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Visualizza Versione Completa : Albert O Hirschman



Tambourine
29-04-08, 23:17
Cosa ne pensate dell'economista tedesco Hirschman?
http://en.wikipedia.org/wiki/Albert_O._Hirschman

JohnPollock
29-04-08, 23:47
Cosa ne pensate dell'economista tedesco Hirschman?
http://en.wikipedia.org/wiki/Albert_O._Hirschman

Che preferisco l'economista tedesco Hans Hermann Hoppe

http://en.wikipedia.org/wiki/Hans-Hermann_Hoppe

http://it.wikipedia.org/wiki/Hans-Hermann_Hoppe

http://de.wikipedia.org/wiki/Hans-Hermann_Hoppe

Winnie
29-04-08, 23:51
Cosa ne pensate dell'economista tedesco Hirschman?
http://en.wikipedia.org/wiki/Albert_O._Hirschman
Non lo conosco.
La mia formazione è più finanziaria che economico-politica.

Tambourine
30-04-08, 10:43
Che preferisco l'economista tedesco Hans Hermann Hoppe

http://en.wikipedia.org/wiki/Hans-Hermann_Hoppe

http://it.wikipedia.org/wiki/Hans-Hermann_Hoppe

http://de.wikipedia.org/wiki/Hans-Hermann_Hoppe

Se avessi voluto chiedere di Hoppe l'avrei fatto... Conosci Hirschman?

JohnPollock
01-05-08, 01:18
Se avessi voluto chiedere di Hoppe l'avrei fatto... Conosci Hirschman?

Non bene purtropo. Puoi illustrarmi i suoi concetti fondamentali se ti va. Sopratutto mi interessa sapere che cosa ne pensava del Libero Scambio.

Tambourine
06-05-08, 22:05
Il contributo di Hirschman alla teoria dello sviluppo è molto importante perché non solo contribuisce alla creazione di un’economia regionale ma mette in discussione le basi stesse della teoria dello sviluppo economico neoclassica.
L’idea che l’economia possa avere un’esistenza utile separata dalla filosofia è assolutamente estranea al lavoro dell’economista tedesco che ha un approccio ermeneutico all’economia, in generale, e allo sviluppo, in particolare. La distinzione tra scelte individuali e scelte collettive, razionalità individuale e razionalità collettiva, pone Hirschman in un filone di analisi che considera necessario un approccio all’economia che consideri comunque le scelte degli individui come limitate dal sistema di valori da cui dipendono. L’economia non può essere amorale.

I lavori sullo sviluppo economico di questo autore devono essere letti alla luce della sua continua ricerca di analisi dei rapporti tra l’individuo ed il contesto collettivo. E’ netta la contrapposizione di questa posizione con l’ortodossia economica per la quale i comportamenti individuali e sociali sono ridotti a reazioni meccaniche sempre prevedibili e astoriche. Il tentativo riduzionista che esclude la diversità umana e la sua imprevedibilità rischia di fallare dalle fondamenta un’economia che si eleva a potenza di scienza perfetta dimenticando la propria dimensione sociale. Il paradigma neoclassico affronta il problema dell'incertezza, riducendola alla prevedibilità di eventi esterni, invece di considerarla come un risultato non predeterminato dell'azione collettiva. Tale semplificazione è resa possibile attraverso l'eliminazione delle componenti strutturali dell'incertezza, ossia le «passioni» degli individui ed il loro «sentimento sociale».
Nel tentativo di rendere l’economia la scienza dell’utilità si è proceduto a scarificare elementi fondamentali della natura umana. Hirschman, in “Pasioni ed interessi: argomenti politici a favore del capitalismo prima del suo trionfo”, affronta proprio la questione della "rimozione” storica delle passioni e la loro sostituzione mediante un concetto di razionalità basato sul calcolo del proprio self-interest. L’uomo è un essere complesso che non può essere ridotto a colui che è guidato solo dal proprio interesse. La fallacia dell’economia ortodossa sta proprio nel credere in questa semplificazione.

Nel tentativo di descrivere questa doppia natura umana, fatta di passioni ed interessi, di azione individuale e di azione collettiva, Hirschman elabora i concetti di Exit e Voice dove l'exit è un comportamento individuale di defezione da un prodotto o da un processo, mentre la voice è un comportamento collettivo in quanto, anche nei casi in cui è espressa individualmente, trae la sua logica d'azione da una concezione collettiva di valori e di giustizia sociale interiorizzata dal soggetto che protesta perché vede lesi i suoi diritti o le sue aspettative.

Dopo aver inquadrato la “poetica” di Hirschman mi interessa passare ad analizzare le sue idee riguardo lo sviluppo economico, idee che ne hanno fatto uno dei “luminari” di questa materia. Il contributo dell’economista tedesco si inserisce perfettamente tra le varie teorie dello sviluppo come quelle di Rostow, Prebisch e Perroux portando al dibattito idee “innovative”.

Questo contributo si forma sulla consapevolezza che l'economia dello sviluppo sia solamente una delle tante sottomaterie che formano la più generale teoria dello sviluppo. L’economia dello sviluppo deve evolversi in questo senso vero una teoria generale dello sviluppo omnicomprensivo. Questa evoluzione, che emerge dai fallimenti di un approccio puramente economicistico al problema dello sviluppo, individua un campo di indagine caratterizzato da una fondamentale multidisciplinarità che attinge all'economia, certamente, ma anche alla storia, alla sociologia, all'antropologia, alla psicologia.

L’idea di fondo di Albert Hirschman è che lo sviluppo si manifesta attraverso una catena di squilibri. Usando la teoria della polarizzazione che Perroux aveva coniato, l’economista tedesco individua due tipi di effetti: gli “effetti di polarizzazione”, “ovvero i fattori che operano nel senso di accrescere le disparità di reddito” e gli “effetti di propagazione”, “ossia i fattori che operano nel senso di diffondere la prosperità dalle regioni ricche alle povere”18 (http://www.politicaonline.net/forum/#_ftn1).

Per lo schema interpretativo dell’autore, che si basa sul dualismo economico e su una nozione di centro- periferia, nello sviluppo “più o meno spontaneo” del capitalismo la ricerca di maggiori profitti genera una “naturale” concentrazione geografica degli investimenti nelle regioni urbanizzate ed industrializzate, essendo “improbabile che lo sviluppo abbia inizio ovunque alla stessa velocità nell’ambito di un’economia”19 (http://www.politicaonline.net/forum/#_ftn2).

Questo fenomeno porta ad un’accentuazione delle differenze economiche tra le varie regioni: le regioni sviluppate usufriranno di un aumento del proprio benessere mentre le regioni arretrare rimarranno tali.

Quando una certa industria ha deciso una localizzazione in un determinato spazio economico, growing point, si avvia un “processo moltiplicatore” che genera un ciclo virtuoso. La nuova domanda mossa da questo processo si manifesta da una parte attraverso l’aumento di richiesta di beni, infrastrutture e servizi della popolazione immigrata; dall’altra la funzione attrattiva dell’impresa favorisce l’insediamento di nuove unità produttive fornitrici di input e acquirenti di semilavorati da sottoporre a successiva trasformazione.

Queste relazioni sono definite da Hirschman come backward e forward linkages, cioè due tipi di effetti di collegamento “all’indietro” o “in avanti”. Questi due fenomeni influiscono su ciò che per l’autore è al centro dello sviluppo, cioè l’”investimento indotto”. L’accresciuta disponibilità di un prodotto induce lentamente ad un incremento della domanda di altri prodotti, complementari all’uso sostenuti dal cosiddetto “bisogno indotto”. L’investimento indotto è qualcosa di molto simile al moltiplicatore di keynesiana memoria; accade cioè che ogni investimento provoca una serie di investimenti successivi portando così con se le economie e le diseconomie esterne.
Questi linkages vengono definiti in questo modo da Hirshman:
1.La fornitura degli input, la domanda derivata, o gli effetti di collegamento all’indietro. Ogni attività economica che non sia del settore primario, indurrà degli sforzi per produrre localmente gli input che le sono necessari.
2.L’utilizzazione degli output, o gli effetti di collegamento in avanti. Ogni attività che per sua natura non soddisfa esclusivamente la domanda finale, indurrà degli sforzi per utilizzare i suoi output come input in qualche nuova attività.20 (http://www.politicaonline.net/forum/#_ftn3)

Lo sviluppo economico si fonda, quindi, su questi meccanismi di induzione che permettono allo sviluppo di propagarsi da regione a regione. Il contributo hirschmaniano deve molto alla teoria della geografia economica e ai concetti di economie esterne di Marshall derivanti da quelli che alcuni chiamano come il “milieu” o meglio ancora “l’atmosfera industriale”.

L’intero processo essendo cumulativo avvia nuovi cicli di sviluppo che generano nuove forme di concentrazione fino a quando o si manifestano diseconomie di agglomerazione oppure emergono nuovi centri (o poli) di crescita concorrenti che offrono vantaggi competitivi maggiori.

Questo fenomeno si manifesta per la naturale tendenza degli imprenditori a concentrarsi e questo risulta essere il fattore propulsivo della crescita economica, la è, per i motivi già visti, necessariamente squilibrata, cioè spazialmente differenziata. Il divario economico tra Nord (regioni sviluppate) e Sud (regioni sottosviluppate) tende necessariamente ad aumentare restringendo le possibilità per quest’ultime di svilupparsi, riducendo il divario.

La conclusione di Hirschman sembra essere particolarmente pessimista dato che le regioni sottosviluppate sono destinate a rimanere escluse dalla concentrazione delle attività produttive ma, sempre secondo l’economista tedesco, la soluzione a questo problema avverrebbe “spontaneamente” nel lungo periodo, “in quanto la crescita dei livelli di consumo nelle aree sviluppate determinerebbe un aumento della domanda anche nelle regioni sottosviluppate, favorendo in queste ultime l’innesco di processi di espansione economica.

Come si può facilmente intuire la teoria di Hirschman si basa principalmente sull’idea di un forte dualismo tra Nord e Sud del mondo. Questo dualismo è fortemente dialettico e prevede una contrapposizione profonda tra le due realtà che, in un’economia di mercato, sono destinate a scontrarsi.

Gli argomenti che si affrontano in questa ultima parte del paragrafo sono le posizioni dell’economista tedesco su quelle che possono (o devono) essere le politiche economiche ed sul suo confronto tra la diffusione interregionale e quella internazionale dello sviluppo economico.

La difficoltà, mostrata dall’argomentazione appena descritta, di trasferire lo sviluppo da regione a regione e la difficoltà di dare avvio a processi di crescita in zone scarsamente attrattive assume particolare importanza la distribuzione regionale degli investimenti pubblici che devono fare da moltiplicatore.

Secondo Hirschman esistono tre gruppi di interventi pubblici: la dispersione, la concentrazione nelle regioni già sviluppate e la concentrazione nelle zone arretrate.

Il primo modello è quello più diffuso poiché i governi tendono a disperdere gli investimenti per avere più popolarità possibile. Il ruolo dei governi nello sviluppo viene brillantemente riassunto da Hirschman in questo passaggio: “Per esercitare un’azione efficace, il governo deve promuovere lo sviluppo per mezzo di decisi interventi, tali da creare incentivi e pressioni per un’azione ulteriore; e deve restar pronto a reagire a queste pressioni e alleviarle in numerose aree. Qualunque sia l’importanza del ruolo dello stato nell’economia, entrambe le funzioni sono generalmente presenti, anche se una delle due può essere predominante.”21 (http://www.politicaonline.net/forum/#_ftn4)
I due compiti quindi sono la promozione e la funzione di attenuazione delle pressioni. Il primo compito , su quale si sono concentrati gli studiosi dello sviluppo, è quello di preparare le condizioni, i prerequisiti, per la continuazione dello sviluppo, ma questa fase è spesso incapace di promuovere lo sviluppo in aree sottosviluppate.
La seconda fase si potrebbe definire “indotta” e si concretizza in una serie di interventi di riequilibrio dove lo Stato interviene a sostegno dello sviluppo di un settore aggiornando altri settori complementari: lo sviluppo della siderurgia necessita di uno sviluppo dell’industria energetica e dei trasporti, ma anche dell’istruzione. Ogni singolo intervento ha effetti che devono essere controllati nella loro totalità per non rischiare di creare più danni che benefici.
Un’altra argomentazione molto interessante dell’economista tedesco è quella sul rapporto tra lo sviluppo regionale e lo sviluppo internazionale, dato che si cerca di fare una comparazione su base spaziale.
Come abbiamo visto lo sviluppo difficilmente passa da regione a regione spontaneamente e questa considerazione potrebbe far dedurre che il passaggio internazionale sia ancora meno probabile. Gli effetti di polarizzazione e di propagazione tendono a favorire tendenze separatiste o meno a seconda di quale tipo di diffusione sia più conveniente (internazionale o interregionale). Hirschiman conclude affermando che “le forze che agiscono a favore della diffusione dello sviluppo tra regioni sono probabilmente più forti di quelle che agiscono per la sua diffusione tra paesi.”22 (http://www.politicaonline.net/forum/#_ftn5) Questa convinzione nasce dall’argomentazione che in uno stesso Paese lo sviluppo delle zone degradate sarà motivato da ragioni solidaristiche fondate sull’unità nazionale e sul potere di pressione politica dell’aree depresse nei confronti del governo centrale.

18 (http://www.politicaonline.net/forum/#_ftnref1) A. O. Hirschman “Ascesa e declino dell’economia dello sviluppo” Rosenberg & Seller, Torino 1983

19 (http://www.politicaonline.net/forum/#_ftnref2) A. O. Hirschman “La strategia dello sviluppo economico”, La Nuova Italia, Firenze 1968 p.219

20 (http://www.politicaonline.net/forum/#_ftnref3) A. O. Hirschman “La strategia dello sviluppo economico” La Nuova Italia, Firenze 1968 cit. p.120

21 (http://www.politicaonline.net/forum/#_ftnref4) A. O. Hirschman “La strategia dello sviluppo economico” La Nuova Italia, Firenze 1968 cit. p.242


22 (http://www.politicaonline.net/forum/#_ftnref5) A. O. Hirschman “La strategia dello sviluppo economico” La Nuova Italia, Firenze 1968 cit. p.236

Ps: I diritti d'autore sono i miei!

JohnPollock
07-05-08, 01:08
Il contributo di Hirschman alla teoria dello sviluppo è molto importante perché non solo contribuisce alla creazione di un’economia regionale ma mette in discussione le basi stesse della teoria dello sviluppo economico neoclassica.
L’idea che l’economia possa avere un’esistenza utile separata dalla filosofia è assolutamente estranea al lavoro dell’economista tedesco che ha un approccio ermeneutico all’economia, in generale, e allo sviluppo, in particolare. La distinzione tra scelte individuali e scelte collettive, razionalità individuale e razionalità collettiva, pone Hirschman in un filone di analisi che considera necessario un approccio all’economia che consideri comunque le scelte degli individui come limitate dal sistema di valori da cui dipendono. L’economia non può essere amorale.


I lavori sullo sviluppo economico di questo autore devono essere letti alla luce della sua continua ricerca di analisi dei rapporti tra l’individuo ed il contesto collettivo. E’ netta la contrapposizione di questa posizione con l’ortodossia economica per la quale i comportamenti individuali e sociali sono ridotti a reazioni meccaniche sempre prevedibili e astoriche. Il tentativo riduzionista che esclude la diversità umana e la sua imprevedibilità rischia di fallare dalle fondamenta un’economia che si eleva a potenza di scienza perfetta dimenticando la propria dimensione sociale. Il paradigma neoclassico affronta il problema dell'incertezza, riducendola alla prevedibilità di eventi esterni, invece di considerarla come un risultato non predeterminato dell'azione collettiva. Tale semplificazione è resa possibile attraverso l'eliminazione delle componenti strutturali dell'incertezza, ossia le «passioni» degli individui ed il loro «sentimento sociale».


Nel tentativo di rendere l’economia la scienza dell’utilità si è proceduto a scarificare elementi fondamentali della natura umana. Hirschman, in “Pasioni ed interessi: argomenti politici a favore del capitalismo prima del suo trionfo”, affronta proprio la questione della "rimozione” storica delle passioni e la loro sostituzione mediante un concetto di razionalità basato sul calcolo del proprio self-interest. L’uomo è un essere complesso che non può essere ridotto a colui che è guidato solo dal proprio interesse. La fallacia dell’economia ortodossa sta proprio nel credere in questa semplificazione.


Nel tentativo di descrivere questa doppia natura umana, fatta di passioni ed interessi, di azione individuale e di azione collettiva, Hirschman elabora i concetti di Exit e Voice dove l'exit è un comportamento individuale di defezione da un prodotto o da un processo, mentre la voice è un comportamento collettivo in quanto, anche nei casi in cui è espressa individualmente, trae la sua logica d'azione da una concezione collettiva di valori e di giustizia sociale interiorizzata dal soggetto che protesta perché vede lesi i suoi diritti o le sue aspettative.


Dopo aver inquadrato la “poetica” di Hirschman mi interessa passare ad analizzare le sue idee riguardo lo sviluppo economico, idee che ne hanno fatto uno dei “luminari” di questa materia. Il contributo dell’economista tedesco si inserisce perfettamente tra le varie teorie dello sviluppo come quelle di Rostow, Prebisch e Perroux portando al dibattito idee “innovative”.


Questo contributo si forma sulla consapevolezza che l'economia dello sviluppo sia solamente una delle tante sottomaterie che formano la più generale teoria dello sviluppo. L’economia dello sviluppo deve evolversi in questo senso vero una teoria generale dello sviluppo omnicomprensivo. Questa evoluzione, che emerge dai fallimenti di un approccio puramente economicistico al problema dello sviluppo, individua un campo di indagine caratterizzato da una fondamentale multidisciplinarità che attinge all'economia, certamente, ma anche alla storia, alla sociologia, all'antropologia, alla psicologia.


L’idea di fondo di Albert Hirschman è che lo sviluppo si manifesta attraverso una catena di squilibri. Usando la teoria della polarizzazione che Perroux aveva coniato, l’economista tedesco individua due tipi di effetti: gli “effetti di polarizzazione”, “ovvero i fattori che operano nel senso di accrescere le disparità di reddito” e gli “effetti di propagazione”, “ossia i fattori che operano nel senso di diffondere la prosperità dalle regioni ricche alle povere”18 (http://www.politicaonline.net/forum/#_ftn1).


Per lo schema interpretativo dell’autore, che si basa sul dualismo economico e su una nozione di centro- periferia, nello sviluppo “più o meno spontaneo” del capitalismo la ricerca di maggiori profitti genera una “naturale” concentrazione geografica degli investimenti nelle regioni urbanizzate ed industrializzate, essendo “improbabile che lo sviluppo abbia inizio ovunque alla stessa velocità nell’ambito di un’economia”19 (http://www.politicaonline.net/forum/#_ftn2).


Questo fenomeno porta ad un’accentuazione delle differenze economiche tra le varie regioni: le regioni sviluppate usufriranno di un aumento del proprio benessere mentre le regioni arretrare rimarranno tali.


Quando una certa industria ha deciso una localizzazione in un determinato spazio economico, growing point, si avvia un “processo moltiplicatore” che genera un ciclo virtuoso. La nuova domanda mossa da questo processo si manifesta da una parte attraverso l’aumento di richiesta di beni, infrastrutture e servizi della popolazione immigrata; dall’altra la funzione attrattiva dell’impresa favorisce l’insediamento di nuove unità produttive fornitrici di input e acquirenti di semilavorati da sottoporre a successiva trasformazione.


Queste relazioni sono definite da Hirschman come backward e forward linkages, cioè due tipi di effetti di collegamento “all’indietro” o “in avanti”. Questi due fenomeni influiscono su ciò che per l’autore è al centro dello sviluppo, cioè l’”investimento indotto”. L’accresciuta disponibilità di un prodotto induce lentamente ad un incremento della domanda di altri prodotti, complementari all’uso sostenuti dal cosiddetto “bisogno indotto”. L’investimento indotto è qualcosa di molto simile al moltiplicatore di keynesiana memoria; accade cioè che ogni investimento provoca una serie di investimenti successivi portando così con se le economie e le diseconomie esterne.
Questi linkages vengono definiti in questo modo da Hirshman:
1.La fornitura degli input, la domanda derivata, o gli effetti di collegamento all’indietro. Ogni attività economica che non sia del settore primario, indurrà degli sforzi per produrre localmente gli input che le sono necessari.
2.L’utilizzazione degli output, o gli effetti di collegamento in avanti. Ogni attività che per sua natura non soddisfa esclusivamente la domanda finale, indurrà degli sforzi per utilizzare i suoi output come input in qualche nuova attività.20 (http://www.politicaonline.net/forum/#_ftn3)


Lo sviluppo economico si fonda, quindi, su questi meccanismi di induzione che permettono allo sviluppo di propagarsi da regione a regione. Il contributo hirschmaniano deve molto alla teoria della geografia economica e ai concetti di economie esterne di Marshall derivanti da quelli che alcuni chiamano come il “milieu” o meglio ancora “l’atmosfera industriale”.



L’intero processo essendo cumulativo avvia nuovi cicli di sviluppo che generano nuove forme di concentrazione fino a quando o si manifestano diseconomie di agglomerazione oppure emergono nuovi centri (o poli) di crescita concorrenti che offrono vantaggi competitivi maggiori.


Questo fenomeno si manifesta per la naturale tendenza degli imprenditori a concentrarsi e questo risulta essere il fattore propulsivo della crescita economica, la è, per i motivi già visti, necessariamente squilibrata, cioè spazialmente differenziata. Il divario economico tra Nord (regioni sviluppate) e Sud (regioni sottosviluppate) tende necessariamente ad aumentare restringendo le possibilità per quest’ultime di svilupparsi, riducendo il divario.


La conclusione di Hirschman sembra essere particolarmente pessimista dato che le regioni sottosviluppate sono destinate a rimanere escluse dalla concentrazione delle attività produttive ma, sempre secondo l’economista tedesco, la soluzione a questo problema avverrebbe “spontaneamente” nel lungo periodo, “in quanto la crescita dei livelli di consumo nelle aree sviluppate determinerebbe un aumento della domanda anche nelle regioni sottosviluppate, favorendo in queste ultime l’innesco di processi di espansione economica.


Come si può facilmente intuire la teoria di Hirschman si basa principalmente sull’idea di un forte dualismo tra Nord e Sud del mondo. Questo dualismo è fortemente dialettico e prevede una contrapposizione profonda tra le due realtà che, in un’economia di mercato, sono destinate a scontrarsi.


Gli argomenti che si affrontano in questa ultima parte del paragrafo sono le posizioni dell’economista tedesco su quelle che possono (o devono) essere le politiche economiche ed sul suo confronto tra la diffusione interregionale e quella internazionale dello sviluppo economico.


La difficoltà, mostrata dall’argomentazione appena descritta, di trasferire lo sviluppo da regione a regione e la difficoltà di dare avvio a processi di crescita in zone scarsamente attrattive assume particolare importanza la distribuzione regionale degli investimenti pubblici che devono fare da moltiplicatore.


Secondo Hirschman esistono tre gruppi di interventi pubblici: la dispersione, la concentrazione nelle regioni già sviluppate e la concentrazione nelle zone arretrate.


Il primo modello è quello più diffuso poiché i governi tendono a disperdere gli investimenti per avere più popolarità possibile. Il ruolo dei governi nello sviluppo viene brillantemente riassunto da Hirschman in questo passaggio: “Per esercitare un’azione efficace, il governo deve promuovere lo sviluppo per mezzo di decisi interventi, tali da creare incentivi e pressioni per un’azione ulteriore; e deve restar pronto a reagire a queste pressioni e alleviarle in numerose aree. Qualunque sia l’importanza del ruolo dello stato nell’economia, entrambe le funzioni sono generalmente presenti, anche se una delle due può essere predominante.”21 (http://www.politicaonline.net/forum/#_ftn4)
I due compiti quindi sono la promozione e la funzione di attenuazione delle pressioni. Il primo compito , su quale si sono concentrati gli studiosi dello sviluppo, è quello di preparare le condizioni, i prerequisiti, per la continuazione dello sviluppo, ma questa fase è spesso incapace di promuovere lo sviluppo in aree sottosviluppate.
La seconda fase si potrebbe definire “indotta” e si concretizza in una serie di interventi di riequilibrio dove lo Stato interviene a sostegno dello sviluppo di un settore aggiornando altri settori complementari: lo sviluppo della siderurgia necessita di uno sviluppo dell’industria energetica e dei trasporti, ma anche dell’istruzione. Ogni singolo intervento ha effetti che devono essere controllati nella loro totalità per non rischiare di creare più danni che benefici.
Un’altra argomentazione molto interessante dell’economista tedesco è quella sul rapporto tra lo sviluppo regionale e lo sviluppo internazionale, dato che si cerca di fare una comparazione su base spaziale.
Come abbiamo visto lo sviluppo difficilmente passa da regione a regione spontaneamente e questa considerazione potrebbe far dedurre che il passaggio internazionale sia ancora meno probabile. Gli effetti di polarizzazione e di propagazione tendono a favorire tendenze separatiste o meno a seconda di quale tipo di diffusione sia più conveniente (internazionale o interregionale). Hirschiman conclude affermando che “le forze che agiscono a favore della diffusione dello sviluppo tra regioni sono probabilmente più forti di quelle che agiscono per la sua diffusione tra paesi.”22 (http://www.politicaonline.net/forum/#_ftn5) Questa convinzione nasce dall’argomentazione che in uno stesso Paese lo sviluppo delle zone degradate sarà motivato da ragioni solidaristiche fondate sull’unità nazionale e sul potere di pressione politica dell’aree depresse nei confronti del governo centrale.

18 (http://www.politicaonline.net/forum/#_ftnref1) A. O. Hirschman “Ascesa e declino dell’economia dello sviluppo” Rosenberg & Seller, Torino 1983

19 (http://www.politicaonline.net/forum/#_ftnref2) A. O. Hirschman “La strategia dello sviluppo economico”, La Nuova Italia, Firenze 1968 p.219

20 (http://www.politicaonline.net/forum/#_ftnref3) A. O. Hirschman “La strategia dello sviluppo economico” La Nuova Italia, Firenze 1968 cit. p.120

21 (http://www.politicaonline.net/forum/#_ftnref4) A. O. Hirschman “La strategia dello sviluppo economico” La Nuova Italia, Firenze 1968 cit. p.242


22 (http://www.politicaonline.net/forum/#_ftnref5) A. O. Hirschman “La strategia dello sviluppo economico” La Nuova Italia, Firenze 1968 cit. p.236

Ps: I diritti d'autore sono i miei!


Alcune cose mi piacciono, ad esempio quando parli di interazioni individuali/sociali. Mi piacce anche quello che ho sottolineato su in rosso e sopratutto quando ti riferisci alla soluzione spontanea del problema (mano invisibile, anche se lo negherai).

Quando inizi a scrivere delle sue soluzioni governative, mi cadono le braccia.

Uno dei diffetti maggiori, comune a quasi tutti gli economisti, è che essi uniscono filosofia utilitaristica a economia. E mi spiego. Non è che siccome gli economisti spiegano quale sia il sistema migliore per generare sviluppo e richezza, allora si debbano fare e imporre agli esseri umani politiche di sviluppo e richezza forzata. Questo non lo accetto. Così come non acceto che debba essere la maggioranza a decidere quale sia il sitema migliore per generare svilupoo e richezza, con tutte le conseguenze del caso, ovvero cambi di porgramma e pianificazioni interventiste che arrivano e poi saltano, che vanno e vengono.
Io per esempio potrei non volermi svilupare e non voler diventare ricco. Perchè lo Stato deve impormi politiche economiche di sviluppo liberiste se e quando la maggioranza al governo è liberista, o politiche economiche socialiste se e quando la maggioranza al governo è socialista?????

E' un grave errore mescolare l'economia, e i suoi sistemi di svilupo, con l'etica personale di un uomo.

Spero tu possa capire la profondità di queste mie argomentazioni anche se non sempre riesco a esporle al meglio.

Tambourine
07-05-08, 10:35
Alcune cose mi piacciono, ad esempio quando parli di interazioni individuali/sociali. Mi piacce anche quello che ho sottolineato su in rosso e sopratutto quando ti riferisci alla soluzione spontanea del problema (mano invisibile, anche se lo negherai).

Quando inizi a scrivere delle sue soluzioni governative, mi cadono le braccia.

Uno dei diffetti maggiori, comune a quasi tutti gli economisti, è che essi uniscono filosofia utilitaristica a economia. E mi spiego. Non è che siccome gli economisti spiegano quale sia il sistema migliore per generare sviluppo e richezza, allora si debbano fare e imporre agli esseri umani politiche di sviluppo e richezza forzata. Questo non lo accetto. Così come non acceto che debba essere la maggioranza a decidere quale sia il sitema migliore per generare svilupoo e richezza, con tutte le conseguenze del caso, ovvero cambi di porgramma e pianificazioni interventiste che arrivano e poi saltano, che vanno e vengono.
Io per esempio potrei non volermi svilupare e non voler diventare ricco. Perchè lo Stato deve impormi politiche economiche di sviluppo liberiste se e quando la maggioranza al governo è liberista, o politiche economiche socialiste se e quando la maggioranza al governo è socialista?????

E' un grave errore mescolare l'economia, e i suoi sistemi di svilupo, con l'etica personale di un uomo.

Spero tu possa capire la profondità di queste mie argomentazioni anche se non sempre riesco a esporle al meglio.
Quello che mette in evidenza Hirschman e che io condivido, è la stretta relazioni tra scelte individuali e struttura etica. L'economia non può escludere l'etica perchè ogni singolo individuo non decide esclusivamente in base all'utilità ma anche in base all'etica. Questa critica di Hirschman all'economia neoclassica è asoslutamente sacrosanta.
E' presente un'altra critica che mi sento di sottoscrivere cioè questa:
Nel tentativo di rendere l’economia la scienza dell’utilità si è proceduto a scarificare elementi fondamentali della natura umana. Hirschman, in “Pasioni ed interessi: argomenti politici a favore del capitalismo prima del suo trionfo”, affronta proprio la questione della "rimozione” storica delle passioni e la loro sostituzione mediante un concetto di razionalità basato sul calcolo del proprio self-interest. L’uomo è un essere complesso che non può essere ridotto a colui che è guidato solo dal proprio interesse. La fallacia dell’economia ortodossa sta proprio nel credere in questa semplificazione.

Per quanto riguarda le politiche Hirschman analizza quella che è la realtà dei suoi tempi, esprimendo un parere sull'efficienza di tali interventi. Non si esprime mai apertamente a favore di questi interventi.