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Visualizza Versione Completa : Il treno verso l'abisso: lo sviluppo



Tambourine
24-04-08, 14:52
Anticipo in questa discussione quella che è la prefazione della mia tesi per cercare di stimolare un dibattito. Sarò contento di ricevere i vostri commenti. Cos’è lo sviluppo? La definizione sul dizionario Devoto-Oli recita così: “crescita, aumento progressivo, allargamento, espansione. In economia: aumento dell’occupazione, della ricchezza, espansione, crescita”. Se noi partissimo da questa definizione potremmo esclusivamente pensare allo sviluppo in modo quantitativo, ma non è così. Lo sviluppo umano non è solamente l’aumento della popolazione nel tempo, ma l’aumento della qualità della vita umana nel tempo. La crescita economica illimitata è razionale? La risposta sembra ovviamente negativa ma se analizziamo il pensiero economico dominante degli ultimi decenni rischiamo di ritrovarci di fronte a un vero e proprio paradosso: la tecnica al servizio del mercato ha come unico obiettivo la crescita economica infinita in un mondo in cui per definizione le risorse sono finite. Il vulnus di ogni singolo ragionamento sullo sviluppo deve partire da questo problema. Questo lavoro, ripercorrendo la storia del concetto stesso di sviluppo economico, vorrebbe esporre un’alternativa plausibile al problema dello sviluppo. Il sistema capitalistico è, per usare la metafora di Giorgio Ruffolo, un moderno Faust dannato alla crescita illimitata ed autodistruttiva. Sarebbe un errore non riconoscere al capitalismo il suo ruolo nello sviluppo della specie umana: della sua potenza, della sua ricchezza, del suo benessere. Quali che siano stati i suoi orrori–e sono stati immensi–non sono certo superiori a quelli delle civiltà che l’ hanno preceduto, fondate sulla schiavitù, sull’oppressione, sulla violenza; mentre altrettanto immensamente superiori sono i suoi meriti: l’incomparabile promozione delle forze produttive, la diffusione prodigiosa delle innovazioni tecnologiche e, nei tempi più recenti, il compromesso politico con l’altra grande forza della modernità: la democrazia. Una riflessione seria non può, d’altra parte, non riconoscere il rovescio della medaglia: non solo l’esaltazione di Faust, ma anche la sua dannazione. Il capitalismo ha scatenato poderose forze distruttive dell’ambiente naturale e della coesione sociale, fino a minacciare la sopravvivenza stessa della specie. La sua “dannazione” sta nell’assurdità della sua logica della crescita illimitata. In natura non esistono processi di crescita sterminati, che non siano votati allo sterminio. I bambini non crescono come giganti, gli alberi non crescono fino al cielo. Solo gli interessi composti crescono indefinitamente, ma distruggendo il capitale su cui si fondano. A un tasso di sconto del 5 per cento l’equivalente della ricchezza mondiale dei prossimi 200 anni è il prezzo attuale di un buon appartamento; al tasso del 10 percento, di una auto usata. L’illusione della ricchezza finanziaria si dissolve nel tempo. I critici più radicale dello sviluppo usano correntemente la metafora del treno in corsa verso l’abisso. Quali sono le alternative? Sono tendenzialmente tre: scendere dal treno, cioè la decrescita della quale ci si occuperà nel quinto capitolo; richiudersi nel treno oscurando i finestrini; cambiare direzione. La prima possibilità, pur essendo desiderabile, è altamente utopica e prevede una vera e propria “rivoluzione culturale”. La seconda possibilità è quella che la società capitalistica sta percorrendo senza neppure rendersene conto. La terza possibilità è quella auspicabile della deviazione verso un’economia solidale che abbia al centro del suo stesso modo di essere uno sviluppo umano e civile. Questo lavoro percorre il viaggio del treno nella storia del pensiero economico puntando l’attenzione ai lavori di coloro che hanno descritto questo percorso e che hanno proposto soluzioni per modificarne la natura suicida. L’obiettivo della deviazione può essere raggiunto attraverso uno “stato stazionario” che per gli economisti classici era un passaggio inevitabile nell’economia capitalistica. Questa deviazione, dalla crescita all’equilibrio, comporterebbe una formidabile redistribuzione delle risorse tra i ricchi e i poveri del mondo, non essendo concepibile che la crescita possa essere stoppata per entrambi all’attuale livello di disuguaglianza; comporterebbe inoltre, all’interno di ogni paese, la fissazione di qualche limite del reddito, minimo e massimo e, comunque, la sterilizzazione delle possibilità di accumulazione della moneta. Si ridurrebbe di molto il dominio dell’economia finanziaria su quella produttiva; dominio che da molti viene considerato come l’origine dei problemi dell’economia contemporanea. La deviazione richiederebbe un rovesciamento delle priorità tra beni collettivi e beni privati. La " resistenza fiscale” e la netta prevalenza nella soddisfazione dei desideri privati rispetto ai bisogni pubblici potrebbero essere superati da un “mercato dei beni pubblici” forniti da imprese sociali o cooperative di cittadini autogovernate che darebbero a questi ultimi il controllo delle scelte e della spesa relativa eliminando i costi della burocrazia e l’iniquità dell’evasione fiscale. Lo sviluppo del cosiddetto Terzo settore opera proprio secondo questa logica. Quella teorizzata è un’economia solidale e civile che rompe lo schema marginalista o monetarista, al punto che c’è da chiedersi se quella così sommariamente tracciata sia ancora economia nel senso in cui noi la intendiamo, e cioè una produzione e distribuzione delle risorse fondata sugli interessi degli individui e non su quelli della società: i quali, con buona pace del pensiero unico, non coincidono affatto “automaticamente” con i primi attraverso il meccanismo del libero mercato. Quel che è certo, è che un radicale riorientamento della specie umana dall’attuale corsa letteralmente insensata verso una condizione di equilibrio, dalla competizione alla cooperazione, non richiede soltanto una riforma dell’economia, ma una rivoluzione culturale, o addirittura antropologica. Uno sviluppo della coscienza, anziché una crescita della potenza: dell’essere, rispetto all’avere. La fine del paradigma economico; e cioè dell’autonomizzazione dell’economia e il suo “rientro” (reembeddment) nell’ambito di una società che abbia riacquistato la consapevolezza dei limiti naturali e dei bisogni di solidarietà sociale. La fine dell’economia che J.M. Keynes vorrebbe raggiungere per “liberare l’uomo dal bisogno” può avvenire solo attraverso un’economia solidale ed uno sviluppo civile ed essi passano attraverso la dimensione locale dello sviluppo, attraverso il capitale umano. Approfondirò la mia idea dello sviluppo civile, che è al centro della mia tesi, dopo i vostri commenti! Grazie.

(Controcorrente (POL)
26-04-08, 21:50
A mio avviso tu sbagli affermando che il capitalismo e il libero mercato abbiano come obiettivo una crescita infinita. Questa è un'affermazione errata: il libero mercato e il capitalismo non impongono nulla. La crescita fino ad ora è stata una conseguenza naturale, ma potrebbe avere comunque un forte arresto. Questo soprattutto perché come hai detto tu le risorse non sono infinite, ma anche si adoperasse una politica di decrescita rimarebbero comunque finite. Si prolungherebbe ugualmente un processo inevitabile. Perciò non vedo il motivo di adoperarsi in questa direzione.

E' indubbio che il capitalismo sia stato fatto passare come una fonte di ricchezza infinita, ma bisogna rivedere questo concetto.
p.s.è la tua tesi di laurea?

Tambourine
27-04-08, 02:08
A mio avviso tu sbagli affermando che il capitalismo e il libero mercato abbiano come obiettivo una crescita infinita. Questa è un'affermazione errata: il libero mercato e il capitalismo non impongono nulla. La crescita fino ad ora è stata una conseguenza naturale, ma potrebbe avere comunque un forte arresto. Questo soprattutto perché come hai detto tu le risorse non sono infinite, ma anche si adoperasse una politica di decrescita rimarebbero comunque finite. Si prolungherebbe ugualmente un processo inevitabile. Perciò non vedo il motivo di adoperarsi in questa direzione.

E' indubbio che il capitalismo sia stato fatto passare come una fonte di ricchezza infinita, ma bisogna rivedere questo concetto.
p.s.è la tua tesi di laurea?

Il capitalismo ed il libero mercato si basano sullo sfruttamento delle risorse. Dove non c'è sfruttamento non c'è capitalismo, dove non ci sono prodotti non c'è mercato. L'obiettivo di una politica della decrescita non è rendere le risorse infinite ma rapportarsi positivamente con quelle risorse, salvaguardandole. Il concetto di sviluppo sostenibile nasconde proprio questo concetto. Ps: si, specialistica. Ti ringrazio sinceramente per il commento.

-Duca-
27-04-08, 02:54
no no no..
piano....
lo sfruttamento delle risorse è necessario per la sopravvivenza, più la popolazione aumenta più risorse vanno consumate.
che poi il capitalismo essendo estremamente razionale sfrutti più risorse, più velocemente e a costi più bassi è un dato di fatto.. però al capitalismo va riconosciuto il merito della scoperta di nuove risorse.. se nell'europa feudale una risorsa fondamentale era il legno, ora si usa altro per gli stessi scopi..

ma lo sfruttamento delle risorse esisterà sempre capitalismo, comunismo, mercantilismo o economia feudale che sia...

(Controcorrente (POL)
27-04-08, 03:09
Il capitalismo ed il libero mercato si basano sullo sfruttamento delle risorse. Dove non c'è sfruttamento non c'è capitalismo, dove non ci sono prodotti non c'è mercato. L'obiettivo di una politica della decrescita non è rendere le risorse infinite ma rapportarsi positivamente con quelle risorse, salvaguardandole. Il concetto di sviluppo sostenibile nasconde proprio questo concetto. Ps: si, specialistica. Ti ringrazio sinceramente per il commento.
Non è detto che un processo di sviluppo sostenibile non avvenga in modo naturale. Da liberale non vedo molto bene politiche forzate dei governi per attuarlo, quindi sarebbe meglio che tutto ciò potesse essere messo in pratica con campagne di sensibilizzazion etc.

Inoltre credo ci siano delle differenze tra una politica di decrescita e il c.d. sviluppo sostenibile, tanto che molti sostenitori della decrescita mi pare l'abbiano criticato.

Quindi se è possibile ti invito a postare la parte principale della tua tesi, che riguarda appunto questi due tematiche, soprattutto in modo da chiarire bene in concetti per poterli affrontare in maniera più proficua.
Grazie.:)

Tambourine
27-04-08, 11:42
no no no..
piano....
lo sfruttamento delle risorse è necessario per la sopravvivenza, più la popolazione aumenta più risorse vanno consumate.
che poi il capitalismo essendo estremamente razionale sfrutti più risorse, più velocemente e a costi più bassi è un dato di fatto.. però al capitalismo va riconosciuto il merito della scoperta di nuove risorse.. se nell'europa feudale una risorsa fondamentale era il legno, ora si usa altro per gli stessi scopi..

ma lo sfruttamento delle risorse esisterà sempre capitalismo, comunismo, mercantilismo o economia feudale che sia...

Non mi sembra di aver negato i meriti del capitalismo. Ma bisogna vedere l'altra faccia della medaglia, cioè la deriva economicistica del capitalismo. La mercificazione dell'uomo e la volontà di potenza di una progressiva distruzione delle risorse.

Tambourine
27-04-08, 11:44
Non è detto che un processo di sviluppo sostenibile non avvenga in modo naturale. Da liberale non vedo molto bene politiche forzate dei governi per attuarlo, quindi sarebbe meglio che tutto ciò potesse essere messo in pratica con campagne di sensibilizzazion etc.

Inoltre credo ci siano delle differenze tra una politica di decrescita e il c.d. sviluppo sostenibile, tanto che molti sostenitori della decrescita mi pare l'abbiano criticato.

Quindi se è possibile ti invito a postare la parte principale della tua tesi, che riguarda appunto questi due tematiche, soprattutto in modo da chiarire bene in concetti per poterli affrontare in maniera più proficua.
Grazie.:)

Ci sono enormi differenze, hai ragione. Lo sviluppo sostenibile è criticato perchè la decrescita nega lo sviluppo stesso. La mia tesi non si occupa di sviluppo nella storia del pensiero economico. Ho un capitolo dedicato alla posizione liberale/libertaria di Lal e Bauer, li conoscete? Grazie!

-Duca-
27-04-08, 14:47
Non mi sembra di aver negato i meriti del capitalismo. Ma bisogna vedere l'altra faccia della medaglia, cioè la deriva economicistica del capitalismo. La mercificazione dell'uomo e la volontà di potenza di una progressiva distruzione delle risorse.

la progressiva distruzione (consumo) delle risorse è necessario con qualcunque sistema economico... e poi bisogna ricordare che questo cosumo delle risorse stà alla base del nostro benessere.
Inoltre sostengo che l'uomo fosse molto più mercificato nelle secietà precapitalistiche e preindustriali, come ti ricorderai dalla lettura della ricchezza delle nazioni smith ha spiegato molto bene i limiti e l'irrazionalità della schiavitù, che è stata debellata dalla società industriale.

(Controcorrente (POL)
27-04-08, 15:47
Ci sono enormi differenze, hai ragione. Lo sviluppo sostenibile è criticato perchè la decrescita nega lo sviluppo stesso. La mia tesi non si occupa di sviluppo nella storia del pensiero economico. Ho un capitolo dedicato alla posizione liberale/libertaria di Lal e Bauer, li conoscete? Grazie!Sì...li conosco entrambi, di Lal però ho solo letto against dirigisme.
Hai fatto bene a citare Bauer, la sua posizione sull'incremento demografico è interessante...posta pure se vuoi le parti della tua tesi che li riguardano.

Tambourine
27-04-08, 21:14
Sì...li conosco entrambi, di Lal però ho solo letto against dirigisme.
Hai fatto bene a citare Bauer, la sua posizione sull'incremento demografico è interessante...posta pure se vuoi le parti della tua tesi che li riguardano.



Lo farò! ;)

Tambourine
27-04-08, 21:18
la progressiva distruzione (consumo) delle risorse è necessario con qualcunque sistema economico... e poi bisogna ricordare che questo cosumo delle risorse stà alla base del nostro benessere.
Inoltre sostengo che l'uomo fosse molto più mercificato nelle secietà precapitalistiche e preindustriali, come ti ricorderai dalla lettura della ricchezza delle nazioni smith ha spiegato molto bene i limiti e l'irrazionalità della schiavitù, che è stata debellata dalla società industriale.

A me fa sorridere quando si giustifica tutto con la frase "poi bisogna ricordare che questo cosumo delle risorse stà alla base del nostro benessere". E' un po' come dire:spariamoci nella palle ma prima la cena è stata buonissima. Consiglio di leggere Georgescu- Roegen. Per quanto riguarda le società precapitalistiche direi che Marx e Smith avevano perfettamente ragione.

-Duca-
27-04-08, 21:43
le società precapitalistiche erano società di morti di fame.
e il paragone con lo spararsi nei coglioni mi pare che non centri molto.. o cmq è molto azzardato.

Tambourine
27-04-08, 23:28
le società precapitalistiche erano società di morti di fame.
e il paragone con lo spararsi nei coglioni mi pare che non centri molto.. o cmq è molto azzardato.

Secondo te distruggere il pianeta non è puntare al suicidio dell'umanità?

Winnie
27-04-08, 23:57
Secondo te distruggere il pianeta non è puntare al suicidio dell'umanità?
Non conosco le soluzioni proposte per risolvere il problema che evidenzi, ma non credo molto nè alle "rivoluzioni culturali" (che mi fanno venire in mente Mao e mi danno un po' i brividi) nè all'"economia solidale".
Insomma non credo che la gente sarà disposta in un prossimo futuro a vivere nelle caverne e a rinunciare alle comodità della nostra società, nè penso sia giusto, morale e neppure utile costringerla a farlo.

Tambourine
28-04-08, 00:18
Non conosco le soluzioni proposte per risolvere il problema che evidenzi, ma non credo molto nè alle "rivoluzioni culturali" (che mi fanno venire in mente Mao e mi danno un po' i brividi) nè all'"economia solidale".
Insomma non credo che la gente sarà disposta in un prossimo futuro a vivere nelle caverne e a rinunciare alle comodità della nostra società, nè penso sia giusto, morale e neppure utile costringerla a farlo.

Ma dove ho scritto delle caverne??? Purtroppo noto un pregiudizio difficilmente evitabile.. Uno parla di "democrazia economica" e si sente rispondere: Mao e caverne. Rileggi ciò che ho scritto. Non mi sembra di aver detto di essere un fan di Latouche.

Winnie
28-04-08, 01:45
Ma dove ho scritto delle caverne??? Purtroppo noto un pregiudizio difficilmente evitabile.. Uno parla di "democrazia economica" e si sente rispondere: Mao e caverne. Rileggi ciò che ho scritto. Non mi sembra di aver detto di essere un fan di Latouche.
Potremmo partire da una definizione precisa del concetto di "democrazia economica" per il momento posso dirti che l'espressione non mi piace affatto.
Comunque ho letto con attenzione il tuo scritto, domani, tempo permettendo, evidenzierò le parti che non mi convincono.

Tambourine
28-04-08, 10:40
Potremmo partire da una definizione precisa del concetto di "democrazia economica" per il momento posso dirti che l'espressione non mi piace affatto.
Comunque ho letto con attenzione il tuo scritto, domani, tempo permettendo, evidenzierò le parti che non mi convincono.

Non ti piace, va bene, ma non dire che propongo caverne e maoismo! ;)

Winnie
29-04-08, 17:36
Non ti piace, va bene, ma non dire che propongo caverne e maoismo! ;)
Vabbè anche te non te la prendere, ho estremizzato un po'.:p
E vado ad esaminare le parti del tuo scritto che non mi convincono.

Anticipo in questa discussione quella che è la prefazione della mia tesi per cercare di stimolare un dibattito. Sarò contento di ricevere i vostri commenti. Cos’è lo sviluppo? La definizione sul dizionario Devoto-Oli recita così: “crescita, aumento progressivo, allargamento, espansione. In economia: aumento dell’occupazione, della ricchezza, espansione, crescita”. Se noi partissimo da questa definizione potremmo esclusivamente pensare allo sviluppo in modo quantitativo, ma non è così. Lo sviluppo umano non è solamente l’aumento della popolazione nel tempo, ma l’aumento della qualità della vita umana nel tempo. La crescita economica illimitata è razionale? La risposta sembra ovviamente negativa ma se analizziamo il pensiero economico dominante degli ultimi decenni rischiamo di ritrovarci di fronte a un vero e proprio paradosso: la tecnica al servizio del mercato ha come unico obiettivo la crescita economica infinita in un mondo in cui per definizione le risorse sono finite. Il vulnus di ogni singolo ragionamento sullo sviluppo deve partire da questo problema. Questo lavoro, ripercorrendo la storia del concetto stesso di sviluppo economico, vorrebbe esporre un’alternativa plausibile al problema dello sviluppo. Il sistema capitalistico è, per usare la metafora di Giorgio Ruffolo, un moderno Faust dannato alla crescita illimitata ed autodistruttiva. Sarebbe un errore non riconoscere al capitalismo il suo ruolo nello sviluppo della specie umana: della sua potenza, della sua ricchezza, del suo benessere. Quali che siano stati i suoi orrori–e sono stati immensi–non sono certo superiori a quelli delle civiltà che l’ hanno preceduto, fondate sulla schiavitù, sull’oppressione, sulla violenza; mentre altrettanto immensamente superiori sono i suoi meriti: l’incomparabile promozione delle forze produttive, la diffusione prodigiosa delle innovazioni tecnologiche e, nei tempi più recenti, il compromesso politico con l’altra grande forza della modernità: la democrazia. Una riflessione seria non può, d’altra parte, non riconoscere il rovescio della medaglia: non solo l’esaltazione di Faust, ma anche la sua dannazione. Il capitalismo ha scatenato poderose forze distruttive dell’ambiente naturale e della coesione sociale, fino a minacciare la sopravvivenza stessa della specie.(1) La sua “dannazione” sta nell’assurdità della sua logica della crescita illimitata. In natura non esistono processi di crescita sterminati, che non siano votati allo sterminio. I bambini non crescono come giganti, gli alberi non crescono fino al cielo. Solo gli interessi composti crescono indefinitamente, ma distruggendo il capitale su cui si fondano. A un tasso di sconto del 5 per cento l’equivalente della ricchezza mondiale dei prossimi 200 anni è il prezzo attuale di un buon appartamento; al tasso del 10 percento, di una auto usata. L’illusione della ricchezza finanziaria si dissolve nel tempo. I critici più radicale dello sviluppo usano correntemente la metafora del treno in corsa verso l’abisso. Quali sono le alternative? Sono tendenzialmente tre: scendere dal treno, cioè la decrescita della quale ci si occuperà nel quinto capitolo; richiudersi nel treno oscurando i finestrini; cambiare direzione. La prima possibilità, pur essendo desiderabile, è altamente utopica e prevede una vera e propria “rivoluzione culturale”. La seconda possibilità è quella che la società capitalistica sta percorrendo senza neppure rendersene conto. La terza possibilità è quella auspicabile della deviazione verso un’economia solidale che abbia al centro del suo stesso modo di essere uno sviluppo umano e civile.(2) Questo lavoro percorre il viaggio del treno nella storia del pensiero economico puntando l’attenzione ai lavori di coloro che hanno descritto questo percorso e che hanno proposto soluzioni per modificarne la natura suicida. L’obiettivo della deviazione può essere raggiunto attraverso uno “stato stazionario” che per gli economisti classici era un passaggio inevitabile nell’economia capitalistica. Questa deviazione, dalla crescita all’equilibrio, comporterebbe una formidabile redistribuzione delle risorse tra i ricchi e i poveri del mondo, non essendo concepibile che la crescita possa essere stoppata per entrambi all’attuale livello di disuguaglianza; comporterebbe inoltre, all’interno di ogni paese, la fissazione di qualche limite del reddito, minimo e massimo e, comunque, la sterilizzazione delle possibilità di accumulazione della moneta.(3) Si ridurrebbe di molto il dominio dell’economia finanziaria su quella produttiva; dominio che da molti viene considerato come l’origine dei problemi dell’economia contemporanea. La deviazione richiederebbe un rovesciamento delle priorità tra beni collettivi e beni privati. La " resistenza fiscale” e la netta prevalenza nella soddisfazione dei desideri privati rispetto ai bisogni pubblici potrebbero essere superati da un “mercato dei beni pubblici” forniti da imprese sociali o cooperative di cittadini autogovernate che darebbero a questi ultimi il controllo delle scelte e della spesa relativa eliminando i costi della burocrazia e l’iniquità dell’evasione fiscale. Lo sviluppo del cosiddetto Terzo settore opera proprio secondo questa logica. Quella teorizzata è un’economia solidale e civile che rompe lo schema marginalista o monetarista, al punto che c’è da chiedersi se quella così sommariamente tracciata sia ancora economia nel senso in cui noi la intendiamo, e cioè una produzione e distribuzione delle risorse fondata sugli interessi degli individui e non su quelli della società: i quali, con buona pace del pensiero unico, non coincidono affatto “automaticamente” con i primi attraverso il meccanismo del libero mercato.(4) Quel che è certo, è che un radicale riorientamento della specie umana dall’attuale corsa letteralmente insensata verso una condizione di equilibrio, dalla competizione alla cooperazione, non richiede soltanto una riforma dell’economia, ma una rivoluzione culturale, o addirittura antropologica.Uno sviluppo della coscienza, anziché una crescita della potenza: dell’essere, rispetto all’avere.(5) La fine del paradigma economico; e cioè dell’autonomizzazione dell’economia e il suo “rientro” (reembeddment) nell’ambito di una società che abbia riacquistato la consapevolezza dei limiti naturali e dei bisogni di solidarietà sociale. La fine dell’economia che J.M. Keynes vorrebbe raggiungere per “liberare l’uomo dal bisogno” può avvenire solo attraverso un’economia solidale ed uno sviluppo civile ed essi passano attraverso la dimensione locale dello sviluppo, attraverso il capitale umano. Approfondirò la mia idea dello sviluppo civile, che è al centro della mia tesi, dopo i vostri commenti! Grazie.
(1) Non credo al catastrofismo. Affermare che il progresso economico minaccia la sopravvivenza stessa della specie è un atto di fede che non mi sento di fare.
(2) Sono curioso di sapere cosa intendi per sviluppo umano e civile, ma poiché il concetto non viene definito (come non lo sono quelli di "economia solidale" e "democrazia economica") posso dirti che al momento è un po' fumoso.
(3) Come è possibile fare questo senza l'uso della forza e una autorità centrale dotata di un potere enorme?
Tale autorità è prevista o no dalla tua analisi?
(4) La società non esiste, esistono solo gli individui. Non condivido nè mai potrò condividere l'approccio olistico.
(5) Ecco, qui tu parli di rivoluzione culturale, ma non mi è chiaro come tale rivoluzione dovrebbe essere attuata, chi in passato ci ha provato non ha ottenuto grandi risultati, se non attraverso l'uso sistematico della violenza.

Non so se la tua tesi si occupi anche di dimostrare le ipotesi molto forti sottintese alla tua analisi ma ti faccio notare che non possiamo prenderle per postulati.
Ciao.

Tambourine
29-04-08, 19:59
Vabbè anche te non te la prendere, ho estremizzato un po'.:p
E vado ad esaminare le parti del tuo scritto che non mi convincono.

(1) Non credo al catastrofismo. Affermare che il progresso economico minaccia la sopravvivenza stessa della specie è un atto di fede che non mi sento di fare.
(2) Sono curioso di sapere cosa intendi per sviluppo umano e civile, ma poiché il concetto non viene definito (come non lo sono quelli di "economia solidale" e "democrazia economica") posso dirti che al momento è un po' fumoso.
(3) Come è possibile fare questo senza l'uso della forza e una autorità centrale dotata di un potere enorme?
Tale autorità è prevista o no dalla tua analisi?
(4) La società non esiste, esistono solo gli individui. Non condivido nè mai potrò condividere l'approccio olistico.
(5) Ecco, qui tu parli di rivoluzione culturale, ma non mi è chiaro come tale rivoluzione dovrebbe essere attuata, chi in passato ci ha provato non ha ottenuto grandi risultati, se non attraverso l'uso sistematico della violenza.

Non so se la tua tesi si occupi anche di dimostrare le ipotesi molto forti sottintese alla tua analisi ma ti faccio notare che non possiamo prenderle per postulati.
Ciao.

1) Non l'affermo io ma ricerche scientifiche molto serie (Onu compreso).
2) Prometto che approfondirò il concetto
3) L'autorità c'è già, si tratta solo di cambiargli gli obiettivi. Alla fine sarà meno invasiva di quanto lo è ora.
4) Su questo punto la contrapposizione si fa filosofica e antropoligica, ma non mi sembra il caso di affrontare la questione qui (perderemmo ore su questo punto)
5) La rivoluzione culturale non viene fatta per imposizione, ma attraverso una normale comunicazione dialettica. Le idee si diffondono sempre più velocemente in una società liquida come quella contemporanea
Grazie a te.

JohnPollock
01-05-08, 15:44
Anticipo in questa discussione quella che è la prefazione della mia tesi per cercare di stimolare un dibattito. Sarò contento di ricevere i vostri commenti. Cos’è lo sviluppo? La definizione sul dizionario Devoto-Oli recita così: “crescita, aumento progressivo, allargamento, espansione. In economia: aumento dell’occupazione, della ricchezza, espansione, crescita”. Se noi partissimo da questa definizione potremmo esclusivamente pensare allo sviluppo in modo quantitativo, ma non è così. Lo sviluppo umano non è solamente l’aumento della popolazione nel tempo, ma l’aumento della qualità della vita umana nel tempo. La crescita economica illimitata è razionale? La risposta sembra ovviamente negativa ma se analizziamo il pensiero economico dominante degli ultimi decenni rischiamo di ritrovarci di fronte a un vero e proprio paradosso: la tecnica al servizio del mercato ha come unico obiettivo la crescita economica infinita in un mondo in cui per definizione le risorse sono finite. Il vulnus di ogni singolo ragionamento sullo sviluppo deve partire da questo problema. Questo lavoro, ripercorrendo la storia del concetto stesso di sviluppo economico, vorrebbe esporre un’alternativa plausibile al problema dello sviluppo. Il sistema capitalistico è, per usare la metafora di Giorgio Ruffolo, un moderno Faust dannato alla crescita illimitata ed autodistruttiva. Sarebbe un errore non riconoscere al capitalismo il suo ruolo nello sviluppo della specie umana: della sua potenza, della sua ricchezza, del suo benessere. Quali che siano stati i suoi orrori–e sono stati immensi–non sono certo superiori a quelli delle civiltà che l’ hanno preceduto, fondate sulla schiavitù, sull’oppressione, sulla violenza; mentre altrettanto immensamente superiori sono i suoi meriti: l’incomparabile promozione delle forze produttive, la diffusione prodigiosa delle innovazioni tecnologiche e, nei tempi più recenti, il compromesso politico con l’altra grande forza della modernità: la democrazia. Una riflessione seria non può, d’altra parte, non riconoscere il rovescio della medaglia: non solo l’esaltazione di Faust, ma anche la sua dannazione. Il capitalismo ha scatenato poderose forze distruttive dell’ambiente naturale e della coesione sociale, fino a minacciare la sopravvivenza stessa della specie. La sua “dannazione” sta nell’assurdità della sua logica della crescita illimitata. In natura non esistono processi di crescita sterminati, che non siano votati allo sterminio. I bambini non crescono come giganti, gli alberi non crescono fino al cielo. Solo gli interessi composti crescono indefinitamente, ma distruggendo il capitale su cui si fondano. A un tasso di sconto del 5 per cento l’equivalente della ricchezza mondiale dei prossimi 200 anni è il prezzo attuale di un buon appartamento; al tasso del 10 percento, di una auto usata. L’illusione della ricchezza finanziaria si dissolve nel tempo. I critici più radicale dello sviluppo usano correntemente la metafora del treno in corsa verso l’abisso. Quali sono le alternative? Sono tendenzialmente tre: scendere dal treno, cioè la decrescita della quale ci si occuperà nel quinto capitolo; richiudersi nel treno oscurando i finestrini; cambiare direzione. La prima possibilità, pur essendo desiderabile, è altamente utopica e prevede una vera e propria “rivoluzione culturale”. La seconda possibilità è quella che la società capitalistica sta percorrendo senza neppure rendersene conto. La terza possibilità è quella auspicabile della deviazione verso un’economia solidale che abbia al centro del suo stesso modo di essere uno sviluppo umano e civile. Questo lavoro percorre il viaggio del treno nella storia del pensiero economico puntando l’attenzione ai lavori di coloro che hanno descritto questo percorso e che hanno proposto soluzioni per modificarne la natura suicida. L’obiettivo della deviazione può essere raggiunto attraverso uno “stato stazionario” che per gli economisti classici era un passaggio inevitabile nell’economia capitalistica. Questa deviazione, dalla crescita all’equilibrio, comporterebbe una formidabile redistribuzione delle risorse tra i ricchi e i poveri del mondo, non essendo concepibile che la crescita possa essere stoppata per entrambi all’attuale livello di disuguaglianza; comporterebbe inoltre, all’interno di ogni paese, la fissazione di qualche limite del reddito, minimo e massimo e, comunque, la sterilizzazione delle possibilità di accumulazione della moneta. Si ridurrebbe di molto il dominio dell’economia finanziaria su quella produttiva; dominio che da molti viene considerato come l’origine dei problemi dell’economia contemporanea. La deviazione richiederebbe un rovesciamento delle priorità tra beni collettivi e beni privati. La " resistenza fiscale” e la netta prevalenza nella soddisfazione dei desideri privati rispetto ai bisogni pubblici potrebbero essere superati da un “mercato dei beni pubblici” forniti da imprese sociali o cooperative di cittadini autogovernate che darebbero a questi ultimi il controllo delle scelte e della spesa relativa eliminando i costi della burocrazia e l’iniquità dell’evasione fiscale. Lo sviluppo del cosiddetto Terzo settore opera proprio secondo questa logica. Quella teorizzata è un’economia solidale e civile che rompe lo schema marginalista o monetarista, al punto che c’è da chiedersi se quella così sommariamente tracciata sia ancora economia nel senso in cui noi la intendiamo, e cioè una produzione e distribuzione delle risorse fondata sugli interessi degli individui e non su quelli della società: i quali, con buona pace del pensiero unico, non coincidono affatto “automaticamente” con i primi attraverso il meccanismo del libero mercato. Quel che è certo, è che un radicale riorientamento della specie umana dall’attuale corsa letteralmente insensata verso una condizione di equilibrio, dalla competizione alla cooperazione, non richiede soltanto una riforma dell’economia, ma una rivoluzione culturale, o addirittura antropologica. Uno sviluppo della coscienza, anziché una crescita della potenza: dell’essere, rispetto all’avere. La fine del paradigma economico; e cioè dell’autonomizzazione dell’economia e il suo “rientro” (reembeddment) nell’ambito di una società che abbia riacquistato la consapevolezza dei limiti naturali e dei bisogni di solidarietà sociale. La fine dell’economia che J.M. Keynes vorrebbe raggiungere per “liberare l’uomo dal bisogno” può avvenire solo attraverso un’economia solidale ed uno sviluppo civile ed essi passano attraverso la dimensione locale dello sviluppo, attraverso il capitale umano. Approfondirò la mia idea dello sviluppo civile, che è al centro della mia tesi, dopo i vostri commenti! Grazie.


L'errore è gravissimo e estremamente irrazionale: come Sen quando sbaglia nell'abattere l'Ottimo Paretiano modificando le premesse che lo stesso Pareto aveva istituito.

L'errore grave del tuo discorso sta nel definire l'ambiente che ci circonda come a risorse limitate. Bene, certo, le risorse della Terra sono limitate. Sono limitate soprattutto quelle che oggi utiliziamo. Non sapiamo però quali possano essere le risorse che utilizeremo domani. Ossigeno? Idrogeno?? Ferro? Uranio? Azoto? Metano??? Non lo sapiamo. Può darsi che domani la fonte energetica trainante possa essere determinata dall'uso del Carbonio. Non lo sappiamo propio.
Ma trascuriamo questo, in fin dei conti le risorse sono comunque generalmente limitate. L'errore di base sta nel fatto di prendere la Terra come ambiente unico. Ma oltre la Terra c'è la Luna. C'è il Sole. C'è Marte. C'è il Sistema Solare. E se pur anche le risorse degli altri pianeti siano limitate, nel complesso l'universo ha risorse pressochè quasi infinite. Quindi, per favore, basta con la questione delle risorse limitate. Se l'uomo avesse sempre pensato così non avrebbe trovato tanto oro e tanto petrolio nelle americhe.

Lo svilupo socioeconomico, se determinato dal libero scambio è per me il ben venuto. Se lo svilupo socioeconomico (che comprene anche svilupo culturale, biologico, alimentare etc etc etc) è determinato dalla crescita forzata imposta dagli Stati e le banche centrali, dalle classi politiche e dal Socialismo in genere è da bittare a mare.

Il problema non è lo sviluppo. Il problema è che non deve essere forzato dall'alto. Lo svilupoo naturale e non imposto, ci porterà verso orizonti oggi inimaginabili e fermarlo, così come forzarlo, è pazzia NazionalComunista.

Parli addiritura di un cambiamento antropologico: stai dicendo che la razza umana è da debellare, modificare geneticamente. Discorsi che rasentano la pazzia nazista. Se vuoi modificarti, modificati. Ma evita, per piacere, di insegnare agli esseri umani come dovrebbero comportarsi per far piacere alle tue idee Gaiane.

JohnPollock
01-05-08, 15:50
Ci sono enormi differenze, hai ragione. Lo sviluppo sostenibile è criticato perchè la decrescita nega lo sviluppo stesso. La mia tesi non si occupa di sviluppo nella storia del pensiero economico. Ho un capitolo dedicato alla posizione liberale/libertaria di Lal e Bauer, li conoscete? Grazie!

Il Capitalismo non mercifica l'uomo. Il Capitalismo distingue molto bene l'uomo dai suoi bisogni. E' il Socialismo che chiama gli uomini con numeri e che assegna un nome ben definito all'insieme dei numeri: massa popolare. Chi mercifica l'uomo, tratandolo come un oggetto è il SOcialismo. Il Capitalismo è basato sull'azione individuale umana, e non sullo svilupo più o meno forzato della mano rossa statale.

JohnPollock
01-05-08, 15:57
Secondo te distruggere il pianeta non è puntare al suicidio dell'umanità?

No. L'umanità può vivere anche senza la Terra. Con questo non voglio dire che la Terra collasserà colpa del Capitalismo. Essa crollerà se si continua con le politche di svilupo imposte dagli Stati. Se si fosse in pieno Capitalismo, gli uomini avrebebro già da un pezzo lasciato perdere l'industria inquinante. In casa mia non voglio industrie. Così come i ragazzi della val di susa non vogliono la TAV dentro i loro terreni che lo Stato vuole espropriargli. E' lo Stato Utilitarista e violento che vuole la TAV. Non il Capitalismo.

Ti pego Tambourine, rifletti più profondamente. Hai totale sfiducia nel genere umano. Non è che credi di essere Dio?????

Tambourine
01-05-08, 18:43
Non credo tu abbia capito una sola virgola di quello che ho scritto. Io non credo di essere Dio, io sono Dio.
L'umanità sopravviverà alla terra.
Ps: come si nota, sto rispondendo ad assurdità con altre parole assurde. Almeno Winnie mi ha fatto critiche coerenti e pregnanti.. Nei tuoi tre post non ne vedo. Leggo solo che mi dai del nazista e parli di Tav...

JohnPollock
02-05-08, 01:45
Non credo tu abbia capito una sola virgola di quello che ho scritto. Io non credo di essere Dio, io sono Dio.
L'umanità sopravviverà alla terra.
Ps: come si nota, sto rispondendo ad assurdità con altre parole assurde. Almeno Winnie mi ha fatto critiche coerenti e pregnanti.. Nei tuoi tre post non ne vedo. Leggo solo che mi dai del nazista e parli di Tav...

Prova a rileggerli. Magari non riesco a spiegarmi bene. Il succo del mio discorso è che l'ambiente dove noi viviamo (intendo dire il Sistema Solare) ha risorse praticamente illimitate. Quindi non ha senso piangere sul destino del nostro ambiente. Non verra distrutto niente, verrà solo trasformato. Non è la Terra che pensa. E l'uomo che pensa. E tu non sei nessuno per decidere cosa sia bene per gli uomini e per la Terra.

Tambourine
02-05-08, 11:01
Prova a rileggerli. Magari non riesco a spiegarmi bene. Il succo del mio discorso è che l'ambiente dove noi viviamo (intendo dire il Sistema Solare) ha risorse praticamente illimitate. Quindi non ha senso piangere sul destino del nostro ambiente. Non verra distrutto niente, verrà solo trasformato. Non è la Terra che pensa. E l'uomo che pensa. E tu non sei nessuno per decidere cosa sia bene per gli uomini e per la Terra.
Ci vediamo su Marte!

Winnie
02-05-08, 17:34
Io aspetto le definizioni che ti avevo chiesto e i metodi di implementazione della rivoluzione culturale.;)

Tambourine
02-05-08, 18:05
Io aspetto le definizioni che ti avevo chiesto e i metodi di iplementazione della rivoluzione culturale.;)
Hai ragione, ti chiedo scusa. Sono ancora in fase realizzativa della tesi e quella parte è compresa nelle conclusioni. Appena affronterò il tema in modo più completo posterò qualcosa qui. Temo dovrai aspettare ancora un mesetto. Ora mi sto sopportando Bauer e Lal! ;)

(Controcorrente (POL)
02-05-08, 23:00
Ora mi sto sopportando Bauer e Lal! ;)Fremo per leggere cosa hai scritto su i due liberaliz:g

(Controcorrente (POL)
03-05-08, 01:17
Ah...oggi stavo rileggendo il manifesto libertario, e mi sono ricordato che c'è un capitolo interamente dedicato al problema posto da Tambourine...lo posto interamente (dalla versione in formato pdf) così vediamo cosa ci dice il nostro caro diessino.:D

Conservation of Resources

As we have mentioned, the selfsame liberals who claim that we have entered the “postscarcity” age and are in no further need of economic growth, are in the forefront of the complaint that “capitalist greed” is destroying our scarce natural resources. The gloom-and-doom soothsayers of the Club of Rome, for example, by simply extrapolating current trends of resource use, confidently predict the exhaustion of vital raw materials within forty years. But confident—and completely faulty—predictions of exhaustion of raw materials have been made countless times in recent centuries.
What the soothsayers have overlooked is the vital role that the freemarket economic mechanism plays in conserving, and adding to, natural resources. Let us consider, for example, a typical copper mine. Why has copper ore not been exhausted long before now by the inexorable demands of our industrial civilization? Why is it that copper miners, once they have found and opened a vein of ore, do not mine all the copper immediately; why, instead, do they conserve the copper mine, add to it, and extract the copper gradually, from year to year? Because the mine owners realize that, for example, if they triple this year’s production of copper they may indeed triple this year’s income, but they will also be depleting the mine, and therefore the future income they will be able to derive from it. On the market, this loss of future income is immediately reflected in the monetary value—the price—of the mine as a whole. This monetary value, reflected in the selling price of the mine, and then of individual shares of mining stock, is based on the expected future income to be earned from the production of the copper; any depletion of the mine, then, will lower the value of the mine and hence the price of the mining stock. Every mine owner, then, has to weigh the advantages of immediate income from copper production against the loss in the “capital value” of the mine as a whole, and hence against the loss in the value of his shares.
The mine owners’ decisions are determined by their expectations of future copper yields and demands, the existing and expected rates of interest, etc. Suppose, for example, that copper is expected to be rendered obsolete in a few years by a new synthetic metal. In that case, copper mine owners will rush to produce more copper now when it is more highly valued, and save less for the future when it will have little value—thereby benefitting the consumers and the economy as a whole by producing copper now when it is more intensely needed. But, on the other hand, if a
copper shortage is expected in the future, mine owners will produce less now and wait to produce more later when copper prices are higher— thereby benefitting society by producing more in the future when it will be needed more intensely. Thus, we see that the market economy contains a marvelous built-in mechanism whereby the decisions of resource owners on present as against future production will benefit not only their own income and wealth, but the mass of consumers and the economy as a whole. But there is much more to this free-market mechanism: Suppose that a growing shortage of copper is now expected in the future. The result is that more copper will be withheld now and saved for future production. The price of copper now will rise. The increase in copper prices will have several “conserving” effects. In the first place, the higher price of copper is a signal to the users of copper that it is scarcer and more expensive; the copper users will then conserve the use of this more expensive metal. They will use less copper, substituting cheaper metals or plastics; and copper will be conserved more fully and saved for those uses for which there is no satisfactory substitute. Moreover, the greater cost of copper will stimulate (a) a rush to find new copper ores; and (b) a search for less expensive substitutes, perhaps by new technological discoveries. Higher prices for copper will also stimulate campaigns for saving and recycling the metal. This price mechanism of the free market is precisely the reason that copper, and other natural resources, have not disappeared long ago. As Passell, Roberts, and Ross say in their critique of the Club of Rome:
<<Natural resource reserves and needs in the model are calculated [in]…the absence of prices as a variable in the “Limits” projection of how resources will be used. In the real world, rising prices act as an economic signal to conserve scarce resources, providing incentives to use cheaper materials in their place, stimulating research efforts on new ways to save on resource inputs, and making renewed exploration
attempts more profitable. >>
In fact, in contrast to the gloom-and-doomers, raw material and natural resource prices have remained low, and have generally declined relative to other prices. To liberal and Marxist intellectuals, this is usually a sign of capitalist “exploitation” of the underdeveloped countries which are often the producers of the raw materials. But it is a sign of something completely different, of the fact that natural resources have not been growing scarcer but more abundant; hence their relatively lower cost. The development of cheap substitutes, e.g., plastics, synthetic fibres, has kept natural resources cheap and abundant. And in a few decades we can expect that modern technology will develop a remarkably cheap source of energy—nuclear fusion—a development which will automatically yield a great abundance of raw materials for the work that will be needed. The development of synthetic materials and of cheaper energy highlights a vital aspect of modern technology the doom-sayers overlook: that technology and industrial production create resources which had never existed as effective resources. For example, before the development of the kerosene lamp and especially the automobile, petroleum was not a resource but an unwanted waste, a giant liquid black “weed.” It was only the development of modern industry that converted petroleum into a useful
resource. Furthermore, modern technology, through improved geological techniques and through the incentives of the market, has been finding new petroleum reserves at a rapid rate. Predictions of imminent exhaustion of resources, as we have noted, are nothing new. In 1908, President Theodore Roosevelt, calling a Governors’Conference on natural resources, warned of their “imminent exhaustion.”
At the same conference, steel industrialist Andrew Carnegie predicted the exhaustion of the Lake Superior iron range by 1940, while railroad magnate James J. Hill forecast the exhaustion of much of our timber resources in ten years. Not only that: Hill even predicted an imminent shortage of wheat production in the United States, in a country where we are still grappling with the wheat surpluses generated by our farm subsidy
program. Current forecasts of doom are made on the same basis: a grievous underweighting of the prospects of modern technology and an ignorance of the workings of the market economy.
It is true that several particular natural resources have suffered, in the past and now, from depletion. But in each case the reason has not been “capitalist greed”; on the contrary, the reason has been the failure of government to allow private property in the resource—in short, a failure to pursue the logic of private property rights far enough.
One example has been timber resources. In the American West and in Canada, most of the forests are owned, not by private owners but by the federal (or provincial) government. The government then leases their use to private timber companies. In short, private property is permitted only in the annual use of the resource, but not in the forest, the resource, itself. In this situation, the private timber company does not own the capital value, and therefore does not have to worry about depletion of the resource itself. The timber company has no economic incentive to conserve the resource, replant trees, etc. Its only incentive is to cut as many trees as quickly as possible, since there is no economic value to the timber company in maintaining the capital value of the forest. In Europe, where private ownership of forests is far more common, there is little complaint of destruction of timber resources. For wherever private property is allowed in the forest itself, it is to the benefit of the owner to preserve and restore tree growth while he is cutting timber, so as to avoid depletion of the forest’s capital value.
Thus, in the United States, a major culprit has been the Forest Service of the U.S. Department of Agriculture, which owns forests and leases annual rights to cut timber, with resulting devastation of the trees. In contrast, private forests such as those owned by large lumber firms like Georgia-Pacific and U.S. Plywood scientifically cut and reforest their trees in order to maintain their future supply.
Another unhappy consequence of the American government’s failure to allow private property in a resource was the destruction of the Western grasslands in the late nineteenth century. Every viewer of “Western” movies is familiar with the mystique of the “open range and the often violent “wars” among cattlemen, sheepmen, and farmers over parcels of ranch land. The “open range” was the failure of the federal government to apply the policy of homesteading to the changed conditions of the drier climate west of the Mississippi. In the East, the 160 acres granted free to homesteading farmers on government land constituted a viable technological unit for farming in a wetter climate. But in the dry climate of the West, no successful cattle or sheep ranch could be organized on a mere
160 acres. But the federal government refused to expand the 160-acre unit to allow the “homesteading” of larger cattle ranches. Hence, the “open range,” on which private cattle and sheep owners were able to roam unchecked on government-owned pasture land. But this meant that no one owned the pasture, the land itself; it was therefore to the economic advantage of every cattle or sheep owner to graze the land and use up the grass as quickly as possible, otherwise the grass would be grazed by some other sheep or cattle owner. The result of this tragically shortsighted refusal to allow private property in grazing land itself was an overgrazing of the land, the ruining of the grassland by grazing too early in the season, and the failure of anyone to restore or replant the grass—anyone who bothered to restore the grass would have had to look on helplessly while someone else grazed his cattle or sheep. Hence the overgrazing of the West, and the onset of the “dust bowl.” Hence also the illegal attempts by numerous cattle men, farmers, and sheepmen to take the law into their own hands and fence off the land into private property—and the range wars that often followed.
Professor Samuel P. Hays, in his authoritative account of the conservation movement in America, writes of the range problem: <<Much of the Western livestock industry depended for its forage upon the “open” range, owned by the federal government, but free for anyone to use…. Congress had never provided legislation regulating grazing or permitting stockmen to acquire range lands. Cattle and sheepmen roamed the public domain…. Cattlemen fenced range for their exclusive use, but competitors cut the wire. Resorting to force and violence, sheepherders and cowboys “solved” their dis putes over grazing lands by slaughtering rival livestock and murdering rival stockmen…. Absence of the most elementary institutions of property law created confusion, bitterness, and destruction.
Amid this turmoil the public range rapidly deteriorated. Originally plentiful and lush, the forage supply was subjected to intense pressure by increasing use…. The public domain became stocked with more animals than the range could support. Since each stockman feared that others would beat him to the available forage, he grazed early in the
year and did not permit the young grass to mature and reseed. Under such conditions the quality and quantity of available forage rapidly decreased; vigorous perennials gave way to annuals and annuals to weeds.>>
Hays concludes that public-domain range lands may have been depleted by over two-thirds by this process, as compared to their virgin condition.
There is a vitally important area in which the absence of private property in the resource has been and is causing, not only depletion of resources, but also a complete failure to develop vast potential resources.
This is the potentially enormously productive ocean resource. The oceans are in the international public domain, i.e., no person, company, or even national government is allowed property rights in parts of the ocean. As a result, the oceans have remained in the same primitive state as was the land in the precivilized days before the development of agriculture. The way of production for primitive man was “hunting-and-gathering”: the hunting of wild animals and the gathering of fruits, berries, nuts, and wild seeds and vegetables. Primitive man worked passively within his
environment instead of acting to transform it; hence he just lived off the land without attempting to remould it. As a result, the land was unproductive, and only a relatively few tribesmen could exist at a bare
subsistence level. It was only with the development of agriculture, the farming of the soil, and the transformation of the land through farming that productivity and living standards could take giant leaps forward. And mit was only with agriculture that civilization could begin. But to permit the development of agriculture there had to be private property rights, first in the fields and crops, and then in the land itself. With respect to the ocean, however, we are still in the primitive, unproductive hunting and gathering stage. Anyone can capture fish in the ocean, or extract its resources, but only on the run, only as hunters and gatherers. No one can farm the ocean, no one can engage in aquaculture. In this way we are deprived of the use of the immense fish and mineral resources of the seas. For example, if anyone tried to farm the sea and to increase the productivity of the fisheries by fertilizers, he would immediately be deprived of the fruits of his efforts because he could not keep other fishermen from rushing in and seizing the fish. And so no one tries to fertilize the oceans as the land is fertilized. Fur thermore, there is no economic incentive—in fact, there is every disincentive—for anyone to engage in technological research in the ways and means of improving the productivity of the fisheries, or in extracting the mineral resources of the oceans. There will only be such incentive when property rights in parts of the ocean are as fully allowed as property rights in the land. Even now
there is a simple but effective technique that could be used for increasing fish productivity: parts of the ocean could be fenced off electronically, and through this readily available electronic fencing, fish could be segregated by size. By preventing big fish from eating smaller fish, the production of fish could be increased enormously. And if private property in parts of the ocean were permitted, a vast flowering of aquaculture would create and multiply ocean resources in numerous ways we cannot now even foresee. National governments have tried vainly to cope with the problem of fish depletion by placing irrational and uneconomic restrictions on the total size of the catch, or on the length of the allowable season. In the cases of salmon, tuna, and halibut, technological methods of fishing have thereby been kept primitive and unproductive by unduly shortening the season and injuring the quality of the catch and by stimulating overproduction—and underuse during the year—of the fishing fleets. And of course such governmental restrictions do nothing at all to stimulate the growth of aquaculture. As Professors North and Miller write: <<Fishermen are poor because they are forced to use inefficient equipment and to fish only a small fraction of the time [by the governmental regulations] and of course there are far too many of them. The consumer pays a much higher price for red salmon than would be necessary if efficient methods were used. Despite the evergrowing
intertwining bonds of regulations, the preservation of the salmon run is still not assured. The root of the problem lies in the current non-ownership arrangement. It is not in the interests of any individual fisherman to concern himself with perpetuation of the salmon run. Quite the contrary: It is rather in his interests to catch as many fish as he can
during the season.>> In contrast, North and Miller point out that private property rights in the ocean, under which the owner would use the least costly and most efficient technology and preserve and make productive the resource itself, is now more feasible than ever: “The invention of modern electronic sensing equipment has now made the policing of large bodies of water relatively cheap and easy.”
The growing international conflicts over parts of the ocean only further highlight the importance of private property rights in this vital area. For as the United States and other nations assert their sovereignty 200 miles from
their shores, and as private companies and governments squabble over areas of the ocean; and as trawlers, fishing nets, oil drillers, and mineral diggers war over the same areas of the ocean—property rights become
increasingly and patently more important. As Francis Christy writes:<<… coal is mined in shafts below the sea floor, oil is drilled from platforms fixed to the bottom rising above the water, minerals can be dredged from the surface of the ocean bed… sedentary animals are scraped from the bed on which telephone cables may lie, bottom feeding animals are caught in traps or trawls, mid-water species may be taken by hook and line or by trawls which occasionally interfere with submarines, surface species are taken by net and harpoon, and the surface itself is used for shipping as well as the vessels engaged in extracting resources.>>
This growing conflict leads Christy to predict that “the seas are in a stage of transition. They are moving from a condition in which property rights are almost nonexistent to a condition in which property rights of some form will become appropriated or made available.” Eventually, concludes Christy, “as the sea’s resources become more valuable, exclusive rights will be acquired.”

Tambourine
03-05-08, 12:22
Ah...oggi stavo rileggendo il manifesto libertario, e mi sono ricordato che c'è un capitolo interamente dedicato al problema posto da Tambourine...lo posto interamente (dalla versione in formato pdf) così vediamo cosa ci dice il nostro caro diessino.:D

Conservation of Resources

As we have mentioned, the selfsame liberals who claim that we have entered the “postscarcity” age and are in no further need of economic growth, are in the forefront of the complaint that “capitalist greed” is destroying our scarce natural resources. The gloom-and-doom soothsayers of the Club of Rome, for example, by simply extrapolating current trends of resource use, confidently predict the exhaustion of vital raw materials within forty years. But confident—and completely faulty—predictions of exhaustion of raw materials have been made countless times in recent centuries.
What the soothsayers have overlooked is the vital role that the freemarket economic mechanism plays in conserving, and adding to, natural resources. Let us consider, for example, a typical copper mine. Why has copper ore not been exhausted long before now by the inexorable demands of our industrial civilization? Why is it that copper miners, once they have found and opened a vein of ore, do not mine all the copper immediately; why, instead, do they conserve the copper mine, add to it, and extract the copper gradually, from year to year? Because the mine owners realize that, for example, if they triple this year’s production of copper they may indeed triple this year’s income, but they will also be depleting the mine, and therefore the future income they will be able to derive from it. On the market, this loss of future income is immediately reflected in the monetary value—the price—of the mine as a whole. This monetary value, reflected in the selling price of the mine, and then of individual shares of mining stock, is based on the expected future income to be earned from the production of the copper; any depletion of the mine, then, will lower the value of the mine and hence the price of the mining stock. Every mine owner, then, has to weigh the advantages of immediate income from copper production against the loss in the “capital value” of the mine as a whole, and hence against the loss in the value of his shares.
The mine owners’ decisions are determined by their expectations of future copper yields and demands, the existing and expected rates of interest, etc. Suppose, for example, that copper is expected to be rendered obsolete in a few years by a new synthetic metal. In that case, copper mine owners will rush to produce more copper now when it is more highly valued, and save less for the future when it will have little value—thereby benefitting the consumers and the economy as a whole by producing copper now when it is more intensely needed. But, on the other hand, if a
copper shortage is expected in the future, mine owners will produce less now and wait to produce more later when copper prices are higher— thereby benefitting society by producing more in the future when it will be needed more intensely. Thus, we see that the market economy contains a marvelous built-in mechanism whereby the decisions of resource owners on present as against future production will benefit not only their own income and wealth, but the mass of consumers and the economy as a whole. But there is much more to this free-market mechanism: Suppose that a growing shortage of copper is now expected in the future. The result is that more copper will be withheld now and saved for future production. The price of copper now will rise. The increase in copper prices will have several “conserving” effects. In the first place, the higher price of copper is a signal to the users of copper that it is scarcer and more expensive; the copper users will then conserve the use of this more expensive metal. They will use less copper, substituting cheaper metals or plastics; and copper will be conserved more fully and saved for those uses for which there is no satisfactory substitute. Moreover, the greater cost of copper will stimulate (a) a rush to find new copper ores; and (b) a search for less expensive substitutes, perhaps by new technological discoveries. Higher prices for copper will also stimulate campaigns for saving and recycling the metal. This price mechanism of the free market is precisely the reason that copper, and other natural resources, have not disappeared long ago. As Passell, Roberts, and Ross say in their critique of the Club of Rome:
<<Natural resource reserves and needs in the model are calculated [in]…the absence of prices as a variable in the “Limits” projection of how resources will be used. In the real world, rising prices act as an economic signal to conserve scarce resources, providing incentives to use cheaper materials in their place, stimulating research efforts on new ways to save on resource inputs, and making renewed exploration
attempts more profitable. >>
In fact, in contrast to the gloom-and-doomers, raw material and natural resource prices have remained low, and have generally declined relative to other prices. To liberal and Marxist intellectuals, this is usually a sign of capitalist “exploitation” of the underdeveloped countries which are often the producers of the raw materials. But it is a sign of something completely different, of the fact that natural resources have not been growing scarcer but more abundant; hence their relatively lower cost. The development of cheap substitutes, e.g., plastics, synthetic fibres, has kept natural resources cheap and abundant. And in a few decades we can expect that modern technology will develop a remarkably cheap source of energy—nuclear fusion—a development which will automatically yield a great abundance of raw materials for the work that will be needed. The development of synthetic materials and of cheaper energy highlights a vital aspect of modern technology the doom-sayers overlook: that technology and industrial production create resources which had never existed as effective resources. For example, before the development of the kerosene lamp and especially the automobile, petroleum was not a resource but an unwanted waste, a giant liquid black “weed.” It was only the development of modern industry that converted petroleum into a useful
resource. Furthermore, modern technology, through improved geological techniques and through the incentives of the market, has been finding new petroleum reserves at a rapid rate. Predictions of imminent exhaustion of resources, as we have noted, are nothing new. In 1908, President Theodore Roosevelt, calling a Governors’Conference on natural resources, warned of their “imminent exhaustion.”
At the same conference, steel industrialist Andrew Carnegie predicted the exhaustion of the Lake Superior iron range by 1940, while railroad magnate James J. Hill forecast the exhaustion of much of our timber resources in ten years. Not only that: Hill even predicted an imminent shortage of wheat production in the United States, in a country where we are still grappling with the wheat surpluses generated by our farm subsidy
program. Current forecasts of doom are made on the same basis: a grievous underweighting of the prospects of modern technology and an ignorance of the workings of the market economy.
It is true that several particular natural resources have suffered, in the past and now, from depletion. But in each case the reason has not been “capitalist greed”; on the contrary, the reason has been the failure of government to allow private property in the resource—in short, a failure to pursue the logic of private property rights far enough.
One example has been timber resources. In the American West and in Canada, most of the forests are owned, not by private owners but by the federal (or provincial) government. The government then leases their use to private timber companies. In short, private property is permitted only in the annual use of the resource, but not in the forest, the resource, itself. In this situation, the private timber company does not own the capital value, and therefore does not have to worry about depletion of the resource itself. The timber company has no economic incentive to conserve the resource, replant trees, etc. Its only incentive is to cut as many trees as quickly as possible, since there is no economic value to the timber company in maintaining the capital value of the forest. In Europe, where private ownership of forests is far more common, there is little complaint of destruction of timber resources. For wherever private property is allowed in the forest itself, it is to the benefit of the owner to preserve and restore tree growth while he is cutting timber, so as to avoid depletion of the forest’s capital value.
Thus, in the United States, a major culprit has been the Forest Service of the U.S. Department of Agriculture, which owns forests and leases annual rights to cut timber, with resulting devastation of the trees. In contrast, private forests such as those owned by large lumber firms like Georgia-Pacific and U.S. Plywood scientifically cut and reforest their trees in order to maintain their future supply.
Another unhappy consequence of the American government’s failure to allow private property in a resource was the destruction of the Western grasslands in the late nineteenth century. Every viewer of “Western” movies is familiar with the mystique of the “open range and the often violent “wars” among cattlemen, sheepmen, and farmers over parcels of ranch land. The “open range” was the failure of the federal government to apply the policy of homesteading to the changed conditions of the drier climate west of the Mississippi. In the East, the 160 acres granted free to homesteading farmers on government land constituted a viable technological unit for farming in a wetter climate. But in the dry climate of the West, no successful cattle or sheep ranch could be organized on a mere
160 acres. But the federal government refused to expand the 160-acre unit to allow the “homesteading” of larger cattle ranches. Hence, the “open range,” on which private cattle and sheep owners were able to roam unchecked on government-owned pasture land. But this meant that no one owned the pasture, the land itself; it was therefore to the economic advantage of every cattle or sheep owner to graze the land and use up the grass as quickly as possible, otherwise the grass would be grazed by some other sheep or cattle owner. The result of this tragically shortsighted refusal to allow private property in grazing land itself was an overgrazing of the land, the ruining of the grassland by grazing too early in the season, and the failure of anyone to restore or replant the grass—anyone who bothered to restore the grass would have had to look on helplessly while someone else grazed his cattle or sheep. Hence the overgrazing of the West, and the onset of the “dust bowl.” Hence also the illegal attempts by numerous cattle men, farmers, and sheepmen to take the law into their own hands and fence off the land into private property—and the range wars that often followed.
Professor Samuel P. Hays, in his authoritative account of the conservation movement in America, writes of the range problem: <<Much of the Western livestock industry depended for its forage upon the “open” range, owned by the federal government, but free for anyone to use…. Congress had never provided legislation regulating grazing or permitting stockmen to acquire range lands. Cattle and sheepmen roamed the public domain…. Cattlemen fenced range for their exclusive use, but competitors cut the wire. Resorting to force and violence, sheepherders and cowboys “solved” their dis putes over grazing lands by slaughtering rival livestock and murdering rival stockmen…. Absence of the most elementary institutions of property law created confusion, bitterness, and destruction.
Amid this turmoil the public range rapidly deteriorated. Originally plentiful and lush, the forage supply was subjected to intense pressure by increasing use…. The public domain became stocked with more animals than the range could support. Since each stockman feared that others would beat him to the available forage, he grazed early in the
year and did not permit the young grass to mature and reseed. Under such conditions the quality and quantity of available forage rapidly decreased; vigorous perennials gave way to annuals and annuals to weeds.>>
Hays concludes that public-domain range lands may have been depleted by over two-thirds by this process, as compared to their virgin condition.
There is a vitally important area in which the absence of private property in the resource has been and is causing, not only depletion of resources, but also a complete failure to develop vast potential resources.
This is the potentially enormously productive ocean resource. The oceans are in the international public domain, i.e., no person, company, or even national government is allowed property rights in parts of the ocean. As a result, the oceans have remained in the same primitive state as was the land in the precivilized days before the development of agriculture. The way of production for primitive man was “hunting-and-gathering”: the hunting of wild animals and the gathering of fruits, berries, nuts, and wild seeds and vegetables. Primitive man worked passively within his
environment instead of acting to transform it; hence he just lived off the land without attempting to remould it. As a result, the land was unproductive, and only a relatively few tribesmen could exist at a bare
subsistence level. It was only with the development of agriculture, the farming of the soil, and the transformation of the land through farming that productivity and living standards could take giant leaps forward. And mit was only with agriculture that civilization could begin. But to permit the development of agriculture there had to be private property rights, first in the fields and crops, and then in the land itself. With respect to the ocean, however, we are still in the primitive, unproductive hunting and gathering stage. Anyone can capture fish in the ocean, or extract its resources, but only on the run, only as hunters and gatherers. No one can farm the ocean, no one can engage in aquaculture. In this way we are deprived of the use of the immense fish and mineral resources of the seas. For example, if anyone tried to farm the sea and to increase the productivity of the fisheries by fertilizers, he would immediately be deprived of the fruits of his efforts because he could not keep other fishermen from rushing in and seizing the fish. And so no one tries to fertilize the oceans as the land is fertilized. Fur thermore, there is no economic incentive—in fact, there is every disincentive—for anyone to engage in technological research in the ways and means of improving the productivity of the fisheries, or in extracting the mineral resources of the oceans. There will only be such incentive when property rights in parts of the ocean are as fully allowed as property rights in the land. Even now
there is a simple but effective technique that could be used for increasing fish productivity: parts of the ocean could be fenced off electronically, and through this readily available electronic fencing, fish could be segregated by size. By preventing big fish from eating smaller fish, the production of fish could be increased enormously. And if private property in parts of the ocean were permitted, a vast flowering of aquaculture would create and multiply ocean resources in numerous ways we cannot now even foresee. National governments have tried vainly to cope with the problem of fish depletion by placing irrational and uneconomic restrictions on the total size of the catch, or on the length of the allowable season. In the cases of salmon, tuna, and halibut, technological methods of fishing have thereby been kept primitive and unproductive by unduly shortening the season and injuring the quality of the catch and by stimulating overproduction—and underuse during the year—of the fishing fleets. And of course such governmental restrictions do nothing at all to stimulate the growth of aquaculture. As Professors North and Miller write: <<Fishermen are poor because they are forced to use inefficient equipment and to fish only a small fraction of the time [by the governmental regulations] and of course there are far too many of them. The consumer pays a much higher price for red salmon than would be necessary if efficient methods were used. Despite the evergrowing
intertwining bonds of regulations, the preservation of the salmon run is still not assured. The root of the problem lies in the current non-ownership arrangement. It is not in the interests of any individual fisherman to concern himself with perpetuation of the salmon run. Quite the contrary: It is rather in his interests to catch as many fish as he can
during the season.>> In contrast, North and Miller point out that private property rights in the ocean, under which the owner would use the least costly and most efficient technology and preserve and make productive the resource itself, is now more feasible than ever: “The invention of modern electronic sensing equipment has now made the policing of large bodies of water relatively cheap and easy.”
The growing international conflicts over parts of the ocean only further highlight the importance of private property rights in this vital area. For as the United States and other nations assert their sovereignty 200 miles from
their shores, and as private companies and governments squabble over areas of the ocean; and as trawlers, fishing nets, oil drillers, and mineral diggers war over the same areas of the ocean—property rights become
increasingly and patently more important. As Francis Christy writes:<<… coal is mined in shafts below the sea floor, oil is drilled from platforms fixed to the bottom rising above the water, minerals can be dredged from the surface of the ocean bed… sedentary animals are scraped from the bed on which telephone cables may lie, bottom feeding animals are caught in traps or trawls, mid-water species may be taken by hook and line or by trawls which occasionally interfere with submarines, surface species are taken by net and harpoon, and the surface itself is used for shipping as well as the vessels engaged in extracting resources.>>
This growing conflict leads Christy to predict that “the seas are in a stage of transition. They are moving from a condition in which property rights are almost nonexistent to a condition in which property rights of some form will become appropriated or made available.” Eventually, concludes Christy, “as the sea’s resources become more valuable, exclusive rights will be acquired.”
Diessino lo dici a qualcun'altro!!! :-0008n
Più lungo non c'era?? Lo leggerò..
Ps: forse non si è capito ma non pongo solo un problema ecologico ma anche un problema etico.

(Controcorrente (POL)
16-05-08, 02:19
Tamburello ti consiglio nuovamente di leggere lo scritto di Rothbard che ho postato. Ti farai un'idea su come il capitalismo nel massimo della sua espressione garantisca la conservazione delle risorse.
E ricorda che risorse in senso economico non coincidono necessariamente con quelle in senso fisico.

-Duca-
17-05-08, 14:45
lo sviluppo inolotre è necessario per scoprire nuovi tipi di risorse.. nel medioevo si usavano moltissimo il legno e la pietra, che ora servono a ben poco..
a quelli che parlano di "sviluppo sostenibile" chiedo se vogliono vedere la fine dell'umanità quando il sole si spegnerà naturalmente.

(Controcorrente (POL)
17-05-08, 17:10
lo sviluppo inolotre è necessario per scoprire nuovi tipi di risorse.. nel medioevo si usavano moltissimo il legno e la pietra, che ora servono a ben poco..
Quoto, pensiamo anche ad una risorsa come il ferro che non è mai stato considerato tale durante tutta l'era della pietra, o al petrolio che non era stato mai utilizzato prima della rivoluzione industriale...le risorse (in senso economico) esistono solo nella mente dell'uomo.

(Controcorrente (POL)
18-05-08, 22:30
Tamburello dove sei finito?:-00w09d

(Controcorrente (POL)
19-05-08, 21:58
Tamburello dove sei finito?:-00w09d...:-00w09d

-Duca-
20-05-08, 21:08
ssssss... dai che magari è la volta buona :D

Tambourine
23-05-08, 11:07
Tamburello ti consiglio nuovamente di leggere lo scritto di Rothbard che ho postato. Ti farai un'idea su come il capitalismo nel massimo della sua espressione garantisca la conservazione delle risorse.
E ricorda che risorse in senso economico non coincidono necessariamente con quelle in senso fisico.
Consiglio Georgescu Roegen. Leggerò attentamente Rothbard. Promesso.

lo sviluppo inolotre è necessario per scoprire nuovi tipi di risorse.. nel medioevo si usavano moltissimo il legno e la pietra, che ora servono a ben poco..
a quelli che parlano di "sviluppo sostenibile" chiedo se vogliono vedere la fine dell'umanità quando il sole si spegnerà naturalmente.
Lo "sviluppo sostenibile" per molti economisti-ecologisti è il male assoluto. Sarebbe come dire:la merda profumata.

Quoto, pensiamo anche ad una risorsa come il ferro che non è mai stato considerato tale durante tutta l'era della pietra, o al petrolio che non era stato mai utilizzato prima della rivoluzione industriale...le risorse (in senso economico) esistono solo nella mente dell'uomo.
Le risorso in senso fisico esistono nel pianeta.

Tamburello dove sei finito?:-00w09d
Ero ad una serie di conferenze fuori da Torino. Sono tornato solo ieri. Scusate!

ssssss... dai che magari è la volta buona :D
Ti è andata male! :D
Ps: sono i interista anch'io..

Maxadhego
23-05-08, 15:05
Ma trascuriamo questo, in fin dei conti
le risorse sono comunque generalmente limitate.
L'errore di base sta nel fatto di prendere la
Terra come ambiente unico.
Ma oltre la Terra c'è la Luna.
C'è il Sole. C'è Marte. C'è il Sistema Solare.
E se pur anche le risorse degli altri pianeti
siano limitate, nel complesso l'universo
ha risorse pressochè quasi infinite.
Quindi, per favore, basta con la
questione delle risorse limitate.



vede che sei molto ottimista,
non ti fermi alla terra, ma all'universo,
in tema di risorse disponibili.

quasi mezzo secolo fa, sembra siano
andati sulla luna, portando addirittura una specie di
SUV lunare, per l'esplorazione, e ci si aspettava
di vedere ruspe e altri impianti per
lo sfruttamento delle risorse.

non so cosa sia successo, visto che sembra ci siano
enormi difficoltà soltanto per mettere in orbita, a
qualche centinaio di km. dalla terra, le stazioni
orbitali.

certo è che qualche dubbio mi viene, quando senti dire
che andranno su altri pianeti a recuperare quelle risorse
che per ottenerle, qui sulla terra, non esitano a
fare "guerre umanitarie" e massicce esportazioni
di "democrazia".......

JohnPollock
24-05-08, 00:52
vede che sei molto ottimista,
non ti fermi alla terra, ma all'universo,
in tema di risorse disponibili.

quasi mezzo secolo fa, sembra siano
andati sulla luna, portando addirittura una specie di
SUV lunare, per l'esplorazione, e ci si aspettava
di vedere ruspe e altri impianti per
lo sfruttamento delle risorse.

non so cosa sia successo, visto che sembra ci siano
enormi difficoltà soltanto per mettere in orbita, a
qualche centinaio di km. dalla terra, le stazioni
orbitali.

certo è che qualche dubbio mi viene, quando senti dire
che andranno su altri pianeti a recuperare quelle risorse
che per ottenerle, qui sulla terra, non esitano a
fare "guerre umanitarie" e massicce esportazioni
di "democrazia".......


Ottimista??? MA scusa l'energia solare da dove accidenti la prendi? E' una verità palese e empiricamente provata che fuori dalla Terra ci sono risorse tendenti praticamente all'infinito e rompi e scatole con stupidagini Democratiche????

Guarda che se l'esplorazione dello Spazio non è ancora iniziata veramente è anche in questo caso colpa degli Stati e dei loro stupidi accordi internazionali che impediscono ai privati di volare oltre l'atmosfera quando lo ritengono più giusto.

Come la balla colossale che la Luna dovrebbe essere territorio dell'umanità e così pure tutti i pianeti del Sistema Solare. Sono assurdi gli Stati. Sono senza cervello....hem...già...

Mi frega un cazzo dei loro accordi. Se un giorno dovessi adare su Marte e mi recintassi un territorio, quel territorio se non è occupato, è mio e solo mio. Altro che umanità o Stati...

:K

Maxadhego
24-05-08, 21:49
Ottimista??? MA scusa l'energia solare da dove accidenti la prendi? E' una verità palese e empiricamente provata che fuori dalla Terra ci sono risorse tendenti praticamente all'infinito e rompi e scatole con stupidagini Democratiche????

Guarda che se l'esplorazione dello Spazio non è ancora iniziata veramente è anche in questo caso colpa degli Stati e dei loro stupidi accordi internazionali che impediscono ai privati di volare oltre l'atmosfera quando lo ritengono più giusto.

Come la balla colossale che la Luna dovrebbe essere territorio dell'umanità e così pure tutti i pianeti del Sistema Solare. Sono assurdi gli Stati. Sono senza cervello....hem...già...

Mi frega un cazzo dei loro accordi. Se un giorno dovessi adare su Marte e mi recintassi un territorio, quel territorio se non è occupato, è mio e solo mio. Altro che umanità o Stati...

:K

va beh, aboliamo gli stati,
così i privati possono finalmente volare
su marte e recintare la loro porzione
di territorio.

-Duca-
24-05-08, 22:45
va beh, aboliamo gli stati,
così i privati possono finalmente volare
su marte e recintare la loro porzione
di territorio.

beh.. è così.. basta vedere i trattati internazionali di stampo socialista che normano la proprietà del territorio lunare..

(Controcorrente (POL)
25-05-08, 04:22
Consiglio Georgescu Roegen.
Conosco la bioeconomia. Mi chiedo perché si debba perseguire un'economia ecologicamente sostenibile. Vogliamo sopravvivere sino alla fine dei tempi?:eek:



Le risorso in senso fisico esistono nel pianeta.
Finché non rispondono ad un bisogno umano sono superflue.



Ps: sono i interista anch'io..Grande.:D

Tambourine
26-05-08, 21:37
Conosco la bioeconomia. Mi chiedo perché si debba perseguire un'economia ecologicamente sostenibile. Vogliamo sopravvivere sino alla fine dei tempi?:eek:


Finché non rispondono ad un bisogno umano sono superflue.

Grande.:D

Io credo che il mio benessere dipenda anche dall'avere un figlio vivo. ;)

(Controcorrente (POL)
26-05-08, 21:45
Io credo che il mio benessere dipenda anche dall'avere un figlio vivo. ;)Non l'ho capita.

Tambourine
26-05-08, 23:43
Non l'ho capita.
Vorrei che mio figlio sopravvivesse. Tutto qui. :D

(Controcorrente (POL)
27-05-08, 02:11
Vorrei che mio figlio sopravvivesse. Tutto qui. :DAllora vai a lavorare.:D

Brigant
04-06-08, 23:58
Tambourine, io purtroppo non conosco gli economisti che hai citato nella prima parte di questa interessantissima discussione, ma secondo me il tuo ragionamento è perfettamente logico.
Il terribile paragone del treno in corsa verso il baratro credo che porterà alla rivoluzione culturale ( a volte sono ottimista)

(Controcorrente (POL)
05-06-08, 02:35
Brigant ti do il benvenuto sul forum di economia marginalista:)

Tambourine
05-06-08, 10:34
Tambourine, io purtroppo non conosco gli economisti che hai citato nella prima parte di questa interessantissima discussione, ma secondo me il tuo ragionamento è perfettamente logico.
Il terribile paragone del treno in corsa verso il baratro credo che porterà alla rivoluzione culturale ( a volte sono ottimista)
Grazie. Se vuoi ti posso consigliare qualche lettura per approfondire l'argomento. Completerò il ragionamento esponendo una delle possibili strade alternative al baratro.

Brigant
05-06-08, 12:42
Grazie. Se vuoi ti posso consigliare qualche lettura per approfondire l'argomento. Completerò il ragionamento esponendo una delle possibili strade alternative al baratro.

Si certamente, per i libri grazie.
Qualsisasi strada alternativa credo, presuppone una vasta presa di coscienza, al ritorno a un salutare e semplice al Buon Senso.

Tambourine
05-06-08, 16:10
Si certamente, per i libri grazie.
Qualsisasi strada alternativa credo, presuppone una vasta presa di coscienza, al ritorno a un salutare e semplice al Buon Senso.
Prima di tutto ti consiglio tutti i libri di Giorgio Ruffolo perchè sono molto facili da leggere e molto interessanti. Se vuoi adentrarti nel tecnico c'è tutto il filone dell'economia ecologica (Daly su tutti) e della Bioeconomia (Georgescu-Roegen e Bonaiuti). Per quanto riguarda le proposte alternative andiamo dal radicalismo di Latouche al riformismo di Sen.
La svolta culturale è certamente necessaria, concordo.