochi mesi dalla fine dell'incubo peggiore che il "mondo moderno" (anzi, il mondo tout court) avesse mai conosciuto. Dopo lo spaventoso carnaio della seconda guerra mondiale, dopo i lager, dopo Hiroshima, dopo le purghe sovietiche, dopo l'Europa ridotta a un cumulo di rovine fumanti, forse era davvero il momento di chiedersi se il Sillabo non avesse avuto per caso ragione.
Se cioè, quel vecchio Papa che un secolo prima era stato "sconfitto dalla storia" non avesse voluto lanciare un grido profetico alle generazioni presenti e future; un ultimo grido disperato, una messa in guardia tagliente e forte contro le ineluttabili conseguenze di certe premesse, contro gli abominevoli frutti che sarebbero cresciuti sui tronchi delle ideologie; un monito contro tutti gli "ismi" che si presentavano, allora, radiosi e gravidi di futuro. Se c'è qualcuno che può veramente capire e apprezzare la lucidità del Sillabo, quelli siamo proprio noi, uomini del Duemila. Noi, che possiamo mettere in fila e valutare tutti i disastri che sono venuti dopo e che hanno avuto come portato finale l'epoca in cui viviamo, contrassegnata dal nichilismo e dal rifiuto della vita. Il secolo seguito al Sillabo è stato definito, nella migliore delle valutazioni, "breve". Ma anche "del male" e "dei martiri", nonché "della morte di Dio" che ha portato con sé quella "dell'uomo". Si noti che tutte queste definizioni sono rigorosamente di mano laica. Man mano che si spegne la luce portata dal Cristo (riflessione del cardinale Ratzinger), tornano superstizione e schiavismo, suicidi e violenza diffusa, il vizio premiato e la virtù derisa...
Ma è inutile fare l'elenco: basta leggere la cronaca quotidiana. Il sottofondo comune è la paura, paura del presente e, soprattutto, del futuro. Dalla stessa scienza si prendono le distanze: la diffusa preoccupazione ecologica e la sfiducia nella medicina ufficiale valgano per il tutto. Ma è una paura che gli uomini dell'Ottocento, abbagliati dalle promesse degli "ismi", non avevano. Anzi. In una parte di certo mondo clericale è invalso oggi l'uso di qualificare come "profetici" gesti, atteggiamenti, parole che altri potrebbero trovare, piuttosto, opinabili o magari, in qualche caso, insignificanti. "Profetico" vuol dire "capace, per ispirazione, di vedere e rivelare il futuro". Quanti, di quelli che criticano il Sillabo, possono dire di averlo letto e, magari, studiato? Forse troverebbero che quel vituperato e negletto documento della Chiesa docente fu realmente "capace, per ispirazione, di vedere e rivelare il futuro". Certo, non c'è scritto, per esteso, che il comunismo finisce invariabilmente nei gulag. Ma non è profetico già il solo averne inserito la voce nel 1864? Si faccia caso alla data; il Manifestocominciò a circolare clandestinamente solo durante la Comune di Parigi del 1871.
Certa storiografia, anche di parte cattolica, ha opposto per lungo tempo il magistero di Leone XIII a quello di Pio IX, tanto "chiuso", questo, nei confronti del mondo moderno quanto quello sarebbe stato "aperto". Eppure fu proprio Leone XIII, quando era l'arcivescovo di Perugia Gioacchino Pecci, a lanciare l'idea di un Sillabo fin dal 1849, e a battersi e insistere affinché un "catalogo" di errori venisse stilato a modo di vademecum riassuntivo. Leone XIII lo si cita a proposito e a sproposito come il Papa della Rerum Novarum, senza mai ricordare che la terza parola dell'enciclica è cupiditas: "il desiderio smodatodi novità...". Così comincia, con una condanna perfettamente in linea con quelle del predecessore, la famosa enciclica leoniana.
Giudicare il Sillabo senza conoscere niente del clima in cui maturò è come deridere i fucili ad avancarica avendo l'occhio sulle moderne armi al laser. Il susseguirsi degli eventi storici e la modifica di alcuni dati di partenza ha reso possibile alla Chiesa l'accantonamento e addirittura la rimozione di molte delle condanne contenute nel Sillabo. Ma quello scarno elenco vide la luce in una cittadella assediata e prossima alla fine, mentre antichissimi diritti venivano irrisi e schiacciati in nome di un "Progresso" che oggi non pochi storici - anche laici - cominciano a vedere nella sua giusta luce anche di sopraffazione politica e ideologica. Nessuno più osa negare che, a partire dai philosophes settecenteschi, la Chiesa da cui uscì il Sillabo aveva dovuto affrontare il giacobinismo, il bonapartismo e infine il liberalismo virulentemente anticattolico risorgimentale. Inquadrato storicamente, il Sillabo rivela, nel suo linguaggio, tutto l'orgasmo e l'angoscia di chi vedeva un mondo finire forse per sempre.
Ma lo studio sereno e pacato non potrà non rivelare in esso il grido - ripetiamo, profetico - di un pastore che dice al suo gregge: state attenti, quel che vi sembra "sol dell'avvenire" si rivelerà puro veleno. La beatificazione in contemporanea di due papi, Pio IX e Giovanni XXIII, mostra tangibilmente che la Chiesa è sempre la stessa; cambia solo il modo di predicare un identico messaggio a uomini di epoche differenti. Ma è quanto meno singolare osservare quante voci si sono levate a dichiarare il "gradimento": questo Papa sì, quello no; ultima - ieri su La Repubblica - quella dello storico "laico" Lucio Villari. Tanto per cambiare, i più critici sono quelli a cui le beatificazioni dovrebbero importare meno, visto che sono dichiaratamente i più distanti dal credo cattolico.
Ma chiunque abbia esperienza di dialogo sa che i difensori della "tolleranza" diventano virulentemente intolleranti quando sono i loro dogmi a venir messi in discussione. La "libertà" deve dunque venire difesa anche da se stessa? Deve essere tutelata a qualunque costo anche dalle critiche che essa stessa potrebbe generare? Ecco un bel paradosso su cui il pensiero cosiddetto laico potrebbe più utilmente esercitarsi anziché cercare di insegnare alla Chiesa il suo mestiere.

Rino Cammilleri

Avvenire - 26 agosto 2000

Fonte: Contro la leggenda nera (http://www.kattoliko.it/leggendanera/risorgimento/sillabo.htm)

Augustinus
08-02-04, 14:54
Scorro una di quelle pubblicazioni presentate come di "incontro" tra cristianesimo ed ebraismo, mentre spesso si risolvono in un affannarsi di cristiani di oggi per attribuire ai cristiani di ieri tutte le infamie antisemite della storia. Già l'osservammo, qui: proprio quelli che più dicono di avere a cuore la giustizia si preoccupano solo dei loro contemporanei, dimenticando che c'è un dovere di giustizia anche verso coloro che ci hanno preceduti. Occorre essere giusti non solo verso i vivi, ma anche verso i morti: anzi, più che mai verso questi, perché non possono difendersi; e soprattutto se si tratta di fratelli in una fede della quale non solo noi (checché ne pensi la nostra risibile superbia di moderni) abbiamo capito da poco le esigenze. Nella pubblicazione cui mi riferisco, dei cattolici inveiscono tra l'altro contro la Chiesa ottocentesca che avrebbe compiuto scelleratezze come, testualmente, "il sequestro del figlio agli sventurati coniugi Mortara". Si dice che si tratta di una ignominia, per la quale si chiede perdono, promettendo che questo non potrà più avvenire. Ma allora, proprio per amore di verità e, dunque di giustizia, andiamo a vedere che cosa fu esattamente questo "caso Mortara" che riempì le gazzette ottocentesche di mezzo mondo e provocò addirittura passi diplomatici e interventi infiammati nei parlamenti d'Europa e delle Americhe. Ora l'episodio sembra dimenticato, ma di tanto in tanto càpita di ritrovarlo evocato. Non sarà dunque inutile informare i lettori dei dati corretti di un "caso" doloroso e drammatico, ma con un finale a sorpresa che - guarda caso - non è mai citato dagli accusatori.

Girolamo Mortara Levi, ricco mercante ebreo di Bologna (allora negli Stati pontifici) ebbe nel 1851 dalla moglie, anch'essa ebrea, un figlio cui fu dato il nome di Edgardo. A undici mesi il bambino fu colpito da una gravissima malattia, per cui fu dato per ormai spacciato. Credendo che la morte fosse questione di ore, una domestica cattolica al servizio dei Mortara amministrò di nascosto (e di sua iniziativa, senza consultare alcuno) il battesimo al piccolo. Il quale ebbe però una sorprendente ripresa e tornò alla salute. Nel 1858 - quando Edgardo aveva 7 anni - una donna si presentò spontaneamente all'autorità ecclesiastica di Bologna per informare del caso. L'arcivescovo fece svolgere un'inchiesta minuziosa che constatò che il battesimo era sì illecito perché amministrato senza il consenso dei genitori, ma era valido, secondo la teologia e il diritto canonico. Dunque, con quel "segno oggettivo" che è il battesimo, il piccolo Edgardo era stato inserito - mistericamente ma realmente - nella comunità cristiana. Così, il bambino fu tolto ai genitori (cui fu data peraltro ogni facoltà di visitarlo quando volessero) e, a spese del papa stesso Pio IX, fu ospitato in un collegio romano. Gli ebrei piemontesi denunciarono il caso all'opinione pubblica prima interna e poi internazionale. La protesta, violentissima, partì dal Regno di Sardegna, perché il caso faceva molto comodo alla polemica contro il potere temporale dei papi: "Fino a quando i preti avranno responsabilità di governo saranno possibili barbarie del genere".

Anche fuori d'Italia il caso, come accennammo, ebbe risonanze immense e gli ambasciatori facevano pressione su Pio IX, il quale, pur confessando la sua sofferenza, rispondeva di non poter agire diversamente, rimarcando tra l'altro che il caso increscioso aveva avuto origine da una illegalità dei Mortara. In effetti, le leggi dello Stato pontificio proibivano agli ebrei di assumere personale di servizio cattolico: e non certo (come sarà per nazisti e fascisti) per questioni "razziali", ma perché l'esperienza aveva dimostrato che in simili casi potevano nascere non solo pericoli per la fede dei domestici cristiani, ma anche situazioni drammatiche come quella verificatasi appunto a Bologna. Conformandosi al pensiero dei Padri, e poi dì san Tommaso, la Chiesa aveva sempre proibito che i figli minorenni di ebrei fossero battezzati senza il consenso dei genitori: l'autorità paterna (quale che sia la fede dei genitori) è un principio del diritto naturale che è tra i capisaldi del sistema cattolico. Ma il caso Mortara investiva il diritto soprannaturale: il battesimo validamente amministrato rende "cristiani" ex opere operato, imprime il carattere indelebile di "figlio della Chiesa". Non è la fede dei genitori, è la fede della Chiesa che - nel battesimo - è imputata al bambino. Dunque, poiché valida anche se illecita, l'azione di quella domestica (convinta che il piccolo stesse per morire) rendeva la Chiesa stessa come prigioniera del suo dovere di non respingere quel suo figlio inaspettato e di assicurargli un'educazione cristiana. Proprio per evitare questi casi, i papi avevano moltiplicato le condanne contro "battezzatori" irresponsabili e avevano preso cautele.

Nel 1860, Bologna era annessa al Piemonte con un colpo di mano e il colonnello della gendarmeria pontificia che aveva materialmente tolto Edgardo ai genitori veniva arrestato e tratto in giudizio. Ma il piccolo era ormai a Roma e non sì poteva dunque liberarlo. L'occasione venne dieci anni dopo, con la breccia del venti settembre. Il giovane Mortara aveva ormai 19 anni, ma ai "piemontesi" precipitatisi nel convento dove pensavano fosse prigioniero, toccava la delusione dì sentirlo affermare che non solo non intendeva rinunciare alla sua vita cristiana, ma aveva deciso di farsi religioso nei Canonici Regolari Lateranensi. Risultò anche che due anni prima le autorità pontificie intendevano rimandarlo presso la sua famiglia, avendo ormai conosciuto bene il cristianesimo e potendo dunque scegliere liberamente. Ma era stato lui stesso a rifiutare. Anzi, proprio nella Roma dove i "liberali" che volevano prendere le sue difese sopprimevano le congregazioni religiose e i monasteri erano trasformati in stalle, caserme, prigioni, Edgardo Mortara (che aveva aggiunto al suo nome quello di Pio, in omaggio al papa che lo aveva fatto allevare nella Chiesa) sceglieva liberamente la via del sacerdozio. Ancor più: la sua insofferenza verso i "liberatori" fu tale che rifiutò ostinatamente di rispondere alla chiamata di leva nell'esercito italiano. I superiori dovettero farlo riparare all'estero, dove divenne apprezzato insegnante dì teologia e famoso predicatore. In grado di parlare in nove lingue moderne, fu instancabile annunciatore del vangelo in molti Paesi, tanto che alla sua morte qualcuno propose il processo di beatificazione. In particolare, dedicò i suoi sforzi alla conversione degli ebrei. In occasione del cinquantesimo anniversario della sua ordinazione sacerdotale, nel 1933, indirizzò proprio al popolo nel quale era nato un appello perché riconoscesse la verità del vangelo, dove diceva di avere trovato ciò che la sua anima religiosa di ebreo andava cercando. Morì a quasi novant'anni, nel 1940, in un monastero del Belgio. Sin sul letto di morte ebbe espressioni di tenerezza per i fratelli in Abramo e di ansia perché tardava il loro ingresso nella Chiesa.

Storia drammatica e singolare, dunque, ma con un lieto fine, malgrado tutto. Una di quelle vicende in cui sembra di vedere all'opera un Dio che "sa scrivere dritto anche su righe storte". Non sarà inutile, per finire, ricordare le parole di Giacomo Martina, storico attento e pacato: "Mentre alcuni cattolici e quasi tutti i protestanti si stracciavano le vesti per la ferma volontà di Pio IX di educare nella religione cattolica chi vi era stato battezzato, nessuno protestava per l'aperta e violenta coazione nei territori polacchi soggetti alla Russia (ma anche in Inghilterra e nei Paesi scandinavi) a danno della libertà religiosa dei cattolici".

© Le cose della vita, San Paolo, Milano 1995, p. 322.

Fonte: Contro la leggenda nera (http://www.kattoliko.it/leggendanera/risorgimento/mortara.htm)

Augustinus
08-02-04, 14:56
Verso il 10 aprile di quest’anno due "grandi vecchi" che hanno influito, eccome, sulla vita italiana si sono incontrati epistolarmente sul maggior quotidiano nazionale, il Corriere della Sera (per gli amici, Corsera ). Si tratta rispettivamente del politico e del giornalista per antonomasia, Giulio Andreotti e Indro Montanelli, due personaggi che possono permettersi il lusso di parlare della storia del Novecento in prima persona. Tutti gli avvenimenti più importanti dalla Seconda Guerra mondiale - compresa - in poi, tutte le figure di rilievo internazionale che oggi campeggiano sui manuali dei licei compaiono nei loro personali amarcord . L’incontro tra i due si è realizzato nella Stanza di Montanelli , la rubrica quotidiana di dialogo con i lettori che il grande Indro tiene sull’anzidetto giornale. L’iniziativa è partita dal divo Giulio, il quale sornionamente aveva chiesto conto di una reiterata avversione montanelliana per Pio IX, la cui beatificazione è attesa per il 3 settembre prossimo. Dopo l’usuale scambio di cordialità, il Montanelli ha risposto che, sì, forse era stato troppo severo col Mastai-Ferretti, il quale sarà anche stato un buon prete, perchè no, ma come papa si era troppo implicato di politica. Anzi, il suo lunghissimo pontificato (uno dei più lunghi della storia), era stato talmente e inestricabilmente intrecciato con la politica, interna e internazionale, del tempo da rendere indistinguibile la persona dal suo ruolo. Detto ciò, il Montanelli ribadiva a tutte lettere le sue riserve sulla beatificazione di un personaggio simile, beatificazione che avrebbe indubbiamente significato anche la beatificazione di quanto quel papa fece. E cosa fece di non beatificabile? Si mise contro la Storia (Montanelli l’ha scritta così, maiuscola).

Ora, siccome è noto a tutti che la Storia sta con chi vince (come Hegel insegna), grave colpa è sempre quella di non saper fiutarne in tempo il "senso" (qualcuno ha autorevolmente sostenuto che non c’è concetto più grondante di sangue di quello di "senso della Storia"). Pio IX, visto che ormai i cannoni piemontesi urgevano su Porta Pia, per non essere antistorico avrebbe dovuto cedere volontariamente lo Stato pontificio al Piemonte. Anzi, fin dai primi sussulti risorgimentali avrebbe dovuto proclamare urbi et orbi : signori miei, qual’è il problema? vi serve Roma? vi serve il Quirinale? potevate dirlo subito! eccolo qua, prendetevelo, io me ne vado perchè il vento della Storia soffia in direzione di un’Italia unita, monarchica, centralizzata alla giacobina e anticlericale; e scusate per il disturbo arrecato in tutti questi secoli. Che direste se un gruppo di persone armate vi sfondasse la porta di casa e vi dicesse che, per il bene di tutti, dovete sloggiare per permettere loro di installarsi al vostro posto? Pio IX aveva un "patrimonio di Pietro" quasi bimillenario da difendere. Di fronte, solo il nazionalismo, l’ultima moda politica del momento; moda destinata, come tutte le mode, a dissolversi nel giro di qualche decennio (cosa che puntualmente avvenne). Ma, a parte ciò, il problema è un altro: il giudizio sull’operato pubblico di un cristiano può inficiarne la personale santità? In altre parole: un santo deve essere, oltre che eroicamente cristiano, anche infallibile ? Ci sono santi che hanno preso cantonate grosse come case, eppure sono santi. Per esempio, s. Vincenzo Ferrer fu fedele al papa sbagliato in un’epoca in cui ce n’erano tre, al tempo del Grande Scisma d’Occidente. Questo non gli ha impedito di venire proclamato Dottore della Chiesa. Altri due Dottori, s. Tommaso d’Aquino e s. Bernardo di Chiaravalle, sull’Immacolata Concezione di Maria avevano grossi dubbi. Eppure si tratta di un dogma, e non dei minori (tra parentesi, proclamato proprio da Pio IX). Se si va, poi, a fare le pulci alle mosse politiche di un papa, allora bisogna cominciare dall’apostolo Pietro, dei cui svarioni il Vangelo e gli Atti degli Apostoli sono pieni. Ora, per quanto riguarda la personale santità di Pio IX, un’occhiata all’Osservatore Romano del 9 aprile (il giorno prima, dunque, del 10) avrebbe forse chiarito un po’ le idee.

L’autorevole foglio ufficioso della Santa Sede riportava in tale data la notizia che ben cinque giorni prima si era svolta una singolare cerimonia nella cripta della Basilica romana di San Lorenzo al Verano. Era stata eseguita una ricognizione ufficiale del corpo di Pio IX, che lì riposa dal 1881; tre anni dopo, cioè, la sua morte, avvenuta il 7 febbraio del 1878. Com’è consuetudine vaticana prima di ogni beatificazione, il corpo del beatificando viene esumato alla presenza del postulatore della causa (monsignor Brunero Gherardini) e di molti altri personaggi. C’erano i padri cappuccini, custodi ufficiali delle spoglie del pontefice di Senigallia (dove Pio IX nacque il 13 maggio 1792), con i loro superiori. C’erano anche il professor Arnaldo Capelli, anatomo-patologo della facoltà di Medicina dell’Università Cattolica del Sacro Cuore in Roma, e il dottor Nazareno Gabrielli, del Laboratorio dei Musei Vaticani: la voce della scienza. Ebbene, il corpo di Pio IX è risultato ancora incorrotto. E sono passati ben centoventidue anni. Nella precedente ricognizione, avvenuta tra il 25 ottobre e il 24 novembre 1956, sotto il pontificato di Pio XII, il risultato era stato lo stesso: il corpo si era presentato assolutamente intatto.

L’articolista descrive lo spettacolo che si è presentato agli occhi dei convenuti: "Un uomo dotato di una spiccata umanità, di una impressionante dignità distesa e resa più significativa dalla serenità del volto incorrotto nella silenziosa maestà della morte". L’ultima discendente superstite di quel quel papa, la principessa Patrizia Torlonia, non ha potuto trattenere lacrime di intensa commozione: "Lei stessa ha dunque potuto constatare la perfetta conservazione del corpo del Pontefice". Il cronista non ha mancato di rilevare soprattutto "quel certo indefinibile e amabile sorriso impresso sul volto del Pontefice dormiente", che "ha sorpreso e incuriosito gli astanti". Insomma, un cadavere intatto dopo un secolo e mezzo è un segno esplicito della Provvidenza. Per chi vuol credere.

La Voce Borghese-giugno 2000

Fonte: Contro la leggenda nera (http://www.kattoliko.it/leggendanera/risorgimento/camm_pioix3.htm)

Augustinus
08-02-04, 14:58
Demonizzato da certa cultura dominante, il Sillabo di Papa Pio IX denuncia con coraggio profetico gli errori della modernità. Va rivalutato: seguendolo, avremmo evitato i totalitarismi e gli orrori della nostra epoca

Nel 1864, come appendice all'enciclica Quanta cura, Pio IX pubblica l'elenco delle proposizioni che aveva già esplicitamente condannato nei suoi precedenti interventi. È il Sillabo, raccolta delle proposizioni che descrivono il soggetto moderno e il suo procedere. In verità, ci sono condizioni obiettive in cui questo documento matura.

Il cattolicesimo, in Europa, appariva diviso. Anzitutto, c'erano i Paesi cattolici aperti al dialogo con la modernità, democratici, progressisti, costituzionali, come il Belgio, preoccupati di salvare alcuni aspetti positivi della modernità, come l'evoluzione di tipo critico, scientifico, tecnologico, la maggiore partecipazione alla vita politica e alle le realtà presenti nella società. Ma in tale dialogo, questi cattolici costituzionalisti correvano il pericolo di far proprio il progetto della modernità.

In secondo luogo, c'erano i tradizionalisti, gli ultra-montani, i papisti, che avevano chiara consapevolezza dell'alternativa tra cattolicesimo e modernità, ma che rischiavano di avere come ideale la difesa del passato, di un determinato momento della storia della cristianità occidentale, quando la religione cattolica era la forma della personalità, non in modo assoluto o perfetto, ma in modo sostanzialmente evoluto e intensamente amato, e quindi influente nella vita della società.

Il Sillabo va oltre questi condizionamenti e circostanze; nasce dentro questi stessi condizionamenti, ma è uno sguardo acutissimo portato alla posizione sostanziale dell'avversario, uno sguardo proteso al futuro, per comprendere gli esiti di quella posizione, conscio che se si mette alla base della cultura di una società un'idea sbagliata di uomo, presto o tardi la storia ne dimostrerà l'errore.

Con il Sillabo il Magistero prende coscienza dell'alternativa: certo, è presupposta un'altra concezione dell'uomo, della realtà, della vita sociale e politica, con cui non ci si può più identificare, da cui si deve prendere le distanze. Nella coscienza di questa differenza di concezioni, vi sono le condizioni per comprendere gli oltre cento anni che intercorrono tra il Sillabo e noi, durante i quali il Magistero sociale ha sempre cercato il dialogo con il suo tempo, dialogo doloroso e inquieto, ma che ha salvato certi valori non solo per i cristiani ma per tutti. Il Sillabò, dunque, rappresenta il punto di massima penetrazione, da parte della Chiesa, nella sostanza dell'avvenimento moderno (intendendo per avvenimento moderno il soggetto, il progetto moderno) e così stabilisce un'alternativa tra la Chiesa e la modernità, che nasce dalla coscienza della diversità.

La società moderna va verso il totalitarismo: in questa vicenda, che è graduale, ma che nel periodo che va dalla fine del secolo XIX fino a pochi anni fa ha caratterizzato il processo culturale e sociale nel suo complesso, la Chiesa cattolica ha resistito, intervenendo su tutti i problemi della vita personale e sociale, indicando un altro modo di affrontare la concezione dell'uomo e della famiglia, di affrontare l'educazione, di concepire lo Stato, e così via.

Si possono indicare tre grandi punti su cui la Chiesa ha fatto resistenza.

1. Anzitutto, la priorità della persona sulla società. La società non fa nascere la persona, è la persona che crea società, perché vive una nativa, irriducibile libertà, che è la libertà del Figlio di Dio, dell'uomo creato. È l'uomo che crea società facendo una famiglia, generando dei figli, aggregando le famiglie secondo certi interessi, stanziandosi su un certo territorio comune, ecc. La societas è il risultato dell'esercizio di alcuni diritti che appartengono alla persona perché figlia di Dio. La Chiesa ha sempre sostenuto la priorità ontologica e strutturale della persona sulla società, che è il fermento dal basso di forme, di istituzioni, di valori, di tradizioni, di cultura, di arte. Questa società si forma per gli uomini liberi, e attraverso la loro responsabilità: non c'è la società e dentro, incastrato come un bullone in un organismo meccanico, l'individuo.

2. Il secondo punto di resistenza è la priorità della società sullo Stato. La Chiesa ha sempre rifiutato la concezione per la quale io Stato è assoluto, e dunque si identifica con la società o è un soggetto etico, (come nel fascismo). Lo Stato non e etico, perché e uno strumento vivo fatto di uomini di persone, di col alcune esercitano il potere, non a vantaggio della loro ideologia o della loro concezione della vita e delle cose, ma a vantaggio del bene di tutti, dunque della libertà di toni, singoli e associati. Il concetto tomistico di bene comune, rilanciato da Leone XIII nella sua grandissima enciclica Rerum novarum (1891), significa che lo Stato è in funzione della coscienza personale, della libertà personale, non è assoluto, non è la fonte del diritto, ma è l'insieme delle condizioni che consentono l'esercizio dei diritti. I diritti sono tali in quanto completati da doveri. Il primo dovere è che il mio diritto non nega il diritto altrui.

3. Il terzo punto è la distinzione netta tra la sfera religiosa e quella politica. La prima appartiene alla libertà di coscienza: la vita religiosa, soprattutto quando è associata, ovvero quando è espressione di una realtà popolare, quando ha contatti con altre forze sociali e quindi ha un rilievo nella vita dello Stato, deve entrare in rapporto con lo Stato e in questo rapporto si devono accettare certi condizionamenti reciproci. La Chiesa è libera dallo Stato, come lo Stato è libero dalla Chiesa; la Chiesa non rappresenta una longa manus politica dello Stato, e non è un'agenzia di sacralizzazione del potere, come nella concezione protestante, luterana o calvinista, della vita sociale.

Il Sillabo, sebbene nato in un determinato momento della storia della Chiesa e all'interno di certi condizionamenti legati alla polemica che divideva i cattolici in certi paesi, ha un'incredibile ampiezza e profondità, penetra nella sostanza teorica della vicenda e individua le conseguenze pratiche della posizione moderna. Che si sarebbe arrivati all'annullamento della persona attraverso la limitazione del consenso, non l'hanno detto i sociologi di questo secolo, l'aveva già detto papa Pio VI. Che si abbia la possibilità di manipolazione della vita attraverso i mezzi del potere, che questi ultimi sarebbero stati mezzi della comunicazione sociale, è una consapevolezza che percorre tutto il Magistero sociale, ma che nel Sillabo diventa un punto di chiarezza. Senza chiarezza della differenza non c'è possibilità di dialogo; nella confusione, nell'approssimazione, nell'equivoco, è possibile la violenza, la violenza teorica che è più grave di quella pratica, perché questa ti viene fatta di fronte e ti puoi difendere, quella teorica ti circuisce e te ne trovi avviluppato, senza rendertene conto.

Bisogna restituire al Sillabo la sua importanza storica. Senza questo documento, che delineava il volto dell'interlocutore prendendo coscienza dei suoi propositi, progetti e del 'suo dinamismo di fondo, senza questa coscienza lucida delle differenze, non ci sarebbero state le resistenze della Chiesa per la libertà. Quando la Chiesa fa resistenza per la libertà, non lo fa solo per la propria, ma per quella di tutti, per difendere anche la libertà di coloro che, contingentemente, la violano, essendo al potere. Questa è la sostanza del Sillabo: esso pone le condizioni di un dialogo durissimo che ha consentito alla Chiesa di resistere su certe posizioni di fondo che sono oggi patrimonio non soltanto dei credenti, ma di tutti coloro che, recintando il totalitarismo che ha distrutto l'uomo, cercano e pensano alla loro possibilità di vita, di cultura e quindi di società.

Il Sillabo è diviso in nove settori

Il primo è sui fondamenti teorici della modernità: panteismo, naturalismo e razionalismo assoluto. lì Papa riconduce a queste radici una teoria della modernità.

Il secondo contiene proposizioni più moderate, tipiche appunto del razionalismo moderato.

Nella terza parte, si evidenziano le conseguenze morali delle posizioni moderne. Non esiste il bene, perché non esiste la libertà, se non quella fissata dalla ragione, e dunque il solo bene è quello fissato dalla ragione. Questo significa che tutte le posizioni hanno lo stesso diritto.

Nella quarta parte, vi sono le conseguenze sul piano socio-politico della concezione moderna: infatti, se la ragione è tutto, la scienza e la tecnica possono fare tutto e la politica, pensata razionalmente, è tutto, lo Stato è tutto, la società è tutto. La società infatti si identifica con lo Stato e lo Stato è assoluto, cioè non deve rispondere a nessuno.

La quinta parte elenca gli "errori che riguardano la società civile, considerata in sé e nelle sue relazioni con la Chiesa": è la definizione di Stato da tenere presente ogni volta che si sfoglia il giornale o si ascolta la televisione!

Gli ultimi settori riguardano gli errori circa la morale naturale e cristiana, il matrimonio, il dominio temporale del Papa e il liberalismo.

Bibliografia

Sillabo, ovvero sommario dei principali errori dell'età nostra, Cantagalli, Siena 1977.

Rino Cammilleri, Elogio del Sillabo, Leonardo, Milano 1994.

Roberto de Mattei, Pio IX. Con testo integrale del Sillabo, Piemme, Casale Mon.to (AL) 2000.

© Il Timone n.23 - Gennaio/Febbraio 2003

Fonte: Contro la leggenda nera (http://www.kattoliko.it/leggendanera/risorgimento.htm)

Augustinus
08-02-04, 15:04
Papa molto amato, ma anche odiato e calunniato. Giovanni Paolo II lo beatifica, il mondo laicista lo condanna. Ritratto di un Papa che fu santo e re. E profeta: vide prima di tutti i guasti che avrebbero prodotto il materialismo comunista e liberista

"Benedite, gran Dio, l’Italia": l’invocazione intensa e commossa di Pio IX, un secolo e mezzo dopo che fu proferita, si legge non senza un qualche imbarazzo. Il Mastai Ferretti era un italiano nato a Senigallia, nello Stato Pontificio, era un uomo del suo tempo, l’Ottocento, che per qualcuno è il secolo formidabile del Romanticismo che si apre con Napoleone e si chiude alla vigilia della prima Guerra mondiale, e per qualcun altro è soltanto il siècle imbécille. Non gli si può certo rimproverare di aver cullato qualche entusiasmo per gli ideali di patria, di unità e di libertà. Non ci si può meravigliare se il suo entusiasmo di patriota cattolico si scaldò per alcuni anni alla fiamma del federalismo neoguelfo. Non ci si può scandalizzare se dinanzi agli sviluppi centralistici, autoritari e giacobini dell’ala prevalente del movimento di unità nazionale, la coscienza del suo ruolo di capo della Chiesa e di principe di uno Stato italico che aveva diritto e bisogno di preservare la sua sovranità lo spinse a chiamarsi fuori da un coro unitario sempre più egemonizzato dal militarismo e dall’espansionismo annessionistico dei piemontesi e dal radicalismo giacobino dei garibaldini.

Ho francamente qualche disagio a tornare su Pio IX dopo le polemiche nate nell’estate scorsa dalla sua beatificazione e dalla mostra che all’interno del Meeting di Rimini è stata dedicata a una rilettura della storia del Risorgimento. Quanto al primo tema, non riesco francamente a convincermi che in un paese nel quale la religione cattolica è ancora forte e diffusa — anche se non più maggioritaria — sia ancora tanto radicata l’ignoranza relativa al carattere e al meccanismo dei processi di beatificazione e di canonizzazione: processi tipici ed esclusivi dell’ambito ecclesiale, che la Chiesa conduce iuxta sua propria principia e all’unico fine di stabilire se il candidato alla canonizzazione ha vissuto o no in grado eroico le virtù cristiane.

Per i cattolici, la proclamazione di un santo è uno dei pochissimi casi nei quali il pontefice romano è direttamente assistito dallo Spirito Santo e quindi infallibile. Ma nella canonizzazione non hanno alcun peso le opzioni politiche o culturali del candidato alla santità: elevare Luigi IX di Francia alla gloria degli altari non comporta affatto il santificare la prassi e gli obiettivi della "settima" e della "ottava" crociata; riconoscere la santità di Giovanna d’Arco non comporta per nulla una sanzione delle sue qualità tattiche o strategiche; beatificare Pio IX non comporta l’approvazione del suo comportamento politico in quanto sovrano dello Stato Pontificio. Un santo può anche essere stato uno sprovveduto, uno sciocco, un fallito: questo non conta, lo Spirito soffia dove vuole. Un santo è un eroe delle virtù cristiane: la Chiesa ne decreta l’eroicità, il pontefice la legittima, lo Spirito Santo assiste quale Supremo Garante. Questo è tutto. E non ci sono eccezioni o perplessità protestanti, o laiche, o musulmane, o ebree che tengano.

Ma bastano le ragioni della santità a ben giudicare Pio IX? Credo che a correttamente valutarne l’opera sia necessario apprezzare anche le sue caratteristiche civili. Papa Mastai Ferretti sostenne con grande dignità l’urto dell’espansionismo piemontese e dell’aggressività massonica: difese con moderazione ma con fermezza la libertà del suo piccolo Stato investito dalla furia di forze che non esitarono ad abbandonarsi a un vero e proprio atto di brigantaggio internazionale culminato nell’aggressione e nell’invasione di uno Stato sovrano. Il Piemonte sabaudo, ampliatosi e legittimatosi in Regno d’Italia, si comportò con lo Stato Pontificio come Hitler e Stalin, settant’anni dopo, si sarebbero comportati con la Polonia. Non è ultracattolico il dirlo: è semplicemente esito d’un’occhiata senza pregiudizi al mondo della storia.

Pio IX portò con dignità e con fermezza la sua croce: sovrano senza più regno, prigioniero nella sua stessa casa, adulato e calunniato al tempo stesso.

Difese il potere temporale: quel potere che, grazie a un’ottima e provvidenziale scelta concorde di Santa Sede e Governo italiano, è tornato sia pur simbolicamente a riproporsi mezzo secolo dopo la sua brigantesca soppressione. Non v’è dubbio che il potere temporale ha appesantito e compromesso la vita della Chiesa cattolica; ma è stato il prezzo che essa ha pagato per non finir a fungere da cappellana di palazzo di potenti della terra, come e invece accaduto alle chiese riformate e ortodosse.

Pio IX volle il Sillabo: ch’è "datato", ma che in più punti conserva intatto il suo valore profetico. Alludo ai commi 58 — 59, relativi al materialismo assoluto, che suonano profetica condanna del materialismo comunista non meno che dell’ipermaterialsrno iperliberista che presiede alla globalizzazione.

Cronologia

1792. A Senigallia nasce dalla contessa Caterina Solazzi e dal conte Girolamo Giovanni Maria Mastai Ferretti. Lo stesso giorno riceve il battesimo.

1797. Il piccolo Giovanni Maria cade nelle acque di un torrente. Salvato da un domestico, manifesta i primi segni di epilessia.

1803. Entra nel Collegio degli Scolopi a Volterra.

1809. Si trasferisce a Roma, ospite dello zio Paolino Mastai, canonico della Basilica Vaticana, per proseguire gli studi di filosofia e teologia al Collegio Romano.

1815. Inizia la sua opera di assistenza all’istituto per ragazzi abbandonati Tata Giovanni di Roma.

1819. 10 aprile - È ordinato sacerdote e nominato direttore del Tata Giovanni.

1823. Si reca in Cile, accompagnando il Nunzio Apostolico Giovanni Muzi. Vi rimane fino al 1825. 1827. 3 giugno — È consacrato vescovo, a soli 35 anni, dal cardinale Castiglioni, futuro papa Pio VIII. È arcivescovo di Spoleto, dove viene chiamato a fronteggiare alcuni moti rivoluzionari e il terremoto del 1832.

1832. 22 dicembre. È trasferito alla sede vescovile di Imola.

1840. 17 dicembre. Riceve il cappello cardinalizio.

1846. 16 giugno. È eletto papa a soli 54 anni. Succede a Gregorio XVI. 16 luglio. Emana "L’Editto del perdono", con cui concede l’amnistia per i delitti politici. 8 novembre. Prima Enciclica, la Qui pluribus, in cui condanna le società segrete, la Massoneria e il Comunismo.

1847. Concede un’ampia libertà di stampa. Istituisce la Guardia civica, il Muni cipio e il Consiglio comunale di Roma. L’anno successivo concede lo Statuto. 1848. 10 febbraio. Dalla loggia del Quirinale pronuncia il celebre discorso in cui esclama: "Gran Dio, benedite l’Italia". 29 aprile. Prodama la Chiesa neutrale nel conflitto tra Piemonte e Austria. 3 maggio. Invia all’Imperatore d’Austria una lettera in difesa dell’indipendenza italiana. 15 novembre. Viene ucciso Pellegrino Rossi, capo del Governo di Pio IX. 24 novembre. Si rifugia a Gaeta, mentre l’Urbe cade in mano ai repubblicani.

1850. 12 aprile. Rientra a Roma. Concede una nuova, ampia amnistia. 1852. 2 febbraio. Chiede allo zar Nicola I che siano rispettati i cattolici e il popolo polacco.

1854. 8 dicembre. Proclamazione del dogma dell’Immacolata Concezione. 1857. Visita i territori dello Stato Pontificio. Il viaggio dura 4 mesi, 1860. La sconfitta nella battaglia di Castelfidardo segna per lo Stato Pontificio la perdita di Legazioni (Bologna, Perugia, Urbino, Velletri), Marche e Umbria. 1861. 1 luglio. Fonda "L’Osservatore Romano". 1864. 8 dicembre. Pubblica l’enciclica Quanta cura con annesso il Syllabum, elenco dei "principali errori dei nostri tempi".

1869. 7 dicembre. Apre il Concilio Vaticano I, che verrà sospeso il 18 luglio 1870, a causa della guerra francoprussiana.

1870. 18 luglio. Proclama il dogma dell’Infallibilità papale ex cathedra. 20 settembre. Con la presa di Roma da parte dei piemontesi, Pio IX si rinchiude in volontaria prigionia in Vaticano. 8 dicembre. Dichiara san Giuseppe patrono della Chiesa universale.

1871. 3 febbraio. Roma èdichiarata capitale; Vittorio Emanuele TI vi farà il suo ingresso il 3 luglio. 13 maggio. Viene promulgata la Legge delle Guarentigie, che il Papa respinge come atto unilaterale di un governo aggressore.

1874. Invita i cattolici a non partecipare alle elezioni politiche in Italia (Non expedit). Nasce a Venezia l’Opera dei Congressi, che riunisce i cattolici italiani "intransigenti", fedeli alle esortazioni del papa.

1875. 16 giugno. Consacra la Chiesa al Sacro Cuore.

1878. 7 febbraio. Muore dopo il più lungo pontificato della storia. È sepolto provvisoriamente in san Pietro.

1881. 13 luglio. La salma viene traslato nella Basilica di san Lorenzo. Durante il tragitto, alcuni esagitati tentano di gettare la bara nel Tevere.

1907. 11 febbraio. Pio X ordina l’introduzione dei processi dìocesani ordinari per la causa di beatificazione dì Pio IX. Il processo prosegue il suo iter sotto il pontificato di Pio XII.

1985. 6 luglio. Giovanni Paolo Il riconosce le virtù eroiche del servo di Dio Pio IX.

1986. 15 gennaio. La consulta medica dichiara all’unanimità che, per intercessione di Pio IX, suor Maria Teresa di san Paolo del Carmelo di Nantes ha ottenuto una guarigione miracolosa, l’li febbraio 1911.

2000. 3 settembre. In piazza san Pietro sono proclamati beati Angelo Giuseppe Roncalli e Giovanni Maria Mastai Ferretti.


"Tra le leggende costruite ad arte per legittimare la presa di Roma, screditando Pio IX, vi è quella relativa al "malgoverno" dello Stato Pontificio. Indubbiamente, quello dei papi era un regno di questo mondo, con tutti i difetti e i limiti delle cose umane. Ma un rapido confronto con le nazioni dell’epoca dimostra che le cose non andavano poi tanto male per i cittadini pontifici. I quali, innanzitutto, si erano visti garantiti più di mille anni di pace, grazie al prestigio internazionale e all’assoluta mancanza di mire espansionistiche del regno.

[...] La pressione fiscale nello Stato Pontificio oscilla tra i 20 e i 22 franchi a persona, mentre in Piemonte è tra i 30 e 32 franchi, in Francia tocca i 40 e in Inghilterra addirittura gli 80. Pio IX cura il prosciugamento delle paludi di Ostia e di Ferrara, la bonifica dell’agro romano, amplia i principali porti sull’Adriatico, fornisce Roma dell’acqua potabile, promuove sin dal 1847 l’illuminazione a gas, dà nuovo impulso a scavi e restauri, fa poggiare oltre 400 chilometri di ferrovia. Roma possiede un ospedale ogni 9000 abitanti, mentre Londra uno ogni 40.000; e un istituto di beneficenza ogni 2700 abitanti, contro uno su 7000 della capitale inglese".

(Alessandro Gnocchi — Mario Palmaro, Formidabili quei Papi. Pio IX e Giovanni XXIII: due ritratti in controluce, Ancora, Milano 2000, pp. 30-32)

Bibliografia

- Alessandro Gnocchi Mario Palmaro, Formidabili quei Papi. Pio IX e Giovanni XXIII: due ritratti in controluce, Ancora, Milano 2000.
- Roberto De Mattei, Pio IX, Piemme, Casale Mon.to (AL) 2000.
- Rino Cammilleri, Elogio del Sillabo, Leonardo, Milano 1994.
- Angela Pellicciari Risorgimento da riscri vere, Ares, Milano 1998.
- Gerlando Lentini, La bugia risorgimentale. Il Risorgimento italiano dalla parte degli sconfitti, Il Cerchio, Rimini 1999.
- Paolo Gulisano, O Roma o morte! Pio IX e il Risorgimento, Il Cerchio, Rimini 2000.

Il Timone - n. 10 Novembre/Dicembre 2000

Fonte: Contro la leggenda nera (http://www.kattoliko.it/leggendanera/risorgimento/cardini_pioix.htm)

Thomas Aquinas
14-09-04, 02:17
Originally posted by Lepanto
http://www.papapionono.it/bgimg/piocolor.jpg

PIO . IX . P . M .
IN . BEATORVM . INDICE
NVNC . DEMVM . FELICITER. ADSCRIPTO
QVOD . PERSPECTAM . VITAE . EXERCVERIT
NEC . NON . EVANGELICAM . FORMAM . VIRTVTVM
QVODQVE. DEIPARAM. VIRGINEM. MARIAM
INMACVLATAM . EX . CATHEDRA . DEFINIERIT
IVRA. DEI. ET. ECCLESIAE LIBERTATEM
SVMMO . SIT . STVDIO . TVTATVS
MAIOREMQVE. IN . EGENOS . LARGITATEM
QVAM. QVIS. AESTIMARE. POSSIT. EFFVDERIT
SENOGALLENSIS. POPVLVS
VNA . CVM . ORBE . VNIVERSO
PLAVSVS . IMPERTIT . MAXIMOS

Il Beato Pio IX ci tenga sempre ben lontani dall'eresia protestanti,
forti sempre nella carità verso di loro,
e nella verità cattolica.

Beato Pio IX intercedi presso Dio perchè la Chiesa Cattolica possa essere sempre Maestra di Verità, in particolare ottieni particolari grazie per i sacerdoti e per chi percorre la via che porta al sacerdozio.


Thomas

Paleo (POL)
08-10-04, 18:01
Il Sillabo di Pio IX? Fu vera gloria

Gli aspetti più “reazionari” dell’ultimo Papa-re sono in realtà quelli più “liberali”. Più liberali dei liberali di allora. La lettura “controcorrente” del nuovo, documentato studio di Luigi Negri rivela i buoni frutti del revisionismo libertarian

di Guglielmo Piombini

Il nuovo libro di don Luigi Negri, Pio IX. Attualità e profezia (Ares, Milano 2004, pp.237, €14,00), che gode della prefazione del vescovo di Albenga mons. Mario Oliveri, s’inserisce nel solco di quella pubblicistica cattolica che negli ultimi anni, con i lavori di Roberto de Mattei (Pio IX, Piemme, Casale Monferrato [Al] 2000) e di Rino Cammilleri (L’ultima difesa del papa re. Elogio del Sillabo, Piemme 2001), ha inteso rivalutare la figura di Papa Pio IX, che fu al soglio pontificio dal 1846 al 1878, su cui ancora grava la damnatio memoriae dei laicisti e degli anticlericali. Il Sillabo di Pio IX – che fu allegato all’enciclica Quanta Cura dell’8 dicembre 1864 e che contiene un lungo elenco di proposizioni condannate dalla Chiesa – viene infatti considerato, persino da molti cattolici, come un inutile tentativo di opporsi alla Modernità e al progresso, e quindi sostanzialmente un incidente di percorso, un grave errore che sarebbe stato emendato solo dal Concilio Ecumenico Vaticano II e dalla più recente richiesta di perdono della Chiesa per le colpe del passato.

Eppure, ricorda don Negri, non bisogna dimenticare il valore positivo che il divieto e la condanna hanno avuto nella storia della Chiesa, dal momento che sono servite non semplicemente per negare, ma anzitutto per fare emergere qualcosa che prima non c’era. Così è avvenuto, per esempio, con i comandamenti veterotestamentari o con le condanne delle eresie che hanno permesso di definire in termini precisi i dogmi cristiani riassunti nel Credo. Per questo motivo il Sillabo non può essere nascosto come se non ci fosse mai stato, ma va anzi letto all’interno della continuità della dottrina della Chiesa, che l’autore di questo studio si sforza di mettere in luce nella parte antologica finale ricca di numerosi testi antologici del Magistero successivo a Pio IX, tutti concordanti con il suo insegnamento.

La figura di Pio IX, rilanciata dalla beatificazione voluta da Papa Giovanni Paolo II il 3 settembre 2000 – significativamente proclamata insieme a quella di Papa Giovanni XXIII proprio a significare l’unità del Magistero pontificio – va dunque apprezzata non solo come «esempio di incondizionata adesione al deposito immutabile delle verità rivelate» (così recita la motivazione della beatificazione), ma anche per le sue doti profetiche.
Chiusosi, cronologicamente, il Novecento, ci si è infatti accorti che Papa Mastai Ferretti aveva compreso più di chiunque altro dove avrebbero portato le tendenze allora in atto in Europa, e questo a significativa differenza di altri suoi contemporanei, quali per esempio Karl Marx, la cui capacità di previsione della storia, a lungo magnificata, è stata invece impietosamente smentita dalla realtà. In Pio IX, spiega don Negri, la capacità di leggere i propri tempi, secondo una prospettiva capace d’intravederne gli sviluppi, è certamente ravvisabile nella sua polemica con lo Stato moderno, vale a dire con il suo porsi come Stato totalitario. Gli sviluppi della storia hanno appunto confermato come tutto quanto preoccupava Pio IX, ovvero che lo Stato non avesse limiti e che fosse concepito quale fonte di ogni diritto, si è affermato come concezione socio-politica prevalente nel secolo XX.

Per questa ragione, opponendosi a una sovranità statale assoluta che si apprestava a diventare totalitaria, Pio IX svolgeva allora il ruolo dell’autentico “liberale”, laddove invece i cosiddetti “liberali” del tempo, suoi avversari, erano in verità gli adoratori dello Stato onnipotente.
Ecco perché, contrariamente alla vulgata, il Sillabo di Pio IX può essere letto come un vero e proprio manifesto: un’apologia della società civile e delle formazioni sociali presenti in essa (la Chiesa, la scuola e la famiglia) mirante a difenderle dalle pretese dello Stato “giacobino” e accentratore di voler tutto sottomettere, tutto regolare e tutto subordinare a sé. Una prospettiva, questa, cara a quel pensiero che Oltreoceano si definisce Libertarianism e la cui profonda opera di revisionismo storico-culturale non può fare a meno di apprezzare la figura dell’ultimo Papa-re.

Del Sillabo basta del resto andare a leggere il capo sesto (Errori intorno alla società civile considerata in se stessa e nei suoi rapporti con la Chiesa), dove si condanna quella proposizione, vero e proprio atto di fede di tutti i teorici della sovranità statuale e positivisti del diritto, secondo cui lo «Stato, come origine e fonte di tutti i diritti, gode di un diritto tale che non ammette confini». Nelle proposizioni successive, Pio IX difende quindi la libertà religiosa ed educativa, condannando le pretese dello Stato d’«immischiarsi nelle cose concernenti la religione, i costumi e il governo spirituale», di monopolizzare il sistema scolastico e di vietare l’insegnamento religioso nelle scuole. Nel capo sette, in accordo con la miglior tradizione giusnaturalistica liberale, Pio IX afferma che le leggi umane debbono conformarsi al diritto naturale, mentre nel capo otto difende il matrimonio cristiano dalle pretese dello Stato di regolarlo con leggi proprie.
Anche nelle parti iniziali del testo pontificio, dove si condannano il panteismo, il naturalismo, il razionalismo, l’indifferentismo e il latitudinarismo (cioè il relativismo e il soggettivismo oggi così diffusi), nonché il protestantesimo, Pio IX non fa che ribadire la tradizionale dottrina cattolica.

La Chiesa esiste per tramandare e per diffondere la Verità annunciata da Gesù Cristo – così essa dice di sé –, e per questo motivo non potrebbe mai dichiarare che una religione o una filosofia equivale a un’altra, né che l’uomo può sceglierne una a proprio piacimento giacché è tutto lo stesso. Anche di recente, un’importante dichiarazione come la Dominus Iesus – promulgata dalla Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede il 6 agosto 2000 –, che don Negri riporta in appendice al libro onde evidenziarne l’affinità con il Sillabo, ha ribadito che per la Chiesa solo Gesù Cristo è l’unico e universale mezzo di salvezza.
Ma cosa c’è di liberale, potrebbero ribattere i critici di Pio IX, nella condanna del principio di separazione fra Stato e Chiesa (proposizione LV) e nella pretesa che il cattolicesimo sia considerata religione di Stato (proposizione LXXVII)?

Ora, non vi è dubbio che un vero liberale debba favorire la separazione dello Stato non solo dalla religione, ma praticamente da tutto, compresa l’economia e la cultura. L’ideale sarebbe una società civile forte e ricca, e uno Stato piccolo e invisibile, che è tutto il contrario esatto del programma laicista, che, con l’espediente della progressiva statalizzazione di ogni ambito della società (strade, piazze, uffici, ospedali, edifici, scuole, università, televisioni, associazioni), mira a sostituirsi e a estrometterne (in nome della “laicità”) le espressioni culturali e religiose nate dalla società civile. La Chiesa, infatti, ha per tradizione sempre condannato le conversioni forzate, né ha mai voluto imporre per legge il cattolicesimo ai non cattolici.
Eppure, quanto al liberalismo delle proposizioni di Pio IX, bisogna tenere conto che, in una società poco statalizzata, dove la popolazione è quasi interamente cattolica, la religione ha per forza un’ampia influenza e una visibilità pubblica: nei programmi scolastici, nelle festività, nelle manifestazioni pubbliche (Messe, processioni, ricorrenze, ecc.), nell’arte e nell’architettura urbana e così via. Non perché così decide lo Stato, ma perché così lo vuole, e così lo esprime dal basso, la società. Stante la condizione culturale dell’Italia di allora, dunque, la concezione di Stato propria a Pio IX è il contrario esatto dell’idea che i governi abbiano il diritto di vietare e di cancellare quest’articolata realtà, e questo nemmeno nel nome della separazione fra Stato e Chiesa o della laicità care al liberalismo.

La separazione tra Stato e Chiesa funziona in una società non ancora pervasa dallo statalismo moderno; quando però lo Stato finisce per assorbire tutto, questa formula diventa di fatto uno strumento non per separare, ma per estromettere la religione dagli ambiti sociali in cui era spontaneamente già presente.
A ragione, quindi, Pio IX condanna, nel capo sesto del Sillabo, le dottrine che più in profondità hanno perseguito il programma di secolarizzazione della società mediante la statalizzazione generalizzata: quelle che egli chiama le “pestilenze” del socialismo e del comunismo (oltre che delle società segrete). Alla luce dell’esperienza del “socialismo reale” novecentesco, dunque un vero liberale non può non plaudere di cuore a questa ferma condanna. Ma che dire del capo che affronta gli Errori riguardanti l’odierno liberalismo (proposizione LXXX), pietra di scandalo per i liberal odierni, in particolare dove si afferma che il pontefice non può e non deve venire a patti né a compromessi con il progresso, con – appunto – il liberalismo e con la civiltà moderna? Va anzitutto precisato che il “liberalismo” contro cui lottava Pio IX non aveva nulla a che fare con l’autentica tradizione liberale dei John Locke, Adam Smith, Edmund Burke, Alexis de Tocqueville e Frédéric Bastiat o - per venire ai giorni nostri - dei Ludwig von Mises, Friedrich A. von Hayek e Murray N. Rothbard, una filosofia, questa, sorta a partire dall’età moderna proprio allo scopo di difendere la società civile, le comunità e le tradizioni dall’avanzata incontenibile dello Stato moderno.

I cosiddetti “liberali” che si contrapponevano a Pio IX erano infatti gli eredi di quel sistema giacobino e napoleonico, accentratore, statalista e fortemente antireligioso, che si era andato diffondendo nel continente europeo prendendo a modello la Rivoluzione detta francese dell’Ottantanove.

Uno sguardo obiettivo agli avvenimenti storici che sono seguiti all’unificazione italiana non può che confermare che Pio IX aveva visto giusto, prevedendo i catastrofici esiti statalisti del modello risorgimentale.
Verrebbe infatti da chiedere ai cosiddetti “liberali” italiani che ogni XX Settembre festeggiano la presa di Porta Pia cosa ci sia da esultare per una conquista militare avvenuta in spregio a ogni regola del diritto internazionale e non richiesta dalla popolazione romana, la quale ha portato alla formazione di uno Stato unitario le cui più rilevanti realizzazioni sono consistite nella centralizzazione politica e amministrativa, nell’istituzione della leva obbligatoria, nell’aumento indiscriminato delle imposte, nella statalizzazione completa della scuola, nell’espropriazione senza indennizzo di vaste proprietà ecclesiastiche, nell’introduzione di elevate tariffe doganali per proteggere le industrie del nord, nella repressione sanguinaria delle ribellioni delle popolazioni conquistate (spacciata come lotta al “brigantaggio”), nell’avvio di più o meno disastrose campagne coloniali, per culminare con i milioni di giovani coscritti mandati al macello nelle trincee della Grande Guerra, con tanto di decimazioni e plotoni di esecuzione per “codardi” e disertori.

Di liberale, in tutta questa vicenda storica, non vi è alcunché. Al contrario, il modello ultrastatalista che si è imposto in quell’epoca in Italia, in Germania, in Francia e altrove ha rappresentato una tappa indispensabile sulla via del totalitarismo novecentesco, il vero e proprio compimento della modernità statuale.
Se gli europei avessero dato ascolto alle parole profetiche del “reazionario” Pio IX, anziché alle sirene dei finti liberali e dei finti progressisti, si sarebbero risparmiati tutte le catastrofi che da allora sono seguite e che hanno portato la nostra civiltà all’attuale triste stato di decadenza culturale, economica e demografica.

(Il Domenicale, 25 settembre 2004)

Augustinus
05-02-05, 23:13
Pio IX (1792-1878)

di Andrea Arnaldi

1. Un pontificato in tempo di Rivoluzione

Giovanni Maria Mastai Ferretti, nato a Senigallia, nelle Marche, il 13 maggio 1792, ordinato sacerdote nel 1819, consacrato vescovo nel 1827, creato cardinale nel 1840 e asceso alla cattedra di Pietro, con il nome di Pio IX, il 16 giugno 1846, vive in anni di enormi rivolgimenti politici, ma prima ancora filosofici e dottrinali: nasce mentre infuria la Rivoluzione francese, inizia la carriera ecclesiastica al tempo dell’illusoria Restaurazione ed è vescovo durante il tumultuoso periodo dei moti italiani, che preparano il terreno al Risorgimento, vero e proprio tentativo d’importazione delle idee e delle realizzazioni che hanno caratterizzato la Rivoluzione in Francia e, perciò, correttamente identificabile come Rivoluzione italiana.

Il conclave dal quale Mastai Ferretti uscirà eletto si svolge in un clima di grandi disorientamento e attesa: la Chiesa, soprattutto con il pontificato di Papa Gregorio XVI (1831-1846), si è rafforzata nella convinzione che i sommovimenti politici e militari che vanno scuotendo l’Europa e l’Italia non costituiscono semplicemente la risposta a richieste d’indipendenza e di libertà, ma sottendono una precisa volontà di scristianizzare popolazioni abituate da sempre a vedere nella religione e nelle tradizioni locali i caratteri costitutivi della propria civiltà.

Papa Pio IX, spirito profondamente religioso prima che politico, s’appresta a governare la Chiesa per trentadue anni. Sarà il più lungo e, forse, il più travagliato pontificato della storia della Chiesa, nel corso del quale si verificano eventi di portata epocale: la proclamazione dei dogmi dell’Immacolata Concezione di Maria, nel 1854, e dell’infallibilità pontificia, nel 1870; lo svolgimento, in un clima di enorme tensione, del Concilio Ecumenico Vaticano I (1869-1870); la fine traumatica del dominio temporale dei Pontefici romani e l’esplosione del conflitto fra la Chiesa e il nuovo Stato unitario italiano, noto come la Questione Romana, di una gravità tale da produrre nel corpo sociale una lacerazione che verrà risanata diplomaticamente e giuridicamente, ma non culturalmente, solo nel 1929 con la stipulazione del Concordato e dei Patti Lateranensi.

2. La questione italiana

L’elezione di Mastai Ferretti suscita inizialmente l’entusiasmo dei circoli liberali: erano noti infatti la genuina "italianità" dell’allora vescovo di Imola e il suo desiderio di trovare una soluzione equa al problema dell’unità politica della nazione italiana, al di là di ogni progetto illuministico di omogeneizzazione artificiale e forzata. Gli avvenimenti non consentono però al nuovo Pontefice, comunque non sospettabile di aver mai nutrito simpatie liberali, d’assecondare il disegno dei fautori dell’unità, ideologico prima che politico. Infatti, sfumato il tentativo d’edificare lo Stato nazionale su basi federali — soluzione che avrebbe consentito di preservare la ricchezza costituita dall’articolazione del paese in diversi Stati, tutori ed eredi delle diverse tradizioni locali, tutte legate dal comune patrimonio culturale e religioso — le élite politiche del Risorgimento accentuano la polemica anticattolica e imprimono agli eventi una forte accelerazione in senso centralista e "annessionista".

Nel corso di un drammatico ventennio Papa Pio IX assiste così all’insurrezione rivoluzionaria del 1848 — con l’assassinio del ministro dell’interno Pellegrino Rossi (1787-1848) e l’instaurazione della Repubblica Romana —, che lo costringe all’esilio di Gaeta; all’inasprimento della legislazione repressiva emanata dal Governo sabaudo per colpire la Chiesa e le sue prerogative, gli ordini religiosi e i beni ecclesiastici; alla brutale repressione della resistenza che altri italiani, bollati con il marchio infame di briganti, opponevano nel Regno delle Due Sicilie al tentativo di eliminare con la forza le libertà e le tradizioni di mezza penisola; finalmente, all’occupazione di Roma, il 20 settembre 1870.

Il Pontefice, strumentalmente osannato all’atto dell’elezione da quanti si mostreranno successivamente suoi irriducibili avversari, si rende conto molto presto che non potevano essere queste le modalità e le motivazioni di fondo sulle quali edificare il nuovo Stato e basare la convivenza delle popolazioni italiane: non contro l’unità d’Italia, ma contro quella unità diveniva perciò indifferibile intervenire con chiarezza, richiamare l’attenzione sui princìpi e sui valori, illuminare le coscienze dei fedeli.

Lo scontro con il Regno d’Italia giunge all’apice con la sua inaudita decisione di procedere alla conquista di Roma e di por fine alla sovranità temporale dei Papi, passata indenne attraverso le alterne vicissitudini di mille anni di storia. La resistenza del Papa — che ordinerà agli zuavi un’opposizione formale allo scopo di evitare inutili spargimenti di sangue e di rendere comunque evidente la violenza subìta — non può essere ricondotta a un’inesistente volontà di potere, ma risponde alla duplice esigenza di garantire alla Chiesa gli spazi minimi necessari per esercitare il suo ministero in piena libertà e di difendere l’integrità del Patrimonio di San Pietro, appartenente a tutta la Cristianità; esigenze tanto più sentite quanto più il clima ideologico e politico diventava ostile alla Chiesa e al libero esercizio della sua missione.

Le motivazioni di fondo del contrasto fra Papa Pio IX e le classi dirigenti che guidarono il processo di unificazione politica sono dunque essenzialmente di natura dottrinale e non implicano affatto un’opposizione preconcetta alla creazione di uno Stato unitario italiano, idea di per sé né buona né cattiva, dovendosene valutare la bontà sulla base dei princìpi posti quali punti di riferimento del nuovo Stato. "Tutto il mio operare in Dio, con Dio e per Dio": questo era il proposito espresso da Giovanni Maria Mastai Ferretti all’inizio della vita sacerdotale e su questo programma egli basa la sua azione pastorale e politica.

3. Guida della Chiesa universale

La lettera enciclica Quanta cura, dell’8 dicembre 1864, con annesso il Sillabo, e il Concilio Ecumenico Vaticano I, costituiscono le più rilevanti — e per certi aspetti a tutt’oggi "scandalose" — risposte della Chiesa alla degenerazione del quadro ideologico e politico. Nel Sillabo Papa Pio IX enumera una serie di proposizioni erronee, già condannate in precedenti documenti magisteriali, attraverso le quali è possibile comprendere la natura e gl’intenti dell’ideologia rivoluzionaria. Con il Concilio Ecumenico Vaticano I la Chiesa ribadisce e sviluppa la dottrina tradizionale sul primato del Pontefice romano e definisce il dogma dell’infallibilità del Papa quando si pronuncia solennemente, nella pienezza della propria autorità apostolica, su temi di fede e di morale, sottolineando così che, oltre e al di sopra di tutte le discussioni e di tutte le opinioni umane, vi è una Verità alla quale è dovuto ossequio e che la Chiesa ha il compito di trasmettere.

Sedici anni prima il Pontefice aveva proclamato un’altra grande verità di fede, secondo la quale la Vergine Maria è stata preservata dal peccato originale fin dal suo concepimento. Questo dogma, patrimonio secolare della comunità cristiana, oltre a rendere il dovuto culto a Colei che la Chiesa venera come Madre di Dio, ribadiva la realtà del peccato originale e la stoltezza dell’uomo che crede di bastare a sé stesso e di poter edificare impunemente una società senza Dio o contro Dio. Nel 1858, appena quattro anni dopo la solenne definizione dogmatica, una splendente figura di Donna, apparendo nella grotta di Massabielle, a Lourdes, nella Francia Meridionale, si qualificherà come l’Immacolata Concezione, confermando in modo del tutto soprannaturale l’operato del Sommo Pontefice.

Il pontificato di Papa Pio IX non si esaurisce dunque nel lungo e drammatico scontro con la Rivoluzione italiana, ma si distingue per la feconda attività apostolica e pastorale, per l’acuta sensibilità religiosa e per l’ardente spirito di carità. Oltre a costituire il Patriarcato Latino di Gerusalemme, egli erige 29 sedi metropolitane e fonda 132 nuove sedi episcopali; dà slancio all’attività missionaria, con particolare riguardo all’America Latina, e crea il primo cardinale nordamericano; ricostituisce la gerarchia in Inghilterra e in Olanda e favorisce le tradizioni e i riti della Chiesa Orientale; fonda molti seminari e rinnova i più antichi istituti e ordini religiosi.

Inoltre, interpretando la mentalità moderna soprattutto come un rifiuto dell’amore divino, dà notevole impulso non solo alla devozione mariana e a quella eucaristica ma anche al culto del Sacro Cuore di Gesù — estendendo a tutta la Chiesa la relativa festa liturgica e beatificando Margherita Maria Alacoque (1647-1690), la visitandina francese fervente apostola di tale devozione —, che ritiene i mezzi più idonei per riavvicinare gli uomini a Dio. Una risposta al laicismo e al naturalismo del secolo è costituita anche dalle numerose beatificazioni e canonizzazioni, rispettivamente 52 e 222, che confermano la fede nella redenzione e nell’efficacia della grazia. Infine, dichiara san Giuseppe Patrono della Chiesa universale e conferisce il titolo di Dottore della Chiesa a sant’Ilario di Poitiers (315 ca.-367), a san Francesco di Sales (1567-1602) e a sant’Alfonso Maria de’ Liguori (1696-1787). Alla domanda "Perché tanti santi?" rispondeva in maniera significativa: "Mai abbiamo noi avuto tanto bisogno d’intercessori in cielo e di modelli in terra".

Nella travagliata vicenda umana di Papa Pio IX non vi è mai traccia di quella scissione fra fede e cultura, fra fede e politica, che costituisce l’esito del processo di secolarizzazione caratteristico della modernità e ormai diffusissimo. Ogni sua azione politica — anche quelle meno comprensibili per la sensibilità contemporanea, come la difesa a oltranza della sovranità temporale dei Papi — è espressione dell’unica preoccupazione che conta, quella per il destino soprannaturale degli uomini: "Miei cari figli, ricordatevi che avete un’anima... un’anima creata all’immagine di Dio e che Dio giudicherà! Occupatevi di lei, ve ne scongiuro, più che di speculazioni, di industria, di vie ferrate e di tutte quelle miserie che costituiscono i beni di questo mondo. Non vi vieto già di interessarvi di questi beni che passano, purché con giusta misura; ma ricordatevi, ve ne scongiuro di nuovo, che avete un’anima!".

4. La causa di beatificazione

Papa Pio IX muore il 7 febbraio 1878 nei Palazzi Vaticani, dai quali non era più uscito dopo che l’esercito "liberatore" lo aveva costretto a lasciare il Quirinale, creando una frattura drammatica nel paese e nelle coscienze dei cattolici. Nel 1907 viene introdotta la causa di beatificazione, che, con ritmo molto lento, è giunta a una fase decisiva negli anni 1980. Con un decreto del 6 luglio 1985, infatti, la Congregazione delle Cause dei Santi ha riconosciuto l’eroicità delle virtù del Servo di Dio Papa Pio IX, al quale è attribuito il titolo di Venerabile. È il primo, significativo passo sulla strada dell’elevazione di Giovanni Maria Mastai Ferretti all’onore degli altari, strada ancora ardua e controversa a causa delle reazioni contrastanti che la sua figura continua a suscitare.

"Come Sacerdote, come Vescovo e come Sommo Pontefice — si legge nel decreto — il Servo di Dio, senza interruzione e in modo continuo, apparve e fu veramente "Uomo di Dio"; uomo di preghiera assidua, senz’altro desiderio che la gloria di Dio, il bene della Chiesa e la salvezza delle anime; e non cercava niente altro se non compiere in tutte le cose la volontà di Dio e a quella aderiva con tutta l’anima, per quanto grandi fossero le sofferenze che doveva sopportare. Questo solo fu sempre la regola principale della sua vita e della sua attività pastorale. Mirando solo a questo, egli cercò di risolvere problemi talvolta difficilissimi che nel più alto ministero pastorale non raramente fu costretto ad affrontare".

Aggiornamento (novembre 2001)

Il 3 settembre dell'Anno giubilare 2000 il Servo di Dio Pio IX viene proclamato Beato. Giovanni Paolo II, in questa festosa circostanza, sottolinea con forza le virtù cristiane testimoniate dal suo predecessore pur in un contesto tanto drammatico ed ostile.

«In mezzo agli eventi turbinosi del suo tempo, egli fu esempio di incondizionata adesione al deposito immutabile delle verità rivelate. Fedele in ogni circostanza agli impegni del suo ministero, seppe sempre dare il primato assoluto a Dio ed ai valori spirituali» (Giovanni Paolo II, Cappella papale per la beatificazione di 5 Servi di Dio, Omelia, 3/9/2000).

E ancora:

«Lo spirito di povertà, la fede in Dio e l'abbandono alla Provvidenza, unitamente ad uno spiccato senso dell'umorismo, lo aiutarono a superare anche i momenti più difficili. "La mia politica - soleva ripetere - è: Padre nostro che sei nei cieli", indicando così che sua guida nelle scelte della vita e del governo della Chiesa era Dio, verso il quale nutriva una fiducia totale» (Giovanni Paolo II, Udienza ai pellegrini convenuti per la beatificazione, 4/9/2000).

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Per approfondire: sulla figura e sul periodo storico, vedi monsignor Alberto Polverari, Vita di Pio IX, Libreria Editrice Vaticana, 3 voll., Città del Vaticano 1986-1988; Roger Aubert, Il Pontificato di Pio IX (1846-1878), ed. it. a cura di Giacomo Martina S.J., 2 voll, Paoline, Cinisello Balsamo (Milano) 1990; G. Martina S.J., Pio IX, Pontificia Università Gregoriana, 3 voll., Roma 1974-1990; Manlio Brunetti, Pio IX: giudizio storico-teologico, Edizione dell’Opera Pia Mastai Ferretti, Senigallia (Ancona) 1992; vedi la produzione magisteriale, in Tutte le encicliche e i principali documenti pontifici emananti dal 1740, vol. IV, Pio IX (1846-1878), a cura di Ugo Bellocchi, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1995.

Fonte: Voci per un Dizionario del Pensiero Forte (http://www.alleanzacattolica.org/idis_dpf/voci/p_pio_ix.htm)

Augustinus
05-02-05, 23:30
SANTA MESSA PER IL CENTENARIO DELLA MORTE DI PIO IX

OMELIA DI PAOLO VI

Domenica 5 marzo 1978

Venerati Confratelli e Figli carissimi!

La circostanza che ci vede oggi riuniti in questa Basilica Patriarcale è la celebrazione centenaria del "dies natalis" di un nostro Predecessore, il quale - come leggiamo nella lapide che fu apposta in suo onore, vicino alla Statua del Principe degli Apostoli, dal Capitolo Vaticano - Petri annos in Pontificatu Romano unus aequavit.

Quando il 7 febbraio del 1878, al vespro di una giornata invernale, il Servo di Dio Giovanni Mastai Ferretti, Papa Pio IX venne a morte, con lui si concludeva l'ampio ed intenso trentennio - esattamente trentadue anni - di un servizio pontificale che domina letteralmente l'intera scena del secolo XIX.

Fatidico fu questo secolo per la Chiesa e per il mondo. All'inizio, infatti, troviamo il Pontificato ultraventennale di Pio VII, attraversato per larga parte dal turbine della vicenda napoleonica, che anche per la società segna un faticoso sconvolgimento; alla fine del secolo incontriamo il Pontificato, durato anch'esso venticinque anni, dell'indimenticato Papa Leone XIII, mentre il mondo già si affaccia sul secolo nuovo; nel mezzo, in una centralità insieme reale ed ideale, scorgiamo l'amabile figura di Papa Pio IX, intorno al quale si alternano eventi gloriosi e sofferte tribolazioni, che costituiscono come la trama della sua vita, così il ritmo e quasi il respiro della Chiesa e, in generale, dell'umana famiglia in quel tempo.

La complessità dei fatti che si verificarono e dei problemi che si posero nel corso di tale lungo Pontificato è materia tuttora aperta, sotto l'aspetto storico, cioè del passato, alla perdurante riflessione ed alle approfondite indagini di una seria e documentata bibliografia. Ma forse - noi osiamo pensare - sarà necessario un ulteriore e non breve periodo di decantazione, perché la prospettiva si allarghi, perché si faccia maggior luce, perché si comprendano appieno gli avvenimenti e le loro motivazioni più profonde e più vere, in modo tale che, fugato ogni residuo di passionale animosità e di pregiudizio, la personalità di questo Pontefice possa emergere nella sua dimensione di autenticità umana, di irradiante bontà e di esemplare virtù.

Noi, però, ci siamo ora raccolti - ripetiamo - per commemorare la sua nascita al Cielo, avvenuta un secolo fa, allorché la sua anima apostolica, al suono dell'Ave Maria, lasciò il corpo ormai grave d'anni e d'affanni. Ciò vuol dire che limiteremo la nostra memore attenzione e la nostra devota meditazione sul profilo spirituale ed apostolico di un Pontefice che tanto fu amato, e su ciò che egli, con invitto coraggio, intraprese per l'incremento della fede cattolica e per il bene della Santa Chiesa. E siamo lieti che a questa cerimonia sia presente una cospicua e qualificata rappresentanza della terra che gli diede i natali, le Marche, insieme con i Vescovi di quella Regione.

Il Presule che nel giugno del 1846, dopo un conclave brevissimo, era stato elevato al supremo Pontificato, era un vero uomo di Dio, che si distingueva per le sue doti eminenti di religiosa pietà e di ardente zelo per le anime. Ancora nel vigore dell'età, egli portava nella missione di universale paternità che gli era stata affidata, il fervore di una fede profonda, una ricca esperienza pastorale maturata nel contatto assiduo con le popolazioni delle sedi vescovili di Spoleto e di Imola in precedenza occupate, la conoscenza diretta dei problemi che stavano affiorando sia all'interno della Comunità ecclesiale, sia nell'organizzazione dello Stato della Chiesa; ma portava, soprattutto, l'ansia di servire la causa di Cristo e del suo Vangelo. "Servire la Chiesa: questa fu l'unica ambizione di Pio IX", ha scritto uno storico autorevole (cfr Roger Aubert, Il Pontificato di Pio IX, ed. ital., Torino 1970, parte I, p. 450). Ciò spiega l'instancabile sua dedizione ai doveri, anche i più gravosi e più ardui, dell'apostolico ministero: una qualità costante che è doveroso riconoscergli non senza ammirazione, al di là degli stessi impulsi dell'umano carattere e delle obiettive difficoltà che si frapposero alla sua azione di Pastore e di Sovrano.

La figura di Pio IX, a cento anni dalla morte di Lui, appare ormai riconoscibile in una duplice fisionomia convenzionale e fedele alla realtà, quella di Papa sconfitto sotto il crollo di quel potere temporale, nel quale il Pontificato Romano si era in certo modo identificato, e quella di Papa rinascente nell'aspetto suo proprio, non mai tradito, ma ora più palese ed evidente, di Pastore d'un Popolo, che da sé e nell'opinione pubblica non sapeva bene se e come chiamarsi cristiano. Il crollo del Potere temporale appariva indebito e grave, e comprometteva l'indipendenza, la libertà e la funzionalità del Papato; minaccia questa che pesò, fino ai giorni della Conciliazione, sulla Sede Apostolica, tenendo vivo con nostalgica amarezza il ricordo dei secoli, in cui il Potere temporale era stato lo scudo difensivo di quello spirituale e in pari tempo il tutore del territorio dell'Italia centrale, vi aveva conservato la memoria e il costume civile della tradizione classica romana, favorendo la promozione della compagine degli Stati del continente, alimentando una coscienza unitaria della civiltà scaturita dall'umanesimo greco-romano, e soprattutto sviluppando negli animi e nei costumi la fede cattolica. Ma lo sviluppo storico e civile dei Popoli e alla fine, dopo la Rivoluzione Francese e l'evoluzione post-napoleonica, verso la metà del secolo XIX, la loro maturità costituzionale, non consentivano più allo Stato Pontificio l'esercizio d'una supremazia ideologica e d'un primato temporale.

Il tentativo di coinvolgere lo Stato Pontificio in una guerra nazionale fallì davanti alla risvegliata coscienza del Papa circa la missione sua propria, religiosa non politica, né tanto meno militare (Pii IX Allocutio diei 29 aprilis 1848); donde l'inquietudine rivoluzionaria ch'ebbe il suo triste epilogo nell'uccisione di Pellegrino Rossi (il 15 novembre), e nella successiva fuga del Papa a Gaeta (25 novembre). Noi non facciamo ora la storia di quella infelice vicenda. Ci basta rilevare che quando il Papa ritornò a Roma (12 aprile 1850), non era più in grado di ripetere le serene parole di due anni prima (11 febbraio 1848): "Benedite, gran Dio, l'Italia"; sì bene con l'animo amareggiato dalla sofferenza patita e dall'avversa esperienza riprendeva, fino al 20 settembre 1870, la sua autorità di sovrano temporale, ma ormai alieno dalle correnti ideali e politiche del suo tempo; né la nuova situazione nazionale placò lo spirito esacerbato dell'afflitto Pontefice. La ferita inferta allora al Papato arrivò anche a grande parte del Popolo e della Chiesa intera, e ne tormentò per lunghi anni la coscienza civile e il sentimento cattolico.

Ma ecco, proprio in quella paradossale situazione il prodigio della immortalità di Pietro ("Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo", aveva detto Gesù [Matth. 28, 20]), si rinnovò. Tutto il Pontificato di Pio IX fu, si può dire, una rivelazione delle inesauste energie che il Papato e la Chiesa, per una storia sempre nuova, possiedono in proprio.

Un'apertura di dilatata generosità fu la nota precipua del suo servizio, la quale, fondendosi con le innate caratteristiche di cordialità e di buon senso, ereditate dalla sua terra e dalla sua gente, valse a conciliargli la devozione delle classi umili e popolari e via via, in misura crescente, delle moltitudini dei figli della Chiesa.

Ora, se noi riguardiamo agli obiettivi precipui della sua fervida azione pastorale, dobbiamo nominare innanzitutto il Clero, al quale Pio IX, coadiuvato da tanti insigni Vescovi diocesani, rivolse con felice intuito delle necessità prioritarie una cura particolare, come dimostrano non pochi documenti del suo Pontificato. Fu così che si elevò grandemente la figura del sacerdote, il quale ormai veniva educato regolarmente nell'ambiente del Seminario, ed ivi formato alla vita interiore ed all'obbedienza, si sarebbe poi dimostrato, nel campo del lavoro, più cosciente delle proprie responsabilità e sempre vicino al suo gregge, non più predestinato al tranquillo godimento di facili prebende ecclesiastiche, ma a una più ardua e più assidua e amorosa cura pastorale. Non per nulla si parla di "Clero Piano", tale non solo per l'abito che indossa, ed è affermazione esatta e sicuramente documentabile che esso sia stato un Clero più disciplinato, più pio, più zelante che in passato. Anche se indubbiamente si avverte qualche lacuna, non si può negare questo miglioramento qualitativo nella spiritualità e nel ministero dei Sacerdoti, i quali, superando visioni ristrette e particolaristiche, avvertono sempre più il bisogno di coordinare gli sforzi e le iniziative.

Un'attività nuova anima la Chiesa di Pio IX. Si registrano, infatti, in quegli anni non pochi gruppi di Oblati, ed una fioritura di Società e di Associazioni sacerdotali, le quali promuovono nei ministri di Dio la crescita "secondo lo spirito", la perseveranza e la fedeltà alla vocazione, la disponibilità al servizio secondo non soltanto i voleri, ma i desideri stessi dei Superiori. In ciò è da ravvisare un precedente valido, che influirà nelle successive direttive giuridiche e pastorali della Chiesa (cfr Codex Iuris Canonici, cann. 124-129; Presbyterorum Ordinis, 8.12.15-17).

La fraterna comunione dei Sacerdoti tra loro, come prelude ad un più organico loro collegamento con i laici ai fini dell'apostolato, così s'instaura parallelamente ad una decisiva ripresa degli Ordini e delle Congregazioni Religiose, le quali ultime, proprio verso la metà del secolo scorso, conoscono uno sviluppo senza precedenti. Se antichi Istituti si riprendono dopo le prove delle soppressioni, delle espulsioni e degli ostacoli che, in varia forma a seconda dei diversi Paesi, intralciano la loro opera in campo educativo e assistenziale, e minacciano perfino la vita contemplativa e monastica, bisogna soprattutto tener presente il grande numero di Istituti, maschili e femminili, che sorgono in questo stesso periodo, grazie specialmente all'intraprendenza di Sacerdoti coraggiosi, non estranei allo spirito che soffiava da Roma.

L'elenco degli Istituti, fondati o approvati durante il Pontificato di Pio IX, sarebbe troppo lungo se si volesse qui prospettare e cadremmo facilmente in deplorevoli omissioni. Merito del Pontefice fu anche quello di aver promosso la riforma degli Istituti esistenti, correggendo gli abusi, scegliendo - talora, con interventi personali - superiori capaci, introducendo l'importante norma, recepita successivamente nel "Codice di Diritto Canonico" (cfr Codex Iuris Canonici, can. 574), della professione dei voti semplici da premettere alla professione definitiva; mentre, per quanto riguarda i nuovi Istituti, le sue preferenze si volgevano a quelli di apostolato attivo, aventi come fine la cura dei poveri, l'assistenza dei malati, la buona stampa, l'insegnamento e le scuole, e soprattutto le Missioni.

Arriviamo così alle Missioni, ed a questo riguardo, come si può dimenticare l'ampiezza che assunse dopo il 1850 l'azione evangelizzatrice della Chiesa? In effetti, l'età di Pio IX è una fecondissima stagione missionaria, la quale ci presenta nomi prestigiosi e vede gli araldi del Vangelo muoversi verso tutte le parti del mondo, intessendo, per così dire, una fittissima rete che si estende dalle due Americhe all'Estremo Oriente, dalle Regioni dell'Africa, allora esplorate, al Continente Australiano.

Nello stesso periodo si avverte chiara tra i Cattolici la preoccupazione "unionista", e si hanno i primi appelli diretti dal Pontefice alle Chiese di Oriente e di Occidente separate da Roma. Anche se da ciò non derivano risultati concreti, viene tuttavia avviato un moto ecumenico "ante litteram" che, alla lontana, serve a preparare nella carità e nella preghiera i futuri incontri e contatti tra i Fratelli Cristiani, contribuendo almeno a rasserenare gli spiriti, a sopire le polemiche, ad instaurare il necessario clima di fraternità che ad essi conviene. Né si può tacere il riavvicinamento a Roma che si verifica nelle Isole Britanniche e che produce, tra i suoi frutti, uno incomparabile, il Card. John Henry Newman, e poi la restaurazione della Gerarchia Cattolica prima in Inghilterra, poi in Scozia.

Ma Pio IX è passato alla storia soprattutto perché fu il Papa dell'Immacolata e del Concilio Vaticano I, ed è indubbio che un nesso religioso ed affinità interne collegano i due atti del magistero pontificio. All'uomo immemore ed al mondo dell'indifferenza e del razionalismo, estraneo o chiuso alla fede ed alla grazia, il Pontefice fece brillare la luce della Vergine Maria, quale "signum magnum" di trascendente bellezza ed insieme profetica immagine di quel piano di restaurazione religiosa, ch'egli infaticabilmente perseguiva come capo visibile della Chiesa. E la celebrazione del Concilio Vaticano fu evento ecclesiale di incalcolabile portata storica, i cui pronunciamenti e definizioni sono come fari luminosi nel secolare sviluppo della teologia, e come altrettanti punti fermi nel turbine dei movimenti ideologici che caratterizzarono la storia del pensiero moderno, e posero i presupposti di un dinamismo di studi e di opere, di pensiero e di azione che doveva culminare, nella nostra epoca, nel Vaticano Secondo, che espressamente si è richiamato al Vaticano Primo. Occorre, infatti, rilevare che promulgando la Costituzione dogmatica "Pastor Aeternus", Pio IX non fece che porre l'architrave di quella solida costruzione ecclesiologica, che è stata poi completata e perfezionata dalla Costituzione "Lumen Gentium" ch'è la "magna charta" del Concilio Vaticano II. È questa una mirabile, duplice continuità, perché riguarda oggettivamente la Chiesa e, altresì, la dottrina che di se stessa la Chiesa professa.

Ci piace, poi, ricordare come sotto Pio IX, anche per l'incidenza delle circostanze storico-politiche, si delineò la prima idea di un'organizzazione dei cattolici al fine non solo di tutelare i valori della propria fede, ma anche di promuovere una loro collaborazione attiva all'apostolato gerarchico. Difatti, proprio nell'età piana ha origine l'Azione Cattolica, allora chiamata Società della Gioventù Cattolica Italiana, alla quale si deve, tra l'altro, la decisione di fondare quella che sarà, dal 1874, l'Opera dei Congressi. Certo, si tratta di strutture embrionali che troveranno definizione e sviluppo nei decenni successivi, ma l'idea allora lanciata si doveva dimostrare valida. Anche da questo punto di vista, come per i dati di fatto sopra ricordati, Pio IX appare nella storia della Chiesa come un solerte animatore ed un operoso costruttore, il cui carisma e la cui eredità si protendono fino all'età contemporanea, se è vero che non poco di quanto egli intuì e volle e attuò è rimasto vivo e perdura anche oggi.

Concludiamo con un episodio per noi commovente che riguarda la nostra diletta famiglia naturale.
Nel 1871 un giovinetto di Brescia venne presentato dai suoi Genitori a Pio IX che, per l'innata tenerezza verso la gioventù, gli pose la mano sul capo dicendo: "Giorgio, sei qui anche tu, piccolo deputato" (cfr A. Fappani, Pio IX e la famiglia Montini alla luce di documenti inediti, in Pio IX, I, 1972, p. 317). Dopo 49 anni Giorgio, divenuto effettivamente deputato, firmò il registro dei visitatori nel Palazzo Mastai, casa natale del Papa in Senigallia. Quel giovinetto era nostro padre... Così un sottile filo storico particolare ci unisce al nostro venerato Predecessore, ed esso vale a spiegare il legame d'ordine personale e affettivo che, oltre ai più alti motivi spirituali ed ecclesiali, ci unisce alla memoria benedetta ed alla cara figura di questo Pontefice.

Noi oggi abbiamo voluto commemorarlo per tributargli un doveroso omaggio se pur assai impari al merito, e per manifestare, altresì, quei sensi di viva riconoscenza che il Pastore della Chiesa di oggi deve al Pastore della Chiesa di ieri, che la Chiesa del Concilio Vaticano II deve alla Chiesa del Concilio Vaticano I, che tutto il Popolo di Dio, nella mirabile realtà unitaria della comunione dei santi, deve a coloro - fedeli e pastori - che l'hanno preceduto "nel segno della fede" e, con in mano questa fiaccola di luce (cfr Matth. 25, 1; 5, 15), sono già andati incontro a Cristo Signore. Così sia (cfr Le Pontificat de Pie IX, in R. Aubert, Histoire de l'Eglise, vol. 21, Bloud et Gay, 1952; Giacomo Martina, Pio IX [1846-1850], Università Gregoriana Editrice, Roma 1974; Idem, Pio IX, Chiesa e mondo moderno, Editrice Studium, Roma 1976).

Augustinus
07-02-05, 08:54
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http://img177.exs.cx/img177/531/tomba27vc.jpg
http://img177.exs.cx/img177/2581/p109548ks.jpg Sarcofago che conteneva il corpo del Pontefice prima della sua Beatificazione

Il Sepolcro di Pio IX

in Roma

nell'antico nartèce

della

BASILICA DI S. LORENZO AL VERANO (FUORI LE MURA)

Piazzale del Verano, 3 - 00185 Roma (RM) Tel.06-491511

Nel testamento di Pio IX, vi era scritto fra l'altro "... Il mio corpo divenuto cadavere sarà sepolto nella Chiesa di S. Lorenzo fuori le mura, e precisamente sotto il piccolo arco esistente contro la la così detta graticola, ossia pietra nella quale si designano anche adesso le macchie prodotte dal martirio dell'illustre Levita (San Lorenzo). La spesa del monumento non deve eccedere quattrocento scudi. Fuori del modesto monumento si vedrà scolpito un triregno con le chiavi: poi una epigrafe concepita nei termini seguenti: - Ossa et cineres Pii P.IX Sum: Pont: vixit ann: ... in Pontificatu an: ... Orate pro eo - Lo stemma gentilizio sarà un teschio di morte.".
L'amore per Pio IX fu così grande che da tutto il mondo giungevano offerte per la costruzione di questo magnifico Mausoleo. Si costituì una apposita Commissione per l' "Opera del Sepolcro di Pio IX" che ebbe per Presidente il conte Giovanni Acquaderni e per consulente artistico il celebre archeologo G. Battista De Rossi.
L'architetto che realizzò il monumento fu il Prof. Raffaele Cattaneo: i 15 bellissimi mosaici sono del grande pittore Lodovico Seitz.
Nelle quattro pareti vi è uno squisito drappeggiato che raccoglie ben 640 stemmi di illustri personalità, di centinaia di Diocesi e Congregazioni religiose, di nobili Famiglie, di numerosissime Città (segnaliamo quelle delle Marche - terra di Pio IX: Ancona, Numana, Ascoli Piceno, Pesaro, Urbino, Macerata, Urbania, Tolentino, Camerino, Jesi, Senigallia). Ogni stemma ricorda i collaboratori alla realizzazione del più illustre monumento funebre realizzato a Pio IX che voleva la tomba più povera tra i poveri del Verano.
Tanto ha potuto e testimoniato l'universale gratitudine al più amato e calunniato Pontefice della storia.

Fonte: PIO IX (http://www.papapionono.it/tomba.htm)

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Augustinus
07-02-05, 08:59
dal sito SANTI E BEATI (http://www.santiebeati.it/search/jump.cgi?ID=90012):

Beato Pio IX (Giovanni Maria Mastai Ferretti) Papa

7 febbraio

Senigallia, 13 maggio 1792 - Roma, 7 febbraio 1878

(Papa dal 21/06/1846 al 07/02/1878)
Durante il suo pontificato, malgrado fosse costretto ad impegnarsi drammaticamente sul piano politico, non dimenticò mai di assolvere i compiti spirituali convinto di essere responsabile, di fronte a Dio, della difesa dei valori cristiani. Promosse nuove forme di culto e di vita spirituale, come la devozione eucaristica, quella verso il Sacro Cuore e quella mariana.
Dette slancio all'attività missionaria in Asia e in Africa. Definì il dogma dell'Immacolata Concezione e celebrò il Concilio Vaticano I dove fu fissato il dogma dell'infallibilità del Pontefice quando parla ex cathedra.

Martirologio Romano: A Roma, beato Pio IX, papa, che, proclamando apertamente la verità di Cristo, a cui aderì profondamente, istituì molte sedi episcopali, promosse il culto della beata Vergine Maria e indisse il Concilio Ecumenico Vaticano I.

La famiglia Mastai è di antichissima e nobile stirpe, originaria di Crema nel 1300; un componente di questa famiglia, residente a Venezia, si spostò a Senigallia nel 1557 e sposò una senigalliese. Nel 1625 Giovanni Maria Mastai sposò la contessa Margherita Ferretti di Ancona, ereditandone i titoli, i beni e lo stemma che si aggiunse a quello Mastai. Fu una famiglia molto prolifica e religiosa; il trisavolo di Pio IX ebbe 19 figli, il bisnonno sei figli, il nonno Ercole sette.
Giovanni Maria Mastai Ferretti (Pio IX) fu il nono figlio del Conte Girolamo e di Caterina Sollazzi e nacque a Senigallia il 13 maggio 1792, battezzato lo stesso giorno della nascita. Compì gli studi classici nel Collegio dei Nobili a Volterra, diretto dagli Scolopi, dal 1803 al 1808, studi sospesi per improvvisi attacchi epilettici, proprio quando sognava di seguire la carriera ecclesiastica. Dal 1814 fu ospite a Roma dello zio Mastai Ferretti Paolino, Canonico di S. Pietro e potè proseguire gli studi di Filosofia e di Teologia nel Collegio Romano. Nel 1815 si recò in pellegrinaggio a Loreto ed ottenne la grazia della guarigione dalla malattia. Per questo potè continuare i suoi studi e la preparazione intensa al presbiterato. Il 5 gennaio 1817 ricevette gli Ordini Minori, il 19 dicembre 1818 il Suddiaconato, il 7 marzo 1819 il Diaconato, il 10 aprile 1819 venne ordinato Sacerdote. L'11 aprile 1819 celebrò la prima Santa Messa nella chiesa di sant'Anna, annessa all'Ospizio Tata Giovanni, tra i ragazzi che furono il centro del suo apostolato giovanile fino al 1823.
Dal luglio 1823 al giugno 1825 fu tra i membri componenti la Missione apostolica in Cile guidata dal Delegato Mons. Giovanni Muzi. Il 24 aprile 1827 fu nominato Arcivescovo di Spoleto a soli 35 anni; il 6 dicembre 1832 venne trasferito al Vescovado di Imola; il 14 dicembre 1840 ricevette la berretta Cardinalizia; il 16 giugno 1846, al quarto scrutinio, con voti 36 su 50 Cardinali presenti al Conclave, venne eletto Sommo Pontefice a soli 54 anni. Un mese dopo concesse l'amnistia (16 luglio 1846) per i reati politici. Dall'agosto 1846 al 14 marzo 1848 è l'epoca delle grandi riforme dello Stato Pontificio (Ministero liberale, libertà di stampa e agli ebrei, Guardia Civica, inizio delle ferrovie, Municipio di Roma, 14 marzo 1849 emissione dello Statuto). Con l'Allocuzione del 29 aprile 1848 contro la guerra all'Austria declina la stella politica del Mastai e incomincia la sua lunga Via Crucis. Il 15 novembre 1848 uccisione di Pellegrino Rossi; dal 24 novembre 1848 al 12 aprile 1850 esilio del Pontefice a Gaeta e quindi ritorno a Roma, ove riprese una illuminata restaurazione. L'8 dicembre 1854 definizione del dogma della Immacolata Concezione. Dal 4 maggio al 5 settembre 1857 viaggio-visita politico-pastorale di Pio IX nei suoi Stati. Nell'aprile del 1860 caddero le Legazioni, nel settembre la Marche e l'Umbria furono annesse al Regno d'Italia. Il 1 luglio 1861 viene pubblicato il primo numero dell'"Osservatore Romano". L'8 dicembre 1864 Enciclica "Quanta Cura" e il Sillabo; il 2 maggio 1868 approvazione della Gioventù Cattolica Italiana; l'8 dicembre 1869 apertura del Concilio Vaticano I che promulga due Costituzioni, la "Dei Filius" e la "Pastor Aeternus" del 18 luglio 1870 e la definizione del magistero infallibile del Pontefice Romano se parla "ex cathedra"; chiusura del Concilio per il precipitare degli eventi politici. Il 20 settembre 1870 presa di Roma e chiusura volontaria del Papa in Vaticano. L'8 dicembre 1870 Pio IX proclamò S. Giuseppe patrono della Chiesa universale. Il 16 giugno 1875 Consacrazione della Chiesa al Sacro Cuore di Gesù. Il 7 febbraio 1878 morte di Pio IX dopo 32 anni di Pontificato. Il 12 febbraio 1907 Pio X ordina l'introduzione della Causa di Beatificazione di Pio IX con i Processi Diocesani di Roma, Senigallia, Spoleto, Imola, Napoli. Nel 1954-1955 solenne apertura del Processo Apostolico di Beatificazione presso la Congregazione dei Santi. Il 6 luglio 1985 promulgazione del Decreto sulla eroicità delle virtù del Ven. Pio IX. Il 20 dicembre 1999 Decreto di riconoscimento del Miracolo attribuito a Pio IX.

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Augustinus
07-02-05, 09:02
PAOLO VI

ANGELUS DOMINI

Domenica, 5 febbraio 1978

ABITUATI AD ONORARE gli anniversari degli avvenimenti storici, noi ricorderemo che in questa settimana, e precisamente il 7 febbraio, si compiono cento anni dalla morte del nostro venerato predecessore il Papa Pio IX, Giovanni Mastai Ferretti, a ottantacinque anni e mezzo di età, sepolto, com’ è noto, a S. Lorenzo al Verano, il Papa che ebbe il Pontificato più lungo, dalle origini ad oggi, e cioè dal 1846 al 1878, e che dal 1870 cessò d’esercitare il potere temporale su Roma e una rimanente esigua parte circostante di territorio italiano. È nota la storia: si dovette attendere la riconciliazione fra la Santa Sede e l’ Italia fino al 1929; né di dominio temporale si parlò mai più, salvo che per il piccolo lembo della Città del Vaticano, a segno dell’ indipendenza della Sede Apostolica.

Ma il periodo del Pontificato di Pio IX fu così travagliato di avvenimenti, e così memorabile per la Chiesa che la sua figura, «bersaglio di contraddizione», (Luc. 2, 34) non è ancora così entrata nella storia passata, che siano del tutto sopite le discussioni che la riguardano. Noi le dobbiamo ad ogni modo affezione e riverenza per il ricordo della sua paterna bontà, per l’ onore di Pio IX alla Madonna, proclamandone il dogma dell’ Immacolata Concezione, per l’ esempio e l’ impulso di pietà religiosa impresso alla Chiesa, per il rafforzamento della compagine ecclesiale, specialmente con la celebrazione del Concilio Vaticano primo, rimasto incompiuto ma integrato poi dal Concilio Vaticano secondo; e possiamo aggiungere per il rafforzamento della coscienza della indipendenza della missione della Chiesa dalle potestà civili, come pure per il rinnovamento dell’attività missionaria e dell’apostolato pastorale.

È tramontata con Pio IX una lunga vicenda storica della Chiesa e del costume popolare cristiano, non senza penose difficoltà; ma è subito germogliata una vitalità nuova, derivata dalla fedeltà alla dottrina e allo spirito religioso proprio delle radici interiori della Chiesa. Noi dobbiamo ancora fare nostra questa eredità, sentirne l’inesausto vigore, e celebrarne in sempre nuova effusione spirituale e apostolica la tradizionale virtù. Sappiamo che una speciale cerimonia commemorativa ci è riservata; ma è differita al prossimo mese.

E siamo fiduciosi che il «Papa dell’Immacolata» vorrà ottenerci dalla celeste Regina una particolare assistenza.

Augustinus
02-07-05, 19:01
LE RAGIONI DEL SILLABO, LE RAGIONI DI UN SILLABO.

Conferenza tenuta al III Convegno di Studi Albertiani,
“ Pio IX, il dogma dell'Immacolata e il Sillabo”
Milano, Sala degli affreschi di Palazzo Isimbardi,
27 novembre 2004.

Sillabo: la celebre raccolta (syllabus) di ottanta proposizioni fatta pubblicare nel 1864 dal beato Papa Pio IX. È una collezione particolare: enumera alcuni errori cui la ragione dell’uomo moderno è particolarmente versata, concretati, in una parola, nello spirito di indipendenza da Dio, ovvero in ciò che più di ogni altra cosa distingue l’irreligioso dal religioso, il superbo dall’umile, il laicista dal cattolico. Il ragionevole dall’irragionevole. Dirò anche: il puro dall’impuro, o empio. Vedremo perché.
L’accostamento che il nostro Convegno propone fin dal titolo: “Pio IX, il dogma dell’Immacolata e il Sillabo” è del tutto appropriato, e risponde al più intimo e primo volere di Papa Mastai per fronteggiare la ribellione alla ragione innestata dalle filosofie moderne nate dal razionalismo: fin dal ’52 concepì l’idea di affermare la sovranità sul mondo dello spirito (cioè della Chiesa), doppiamente, cioè in un unico atto di docenza (dunque di sommo imperio): una pars construens, con la promulgazione solenne del dogma dell’immacolatezza di una creatura ab æterno; e una pars destruens, con la damnatio della pervicace impurità di cuore del secolo.
L’accostamento è storicamente attestato: il beato Pio IX, da quel « puro di cuore » che era, « oppone all’orgoglio luciferino, motore occulto dell’egualitarismo democratico, il dogma dell’Immacolata Concezione, per il quale Maria fu dispensata, in virtù di una grazia sovrana, dalla legge comune »: 1 [GIOVANNI VANNONI, Sillabo, Edizioni Cantagalli, Siena 1985; Genesi e natura del Sillabo, p. 32.] Maria espunta dalla sovranità democratica in virtù di una superiore sovranità: divina e monarchica.
Ora, Maria, concepita immacolata, è, rispetto agli altri uomini, una creatura particolare, superiore: per tutti gli altri uomini, macchiati dal peccato, un catalogo dei possibili errori in cui può incorrere la ragione è non solo utile, ma conveniente, e difatti possiamo dire che il primo sillabo, in tal senso di forte bordone alla ragione, furono le tavole di Mosè. Dai tempi di Mosè, i cataloghi degli errori approntati dai Profeti e dalla Chiesa servirono agli uomini per far loro comprendere chi entra nel Regno dei Cieli: vi entrano unicamente i « puri di cuore "; chi non è « puro di cuore » non entra. Ora, « puro di cuore » si è nella mente, nella ragione, e vedremo cosa significa ciò: panteismo, razionalismo, relativismo, poi modernismo, irenismo, pacifismo, laicismo, liberismo, sono tutti errori compiuti per via della primigenia impurità del cuore, cui Maria e tutti i santi opposero la loro castità di cuore, e per questo essi sono nel Regno dei Cieli.
Bisogna capire che la morsa in cui viene stretto quel « puro di cuore » era a tenaglia: la morsa delle due ganasce della gnosi, la teoretica e la pratica: la teoretica faceva avanzare il materialismo dialettico di Marx ed Engels, con il loro Manifesto del Partito Comunista diffuso sotto l’egida della Lega dei Comunisti (ex società segreta “dei Giusti”), o lo spiritualismo lanciato negli Stati Uniti dalla Confraternita Ermetica di Luxor, appoggiato da personaggi come Guénon; la ganascia pratica, nel frattempo, colpiva la Chiesa anche materialmente, con i rivolgimenti politici, le insurrezioni, le invasioni, le guerre.
Come rileva Roberto De Mattei, « la prospettiva di Pio IX […] si presenta come una visione della storia e della società intimamente controrivoluzionari, secondo la quale il Rinascimento, il protestantesimo e la Rivoluzione francese costituiscono le tappe di un processo plurisecolare che si propone come fine la liquidazione [io direi piuttosto l’assorbimento] della Civiltà cristiana e l’edificazione, sulle sue rovine, di una Repubblica universale equalitaria » 2 [ROBERTO DE MATTEI, Pio IX, Piemme, Casale Monferrato 2000, con i testi completi del Syllabus e della Bolla Ineffabilis Deus; p. 7.].
Per colpevoli congiure, ma anche per consigliate valutazioni, i due atti vennero di fatto divisi e la bolla Ineffabilis Deus uscì dieci anni prima del Syllabus.
Papa Pio IX ha l’intuizione di cogliere – dietro il generale fanatismo anticattolico che assedia la Chiesa, che si risolveva nelle grandi rivolte del ’48, nei soprusi poi del regno Sabaudo, nelle provocazioni mazziniane di una Repubblica Romana, nella pressione sulle province romane a ribellarsi al governo della Chiesa, ma poi anche, più profondamente e per tutto il mondo, nella diffusione delle ideologie democraticiste sia liberali che marxiste, poi del razionalismo, del fideismo, del panteismo, del naturalismo più immanentistico – l’intuizione è, dicevo, di cogliere un’unica matrice, un’unica vis velenosa: il rigetto del concetto di obbedienza, il rifiuto della nozione di sottomissione, la ribellione della pur sovrana ragione a una superiore sovranità. Questo abitus profondamente anticattolico verrà segnalato in primo luogo da Romano Amerio, Augusto Del Noce, e oggi da studiosi come Roberto De Mattei.
Niente di nuovo, propriamente, giacché, senza andare come si potrebbe almeno fino a Pelagio, passando per i padri dei vari ribellismi protestanti e per filosofi come Cartesio, sarebbe stato sufficiente attardarsi intorno a quest’ultimo per aprire il vaso di Pandora di tutti gli errori moderni: l’inveramento della sovranità della ragione su ogni altra sovranità ha infatti in Cartesio il suo inizio.
All’aceto di una ragione dalla sovranità pervertita quel Sommo Pastore « puro di cuore " vorrebbe rispondere con il vino doppiamente nobile di una ragione di Magistero (Syllabus e Ineffabilis Deus) dalla sovranità raddoppiata: sovranità di ragione proferita sia sul piano della grazia che della dottrina; sia sul piano della contemplatio che della damnatio; sia sul piano della ragione che della fede; sia sul piano della spiritualità più interiore che su quello dell’autorità più universale. Qui vorrei suggerire la forza del legame tra purezza interiore e azione sociale.
Le ragioni del Sillabo, di quel Sillabo, permangono a tutt’oggi quali ragioni di un Sillabo, permanendo la radicale convinzione di una sovranità assoluta della ragione umana.
Che altro è il panteismo, se non identificare la divinità col mondo, cioè adorare la propria ragione come fosse Dio? Che altro il razionalismo, se non imporre la sovranità della ragione come suprema norma alla verità, quasi essa fosse ab æterno? Che altro l’indifferentismo, se non dare buona in ogni nozione religiosa ogni operazione quale che sia compiuta da una ragione sovrana che così è davvero assoluta? Che altro il liberalismo e la statolatria, se non l’imposizione della sovranità della ragione persino sulla Rivelazione, dei suoi diritti sui diritti di Dio? Che altro poi un matrimonio desacramentato, se non il godimento della sovranità di una ragione divenuta però libertina e licenziosa? E infine: che altro è la divisione dello Stato dalla Chiesa, se non la proclamazione della sovranità della ragione, finalmente così indipendente da ogni norma morale, dalla Caritas, dal Verbum, da Dio?
Se è Kant ad affermare l’impossibilità per l’uomo di conoscere fuori della propria mente un reale, è Cartesio che ne pone come dicevo le premesse metafisiche sradicando intelletto e volontà (libertà) dall’essenza di Dio e poi snervando la volontà da un intelletto previo. È il cattolico Cartesio a togliere alla Trinità la corretta disposizione delle processioni divine (Spiritus Sanctus FILIOQUE procedit), ferendo il Verbo di una ferita che di secolo in secolo trabocca nel mondo (tra i filosofi, tra le genti, fin nella Chiesa), il guaio sommo intravisto da Pio IX, per il quale dalla dislocazione della Trinità si ha la vittoria della libertà umana sulla sua intelligenza.
Ma la processione dell’Amore dal Verbo stabilisce la relazione che lega la verità alla libertà: poiché la questione della libertà dipende strettamente dalla sua corretta conduzione, come per primo sottolinea GESÙ nell’Evangelium: « La verità vi farà liberi », 3 [Ioan., VIII, 32.] ovvero è l’adesione dell’uomo alla verità che dà all’uomo la libertà. La libertà dipende dalla verità, come in Dio l’amore, la volontà, seguono il Verbo, e non viceversa.
Questa disposizione di dipendenza viene colta dal retto svolgimento compiuto dall’uomo sul raziocinio operato nella prima età, raziocinio che per la sua semplicità e forza si può dire il principe dei ragionamenti: il ragionamento di dipendenza.
Esso è quella deduzione con cui ogni uomo, fin dalla prima e tenera età della ragione – tenera ma pura, retta e innocente – si riconosce dipendente. L’animo del fanciullo, infatti, ragionevolmente sa di essere assolutamente dipendente. Da qui la sua limpida fede: nel genitore, e nel prossimo, prima di tutto. Per cui: « Chi non si fa piccolo come questo bambino, non entrerà nel Regno dei Cieli » (Matth., XVIII, 4); e ancora: « Io vi dico in verità che chiunque non accoglie il Regno di Dio con l’animo di un fanciullo, non entrerà in esso » (Luc. XVIII, 16-17). Sicché la sollecitudine di Dio è che noi uomini si divenga prima « piccoli come bambini » e, una volta tali nell’intelletto di fede, si possa « entrare nel Regno dei Cieli », il quale ha la porta piccola perché è a misura di pueri, di bambini.
Il sillogismo principe è quel ragionamento che unisce l’uomo alla madre, al padre, ai fratelli, in un da, in un con, in un per, cioè con un plesso di relazioni e affetti da cui sa di non poter nemmeno minimamente prescindere (e da cui fino alla perdita della semplicità e purezza infantili in effetti non prescinde): il suo Io non è ancora costruito tanto da poter aspirare all’usurpazione del trono su cui sta assisa l’umiltà di dipendenza.
Non formulo il principe dei sillogismi: ogni uomo conosce il proprio cuore, sa dunque a cosa mi riferisco. È sufficiente la sua conclusione: l’uomo si riconosce intrinsecamente dipendente, e insieme al proprio Io riconosce dipendente tutto il creato. Con questo universale giudizio di dipendenza riconosce intuitivamente l’esistenza del Creatore da cui provengono tutte le cose, e tutto questo in conformità alla divina Scrittura, ovvero a ciò che il Signore stesso insegna attraverso i suoi oracoli: « [A tutti gli uomini] è manifesto quel che si può conoscere di Dio; Dio stesso lo ha loro manifestato; poiché le sue invisibili perfezioni si rendono visibili, comprendendosi dalle cose fatte, fin dalla creazione del mondo » (Rom., I, 19-20).
Queste parole dell’Apostolo non vanno solo riferite ai filosofi, ma estese con più grande pertinenza a tutti gli uomini, e io oserei dire a tutti i ragazzetti, a tutti i pueri appena forniti del lume della ragione naturale, già possessori della base di presupposti appartenenti al sensus communis, cioè alle certezze universali prefilosofiche e prescientifiche, di cui parla in innumerevoli libri il decano della Facoltà di Filosofia della Pontificia Università Lateranense, mons. prof. Antonio Livi, 4 [Cfr. ANTONIO LIVI, Dizionario storico della Filosofia, Società Editrice Dante Alighieri, Roma 2000, nella quale opera, riferendosi l’Autore in generale al sensus communis « come 'sistema organico di certezze universali e necessarie’ », egli completa tale sistema di « un fondamento razionale della realtà in Dio, prima Causa e ultimo fine » (voce senso comune).], pueri quindi capaci di intuire i princìpi primi (di identità e di non contraddizione) che contrassegnano le cose nella loro individualità, di percepire il senso di sé (della propria realtà), dell’altro (simile a sé), del mondo (realtà circostante), di una legge universale superiore a sé e agli altri, e della certezza della verità così come della capacità della ragione nell’individuarla. Dunque pueri, ragazzetti, capaci di avvicinare e distinguere, addizionare e sottrarre le cose tra loro nei sillogismi. Il più delle volte, come si sa, con perfetta immediatezza, semplicità e purezza di cuore. 5 [Che l’età della ragione sia comunemente stabilita dopo i 5 anni ha almeno due argomenti a favore: la volontà di san Pio X che la santa Comunione fosse accordata ai fanciulli a partire dai 5 anni; la beatificazione di Francisco e Jacinta Marto, i due pastorelli di Fatima di 7 e 9 anni. Entrambe le cose possono infatti essere ratificate solo supponendo la ragione nei soggetti operante. Da qui il consiglio del Maestro: « Lasciate che i fanciulli vengano a me » (Loc. cit.), cioè lasciate che vengano a me i vostri cuori tornati con la grazia ‘fanciulli’: semplici, innocenti e puri. ]
Romano Amerio, dopo analoghe considerazioni, conclude – proprio in via di questo particolare sillogismo che porta al riconoscimento della dipendenza – che la religione, se riconosciuta legata a ciò che chiama una « tensione innata » dell’uomo al bene e al vero, è giudizio così intrinseco e intimo all’uomo da essergli quasi connaturato, turbato poi anche dalle nefaste conseguenze del peccato originale dei progenitori, per cui ciò che prima sarebbe risultato un giudizio certo, inerrante e fermo, dopo il peccato viene messo a repentaglio e reso incerto – appunto – dalle passioni, dalle circostanze, dai moti più disordinati dati dalle mode, dai vagheggiamenti di potenza e persino dai moti dell’amicizia che prendono a volte il sopravvento sui giudizi di verità, eccetera. Ma il primo giudizio di dipendenza, la prima religio a Dio, per il filosofo, è quasi ‘di natura’.
Il tomismo mostra, intorno al processo intellettuale che muove e fa l’uomo, non solo la luce intellettiva che rischiara i termini e gli evidenzia il vero e il bene, ma anche la sua tensione volitiva, per la quale egli si muove verso il vero e il bene. Ma tutto ciò che è connaturato e innato all’uomo, è precedente a qualsiasi suo ragionamento, a qualsiasi atto da uomo; se dunque ciò che lo precede sono una luce e una tensione al vero e al bene non costruite con il proprio raziocinio, esse devono scaturire da ciò che è prima della natura, cioè da Dio.
Questo sembra il cuore del problema: da qui sappiamo perché la ragione umana è una maestà: sovrana di prima grandezza nel creato, ma vassalla di una Ratio divina nei rapporti con l’Increato, ovvero nei rapporti con ciò che le è precedente.
È maestà, la ragione, fin tanto che governa le passioni, le preoccupazioni, persino gli affetti, tenendo tutte queste cose fuori dal ragionamento, dopo aver ricevuto proprio da esse i termini per compierlo e persino la sollecitudine a ragionare.
Infatti la filosofia, da Socrate ad Amerio, passando per Platone, Aristotele, Agostino, Tommaso, Manzoni, Rosmini, e persino per Croce, chiarisce che il sofisma, o errore del ragionamento, del processo che diciamo sillogistico, è assolutamente ateoretico, cioè non dipende assolutamente dal raziocinio in sé (aristotelico), il quale conclude sempre bene: l’errore dipende dall’infiltrazione del senso, cioè da preoccupazioni, passioni, affecta, desideri (di amicizia, di pace, etc.), che si infiltrano nel cuore dell’intelletto e lo turbano. Se non fosse per loro, i ragionamenti porterebbero all’evidenza di conclusioni vere, e l’uomo si persuaderebbe da queste evidenze.
Come ben nota il marchese Donoso Cortès, cui Pio IX aveva affidato tra gli altri la prima stesura del Sillabo, il peccato originale turba i ragionamenti umani, e spesso permette all’uomo di nascondersi mille piccole evidenze con mille piccole astuzie, tralasciando le quali non si svierebbe, non errerebbe, non peccherebbe.
Sua maestà la ragione, in realtà, è spesso una meretrice di se stessa, giacché la fame di sé la distoglie dal suo cibo naturale, che sarebbe, come dice la Scolastica, la verità.
Il fatto è – e qui vediamo il fattore libertà – che quel cibo naturale per l’intelletto che è la verità, o evidenza, è l’unico cibo di cui l’intelletto dovrebbe cibarsi: l’evidenza costringe l’intelletto, e la persuasione è doverosa. Dove sta la libertà? La libertà, dice Amerio, accompagna l’uomo quando egli costruisce il raziocinio, avvicina i termini corretti da confrontare, e lì decide di stare a quei termini o non starci, cioè di accettare o non accettare il responso, che di per sé è, fin dal momento in cui sono apparecchiati i termini, chiaro, inconfondibile, ineludibile.
Prendiamo il più classico dei ragionamenti: « Tutti gli uomini sono mortali; Socrate è un uomo; dunque Socrate è mortale ». La libertà dell’uomo dovrebbe seguire il ragionamento, ma può anche permettere che vi entri una qualsiasi remora, un pulviscolo di sabbia che corregge il ragionamento e ne svia la doverosa conclusione: può entrarvi l’ignoranza (l’ipotesi, p. es., ‘tutti gli uomini sono mortali’ non è debitamente accertata); una qualsiasi passione (p. es. la fretta di concludere il ragionamento, oppure il desiderio di vedere in Socrate, per amicizia, qualcosa di più di un uomo: un semidio); un apriorismo culturale (p. es. appartenere a una scuola filosofica avversa alla socratica, per cui si tenta in ogni modo di trascinare il ragionamento in un circolo vizioso). E via dicendo. La libertà segue la verità, perché è libertà intellettiva, come nella Trinità l’amore, la volontà, cioè la libertà di Dio, sono di Intelletto nella processione dal Verbum; e se non la segue, la libertà decade in licenza.
Sua maestà la ragione, dunque, è regina sui sensi, sulle passioni, sulle preoccupazioni, sugli affetti, ma, come ognuno sa, non su di sé. Infatti, se fosse sovrana assoluta, come pretendono gli irreligiosi, come mai per capire qualcosa essa è costretta a lavorare? Da quando in qua una regina lavora? E la ragione lavora di continuo, non sta mai ferma. Essa tende, e tende alla verità, che la precede, che le è dinanzi, che le si sottrae anche, e che la umilia. Ecco ancora in cosa consiste la dipendenza della ragione, che il cattolico sa bene, rallegrandosi, come nel Magnificat, della propria piccolezza.
Dipendenza dunque, ma anche indipendenza: quando l’uomo è da Dio stesso posto dinanzi al proprio dovere di scegliere, con il proprio libero arbitrio, di essere uomo, cioè di usare del proprio intelletto, la ragione è lasciata a se stessa: davanti al mondo che lo tira ora qua e ora là, che gli offre allettamenti su ogni ordine di valori, e specialmente dinanzi alla necessità vitale di costruire il proprio sé, l’uomo si trova dinanzi al baratro della propria ragione, della propria libertà che è di seguire o non seguire la ragione, della propria indipendenza.
Da questo punto di vista si capisce sùbito che costruire un ragionamento retto diviene un’operazione arrischiata, priva cioè di quei muretti a destra e a sinistra che sembravano tenere il ragionamento in piedi: l’indipendenza della ragione, sovrana forzata, mette p. es. dinanzi ad Adamo la scelta: alzare il sopracciglio o non alzare il sopracciglio per mettersi sulla difensiva e compiere, all’ingresso del serpente nel Giardino, una prima e risolutiva considerazione: “Le creature di Dio ascoltano in primo luogo le parole di Dio; io sono una creatura di Dio; dunque io ascolterò in primo luogo le sue parole”. Scelgo liberamente di dipendere. Oppure una seconda: “L’amore con cui Dio mi detta le cose che posso e che non posso fare è immenso; nessuno può avere un amore più grande di quello; nessuno dunque può dettarmi parole diverse (migliori) da quelle”.
Anche Maria è esposta dall’indipendenza della ragione a una scelta, e infatti la sua scelta non solo la scosterà dalle creature che – come i bruti – non ragionano, ma anche da Zaccaria, che ragiona, sì, ma non liberamente, ma piuttosto sotto la remora dell’incredulità. Maria ragiona, e ragiona addirittura legando in un unico razionale sillogismo la ragione di natura alla ragione di grazia, come indicato da Livi esponendo san Tommaso; 6 [ANTONIO LIVI, Tommaso d’Aquino. Il futuro del pensiero cristiano, Mondadori, Milano 1997, p. 84: « Nell’argomentazione teologica [e nell’argomentazione in cui la vita, come nei santi, dà sèguito alla fede] la premessa maggiore è un’asserzione di fede (cioè una verità rivelata), mentre la premessa minore è una evidenza di ragione. La seconda premessa è quindi il momento in cui la ragione fa uso delle proprie conoscenze per riuscire a comprendere meglio la verità rivelata ».] per cui la Vergine Ancella, chinando il capo, sceglie: “L’Angelo è un messo di Dio; i messi di Dio dicono sempre cose vere; l’angelo mi dice cose vere”. Oppure: “[L’angelo dice:] ‘Colui che ti nascerà sarà chiamato Figlio di Dio’ (premessa minore, di grazia); tutti i figli ricevono la loro natura dal padre e dalla madre (premessa maggiore, di natura); il figlio che mi nascerà avrà da me la natura umana e da Dio quella divina’ (conclusione sillogistica superrazionale)”.
L’indipendenza della propria libera ragione muove Maria a farsi dipendente, come tutte le creature razionali quando compiono un retto sillogismo, un retto giudizio: dipendono infatti dalla determinazione del ragionamento.
Libertas, ancilla veritatis, è dalla verità determinata: mantenendo i termini del sillogismo costruito a partire dalla realtà confrontata con la coscienza, l’uomo esercita la libertà, la quale viceversa gira in licenza se al ragionamento vero preferisce una passione. L’uomo è libero solo se il suo cuore aderisce alla realtà aletica delle cose postegli dinanzi, e raccolte dai sensi.
Questa è la base metafisica su cui riposa quel ragionamento di dipendenza che si diceva, e che è fondamento all’uomo: l’uomo è indipendente e libero nel scegliere con la ragione la dipendenza che deve scegliere per essere figlio di Dio.
Se lo spirito che sostanzia il cattolico è di dipendenza (dalla verità, dunque da Dio), ecco cosa Pio IX fa rilevare fin dalla III proposizione del suo Sillabo, 7 [“La ragione umana, senza tenere assolutamente in nessuna considerazione Dio, è l’unico vero arbitro del vero e del falso, del bene e del male, è legge a se stessa, e con le sue forze naturali è sufficiente a procurare il bene degli uomini e dei popoli”.] nella lettura che ne fa Amerio nel suo celebre Iota unum: « L’indipendenza della ragione che, senza riferirsi a Dio, riconosce legge soltanto quella posta da sé stessa », è in fragrante autonomia dalla forza creatrice, non appoggiandosi ad altra ragione che alla propria. Nella V proposizione , 8 [“La rivelazione divina è imperfetta e per questo è soggetta a un continuo e indefinito progresso, il quale corrisponde al progresso della ragione umana”.] nota Amerio, che « si fa della ragione la norma assoluta e del soprannaturale un prodotto del pensiero naturale », arrivando così a negare « la dipendenza del verbo creato dal Verbo increato », sicché « la perfezione della divina rivelazione è nella coscienza umana del divino e nella riduzione dei dogmi a teoremi razionali ».
Mi pare di poter riassumere così: ragionare è cosa adatta all’uomo « puro di cuore », cioè dal cuore sgombro da preoccupazioni che non siano quella di ragionare puramente. Questa prerogativa va non solo tenuta, ma anche insegnata, e infatti costituisce l’insegnamento unicamente di nostro Signore e, vicariamente, della Chiesa. E infatti: chi può mettere assieme un catalogo di irrazionali impurità se non la Chiesa, unica Maestra di verità, unico deposito della conoscenza della Trinità, solo dal cui Mistero procede ogni vera conoscenza, ogni ragionamento, ogni retta filosofia? Documenti come il Sillabo servono proprio a offrire agli uomini gli strumenti più idonei per ragionare con quella purezza che qui si è detta. Pio X e Pio XII, 8 [Il primo con il decreto Lamentabili, unito alla Pascendi, 8 luglio 1907; il secondo con la Humani Generis, 12 agosto 1950.] consapevoli dei guai portati dallo scombinamento della divina Monotriade, ebbero lo spirito di ragione e di religione per pubblicarne altri due, contro il modernismo e il neomodernismo.
In conclusione, possiamo dire che fin tanto che l’avidità di indipendenza impropria turberà la « purezza di cuore » cui è chiamata la ragione, si impone la necessità di un elenco degli errori cui porta di volta in volta l’avidità di sé, il primo errore dei quali è l’ingrippatura del proprio stesso meccanismo spirituale. L’elenco spesso dev’essere lungo, specifico; ma basterebbe dire: sii razionale, sii teoretico, ragiona scevro da passioni, o uomo, come i ragazzetti, come i pueri, e non incorrerai in alcun errore, ma entrerai anche tu nel Regno.

Enrico Maria Radaelli

FONTE (http://www.enricomariaradaelli.it/aureadomus/hortus/hortus_sillabo.html)

catholikos
13-07-05, 12:51
dovremmo ringraziare Iddio che nel sec. XIX la CCR si sia liberata del potere temporale e sia cominciata la vera rinascita nella fede in Cristo.
Non esiste cosa che renda l'uomo schiavo piu' del potere e del denaro...
il regno di Cristo non e' di questo mondo e non bisognerebbe MAI confondere Cesare e Dio ne' unirli insieme.

Talib
13-07-05, 18:11
Caro Augustinus, premetto che un buon 99% di quanto scritto nel thread non l'ho letto perchè troppo lungo.
Detto questo, una domanda: cosa ne pensi, in due parole, di chi vede in Pio IX un "liberale" (bisognerebbe anche specificare prima in che senso intendono questo epiteto...)?

Talib
13-07-05, 18:20
Originally posted by Augustinus
Bisogna capire che la morsa in cui viene stretto quel « puro di cuore » era a tenaglia: la morsa delle due ganasce della gnosi, la teoretica e la pratica: la teoretica faceva avanzare il materialismo dialettico di Marx ed Engels, con il loro Manifesto del Partito Comunista diffuso sotto l’egida della Lega dei Comunisti (ex società segreta “dei Giusti”), o lo spiritualismo lanciato negli Stati Uniti dalla Confraternita Ermetica di Luxor, appoggiato da personaggi come Guénon;

Mamma mia, mi si accappona la pelle a leggere certe cose. Mi sa che il Radaelli non distingue nemmeno tra gnosi e gnosticismo ;)

E pensare che, come il sottoscritto, Guènon sperava nella restaurazione tradizionale dell'Occidente sotto la guida della Chiesa Cattolica. Purtroppo certa gente o non ha capito niente di Guènon (e non v'è da escludere nemmeno un vero e proprio "impedimento fisiologico" a comprenderlo), oppure lo ha compreso fin troppo bene, ma pur di non ammettere la verità preferisce la malafede :(.

Un saluto, e buon lavoro ad Augustinus per il suo bellissimo sottoforum.
Talib

uva bianca
13-07-05, 20:12
posso chiedere una cosa?
Che libro mi consigliereste per capire bene il pensiero di guenòn nella sua interezza?
Magari anche un'opera di altri che commentano Guenòn

Talib
15-07-05, 10:30
Premetto (anche se qualcuno non sarà d'accordo con tale premessa) che non esiste un pensiero di Guènon. Esiste il pensiero tradizionale, ovvero quell'insieme di verità rivelateci dall'alto e TRAMANDATECI (è questo il senso autentico della parola "Tradizione": ciò che è tramandato) che costituiscono il nocciolo di tutte le grandi tradizioni religiose del pianeta, dirette emanzioni dell'Unica Vera Religione Primordiale che esiste già dall'epoca di Adamo. E queste non sono bislacche idee esoteriste, ma è nient'altro che quello che intendeva Sant'Agostino quando scriveva:

«Nam res ipsa quae nunc, christiana religio noncupatur, erat apud antiquos, nec defuit ab initio generis humani, quousque ipse Christus veniret in carne, unde vera religio quae iam erat, coepit appellare christiana. Non quia prioribus temporibus non fuit, sed quia posterioribus haec nomen accepit».

«Quella che oggi si chiama religione cristiana esisteva presso gli Antichi e non ha mai cessato di esistere a partire dall’origine del genere umano, fino a quando, con la venuta di Cristo, si è incominciato a chiamare cristiana la vera religione che esisteva già prima».

Guènon, e a mio parere con ciò ha reso agli uomini contemporanei un servizio impagabile, si è "limitato" a rendere accessibile il pensiero tradizionale agli occidentali moderni, che nel frattempo si erano smarriti in secoli di pensiero anti-tradizionale oggi accettato in gran parte dalla Chiesa stessa (Rinascimento, Illuminismo, Razionalismo, Evoluzionismo Darwinista - che prima ancora che essere una semplice teoria biologica, è un vero e proprio modo di pensare - et cetera). Pertanto, per conoscere il "pensiero di Guènon" sarebbe, secondo me, sufficiente conoscere nient'altro che l'autentico pensiero tradizionale cattolico (quello, per intenderci, del nostro Medioevo), visto che nei suoi libri Guènon non dice nulla che non si trovi già nell'autentico pensiero del Cattolicesimo o di qualsiasi altra grande tradizione religiosa. Il problema è avere i mezzi per riconoscerlo (che, se fosse stato così semplice, non ci sarebbe stato bisogno di Guènon ;))...

Detto questo, se dovessi consigliare qualcosa di Guènon a chi non lo ha mai letto prima, consiglierei di leggere "Introduzione generale allo studio delle dottrine indù" (che è una specie di introduzione al "suo" pensiero e alla sua terminologia - Guènon ricorreva spesso alla tradizione indù perchè più vicina come antichità e come "forma" alla Tradizione Primordiale, ovvero al "nocciolo" rintracciabile in tutte le tradizioni, e pertanto ciò la rendeva più adatta a far comprendere certi concetti), e "La crisi del mondo moderno" (che traccia a grandi linee la degenerazione dell'Occidente contemporaneo e le critiche che Guènon gli muove). Comunque, tutta la sua opera ha una certa importanza, quindi consiglierei, piano piano, di leggerla tutta.

Bellarmino
15-07-05, 11:24
Originally posted by Talib

E pensare che, come il sottoscritto, Guènon sperava nella restaurazione tradizionale dell'Occidente sotto la guida della Chiesa Cattolica. Purtroppo certa gente o non ha capito niente di Guènon...
Talib
Caro Talib, evidentemente non ha capito molto di se stesso neppure Guenon, dato che invece di farsi interprete dell'affermazione di cui sopra s'è convertito all'islamismo (esoterico).

Talib
15-07-05, 18:32
Originally posted by Bellarmino
Caro Talib, evidentemente non ha capito molto di se stesso neppure Guenon, dato che invece di farsi interprete dell'affermazione di cui sopra s'è convertito all'islamismo (esoterico).

Caro Bellarmino, si sono buttati litri di inchiostro in merito alla conversione di Guènon all'Islam. D'altra parte, Guènon stesso si dichiarava però "inconvertibile" ad alcunchè, e difatti si preferisce parlare di "passaggio" all'Islamismo, piuttosto che di "conversione". Questo perchè una "conversione" presupporrebbe un cambiamento di idea, ma per Guènon, che prendeva le mosse dal concetto di validità simultanea delle religioni e di unità trascendente delle stesse, passare da una forma tradizionale che riteneva vera e valida ad un'altra che riteneva altrettanto vera e valida, non è affatto una "conversione".
Quelli che poi possono essere stati i personali motivi di tale passaggio riguardano lui soltanto, senza che comunque ciò intacchi minimamente la sua speranza in merito al rinvigorimento spirituale dell'Occidente sotto la guida della Chiesa Cattolica (come si può leggere anche ne "La crisi del mondo moderno"). Va anche detto, per amore di completezza, che questa sua speranza era però molto flebile, e sempre nella stessa opera ventilava ipotesi di raddrizzamento spirituale molto meno accattivanti (come un diretto intervento da parte dell'Oriente "con le buone o con le cattive" z9 ).

A proposito delle idee di Guènon in merito alla validità simultanea delle religioni, secondo me un serio e interessante argomento di discussione potrebbe essere quello relativo al contrasto che rilevo tra questa concezione e l'esclusivismo cristiano del "extra ecclesiam nulla salus". Ma il sottoscritto non è il più indicato a parlarne, vista la manifesta ignoranza che ho sull'argomento.

Eymerich (POL)
16-07-05, 02:26
Originally posted by Talib
Va anche detto, per amore di completezza, che questa sua speranza era però molto flebile

Perfettamente comprensibile se si vede come al tempo si concluse la vicenda "Regnabit" (interessantissimo tentativo di restaurare una certa Intellettualità nel Cattolicesimo Romano) a cui il Guénon stesso collaborò. La sua presenza, quella di Charbonneau-Lassay e del reverendo Anizan furono lievito e fermento per quello che, pur se durato pochi anni, fu davvero un momento favorevole, ed il fatto che esponenti della gerarchia cattolica esponessero pubblicamente certi punti di vista è un evento notevole, dovuto anche all'esistenza, all'attività e all'influenza(!) di "organizzazioni" come la Confraternita del Divino Paraclito.
Ma questa è un'altra storia.....

Augustinus
16-07-05, 08:28
Originally posted by Talib
Caro Augustinus, premetto che un buon 99% di quanto scritto nel thread non l'ho letto perchè troppo lungo.
Detto questo, una domanda: cosa ne pensi, in due parole, di chi vede in Pio IX un "liberale" (bisognerebbe anche specificare prima in che senso intendono questo epiteto...)?

Caro Talib,
io penso che chi affibia a Pio IX un qualsiasi epiteto è parziale. Infatti, dire che era "liberale" o "conservatore" è riduttivo. Io direi che è semplicemente stato un ottimo Papa. E un santo. Se non si comprende questo, non si comprende come un Pontefice possa essere ad un tempo "liberale" e "conservatore". Questo è quanto penso. :) ;)

Augustinus
16-07-05, 08:36
Originally posted by Talib
Mamma mia, mi si accappona la pelle a leggere certe cose. Mi sa che il Radaelli non distingue nemmeno tra gnosi e gnosticismo ;)

E pensare che, come il sottoscritto, Guènon sperava nella restaurazione tradizionale dell'Occidente sotto la guida della Chiesa Cattolica. Purtroppo certa gente o non ha capito niente di Guènon (e non v'è da escludere nemmeno un vero e proprio "impedimento fisiologico" a comprenderlo), oppure lo ha compreso fin troppo bene, ma pur di non ammettere la verità preferisce la malafede :(.

Un saluto, e buon lavoro ad Augustinus per il suo bellissimo sottoforum.
Talib

Guènon è un personaggio quantomeno assai ambiguo e certamente di idee non cristiane. Infatti, riteneva che, dietro tutte le religioni vi fosse una religione nascosta, esoterica; una religione primitiva, che si manifesterebbe nelle sue varie forme esteriori e confessionali. Egli esprimeva questa concezione nei suoi testi ed in special modo nella sua “Introduction générale à l’étude des doctrines hindoues”, pubblicata per la prima volta nel 1921 e più volte riedita. In questo testo, dall’analisi dei Veda, attraverso le grandi scuole, come lo Yoga e il Vedanta, l’esoterista Guénon concludeva che le fedi indù – ed ovviamente tutte le altre – costituirebbero i vari «punti di vista» dai quali una presunta verità unica della metafisica verrebbe contemplata. Questa idea già di per sè contrasta con la nostra Divina Rivelazione, poiichè presuppone che tutte le fedi siano ad un tempo "buone" per giungere alla salvezza. In essa, infatti, è implicita la convinzione circa l’intrinseca bontà d’ogni fede per giungere ad una rivelazione primordiale, trasmessa attraverso le età da soggetti iniziati. E questo va detto a prescindere da qualsiasi altra considerazione su quel personaggio, che pure era esoterista e massone (a lui, non a caso, si ispirano diverse Logge).
Per incidens, ecco quanto riporta un sito massonico su questo personaggio:

Il vero rimedio all'attuale degenerazione della Massoneria, e senza dubbio il solo (...) sarebbe, quello di cambiare la mentalità dei Massoni, o al meno di coloro tra questi che sono capaci di comprendere la propria iniziazione, ma ai quali, bisogna pur dirlo, l'occasione non è stata offerta fino ad ora; il loro numero importerebbe poco, d'altronde, perché in presenza di un lavoro serio e realmente iniziatico, gli elementi "non qualificati" si eliminerebbero presto da sé; e con loro sparirebbero, per forza di cose, gli agenti della "contro-iniziazione"..., proprio perché nulla potrebbe aver più presa sulla loro azione. Operare un "raddrizzamento della Massoneria, in senso tradizionale", non significherebbe "volere la luna", ... né costruire tra le nubi; si tratterebbe solamente di utilizzare le possibilità di cui si dispone, per quanto ridotte possano essere all'inizio; ma in un'epoca come la nostra, chi oserebbe intraprendere una simile opera?

René Guénon, Etudes sur la Franc-Maçonnerie et le Compagnonnage I, pag. 246-247 - Studi sulla Massoneria ed il Compagnonnaggio, vol.1 p. 222.

Talib
16-07-05, 09:48
Originally posted by Eymerich
Perfettamente comprensibile se si vede come al tempo si concluse la vicenda "Regnabit" (interessantissimo tentativo di restaurare una certa Intellettualità nel Cattolicesimo Romano) a cui il Guénon stesso collaborò. La sua presenza, quella di Charbonneau-Lassay e del reverendo Anizan furono lievito e fermento per quello che, pur se durato pochi anni, fu davvero un momento favorevole, ed il fatto che esponenti della gerarchia cattolica esponessero pubblicamente certi punti di vista è un evento notevole, dovuto anche all'esistenza, all'attività e all'influenza(!) di "organizzazioni" come la Confraternita del Divino Paraclito.
Ma questa è un'altra storia.....

Quoto.
A proposito, complimenti per il nick e per l'avatar ;)

Talib
16-07-05, 10:15
Originally posted by Augustinus
Guènon è un personaggio quantomeno assai ambiguo e certamente di idee non cristiane. Infatti, riteneva che, dietro tutte le religioni vi fosse una religione nascosta, esoterica; una religione primitiva, che si manifesterebbe nelle sue varie forme esteriori e confessionali. Egli esprimeva questa concezione nei suoi testi ed in special modo nella sua “Introduction générale à l’étude des doctrines hindoues”, pubblicata per la prima volta nel 1921 e più volte riedita. In questo testo, dall’analisi dei Veda, attraverso le grandi scuole, come lo Yoga e il Vedanta, l’esoterista Guénon concludeva che le fedi indù – ed ovviamente tutte le altre – costituirebbero i vari «punti di vista» dai quali una presunta verità unica della metafisica verrebbe contemplata. Questa idea già di per sè contrasta con la nostra Divina Rivelazione, poichè presuppone che tutte le fedi siano ad un tempo "buone" per giungere alla salvezza. In essa, infatti, è implicita la convinzione circa l’intrinseca bontà d’ogni fede per giungere ad una rivelazione primordiale, trasmessa attraverso le età da soggetti iniziati.

Caro Augustinus, non vorrei sbagliarmi, ma l'idea di una "super-religione" esoterica che si nasconde dietro le forme tradizionali conosciute appartiene più a Schuon che a Guènon (e tra i due vi sono alcune ma notevoli differenze). Guènon si limita a riconoscere (e secondo me lo dimostra più che egregiamente nella sua opera, quindi rimando ad essa per delle obiezioni in proposito) che il "cuore", il "nocciolo" di ogni grande tradizione religiosa (chiamiamolo l' "esoterismo", intendendo però questo termine nel suo significato autentico, e non nel significato che esso ha assunto presso i moderni - quasi un sinonimo di occultismo) è in fondo lo stesso in ognuna di esse, e rimanda ad un deposito di verità comuni tramandateci da sempre (il sanathana dharma degli indù, il din al-qayyim dell'Islam, la sophia perennis del nostro medioevo, et cetera). Ora, questo concetto secondo me è assolutamente cristiano, perchè è evidente che tale deposito tradizionale non sarà altro che la religione di Adamo primo uomo e padre di tutto il genere umano, e della sua realtà ci testimonia lo stesso Sant'Agostino nella citazione che ho fatto nel mio messaggio precedente.

Il problema, che tu stesso hai giustamente sottolineato, avviene quando, partendo da questa realtà che secondo me si concilia perfettamente con la dottrina cattolica (ma anche con quella ortodossa), si giunge all'affermazione secondo cui, anche oggi dopo la resurrezione di Cristo, le varie religioni possano essere contemporaneamente valide, contraddicendo così il "extra ecclesiam nulla salus". Qui , in effetti, rilevo anche io una contraddizione, e come ho già detto non so proprio come risolverla, non avendo le conoscenze adatte. Mi limito a prenderne atto, conscio dei miei limiti.
Se poi qualcuno su POL fosse in grado di parlarne con te, sarei il primo ad ascoltarlo.
Tra parentesi, tempo fa lessi che un teologo cingalese era giunto più o meno alle stesse tesi di Guènon in merito alla validità simultanea delle religioni, e al loro essere dei diversi "punti di vista" di una medesima verità. Mi sembra che per queste tesi venne scomunicato dallo stesso Benedetto XVI, che allora era ancora cardinale a capo della congregazione per la dottrina e per la fede.


Originally posted by Augustinus
E questo va detto a prescindere da qualsiasi altra considerazione su quel personaggio, che pure era esoterista e massone (a lui, non a caso, si ispirano diverse Logge).
Per incidens, ecco quanto riporta un sito massonico su questo personaggio:

Il vero rimedio all'attuale degenerazione della Massoneria, e senza dubbio il solo (...) sarebbe, quello di cambiare la mentalità dei Massoni, o al meno di coloro tra questi che sono capaci di comprendere la propria iniziazione, ma ai quali, bisogna pur dirlo, l'occasione non è stata offerta fino ad ora; il loro numero importerebbe poco, d'altronde, perché in presenza di un lavoro serio e realmente iniziatico, gli elementi "non qualificati" si eliminerebbero presto da sé; e con loro sparirebbero, per forza di cose, gli agenti della "contro-iniziazione"..., proprio perché nulla potrebbe aver più presa sulla loro azione. Operare un "raddrizzamento della Massoneria, in senso tradizionale", non significherebbe "volere la luna", ... né costruire tra le nubi; si tratterebbe solamente di utilizzare le possibilità di cui si dispone, per quanto ridotte possano essere all'inizio; ma in un'epoca come la nostra, chi oserebbe intraprendere una simile opera?

René Guénon, Etudes sur la Franc-Maçonnerie et le Compagnonnage I, pag. 246-247 - Studi sulla Massoneria ed il Compagnonnaggio, vol.1 p. 222.

Se per quello, Guènon era un massone che scriveva nella rivista ultra-cattolica La France antimaçonique! Il tentativo di raddrizzamento intellettuale che egli (ed altri, come ricordato da Eymerich) cercava di operare in seno al Cattolicesimo, cercava di operarlo anche in seno alla Massoneria, che egli riteneva una forma di iniziazione valida ma fortemente degenerata. Infatti, la Massoneria era anch'essa pesantemente corrosa dalle più becere concezioni anti-tradizionali, e le varie critiche cattoliche contemporanee (includendo anche quelle sette-ottocentesche) all' "aberrante pensiero massonico" sono in realtà, secondo me, le medesime che farebbe un Guènon, con la sola differenza che egli riconosceva che v'è stato un periodo in cui la Massoneria era perfettamente tradizionale, e che la prima vittima della Massoneria degenerata contro la quale combattono molti cattolici fu.... la Massoneria stessa!
La tua stessa citazione è molto eloquente.

Un saluto.
Talib

Talib
16-07-05, 11:43
Originally posted by Augustinus
Caro Talib,
io penso che chi affibia a Pio IX un qualsiasi epiteto è parziale. Infatti, dire che era "liberale" o "conservatore" è riduttivo. Io direi che è semplicemente stato un ottimo Papa. E un santo. Se non si comprende questo, non si comprende come un Pontefice possa essere ad un tempo "liberale" e "conservatore". Questo è quanto penso. :) ;)

Grazie della risposta, caro Augustinus.
Sinceramente, anche io considero riduttivo il definire Pio IX "liberale", oltre che una forzatura; difatti, non mi sembra che il liberalismo (almeno come concepito oggi) sia compatibile con la dottrina cattolica, o comunque non del tutto.

Augustinus
06-02-06, 19:34
In rilievo in occasione dell'anniversario del felice transito al Cielo del Beato Pio IX.

Aug. :) :) :)

Augustinus
07-02-06, 08:43
Immacolata Concezione di Maria (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=149653)

S. Lorenzo, diacono e martire (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=20335)

Beato Giovanni XXIII, il Papa che stimava molto il beato Pio IX e di cui sperava poterne dichiararne la santità (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=69726)

http://santiebeati.it/immagini/Original/90012/90012V.JPG

Augustinus
06-02-07, 20:57
In rilievo

Aug. :) :) :)

Abaelardus
07-02-07, 18:17
http://upload.wikimedia.org/wikipedia/fr/thumb/3/3d/Stemma-Pio-IX.jpg/180px-Stemma-Pio-IX.jpg

Abaelardus
07-02-07, 18:18
http://www.papapionono.it/bgimg/piocolor.jpg

Abaelardus
07-02-07, 18:20
l'immagine della tiara postata da Augustinus è suprema. grazie, grazie davvero, mite Augustinus, per averci reso partecipi di tanto splendore

Dreyer
08-02-07, 17:06
è la stessa tiara usata da Pio XII, e che G23 adoperò per la propria incoronazione.

Aganto
08-02-07, 17:15
Una domanda: perchè si chiama "tiara"?

Augustinus
08-02-07, 17:42
Una domanda: perchè si chiama "tiara"?

QUI (http://it.wikipedia.org/wiki/Tiara_papale) e QUI (http://manuali.lamoneta.it/ManualeAraldica/manuale2se52.html) puoi trovare qualche risposta :-01#44 :-:-01#19

Abaelardus
08-02-07, 18:48
è la stessa tiara usata da Pio XII, e che G23 adoperò per la propria incoronazione.
e poi G23 se ne fece fare una su misura? perchè ricordo di avere visto immagini del concilio in cui lui indossava una tiara.

e poi ogni papa aveva la sua tiara?

infine: preferite la tiara o il pallio vescovile?

Dreyer
09-02-07, 15:58
e poi G23 se ne fece fare una su misura? perchè ricordo di avere visto immagini del concilio in cui lui indossava una tiara.

e poi ogni papa aveva la sua tiara?

infine: preferite la tiara o il pallio vescovile?

1) in realtà G23 fu costretto a usare per l'incoronazione quella di Pio IX-XII perchè la sua personale, dono della diocesi di Venezia, non era ancora stata ultimata al giorno dell'incoronazione. Infatti nelle foto successive, p.es. al Vaticano II, il papa indossa la sua personale, con ornamenti più "leggeri" e simile a quella di Pio XI.

2) normalmente sì, di solito sono regali che fa la diocesi al momento dell'elezione (p.es. a Paolo VI la diocesi di Milano) o in altri momenti (p.es. GPII che ne aveva una donata dalla d. di Cracovia, che non mise mai ma che era custodita nel Tesoro).
Oppure, specie per il passato, erano doni da parte di re: Isabella II di Spagna regalò una tiara a Pio IX, Napoleone ne regalò una a Pio VII poco tempo dopo l'elezione, etc.
Ogni papa cmq ha la sua, che si differenzia da quella dei predecessori: caso ultimo quello di Paolo VI la cui tiara, oggi al National Shrine di Washington DC, aveva le forme molto moderne.
Leone XIII ne aveva addirittura due uguali, una pesante e una copia fatta in alluminio perchè il papa anziano potesse indossarla.

3) i due elementi non sono in alternativa... anzi, si sono sempre usati abbinati (p.es. i dipinti di Giotto sui Inncoenzo III con tiara e pallio, etc.), quindi personalmnente preferisco entrambi abbinati.

Abaelardus
09-02-07, 20:36
3) i due elementi non sono in alternativa... anzi, si sono sempre usati abbinati (p.es. i dipinti di Giotto sui Inncoenzo III con tiara e pallio, etc.), quindi personalmnente preferisco entrambi abbinati.
la tiara però si appresta a diventare oggetto di antiquariato ormai

Augustinus
07-02-08, 09:00
Pope Pius IX

(GIOVANNI MARIA MASTAI-FERRETTI).

Pope from 1846-78; born at Sinigaglia, 13 May, 1792; died in Rome, 7 February, 1878.

BEFORE HIS PAPACY

His early years

After receiving his classical education at the Piarist College in Volterra from 1802-09 he went to Rome to study philosophy and theology, but left there in 1810 on account of political disturbances. He returned in 1814 and, in deference to his father's wish, asked to be admitted to the pope's Noble Guard. Being subject to epileptic fits, he was refused admission and, following the desire of his mother and his own inclination, he studied theology at the Roman Seminary, 1814-18. Meanwhile his malady had ceased and he was ordained priest, 10 April, 1819. Pius VII appointed him spiritual director of the orphan asylum popularly known as "Tata Giovanni", in Rome, and in 1823 sent him, as auditor of the Apostolic delegate, Mgr Muzi, to Chile in South America. Upon his return in 1825 he was made canon of Santa Maria in Via Lata and director of the large hospital of San Michele by Leo XII. The same pope created him Archbishop of Spoleto, 21 May, 1827. In 1831 when 4000 Italian revolutionists fled before the Austrian army and threatened to throw themselves upon Spoleto, the archbishop persuaded them to lay down their arms and disband, induced the Austrian commander to pardon them for their treason, and gave them sufficient money to reach their homes. On 17 February, 1832, Gregory XVI transferred him to the more important Diocese of Imola and, 14 December, 1840, created him cardinal priest with the titular church of Santi Pietro e Marcellino, after having reserved him in petto since 23 December, 1839. He retained the Diocese of Imola until his elevation to the papacy. His great charity and amiability had made him beloved by the people, while his friendship with some of the revolutionists had gained for him the name of liberal.

His election

On 14 June, 1846, two weeks after the death of Gregory XVI, fifty cardinals assembled in the Quirinal for the conclave. They were divided into two factions, the conservatives, who favoured a continuance of absolutism in the temporal government of the Church, and the liberals, who were desirous of moderate political reforms. At the fourth scrutiny, 16 June, Cardinal Mastai-Ferretti, the liberal candidate, received three votes beyond the required majority. Cardinal Archbishop Gaysruck of Milan had arrived too late to make use of the right of exclusion against his election, given him by the Austrian Government. The new pope accepted the tiara with reluctance and in memory of Pius VII, his former benefactor, took the name of Pius IX. His coronation took place in the Basilica of St. Peter on 21 June. His election was greeted with joy, for his charity towards the poor. his kindheartedness, and his wit had made him very popular.

TEMPORAL ASPECT OF HIS PAPACY

Within the Papal States

Conciliatory policies (1846-1848).-- "Young Italy" was clamouring for greater political freedom. The unyielding attitude of Gregory XVI and his secretary of state, Cardinal Lambruschini, had brought the papal states to the verge of a revolution. The new pope was in favour of a political reform. His first great political act was the granting of a general amnesty to political exiles and prisoners on 16 July, 1846. This act was hailed with enthusiasm by the people, but many prudent men had reasonable fears of the results. Some extreme reactionaries denounced the pope as in league with the Freemasons and the Carbonari. It did not occur to the kindly nature of Pius IX that many of the pardoned political offenders would use their liberty to further their revolutionary ideas. That he was not in accord with the radical ideas of the times he clearly demonstrated by his Encyclical of 9 November, 1846, in which he laments the oppression of Catholic interests, intrigues against the Holy See, machinations of secret societies, sectarian bitterness, the Bible associations, indifferentism, false philosophy, communism, and the licentious press. He was, however, willing to grant such political reforms as he deemed expedient to the welfare of the people and compatible with the papal sovereignty. On 19 April, 1847, he announced his intention to establish an advisory council (Consulta di Stato), composed of laymen from the various provinces of the papal territory. This was followed by the establishment of a civic guard (Guardia Civica), 5 July, and a cabinet council, 29 December.

Failure of appeasement (1848-1850).-- But the more concessions the pope made, the greater and more insistent became the demands. Secret clubs of Rome, especially the "Circolo Romano", under the direction of Ciceruacchio, fanaticized the mob with their radicalism and were the real rulers of Rome. They spurred the people on to be satisfied with nothing but a constitutional government, an entire laicization of the ministry, and a declaration of war against hated and reactionary Austria.

On 8 February, 1848, a street riot extorted the promise of a lay ministry from the pope and on 14 March he saw himself obliged to grant a constitution, but in his allocution of 29 April he solemnly proclaimed that, as the Father of Christendom, he could never declare war against Catholic Austria.

Riot followed riot, the pope was denounced as a traitor to his country, his prime minister Rossi was stabbed to death while ascending the steps of the Cancelleria, whither he had gone to open the parliament, and on the following day the pope himself was besieged in the Quirinal. Palma, a papal prelate, who was standing at a window, was shot, and the pope was forced to promise a democratic ministry. With the assistance of the Bavarian ambassador, Count Spaur, and the French ambassador, Duc d'Harcourt, Pius IX escaped from the Quirinal in disguise, 24 November, and fled to Gaëta where he was joined by many of the cardinals. Meanwhile Rome was ruled by traitors and adventurers who abolished the temporal power of the pope, 9 February, 1849, and under the name of a democratic republic terrorized the people and committed untold outrages. The pope appealed to France, Austria, Spain, and Naples. On 29 June French troops under General Oudinot restored order in his terrotory. On 12 April, 1850, Pius IX returned to Rome, no longer a political liberalist.

His subsequent rule (1850-1858).-- Cardinal Antonelli, his secretary of state, exerted a paramount political influence until his death on 6 November, 1876. The temporal reign of Pius IX, up to the seizure of the last of his temporal possessions in 1870, was one continuous struggle, on the one hand against the intrigues of the revolutionaries, on the other against the Piedmontese ruler Victor Emmanuel, his crafty premier Cavour, and other antipapal statesmen who aimed at a united Italy, with Rome as its capital, and the Piedmontese ruler as its king. The political difficulties of the pope were still further increased by the double dealing of Napoleon III, and the necessity of relying on French and Austrian troops for the maintenance of order in Rome and the papal legations in the north.

Intrigues against the Papal States (1858-1878).-- When Pius IX visited his provinces in the summer of 1857 he received everywhere a warm and loyal reception. But the doom of his temporal power was sealed, when a year later Cavour and Napoleon III met at Plombières, concerting plans for a combined war against Austria and the subsequent territorial extension of the Sardinian Kingdom. They sent their agents into various cities of the Papal States to propogate the idea of a politically united Italy. The defeat of Austria at Magenta on 4 July, 1859, and the subsequent withdrawal of the Austrian troops from the papal legations, inaugurated the dissolution of the Papal States. The insurrection in some of the cities of the Romagna was put forth as a plea for annexing this province to Piedmont in September, 1859. On 6 February, 1860, Victor Emmanuel demanded the annexation of Umbria and the Marches and, when Pius IX resisted this unjust demand, made ready to annex them by force. After defeating the papal army at Castelfidardo on 18 September, and at Ancona on 30 September, he deprived the pope of all his possessions with the exception of Rome and the immediate vicinity. Finally on 20 September, 1870, he completed the spoliation of the papal possessions by seizing Rome and making it the capital of United Italy. The so-called Law of Guarantees, of 15 May, 1871, which accorded the pope the rights of a sovereign, an annual remuneration of 3¼ million lire ($650,000), and extraterritoriality to a few papal palaces in Rome, was never accepted by Pius IX or his successors. (See STATES OF THE CHURCH; ROME; LAW OF GUARANTEES).

Outside of the Papal States

The loss of his temporal power was only one of the many trials that filled the long pontificate of Pius IX. There was scarcely a country, Catholic or Protestant, where the rights of the Church were not infringed upon. In Piedmont the Concordat of 1841 was set aside, the tithes were abolished, education was laicized, monasteries were suppressed, church property was confiscated, religious orders were expelled, and the bishops who opposed this anti-ecclesiastical legislation were imprisoned or banished. In vain did Pius IX protest against such outrages in his allocutions of 1850, 1852, 1853, and finally in 1855 by publishing to the world the numerous injustices which the Piedmontese government had committed against the Church and her representatives. In Würtemberg he succeeded in concluding a concordat with the Government, but, owing to the opposition of the Protestant estates, it never became a law and was revoked by a royal rescript on 13 June, 1861. The same occurred in the Grand Duchy of Baden where the Concordat of 1859 was abolished on 7 April, 1860. Equally hostile to the Church was the policy of Prussia and other German states, where the anti-ecclesiastical legislations reached their height during the notorious Kulturkampf, inaugurated in 1873. The violent outrages committed in Switzerland against the bishops and the remaining clergy were solemnly denounced by Pius IX in his encyclical letter of 21 November, 1873, and, as a result, the papal internuncio was expelled from Switzerland in January, 1874. The concordat which Pius IX had concluded with Russia in 1847 remained a dead letter, horrible cruelties were committed against the Catholic clergy and laity after the Polish insurrection of 1863, and all relations with Rome were broken in 1866. The anti-ecclesiastical legislation in Colombia was denounced in his allocution of 27 September, 1852, and again, together with that of Mexico, on 30 September, 1861. With Austria, a concordat, very favourable to the Church, was concluded on 18 August, 1855 ("Conventiones de rebus eccl. inter s. sedem et civilem potestatem", Mainz, 1870, 310-318). But the Protestant agitation aginst the concordat was so strong, that in contravention to it the emperor reluctantly ratified marriage and school laws 25 March, 1868. In 1870 the concordat was abolished by the Austrian Government, and in 1874 laws were enacted, which placed all but the inner management of ecclesiastical affairs in the hands of the Government.

With Spain, Pius IX concluded a satisfactory concordat on 16 March, 1851 (Nussi, 281-297; "Acta Pii IX", I, 293-341). It was supplemented by various articles on 25 November, 1859 (Nussi, 341-5). Other satisfactory concordats concluded by Pius IX were those with:

Portugal in 1857 (Nussi, 318-21);
Costa Rica, and Guatemala, 7 Oct., 1852 (Ib., 297-310);
Nicaragua, 2 Nov., 1861 (Ib., 361-7);
San Salvador, and Honduras, 22 April, 1862 (Ib., 367-72; 349);
Haiti, 28 March, 1860 (Ib., 346-8);
Venezuela, 26 July, 1862 (Ib., 356-61);
Ecuador, 26 Sept., 1862 (Ib., 349-56).

(See CONCORDAT: Summary of Principal Concordats.)

RELIGIOUS ASPECT OF HIS PAPACY

His greatest achievements are of a purely ecclesiastical and religious character.

Battle against false liberalism

It is astounding how fearlessly he fought, in the midst of many and severe trials, against the false liberalism which threatened to destroy the very essence of faith and religion. In his Encyclical "Quanta Cura" of 8 December, 1864, he condemned sixteen propositions touching on errors of the age. This Encyclical was accompanied by the famous "Syllabus errorum", a table of eighty previously censured propositions bearing on pantheism, naturalism, rationalism, indifferentism, socialism, communism, freemasonry, and the various kinds of religious liberalism. Though misunderstandings and malice combined in representing the Syllabus as a veritable embodiment of religious narrow-mindedness and cringing servility to papal authority, it has done an inestimable service to the Church and to society at large by unmasking the false liberalism which had begun to insinuate its subtle poison into the very marrow of Catholicism.

Previously, on 8 January, 1857, he had condemned the philosophico-theological writings of Günther, and on many occasions advocated a return to the philosophy and theology of St. Thomas.

His promotion of the inner life of the Church

Through his whole life he was very devout to the Blessed Virgin. As early as 1849, when he was an exile at Gaëta, he issued letters to the bishops of the Church, asking their views on the subject of the Immaculate Conception, and on 8 Dec., 1854, in the presence of more than 200 bishops, he proclaimed the Immaculate Conception of the Blessed Virgin as a dogma of the Church. He also fostered the devotion to the Sacred Heart, and on 23 Sept., 1856, extended this feast to the whole world with the rite of a double major. At his instance the Catholic world was consecrated to the Sacred Heart of Jesus on 16 June, 1875. He also promoted the inner life of the Church by many important liturgical regulations, by various monastic reforms, and especially by an unprecedented number of beatifications and canonizations.

Convocation of the Vatican Council

On 29 June, 1869, he issued the Bull "Æterni Patris", convoking the Vatican Council which he opened in the presence of 700 bishops on 8 Dec., 1869. During its fourth solemn session, on 18 July, 1870, the papal infallibility was made a dogma of the Church. (See VATICAN COUNCIL).

Appointments and foundations

The healthy and extensive growth of the Church during his pontificate was chiefly due to his unselfishness. He appointed to important ecclesiastical positions only such men as were famous both for piety and learning. Among the great cardinals created by him were: Wiseman and Manning for England; Cullen for Ireland; McCloskey for the United States; Diepenbrock, Geissel, Reisach, and Ledochowski for Germany; Rauscher and Franzelin for Austria; Mathieu, Donnet, Gousset, and Pitra for France. On 29 Sept., 1850, he re-established the Catholic hierarchy in England by erecting the Archdiocese of Westminster with the twelve suffragan Sees of Beverley, Birmingham, Clifton, Hexham, Liverpool, Newport and Menevia, Northampton, Nottingham, Plymouth, Salford, Shrewsbury, and Southwark. The widespread commotion which this act caused among English fanatics, and which was fomented by Prime Minister Russell and the London "Times", temporarily threatened to result in an open persecution of Catholics (see ENGLAND). On 4 March, 1853, he restored the Catholic hierarchy in Holland by erecting the Archdiocese of Utrecht and the four suffragan Sees of Haarlem, Bois-le-Duc, Roermond, and Breda (see HOLLAND).

In the United States of America he erected the Dioceses of: Albany, Buffalo, Cleveland, and Galveston in 1847; Monterey, Savannah, St. Paul, Wheeling, Santa Fe, and Nesqually (Seattle) in 1850; Burlington, Covington, Erie, Natchitoches, Brooklyn, Newark, and Quincy (Alton) in 1853; Portland (Maine) in 1855; Fort Wayne, Sault Sainte Marie (Marquette) in 1857; Columbus, Grass Valley (Sacramento) Green Bay, Harrisburg, La Crosse, Rochester, Scranton, St. Joseph, Wilmington in 1868; Springfield and St. Augustine in 1870; Providence and Ogdensburg in 1872; San Antonio in 1874; Peoria in 1875; Leavenworth in 1877; the Vicariates Apostolic of the Indian Territory and Nebraska in 1851; Northern Michigan in 1853; Florida in 1857; North Carolina, Idaho, and Colorado in 1868; Arizona in 1869; Brownsville in Texas and Northern Minnesota in 1874. He encouraged the convening of provincial and diocesan synods in various countries, and established at Rome the Latin American College in 1853, and the College of the United States of America, at his own private expense, in 1859.

Conclusion

His was the longest pontificate in the history of the papacy. In 1871 he celebrated his twenty-fifth, in 1876 his thirtieth, anniversary as pope, and in 1877 his golden episcopal jubilee. His tomb is in the church of San Lorenzo fuori le mura. The so-called diocesan process of his beatification was begun on 11 February, 1907.

[Note: Pope Pius IX was beatified on September 3, 2000].

Bibliography

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Fonte: The Catholic Encyclopedia, vol. XII, New York, 1911 (http://www.newadvent.org/cathen/12134b.htm)

Augustinus
07-02-08, 09:14
Vatican Council

The Vatican Council, the twentieth and up to now [1912] the last ecumenical council, opened on 8 December, 1869, and adjourned on 20 October, 1870. It met three hundred years after the Council of Trent.

I. INTRODUCTORY HISTORY

A. Previous to the Official Convocation

On 6 December, 1864, two days before the publication of the Syllabus, Pius IX announced, at a session of the Congregation of Rites, his intention to call a general council. He commissioned the cardinals residing at Rome to express in writing their views as to the opportuneness of the scheme, and also to name the subjects which, in their opinion, should be laid before the council for discussion. Of the twenty-one reports sent in, only one, that of Cardinal Pentini, expressed the opinion that there was no occasion for the holding of an ecumenical council. The others affirmed the relative necessity of such an assembly, although five did not consider the time suitable. Nearly all sent lists of questions that seemed to need conciliar discussion. Early in March, 1865, the pope appointed a commission of five cardinals to discuss preliminary questions in regard to the council. This was the important "Congregazione speziale direttrice per gli affari del futuro concilio generale", generally called the directing preparatory commission, or the central commission. Four more cardinals were added to the number of its members, and besides a secretary it was given eight consultors. It held numerous meetings in the interval between 9 March, 1865, and Dec., 1869. Its first motion was that bishops of various countries should also be called upon for suggestions as to matters for discussion, and on 27 March, 1865, the pope commanded thirty-six bishops of the Latin Rite designated by him to express their views under pledge of silence. Early in 1866 he also designated several bishops of the Oriental Rite under the same conditions. It was now necessary to form commissions for the more thorough discussion of the subjects to be debated at the council. Accordingly, theologians and canonists, belonging to the secular and regular clergy, were summoned to Rome from the various countries to co-operate in the work. As early as 1865 the nuncios were asked to suggest names of suitable people for these preliminary commissions. The war between Austria and Italy in 1866 and the withdrawal of the French troops from Rome on 11 Dec. of the same year caused an unwelcome interruption of the preparatory labours. They also made the original plan, which was to open the council on the eighteenth centenary festiva of the martyrdom of the two great Apostles, 29 June, 1867, impossible. However, the pope made use of the presence at Rome of nearly five hundred bishops, who had come to attend the centennial celebration, to make the first public announcement of the council at a consistory held on 26 June, 1867. The bishops expressed their agreement with joy in an address dated 1 July. After the return of the French army of protection on 30 Oct., 1867, the continuance of the preparations and the holding of the council itself seemed again possible. The preparatory commission now debated exhaustively the question who should be invited to attend the council. That the cardinals and diocesan bishops should be summoned was self-evident. It was also decided that the titular bishops had the right to be called, and that of the heads of the orders an invitation should be given to the abbots nullius, the abbots general of congregations formed from several monasteries, and lastly, to the generals of the religious orders. It was considered wiser, on account of the state of affairs at the time, not to send an actual invitation to Catholic princes, yet it was intended to grant admission to them or their representatives on demand. In this sense, therefore, the Bull of Convocation, "Æterni Patris", was promulgated, 29 June, 1868; it appointed 8 Dec., 1869, as the date for the opening of the council. The objects of the council were to be the correction of modern errors and a seasonable revision of the legislation of the Church. A special Brief, "Arcano divinæ providentiæ", of 8 Sept., 1868 invited non-Uniate Orientals to appear. A third Brief, "Jam vos omnes", of 13 Sept., 1868, notified Protestants also of the convoking of the council, and exhorted them to use the occasion to reflect on the return to the one household of faith.

B. Reception of the Promulgation

Although the Bull convoking the council was received with joy by the bulk of the Catholic masses, it aroused much discontent in many places, especially in Germany, France, and England. In these countries it was feared that the council would promulgate an exact determination of the primatial prerogatives of the papacy and the definition of papal infallibility. The dean of the theological faculty of Paris, Bishop Maret, wrote in opposition to these doctrines the work "Du concile générale et de la paix religieuse" (2 vols., Paris 1869). Bishop Dupanloup of Orléans published the work "Observations sur la controverse soulevée relativement à la définition de l infaillibilité au prochain concile" (Paris, Nov., 1869). Maret's work was answered by several French bishops and by Archbishop Manning. Archbishop Dechamps of Mechlin, Belgium, who had written a work in favour of the definition entitled "L infaillibilité et le concile générale" (Paris, 1869), became involved in a controversy with Dupanloup. In England a book entitled "The Condemnation of Pope Honorius" (London, 1868), written by the convert, Le Page Renouf, aroused animated discussions in newspapers and periodicals. Renouf's publication was refuted by Father Botalla, S.J., in "Honorius Reconsidered with Reference to Recent Apologies" (London, 1869). Letters from French correspondents in the first number for Feb., 1869, of the "Civiltà Cattolica", which stated that the majority of French Catholics desired the declaration of infallibility, added fresh fuel to the flames. In particular, it led to the appearance in the discussion of Ignaz Döllinger, provost of St. Cajetan and professor of church history at Munich. From now onwards Döllinger was the leading spirit of the movement in Germany hostile to the council. He disputed most passionately the Syllabus and the doctrine of papal infallibility in five anonymous articles that were published in March, 1869, in the "Allgemeine Zeitung" of Augsburg. A large number of Catholic scholars opposed him vigorously, especially after he published his articles in book form under the pseudonym of "Janus", "Der Papst und das Konzil" (Leipzig, 1869). Among these was Professor Joseph Hergenröther of Würzburg, who issued in reply "Anti-Janus" (Freiburg, 1870). Still the excitement over the matter grew in such measure that fourteen of the twenty-two German bishops who met at Fulda early in Sept., 1869, felt themselves constrained to call the attention of the Holy Father to it in a special address, stating that on account of the excitement the time was not opportune for defining papal infallibility. The papal notifications addressed to the schismatic Orientals and the Protestants did not produce the desired effect. The European Governments received from Prince Hohenlohe, president of the Bavarian ministry, a circular letter drawn up by Döllinger, designed to prejudice the different Courts against the coming council; but they decided to remain neutral for the time being. Russia alone forbade its Catholic bishops to attend the council.

C. Preparatory Details

In the meantime zealous work had been done at Rome in preparation for the council. Besides the general direction that it exercised, the preparatory commission had to draw up an exhaustive order of procedure for the debates of the council. Five special committees, each presided over by a cardinal and having together eighty-eight consultors, prepared the plan (schemata) to be laid before the council. These committees were appointed to consider respectively:

dogma;
church discipline;
orders;
Oriental Churches and missions;
ecclesiastico-political questions.

It may justly be doubted whether the preliminary preparations for any council had ever been made more thoroughly, or more clearly directed to the aim to be attained. As the day of its opening approached, the following drafts were ready for discussion:

three great dogmatic drafts, (a) on the Catholic doctrine in opposition to the errors which frequently spring from Rationalism, (b) on the Church of Christ and, (c) on Christian marriage;
twenty-eight drafts treating matters of church discipline. They had reference to bishops, episcopal sees, the different grades of the other clergy seminaries, the arrangement of philosophical and theological studies, sermons, the catechism, rituals, impediments to marriage, civil marriage, mixed marriages, improvement of Christian morals, feast days, fasts and abstinences, duelling, magnetism, spiritualism, secret societies, etc.;
eighteen drafts of decrees had reference to the religious orders;
two were on the Oriental Rites and missions; these subjects had also been considered in the other drafts of decrees.

In addition a large number of subjects for discussion had been sent by the bishops of various countries. Thus, for instance, the bishops of the church provinces of Quebec and Halifax demanded the lessening of the impediments to marriage, revision of the Breviary, and, above all, the reform and codification of the entire canon law. The petition of Archbishop Spalding of Baltimore treated, among other things, the relations between Church and State religious indifference, secret societies, and the infallibility of the pope. The definition of this last was demanded by various bishops. Others desired a revision of the index of forbidden books. No less than nine petitions bearing nearly two hundred signatures demanded the definition of the bodily Assumption of the Blessed Virgin. Over three hundred fathers of the council requested the elevation of St. Joseph as patron saint of the Universal Church.

II. PROCEEDINGS OF THE COUNCIL

A. Presiding Officers, Order of Procedure, Number of Members

On 2 Dec., 1869, the pope held a preliminary session in the Sistine Chapel, which was attended by about five hundred bishops. At this assembly the officials of the council were announced and the conciliar procedure was made known. The council received five presidents. The Chief presiding officer was to have been Cardinal Reisach, but as he died on 22 Dec., Cardinal Filippo de Angelis took his place, 3 Jan., 1870. The other presiding officers were Cardinals Antonio de Luca, Andrea Bizarri, Aloisio Bilio, and Annibale Capalti. Bishop Joseph Fessler of Sankt Pölten, Lower Austria, was secretary to the council, and Monsignor Luigi Jacobi under-secretary. The Constitution "Multiplices inter" announcing the conciliar procedure contained ten paragraphs. According to this the sessions of the council were to be of two kinds: private sessions for discussing the drafts and motions, under the presidency of a cardinal president, and public sessions, presided over by the pope himself for the promulgation of the decrees of the council. The first drafts of decrees debated were to be the dogmatic and disciplinary ones laid before the assembly by the pope. Proposals offered by members of the council were to be sent to a congregation of petitions; these petitions or postulates were to be examined by the committee and then recommended to the pope for admission or not. If the draft of a decree was found by the general congregation to need amendments, it was sent with the proposed amendments to the respective sub-committee or deputatio, either to the one for dogmas or for discipline, or religious orders, or for Oriental Rites. Each of these four sub-committees or deputations was to consist of twenty-four persons selected from the members of the council, and a cardinal president appointed by the pope. The deputation examined the proposed amendments, altered the draft as seemed best, and presented to the general congregation a printed report on its work that was to be orally explained by a member of the deputation. This procedure was to continue until the draft met with the approval of the majority.

The voting in the congregation was by placet, placet juxta modum (with the corresponding amendments), and non placet. Secrecy was to be observed in regard to the proceedings of the council. In the public sessions the voting could only be by placet or non placet. The Decrees promulgated by the pope were to bear the title, "Pius Episcopus, servus servorum Dei: sacro approbante Concilio ad perpetuam rei memoriam". The northern right transept of St. Peter's was arranged as the hall of sessions. Between 8 Dec., 1869, and 1 Sept., 1870, four public sessions and eighty-nine general congregations were held here. There were in the entire world approximately one thousand and fifty prelates entitled to take part in the council, and of these no less than seven hundred and seventy-four appeared during the course of the proceedings. In attendance at the first public session were 47 cardinals, 9 patriarchs, 7 primates, 117 archbishops, 479 bishops, 5 abbots nullius, 9 abbots general, and 25 generals of orders, making a total of 698. At the third public session votes were cast by 47 cardinals, 9 patriarchs, 8 primates, 107 archbishops, 456 bishops, 1 administrator Apostolic, 20 abbots, and 20 generals of orders, a total of 667. There was an attendance at the council from the United States of America of all of the 7 archbishops of that time, 37 of the 47 bishops, and in addition 2 vicars Apostolic. The oldest member of the council was Archbishop MacHale, of Tuam, Ireland; the youngest, Bishop (now Cardinal) Gibbons.

B. From the Formal Opening to the Definition of the Constitution on the Catholic Faith in the Third Public Session

(1) The First Debates

After the formal opening of the council by the pope at the first public session on 8 Dec., 1869, the meetings of the general congregation began on 10 Dec. Their sessions were generally held between the hours of nine and one. The afternoons were reserved for the sessions of the deputations or sub-committees. First, the names of the members of the congregation of petitions were communicated; this was followed by the elections to the four deputations. The first matter brought up for debate was the dogmatic draft of Catholic doctrine against the manifold errors due to Rationalism, "De doctrina catholica contra multiplices errores ex rationalismo derivatos". The discussion of it was taken up on 28 Dec. in the fourth general congregation. After a debate lasting seven days, during which thirty-five members spoke, it was sent by the tenth general congregation held on 10 Jan., 1870, to the deputation on faith for revision. There had been held in the meantime on 6 Jan. the second public session. This had been previously determined upon, on 26 Oct., 1869, by the central commission for the making of the confession of faith by the members of the council. The subjects discussed from the tenth to the twenty-ninth meeting of the general congregation (on 22 Feb.) were the drafts of four disciplinary decrees, namely, on bishops, on vacant episcopal sees, on the morals of ecclesiastics, and on the smaller Catechism. Finally they were all sent for further revision to the deputation on discipline.

(2) The Parties

Such slow progress of the work had probably not been expected. The reason of the disagreeable delay was to be found in the question of infallibility, which had called forth much excitement even before the council. Directly after the opening of the session its influence was evident in the election of the deputations. It divided the fathers of the council into two, it might almost be said hostile camps; on all occasions the decisions and modes of action of each of these parties were determined by its attitude to this question. On account of the violent disputes which had been carried on everywhere for the past year over the question of papal infallibility the overwhelming majority considered the conciliar discussion and decision of the question to be imperatively necessary. On the other hand the minority, comprising about one-fifth of the total number, feared the worst from the definition, the apostasy of many wavering Catholics, an increased estrangement of those separated from the Church, and interference with the affairs of the Church by the Governments of the different countries. The minority, therefore, allowed itself to be guided by opportunist considerations. Only a few bishops appear to have had doubts as to the dogma itself. Both parties sought to gain the victory for their opinions. As however the minority was soon obliged to recognize its powerlessness, it endeavoured by protracting the discussions of the council at least to delay, or even to prevent, a decision as long as possible. Most of the German and Austro-Hungarian members of the council were against the definition, as well as nearly half of the American and about one-third of the French fathers. About 7 of the Italian bishops, 2 each of the English and Irish bishops, 3 bishops from British North America, and 1 Swiss bishop, Greith, belonged to the minority. While only a few Armenian bishops opposed the definition, most of the Chaldean and Greek Melchites sided with the minority. It had no opponents among the bishops from Spain, Portugal, Belgium, Holland, and Central and South America. The most prominent members of the minority from the United States were Archbishops Kenrick of St. Louis and Purcell of Cincinnati, and Bishop Vérot of St. Augustine; these were joined by Archbishop Connolly of Halifax, Nova Scotia. Prominent members of the majority were Archbishop Spalding of Baltimore, Bishops Williams of Boston, Wood of Philadelphia, and Conroy of Albany.

Conspicuous members of the council from other countries were: France: among the minority, Archbishops Darboy of Paris, Ginoulhiac of Lyons, Bishops Dupanloup of Orléans, and David of Saint-Brieuc; among the majority, Archbishop Guibert of Tours, Bishops Pie of Poitiers, Freppel of Angers, Plantier of Nîmes, Raess of Strasburg. Germany: minority Bishops Hefele of Rottenburg, Ketteler of Mainz, Dinkel of Augsburg; majority, Bishops Martin of Paderborn, Senestréy of Ratisbon, Stahl of Würzburg. Austria Hungary: minority, Archbishops Cardinal Rauscher of Vienna, Cardinal Schwarzenberg of Prague, Haynald of Kalocsa, and Bishop Strossmayer of Diakovár; majority, Bishops Gasser of Brixen, Fessler of Sankt Pölten, Riccabona of Trent, Zwerger of Seckau. Italy: minority, Archbishop Nazari di Calabiana of Milan, Bishops Moreno of Ivrea, Losanna of Biella; majority, Valerga, Latin Patriarch of Jerusalem, Bishops Gastaldi of Saluzzo, Gandolfi of Loreto. England: minority, Bishop Clifford of Clifton; majority, Archbishop Manning of Westminster. Ireland: minority, Archbishop MacHale of Tuam; majority, Archbishops Cullen of Dublin and Leahy of Cashel. The East: minority, Jussef, Greek-Melchite Patriarch of Antioch; majority, Hassun, Patriarch of the Armenians. Switzerland: minority, Bishop Greith of St-Gall; majority, Bishop Mermillod of Geneva. Important champions of the definition from the countries which sent no members of the minority were Archbishop Dechamps of Mechlin, Belgium, and Bishop Payà y Rico of Cuenca, Spain.

(3) Change of Procedure: the Hall of Assembly Reduced in Size

Various memorials were now sent the Holy Father petitioning for new rules of debate for the sake of a corresponding progress in the proceedings of the council. Consequently, the conciliar procedure was more exactly defined by the Decree "Apostolicis litteris", issued on 20 Feb., 1870. According to this Decree, any member of the council who wished to raise an objection to the draft under discussion was to send in his proposed amendments in writing, in order that they might be thoroughly considered by the respective deputation. In the general congregation the discussion of a draft as a whole was always to precede the discussion of the individual parts of the draft of a decree. The members of a deputation received the right to speak in explanation or correction when not on the list of speakers. Speakers who wandered from the subject were to be called back to it. If a subject had been sufficiently debated the president, on the motion of at least ten members of the council, could put the question whether the council desired to continue the discussion or not, and then close the debate at the wish of the majority. Although these rules made for an evident improvement, still the minority was not satisfied with them, especially in so far as they contemplated a possible shortening of the debates. They expressed their dissatisfaction in several petitions which, however, had no success. On the other hand, every effort was made to satisfy another complaint which had reference to the bad acoustics of the council hail. Between 22 Feb. and 18 March, that is between the twenty-ninth and thirtieth sessions of the general congregation, the council hall was reduced about one-third in size for the use of the general congregations, so that the fathers who were thus brought closer together could understand the speakers better. The hall was restored to its original size for each of the public sessions.

(4) Completion of the First Constitution

The interruption thus caused was used by the deputation on Faith to revise the draft of the Decree "De doctrina catholica" in accordance with the wishes of the general congregation. On 1 March, Bishop Martin of Paderborn laid before the deputation the first part of the revision, the work of Father Joseph Kleutgen, S.J. It consisted of an introduction and four chapters with the corresponding canons. After an exhaustive discussion in the deputation, it was ready to be distributed to the fathers of the council on 14 March as the actual "Constitutio de fide catholica". A report in writing was also added by the deputation. Archbishop Simor of Gran gave the oral report on 18 March in the thirtieth general congregation. The debate began on the same day, and was closed after seventeen sessions on 19 April, in the forty-sixth general congregation. Over three hundred proposed amendments were brought up and discussed. Although many objections were made by both sides, yet the new rules of procedure made possible a relatively smooth course to the debates. The only disturbing incident was the passionate speech of Bishop Strossmayer of Diakovár on 22 March in the thirty-first general congregation; it called forth a storm of indignation from the majority, which finally forced the speaker to leave the tribune. On 24 April, the first Constitution, "De fide catholica", was unanimously adopted in the third public session by the 667 fathers present, and was formally confirmed and promulgated by the pope.

C. The Question of Papal Infallibility

(1) Motions calling for and opposing Definition

The opponents of infallibility constantly assert that the pope convoked the council of the Vatican solely to have papal infallibility proclaimed. Everything else was merely an excuse and for the sake of appearances. This assertion contradicts the actual facts. Not a single one of the numerous drafts drawn up by the preparatory commission bore on papal infallibility. Only two of the twenty-one opinions sent in by the Roman cardinals mentioned it. It is true that a large number of the episcopal memorials recommended the definition, but these were not taken into consideration in the preparations for the council. It was not until the contest over papal infallibility outside of the council grew constantly more violent that various groups of members of the council began to urge conciliar discussion of the question of infallibility. The first motion for the definition was made on Christmas, 1869, by Archbishop Dechamps of Mechlin. He was supported by all the other Belgian bishops, who presented a formal opinion of the University of Louvain, which culminated in a petition for the definition. The actual petition for the definition was first circulated among the fathers of the council on New Year's Day, 1870. Several petitions from smaller groups also appeared, and the petitions soon received altogether five hundred signatures, although quite a number of the friends of the definition were not among the number of subscribers. Five opposing memorials circulated by the minority finally obtained 136 names. Upon this, early in Feb., the congregation for petitions unanimously, with exception of Cardinal Rauscher, requested the pope to consider the petition for definition. Pius IX was also in favour of the definition. Therefore on 6 March, the draft of the Decree on the Church of Christ, which had been distributed among the fathers on 21 Jan., was given a new twelfth chapter entitled "Romanum Pontificem in rebus fidei et morum definiendis errare non posse" (The Roman Pontiff cannot err in defining matters of faith and morals). With this the matter dropped again in the council.

(2) The Agitation Outside the Council

The petitions concerning infallibility called forth once more outside the council a large number of pamphlets and innumerable articles in the daily papers and periodicals. About this time the French Oratorian Gratry and Archbishop Dechamps of Mechlin opposed each other in controversial pamphlets. A letter published by Count Montalembert on 27 Feb., 1870, in which he spoke of an idol which had been erected in the Vatican, attracted much attention. In England, Newman gave anxious expression of his fears as to the bad results of the declaration of infallibility in a letter written in March, 1870, to his bishop, Ullathorne of Birmingham. The most extreme opponent was Professor Döllinger of Bavaria. In his "Römische Briefe vom Konzil", published in the "Allgemeine Zeitung" and issued in book form (Munich, 1870), under the pseudonym of "Quirinus", he used information sent him from Rome by his pupils, Johann Friedrich and Lord Acton. In these letters he did everything he could by distorting and casting doubts upon facts, by scorn and ridicule, to turn the public against the council. This was especially so in an article of 19 Jan., 1870, in which he attacked so severely the address on infallibility, which had just become known, that even Bishop Ketteler of Mainz, an old pupil of Döllinger's and a member of the minority, protested publicly against it. The Governments of the different countries also took measures on the subject of infallibility. As soon as the original draft of the decree "De ecclesia" with its canons was published in the "Allgemeine Zeitung", Count von Beust, Chancellor of Austria, sent a protest against it to Rome on 10 Feb., 1870, which said that the Austrian Government would forbid and punish the publication of all decrees that were contrary to the laws of the State. The French minister of foreign affairs, Daru, also sent a threatening memorandum on 20 Feb. He demanded the admission of an envoy to the council, and notified the other Governments of his steps in Rome. Austria, Bavaria, England, Spain and Portugal declared their agreement with the memorandum. The president of the Prussian ministry, Bismarck, would not change his attitude of reserve, notwithstanding the urgency of von Arnim, the ambassador at Rome. On 18 April, the leader of the agitation, Count Daru, retired from his post in the ministry. The president of the French ministry, Ollivier, assumed charge of foreign affairs; he was determined to leave the council free.

(3) The Debates in the Council

In the meantime the bishops of the minority in the council had constantly sought to block the matter, and especially to exert influence to this end on Cardinal Bilio, the president of the deputation on faith. If the members of the majority had not urged the fulfilment with the same perseverance, papal infallibility would never have reached debate. Finally, on 29 April, during the forty-seventh general congregation, the president interrupted the second debate on the smaller Catechism by the announcement that as soon as possible the fathers should receive for examination the draft of a Constitution, "De Romano Pontifice" which would contain the dogma of the primacy and of the infallibility of the pope. For this purpose the deputation on faith had altered the eleventh and twelfth chapters of the old draft of the Constitution "De ecclesia". On 9 May it was distributed among the fathers in printed form as the "Constitutio prima de ecclesia", consisting of 4 chapters and 3 canons. For a full month (13 May 13 June) the general debate over the draft as a whole was carried on in fourteen general congregations, and sixty-four, mostly very long, speeches were delivered. The following special debates over the separate chapters and canons lasted more than a month. Not less than a hundred speakers took part in the discussions, which were carried on from 6 June to 13 July, in 22 congregations. Most of the speeches were on the fourth chapter, which treated papal infallibility. The most prominent speakers of the minority were: French; Darboy, Ginoulhiac, Maret; German; Hefele, Ketteler, Dinkel; Austrian; Raucher, Schwarzenberg, Strossmayer; United States of America and Canada; Vérot and Connolly. Archbishop Kenrick of St. Louis, who lost his opportunity to speak by the closing of the general debate, published in pamphlet form his "Concio in concilio habenda, at non habita". On the other hand the conciliar speech published under the name of Bishop Strossmayer is a forgery perpetrated by an apostate Augustinian monk from Mexico, José Agostino de Escudero, who was then in Italy (cf. Granderath-Kirch III, 189). The majority were chiefly represented by the French members of the council; Pie and Freppel; the Belgian member, Dechamps; the English member, Manning; the Irish, Cullen; the Italian members, Gastaldi and Valerga; the Spanish member, Paya y Rico; the Austrian, Gasser; the German members, Martin and Senestrey; the American member, Spalding. Several members of the minority as Kenrick, Bauseher, Hefele, Schwarzenberg, and Ketteler, discussed the question of infallibility in pamphlets that they individually issued, to which naturally the majority were not slow to reply. The most important of these answers was the "Animadversiones of the conciliar theologian, W. Wilmers, S.J., in which the writings of the last four of the antagonists just mentioned were, in succession, thoroughly confuted. Scarcely in any parliament have important matters ever been subjected to as much discussion as was the question of papal infallibility in the Vatican Council in the course of two months all the reasons pro and con had been again and again discussed, and only what had been already often said could now be repeated. Consequently in the eighty-second general congregation held on 4 July, most of those who still had the right to speak, not only of the majority, but also of the minority, renounced the privilege, and the cardinal president was able, amid general applause, to close the debates.

(4) Final Voting and Definition

The time of the eighty-third, eighty-fourth, and eighty-fifth general congregations was almost entirely occupied with the reports of the deputation on faith concerning the last two chapters. The report of Prince Bishop Gasser on the fourth chapter was a very notable one. In the eighty-fifth general congregation held on 13 July a general vote was taken on the entire draft. There were present 601 fathers. Of these 451 voted placet, 62 placet juxta modum (conditional affirmative), 88 non placet. Of the North American bishops only 7 voted non placet; these were Kenrick, Vérot, Domenec, Fitzgerald, MacQuaid, MacCloskey, and Mrac. Bishop Fitzgerald still voted non placet in the fourth public session, while on this occasion Bishop Domenec voted placet. The other five did not attend this session. In the eighty-sixth general congregation the fathers condemned, on the motion of the president, two anonymous pamphlets which calumniated the council in the coarsest manner. One, entitled "Ce qui se passe au Concile", culminated in the assertion that there was no freedom of discussion at the council. The other, "La dernière heure du Concile", repeated all the accusations that the enemies of the council had raised against it, and exhorted the bishops of the minority to stand firm and courageously vote non placet in the public session. On account of the war which threatened to break out between Germany and France, a number of fathers of both opinions had returned home. Shortly before the fourth public session a large number of the bishops of the minority left Rome with the permission of the directing officers of the council. They did not oppose the dogma of papal infallibility itself, but were against its definition as inopportune. On Monday, 18 July, 1870, one day before the outbreak of the Franco-German War, 435 fathers of the council assembled at St. Peter's under the presidency of Pope Pius IX. The last vote was now taken; 433 fathers voted placet, and only two, Bishop Aloisio Riccio of Cajazzo, Italy, and Bishop Edward Fitzgerald of Little Rock, Arkansas, voted non placet. During the proceedings a thunderstorm broke over the Vatican, and amid thunder and lightning the pope promulgated the new dogma, like a Moses promulgating the law on Mount Sinai.

D. The Council from the Fourth Public Session until the Prorogation

At the close of the eighty-fifth general congregation a "Monitum" was read which announced that the council would be continued without interruption after the fourth public session. Still, the members received a general permission to leave Rome for some months. They had only to notify the secretary in writing of their departure. By 11 Nov., St. Martin's day, all were to be back again. So many of the fathers made use of this permission that only a few more than 100 remained at Rome. Naturally these could not take up any new questions. Consequently the draft of the decree on vacant episcopal sees, which had been amended in the meantime by the deputation of discipline, was again brought forward, and debated in three further general congregations. The eighty-ninth, which was also to be the last, was held on 1 Sept. On 8 Sept. the Piedmontese troops entered the States of the Church at several points; on Tuesday, 20 Sept., a little before eight o'clock in the morning, the enemy entered Rome through the Porta Pia. The pope was a prisoner in the Vatican. He waited a month longer. He then issued on 20 Oct. the Bull, "Postquam Dei munere", which prorogued the council indefinitely. This day was the day after a Piedmontese decree had been issued organizing the Patrimony of Peter as a Roman province. A circular letter issued by the Italian minister, Visconti Venosta, on 22 Oct., to assure the council of the freedom of meeting, naturally met with no credence. A very remarkable letter was sent from London on the same day by Archbishop Spalding to Cardinal Barnabo, prefect of the Propaganda at Rome. In this letter he made the proposition, which met the approval of Cardinal Cullen, Archbishop Manning, and Archbishop Dechamps, to continue the council in the Belgian city of Mechlin, and gave ten reasons why this city seemed suitable for such sessions. Unfortunately the general condition of affairs was such that a continuation of the council even at the most suitable place could not be thought of.

III. ACCEPTANCE OF THE DECREES OF THE COUNCIL

After the council had made its decision everyone naturally looked with interest to those members of the minority who had maintained their opposition to the definition of infallibility up to the last moment. Would they recognize the decision of the council, or, as the enemies of the council desired would they persist in their opposition? As a matter of fact, not a single one of them was disloyal to his sacred duties. As long as the discussions lasted they expressed their views freely and without molestation, and sought to carry them into effect. After the decision, without exception, they came over to it, The two bishops who on 18 July had voted non placet advanced to the papal throne at the same session and acknowledged their acceptance of the truth thus defined. The Bishop of Little Rock said simply and with true greatness, "Holy Father, now I believe." It is not possible in this brief space to mention the accession of each member of the minority. As concerns the members from North America who are of special interest here, Bishop Vérot of St. Augustine gave his adhesion to the dogma while still at Rome in a letter addressed on 25 July to the secretary of the council. Bishop Mrac of Sault-Saint-Marie sent his declaration of adherence at the latest by Jan., 1872. A year later Bishop Domenec of Pittsburgh did the same. In 1875 Bishop MacQuaid of Rochester, if not earlier, announced his adherence to the dogma by its formal and public promulgation. When Archbishop Kenrick of St. Louis returned to his diocese on 30 Dec., 1870, he made an address at the reception given him, in which he first gave the reasons that had decided his position at the council as long, as the question was open to discussion, and then closed with the declaration that, now the council had decided, he submitted unconditionally to its decree. He expressed himself similarly in a letter of 13 Jan., 1871, to the prefect of the Propaganda. When Lord Acton questioned the archbishop in regard to his submission, the latter replied by a long letter dated 29 March, 1871, which shows, it may be, a certain discontent, but which clearly confirmed his belief in the infallibility of the pope. In the same way the distinguished Frenchmen and Englishmen who, outside of the council, had expressed opinions antagonistic to the promulgation of infallibility, e.g. Gratry, Newman, Montalembert, and finally, as it appears, Acton, also submitted after the decision had been made. On the other hand, in Germany a number of Professor Döllinger's adherents apostatised from the Church and formed the sect of Old Catholics. Döllinger also apostatized, without, however, connecting himself with any other denomination. In Switzerland the opponents of the council united in a sect called Christian Catholics. Outside of these, however the Catholics of the entire world, both clergy and laity, accepted the decision of the council with great joy and readiness. After the close of the Franco-German War the German Government made the dogma of infallibility the excuse for what is called the Kulturkampf. Yet the bishops and priests were ready to bear loss of property, imprisonment, and exile rather than be disloyal to any part of their ecclesiastical duties. The Austrian Government took the opportunity offered by the definition to relieve itself from uncomfortable obligations, and declared that, as the other contracting party had changed, the Concordat with the Roman See was annulled. Excepting in a few Swiss cantons, the promulgation of the decision of the council did not encounter any actual difficulties elsewhere.

IV. THE RESULTS

In comparison with the large scope of the preparations for the council, and with the great amount of material laid before it for discussion in the numerous drafts and proposals, the immediate result of its labours must be called small. But the council was only in its beginnings when the outbreak of war brought it to a sudden close. It is also true as is known, that reasons within the council prevented a larger result from its sessions. Thus it was that in the end only two not very large Constitutions could be promulgated. If, however, the contents of these two constitutions be examined their great importance is unmistakable. The contents meet in a striking manner the needs of the times.

A. The dogmatic Constitution on the Catholic Faith defends the fundamental principles of Christianity against the errors of modern Rationalism, Materialism, and atheism. In the first chapter it maintains the doctrine of the existence of a personal God, Who of His own free volition for the revelation of His perfection, has created all things out of nothing, Who foresees all things, even the future free actions of reasonable creatures, and Who through His Providence leads all things to the intended end. The second chapter treats the natural and supernatural knowledge of God. It then declares that God, the beginning and end of all things can also be known with certainty by the natural light of reason. It then treats the actuality and necessity of a supernatural revelation, of the two sources of Revelation, Scripture and tradition, of the inspiration and interpretation of the Holy Scripture. The third chapter treats the supernatural virtue of faith, its reasonableness supernaturalness, and necessity, the possibility and actuality of miracles as a confirmation of Divine Revelation; and lastly, the founding of the Catholic Church by Jesus Christ as the Guardian and Herald of revealed truth. The fourth chapter contains the doctrine, especially important today, on the connection between faith and reason. The mysteries of faith cannot, indeed, be fully grasped by natural reason, but revealed truth can never contradict the positive results of the investigation of reason. Contrariwise, however, every assertion is false that contradicts the truth of enlightened faith. Faith and true learning are not in hostile opposition; they rather support each other in many ways. Yet faith is not the same as a philosophical system of teaching that has been worked out and then turned over to the human mind to be further developed, but it has been entrusted as a Divine deposit to the Church for protection and infallible interpretation. When, therefore, the Church explains the meaning of a dogma this interpretation is to be maintained in all future time, and it can never be deviated from under pretence of a more profound investigation. At the close of the Constitution the opposing heresies are rejected in eighteen canons.

B. The other dogmatic Constitution is of equal, if not greater, importance; it is the first on the Church of Christ, or, as it is also called in reference to its contents, on the Pope of Rome. "The introduction to the Constitution says that the primacy of the Roman pontiff, on which the unity, strength, and stability of the entire Church rests, has always been, and is especially now, the object of violent attacks by the enemies of the Church. Therefore the doctrine of its origin, constant permanence, and nature must be clearly set forth and established, above all on account of the opposing errors. Thus the first chapter treats of the establishment of the Apostolic primacy in the popes of Rome. Each chapter closes with a canon against the opposing dogmatic opinion. The most important matter of the Constitution is the last two chapters. In the third chapter the meaning and nature of the primacy are set forth in clear words. The primacy of the Pope of Rome is no mere precedence of honour. On the contrary, the pope possesses the primacy of regularly constituted power over all other Churches, and the true, direct, episcopal power of jurisdiction, in respect to which the clergy and faithful of every rite and rank are bound to true obedience. The immediate power of jurisdiction of the individual bishops in their dioceses, therefore, is not impaired by the primacy, but only strengthened and defended. By virtue of his primacy the pope has the right to have direct and free relations with the clergy and laity of the entire Church. No one is permitted to interfere with this intercourse. It is false and to be rejected to say that the decrees issued by the pope for the guidance of the Church are not valid unless confirmed by the placet of the secular power. The pope is also the supreme judge of all the faithful, to whose decision all matters under examination by the Church can be appealed. On the other hand, no further appeal, not even to an ecumenical council, can be made from the supreme decision of the pope. Consequently the canon appended to the third chapter says: "When, therefore, anyone says that the Pope of Rome has only the office of supervision or of guidance, and not the complete and highest power of jurisdiction over the entire Church not merely in matters of faith and morals, but also in matters which concern the discipline and administration of the Church throughout the entire world, or that the pope has only the chief share, but not the entire fullness of this highest power, or that this his power is not actual and immediate either over all and individual Churches, or over all and individual clergy and faithful, let him be anathema".

The fourth chapter, lastly, contains the definition of papal infallibility. First, all the corresponding decrees of the Fourth Council of Constantinople, 680 (Sixth Ecumenical), of the Second Council of Lyons, 1274 (Fourteenth Ecumenical) and of the Council of Florence, 1439 (Seventeenth Ecumenical), are repeated and confirmed. It is pointed out, further, that at all times the popes, in the consciousness of their infallibility in matters of faith for the preservation of the purity of the Apostolic tradition, have acted as the court of last instance and have been called upon as such. Then follows the important tenet that the successors of St. Peter have been promised the Holy Ghost, not for the promulgation of new doctrines, but only for the preservation and interpretation of the Revelation delivered by the Apostles. The Constitution closes with the following words: "Faithfully adhering, therefore, to the tradition inherited from the beginning of the Christian Faith, we, with the approbation of the sacred council, for the glory of God our Saviour, for the exaltation of the Catholic religion, and the salvation of Christian peoples, teach and define, as a Divinely revealed dogma, that the Roman pontiff, when he speaks ex cathedra, that is, when he, in the exercise of his office as shepherd and teacher of all Christians, by virtue of his supreme Apostolic authority, decides that a doctrine concerning faith or morals is to be held by the entire Church he possesses, in consequence of the Divine aid promised him in St. Peter, that infallibility with which the Divine Saviour wished to have His Church furnished for the definition of doctrine concerning faith or morals; and that such definitions of the Roman pontiff are of themselves, and not in consequence of the Church's consent, irreformable".

What is given above is essentially the contents of the two Constitutions of the Vatican Council. Their import may be briefly expressed thus: in opposition to the Rationalism and Free-thinking of the present day the first Constitution gives authoritative and clear expression of the fundamental principles of natural and supernatural understanding of right and true faith, their possibility, necessity, their sources, and of their relations to each other. Thus it offers to all of honest intention a guide and a firm foothold, both in solving the great question of life and in all the investigations of learning. The second Constitution settles finally a question which had kept the minds of men disturbed from the time of the Great Schism, and the Council of Constance, and more especially from the appearance of the four Gallican articles of 1682, the question of the relation between the pope and the Church. According to the dogmatic decision of the Vatican Council, the papacy founded by Christ is the crown and centre of the entire constitution of the Catholic Church. The papacy includes in itself the entire fullness of the power of administration and teaching bestowed by Christ upon His Church. Thus ecclesiastical particularism and the theory of national Churches are forever overthrown. On the other hand, it is extravagant and unjust to say that by the definition of the primacy of jurisdiction and of the infallibility of the pope the ecumenical councils have lost their essential importance. The ecumenical councils have never been absolutely necessary. Even before the Vatican Council their decrees obtained general currency only through the approval of the pope. The increasing difficulty of their convocation as time went on is shown by the interval of three hundred years between the nineteenth and twentieth ecumenical councils. The definitions of the last council have, therefore, brought about the alleviation that was desirable and the necessary legal certainty. Apart from this, however, the hierarchy united with the pope in a general council is, now as formerly, the most complete representation of the Catholic Church.

Lastly, as regards the drafts and proposition which were left unsettled by the Vatican Council, a number of these were revived and brought to completion by Pius IX and his two successors. To mention a few: Pius IX made St. Joseph the patron saint of the Universal Church on 8 Dec., 1870, the same year as the council. Moral and religious problems, which it was intended to lay before the council for discussion, are treated in the encyclicals of Leo XIII on the origin of the civil power (1881), on freemasonry (1884), on human freedom (1888), on Christian marriage (1880), etc. Leo XIII also issued in 1900 new regulations regarding the index of forbidden books. From the beginning of his administration Pius X seems to have had in view in his legislative labours the completion of the great tasks left by the Vatican Council. The most striking proofs of this are: the reform of the Italian diocesan seminaries, the regulation of the philosophical and theological studies of candidates for the priesthood, the introduction of one catechism for the Roman church province, the laws concerning the form of ritual for betrothal and marriage, the revision of the prayers of the Breviary, and, above all, the codification of the whole of modern canon law.

Bibliography

(1) Archives of the Vatican Council: All official papers relating to the preparations for the Vatican Council, its proceedings, and the acceptance of its decrees, have been preserved in the Vatican Palace, in two rooms which were set apart for them. The speeches made at the general congregations exist in shorthand notes and handwriting; in addition, Pius IX also arranged to have them printed, The first four folio volumes were issued by the Vatican Press in 1875-8, the fifth and final volume appeared in 1884. About a dozen copies of each volume are in the archives.
(2) Collections of Official Documents: CECCONI, Storia del Concilio ecumenico Vaticano scritta sui documenti originali. Antecedenti, I (Rome, 1873), II, in III pts. (Rome, 1879); FRIEDRICH, Documenta ad illustrandum Concilium Vaticanum (II pts., Nördlingen, i871). FRIEDBERG, Sammlung der Aktenstücke zum ersten vatikanischen Konzil mit einem Grundriss der Geschichte desselben (Tübingen, 1872); MARTIN, Omnium Concilii Vaticani quae ad doctrinam et disciplinam pertinent documentorum collectio (Paderborn, 1873); the most complete collection is Acta et decreta sacrosancti oecumenici Concilii Vaticani, ed. SCHNEEMAN AND GRANDERATH (Freiburg, 1892); this collection is in the Collectio Lacensis vol VII. The decrees of the eouncii have often been published as at Rome by the Propaganda, at Freiburg. and Ratisbon.
(3) Historical Accounts: (a) Catholic: by the secretary of the council, FESSLER, Das vatikanische Concilium, dessen äusere Bedeutung und innere Verlauf (Vienna, 1871); MANNING, The True Story of the Vatican Council (London, 1877); OLLIVIER. L'église et l'état au concile du Vatican (2 vols., Paris, 1879); GRANDERATH AND KIRCH, Geschichte des vatikanischen Konzils von seiner ersten Ankündigung bis zu seiner Vertagung, nach den authentischen Dokumenten (3 vols., Freiburg, 1903 and 1906); FROND, Actes et histoire du concile oecuménique de Rome (8 vols., Paris, 1869), numerous illustrations; GRANDERATH in WETZER AND WELTE, Kirchenlexikon, s. v. Vatican. Concil. (b) Non-Catholic: FRIEDRICH, Tagebuch während des vatikanischen Konzils geführt (2nd ed., Nördlingen, 1873); IDEM, Geschichte des vatikanischen Konzils (3 vols., Bonn, 1877 87); MOZLEY, Letters from Rome on the Occasion of the Ecumenical Council 1869-1870 (2 vols., London, 1891); MIRBT in Realencyklopädie für protest. Theol., s. v. Vatican. Concil. In addition, consult the biographies of the most distinguished members of the council. The most important works and pamphlets that appeared during the council are mentioned in the course of the article.
(4) Explanations of the Decrees of the Council: GRANDERATH, Constitutiones dogmaticoe s. oecumen. Concilii Vaticani, explicat (Freiburg. 1892); VACANT, Etudes théologiques sur les constitutions du concile du Vatican (2 vols., Paris, 1895).

Fonte: The Catholic Encyclopedia, vol. XV, New York, 1912 (http://www.newadvent.org/cathen/15303a.htm)

Augustinus
07-02-08, 14:40
http://img255.imageshack.us/img255/4345/popepiusixbm2.jpg

http://img150.imageshack.us/img150/3201/popepiusix01mg7.jpg

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http://img120.imageshack.us/img120/1093/beatopioixmq6.jpg

Augustinus
07-02-08, 15:09
http://img504.imageshack.us/img504/552/urnabeatopioixiq4.jpg

Augustinus
07-02-08, 15:18
Il "cambio di abbigliamento" del Papa segue questo ordine: Pio IX è stato esumato il 25 novembre 1956. Poiché i paramenti pontificali erano troppo intaccati dal tempo, alcuni giorni dopo lo si è nuovamente sepolto facendogli indossare i normali abiti papali non da celebrazione. L'azzurro delle rifiniture nelle foto della riesumazione del 2000 è dovuto alle dorature che si sono ossidate col tempo.

http://img186.imageshack.us/img186/2333/pioixvecchiabaraej6pr6.jpg Riesumazione del 1956

http://img142.imageshack.us/img142/6606/yiuvk7.jpg

http://img210.imageshack.us/img210/7326/pioixriesumazione2000epjc8.jpg

FONTE (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=47391&page=22)

bizzzarrro
07-02-08, 16:45
Il Beato Pio IX
ha ricevuto da Dio il premio pe la Sua corsa, instancabile atleta della fede.
Ora regna con i giusti nelal corona dei beati. Speriamo presto possa essere canonizzato.
Solo due Eletti di Dio hanno - in tempi recenti - ricevuto la grazia di promulgare due dogmi mariani, PioIX e PIO XII. Che Dio ci doni di celebrare anche PioXII beato
Grazie Fratelli in Xto
Vs Bizzzarrro