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msdfli
07-07-09, 10:31
«Da 50 anni attendiamo di entrare nell'Ue Ora chiedo ai leader una risposta chiara»

Il premier turco Erdogan: «Berlusconi è un collega, un amico, uno di famiglia»

Antonio Ferrari

07 luglio 2009




ANKARA — «Sono 50 anni che siamo in attesa di entrare nell'Unione europea. E ora vorremmo una risposta chiara. Vi sono leader che dicono una cosa e poi si correggono, e magari in altre sedi sostengono di non averla detta. È diventato comico, e noi siamo stanchi di comiche».

Parla a bassa voce, quasi a voler celare il fastidio, il primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan, che si prepara a partire per L'Aquila, per il G8 e la sua propaggine allargata, con la determinazione di chi vuol far valere le ragioni e le aspirazioni del suo Paese. «Mi chiedete se accetterei un'associazione privilegiata? No, mai. Chiediamo l'adesione piena e basta!», ha detto nell'intervista esclusiva concessa al nostro giornale. All'incontro era presente il direttore del Corriere della Sera, Ferruccio de Bortoli.



È sera, e sul volto di Erdogan sono disegnati i segni di una dura giornata di lavoro. Ci riceve nella sede del partito dove, dietro la sua scrivania, troneggia l'immagine di Mustafa Kemal Atatürk, il grande leader laico che ha cambiato la storia del Paese e di tutta la regione. Un leader indiscusso, che un tempo il futuro presidente del partito islamico moderato della Giustizia e dello Sviluppo (Akp) non esitava a criticare. Ma ora, con la consapevolezza delle responsabilità, sembra a volte chiederne silenziosamente i consigli. Ai lati del dipinto, le bandiere della Turchia e quella con la lampadina del suo partito Akp. Lampadina stampata sugli astucci di cioccolatini, che il premier offre ai suoi ospiti.



Signor primo ministro, lei parteciperà alla seconda giornata di lavori del G8 e avrà, per decisione della presidenza italiana, un tavolo tutto europeo, con rappresentanti di Paesi che la sostengono, come Italia, Gran Bretagna, Spagna e la Svezia (presidente di turno dell'Ue), e Paesi che sono contrari, come la Germania, ma soprattutto la Francia. Ci tolga una curiosità: ma perché Sarkozy è così duro con voi?

«Difficile comprendere. Vedete, io ho ottimi rapporti personali con tutti i miei colleghi. Anche con il presidente Sarkozy. Quando la Francia aveva la presidenza dell'Ue, il collega Sarkozy nei tête-à-tête mi diceva: "State tranquilli. Apriremo 30 capitoli, su altri 5 vedremo dopo". Poi andava in Svezia e faceva dichiarazioni durissime. Poi, quando ci rivedevamo, correggeva».



L'Italia, invece, vi ha sempre sostenuto con scelte bipartisan, sia con i governi di centrosinistra che con quelli di centrodestra.

«È vero, è così. Il problema è non diffondere messaggi conflittuali. Chiediamo chiarezza e coerenza. Certo, anche noi abbiamo le nostre colpe. Non abbiamo saputo spiegare chi siamo e non abbiamo saputo comunicare quel che stavamo e stiamo facendo. E così in alcuni leader si sono radicate idee sbagliate: che non avevano e non hanno nulla a che fare con la nostra realtà».



Ma può spiegarci perché nell'Unione europea molti hanno paura della Turchia?

«Ve l'ho appena detto».



Un sondaggio, diffuso ieri dal vostro istituto di ricerca, dice che, nonostante le difficoltà e qualche disaffezione, il 51,9 per cento dei turchi è ancora favorevole all'ingresso del vostro Paese nell'Ue, mentre i contrari sono il 29,5 per cento. Pensavamo peggio.

«Dovreste pensare che nel 2005, quando abbiamo cominciato i negoziati, il 75 per cento del nostro popolo era favorevole. Poi, a forza di no, di forse, di distinguo, siamo arrivati a questo punto. Basterebbe che la cancelliera Merkel e il presidente Sarkozy dicessero: "Bene, se la Turchia soddisfa tutte le condizioni richieste, saremo pronti ad accoglierla". Basterebbe questo per tornare a percentuali quasi plebiscitarie».



Vi è stato chiesto di modificare l'articolo 301 del codice penale, che punisce con il carcere chi offende "l'identità turca". Accusa che era stata rivolta al premio Nobel Pamuk.

«E noi l'abbiamo modificato. Dico di più. Abbiamo consultato e studiato i codici penali di Italia, Germania e Spagna. Posso dirvi che il nostro articolo 301 è migliore del vostro. Nessuno è finito in carcere».

Ma non sarebbe ora, signor Erdogan, di fare i conti con la vostra storia? Pensiamo agli armeni, vittime di quello che molti storici considerano un genocidio.

«Non esiste un solo documento che lo provi. Uno solo. E poi: pensate che 40.000 armeni continuerebbero a vivere in Turchia? Sono gli armeni in altri Paesi che diffondono notizie e interpretazioni non corrispondenti alla realtà».



Lei ha parlato di un passato fascista, in Turchia, che non ha rispettato le minoranze.

«Sì, mi riferivo ad errori commessi nel passato contro gli ebrei, i greci, i cristiani».

Negli ultimi tempi sono riaffiorati contrasti con i militari. C'è una proposta di legge, alla firma del presidente Gül, che prevede tribunali civili anche per i soldati. La firmerà il capo dello Stato?

«La domanda non è giusta. Non si può parlare di contrasti con le Forze armate. I militari, come la polizia e le forze di sicurezza, fanno parte della nostra società. Ora, un conto è processare, in un tribunale civile, un soldato che ha commesso reati civili. Ma nessuno intende processare militari che abbiano commesso reati connessi con la loro missione».

In Iraq la situazione è migliorata. Non vi sono più le pressioni nel Nord, nel Kurdistan, che tanto vi preoccupavano. Con l'Iran avete buoni rapporti. Non temete il suo potenziale nucleare?

«Noi siamo assolutamente contrari alle armi di distruzione di massa, però ci poniamo una domanda: è giusto condannare soltanto alcuni Paesi che le detengono o starebbero attrezzandosi a dotarsene? Io penso che tutti i Paesi dovrebbero essere liberati dalle armi di distruzione di massa. Tutti».



È quanto sosteneva il presidente Obama nei suoi scritti giovanili.

«Appunto. E le notizie che arrivano da Mosca sull'accordo tra Usa e Russia per la riduzione delle testate sono incoraggianti».



Lei ha la passione per il calcio. Lo ha anche praticato. Tifa per il Fenerbahçe, ma il suo compagno di partito, il presidente della repubblica Abdullah Gül, tifa per il Besiktas. E il Besiktas ha vinto il campionato. Mi sembra che, quest'anno, lei condivida le sofferenze sportive di Berlusconi e del suo Milan.

«In Italia Milan, Inter e Juventus sono icone del calcio. Da noi ce ne sono altrettante. È bello vincere, ma è anche bello riprovarci, se l'anno prima le cose non sono andate bene».



A proposito del presidente Berlusconi. Che idea si è fatto delle vicende private nelle quali è coinvolto?

«Berlusconi è un collega, un amico, è uno di famiglia. Perciò entrare nelle sue vicende private non è né corretto né leale».


http://msdfli.wordpress.com/2009/07/07/intervista-al-premier-turco-erdogan/

che ne dite ?
tosto anche erdogan...

Unghern Kahn
12-08-09, 18:56
South Stream e "Relazioni pericolose"
:::: 11 Agosto 2009 :::: 10:51 T.U. :::: Analisi - Turchia - Russia - Italia :::: Aldo Braccio
di Aldo Braccio*

La Turchia ha autorizzato nei giorni scorsi la Russia a intraprendere gli studi per realizzare il passaggio del gasdotto South Strem dal territorio turco, precisamente dalle acque del mar Nero : è prevista anche la partecipazione della Gazprom alla realizzazione di un terminale GNL (Gas Naturale Liquefatto) nel Paese della Mezzaluna.
L’apertura del cantiere è annunciata per il novembre 2010 : Erdoğan e Putin hanno sottolineato nella conferenza stampa comune l’ottimo stato delle relazioni bilaterali turco – russe, relazioni che del resto non erano state indebolite ma semmai rafforzate dall’evolversi della situazione dell’altro grande progetto energetico (su ciò si veda “Progetto Nabucco : una conferma e qualche interessante novità”, Eurasia :: Rivista di studi Geopolitici (http://www.eurasia-rivista.org), 14 – 7 – 2009) in corso d’opera ( o meglio di programmazione).
Putin ha anche preannunciato l’interessamento russo per l’oleodotto turco Samsun (mar Nero) – Ceyhan (Mediterraneo), “un progetto da sostenere e sul quale dobbiamo lavorare insieme”.
In questo scenario di rafforzata e positiva intesa l’Europa – che ha tutto da guadagnare in termini immediati di approvvigionamento energetico e più in generale in termini di iniziale integrazione euroasiatica - assume volutamente una posizione di basso profilo, sicchè è il solo Berlusconi a personalmente presenziare all’accordo turco-russo, riconoscendo che esso andrà a beneficio di tutta l’Europa.
Per il resto, serpeggia un certo fastidio, ben rappresentato da un editoriale di Franco Venturini apparso sul “Corriere della Sera” dell’8 agosto : si tratta di “Relazioni pericolose” (titolo dell’articolo) : “La ‘guerra dei gasdotti’ è la vera partita geostrategica del nostro tempo (…) La Russia è un fornitore affidabile, ma la fine del confronto tra i blocchi ha incoraggiato il Cremino a fare del suo gas una potente arma politica che autorizza prudenziali timori (…) Gli USA, forse ancor più dell’Europa, hanno capito che occorre trovare subito forniture di gas non russe se si vuole che il Nabucco decolli e che buona parte del territorio Nato eviti di finire sotto il potenziale ricatto energetico do Mosca”. Non mancano, in questo testo esemplare, tirate d’orecchi per Berlusconi (che ha “sistematicamente aiutato la Russia”), per la Turchia (che fa “il doppio gioco”) e naturalmente per la Russia stessa, che va “associata all’Occidente”, dopo “qualche parola chiara sui diritti civili, sulla libertà di stampa, sull’amministrazione della giustizia”. La controffensiva mediatica “occidentale” è già in atto, ben poco interessata ai reali interessi europei in gioco.

*Aldo Braccio, analista geopolitico, esperto di Turchia, è redattore di Eurasia. Rivista di studi geopoilitici.

Eurasia :: Rivista di studi Geopolitici (http://www.eurasia-rivista.org)

msdfli
13-08-09, 14:02
Gli usa col nabucco pensavano di impensierire i russi ma si trovano in difficoltÃ* ora. Berlusconi lo vedo male...

Unghern Kahn
16-08-09, 18:10
Gli usa col nabucco pensavano di impensierire i russi ma si trovano in difficoltÃ* ora. Berlusconi lo vedo male...


Cioè? :conf: Scusami ma forse non ho capito cosa intendevi dire...

Berlusconi mi sembra già in difficoltà di suo però ha vinto ugualmente le elezioni. Significa che il consenso non manca. Le opposizioni in Italia sono praticamente inesistenti e c'è da dire che il premier sa il fatto suo nelle relazioni privilegiate non disdegnando nè Obama nè Putin e nemmeno Gheddafi. In politica estera quest'ultimo periodo mi è sembrato particolarmente attivo.

Ottima la sua presenza a Ankara per il gasdotto turco-russo. Non mi è certamente simpatico ma riconosco che qualcosa di utile per il paese stia cercando di farlo almeno a livello internazionale il G8 a L'Aquila è stato un successo.

Spetaktor
22-02-10, 21:19
http://yenisafak.com.tr/resim/site/erdogan12846e1421846b6620by.jpg

http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/2/26/Cropped_rte.JPG/200px-Cropped_rte.JPG

http://farm2.static.flickr.com/1180/574376498_7bf6206952_o.jpg

http://www.asbarez.com/wp-content/uploads/2010/01/erdogan-putin.jpg

http://www.lettera22.it/gif/articoli/10733.gif

http://www.huffingtonpost.com/huff-wires/20090130/eu-turkey-israel/images/2e762897-39a0-41a0-9ff8-7d1d65a425c8.jpg

http://nationalpride.files.wordpress.com/2009/11/erdogan_ahmadinejad.jpg

Anton Hanga
22-02-10, 23:10
Quest'uomo sta diventando sempre piu' un vero punto di riferimento ogni giorno che passa, la Turchia grazie a lui si e' allineata alle altre potenze eurasiatiche Iran e Russia in testa. :chefico:

Spetaktor
23-02-10, 20:21
e intanto...ad orologeria:

Turchia: lancia una scarpa contro Erdogan, arrestato aggressore a Siviglia


Siviglia, 23 feb. - (Adnkronos/Dpa) - Un curdo siriano e' stato arrestato in Spagna per aver lanciato una scarpa contro il premier turco Recep Tayyip Erdogan. Erdogan stava salendo in automobile dopo aver lasciato la sede del municipio di Siviglia - dove era stato insignito di un premio per il suo impegno nel settore della cooperazione culturale - quando e' stato aggredito. Il 27enne, poi arrestato, ha lanciato la scarpa, che ha colpito la macchina, urlando 'Kurdistan'.

Boris
12-05-10, 11:13
Erdogan mi sembra un politico molto pragmatico e intelligente: ha compreso perfettamente quali sono i reali interessi della Turchia, cercando di mediare tra l'alleanza con la Russia, guardando al mondo arabo con rinnovato spirito di collaborazione e all'Iran con estrema attenzione. Non sbava necessariamente troppo dietro all'Europa nè insiste troppo a fare da bastione della NATO in funzione anti-islamica pro-americana. Insomma mi sembra davvero uno concreto come ha dimostrato chiaramente prendendo le distanze dall'ex alleato Israele. Ci sono ottime ragioni per sostenere il nuovo corso della Turchia.
Una domanda: esistono in circolazione, anche in inglese o altre lingue europee (francese/spagnolo/tedesco), dei testi validi , una biografia seria o scritti di Erdogan?

Lucio Vero
12-05-10, 14:42
Erdogan mi sembra un politico molto pragmatico e intelligente: ha compreso perfettamente quali sono i reali interessi della Turchia, cercando di mediare tra l'alleanza con la Russia, guardando al mondo arabo con rinnovato spirito di collaborazione e all'Iran con estrema attenzione. Non sbava necessariamente troppo dietro all'Europa nè insiste troppo a fare da bastione della NATO in funzione anti-islamica pro-americana. Insomma mi sembra davvero uno concreto come ha dimostrato chiaramente prendendo le distanze dall'ex alleato Israele. Ci sono ottime ragioni per sostenere il nuovo corso della Turchia.

Esatto. Come faceva notare Gaudenzi a Braccio su Rinascita, bisogna vedere se la Turchia uscirà dalla Nato esattamente come fece la Francia negli anni 60. Ma la vedo dura. E poi ci sono altre due questioni che mi lasciano perplesso sulla Turchia, ma per il resto ho una buona considerazione del presidente Recep Tayyip Erdogan.

taliban
12-05-10, 14:45
Razzialmente è un mediterraneo dolicocefalo orientalide,di alpogruppo j-2(di razza bianca).

culturalmente è un devoto musulmano che vuole fare della turchia una grande potenza islamica capace di catalizzare le masse musulmane del mondo ed eventulmente schiavizzarle.

VIVA ERDOGAN! :gluglu::gluglu:

Spetaktor
12-05-10, 19:45
Esatto. Come faceva notare Gaudenzi a Braccio su Rinascita, bisogna vedere se la Turchia uscirà dalla Nato esattamente come fece la Francia negli anni 60. Ma la vedo dura. E poi ci sono altre due questioni che mi lasciano perplesso sulla Turchia, ma per il resto ho una buona considerazione del presidente Recep Tayyip Erdogan.

Però Gaudenzi mi sembra un po visionario in queste pretese.
Pensare di confrontare la Turchia attuale (in cui la componente laica ataturkista, che a Gaudenzi non dispiace affato, è filo-atlantica e molto, ma molto, forte) con la Francia della democrazia autoritaria di De Gaulle, i cui poteri erano più forti di quelli di Putin nella Russia attuale, per intenderci.

Anton Hanga
12-05-10, 21:28
Però Gaudenzi mi sembra un po visionario in queste pretese.

Specialmente perche' Gaudenzi (da filo-Ataturk) accusa la Turchia di essere un cavallo di troia e non vede che l'Italia e' un cavallo di troia ben peggiore da tutti i punti di vista rispetto alla Turchia. Siamo secondi solo alla Gran Bretagna per filosionismo e filoamericanismo diffusi, non solo come classe politica ma anche come popolazione americanizzata e rincoglionita. La Turchia almeno ha una popolazione che in gran parte e' antiamericana e antisionista e un governo che ultimamente ha fato solo cose positive (tra cui miglioramento dei rapporti con Grecia e Armenia) pur restando nella NATO. Erdogan ha preso ufficialmente posizioni talmente antisioniste che nessun leader europeo ha mai nemmeno pensato negli ultimi 60 anni. Resta solo il "problemino" che l'esercito e la magistratura sono ancora in mano ai kemalisti e quindi la spada di damocle incombe ancora su Erdogan.

Lucio Vero
06-06-10, 21:06
Recep Tayyp Erdogan, dopo aver affermato che si impegnerà in prima persona per forzare il blocco di Gaza - dimostrando comunione di intenti con il leader della Repubblica Islamica dell'Iran - è stato soprannominato sprezzantemente "Ahmadinejad 2" dal TG2. La Turchia è il nuovo Stato canaglia, Ergenekon permettendo...

Canaglia
06-06-10, 21:13
Recep Tayyp Erdogan, dopo aver affermato che si impegnerà in prima persona per forzare il blocco di Gaza - dimostrando comunione di intenti con il leader della Repubblica Islamica dell'Iran - è stato soprannominato sprezzantemente "Ahmadinejad 2" dal TG2. La Turchia è il nuovo Stato canaglia, Ergenekon permettendo...

Importante: l'ha detto il conduttore o il corrispondente in loco (il famigerato Claudio Pagliara)?

Lucio Vero
06-06-10, 21:28
Importante: l'ha detto il conduttore o il corrispondente in loco (il famigerato Claudio Pagliara)?

Era un servizio sulla situazione nel Medio Oriente. Di più nin zò...

Canaglia
06-06-10, 21:30
Era un servizio sulla situazione nel Medio Oriente. Di più nin zò...

Allora era il solito Pagliara

Spetaktor
06-06-10, 22:05
Il presidente iraniano atteso in Turchia


Come riferito da Farsnews, il presidente iraniano sarà a Istanbul nei prossimi giorni per partecipare a una conferenza internazionale sulle misure di stabilizzazione per l'Asia. All'incontro, oltre a Mahmoud Ahmadinejad e diversi altri leader del continente, saranno presenti anche i vertici turchi, nonchè il premier russo Vladimir Putin.


Redazione Italiana (http://italian.irib.ir/)

Spetaktor
07-06-10, 23:10
L’ascesa continua della Turchia

In quest’articolo, Selcuk Gültaşlı, attraverso un rapido monitoraggio degli umori dell’opinione pubblica turca ed internazionale, riepiloga il nuovo corso della politica estera della Turchia, analizzata anche nello speciale del quotidiano il Foglio, del 6 novembre 2009, intitolato: ”Stiamo perdendo la Turchia” Stiamo perdendo la Turchia - [ Il Foglio.it › La giornata ] (http://www.ilfoglio.it/soloqui/3797), conseguente al suo recente spostamento verso l’asse eurasiatico, dopo l’accordo South Stream stipulato con la Russia, di cui l’Italia è stata co-protagonista. Così come al suo recente accostamento al potente vicino iraniano. Gültaşlı commenta l’approccio delle più importanti testate giornalistiche americane, come il Wall Street Journal e il New York Times, in cui rispettivamente il primo paventa l’uscita dalla NATO da parte della Turchia, mentre il secondo ne esalta l’attivismo. Si pone la questione inerente alla “messa a punto” di una definizione precisa, da parte del governo, di una politica estera in linea con valori condivisibili.



Titolo originale: 'Türkiye'nin yükselişi ve yükselişi'





di Selcuk Gültaşlı


Yazarlar - SELÇUK GÜLTAÞLI - 'Türkiye'nin yükseliþi ve yükseliþi' (http://www.zaman.com.tr/yazar.do?yazino=913435&title=turkiyenin-yukselisi-ve-yukselisi)







Le testate giornalistiche dei quattro angoli del mondo hanno recentemente pubblicato una serie di articoli riguardanti la Turchia che vertono su un’unica questione: Che cosa voglia fare la Turchia della sua politica estera.

Tuttavia, perfino esperti molto avvezzi ad analizzare la politica estera turca si trovano in difficoltà. Da una parte abbiamo i protocolli sottoscritti con l’Armenia e dall’altra accordi di “consiglio comune” con il premier greco. Aperture di riappacificazione con i curdi di casa, concomitanti a negoziati con il Governo regionale del Kurdistan iracheno; da cui emerge il quadro di una Turchia che organizza riunioni di consigli di gabinetto comuni, toglie il visto d’ingresso con la Siria, definisce progetti di nuove pipeline con la Russia, annulla le esercitazioni militari con Israele, infischiandosene delle reazioni degli Stati Uniti e dell’Unione Europea e che, al contempo, si fa carico delle difese dell’Iran ponendosi contro l’Occidente.

Oggi il mondo festeggia la caduta del muro di Berlino, ovvero il ventesimo anniversario della fine della guerra fredda ed è alla ricerca di un tentativo per sintonizzare la propria sensibilità con quella degli Stati Uniti, evitando di urtare troppo la loro politica estera già posta all’indice.

E, mentre l’Occidente cerca di interpretare e definire la nuova politica estera della Turchia, anche la Turchia si sforza di sintonizzarsi su una propria definizione precisa, ovvero su una “messa a punto”del concetto.

Quanto ad Erdoğan, credo di intuire a cosa si riferisca quando si proclama garante dell’Iraq e “amico” di Ahmadinejad. Non gli si può dar torto allorché denuncia l’arroganza dell’Occidente nei confronti dell’Iran, continuamente minacciato di attacchi preventivi senza che ci sia la minima conferma della sua produzione di armi nucleari, mentre sugli armamenti nucleari di Israele non si proferisce parola.

Tuttavia, il fatto di enfatizzare l’eterogeneità di fini dell’Occidente, rendendosi al contempo garante del binomio Khamanei-Ahmadinejad, che inganna il proprio popolo con l’aggravante di essere coinvolto nei brogli elettorali del 12 giugno scorso, dimostra che una definizione esatta di “messa a punto” non sia stata formulata.

D’altra parte, sia gli analisti occidentali che quelli orientali, entrambi fiduciosi in una pronta soluzione delle questioni di “messa a punto”, concordano nel ritenere che la Turchia rappresenti la forza emergente della regione. Tant’è che mentre in Oriente si odono frasi del tipo: “Abbiamo maggior bisogno di leader come Erdoğan. I nostri capi di governo debbono prendere esempio da lui”, in Occidente emergono i due fronti.

Da una parte quelli difendono la necessità della Turchia di rimanere ancorata all’Occidente e di essere alleata di Israele, interpretano queste aperture come un’agenda segreta del partito AK, palesantesi in extremis ed asseriscono che il partito “islamista” AK allontani il paese dall’Occidente, che l’ordine laico si trovi in pericolo e che la Turchia debba nuovamente interrogarsi sulla propria partnership con la NATO. Ed altri che non nascondono l’urgenza di un nuovo intervento dell’esercito nella politica (WSJ- David Schenker, 5 novembre 2009).

Dall’altra i rispettabili europei, noncuranti della questione inerente alla “messa a punto” di una definizione, che esaltano i rapidi successi della politica estera turca nella regione, scevra degli errori dell’Occidente, che, agendo come un soft power, conduce operazioni chirurgiche in una situazione conflittuale “congelata”.

Ad esempio quest’articolo preso a prestito da un giornale inglese esordisce scrivendo: “La continua ascesa della Turchia”. “Una Turchia emergente che in Medio Oriente sta riscrivendo le regole dei giochi di potere in una maniera positiva e non aggressiva. Questa è una delle poche situazioni intelligenti in un Medio Oriente turbolento e sempre pronto ad infiammarsi. (NYT-Patrick Seale- 4 Novembre 2009)”.

Da parte nostra auspichiamo che la determinazione della “continua ascesa della Turchia” che ispira titoli del tipo: “Ascesa e crollo dei grandi poteri”, non sacrifichi la questione della “messa a punto” di una definizione.

Osservatorio geopolitico (http://www.vxp.it/index.php?option=com_content&view=category&layout=blog&id=57&Itemid=85&limitstart=10)

Orwell
08-06-10, 09:41
Quello che la Turchia voglia fare nei confronti dell'Europa e della Nato, soprattutto riguardo la sua collocazione geopolitica, è di estremo interesse. Questo tema è di estrema attualità oggi, data la situazione di crisi finanziaria occidentale ed europea in particolare. La Turchia potrebbe in futuro perdere interesse ad entrare in Europa.
Riguardo la collocazione geopolitica della Turchia, il discorso è molto più complicato, dato che al suo interno convivono anime e tendenze molto diverse e per certi versi contrapposte.
E' da auspicare però una decisa adesione turca all'area di influenza russa per svincolarsi dalle briglie atlantiche.

Spetaktor
09-06-10, 14:48
Turchia: Google paghi le tasse


Presentata una richiesta di 15 milioni di euro di arretrati



(ANSA) - ANKARA, 9 GIU - Il ministro delle Comunicazioni turco Yildirim ha esortato Google Inc. a registrare il proprio nome nelle liste dei contribuenti in Turchia. Questo passo - ha detto il ministro - potrebbe accelerare la rimozione della messa al bando decretata un paio d'anni fa sul sito Youtube, per aver pubblicato video ritenuti offensivi su Kemal Ataturk, il fondatore della Turchia moderna. Il ministero delle Finanze ha presentato a Google una richiesta di 15 milioni di euro di tasse arretrate.

Spetaktor
18-06-10, 12:00
Recep Tayyip Erdogan: mai stato uno "Yes man"
di Sami Moubayed - 17/06/2010

Fonte: Come Don Chisciotte [scheda fonte]




Nella sua autobiografia "In cerca di un'identità" Anwar Sadat ricorda che, quando era un bambino povero di un villagio sperduto, era solito recarsi nella Cairo cosmopolita e si intrufolava nei giardini reali nelle ore notturne, con il solo risultato di essere percosso dalle guardie del Re. Non avrebbe mai immaginato che un giorno avrebbe varcato le porte di quel palazzo per incontrare il re Farouk I in veste di ufficiale dell'esercito egiziano. Non avrebbe mai immaginato, nemmeno nelle sue più sfrenate fantasie, che un giorno avrebbe oltrepassato quelle stesse porte per sedersi proprio sul trono regale, in seguito alla sua elezione presidenziale del 1970.

Il gioco del fato è invero strano, come lo statista britannico Winston Churchill ebbe una volta a descriverlo: "E' un errore guardare troppo innanzi. Si può solo considerare un anello della catena del destino alla volta".

Nel corso dell'ultima settimana, i media dei paesi arabi e musulmani hanno sviscerato in lungo e in largo gli anni della gioventù del primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan. Quando era un giovane venditore ambulante di torte, meloni e limonate nelle strade di Istanbul durante le vacanze estive, non avrebbe mai immaginato che un giorno sarebbe diventato premier.

Crescendo negli anni '60, non avrebbe mai immaginato che sarebbe assurto a leader pan-musulmano, risvegliando simpatie filo-turche che erano state sopite dalla caduta dell'Impero Ottomano, ormai novantadue anni fa.

La famosa televisione saudita Al-Arabiya sostiene in una recente biografia pubblicata sul proprio sito che: "Nella storia recente, solo Erdogan e la diva egiziana Um Kalthoum (morta trentacinque anni fa) sono stati in grado di conquistare le menti e i cuori degli arabi e dei musulmani". Se questo parallelo fosse stato tracciato dieci anni fa, il nome accostato a Um Kalthoum sarebbe stato quello dell'ex presidente egiziano Gamal Abdul Nasser, il "padrino" del mondo arabo moderno. Un uomo di nazionalità turca, con istanze islamiche e che non parla una parola di arabo sarebbe stato decisamente lontano dall'essere all'altezza.

A gennaio, come riconoscimento di quanto stesse diventando popolare, la Saudi King Faisal Foundation lo ha onorato del King Faisal International Prize per il "servigio all'Islam". Ad aprile, la rivista Time lo ha collocato, per la seconda volta, tra le cento persone più influenti al mondo. Prestando attenzione all'intera carriera di Erdogan, risulta evidente che abbia lavorato duramente, ma è probabile che abbia guadagnato la sua popolarità nel mondo arabo e musulmano in modo fortuito.

Il primo marzo 2003, due settimane prima che Erdogan si insediasse come primo ministro, Ankara, guidata dal suo partito AKP, pose il veto su una proposta che autorizzava gli USA ad utilizzare il territorio turco per aprire da nord un secondo fronte con l'Iraq, per rovesciare Saddam Hussein. Questo gli permise di iniziare a conquistare consensi tra arabi e musulmani in genere. Due anni dopo, nel marzo del 2005, l'allora segretario della Difesa statunitense Donald Rumsfeld affidò un amaro sfogo alla Fox News: "Ovviamente se avessimo potuto far entrare la 4 divisione di fanteria da nord, attraverso la Turchia, saremmo riusciti a neutralizzare e catturare parti più consistenti del regime Ba'athista di Saddam Hussein. Se la Turchia avesse cooperato maggiormente, la resistenza (in Iraq) oggi sarebbe minore".

La frustrazione di Rumsfeld, al di là delle sue intenzioni, contribuì ad appuntare al petto di Erdogan un'altra medaglia d'onore agli occhi di milioni di arabi. Lo stesso anno, Erdogan, rifiutò di accettare i diktat statunitensi, rafforzando le relazioni con la Siria in un periodo in cui i rapporti con Damasco e l'amministrazione Bush si stavano inacidendo, e divenne un ospite fisso nella capitale siriana.

Erdogan disobbedì nuovamente agli Stati Uniti ricevendo Khalid Meshaal, il capo dell'ufficio politico di Hamas, dopo che il movimento palestinese emerse vittorioso dalle elezioni del 2005. Inoltre rifiutò un invito da parte dell'ex primo ministro Ariel Sharon a visitare Israele, attirandosi nuovamente le ire americane, e non incontrò Ehud Olmert quando costui visitò la Turchia nel luglio 2004 in qualità di ministro del Lavoro e del Turismo.

Erdogan prese posizione per i palestinesi durante la guerra di Gaza del 2008, accusando Israele di commettere crimini di guerra. Rivolgendosi a Shimon Peres nel corso del Forum Economico Mondiale di Davos a gennaio 2009 disse al presidente israeliano: "Presidente Peres, lei è vecchio e nella sua voce echeggia una coscienza sporca. Quando si tratta di uccidere, lei sa benissimo come uccidere. So fin troppo bene come voi colpite e uccidete bambini lungo le spiagge". Questa singola frase lo proiettò di colpo nell'olimpo della fama nel mondo arabo e musulmano, e nelle maggiori capitali dei paesi arabi iniziarono a spuntare sue foto. Ma la sua sfuriata in Svizzera è nulla in confronto alle parole rabbiose della settimana scorsa, dopo che l'esercito israeliano (IDF) ha attaccato la Freedom Flotilla al largo delle coste di Gaza, uccidendo nove cittadini turchi a bordo della nave turca Mavi Marmara.

Il mondo arabo è insorto in difesa del primo ministro turco, che ha ritirato con acrimonia il proprio ambasciatore in Israele, facendo sì che la propria bandiera fosse sventolata dai manifestanti delle imponenti proteste che hanno attraversato le vie di Damasco, Baghdad, Beirut e Il Cairo.

"L'amicizia della Turchia è forte, ma che tutti sappiano che anche la nostra ostilità è forte". Ha detto Erdogan di fronte al parlamento turco. "La comunità internazionale deve dire a Israele che la misura è colma! La traversata della Freedom Flottilla è legale; l'aggressione di Israele contro la flottiglia è un'aggressione all'ONU. Israele deve pagare il prezzo per quanto compiuto...Israele non può sciacquarsi le mani del crimine che ha perpetrato nel Mediterraneo. Un paese che sfida la rabbia del mondo intero non potrà mai conquistare la propria sicurezza; Israele sta disperdendo ad uno ad uno i tasselli della pace". Ha poi aggiunto: "Israele non dovrebbe guardare nessuno al mondo prima di aver chiesto scusa ed essere stato punito per i suoi crimini. Ne abbiamo abbastanza delle menzogne di Israele. Le azioni del governo israeliano danneggiano il loro stesso paese prima degli altri".

Dopodichè gli arabi lo hanno festeggiato quasi attoniti quando ha fatto trapelare che potrebbe imbarcarsi in prima persona alla volta di Gaza, per forzare l'assedio isrealiano che perdura dal 2007. Lo farebbe facendosi scortare dalla marina turca, cosicchè l'IDF si ritroverebbe impotente mentre lui si dirige verso la striscia di Gaza.

Erdogan è nel suo momento di maggior successo nel mondo arabo e in quello musulmano, grazie a parole decise accompagnate ad azioni altrettanto decise. All'inizio dell'anno, ha obbligato il governo israeliano a scusarsi per aver umiliato l'ambasciatore turco in Israele, inducendo i media arabi ad esclamare: "Israele capisce solo il Turco".

Il mese passato ha dato il via ad un accordo sullo scambio di uranio con Brasile e Iran, il quale, se fosse stato immediatamente accettato dalla comunità internazionale, avrebbe risparmiato all'Iran il fardello di un quarto round di sanzioni che stanno per essere discusse all'ONU mercoledì prossimo. Sotto l'egida del ministro degli esteri Ahmet Davutoglu, la Turchia ha dismesso la sua immagine risalente alla guerra fredda di mera appendice occidentale, rivendicando allo stesso tempo il proprio desiderio di essere un membro a tutti gli effetti dell'Unione Europea entro il 2014. Se entrasse, l'UE confinerebbe con l'Iran e assisterebbe ad un incremento a sei zeri della propria popolazione musulmana. Mirando a "Non aver alcun problema con i vicini" Ankara ha messo in atto accordi di libera circolazione senza visti con Libano, Giordania, Libia e Siria mentre sta per aver effetto quello stipulato con la Russia. Come ha notato Al-Arabiya: "Da un giorno agll'altro egli (Erdogan) è diventato la persona più amata nel mondo arabo mentre Iran, USA e i paesi europei si sforzavano di ottenere quello che lui ha conquistato in un lampo".

Forse sono state l'eloquenza e la forte opposizione a Israele che hanno portato Erdogan nell'empireo del mondo arabo. O forse è stata la sua devozione, dato che è un devoto musulmano la cui moglie indossa un foulard intorno alla testa, come milioni di donne musulmane in tutto il mondo. Negli anni '90, fu estromesso dagli uffici governativi per aver recitato pubblicamente una poesia che sfidava il riverito secolarismo turco con queste parole: "Le moschee sono le nostre caserme, le cupole i nostri elmetti, i minareti le nostre baionette e i fedeli i nostri soldati"

O magari si tratta del suo umile retroterra, figlio di un guardacoste, ha avuto un'educazione dura poichè la sua famiglia era povera, Erdogan eccelleva alla scuola islamica prima di ottenere una laurea in Amministrazione all'Università di Marmara, mentre giocava a calcio a livello professionistico. La sua scalata non è stata scorrevole, nel 1978 e nel 1991, non è riuscito ad essere eletto in parlamento con una coalizione islamica. La vera ragione ad ogni modo è che ha detto "No" a Israele e si è schierato con convinzione con i palestinesi. Questa è una sorta di panacea in Medio Oriente, che non ha mai fallito sin dalla nascita di Israele nel 1948.

Ha fatto meraviglie per le carriere dell'egiziano Nasser, il siriano Hafez al-Assad e l'ex presidente Yasser Arafat. E' anche la ragione del perchè Hassan Nasrallah di Hezbollah è così popolare nelle strade dei paesi arabi e musulmani, e perché leader arabi che hanno negoziato accordi di pace con Israele come il presidente egiziano Hosni Mubarak non lo sono.

Chiunque sappia quanto è stata invisa la Turchia nel mondo arabo durante tutto il ventesimo secolo, grazie al sistematico indottrinamento contro l'Impero Ottomano e con l'alleanza della stessa Turchia con Israele dopo il '48, può comprendere quanto siano stati significativi i traguardi raggiunti da Erdogan negli ultimi sette anni.

Ha dato nuovo lustro alla Turchia, all'intera eredità ottomana, e ha plasmato un nuovo tipo di leadership che combina tratti di Nasser, Nasrallah e Assad. Questo è il motivo per il quale vale la pena osservare il fenomeno Erdogan mentre si sviluppa la sua carriera e acquisisce il carisma, lo stile e l'indole del talentuoso e polivalente leader che è già diventato.

Titolo originale: "Turkey's Erdogan: Never a 'yes' man"

Fonte: Asia Times Online :: Asian news hub providing the latest news and analysis from Asia (http://www.atimes.com)


Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di PIETRO CARRILE

Anton Hanga
18-06-10, 12:41
Pulsa Denura contro Erdogan
Maurizio Blondet

11 Giugno 2010



Israele ha già mobilitato i suoi assassini professionali per un «cambio di regime» ad Ankara. Esiterei a fare questa affermazione se non la trovassi, nero su bianco, non su un’agenzia di fanatici islamici, bensì sul Giornale berlusconiano. Ecco le frasi dove si plaude, e si dà per scontato, il coinvolgimento del Mossad in sanguinosi atti eversivi all’interno della Turchia:
«... la Turchia rischia di ritrovarsi al centro di un conflitto politico e militare devastante senza aver avuto il tempo di mettere a segno la mossa principale della propria strategia, ovvero il controllo di Hamas (sic). E anche sul fronte interno lo scontro con il Mossad - sempre vicinissimo ai guerriglieri curdi - rischia di rivelarsi devastante. Molti in Turchia hanno già notato come l’assalto alla flotta pacifista sia stato accompagnato dall’inattesa esplosione di un bomba curda costata la vita a sette militari di una base di Iskenderun. Quell’attentato sospetto potrebbe, secondo alcune voci, portare allo sfratto degli uomini del Mossad da un’importante base segreta al confine con l’Iran considerata strategica per monitorare le mosse del nemico». (Gli 007 turchi dietro la provocazione dei «pacifisti»)

Il Mossad dunque, per deliziata ammissione del Giornale, manovra i terroristi curdi. L’attentato del PKK cui si fa riferimento è avvenuto nella notte del 31 maggio a Iskenderun (Alessandretta), dove ha stanza la Marina Militare turca: ignoti hanno lanciato sette razzi che hanno ucciso sette militari, appena due ore prima che i commandos israeliani arrembassero la Mavi Marmara in acque internazionali facendo strage dei passaggeri.

La successione degli eventi porta a credere che il primo attentato «curdo» sia stato messo a segno per ostacolare o impedire un possibile intervento della Marina turca a difesa della sua nave mercantile assaltata.


Gian Micalessin
Naturalmente, questo collegamento verrà bollato da Fiamma Frankenstein come «complottismo antisemita»: il fatto è che lo dice il Giornale dove delira la Frankenstein, e l’articolo è firmato quel tal Micalessin – uno che quando lo conobbi era neofascista, ed ha trovato la sua strada, facendo il fascista per un’altra patria. Una volta, tali neofascisti vedevano il conflitto in Medio Oriente come la lotta del «sangue contro l'oro»: adesso sappiamo che Micalessin sta dalla parte dell’oro.

Infatti, il Micalessin praticamente ha copiato un comunicato-stampa (evidentemente diffuso anche al Foglio e a Libero) degli uffici di sovversione israeliani. Vi si legge infatti il rabbioso sospetto con cui l’intelligence sionista ha accolto la nomina di Hakan Fidan a capo del servizi segreti turchi MIT (Milli Istihbarat Teskilati).

Chi è mai costui?, si domanderanno i lettori del Gironale, visto che di Hakan Fidan il loro foglio non ha mai parlato. Micalessin, leggendo dal dossier del Mossad, li informa che Fidan è «il 42 enne fedelissimo di Erdogan», e che è «oggi l’uomo più controllato dal Mossad» da quando «un anno fa, ha assunto la carica di vicedirettore dell’ufficio del premier. Da allora Fidan è stato l’indiscusso protagonista delle aperture all’Iran culminate nella mediazione condotta con il Brasile per evitare a Teheran nuove sanzioni e consentirgli di arricchire il suo uranio sul territorio turco».

Ecco la colpa di Fidan: aver tentato, col governo brasiliano, di risolvere la questione del nucleare iraniano, che ovviamente Israele non vuol risolvere perché vuole aggredire l’Iran.


Hakan Fidan
Ma le rivelazioni del Micalessin non finiscono qui. Sempre fedele al testo datogli dal Mossad, ci spiega che «la nomina di Fidan ha innanzitutto una valenza interna. Affidandogli la macchina di un intelligence nazionale che in Turchia concentra le funzioni di Difesa interna ed esterna Erdogan strappa alla nomenclatura laica un assetto strategico per il controllo del Paese e toglie ai generali meno fedeli un canale di collegamento diretto con Israele e con i servizi segreti della NATO».

Si può essere più chiari? Quando si parla di «nomenklatura laica»e di generali turchi «in diretto collegamento con Israele», manca solo la parola che li definisce in Turchia: dunmeh, i cripto-giudei che dalla «rivoluzione di Ataturk» in poi, hanno compiuto quattro colpi di Stato, applauditissimi dai media europei e americani in quanto «garantivano la laicità della nazione» – un plauso che purtroppo sembra essere mancato quando il colpo di Stato l’ha fatto in Cile il generale Pinochet. Ma Pinochet, contrariamente a Mustafà Kemal detto «Padre dei Turchi», non pregava intonando lo «Shemà Ysrael».

Da mesi il governo Erdogan sta smantellando questa storica quinta colonna «laica» nell’esercito, dimostrando che stava tramando il quinto golpe attraverso l’organizzazione segreta Ergenekon, la Gladio turca, che era collegata alla NATO come Gladio in Italia. Ad ogni arresto di gallonati dunmeh, la rabbia del regime sionista dev’essere salita agli occhi. Adesso, con la nomina di Fidan, Erdogan ha accecato gli israeliani del loro apparato di spionaggio infiltrato in Turchia.

E’ la rabbia totale, e infatti Micalessin ci dice che Fidan «è l’uomo più controllato dal Mossad»: ossia che sono già stati sguinzagliati i kidonim, gli assassini di Stato, per eliminarlo.

Da ventriloquo di Israele, Micalessin ci dice che Erdogan, nominando Fidan, ha commesso «un azzardo forse sottovalutato». I motivi esposti nel pezzo sono pura propaganda e disinformazione sionista. Secondo il mossadiano italiota, Fidan, «rilanciando la politica di aiuti a Gaza e la protesta contro l’embargo il capo dell’intelligence, puntava – d’intesa con Erdogan e il ministro degli Esteri Ahmed Davutoglu – a restituire alla Turchia l’antico ruolo di potenza regionale e strappare Hamas dall’abbraccio con Teheran».

L’abbraccio di Teheran ad Hamas è una menzogna di cui non c’è alcuna prova, inverosimile fattualmente – se Israele non lascia entrare a Gaza nemmeno i quaderni di scuola come potrebbero entrare emissari di Teheran e i loro fantomatici «armamenti ad Hamas», non si spiega – e tuttavia sinistramente ripetuta ai livelli ufficiali: il nostro ministro degli Esteri Frattini (o per meglio dire, il loro) ha dichiarato senza vergogna che «Gaza è l’avamposto dell’Iran». Il che non è solo servilismo spudorato, visto che a Gaza un milione e mezzo di persone messe alla fame dai giudei sono accampate sulle macerie dei bombardamenti israeliani; mancano di tutto, sono private di contatti col mondo e di soccorsi, e proprio la mancata resistenza all’operazione genocida Piombo Fuso ha dimostrato che Hamas non ha un armamento di qualche significato.

C’è qualcosa di peggio nella frase di Frattinistein: quando si comincia a dire a livello governativo che Gaza è l’avamposto dell’Iran, si auspica e si giustifica preventivamente il prossimo genocidio contro i palestinesi prigionieri del lager.

Ma riprendiamo il discorso del Micalessin: dunque, il governo turco non ha cercato di rompere l’assedio della fame a Gaza per motivi umanitari e a difesa dei diritti umani sanciti dall’ONU, bensì per «regalare ad Erdogan l’indiscusso ruolo di Gran Vizir regionale» e soprattutto «strappare Hamas dall’abbraccio con Teheran»: qui la disinformazione rivela il suo scopo, in fondo ingenuo nella sua rozzezza: il tentativo di rappresentare una specie di rivalità tra Teheran e Ankara, che sarebbero sì «alleati», ma in concorrenza reale per il controllo dei «terroristi nel Mediterraneo» (e Micalessin non parla degli israeliani). Ma, dice il Micalessin neofascista per conto terzi, «il regime di Teheran, spregiudicato e spietato come nessun altro quando è in ballo il controllo del Medio Oriente, risponde alle mosse turche con un’iniziativa che rischia di trascinare la regione sull’orlo di una nuova guerra. Una guerra in cui l’Iran sarebbe – grazie agli alleati libanesi di Hezbollah – la vera potenza egemone».

La mossa spietata dell’Iran sarebbe l’annuncio di Ahmadinejad di voler partecipare alla prossima flottiglia della pace per rompere l’assedio a Gaza, magari con navi da guerra iraniane: asserzione di nessuna consistenza, visto che è difficile anche solo immaginare che Teheran possa inviare un gommone militare nel Mediteraneo, dove regna la Sesta Flotta USA e fa la guardia il piccolo ma armatissimo padrone degli americani. Non c’è, e non ci sarà mai, una flotta militare iraniana nel Mediterraneo; tanto meno in competizione con Ankara, che controlla l’entrata, ossia il Bosforo. Questo è puro delirio, stile Nirenstein e Ferrara (o Frattini).

Ma è un delirio molto lucido, dietro al quale c’è una minaccia diretta ad Erdogan: la frase di Ahmadinejad è «un’iniziativa che rischia di trascinare la regione sull’orlo di una nuova guerra. Una guerra in cui l’Iran sarebbe – grazie agli alleati libanesi di Hezbollah – la vera potenza egemone. Una guerra in cui il governo di Erdogan dovrebbe invece far i conti con l’aperta avversione di molti generali ancora fedeli alla NATO e a una visione laica dello Stato».

Insomma, Micalessin recapita il messaggio di Netanyahu come un buon postino: Attento Erdogan, Israele è pronta alla guerra contro di te. E non è solo armata con 2-300 testate nucleari, non solo è protetta da Washington, ma ha anche il controllo dei tuoi generali, quei generali turchi che rifiuteranno l’obbedienza al governo, e che ti sostituiranno con il loro quinto colpo di Stato.





Israelis demonstrate in support of Israel waves flags and hold a picture of Turkish Prime Minister Recep Tayyip Erdogan as Hitler in front of the Turkish embassy in Tel Aviv, Israel, Thursday, June 3, 2010


Ovvia minaccia per il Quarto Reich israelita che – come il Terzo – è convinto che la sola diplomazia efficace consista nell’aggressione bellica. Ma è un’ingenuità sanguinaria ed un errore, che in politica è peggio del delitto. Perchè tutto il passato di Erdogan (che fu incarcerato dai laici militari turchi) testimonia la sua abilità e accortezza politica: certamente non si farà trascinare in una guerra, ed ha dalla sua un’arma che Israele non sa usare e che ha schifato per troppo tempo.

L’arma di Erdogan è, anzitutto, il diritto, l’adesione ai trattati che Israele ha patentemente violato. In base al tratatto fondativo della NATO, articolo 5, i membri dell’alleanza sono obbligati a considerare l’attacco armato ad uno come diretto a tutti loro. Ankara, dopo l’aggressione israeliana al mercantile turco, poteva apertamente esigere l’applicazione dell’articolo 5, mettendo in grande imbarazzo Washington, le capitali europee e i ministri israeliani lì insediati, a cominciare da Frattini.


Anders Fogh Rasmussen
Erdogan non l’ha fatto. Non apertamente, almeno. Ma è vero che alla NATO è stata indetta una lunga e probabilmente penosa seduta a porte chiuse, al termine della quale il segretario generale Anders Fogh Rasmussen è uscito leggendo un brevissimo e secchissimo comunicato, distillato nella riunione: «Esigo la liberazione immediata dei civili e delle navi trattenuti da Israele», insomma dei 700 pacifisti che gli israeliani stavano torturando e rapinando con gran gusto.

Tempo 24 ore, Israele ha dovuto liberare i detenuti di 60 nazioni: obbedendo alle pressioni riservate ma allarmatissime di Washington, anche perché Erdogan aveva fatto sapere ad Obama che sulla prossima flottiglia della pace si sarebbe imbarcato lui di persona, naturalmente con la scorta della marina da guerra nazionale.

A questo punto, gli USA hanno dovuto fare ciò che non vogliono (premere sui lobbisti ebrei che controllano il Congresso) per salvare la NATO. Erdogan è riuscito a giocare l’Alleanza Atlantica e le sue regole scritte contro gli interessi USA-Israeliani, è la prima volta in mezzo secolo. Non è certo un caso se Obama e il suo governo col piede nella fossa abbiano ritrovato il coraggio di dire ad alta voce che Israele deve togliere l’assedio della fame a Gaza. Erdogan ha fatto toccare con mano all’Amministrazione quel che sostenevano Walt e Mearsheimer: che la posizione di totale appoggio ad Israele contrasta con gli interessi strategici profondi degli Stati Uniti, e li danneggia.

Frattanto il tribunale di Istanbul-Bakirkoi hanno aperto un’inchiesta sul massacro della Mavi Marmara, ordinando le autopsie delle vittime; e la violazione del diritto da parte israeliana è così evidente, che la giustizia turca non farà fatica ad elevare l’accusa di pluri-omicidio, pirateria, sequestro arbitrario di navi in acque internazionali contro Netanyahu, il suo ministro della Guerra Ehud Barak e il capo dei militari Gabi Askenazi. Una volta comprovate le accuse – non è certo difficile – i tre compari sionisti dovranno evitare di sbarcare in Turchia o in altro Paesi che ne accetteranno le risultanze giudiziarie, e per di più – con la sentenza di un tribunale nazionale – i tre compari sono stati messi sullo scivolo che può farli finire incriminati da un tribunale internazionale.

Non avverrà, perché USA, Gran Bretagna e i vari governi Frattini si opporranno: ma saranno loro a dover fare i salti mortali per negare l’evidenza della violazione del diritto da parte di Israele, con ciò dimostrando la loro bassezza morale: davanti al vasto mondo «non-occidentale», che guarda con giustificata irritazione alla politica dei due pesi-due misure per cui l’Occidente fa le prediche morali, e obbliga a sanzionare l’Iran, mentre assolve Israele per delitti peggiori e ben reali.

Ora, questo vasto mondo non-occidentale è un’entità che sta assumendo dimensioni alquanto preoccupanti per Usraele. Non c’è solo la Turchia, Paese musulmano ma avanzato, col secondo esercito della NATO (dopo gli USA), un’economia prospera e un prestigio internazionale che cresce di ora in ora, e mette nell’ombra i satelliti islamici di Usraele (a cominciare dall’Egitto e dall’Arabia Saudita).

Alla Conferenza di Ankara partecipano Cina, India, Iran, Giordania, Kazakhstan, Kyrgizistan, Mongolia, Uzbekistan, Pakistan, i palestinesi, la Thailandia, la Russia, la Corea, il Tagikistan: di fatto è una nuova configurazione dei «non allineati». Per di più, al vertice è comparso Vladimir Putin, che non era atteso, ed ha avuto colloqui a parte con il siriano Assad e con Ahmadinejad: probabilmente anche lui cerca una sponda contro la sezione filo-sionista rappresentata dal presidente Medvedev, proprio mentre Mosca, come membro permanente del Consiglio di Sicurezza ONU, ha votato a favore di nuove sanzioni all’Iran. (Putin joins Erdoğan, voices condemnation of Israeli ship raid)




Russian Prime Minister Vladimir Putin, left. shakes hands with Turkish Prime Minister Recep Tayyip Erdogan, right, after a press conference in Istanbul, Turkey, Tuesday, June 8, 2010


Gli israeliani invece erano attesi e non si sono visti: timore di essere arrestati.

Insomma, come cominciano a notare alcuni analisti americani, la Turchia di Erdogan sta diventando il punto di riferimento per una quantità di Paesi ben oltre il Medio Oriente, verso il Caucaso, l’Asia centrale e la Russia: ma anche in America Latina dove non più solo il Venezuela, ma il gigantesco Brasile ha tratto le conclusioni dall’arrogante silenzio americano ed europeo con cui è stata accolta l’iniziativa diplomatica di Brasilia ed Ankara verso l’Iran, un successo che la volontà israeliana ha voluto lasciar cadere nel disprezzo.

Sono Paesi che hanno buoni motivi per sentirsi perseguitati, danneggiati, strumentalizzati o spregiato dall’«ordine americano» e dalla sua doppia morale.

«Agli occidentali sfugge che il loro comportamento di dominatori, visto da Istanbul, da Brasilia e non solo, ha indotto alla seguente conclusione: l’Occidente non è più la condizione necessaria per la risoluzione del problema internazionale, ma parte del problema», ha scritto su Hurriyet l’analista Sehmi Idiz. E Michael Vlahos, docente di strategia all’US Naval War College, teme che Erdogan riesca là dove hanno fallito i sauditi, gli egiziani e gli altri aspiranti più ridicoli (tipo Gheddafi): nel diventare la «Guida ben Diretta» che restituirà «un’identità collettiva e uno scopo» al fratturato mondo islamico; cosa a cui del resto lo candida la rivendicata eredità ottomana. La quale significò non già una dittatura islamista accentratrice, ma un Commonwealth di nazioni e Stati governati con esperienza e larghe vedute: ed Erdogan ha ristabilito buoni rapporti con l’Armenia, e l’aggressione israeliana alla flottiglia della pace ha avvicinato alle posizioni turche la Grecia, un altro nemico storico dell’ottomanismo, ma che oggi ha ragione di situarsi tra i danneggiati e gli spregiati del Nuovo Ordine Unilaterale.

Sta nascendo insomma, dice Vlahos, una vasta realtà politica che «USA e Israele ostinatamente rifiutano di vedere».

Già questo solo fatto rende la vittoria diplomatica di Hillary Clinton – l’aver comprato con aperture commerciali il voto di Mosca (oltre a quello della Cina) per sanzioni più dure contro l’Iran – alquanto vuota di contenuto. Ahmadinejad non è apparso affatto isolato, ad Ankara. Tant’è vero che Washington punta ad ottenere sanzioni unilaterli più dure, «spontaneamente» messe in atto dagli europei contro Teheran. Questi eseguono infatti, come ci si attendeva da camerieri. Ma il ministro degli Esteri russo Lavrov ha personalmente avvertito la Clinton che la Russia si opporrà categoricamente a sanzioni aggiuntive oltre il quadro deciso all’ONU. Sono le basi per un antagonismo ed un rovesciamento di posizioni nel seno delle «potenze autorizzate» al Consiglio di Sicurezza.

Peggio se, come fa capire Micalessin, Israele vuol far sapere che ha guidato i militanti del PKK nell’eccidio dei marinai turchi a Iskenderun. La cosa era ben nota ad Ankara, perché il capo storico del PKK, Ocalan, ha fatto sapere che non è lui a guidare il PKK dal carcere. E chi allora, se non lo Stato-canaglia specialista in sovversioni ed assassini all’estero?

Il vicepresidente dell’AKP, il partito di Erdogan al governo, Celik, ha dichiarato che non credeva che l’attacco dei curdi alla Marina da guerra turca fosse in relazione con l’aggressione alla Mavi Matmara; subito seguito da altri esponenti politici turchi.

«Esistono le prove», ha detto Sedat Laciner, capo del International Strategic Research Organization (un think tank del governo turco) «che dimostrano che Israele addestra ed arma il gruppo terroristico anti-turco ed anti-iraniano del PKK nelle zone del nord dell’Iraq».

Sicché il risultato delle violenze israeliane, e delle minacce al nuovo capo dell’intelligence turca, sarà proprio quel che teme – a nome dei sionisti – il Micalessin: «Quell’attentato sospetto potrebbe, secondo alcune voci, portare allo sfratto degli uomini del Mossad da un’importante base segreta al confine con l’Iran considerata strategica per monitorare le mosse del nemico».

Non più basi israeliane in Turchia, e ben presto non più la NATO.

Un’aggiunta: non è stata sicuramente una coincidenza nemmeno l’assassinio in Turchia di monsignor Padovese per mano del suo autista. L’autista del prelato era stato scelto ed imposto dai militari, ossia dai dunmeh. Lo strazio di un prete cattolico al grido di «Allah!» è venuto troppo a puntino per accusare la ferocia islamica, in concomitanza con il clamore internazionale per lo sterminio israeliano.

In questo senso, tento una risposta a un lettore che mi scrive:
«Carissimo Maurizio Blondet,
spero che tu segua attentamente cosa c’è dietro l’uccisione di monsignor Padovese... Il Vaticano sbrigativamente ha allontanato pista politica o religiosa. Ma era chiaro che non si trattava dell’azione del ‘solito’ folle. A Cipro il Papa, ancora una volta ha cercato di ‘fraternizzare’ con i musulmani. Risposta: per ben due volte è stato preso in giro. Prima hanno mandato un vecchietto a rappresentare il muftì. Prima di lasciare l’isola, il muftì è arrivato in ritardo, ‘puntualmente’ in ritardo per... evitare il Papa. Sveglia!!!
Tuo Patavinus»

Se Patavinus cerca di «svegliarmi» sull’ostilità islamica verso il Papa e i cattolici, la risposta è facile: il muftì ha fatto bene ad evitare di incontrare il Papa. Agli occhi dei musulmani, con il discorso di Ratisbona, Benedetto XVI si è schierato dalla parte di questo «Occidente» che condona ad Israele le violazioni dei principii morali che proprio l’Occidente non si stanca di proclamare per gli altri.

Perchè un muftì dovrebbe incontrare il Papa? Per sentirsi ricordare ancora una volta che «la fede non deve consentire né condonare la violenza», come se fosse la macchia originale solo dell’Islam?

Lo dica ai religiosissimi giudei, che sguinzagliano in ogni parte del mondo i loro sicarii, e che non minacciano che guerre e coprono di sangue le navi mercantili ed affamano i palestinesi, riconoscibile strumento scatenato di Satana per qualunque vero credente.

Identificandosi con l’Occidente che assolve la strage dei pacifisti, si schiera con il violatore massimo dei diritti universali, il Pontefice – e la Chiesa – hanno perso ogni pretesa di superiorità morale nei riguardi di tutte le altre religioni, che in qualche modo il Papato di Woytila s’era guadagnato. Era una sorta di voce pontificale di «tutti i credenti», adesso non più, e non ha alcun diritto di fare la lezione di etica proprio alle vittime del sopruso e della violenza.

Stalinator
18-06-10, 12:47
il Pontefice – e la Chiesa – hanno perso ogni pretesa di superiorità morale nei riguardi di tutte le altre religioni, che in qualche modo il Papato di Woytila s’era guadagnato. Era una sorta di voce pontificale di «tutti i credenti»

prima parla di Cia, di sionisti, di trame losche dappertutto e poi conclude così... il solito Blondet :sofico:

José Frasquelo
18-06-10, 12:57
Davvero c'è da farne un'apologia.

José Frasquelo
18-06-10, 13:38
E scoprono il genocidio armeno
Maurizio Blondet
09 Giugno 2010
(http://www.effedieffe.com/index.php?view=article&catid=19&id=15031%3Ae-scoprono-il-genocidio-armeno&tmpl=component&print=1&layout=default&page=&option=com_content&Itemid=148)

I manifestanti-propagandisti israeliani fanno sfilate contro Ankara, colpevole ai loro occhi di non considerare legittimo l’assalto e la strage ad una sua nave. E non trovano di meglio che ritorcere: dite che abbiamo le mani insanguinate? Voi di più. Avete sterminato gli armeni!

Di colpo, gli israeliani si sentono solidali con gli armeni: al punto, come si vede nella foto, da usare il termine «olocausto armeno», insomma da cedere per un momento il copyright ebraico sulla parola «olocausto» – precisamente l’uso di questa parola per cui Israele ha sempre combattuto, in tutte le sedi internazionali, perchè non si parlasse di «olocausto armeno», essendoci un solo vero e sacro olocausto.

In questo, Israele è sempre stato al fianco dei militari turchi, che per decenni hanno intimato che un genocidio degli armeni, in Turchia, non è mai avvenuto. Adesso, il rovesciamento: «chi è il colpevole dell’olocausto armeno», domanda lo striscione.

Domanda mal posta. Perché del genocidio degli armeni non è colpevole – come ripete la disinformazione – l’impero Ottomano. Quando avvenne, tra il 1915 e il 1918, l’imperatore ottomano, il sultano Abdul Ahmid era stato esautorato, e si trovava agli arresti domiciliari a Salonicco, «nella residenza dei banchieri ebreo-italiani del Comitato Unione e Progresso», come scrisse Sir Gerard Lowther, l’ambasciatore britannico presso la Porta, nella sua relazione al Foreign Office del 29 maggio 1910.

I banchieri ebreo-italiani erano i dirigenti della Banca Commerciale Italiana, probabilmente il capo della filiale di Venezia e Trieste, quel Toeplitz ebreo-polacco, e del suo maneggione in Turchia, il futuro «conte» Volpi di Misurata.

Quanto al Comitato Unione e Progresso di cui parla Lowther, era la giunta militare che aveva preso il potere mettendo agli arresti il legittimo monarca.

Si tratta dei Giovani Turchi, i quali turchi non sono, precisa l’ambasciatore: vengono tutti da Salonicco, «che conta una popolazione di 140 mila abitanti, di cui 80 mila sono ebrei spagnoli (espulsi dalla Spagna nel ‘500), e 20 mila della setta di Sabbatai Zevi o cripto-giudei, che professano esternamente l’Islam. Molti di questi ultimi hanno acquisito la nazionalità italiana e sono affiliati a logge massoniche italiane. (Ernesto) Nathan, il sindaco ebraico di Roma, è un alto grado della Massoneria, e i primi ministri ebrei (Sidney) Sonnino e (Luigi) Luzzatti, come altri senatori e deputati ebrei, sembra siano parimenti massoni».

L’ambasciatore fa i nomi dei capi della giunta golpista: «(D)Javid Bey, deputato per Salonicco, un astutissimo cripo-giudeo e massone, ministro delle Finanze, mentre Talaat Bey, altro massone, è diventato ministro degli Interni (...). Il dottor Nazim, uno dei membri più influenti del Comitato di Salonicco e di cui si dice che sia di origine ebraica, in compagnia di un certo Faik Bey Toledo, cripto-giudeo di Salonicco», nonchè il direttore di «l’Aurore, un giornale sionista aperto un anno fa a Costantinopoli, (che) non si stanca mai di ricordare ai suoi lettori che il dominio dell’Egitto, la terra dei Faraoni che obbligarono gli ebrei a costruire le piramidi, è parte della futura eredità di Israele».

Di un altro giornale appositamente creato, «Le Jeune Turc», era fondatore e direttore Vladimir Yabotinski, il capo della destra sionista fanatica, accorso da Odessa per dare manforte ai Giovani Turchi.

Scrive Lowther: «L’ispirazione del movimento di Salonicco sembra essere stato soprattutto ebraico (...). Carasso ha cominciato a giocare una parte importante (...) è notato che ebrei di ogni colore, locali e stranieri, sono sostenitori entusiasti del nuovo governo; fino al punto, come un turco mi ha detto, che ogni ebreo sembra diventato una spia potenziale dell’occulto Comitato (Unione e Progresso)».

E’ questa la giunta che ha sterminato gli armeni, macchiandosi di atrocità e crudeltà mai viste prima nella storia.

Ma perché, domanda il disinformato, gli ebrei e i dunmeh turchi (i seguaci del falso messia Sabbatai Zevi) avrebbero voluto uccidere la minoranza armena nell’impero ottomano?

La risposta è nella Encyclopedia Judaica edizione 1971, volume 3, colonne 472-476. Alla voce «Armenia», si legge:

«L’Armenia è anche chiamata Amalek, e gli ebrei spesso si riferiscono agli armeni come ad Amaleciti».

E la Universal Jewish Encyclopedia, New York, 1939, alla voce Armenia è ancora più precisa:

«Siccome gli armeni sono considerati discendenti degli Amaleciti, essi sono anche chiamati, fra gli ebrei d’Oriente anche ‘Timheh’ (che significa ‘sarai cancellato’, come in Deuteronomio 25:19, riferito agli Amaleciti».

«Amalek», nella Torah (Genesi, 36, 9-12) è il mitico popolo nemico di Israele, che per ordine di YHVH viene sterminato fino all’ultimo uomo. Una delle tante fantasia genocide degli estensori sacerdotali della Bibbia: in realtà, l’antico popolo di Israele non ebbe mai la forza di compiere tanti stermini; si limitava ad immaginarli. Sotto la giunta dei cosiddetti Giovani Turchi, la loro fantasia potè diventare realtà.

Prima gli uomini armeni tra i 16 e i 45 anni furono arruolati nell’esercito, assegnati a battaglioni logistici – disarmati – e massacrati. Poi ci si occupò di donne, vecchi e bambini. Uccisi per abbruciamento, per annegamento nel Mar Nero, per inoculazione di tifo o con iniezioni di morfina. Avviati nel deserto della Siria in «marce della morte», alla mercè di bande curde che violentavano le ragazze e i bambini, rapinavano, brutalizzavano gli altri. Quelle marce che finivano nel nulla riducevano i superstiti a scheletri ambulanti, che cadevano morti di fame e di percosse.

Il New York Times scriveva il 18 agosto 1915: «Le strade e l’Eufrate sono piene di corpi di esiliati, e quelli che sopravvivono sono condannati a morte certa. C’è il piano di sterminare l’intero popolo armeno».

Il dottor Tevfik Rushdu, medico dunmeh, organizzò l’eliminazione scientifica dei cadaveri, con tonnellate di calce viva.

Mehmet Nazim e Behaeddin Chakir, due esponenti del Comitato, sicuramente dunmeh (si noti il nome «Beha»; quanto a Nazim, era cognato di Rushdu), allestiscono una «Organizzazione Speciale» per lo sterminio sistematico: migliaia di delinquenti comuni vengono arruolati in questo corpo speciale.

Il comitato centrale dei Giovani Turchi, che turchi non erano, emanò, nel settembre 1915, la legge sulle «proprietà abbandonate», che dichiarava la confisca delle case, terre, bestiame ed altri beni «abbandonati» dai deportati armenti: una legge del tutto simile è vigente in Israele, dove gli ebrei confiscano le case di palestinesi dichiarati «assenti», perché espulsi. Fuggiaschi, prigionieri, esiliati senza possibilità di ritorno. (Palestinians abandon 1,000 Hebron homes under IDF, settler pressure (http://www.haaretz.com/news/report-palestinians-abandon-1-000-hebron-homes-under-idf-settler-pressure-1.220470))

Talaat Pascià, uno dei tre dunmeh della giunta «Comitato Progresso e Unione», diede di suo pugno i seguenti ordini:


«Tutti i diritti degli armeni di vivere a lavorare sul territorio turco sono abrogati. La responsabilità è assunta dal governo, il quale ordina che non siano risparmiati nemmeno gli infanti nella culla. Nonostante ciò, per ragioni a noi ignote, un trattamento speciale viene accordato a ‘certi individui’ che, invece di essere portati direttamente nelle zone di deportazione, vengono tenuti ad Aleppo, causando con ciò nuove difficoltà al governo. Non si ascoltino le loro spiegazioni o ragioni: siano espulsi, donne e bambini, anche quando non sono in grado di muoversi... Anziché i mezzi indiretti usati in altre zone (ossia la messa alla fame e l’espulsione dalle case, l’avvio verso campi di concentramento, eccetera) si possono usare metodi diretti, se con sicurezza. Informare i funzionari designati per la bisogna che possono adempiere al nostro vero scopo senza timore di essere chiamati a risponderne».

E ancora, sempre Talaat:

«E’ stato già riferito che in base agli ordini del Dkemet, il governo ha deciso di sterminare, fino all’ultimo uomo, tutti gli armeni in Turchia. Chi si oppone a questo ordine non può mantenere la sua carica nell’Impero».

E ancora:

«Stiamo stati informati che a Sivas, Mamouret-al-Aziz, Darbeikir ed Erzurum, alcune famiglie musulmane hanno adottato, o tenuto come servi, dei bambini di armeni... Ordiniamo con la presente di raccogliere tutti questi bambini nella vostra provincia e di spedirli nei campi di deportazione».

Ed ancora un altro ordine:

«Abbiamo udito che certi orfanatrofi da poco aperti ammettono bambini armeni. Ciò vien fatto perché le nostre volontà non sono a loro conoscenza. Il governo ritiene il nutrire questi bambini e prolungare la loro esistenza un’azione contraria alla sua volontà, in quanto ritiene la vita di questi bambini dannosa».
(dalle «Memoirs of Naim Bey», Londra 1920).

La giunta del Comitato Unione e Progresso commise un errore: entrò nella Grande Guerra a fianco degli imperi centrali. Sconfitti insieme ai tedeschi e agli austriaci, fu restaurato al potere il sultano, Mehmet VI, che nel 1919 fece aprire un processo contro i membri della giunta; ormai erano tutti fuggiti all’estero, per lo più in Germania.

La sentenza condannò a morte, in latitanza, Talat, Enver Pascia, il dottor Nazim, Cemal.

Anton Hanga
18-06-10, 23:03
Turchia: ecco la Road Map per la completa interruzione delle relazioni con Israele

ANKARA - A seguito dell’assassinio di 9 cittadini turchi da parte di Israele la Turchia ha messo a punto una Road Map che le permetterà “la completa” interruzione delle relazioni con Israele. Dopo che Israele si è persino rifiutato di chiedere scusa o pagare i danni arrecati alle famiglie dei cittadini turchi uccisi il comitato per l’applicazione dei progetti difensivi, giovedi ha esaminato i contratti e gli accordi stipulati in precedenza con Israele, per la precisione 16, ed ha messo a punto la Road Map per interrompere tutti questi contratti e imporre la proibizione di ogni sorta di contatto da parte del governo con le compagnie israeliane. La decisione del governo turco non impone però restrizioni al settore privato. Secondo lo stesso documento approvato in presenza del presidente Gul, la Turchia non riconoscerà validi i risultati della indagine interna di Israele e non invierà più a TelAviv il proprio ambasciatore già richiamato in Turchia.

fonte: IRIB

Lucio Vero
28-06-10, 14:18
TURCHIA HA CHIUSO SPAZIO AEREO A ISRAELE DOPO IL RAID

(AGI) Gerusalemme, 28 giu.- La Turchia ha chiuso lo spazio aereo ai voli militari israeliani dopo il raid alla flotta umanitaria. Lo ha detto il premier turco, Tayyip Erdogan ai giornalisti a margine del G20 di Toronto. Secondo l'agenzia di stampa ufficiale Anatolia, Erdogan ha rivelato che il divieto fu imposto dopo l'assalto del 31 maggio, senza pero' spiegare ulteriormente i fatti. Domenica la stampa israeliana aveva rivelato che la Turchia non aveva dato il permesso di volo a un aereo che trasportava militari israeliani, diretti a un tour sui luoghi della memoria ad Auschwitz, in Polonia. Il cargo, con piu' di 100 ufficiali a bordo, era stato costretto a fare una deviazione, ma il ministro della Difesa israeliano aveva evitato di reagire ufficialmente per non inasprire ulteriormente i rapporti.

13:09
28 GIU 2010

Fonte: AGI News

Erdogan, al G20 ha posto 4 punti per la risoluzione di questo problema:
1) Chiedere scusa per il raid alla Freedom Flottilla
2) Pagare un risarcimento alle famiglie delle nove persone uccise nel raid (tutte turche)
3) Aderire a un'inchiesta internazionale sull'incidente - come voluto dall'ONU
4) Porre fine al blocco di Gaza

Nazionalistaeuropeo
29-06-10, 19:37
Benissimo.
Avanti così!

Spetaktor
01-07-10, 12:17
La chiave è la Turchia

di Israel Shamir

La ricetta israeliana per affrontare il mondo: "Se la forza non funziona, usa più forza".

Esplodono bombe in Turchia - un grande profluvio di attentati e attacchi terroristici. Praticamente ogni giorno vengono uccisi soldati e civili turchi. Gli omicidi sono perpetrati in apparenza dai terroristi curdi del PKK, ma in realtà è un nuovo passo nella guerra di Israele contro l'indipendenza turca.


Incoraggiato da parte di Israele, il PKK ha esteso le sue operazioni all'Egeo e alle località del Mar Nero fino a Smirne.

Gli israeliani hanno armato, equipaggiato e addestrato i terroristi curdi per molti anni, hanno trasformato il Kurdistan iracheno nel proprio territorio, con molti businessmen israeliani ( http://www.haaretz. com/print-edition/business /report-idan-ofer-visited- kurdistan-1.298197 ) che conducono i loro affari in attesa che il petrolio di Kirkuk fluisca verso Haifa, come ai tempi del dominio coloniale britannico.

I curdi sono rimasti uno strumento occulto di Israele nella regione per molti anni, la loro attivazione mostra ora che Israele ha ancora voglia di impartire ai turchi una lezione.

La principale rivista neocon negli Stati Uniti, frontpagemag. com, ha apertamente chiesto ( http://frontpagemag .com/2010/06/24/turkeys- deception/ ) ai curdi di fare rappresaglie per il sostegno della Turchia della Palestina. Un altro think-tank ebreo di destra parla ( http://blog. heritage. org/2010/06/21/congressm en-talk-turkey/ ) di mobilitare il Congresso degli Stati Uniti affinché denunci l’ormai centenaria tragedia armena come un mezzo per indebolire la Turchia. Dopo molti anni di schieramento con la Turchia, la lobby ebraica ha ora deciso di cambiare fronte e sostenere le rivendicazioni armene. Così la Turchia è sotto attacco da tutte le parti. Questo era prevedibile, per via del popolare slogan israeliano che dice: «Se la forza non funziona, usa più forza».

Questa è la spiegazione del massacro della Flottiglia del 31 maggio 2010. L'attacco alla Mavi Marmara doveva essere un breve e brusco shock da infliggere ai sempre più indipendenti turchi. Gli israeliani intendevano terrorizzarli e spaventarli fino all’obbedienza, per questo hanno ordinato un bagno di sangue a bordo della Mavi Marmara. Come sappiamo, il commando israeliano ha cominciato a sparare ben prima di incontrare alcuna resistenza. Non erano lì per giocare a softball: la sottomissione era quel che cercavano. L’omicidio non era l’effetto dell’essere colti di sorpresa né di una valutazione errata: era un attacco palese alla Turchia.

L’ostilità di Israele nei confronti della Turchia non è stata una ricaduta sfortunata del raid omicida. Il confronto tra di loro è diventato acuto due settimane prima del massacro, il 17 maggio 2010. Insieme al Brasile, la Turchia aveva predisposto e firmato la Dichiarazione di Teheran - un accordo per lo scambio di combustibile nucleare con l'Iran assediato. Questa dichiarazione avrebbe potuto far deragliare i piani di USA-Israele volti a sanzionare l'Iran fino a morte prima di bombardarlo.

Israele vuole l'Iran distrutto, tanto quanto voleva l'Iraq demolito, Gaza affamata e il resto intimidito. L'accordo di scambio minava tutta la logica che stava dietro alle sanzioni. Tutte le trame dei lobbisti israeliani in USA e in Europa era stata spazzata via in un istante. Anzi, come dicono i musulmani: loro tramano, ma Allah trama meglio.

Israele ha ricevuto la notizia dell'accordo Turchia-Brasile- Iran, come un duro colpo. «Siamo stati sconfitti da furbi turchi e iraniani», a leggere i titoli dei giornali israeliani. Non precipitiamo! Il Dipartimento di Stato USA ha minimizzato il danno, chiedendo, in sostanza: «Chi se ne importa delle cose su cui questi emarginati si mettono d'accordo? Se abbiamo deciso di bombardare qualcuno, lo bombarderemo. Non consentiremo mai ai fatti di confonderci.» Thomas Friedman sul «New York Times» era deluso dal fatto che a «un teppista negazionista dell’Olocausto»- era stato consentito di vivere.

Ignorando sfacciatamente l'accordo, il Consiglio di Sicurezza dell'Onu ha approvato le sanzioni il 9 giugno. Mosca e Pechino sono stati corrotti o ricattati per farli stare nell’accordo. La Cina ha preferito giocare la palla, al fine di evitare il confronto sulla Corea del Nord. La storia della nave sudcoreana affondata aveva fornito il pretesto per un attacco alla Corea del Nord, e un simile attacco potrebbe causare molti danni in Cina. I cinesi sono anche vulnerabili nei confronti delle ingerenze occidentali dello Xinjiang e nel Tibet.

I russi hanno ricevuto alcuni doni preziosi: l'Ucraina è stata riportata sotto il manto della Russia, la Georgia è stata emarginata, il nuovo trattato sulle armi nucleari era il migliore per la Russia di qualsiasi altra cosa potessero attendersi.

Allo stesso tempo, Mosca ha subito un grave attacco terroristico, che ha ricordato ai russi la capacità dei loro nemici di seminare zizzania. Malgrado ciò, la Turchia ha votato contro le sanzioni, dimostrando il suo attuale ruolo regionale in qualità di nuovo affidabile perno per il Medio Oriente.

Il conflitto tra la Turchia e Israele non è cominciato con lo scambio iraniano: ha avuto inizio prima, nel gennaio 2010, quando il vice ministro degli esteri israeliano Dani Ayalon ha invitato l'ambasciatore di Turchia e lo ha pubblicamente umiliato. Secondo la moda orientale, all'Ambasciatore Chelikkol è stato offerto un posto a sedere su un divano più in basso della poltrona di Ayalon. Ayalon ha rifiutato di stringere la mano all'ambasciatore e ha detto ai giornalisti in ebraico, mentre le telecamere erano accese: «Gradiremmo mostrare che lui occupa un posto più basso e vi è solo la bandiera israeliana sul tavolo».

O forse il conflitto è iniziato un anno prima, nel gennaio del 2009, quando il primo ministro turco, Recep Erdoğan, abbandonò il palco del World Economic Forum di Davos. Erdoğan era stato infastidito dal tentativo di un moderatore occidentale di tagliare la sua furente risposta al presidente israeliano Shimon Peres, che aveva giustificato le uccisioni di massa a Gaza.

O forse è iniziata nel settembre 2007, quando degli aerei israeliani hanno sorvolato la Turchia per bombardare la Siria, senza nemmeno dire un tardivo “è permesso?”.

Forse è stato anche prima, quando la Turchia ha cominciato ad affermare la sua indipendenza, scaricando la sua ideologia trita e centenaria del kemalismo. Il nazionalismo laico di Mustafa Kemal Atatürk era una trappola per l'ex Impero. La brutale Turchia kemalista era necessariamente un membro della NATO, un nemico di arabi e iraniani, un docile cliente degli Stati Uniti, un fedele alleato di Israele e un persecutore dei curdi.

Ora è tempo di ringraziare gli europei per come fanno la loro parte al fine di riformare la Turchia. In interminabili negoziati con la Turchia, l'Unione europea ha chiesto un distacco del pugno di ferro dei militari sul potere. Senza questo suggerimento gentile da parte dell’Europa, la Turchia sarebbe ancora governata da un generale sionista o da una persona nominata da un generale sionista. Con il loro popolo liberato dalla dittatura militare, i Turchi hanno posto fine al loro laicismo violento e ritrovato la pace con l'Islam e con i loro vicini.

Ho visitato la Turchia lo scorso Natale, e ho incontrato gli attivisti che stavano per partire per Gaza. La Turchia se la passa bene: nessuna crisi economica, una crescita costante, la pace con i curdi, un coraggioso tentativo di fare la pace con gli armeni, e un perfetto equilibrio tra religione e libertà. Chi vuole può andare in una moschea ottomana splendidamente restaurata e pregare, o in un caffè e bere un ottimo vino turco. Le ragazze non sono costrette né a disfarsi dei loro veli, né a coprirsi le loro braccia.

«Abbiamo perso la Turchia», ha detto ( http://spectator. org/archives/2010/06/ 14/who-lost- turkey-not-europe/ ) Robert Gates, il segretario USA della Difesa, e ha accusato l'Unione europea di aver rifiutato di accettare la Turchia. Ma dobbiamo ringraziare gli europei di tale rifiuto. Non vogliamo la Turchia nell'Unione europea, abbiamo bisogno della Turchia per noi stessi, per la regione.

Vi è un grande nuovo piano volto a creare un'Unione orientale come un equivalente regionale dell'Unione europea. Questo è il posto giusto per la Turchia, a capo di questa nuova formazione. In un certo senso, sarà una restaurazione dell'Impero ottomano - nella stessa misura che l'Unione europea è una restaurazione dell'impero di Carlo Magno. La differenza è che l'Europa è stata frammentata per secoli, mentre la nostra regione è rimasta unita fino al 1917. Anche se la piena unione politica è una prospettiva remota, questo è un buon inizio sulla strada che porta a questo degno traguardo.

Ci sono già i trattati di libero scambio tra la Turchia ei suoi vicini arabi, la dimensione spirituale è lì, a Istanbul c’è stata l'ultima sede del Califfato nonché la Sede del Patriarcato di Costantinopoli. Ora la Turchia potrebbe istituire un Tribunale internazionale regionale per affrontare i problemi regionali: tra gli altri, gli eccessi sionisti. L'Europa non è ancora libera dal controllo sionista ed è per questo che la Corte internazionale di giustizia e il Tribunale penale internazionale dell'Aia sono luoghi inadatti per processare i criminali sionisti. Inoltre, la loro posizione attuale richiama il mondo eurocentrico di ieri. Un tribunale regionale può anche trattare in maniera convincente i criminali di guerra nell'Iraq occupato e in altri paesi mediorientali. Grandi avvocati come Richard Falk e il giudice Goldstone potrebbero essere invitati a presiederlo.

L'istituzione del Tribunale Internazionale (orientale) sarebbe un passo serio e realistico verso la decolonizzazione della regione e la sua futura unificazione in un'Unione orientale.

Tuttavia, l'Unione orientale sarà diversa dall'Impero Ottomano così come l'Unione europea si differenzia dal Terzo Reich, questo precedente tentativo di unire l'Europa. Sarà una unione volontaria di Stati sovrani, in cui tutti conservano le loro originali culture e tradizioni, un buon vicino dell’Europa unita, della Russia, dell’Iran e della Cina.



Guardando al di là del Medio Oriente

L'Unione potrebbe tranquillamente espandersi ben oltre il Medio Oriente e, riunire i suoi territori naturali da Gibilterra al Danubio. Questo territorio naturale si formò molto tempo fa, nel IV secolo, quando il potente Impero Romano fu diviso in Impero d'Occidente con capitale a Roma, e Impero d'Oriente, o di Bisanzio, con capitale Costantinopoli, come allora veniva chiamata l’odierna Istanbul. L'Impero bizantino divenne l'Impero Ottomano nel 1456. Eppure, è lo stesso 'grande spazio', la stessa grande civiltà unita di musulmani e cristiani orientali. Le genti di Turchia e Grecia, Serbia ed Egitto hanno gli stessi atteggiamenti, condividono i loro valori comuni, sono più religiose rispetto ai loro fratelli occidentali, si oppongono alla colonizzazione occidentale, l'imperialismo americano e al sionismo israeliano.

Il rampante Occidente non poteva soggiogare l’Oriente unito e pertanto, al fine di colonizzare le sue terre, ha tentato le nazioni con un futile sogno di indipendenza. Questo miraggio di indipendenza non era che una trappola: i nuovi paesi "liberati e indipendenti" divennero soggetti al governo occidentale. Possiamo paragonare ciò a un corpo umano: se le nostre braccia e le gambe diventassero indipendenti dalla nostra mente, non funzionerebbero bene. Infatti tutte le membra dell’unico corpo, l'Impero Ottomano, non funzionano bene dopo l'amputazione, o l'indipendenza, a loro imposta.

Questo è stato il caso degli arabi durante la prima guerra mondiale. La rivolta araba è stata portata avanti da Lawrence d'Arabia, un grande agente dei servizi segreti britannici. Le terre arabe sono diventate molto più dipendenti che mai, e ora sono governate da una pletora di sceicchi, burattini e dittatori. L'unico regime democratico in tutto il mondo arabo è l’infelice, assediata Gaza.

Tuttavia, gli arabi non furono le sole vittime di queste politiche occidentali. Gli intrighi inglesi avevano provocato l'indipendenza della Grecia agli inizi del XIX secolo, e poi fiumi di sangue e di trasferimenti avevano reso questa separazione completa. Ma la Grecia non è di casa nella UE, così come la Grecia antica non era di casa durante l'Impero governato da Roma. La recente crisi finanziaria lo ha dimostrato ancora una volta: le radici e il destino della Grecia sono in Oriente.

Nessuna persona sana di mente potrebbe suggerire che la Grecia dovrebbe essere incorporata nella Turchia. Allo stesso modo, nessuno suggerisce alla Francia di essere incorporata nella Germania. Tuttavia, la Francia si è unita alla Germania per formare la UE, la Grecia e la Turchia possono unirsi per creare l'Unione orientale, con il tempo abbracciare altre province balcaniche dei Bizantini, musulmane e ortodosse, ossia l'Albania e la Serbia, la Macedonia e il Montenegro, nonché la Romania e la Georgia. Tutti questi paesi troverebbero l'Unione orientale più adatta di quella europea.

L'Unione orientale raggiungerebbe altri paesi ed ex province che furono strappate e colonizzate dagli europei nel XIX secolo. Soprattutto l'Algeria è un paese che ha bisogno di questo ricollegamento, giacché questa terra ricca di petrolio è gestita da un gruppo di generali laici anti-religiosi e filo-occidentali così come lo è stata la Turchia fino a dieci anni fa. Il Marocco con la sua monarchia obsoleta e fallimentare, che combina la tortura sistematica dei dissidenti con un vile sionismo, l’eccentrica Libia e la fragile Tunisia hanno pure bisogno di un quadro più ampio che non annulli ma anzi rafforzi la loro sovranità.

L'Unione orientale potrebbe anche creare uno spazio di interessi comuni con i russi nel Caucaso. I russi hanno un problema da quelle parti: la separazione di queste province russe è troppo pericolosa poiché presumibilmente porta le forze ostili della NATO nel cortile della Russia. Tenersele contro la volontà della popolazione è una politica costosa e impopolare. Un tentativo russo di concedere l'indipendenza a tutti gli effetti alla Cecenia ha fatto cilecca non appena il piccolo paese ha immediatamente trasformato il suo territorio in una base di incursioni armate nella Russia vera e propria. L'Unione orientale potrebbe mettere fine a queste insurrezioni e portare la pace e la stabilità nel turbolento Caucaso. In cambio, l'Unione può riconoscere gli interessi russi nei siti cristiani ortodossi.

La Palestina diventerà un fiore all'occhiello dell'Unione orientale. La scomparsa del colonialismo porrà fine anche al sionismo, perché dopo tutto il sionismo non avrebbe mai guadagnato terreno senza l'appoggio imperialista europeo. I cristiani, gli ebrei e i musulmani di Palestina avranno pari diritti e doveri in Terra Santa, per sempre liberi da ambizioni politiche e rivalità etniche.



Fonte: http://www.israelsh amir.net/English/Turkey_ Key.htm.

Lucio Vero
01-07-10, 19:20
Per chi sa ben vedere: adesso riscopriamo la Turchia che perseguita i cristiani. Buon articolo di Blondy. :chefico:

Spetaktor
01-07-10, 20:46
La Turchia è la seconda economia del G20 per crescita del Pil nel 1° trimestre del 2010.

Tra i paesi del G20 solo la Cina, la cui economia è cresciuta dell’11,9%, ha fatto meglio della Turchia nel primo trimestre del 2010. Nei primi tre mesi di quest’anno, infatti, il Pil turco è cresciuto di un impressionante 11,7%: più dell’India (+11,2) e del Brasile (+9). La crisi del 2008, quando il Pil turco registrò una flessione del 7%, sembra quindi alle spalle, come conferma il ministro dell’Industria Nihat Ergun: “Le ultime cifre confermano un’uscita stabile dalla recessione”.

La crescita dell’economia turca è trainata soprattutto dall’export, che ha fatto registrare un +34,5% nel mese di maggio. Ancor più interessante è andare a vedere quali sono le direttrici dell’export turco, considerata la crisi globale. In tal modo, si può infatti scoprire come vi sia una sostanziale coincidenza tra gli slittamenti geopolitici di Ankara e quelli economico-commerciali. I paesi che registrano i maggiori aumenti nell’interscambio commerciale con la Turchia sono Arabia Saudita, Iran, Turkmenistan: tutti paesi che occupano un posto centrale nella logica neo-ottomana sviluppata dal triumvirato Erdoğan- Gül-Davutoğlu.

Il primo ministro turco Recep Tayyip Erdoğan ha manifestato la propria soddisfazione sottolineando che “la Turchia è il paese che è uscito più in fretta dalla recessione”. Attualmente, la Turchia è la 17ª economia al mondo per dimensioni del Pil, ma i dirigenti turchi puntano a portare Ankara nella top ten già nel breve periodo. In ogni caso, l’impressionante crescita economica e la sempre maggiore coincidenza tra le direttrici dell’export e quelle geopolitiche dimostrano che il soft power “econo-islamico” e quello “turchico” – centrali nel neo-ottomanismo dell’AKP – stanno cominciando a dare i primi frutti.

José Frasquelo
01-07-10, 23:39
La Turchia è la seconda economia del G20 per crescita del Pil nel 1° trimestre del 2010.

Tra i paesi del G20 solo la Cina, la cui economia è cresciuta dell’11,9%, ha fatto meglio della Turchia nel primo trimestre del 2010. Nei primi tre mesi di quest’anno, infatti, il Pil turco è cresciuto di un impressionante 11,7%: più dell’India (+11,2) e del Brasile (+9). La crisi del 2008, quando il Pil turco registrò una flessione del 7%, sembra quindi alle spalle, come conferma il ministro dell’Industria Nihat Ergun: “Le ultime cifre confermano un’uscita stabile dalla recessione”.

La crescita dell’economia turca è trainata soprattutto dall’export, che ha fatto registrare un +34,5% nel mese di maggio. Ancor più interessante è andare a vedere quali sono le direttrici dell’export turco, considerata la crisi globale. In tal modo, si può infatti scoprire come vi sia una sostanziale coincidenza tra gli slittamenti geopolitici di Ankara e quelli economico-commerciali. I paesi che registrano i maggiori aumenti nell’interscambio commerciale con la Turchia sono Arabia Saudita, Iran, Turkmenistan: tutti paesi che occupano un posto centrale nella logica neo-ottomana sviluppata dal triumvirato Erdoğan- Gül-Davutoğlu.

Il primo ministro turco Recep Tayyip Erdoğan ha manifestato la propria soddisfazione sottolineando che “la Turchia è il paese che è uscito più in fretta dalla recessione”. Attualmente, la Turchia è la 17ª economia al mondo per dimensioni del Pil, ma i dirigenti turchi puntano a portare Ankara nella top ten già nel breve periodo. In ogni caso, l’impressionante crescita economica e la sempre maggiore coincidenza tra le direttrici dell’export e quelle geopolitiche dimostrano che il soft power “econo-islamico” e quello “turchico” – centrali nel neo-ottomanismo dell’AKP – stanno cominciando a dare i primi frutti.

Ma quanto mi attizza la Turchia? :-)

Lucio Vero
02-07-10, 15:50
Oggi la Turchia ha attaccato basi del Pkk nel Nord dell'Iraq. Interessante constatare come fino ad un mese fa la Turchia veniva citata dai telegiornali solo due o tre volte l'anno - oggi, quasi tutti i giorni c'è una notizia.

carlomartello
02-07-10, 17:15
La Turchia però è solidale con gli uighuri (Erdogan sbottò quando vennero repressi dalle forze armate cinesi) per una questione di pan-turanismo e pan-islamismo dell'Akp, quindi è potenzialmente rivale della Cina, soprattutto se l'unione pan turchica diventerà qualcosa di più concreto dopo il fallimento del tentativo d'ingresso in Ue.

In effetti una possibilità che ci ronza nella testa è una stretta turco-russa in Eurasia per contenere l'espansionismo Han di Pechino, chissà cosa ne pensa Dugin :D (che non ignora affatto il problema cinese come si potrebbe credere).

D'altronde potrebbe essere una alleanza nel nome della "civiltà di Bisanzio" e perfettamente nel solco del pensiero di Leont'ev. :sofico:

(Resta il fatto che la priorità dell'élite russa attuale è il partenariato con l'Ue e sul Turkestan accettano la mano forte di Pechino, meglio impegnati in Turkestan che attratti dalla "Manciuria esterna"...).


carlomartello

Lucio Vero
02-07-10, 17:55
La Turchia però è solidale con gli uighuri (Erdogan sbottò quando vennero repressi dalle forze armate cinesi) per una questione di pan-turanismo e pan-islamismo dell'Akp, quindi è potenzialmente rivale della Cina, soprattutto se l'unione pan turchica diventerà qualcosa di più concreto dopo il fallimento del tentativo d'ingresso in Ue.

In effetti una possibilità che ci ronza nella testa è una stretta turco-russa in Eurasia per contenere l'espansionismo Han di Pechino, chissà cosa ne pensa Dugin :D (che non ignora affatto il problema cinese come si potrebbe credere).

D'altronde potrebbe essere una alleanza nel nome della "civiltà di Bisanzio" e perfettamente nel solco del pensiero di Leont'ev. :sofico:

(Resta il fatto che la priorità dell'élite russa attuale è il partenariato con l'Ue e sul Turkestan accettano la mano forte di Pechino, meglio impegnati in Turkestan che attratti dalla "Manciuria esterna"...).


carlomartello

Per ora la Russia ha altri problemi comunque.
E la Turchia non è ancora così forte.
Nel futuro chi vivrà vedrà.

José Frasquelo
02-07-10, 18:37
La Turchia però è solidale con gli uighuri (Erdogan sbottò quando vennero repressi dalle forze armate cinesi) per una questione di pan-turanismo e pan-islamismo dell'Akp, quindi è potenzialmente rivale della Cina, soprattutto se l'unione pan turchica diventerà qualcosa di più concreto dopo il fallimento del tentativo d'ingresso in Ue.

In effetti una possibilità che ci ronza nella testa è una stretta turco-russa in Eurasia per contenere l'espansionismo Han di Pechino, chissà cosa ne pensa Dugin :D (che non ignora affatto il problema cinese come si potrebbe credere).



Non credo proprio. Oggi i due assi sono Russia-Cina e il nuovo asse Turchia-Iran.

carlomartello
02-07-10, 20:53
Non credo proprio. Oggi i due assi sono Russia-Cina e il nuovo asse Turchia-Iran.
Emm, era uno scenario ipotetico più che altro. D'altronde ci permettiamo di dire che Leont'ev, a nostro vedere, sostenendo una alleanza tra l'impero ottomano e quello zarista (fondamentalmente contro l'Europa dei Lumi) sosteneva qualcosa di, almeno a livello strategico, antistorico, visto che i due imperi erano nemici, e di veramente minoritario negli ambienti russi dell'epoca.

Sul nuovo asse Turchia-Iran, sembra una realtà che va inevitabilmente profilandosi. Il resto è ben più complicato.

Da un punto di vista esclusivamente d'ordine geoeconomico gli assi sono piuttosto Ue-Russia e Cina-America (l'odiata esposizione di LiMes che però è accreditata da tutti, in quanto oggettiva). La Russia al Consiglio di Sicurezza sull'Iran si è sbilanciata subito ad ovest, anziché rimanere salda nelle posizioni scettiche fino all'ultimo come Pechino, che ha approvato la risoluzione solo alla fine del confronto, con gli altri giganti già schierati unitariamente per il sì. D'altro canto l'amministrazione statunitense è stata contraddistinta da un primo periodo di entusiasmo per il G-2 rientrato improvvisamente (con il brusco cambio di politica verso il Dalai Lama e la massiccia consegna di armi a Taiwan, chiaramente per intimorire i cinesi che stavano sgarrando) e da un secondo memento, che va dalla firma dello Start all'ultimo incontro dove è stato deciso l'appoggio alla Russia nel Wto, di avvicinamento alla Russia.

La Russia punta chiaramente all'asse con l'Ue (Berlino-Parigi) e quindi ad un trattato sulla sicurezza collettiva con la realtà euro-atlantica, la nuova architettura sulla sicurezza pan-europea (area Osce), che sarebbe affiancata alla precedente partecipazione, a est, all'organizzazione per la cooperazione di Shangai. Ma non è difficile intuire quali tra le due opzioni geopolitiche, l'occidentale e l'orientale, prevarrà a lungo termine.

Leonid Ivachov, per fare solo un esempio, che è vicepresidente dell'accademia di studi strategici del Cremlino, ritiene che le recenti mosse russe celino il desiderio strategico di chiudere con una pax europea la partita col fronte occidentale, per potersi meglio concentrare nel confronto a est, sul fronte orientale, dove la Cina esercita una fortissima pressione demografica nei pressi della scarsamente popolata Siberia (tutte cose sostenute da esperti russi come Ivachov, non 'occidentalisti' quindi).

Questo è quanto si capisce fino ad ora.


carlomartello

Spetaktor
02-07-10, 23:25
La Russia punta chiaramente all'asse con l'Ue (Berlino-Parigi) e quindi ad un trattato sulla sicurezza collettiva con la realtà euro-atlantica, la nuova architettura sulla sicurezza pan-europea (area Osce), che sarebbe affiancata alla precedente partecipazione, a est, all'organizzazione per la cooperazione di Shangai. Ma non è difficile intuire quali tra le due opzioni geopolitiche, l'occidentale e l'orientale, prevarrà a lungo termine.


Le due opzioni, ovviamente, non sono in conflitto. Per la Russia è fondamentale una politica estera plurivettoriale.

Stalinator
03-07-10, 01:02
Leontiev è morto da un secolo. L'Impero Ottomano non esiste più, lo Zar per fortuna nemmeno. La Turchia prepara l'uranio per l'Iran, cosi come la Cina che ci va a fare spesa di risorse naturali. La storia è mossa dall'economia. Il resto è merdaccia spalata inutilmente. :giagia:

Spetaktor
03-07-10, 10:28
Leontiev è morto da un secolo. L'Impero Ottomano non esiste più, lo Zar per fortuna nemmeno. La Turchia prepara l'uranio per l'Iran, cosi come la Cina che ci va a fare spesa di risorse naturali. La storia è mossa dall'economia. Il resto è merdaccia spalata inutilmente. :giagia:

La storia la fanno gli Spazi. E quindi, anche l'economia.

José Frasquelo
03-07-10, 11:29
La storia la fanno gli Spazi. E quindi, anche l'economia.

sì, ma lui è materialista storico del 2010.. :-)

Stalinator
03-07-10, 11:35
Per economia intendo anche la base geografica ovviamente..

Spetaktor
03-07-10, 12:06
Per economia intendo anche la base geografica ovviamente..

Per base geografica si intende anche l'economia, ovviamente.

Stalinator
03-07-10, 12:52
Per base geografica si intende anche l'economia, ovviamente.

Ah ho capito. Va be, se parliamo dell'uomo ho ragione io, se parliamo della natura hai ragione te.

Manfr
04-07-10, 21:33
Eurussia può avere un riscontro pratico, ma Chimerica veramente no, basta con questi stereotipi giornalistici nati dalla mente malata di Rampini :D Tantopiù che in Turkmenistan Zapatero ha appena concluso un patto di rilevanza non indifferente con la Cina a nome della UE.

Quanto alla comunità panturca, ne sono nate tre o quattro negli anni 90, nessuna delle quali di successo...

Stalinator
04-07-10, 22:38
Eurussia può avere un riscontro pratico, ma Chimerica veramente no, basta con questi stereotipi giornalistici nati dalla mente malata di Rampini :D Tantopiù che in Turkmenistan Zapatero ha appena concluso un patto di rilevanza non indifferente con la Cina a nome della UE.

Quanto alla comunità panturca, ne sono nate tre o quattro negli anni 90, nessuna delle quali di successo...

Sarà andato a ciucciare il gas come fanno gli altri. In Cina Zapatero andrebbe a lavorare nei campi.

Spetaktor
05-07-10, 10:19
Centro Italo Arabo e del Mediterraneo - IL NUOVO PROTAGONISTA E LA SUPERPOTENZA IN MEDIO ORIENTE (http://www.assadakah.it/modules.php?name=News&file=article&sid=3037)

OGGI NEL MONDO ARABO E ISLAMICO, NON SI PARLA D’ALTRO CHE DELLA TURCHIA, IL NUOVO PROTAGONISTA IN MEDIO ORIENTE.
MTV INTERVISTA TALAL KHRAIS*, GIORNALISTA ESPERTO DI QUESTIONI MEDIORIENTALI
A CURA DEL CONDUTTORE ALI DHAINI

Gli arabi sono scomparsi della scena e all’interno della comunità internazionale. Negli ultimi tempi, la Turchia sta salendo sempre più frequentemente alla ribalta delle cronache mediorientali e internazionali, non solo in qualità di potenza economica, ma anche in quanto Paese intenzionato a giocare un ruolo politico sempre più incisivo in Medio Oriente e a livello internazionale. Di questo nuovo scenario parliamo con Talal Khrais, giornalista esperto di questioni mediorientali, di cui si occupa da anni. Di origini libanesi, Talal Khrais ha lavorato come corrispondente in diverse parti del mondo, ha sempre intuito ciò che sarebbe accaduto, anticipando vedute di scenari di guerra e di pace. Oggi, è di nuovo con noi per approfondire i cambiamenti avvenuti negli ultimi anni in Medio Oriente. Dott. Khrais,grazie di essere qui con noi per questa intervista .
Secondo Lei, esiste un cambiamento radicale negli equilibri strategici in Medio Oriente? E’ possibile che la situazione attuale sia risultato della frattura tra la Turchia e il vecchio alleato Israele?
rPotrebbe essere così, alla luce di due clamorosi eventi che hanno attirato l’attenzione dell’opinione pubblica internazionale: la crisi nei rapporti fra Israele e Turchia, seguita all’incidente della “Freedom Flotilla” diretta a Gaza, e il voto contrario espresso dalla Turchia in occasione dell’approvazione di nuove sanzioni all’Iran da parte dell’ONU.
Questi due fatti non significano che Ankara si stia allontanando dall’Occidente e stia cercando di proporsi come Paese guida di un nuovo fronte mediorientale alternativo ad un ruolo europeo. Al contrario, Ankara chiama l’Europa al suo dovere e partecipa attivamente alla missione di pace in Libano UNIFIL 2. La Turchia vede nell’arroganza e degli Stati Uniti un fattore di destabilizzazione nella regione.
La Turchia ha sempre guardato verso Occidente e si considera una potenza europea; con la sua identità turca, ha forti legami con le regioni del Caucaso, del Caspio e dell’Asia centrale, e rappresenta un Paese musulmano moderno che guarda al mondo islamico e al mondo arabo, che ne costituisce il cuore.
I recenti episodi, come l’incidente della “Freedom Flotilla” e il diverso approccio alla questione nucleare iraniana, sono solo la manifestazione esteriore di divergenze originate dalle trasformazioni politiche degli ultimi vent’anni all’insorgere di incomprensioni fra la Turchia e l’Occidente nelle sue tre componenti: Stati Uniti, Europa e Israele. La tensione con lo stato ebraico, aumentata dopo la guerra israeliana a Gaza, è cresciuta ulteriormente con l’aggressione alla “Freedom Flotilla!.

La Turchia aveva agito di fronte all’incapacità degli Stati Uniti e dei Paesi dell’UE di esprimere una ferma condanna nei confronti delle azioni israeliane che hanno trasformato lo stato ebraico in uno stato di guerra. Il cittadino turco è ovviamente deluso dall’ipocrita insensibilità dell’Occidente nei confronti delle sofferenze dei popoli musulmani.Non c’è dubbio che l’ascesa al potere del partito “Giustizia e Sviluppo” (AKP), guidato da Recep Tayyip Erdogan, ha spinto sempre più il Paese a stringere legami con il mondo arabo-islamico, all’insegna della cooperazione economica e della riscoperta di comuni radici culturali.
La Turchia sta diventando uno snodo delle principali rotte energetiche eurasiatiche. L’ambizione turca è stata colta dal presidente americano Barack Obama quando, in un suo discorso del 6 aprile 2009 ad Ankara, disse: “La grandezza della Turchia sta nella sua capacità di essere al centro delle cose. Questo non è il luogo in cui l’Oriente e l’Occidente si separano, è il punto in cui si riuniscono: nella bellezza della vostra cultura; nella ricchezza della vostra storia; nella forza della vostra democrazia; nelle vostre speranze per il domani”.
Ciò significa che la Turchia di Erdogan non è più l’avamposto della Nato nella Regione?
Le cose sono cambiate da tempo. In passato la leadership turca considerava la Rivoluzione iraniana un vero nemico. Oggi, non solo rappresenta un partner economico privilegiato, ma Istanbul conta sul sostegno iraniano e siriano nella lotta contro a guerriglia del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK).
Il cambiamento è cominciato con la cattura del leader del PKK Abdullah Ocalan nel 1999. Negli anni successivi, i rapporti tra la Turchia e la Siria migliorarono notevolmente per svilupparsi ulteriormente con la salita al potere del partito AKP nel 2002. Con il progressivo ridimensionamento del potere dell’esercito in Turchia, anche le relazioni tra Ankara e Teheran cominciarono a migliorare.
Si può dire che rapporto tra Ankara e Tel Aviv è cambiato radicalmente, in negativo?

Certamente, oramai i due Paesi sembrano avere visioni divergenti riguardo al Medio Oriente. Israele considera ostili la maggior parte dei Paesi della regione, la Turchia ha risolto le antiche controversie e ha stabilito importanti rapporti economici e commerciali con molti di questi Paesi, dalla Siria all’Iran, allo stesso Kurdistan iracheno. Basti pensare al lavoro condotto dalla leadership turca per l’integrazione economica e la stabilità politica. Questo spiega anche l’atteggiamento di Ankara nei confronti dell’Iran.
La Turchia non vuole un Medio Oriente nucleare, condivide con la Repubblica Islamica dell’Iran interessi economici ed energetici strategici. Ankara non permetterà una escalation della crisi con Teheran che potrebbe compromettere la stabilità regionale.
A mio avviso, l’Occidente deve accettare la mediazione turca col Brasile sul nucleare, altrimenti Tehran andrà avanti comunque, sfidando sanzioni ancora più pesanti.
La Turchia ha iniziato a guardare a Oriente e si trova bene, la sua economia cresce e diventa protagonista. Secondo Lei, perché il suo ingresso nell’Unione Europea sembra ancora lontano?
Secondo me, perché è un grande Stato musulmano, moderno e potente, e in Occidente esiste una vera islamofobia mascherata. L’Occidente sbaglia allontanando la Turchia, sbaglia quando concentra il suo interesse sul problema curdo in Turchia piuttosto che sul problema turco. L’Occidente non ha apprezzato il processo di democratizzazione del Paese, dove regna da tempo la libertà di espressione.
L’Unione Europea continua a concentrarsi sul problema dei curdi e di altre minoranze, trascurando i problemi della democratizzazione.In ogni caso, se la Turchia si è imposta alla comunità internazionale, non lo ha fatto grazie a un eroe, ma grazie allo sviluppo delle proprie istituzioni.
La Turchia si sposta verso il Mondo arabo e la causa palestinese e non è più l’alleato forte di Israele. Ciò significa un radicale cambiamento geopolitico nella Regione. Cosa ne pensi? Condividi questa posizione?

In realtà, il cambiamento è avvenuto da molto tempo. Le divisioni tra gli arabi e l'incapacità di adottare una strategia che salvaguardi i loro interessi e la loro principale causa, la questione palestinese, nascondono questo cambiamento. Israele non è più l’invincibile in Medio Oriente. Nel 2006 abbiamo assistito alla sconfitta del suo esercito da parte della guerriglia di Hezbollah, e non è in grado di entrare a Gaza.

Ma il cambiamento più radicale è avvenuto con la perdita di un importante alleato: l’Iran della monarchia. La Rivoluzione Islamica del 1979 in Iran e la successiva fondazione della Repubblica Islamica, hanno inferto un duro colpo ad Israele sul lungo periodo, soprattutto dopo la proclamazione da parte del nuovo regime iraniano dell’illegittimità dello stato ebraico e della sua occupazione della Palestina, sostenendo i movimenti che combattono l’occupazione israeliana. La perdita di un alleato regionale come l’Iran spinse Israele a concentrarsi sulla Turchia.
Il rapporto israeliano con la Turchia negli anni ’60 e ’70 ha rappresentato una carta per esercitare pressioni sui Paesi arabi. Così come Israele ha perso l’Iran circa trent’anni fa, vedendo un amico fidato trasformarsi in un nemico giurato, allo stesso modo ora è sul punto di perdere la Turchia.
*socio della Stampa Estera in Italia e Segretario Generale del Centro Italo Arabo Assadakah

Stalinator
05-07-10, 15:04
Mutti ste cose le diceva cinque anni fa ai tempi dell'eventuale ingresso nell'UE.

Spetaktor
05-07-10, 15:41
Mutti ste cose le diceva cinque anni fa ai tempi dell'eventuale ingresso nell'UE.

Ricordo che il primo numero di Eurasia (anno 2004) era dedicato alla Turchia. E furono accusati di essere filo-atlantici.

Anton Hanga
05-07-10, 21:22
E poi dicono che la geopolitica non e' una scienza... :gluglu:

Spetaktor
05-07-10, 21:34
E poi dicono che la geopolitica non e' una scienza... :gluglu:

Visto che si siamo, sponsorizziamo:

Turchia
1/2004 ott/dic :::: :::: 1 ottobre, 2004 :::: Email This Post Print This Post
Turchia

L’idea eurasiatista (Aleksandr Dugin)
Il nazionalismo paneurasiatico (Nikolaj S. Trubeckoj)

Dossario Turchia
Turchia: la potenza dell’acqua (Aldo Braccio)
La Turchia dall’Impero all’Eurasia (Tiberio Graziani)
Roma ottomana (Claudio Mutti)
L’eredità di Sabbetay Sevi (Martin A. Schwarz)
Turchia, ponte d’Eurasia (Carlo Terracciano)

Recensioni e Postille
Alexandre del Valle, La Turquie dans l’Europe (Claudio Mutti)
Le vedute di un eremita sui generis: K. Leont’ev (Aleksandr Varona)
Carlo Jean, La geopolitica del XXI secolo (Stefano Vernole)

http://www.eurasia-rivista.org/cms/wp-content/uploads/yapb_cache/ea_05_01.c4q77ho4hq80oocok0sgos044.1n4kr7rgh18gs08 gcg0csw4kg.th.jpeg

Spetaktor
18-07-10, 13:02
La Turchia di Erdogan. Intervista con Carlo Frappi - archiviostorico.info (http://www.archiviostorico.info/interviste/4342-la-turchia-di-erdogan-intervista-con-carlo-frappi)

La Turchia di Erdogan. Intervista con Carlo Frappi

a cura di Francesco Algisi



erdogan Carlo Frappi è membro dell’Associazione per lo Studio in Italia dell’Asia Centrale e del Caucaso (ASIAC). Ha frequentato il corso di dottorato in Storia Internazionale presso l’Università degli Studi di Milano e il corso di specializzazione in “Democratizzazione ed Affari Politici”, organizzato, con il patrocinio OSCE, all’Accademia Diplomatica di Vienna e dall’Austrian Study Center for Peace and Conflict Resolution. Fondatore dell’Italian Center for Turkish Studies (ICTS) e responsabile del Desk Turchia presso Equilibri, è borsista del programma di ricerca European Foreign and Security Policy Studies (EFSPS) di Compagnia di San Paolo, Riksbankens Jubileumsfond e Volkswagen Stiftung. Collabora con l’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale in qualità di reseach fellow presso l’Osservatorio sul Caucaso e l’Asia Centrale.

Dottor Frappi, il Partito della Giustizia e dello Sviluppo (AKP) è stato spesso definito come una versione turco-islamica della Democrazia cristiana. È fondato questo paragone?

Personalmente, non amo eccessivamente le comparazioni tra esperienze politiche nate e sviluppatesi in tempi e modalità troppo differenti tra loro. Ciò detto, se il paragone si fonda sulla natura moderata e conservatrice dei due partiti e sul comune retroterra culturale rappresentato dal richiamo a valori confessionali, allora direi che il paragone può reggere.

Pur tuttavia il contesto storico e culturale nel quale le due esperienze partitiche hanno visto la nascita è profondamente diverso. L’AKP si fa portatore – ed è su questo piano che ha fondato il proprio successo elettorale – di una Turchia più profonda, una Turchia conservatrice, rimasta per decenni ai margini della vita sociale, economica ed intellettuale del Paese. In questo senso e volendo dare un’interpretazione più ampia dell’ascesa e del successo politico dell’AKP, si può a mio giudizio affermare che il partito guidato da Erdogan si è fatto portatore della necessità di parziale ridefinizione dell’identità nazionale turca e di adattamento del precetto kemalista ad una realtà interna, regionale ed internazionale ben diversa da quella in cui tale dottrina si era formata e sviluppata.

Quali differenze presenta l’AKP rispetto al Refah Partisi di Erbakan, messo fuorilegge dalla Corte costituzionale turca nel 1998?

Le differenze tra AKP e Refah si fondano principalmente nel diverso contesto interno ed internazionale nel quale i due partiti si sono imposti sullo scenario politico turco.

Erbakan guidava un governo nato debole sul piano interno, in un contesto regionale caratterizzato da una profonda rivalità tra la Turchia ed i propri vicini. In un cortocircuito tipico dell’architettura istituzionale turca, le rivalità regionali della seconda metà degli anni novanta contribuivano ad accentuare la tradizionale tendenza alla sicurizzazione delle istituzioni nazionali e – conseguentemente – il ruolo e l’interferenza dell’apparato militare e degli alti ranghi del potere giudiziario sul potere civile.

Al contrario, le nette affermazioni elettorali dell’AKP nelle tornate del 2002 e 2007 hanno garantito al partito una solida maggioranza parlamentare. Inoltre, la tenuta e la legittimazione interna dell’operato dell’AKP ha potuto beneficiare, specie nel corso del primo mandato, dell’apertura del percorso europeo del Paese. E’ in questo contesto che i governi AKP hanno potuto infatti aprire una fase di profonda riforma istituzionale ancor oggi in corso.

Quali vantaggi potrebbe offrire l’ingresso della Turchia nell’Unione Europea? E quali rischi nasconde tale eventualità?

Indipendentemente dall’analisi di vantaggi e rischi economici legati ad un possibile ingresso della Turchia nell’Unione, ritengo che un’Europa matura, volenterosa di rovesciare l’assunto del “gigante economico, nano politico” e di assumere un ruolo di primo piano nelle relazioni internazionali sullo scacchiere euro-asiatico, necessiti della Turchia.

Concentrandosi su un’ottica di breve e medio periodo, ritengo inoltre che una fondamentale importanza ricopra – prima ancora che l’esito finale del negoziato d’adesione – l’andamento del negoziato stesso. Sin dal 1999, ovvero dalla concessione alla Turchia dello status di ‘paese candidato’, Ankara ha compiuto passi da gigante sulla strada dell’armonizzazione del sistema istituzionale e della condotta di politica estera alle pratiche europee. L’ambigua conduzione del negoziato da parte europea – o, peggio ancora, la sua sospensione – spezzerebbe un circolo virtuoso dal quale l’Europa intera, prima ancora che la Turchia, ha certamente tutto da guadagnare.

I turchi desiderano ancora entrare nell’UE?

Il ‘desiderio’ della popolazione turca di entrare nell’Ue rimane, a mio giudizio, fondamentalmente inalterato. L’ingresso nell’Ue resta il punto più alto di un processo di occidentalizzazione inaugurato con la nascita stessa della Repubblica. Sul piano strettamente simbolico-identitario, la valenza attribuita all’ingresso nell’Unione resta dunque profondamente radicata nell’opinione pubblica turca.

Non si può tuttavia ignorare il trend negativo registrato, nell’opinione pubblica turca, circa il sostegno al negoziato di ingresso nell’Ue, frutto dei suoi altalenanti risultati e di uno strisciante senso di pretestuosità delle sue clausole – scritte e non. Il rischio, dunque, è che le perplessità sull’andamento del negoziato – e, più in generale, sulla buona fede nella conduzione dello stesso da parte delle cancellerie europee – possa finire per inficiare, nel medio periodo, lo stesso desiderio dei Turchi di entrare in Europa.

Il segretario alla Difesa Usa, Robert Gates, ha recentemente accusato l’UE di aver “spinto Ankara verso Oriente”…

Non c’è dubbio che le ambiguità e i tentennamenti delle cancellerie europee in relazione al nodo dell’ingresso turco nell’Ue abbiano costituito un importante incentivo al ripensamento delle direttrici della politica estera del Paese. Un ruolo analogo ha tuttavia rivestito l’unilateralismo delle scelte di politica regionale adottato dalle amministrazioni Bush.

Detto ciò, ritengo che il ripensamento delle direttrici della politica estera turca abbia radici più profonde, legate al processo di ridefinizione del ruolo internazionale e regionale del Paese nel sistema post-bipolare. Il dialogo con tutti gli attori facenti parte del difficile scenario regionale al cui centro la Turchia si colloca – dalla Russia alla Siria, dall’Iraq all’Iran, dai paesi del Golfo fino al Pakistan – è, per Ankara, una necessità storica, non una scelta congiunturale. Nella stessa logica rientra, a mio avviso, l’apertura al dialogo con gli attori regionali non statali – da Fatah ad Hamas passando per Hezbollah.

La presunta tendenza ‘filo-islamica’, che molti analisti scorgono nella politica estera turca, è dunque una semplificazione che nasconde più di quanto non riveli delle sue attuali direttrici.

Quanto è stato determinante il ruolo dell’attuale Ministro degli Esteri Ahmet Davutoglu nella svolta geopolitica di Ankara degli ultimi tempi?

Davutoglu è sicuramente una figura centrale del pensiero politico dell’AKP su questioni di politica estera. Ancora prima di divenire Ministro degli Esteri, Davutoglu – nella sua veste accademica prima e in quella di consigliere di Erdogan poi – ha gettato le basi di una teorizzazione delle linee guida di politica estera nazionale della quale la Turchia aveva certamente bisogno. Non è un caso che questa necessità fosse apparsa in maniera già piuttosto evidente con i governi Ecevit – che hanno preceduto l’ascesa politica dell’AKP. Questa considerazione è centrale proprio nell’ottica di riportare l’azione dell’AKP a più datate linee di politica estera.

Che cosa intende Davutoglu con il concetto di “profondità strategica” (stratejik derinlik)?

La cosiddetta dottrina della “Profondità strategica” risponde alla richiamata necessità, per la Turchia, di ridefinire il ruolo del Paese in un contesto regionale ed internazionale ben più complesso rispetto a quello precedente al 1989-’91. La ridefinizione del ruolo regionale ed internazionale del Paese passa, secondo tale dottrina, dalla possibilità di riscoprire la centralità assicurata alla Turchia da considerazioni di natura geografica, storica e culturale. Ankara è chiamata a bilanciare i tradizionali rapporti con gli interlocutori euro-atlantici, con una fitta rete di relazioni regionali inclusive. Una rete economico-diplomatica che, da un lato, metta la Turchia al riparo dalle periodiche crisi regionali e, dall’altro, innalzi il Paese al rango di attore pivotale su un piano multi-regionale. Il passaggio dalla ‘periferia’ al ‘centro’ del sistema internazionale post-bipolare rappresenta, in ultima istanza, l’essenza e l’obiettivo prioritario della dottrina della “Profondità strategica”.

È ipotizzabile l’uscita della Turchia dalla Nato nel breve-medio periodo?

Direi di no. La Nato resta un fattore determinante per l’ancoraggio del Paese alle strategie di sicurezza euro-atlantiche. Ciò non vuol dire, tuttavia, che Ankara aderisca e sostenga incondizionatamente le attività dell’Alleanza, tanto più laddove queste minaccino – come nello scacchiere del Mar Nero allargato – di tradursi in un fattore di destabilizzazione regionale piuttosto che l’inverso.

La conferenza di Istanbul del 10 giugno 2010 ha auspicato la nascita di una zona di libero scambio tra Turchia, Siria, Libano e Giordania. Quali risvolti politici potrà avere tale progetto?

L’idea di creare una zona di libero scambio con Siria, Libano e Giordania non è che l’ultimo passo di un processo di approfondimento degli scambi economico-commerciali con i paesi mediorientali che sostiene e completa la “Profondità Strategica” della Turchia. L’interdipendenza economica rappresenta infatti, in questo quadro, un imprescindibile pilastro dell’intesa diplomatica tra Ankara ed i propri vicini – secondo un assunto liberista che fu già propugnato, a cavallo tra gli anni ottanta e novanta, dall’allora Primo Ministro e Presidente della Repubblica Turgut Ozal.

Vi potrà entrare anche l’Iran?

Se la logica dell’accordo è quella di approfondire l’intesa economico-diplomatica con i propri vicini nella prospettiva di favorire la cooperazione e la stabilità regionale, non vedo – almeno in linea di principio – incongruenze rispetto alla partecipazione di altri attori regionali, ivi compreso l’Iran.

Come sono realmente i rapporti politici, economici e militari tra la Turchia e Israele, al di là dell’apparente freddezza sul piano diplomatico ufficiale?

L’asse turco-israeliano ha rappresentato un fattore di prioritaria importanza per le politiche regionali dei due paesi nel corso degli anni novanta. All’interesse di Tel Aviv di scongiurare il totale isolamento regionale, faceva da contraltare l’interesse di Ankara di sfruttare l’alleanza militare con Israele in relazione ai principali nodi di tensione regionali che la vedevano coinvolta.

La prospettiva turca è tuttavia profondamente mutata proprio in ragione dell’inaugurazione di una linea diplomatica di dialogo con i propri vicini. Una linea che rende oggi Israele meno indispensabile per la Turchia di quanto non lo fosse un quindicennio or sono. L’approfondimento delle relazioni diplomatiche tra Ankara ed i propri vicini – sia pur con modalità spesso invise a Tel Aviv – rende invece la Turchia, paradossalmente, più importante che mai per Israele. La mediazione di Ankara con la Siria, così come la possibilità che la Turchia assuma un ruolo di mediazione con Hamas e tra le stesse fazioni palestinesi, rappresentano le più evidenti manifestazioni di questa tendenza.

Il sostegno alla causa palestinese più volte ribadito da Erdogan è davvero sincero o è l’ennesima strumentalizzazione dei palestinesi a uso interno e finalizzata alla crescita del prestigio turco presso le masse islamiche?

Il sostegno alla causa palestinese non nasce, in Turchia, con Erdogan. È, al contrario, fenomeno le cui origini possono essere collocate almeno negli anni settanta e che trascende la sfera politico-istituzionale. Ciò detto, le posizioni filo-palestinesi assunte dall’AKP rispondono ovviamente anche a logiche di natura interna, così come alla richiamata volontà di giocare un ruolo di primo piano sullo scenario regionale.

La recente riforma costituzionale – che dovrà essere approvata mediante un referendum popolare in programma nel settembre 2010 – come cambierà gli equilibri interni della Turchia?

Il referendum costituzionale rappresenta il punto forse più alto della contrapposizione tra il tradizionale establishment kemalista e i circoli governativi – una contrapposizione alla spalle della quale si colloca il più profondo contrasto tra le diverse anime socio-culturali del Paese. Al tempo stesso, il referendum costituirà un fondamentale banco di prova per la tenuta del governo in previsione della scadenza elettorale fissata per il 2011. Ritengo che molto delle future direzioni che il governo prenderà sul piano interno dipenderanno dall’esito referendario, che rischia tuttavia di tradursi in un elemento di ulteriore polarizzazione dello spettro politico, istituzionale e sociale interno.

Come è mutata, negli ultimi dieci anni, l’opinione pubblica turca nei confronti degli Stati Uniti, soprattutto in seguito all’invasione anglo-americana dell’Iraq del 2003?

Le due amministrazioni Bush hanno fatto registrare uno dei punti più bassi nella storia delle relazioni turco-statunitensi - dai quali l'Amministrazione Obama cerca oggi, non senza difficoltà, di risollevarsi. Tale dinamica non poteva non trovare rispondenza in un'opinione pubblica, quella turca, tradizionalmente molto attenta alla politica estera del Paese e che ha assistito ad un progressivo scollamento degli interessi e delle strategie regionali dei due partner. Il nodo iracheno rappresenta infatti, in questo contesto, solo il punto più alto di una crisi nelle relazioni bilaterali che si è manifestata con altrettanta chiarezza in relazione alle questioni più rilevanti questioni regionali: dal dossier iraniano alla cooperazione alla sicurezza nell'area del Mar Nero allargato, dal processo di pace in Medio oriente sino alla questione armena.

14 luglio 2010

francesco.algisi@archiviostorico.info Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Spetaktor
19-08-10, 19:57
Davutoglu: nessun paese può minacciare la Turchia

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Davutoglu: nessun paese può minacciare la Turchia
ANKARA – Il Ministro degli Esteri turco, Ahmet Davutoglu ha respinto le informazioni riferite recentemente da un quotidiano inglese affermando che nessun paese si può permettere di “dare avvisi” alla Turchia, specialmente al primo ministro. Secondo la rete satellitare PressTv, rispondendo ad un articolo pubblicato lunedi dal Financial Times, Ahmet Davutoglu ha affermato: “Nessun paese può permettersi di dare avvisi alla Turchia. Nessun paese, in particolare, è in grado di parlare con il nostro primo ministro con certi toni”, ha detto Davutoglu al quotidiano turco Zaman. Le sue considerazioni sono giunte dopo che il quotidiano britannico aveva parlato di una sorta di rimprovero fatto al premier turco Erdogan da parte di un “responsabile” dell’amministrazione Obama che aveva informato un probabile no del Congresso alla vendita di aerei senza pilota americani ad Ankara per via delle sue politiche su Iran e Israele. La Turchia richiede l’acquisto di aerei senza pilota per poter contrastare l’azione dei terroristi del P.K.K. Secondo molteplici resoconti, però, il gruppo terrorista curdo è fortemente sostenuto da Israele e dal Mossad che alla sigla terroristica darebbe armi e sostegno logistico diretto.

Spetaktor
23-08-10, 18:32
(ASCA-AFP) - Ankara, 23 ago - Ankara ha deciso di rimuovere l'Iran
dalla lista delle nazioni che ''costituiscono una minaccia per la
Turchia'' nel suo nuovo documento di politica di sicurezza nazionale,
conosciuto come ''la costituzione segreta''. A riferirlo il quotidiano
Milliyet. La revisione della lista, effettuata dal Consiglio di
sicurezza nazionale turco, sara' adottata nel mese di ottobre. Da
allora, non si fara' piu' riferimento all'Iran come a una ''minaccia
specifica''.
La revisione fa anche riferimento al controverso programma nucleare
iraniano, ribadendo che la Turchia e' favorevole a un Medio Oriente
libero dal nucleare. Il miglioramento dei legami tra Turchia e Iran ha
suscitato negli ultimi mesi le preoccupazioni dell'Occidente. Il
governo del primo ministro Recep Tayyip Erdogan insiste sul forte
legame della Turchia con l'Occidente, nonostante cerchi di intessere
relazioni piu' profonde con i suoi vicini mediorientali e asiatici.
Rimangono tesi i rapporti tra Ankara e Israele.

José Frasquelo
23-08-10, 18:43
Avanti così. Turchia eurasiatica!

Anton Hanga
23-08-10, 22:52
E' evidente che oggi i due stati che maggiormente si muovono nella prospettiva eurasiatica sono la Turchia e l'Iran.

Spetaktor
23-08-10, 23:05
http://www.finalcall.com/artman/uploads/1/turkey_brazil_iran05-2001_1.jpg

José Frasquelo
24-08-10, 08:20
E' evidente che oggi i due stati che maggiormente si muovono nella prospettiva eurasiatica sono la Turchia e l'Iran.

Esatto! :-)

EURIDICE
08-09-10, 14:23
ricordo 1 frase di ERDGAN quando era ancora sindaco di Istanbul
(quella che una volta si chiamava cristianamente Costantinopoli)
"Nn esiste un mussulmano laico , o sei musulmano o sei laico"
io sono assolutamente d'accordo

Spetaktor
08-09-10, 19:24
ricordo 1 frase di ERDGAN quando era ancora sindaco di Istanbul
(quella che una volta si chiamava cristianamente Costantinopoli)
"Nn esiste un mussulmano laico , o sei musulmano o sei laico"
io sono assolutamente d'accordo

Beh, è ovvia. Come non esiste un cristiano laico. O un ebreo laico.

Spetaktor
08-09-10, 19:26
Beh, è ovvia. Come non esiste un cristiano laico. O un ebreo laico.

A meno che per "laico" non si consideri la definizione corretta: "Che non fa parte del clero".


Laico: Definizione e significato del termine Laico - Dizionario della lingua italiana - Corriere della Sera (http://dizionari.corriere.it/dizionario_italiano/L/laico.shtml)

José Frasquelo
08-09-10, 23:06
Mi pare naturale che in questa accezione per laico si intenda il tipo secolarizzato.

Spetaktor
22-09-10, 22:45
TELAVIV – Il leader dei terroristi del PKK ha confermato le voci corse negli ultimi mesi ed ha annunciato ufficialmente l’alleanza del suo gruppo con Israele. Intervistato dalla tv israeliana Channel 2 mentre si trovava nelle roccaforti PKK del nord dell’Iraq, Murat Karayilan ha invitato Israele a interrompere ogni sorta di relazioni con la Turchia, paese che ha definito un nemico comune di Israele e del PKK. “I nostri nemici sono pure nemici di Israele”, ha detto il capo terrorista che ha aggiunto: “Il nostro problema sono le cooperazioni militari tra Israele e la Turchia. Sono quelle che sono un danno per noi”. Il PKK, considerato un gruppo terroristico dalla Turchia e dalla maggiorparte della comunita’ internazionale ha causato la morte di 45 mila persone, per lo più di nazionalita’ turca, dall’inizio della sua attivita’ nel 1984. La roccaforte del gruppo è la catena montuosa dei Qandil, situata nel Kurdistan iraqeno ed è proprio in queste zone che, secondo alcuni rapporti, Israele avrebbe mandato equipaggiamenti e militari per dare supporto al gruppo. Nel mese di giugno Sedat Laciner, presidente del think-thank turco International Strategic Research Organization aveva detto che il Mossad e l’esercito israeliano inviano i loro istruttori nei covi del PKK.

Terrorismo: PKK dichiara alleanza con Israele in funzione anti-turca (http://italian.irib.ir/notizie/mondo/item/85207-terrorismo-pkk-dichiara-alleanza-con-israele-in-funzione-anti-turca)

Spetaktor
03-10-10, 20:34
Giochi di destabilizzazione in Turchia
Turchia :::: Aldo Braccio :::: 1 ottobre, 2010 :::: Email This Post Print This Post
Giochi di destabilizzazione in Turchia
Ahmet Őzal, figlio di Turgut Őzal (Primo Ministro turco fra il 1983 e il 1989 e poi Presidente della Repubblica dal 1989 alla morte, avvenuta quattro anni dopo) ha sporto denuncia contro il generale Sabri Yirmibeşoğlu, che fu a capo del Dipartimento operazioni speciali dell’Esercito: l’accusa è di avere organizzato, il 18 giugno 1988, un tentativo di assassinio del padre, all’epoca ritenuto dagli ambienti militari troppo “amico dei curdi”.
Il generale nega le accuse, ancora da provare, ma resta sintomatico che lo stesso personaggio abbia ammesso le gravi responsabilità di quel dipartimento in due precedenti tragici eventi: nel 1955 in un attentato contro un museo di Salonicco dedicato ad Atatürk – attentato destinato a scatenare la rabbiosa violenza degli estremisti turchi contro i greci a Istanbul e a Izmir, con un bilancio di 16 morti e decine di feriti gravi – e nel 1974 nell’incendio doloso di una moschea a Cipro, anche qui artatamente attribuito ai greci per attizzare il fuoco tra gli stessi e i turchi.

Sabri Yirmibeşoğlu
Frammenti di una guerra sotterranea che ha causato, in decenni vissuti tra operazioni speciali e colpi di Stato, migliaia di morti in Turchia, con il beneplacito dei potenti alleati statunitensi, padroni assoluti del Paese.
Non è un caso che una fondazione come l’ARI, istituita nel 1994 e strettamente collegata alle maggiori lobbies sioniste quali l’AIPAC e il JINSA, è ora impegnata a coprire e minimizzare i guasti dell’”operazione Ergenekon”: significativo che un suo esponente di spicco sia Anthony Blinken, consulente sulla sicurezza nazionale USA per conto del Vicepresidente Biden, da sempre nemico giurato della Turchia.

La parola d’ordine per questi falsari è: Ergenekon non esiste, se non come pretesto creato dagli “islamisti” per imporre il loro potere assoluto; del resto contro il governo dell’AKP anche buona parte della stampa turca è mobilitata: in prima fila il magnate Aydın Doğan, proprietario del gruppo DMG, di gran lunga il maggior gruppo editoriale e mediatico della Turchia . Accusato di evasione fiscale e condannato a una supermulta di oltre un miliardo di lire turche (l’equivalente di circa mezzo miliardo di euri), Doğan è stato per ora salvato dal Consiglio di Stato, che ha bloccato nei giorni scorsi l’imposizione dell’ammenda, in attesa di una nuova pronuncia giudiziaria.

Intanto la guerriglia terrorista del PKK rimane virulenta (nove morti ad Hakkarı nell’esplosione di un minibus), ma si tratta di un PKK sempre più infiltrato e manomesso da Mossad e servizi americani: in una recente intervista Hüseyin Yıldırım, ex numero due dell’organizzazione, ha accusato il PKK di essere ormai uno strumento manipolato dai militari turchi e dalla NATO, e i suoi attuali maggiori dirigenti (ha citato Semdin Sakık e Selim Čürükkaya) di far parte della “Gladio turca” (Ergenekon). In un’intervista di inizio anno lo stesso Őcalan aveva confessato di avere perso il controllo dell’organizzazione PKK, e sottolineato la strategia statunitense di frammentazione dell’area vicino orientale.

***
Contro questi tentativi di destabilizzazione e di frammentazione – che hanno ricevuto un parziale ma non risolutivo colpo con il referendum del 12 settembre – la Turchia di Erdoğan e di Davutoğlu risponde con una politica di comunicazione e di solidarietà che trova successo e riscontro nei Paesi vicini – creando realmente una rete di incontri e di collegamenti utilissimi in prospettiva eurasiatica.

Nelle scorse settimane è nato il Consiglio per la cooperazione dei paesi turcofoni, con sede a Istanbul, mentre in questi giorni si tiene – nella stessa città – il Forum su economia ed energia dei Paesi del Mar Nero.

L’esecutivo si muove in armonia con la volontà prevalente della popolazione, attestata anche in recenti sondaggi internazionali (gli ultimi quello del Pew Research Center Global Attitudes Survey e quello del German Marshall Fund’s Transatlantic Trends Survey): una fiducia massiccia e in crescita verso i Paesi vicini, Iran e Russia compresi, una notevole freddezza verso gli Stati Uniti d’America.

Proprio negli USA si manifesta la maggiore incomprensione per il ruolo svolto dalla Turchia, tradizionale “testa di ponte” atlantica della seconda metà del secolo scorso; di passaggio, vogliamo citare un curioso recente intervento di Stephen Kinzer apparso su Reset e ospitato sul sito di Foreign Affairs, pubblicazione del CFR (Council on Foreign Relations): in Iran, Turkey and America’s future egli propone una inedita alleanza fra i tre Paesi “per promuovere una cultura della democrazia e combattere l’estremismo” !

L’idea potrebbe essere qualificata semplicemente come bizzarra se non celasse – è un’ipotesi – una strategia di “addomesticamento” dell’Iran e della stessa Turchia con metodi da rinvenire nel vasto repertorio strumentale statunitense.

*Aldo Braccio, esperto del mondo turco nelle sue relazioni interne ed internazionali

Giochi di destabilizzazione in Turchia | eurasia-rivista.org (http://www.eurasia-rivista.org/6248/giochi-di-destabilizzazione-in-turchia)

Spetaktor
24-10-10, 01:02
Strategie israeliane di accerchiamento della Turchia | eurasia-rivista.org (http://www.eurasia-rivista.org/6483/strategie-israeliane-di-accerchiamento-della-turchia)

Spetaktor
24-10-10, 01:04
Turchia e Iran: alleati o semplici amici? | eurasia-rivista.org (http://www.eurasia-rivista.org/6370/turchia-e-iran-alleati-o-semplici-amici)

La Cina corteggia la Turchia | eurasia-rivista.org (http://www.eurasia-rivista.org/6464/la-cina-corteggia-la-turchia)

Spetaktor
29-10-10, 23:33
Ankara è sempre più fredda con Israele, Usa e Ue
L'ultima è del 26 ottobre scorso. Secondo il quotidiano turco Sabah, che cita fonti governative, i vertici dell'intelligence di Ankara hanno interrotto qualsiasi forma di collaborazione con il Mossad, il servizio segreto israeliano. Il quotidiano israeliano Ha'aretz ha tentato di ottenere una conferma o una smentita dal premier d'Israele Benjamin Netanyahu, raccogliendo il silenzio che i politici dello Stato Ebraico riservano all'argomento fin dai tempi di Ben Gurion.

La notizia è più che verosimile, visto e considerato che la tensione tra Turchia e Israele è a livelli di guardia fin dal 31 maggio scorso, giorno dell'assalto in acque internazionali alla Freedom Flotilla, carovana di navi cariche di aiuti umanitari dirette a Gaza. I corpi speciali israeliani hanno assassinato nove militanti, tutti cittadini turchi. Le autorità israeliane si sono rifiutate di presentare le scuse ufficiali richieste dal governo turco e, il 24 ottobre scorso, hanno diffuso i risultati della loro indagine interna sui computer dei militanti a bordo della Mavi Marmara, nave della Freedom Flotilla che ha subito l'assalto più violento e aveva a bordo le vittime. Secondo i documenti sequestrati ai manifestati all'epoca, ci sarebbe un legame diretto tra gli organizzatori della spedizione a Gaza e il governo turco. Un altro attacco alla Turchia. A giugno scorso, del resto, subito dopo la crisi per la Freedom Flotilla, il governo israeliano si era detto furioso con quello quello turco a causa della nomina di Hakan Fidan quale capo dei servizi segreti turchi. Fidan, fedelissimo del premier turco Erdogan, viene ritenuto un sostenitore della cooperazione della Turchia con l'Iran.

Il 25 ottobre scorso, ennesima puntata di questa sfida, il governo di Ankara - secondo quanto riportato dal quotidiano turco Zaman - ha reso note a Washington le precondizioni con le quali si vuole sedere al tavolo negoziale del vertice Nato in programma a Lisbona il 19 e 20 novembre prossimo. Nella capitale portoghese, tra gli altri, sarà affrontato il tema dello scudo anti-missile, vissuto dall'Iran come una mossa della Nato contro il suo programma nucleare. L'esecutivo turco ha fatto presente che per concedere il suo territorio alle installazioni necessarie allo scudo, che saranno anche in Polonia e Repubblica Ceca, vuole la garanzia assoluta che nessuna informazione del sistema di difesa integrato venga passata a paesi non membri della Nato. Che è come dire Israele.

La tensione con Israele è solo la parte più evidente di una diffidenza che, fin dalla sua elezione nel 2002, accompagna il premier turco Erdogan e il suo partito Akp. Il primo passo fu il rifiuto alle truppe Usa di utilizzare le basi in Turchia per attaccare l'Iraq nel 2003. Non era mai successo prima. Come la cooperazione militare con Israele, dopo la Seconda Guerra mondiale, è stata una costante della politica estera di Ankara. Le cose hanno iniziato a cambiare nel 2006, con l'attacco israeliano al Libano, deteriorandosi fino allo scontro aperto nel 2008, con l'attacco israeliano a Gaza.
Le posizioni del governo turco sono diventate sempre più ostili, anche perché Erdogan e i suoi non hanno mai fatto mistero di vedere in Israele e nell'intelligence Usa la fonte di approvvigionamento della guerriglia curda del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (Pkk), in lotta da anni contro il potere centrale in Turchia. Secondo la Turchia, il Pkk viene utilizzato per destabilizzare il governo di Ankara.

In questo quadro si inserisce l'ultimo sgarbo, almeno nella percezione di Ankara. Il vertice dei ministri degli Interni Ue a Lussemburgo, il 25 ottobre scorso, ha deliberato il dispiegamento di una forza di intervento rapido, in gergo Rapid Border Intervention Teams (Rabit-s), al confine tra la Grecia e la Turchia. La decisione è stata presa dopo il rapporto pubblicato da Human Rights Watch, che monitora il rispetto dei diritti umani nel mondo, il 20 settembre 2010. L'organizzazione denuncia i ritardi nella riforma delle norme di Atene in materia di diritto d'asilo e ricorda come siano più di quarantamila le persone che attendono l'esito dei loro ricorsi contro i provvedimenti d'espulsione. L'Onu ha stigmatizzato la Grecia, che ha ribadito di non essere in grado di far fronte da sola alle migliaia (il novanta per cento degli ingressi illegali in Europa avvengono in Grecia) al flusso illegale dalla Turchia. L'Ue ha risposto all'appello di Atene mandando i militari che, come da mandato dell'agenzia Frontex che 'difende' le frontiere europee dai disperati, può anche usare la forza. Un messaggio alla Turchia: l'Europa per Ankara è sempre più lontana. Secondo alcuni, lo slittamento della politica estera turca lontano dall'Occidente è colpa di quella porta chiusa, secondo altri è frutto di una lucida strategia. Il fatto, per ora, è che quella frontiera, dopo anni di discorsi vacui su visti agevolati e abbattimento delle dogane, torna a essere militarizzata come nel peggior passato recente.

Christian Elia

PeaceReporter - Turchia, tra orgoglio e realpolitik

José Frasquelo
30-10-10, 12:56
Se Turchia e Iran lavorano in sinergia diventa dura per gli altri. Avanti Erdogan!

Spetaktor
24-11-10, 01:52
Summit NATO. Il gioco di Ankara
di Alberto Tundo *


Via il riferimento all'Iran nei documenti sullo scudo missilistico e pianificazione strategica concertata: a Lisbona la Turchia ha imposto il suo gioco
Aveva delle buone carte da giocare e alla fine della partita ha portato a casa i suoi punti. Se ha senso cercare un vincitore al termine del vertice Nato di Lisbona, allora certamente uno dei Paesi che può essere più soddisfatto del meeting è la Turchia.

Il doppio colpo di Ankara. Sono due i successi più evidenti ottenuti dalla delegazione turca, due vittorie che mettono Ankara al centro della scena e sono di fatto la consacrazione di un gioco diplomatico condotto con grande abilità dal premier Tayyip Erdogan e dal suo ministro degli Esteri, Ahmet Davutoglu, da molti osservatori ritenuto l'ideologo di questo neo-ottomanesimo, cioè del ritorno ad una politica estera quasi imperiale. Com'era stato largamente previsto, i turchi hanno puntato i piedi su due temi in particolare, legati strettamente a quella che è diventata una priorità della politica di difesa Usa e, quindi, della Nato: lo scudo missilistico.

La Turchia ha ottenuto che nei documenti ufficiali, lo schema difensivo a beneficio dei partner europei basato su un sistema di radar e missili intercettori, non sia diretto apertis verbis contro l'Iran. Allo stesso modo, ha imposto a Washington e ai partner dell'Alleanza un suo ruolo nella pianificazione strategica, prima dell'utilizzo dello scudo, e nella gestione delle relative strutture situate sul proprio territorio. "La questione - aveva detto Erdogan alla stampa - è chi avrà il comando e dovrebbe spettare a noi, soprattutto se è un piano che va attuato nei nostri confini, altrimenti non ci sarà possibile accettarlo". Sembra una cosa da poco ma geopoliticamente vale molto e certifica la trasformazione del brutto anatroccolo in un cigno: il membro dell'Alleanza che un tempo portava in dote la sua posizione strategica, adesso è un attore che ha una propria capacità di manovra, un proprio spazio vitale che prescinde dalla Nato. Negli ultimi anni, il governo turco si è avvicinato molto a quello iraniano, fungendo da mediatore e garante con la comunità internazionale, per la questione nucleare; ma Ankara è legata a Teheran dagli enormi interessi che riguardano la partita energetica, con la Turchia che è il principale consumatore del gas iraniano.

Una crescente indipendenza. Lo scorso luglio, al Consiglio di Sicurezza dell'Onu, fu proprio Ankara ad opporsi ad un inasprimento delle sanzioni contro l'Iran, sospettato dagli Stati Uniti ma non solo di lavorare ad un progetto nucleare con scopi militari. Una minaccia, quella dell'atomica degli ayatollah, contro la quale era stato progettato un sistema difensivo che prevedeva l'integrazione delle strutture dei vari Paesi dell'Alleanza in un quadro di difesa integrato, con radar e missili intercettori montati in Polonia, Romania e Turchia appunto, la quale non vuole che lo scudo missilistico sia presentato al mondo come un'arma in funzione anti-iraniana. E' una questione di interessi economici, geopolitici ma anche di sicurezza nazionale: la leadership turca sa cosa potrebbe accadere se gli Stati Uniti o Israele arrivassero ad uno scontro armato con l'Iran, con cui divide i confini orientali, quindi si è mossa per disinnescare la bomba. Ad un congelamento dei rapporti con Gerusalemme, Ankara ha accompagnato segni di distensione e normalizzazione nei confronti di due Paesi del cosiddetto "asse del male", Iran e Siria. Non è un caso che nel documento strategico sulla sicurezza nazionale, detto libro rosso, diffuso ad ottobre dall'esercito turco, questi ultimi due stati sono stati eliminati dalla lista delle potenziali fonti di pericolo. Israele, invece, vi figura ancora.

Prima veniamo noi, poi la Nato. Gli analisti aspettavano Ankara al varco, dopo il "tradimento" del voto pro-Iran al Consiglio di Sicurezza: adesso dovrà dimostrare di essere ancora un partner fedele e affidabile, hanno detto in molti nei giorni a ridosso del vertice. Ma la Turchia non si è presentata per fare un atto di contrizione, tutt'altro. La difficoltà principale stava nel far passare il messaggio che se l'Iran dovesse dimostrarsi un pericolo, non sarà il governo turco a frenare una politica di containment. Ma al momento non lo è. Lo dicono sondaggi recentissimi, secondo i quali per i turchi un Iran dotato di armi nucleari non costituirebbe comunque una minaccia, non evidente come quella terroristica. "La Turchia prende le sue decisioni in primo luogo guardando al suo interesse nazionale e solo dopo alla solidarietà dell'Alleanza", ha detto senza mezzi termini il presidente turco Abdullah Gul. Non c'è molto da dire. Questa chiarezza spiega perché Washington e gli altri alleati si siano dovuti rassegnare a eliminare qualsiasi riferimento all'Iran e a far entrare la Turchia nella stanza dei bottoni, quella in cui le linee strategiche vengono definite. Gli elementi di dettaglio, come quelli riguardanti il comando, il controllo e il posizionamento degli elementi del sistema difensivo, verranno decisi più avanti. Al momento si sa che ai governi alleati sarà chiesto uno sforzo di circa 200 milioni di euro, da qui ai prossimi dieci anni, per integrare i propri sistemi missilistici nel quadro dello scudo americano.

* da La rete della pace, reportage dal mondo - PeaceReporter (http://www.peacereporter.net)

Spetaktor
26-11-10, 00:00
Turchia, piccola Cina d’Europa

Osservatorio geopolitico (http://www.vxp.it/index.php?option=com_content&view=category&layout=blog&id=57&Itemid=85)
Fonte: Linea, 9 novembre 2010
Autore: Ermanno Visintainer

Jean-Marc Vittori, editorialista francese di “Les Echos”, ha recentemente pubblicato un articolo intitolato: “La Turchia, piccola Cina dell’Europa”, in cui descrive i punti salienti del miracolo economico che sta investendo questo Paese afreuasiatico, come lo definisce il Ministro degli Esteri turco Ahmet Davutoglu, volendone puntualizzare l’ubicazione sul punto di congiunzione di tre continenti.

“L’Europa ha una piccola Cina alle sue porte – continua Jean-Marc Vittori – a partire da metà 2009 fino a metà 2010, la Turchia ha incrementato la sua produzione di oltre il 10%, la crescita più veloce al mondo dopo quella del Regno di Mezzo”. E come preconizzava Sami Uslu, opinionista del quotidiano turco, Zaman, poco più di un anno fa, scrivendo che la Turchia sarebbe uscita rafforzata dalla crisi economica internazionale, questo è proprio ciò che sta accadendo. Il suo mercato interno sarà presto più popoloso di quello della Germania e di quelli dei paesi più densamente abitati dell’Unione europea. Mentre il suo tenore di vita, un terzo di quello dell’Unione, è in piena espansione. In meno di un decennio, i suoi proventi sono accresciuti della metà. E sebbene l’Europa rimanga di gran lunga il suo partner commerciale più importante, gli esportatori turchi non disdegnano di cercare nuovi mercati in Asia, Nord Africa, Medio Oriente e Africa onde compensare la depressione del Vecchio Continente.

La Turchia di Erdogan, scrive questa volta il Sole 24 Ore, è una potenza economica regionale, la seconda dell’area dopo la Russia, la diciassettesima del mondo, pronta ad entrare tra i primi dieci nei prossimi anni. Con un PIL che, nel secondo trimestre dell’anno, si aggira intorno all'8/9%. Quanto al rapporto deficit/Pil, stando alle dichiarazioni del ministro delle finanze turco, Mehmet Simsek, è probabile che sia intorno a 4,5%-5%.

Per anni l’attenzione da parte dell'Europa nei confronti della Turchia è stata motivata dalla sua posizione geopolitica. Infatti, il Paese è, a tutti gli effetti, la porta naturale dell’Europa verso l’Eurasia. Tuttavia essa viene ad assumere un’importanza anche per il suo sviluppo economico, di cui volenti o nolenti, gli europei dovranno prenderne atto.
E l’Italia si sta muovendo in questa direzione. Significativo è stato il vertice trilaterale svoltosi il 6 agosto 2009, ad Ankara fra Tayyip Erdogan, Vladimir Putin e Silvio Berlusconi, durante il quale è stato sottoscritto un protocollo di cooperazione Eni e Gazprom al 50%, per la realizzazione del gasdotto South Stream attraverso il Mar Nero. Il 21 aprile scorso era stato invece programmato un altro vertice a Roma fra Erdogan e Berlusconi, poi saltato, nella cui agenda dei colloqui, oltre ai temi dell’energia, dovevano esserci anche quelli della cooperazione economica. Nella fattispecie, inerenti alla possibilità di investimenti nella regione anatolico-orientale.

Tuttavia, secondo un’analisi effettuata sempre dal Sole 24 Ore di qualche mese fa, la situazione delle relazioni italo-turche appare in chiaro- scuro: le cifre del commercio con Roma ammontano a soli 12,1 miliardi di dollari, sebbene sul fronte degli investimenti diretti esteri, l’Italia vada in contro tendenza, piazzandosi al quinto posto, con 253 milioni di dollari investiti. Una quota degli investimenti in Turchia pari al 3,6%, ma soprattutto un interessante + 4,6% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.

E l’Italia, storicamente possiede una posizione privilegiata per interloquire con questo paese affacciato sull’altra sponda del Mediterraneo e non può certo perdere il treno di questa opportunità storica che gli si presenta innanzi, solo per ammiccare ad un certo minimalismo nazional-populista fatto di slogan, in voga in questi ultimi anni.

Altrimenti i rischi diplomatici che, ad esempio, in Francia alcune estreme esternazioni presidenziali di ieri – sempre come scrive Vittori – hanno comportato, domani, chiuderanno la porta a uno dei Paesi economicamente più dinamici della regione.

José Frasquelo
26-11-10, 01:10
25-11-10
LIBANO: TURCHIA NON RIMARRA' IN SILENZIO A PROSSIMO ATTACCO DI ISRAELE

(ASCA-AFP) - Beirut, 25 nov - Se Israele attacchera' di nuovo il Libano o la striscia di Gaza, la Turchia ''non rimarra' in silenzio''. Queste le parole del Primo ministro turco, Recep Tayyip Erdogan, in visita nella capitale libanese. ''Israele ha forse intenzione di entrare in Libano con aerei e carri armati moderni, uccidendo donne e bambini, per poi domandarci di stare zitti?'', ha chiesto Erdogan in un discorso tenuto durante la riunione annuale dell'Unione della banche arabe.

''Vuole usare le armi piu' sofisticate e le bombe al fosforo per trucidare la popolazione e contemporaneamente obbligarci a tacere?'', ha ripetuto il Primo Ministro rivolgendosi al suo collega libanese, Saad Hariri.

''Non staremo zitti e difenderemo la giustizia con tutti i mezzi a disposizione'', ha concluso Erdogan.

Spetaktor
26-11-10, 20:36
Toh, ma guarda te che caso:

WikiLeaks, i file accusano la Turchia

Fonte: PeaceReporter PeaceReporter - WikiLeaks, i file accusano la Turchia (http://it.peacereporter.net/articolo/25534/WikiLeaks,+i+file+accusano+la+Turchia)

Dagli stessi documenti, però, emerge un imbarazzante appoggio Usa al Pkk



Mentre Julian Assange, il guru di WikiLeaks, ha fatto perdere le proprie tracce, il gruppo di attivisti della rete non si ferma e continua a seminare zizzannia tra le cancellerie di tutto il mondo. Le prossime rivelazioni, attese nei prossimi giorni, si annunciano roventi.

In sintesi: la Turchia, durante l'ultima guerra in Iraq, avrebbe sostenuto al-Qaeda, mentre gli Stati Uniti, da anni, nonostante l'abbiano inserito nella lista nera dei gruppi terroristici, sostengono il Partito Curdo dei Lavoratori (Pkk) che lotta contro il governo di Ankara dagli anni Ottanta. Due rivelazioni mica da ridere. Lo rivela oggi il quotidiano arabo edito a Londra al-Hayat, ripreso da Washington Post e Jerusalem Post.

Le accuse alla Turchia, da parte degli Usa, sarebbero contenute in un documento militare inviato dall'intelligence dell'esercito Usa al governo di Washington. Il rapporto non accusa in modo diretto il governo turco, se non nell'ottica di un omesso controllo dei suoi confini, ma sottolinea come armi, munizioni e denaro fluissero nelle casse degli integralisti in Iraq dalla Turchia. Un altro rapporto, rispetto alle relazioni con il Pkk dell'intelligence Usa, parla dei guerriglieri curdi come ''guerrieri per la libertà e cittadini turchi'', nonostante il Pkk sia considerato negli States - a livello ufficiale - un gruppo terrorista dal 1979. I file che WikiLeaks si appresta a diffondere dimostrerebbero che i curdi hanno ricevuto armi dai militari statunitensi.

Una vicenda ingarbugliata, che si aggiunge alle tensioni internazionali che questi file riservati resi pubblici da WikiLeaks hanno generato con i file sull'Afghanistan e l'Iraq.Ma sembra che non finisca qui. I file in arrivo, da quello che si dice, potrebbero danneggiare i rapporti tra Stati Uniti e Russia e fra Washington e Israele. Tanto che la Casa Bianca avrebbe già avvertito direttamente i due governi amici della possibilità di rivelazioni imbarazzanti.Colloqui sarebbero avvenuti fra diplomatici Usa e il governo britannico, israeliano, norvegese, danese e canadese. Con il ministro degli Esteri australiano, Kevin Rudd, avrebbe parlato Hillary Clinton in persona, secondo i media locali.

Spetaktor
30-11-10, 19:53
La Turchia all’epoca di Wikileaks, ovvero: armi americane al PKK
di Aldo Braccio

La Turchia all (http://www.eurasia-rivista.org/7145/la-turchia-all%E2%80%99epoca-di-wikileaks-ovvero-armi-americane-al-pkk)

Colonna
04-12-10, 00:08
http://ecx.images-amazon.com/images/I/41N46322YYL._SS500_.jpg

Spetaktor
04-12-10, 02:55
http://ecx.images-amazon.com/images/I/41N46322YYL._SS500_.jpg

Sarebbe da tradurre in italiano.
"Profondità strategica", l'opera più importante di Davutoglu è stata tradotta solo in greco.

Spetaktor
04-12-10, 03:13
Se qualcuno ha voglia di tradurre:

http://forum.politicainrete.net/1687727-post215.html


:gluglu:

Spetaktor
08-12-10, 20:41
Il ritorno turco nei Balcani | eurasia-rivista.org (http://www.eurasia-rivista.org/7264/il-ritorno-turco-nei-balcani)

Spetaktor
10-12-10, 20:26
Ankara ha dichiarato Israele una minaccia per la Turchia | eurasia-rivista.org (http://www.eurasia-rivista.org/7328/ankara-ha-dichiarato-israele-una-minaccia-per-la-turchia)

sitoaurora
14-12-10, 23:59
La Turchia potrebbe sviluppare un aereo da caccia con Corea del Sud e Indonesia | Aurora (http://sitoaurora.xoom.it/wordpress/?p=764)

EURIDICE
15-12-10, 00:14
Turchia fuori dall' UE e fuori dalla NATO

Spetaktor
17-12-10, 23:37
Turchia: Red Book e politica estera | eurasia-rivista.org (http://www.eurasia-rivista.org/7434/turchia-red-book-e-politica-estera)

Spetaktor
25-12-10, 02:59
TURCHIA: COLLOQUIO VERTICI AFGHANISTAN E PAKISTAN SU COOPERAZIONE



(ASCA-AFP) - Istanbul, 24 dic - I presidenti afgano Hamid Karzai e pakistano Asif Ali Zardari si sono ritrovati a Istanbul per un incontro con il loro omologo turco Abdullah Gul. L'incontro e' il quinto di questo tipo da quando la Turchia, unico paese a prevalenza musulmana membro della Nato, ha inaugurato nel 2007 un meccanismo di consultazioni periodiche per incoraggiare i due paesi a superare le divergenze e cooperare contro gli estremisti.



I precedenti incontri tra i presidenti e i leader militari e di intelligence dei due paesi hanno condotto all'impegno di entrambe le parti a una piu' efficace cooperazione. Pakistan e Afghanist

TURCHIA COLLOQUIO VERTICI AFGHANISTAN E PAKISTAN SU COOPERAZIONE - Agenzia di stampa Asca (http://www.asca.it/news-TURCHIA__COLLOQUIO_VERTICI_AFGHANISTAN_E_PAKISTAN_ SU_COOPERAZIONE-977595-ORA-.html)



Ieri giovedì 23 dicembre, nel corso di una dichiarazionepronunciata in maniera univoca dalla Turchia,dall’Azerbaijan edall’Iran si sono impegnate per stabilire una più stretta cooperazione, con sforzi comuni per far fronte a diverse sfide che minacciano l’intera regione: combattere il terrorismo, il crimine organizzato e risolvere tutti i conflitti regionali che minano la stabilità.





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Turchia, Azerbaijan e Iran: la triplice alleanza



Le dichiarazione sono state pronunciate dai tre Ministri degli Esteri delle diverse Nazioni interessate Ahmed Davutoglu per la Turchia, Elmar Mammadyarov per l’Azerbaijan e Ali Akbar Salehi per l’Iran e che si sono incontrati per l’occasione ai margini dell’undicesimo summit che si è svolto ad Istanbul e per fornire anche una cooperazione regionale a livello economico.

Nella dichiarazione si afferma che: “I ministri hanno concordato, convenuto e pattuito di continuare e mantenere regolari incontri trilaterali”, aggiungendo, per altro, che con ogni probabilità il prossimo incontro si terrà in Iran.

I ministri hanno sottolineato ed hanno fatto riferimento al conflitto del Nagorno-Karabakh, chiarendo anche il bisogno di: “realizzare e raggiungere una risoluzione pacifica nei conflitti non ancora risolti nella regione e che si basa, come elemento principale, sull’integrità territoriale”.



Turchia, Azerbaijan e Iran: la triplice alleanza | Notizie (http://www.newnotizie.it/2010/12/24/turchia-azerbaijan-e-iran-la-triplice-alleanza/)

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Il presidente iraniano Ahmadinejad a Istanbul incontra Abdullah Gul





La Turchia, potenza regionale con un peso economico e politico sempre maggiore, puo’ essere la chiave di volta per la ricerca di una soluzione al problema del nucleare iraniano.

La stretta di mano tra il presidente Gul e il suo omonimo iraniano Ahmadinejad ha caratterizzato la prima giornata dal vertice dell’ECO, l’organizzazione per la cooperazione economica fondata nel 1955 e che raggruppa tutti o quasi i paesi dell’area compresi l’Afghanistan e il Pakistan.

Uno degli obiettivi del vertice di Istanbul è la ratifica di un Accorco Commerciale Globale.

Ankara dopo aver guardato per anni e semza troppo successo verso ovest intende riscoprire i legami storici con i paesi dell’aerea orientale. L’obiettivo di entrare a far parte un giorno dell’Unione Europea non è abbandonato ma ci sono anche altre priorità.

Il dossier sul nucleare iraniano puo’ essere un’occasione importante, Tra un mese l’incontro tra gli iraniani e i paesi del 5+1 si terrà proprio in Turchia, snodo diplomatico e neo potenza economica.

Il presidente iraniano Ahmadinejad a Istanbul incontra Abdullah Gul | euronews, mondo (http://it.euronews.net/2010/12/23/il-presidente-iraniano-ahmadinejad-a-istanbul-incontra-abdullah-gul/)

José Frasquelo
25-12-10, 04:46
Grande!

Spetaktor
15-01-11, 11:49
Fra arabi e turchi vince il dialogo e la comprensione | eurasia-rivista.org (http://www.eurasia-rivista.org/7748/fra-arabi-e-turchi-vince-il-dialogo-e-la-comprensione)

Spetaktor
22-01-11, 15:00
Aurora - Cooperazione militare turco-siriana (http://sitoaurora.altervista.org/Eurasia/Turchia36.htm)

Spetaktor
03-03-11, 00:01
La Turchia mantiene la sua rotta nella (http://www.eurasia-rivista.org/8522/la-turchia-mantiene-la-sua-rotta-nella-%E2%80%9Ctempesta%E2%80%9D-araba)

Acciaio
03-03-11, 11:14
E la Russia cosa fa?

José Frasquelo
26-05-11, 13:06
Turchia, elezioni: terza ondata di video a luci rosse

ANKARA – Lo scandalo delle intercettazioni video illegali a luci rosse ha colpito per la terza volta una formazione minore turca che e' ago della bilancia 'costituzionale' nelle elezioni parlamentari in Turchia del 12 giugno: i nazionalisti dell'Mhp, i cui seggi in bilico sulla soglia di sbarramento del 10% servono al premier islamico moderato Recep Tayyip Erdogan per imporre una nuova costituzione al paese senza doverla negoziare con la tendenzialmente piu' laica opposizione socialdemocratica del Chp. Sei dirigenti del partito, quattro dei quali con l'inflazionato grado di 'vicepresidente' ma pur sempre di spicco, hanno annunciato le dimissioni per evitare la diffusione su internet di una terza ondata di video compromettenti dopo le due precedenti che, questo mese, avevano costretto alle dimissioni altri quattro loro colleghi. Il dibattito politico nel paese musulmano e' morigerato e' parla pudicamente solo di ''kasetler'', le ''cassette'' video i cui contenuti, secondo i pochi che li hanno visionati, sembrano pero' un Decamerone capace di condizionare l'elettorato: deputati sposati che sbaciucchiano amanti, altri in camera d'hotel con studentesse universitarie, uno che addirittura rivela ad una prostituta quanto lo ecciterebbe vederla con solo il velo sul capo. La terza ondata che ribolle nei server di internet conterrebbe anche dichiarazioni politiche compromettenti rubate alle vittime durante riunioni di partito. Gli analisti sono divisi sull'impatto elettorale dello scandalo: c'e' chi dice che spingera' l'Mhp sotto l'altissima soglia di sbarramento turca del 10%; c'e' pero' anche chi sostiene che l'elettorato turco parteggia sempre per le vittime delle aggressioni, in questo caso mediatico-politiche, che sembrano andare ancora una volta a vantaggio del partito del premier Erdogan (gia' il principale partito di opposizione, il Chp, era stato 'decapitato' l'anno scorso con uno scandalo analogo che aveva costretto alle dimissioni il suo leader, Deniz Baykal, ripreso in mutande con la sua matura segretaria eletta a tenera amante ma anche a deputata). Dietro la diffusione dei video c'e' un oscuro sito di sostenitori di un ''Differente idealismo'' (Farkl Ulkuculuk) che chiede le dimissioni del leader del Partito del Movimento Nazionalista (Mhp), Devlet Bahceli, che peraltro resiste e oggi ha respinto le dimissioni dei sei dirigenti: ''non ci arrenderemo a minacce ed ricatti'', ripete da giorni l'uomo che e' riuscito a porre un freno alle tendenze piu' violente del nazionalismo turco ed e' alle prese con una fronda interna. E' la sua prestazione elettorale pero' ad essere rilevante: se l'Mhp superasse la soglia di sbarramento sottrarrebbe i seggi indispensabili al partito Akp di Erdogan, peraltro gia' sicuro vincitore secondo tutti i sondaggi, per stravincere e ottenere cosi' anche la ''supermaggioranza'' di 367 deputati necessaria a riformare la costituzione scritta all'inizio degli anni Ottanta sotto dettatura di militari golpisti.

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Se riformassero la costituzione sarebbe un grandissimo passo e la Turchia completerebbe quel processo di trasformazione che la porterà a diventare da avamposto dell'atlantismo mediorientale a potenza regionale eurasiatica. I militari (da sempre forza occidentalista del paese) potrebbero non influire più sulla vita politica del paese come prima.

SimoneSSL
11-06-11, 14:27
Erdogan, offerte garanzie a Gheddafi
Da leader libico pero'ancora nessuna risposta
11 giugno, 00:48

(ANSA-AFP) - ANKARA, 11 GIU - La Turchia ha offerto "garanzie" al leader libico Muammar Gheddafi per indurlo a lasciare il suo paese. Lo ha detto alla Ntv il premier turco, Recep Tayyip Erdogan, stando al quale il rais "non ha altre vie d'uscita che quella di andarsene dalla Libia''. "Noi gli abbiamo offerto garanzie che faremo il possibile affinché possa recarsi dove desidera", ha aggiunto. "In base alla risposta che darà - ha proseguito - porremo la questione ai nostri alleati ma questa risposta non ci è pervenuta".

Spetaktor
18-06-11, 12:43
La Turchia sulle tracce dell’Impero Ottomano

La Turchia sulle tracce dell (http://www.eurasia-rivista.org/la-turchia-sulle-tracce-dell%E2%80%99impero-ottomano/9857/)

José Frasquelo
28-06-11, 14:04
Il miracolo di Erdogan in Turchia

Romano Prodi


Il governo turco, presieduto da Tayyp Erdogan, è in carica dal novembre 2002. In questo spazio di tempo ha totalmente cambiato il paese, suscitando, in que*sta sua azione, grande ammirazione e grande timore. Prima di tutto grande ammi*razione per i risultati ottenu*ti nello sviluppo economico e nella' modernizzazione del Paese.
Non solo il tasso di sviluppo è stato straordinario, tanto da fare raddop*piare il Prodotto Nazionale Lordo in meno di nove an*ni, ma tutta la Turchia è fisi*camente cambiata, con la costruzione di nuove stra*de, ferrovie, aeroporti, scuo*le e ospedali, mentre gli insediamenti industriali si sono estesi fino alle zone più peri*feriche dell'immenso pae*se.Anche per effetto dei mas*sicci investimenti esteri e per la qualità della nuova ge*nerazione di dirigenti e fun*zionari, la Turchia è ora uno dei protagonisti dell'econo*mia e della politica mondia*le, una nuova potenza regio*nale., E come potenza regione de ha cominciato a com*portavi. Prima di tutto ha usato i negoziati con l'Unione Europea per modernizzare le istituzioni, introducendo le riforme di cui aveva bi*sogno, allargandone la base democratica, garantendo una maggiore libertà di espressione e assicurando, seppure in modo inferiore , rispetto alle attese e alle ne*cessità, nuovi diritti alle minoranze etniche. In politica estera la Turchia è ascesa al ruolo di potenza regionale tramite la dottrina elaborata dal ministro degli esteri Davutoglu, una dottrina che si riassume nell'elementare programma di evitare qualsiasi conflitto con i paesi vicini. Una dottrina molto semplice, che ha però cambiato in modo radicale l'assetto politico dell'area, costruendo un rapporto stretto con l'Iraq, con l'Iran, coni paesi dell'area caucasica e, seppure con profonde tensioni negli ultimi giorni, con la Siria. In parallelo è stata impostata una politica economica che ve*de le imprese turche presenti in modo crescente dai Balcani fino agli sconfinati paesi dell'Asia Centrale. Ed a questa si affianca una presenza culturale sempre più penetrante, anche perché spesso fondata su profonde affi*nità storiche e linguistiche.La Turchia ha cioè approfitta*to del suo importante ruolo nel*la Nato, della sua indispensabili*tà nei confronti degli Stati Uniti (come ponte verso il mondo isla*mico) e della sua nuova forza economica, per costruire una politica di inaspettata autono*mia. Una politica non certo antioccidentale ma che si è distac*cata da Israele fino ad arrivare, nello scorso maggio, allo scon*tro aperto nel mare di fronte a Gaza, un'evidente conseguenza della nuova amicizia nei con*fronti dei propri vicini. Nel mondo multipolare è arri*vato quindi un nuovo protagoni*sta, costruito sul partito di Erdo*gan, un partito di stretta osser*vanza religiosa ma sufficiente*mente tollerante e capace di cre*are una nuova élite, accanto a quella costruita da Kemal Atatu*rk. La trasformazione del ruolo politico ed economico della Tur*chia è ormai tale che l'ingresso nell'Unione Europea non è più visto come un obiettivo essenziali le e prioritario ma le diverse ipotesi che il paese ha davanti. I ripetuti successi hanno però messo Erdgan in una classica tentazione presidenziale, che si è espressa tramite atteggiamen*ti perlomeno discutibili nei con*fronti dei giornalisti e tentativi di riforma della Costituzione in senso autoritario. Le elezioni po*litiche del 12 giugno (passate quasi inosservate in Italia forse anche a causa della coincidenza con i referendum) assumevano quindi un'enorme portata. Se il partito di Erdogan avesse raggiunto i 330 seggi avrebbe infatti, potuto (pur con il passaggio di un voto popolare) emendare la Costituzione permettendo a Erdogan di allargare e approfon*dire il proprio potere oltre gli at*tuali limiti. L'obiettivo non era certo impossibile anche perché la legge elettorale turca prevede uno sbarramento del 10% e, quindi, spazza via tutti i partiti minori. I risultati elettorali han*no confermato la grande popola*rità di Erdogan, il cui successo s è tuttavia dovuto fermare a 326 seggi. Erdogan è quindi anche oggi molto forte ma non onnipo*tente. Questa è una garanzia per tutti e segnerà il probabile prosegui*mento della politica fino ad ora praticata. Prepariamoci quindi a vede*re una Turchia ancora più attiva nei nostri mercati, una Turchia fortissima concorrente nei Bal*cani e nel Mediterraneo, pro*prio nelle aree nelle quali è maggiore la presenza italiana. Ma anche un potenziale alleato per le nostre imprese che vorranno es*sere presenti nel Caucaso e nell' Asia Centrale sposando le no*stre conoscenze tecniche con la profonda esperienza turca in quei mercati. Prepariamoci per*ciò ad avere rapporti sempre più stretti con una Turchia che avrà bisogno dell'Europa non certo in misura maggiore di quanto l' Europa avrà bisogno della Tur*chia.


Fonte: Il Mattino 26-06-2011

Ungeheuer
28-06-11, 15:16
la presa di posizione contro assad in siria?

Spetaktor
28-06-11, 22:40
la presa di posizione contro assad in siria?

Un problema regionale, causato, credo, dalla situazione dei curdi esuli che cercano rifugio in Turchia.

Non credo abbia raggiunto i livelli che di cui giornali occidentali parlano (devono far passare il governo siriano come isolato, ovviamente).

Credo che si possa ricucire, passata la bufera siriana.

Però rimando a qualcuno di più esperto.

Spetaktor
14-07-11, 10:56
Il successo della Turchia non si spiega con la sola economia | eurasia-rivista.org (http://www.eurasia-rivista.org/il-successo-della-turchia-non-si-spiega-con-la-sola-economia/10354/)