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Visualizza Versione Completa : Lingua o dialetto?



siculo58
30-05-08, 10:07
Molte volte in passato si é dibattuto sul definizione del Siciliano, ovvero se si deve considerare un dialetto o una lingua.
Recentemente, una risoluzione dell'UNESCO, ha dichiarato il Siciliano come lingua minoritaria a se stante dall'italiano, aggiungendola dunque alla giá numerosa lista di lingue minoritarie Europee come le lingue gaeliche Britanniche, il Sardo, il Corso, il Bretone, ecc.
Risoluzione che l'italia continua ad ignorare, mantenendo il Siciliano emarginato al ruolo di dialetto, mentre considera tra lingue minoritarie dentro dei suoi "confini": Sardo, Albanese, Ladino, ecc.
Il problema é comunque che non é solo l'italia a considerare il Siciliano un dialetto ma molti Siciliani.
Esiste in Sicilia la mentalitá di ritenere la lingua Siciliana come la lingua dei non colti, dei cafoni, una lingua che lascia indietro, che non fa progredire, non sapendo che é proprio la non conoscenza, il non usare il Siciliano che é sinonimo di non cultura!
Quando si apprende una lingua, si apprende anche la cultura della gente che parla quella lingua, e con essa tradizioni, usanze, la storia, non conoscere il Siciliano, per un Siciliano, é sconoscere la propria storia, la propria cultura, quindi é il non parlarlo che é di incolto!
Molti di noi ignorano le bellezze di una poesia di Nino Martoglio, di Buttitta, o le dolcezze di canzoni come:"mi votu e mi rivotu", proprio perché in Siciliano, perdendo qualcosa che é proprio, non allogeno, che é piú vicino, che parla di cose che abbiamo a due passi, intorno a noi, che sono dentro noi!
Non sono un esperto, parlo da profano, ma vorrei dimostrare a modo mio, e quindi confermare, che il Siciliano é una lingua a se stante.
Per cominciare, ci sarebbe da dire che durante tutto il periodo romano, in Sicilia non si parlava in latino, bensí in greco, e in questa lingua confluivano anche alcuni elementi autoctoni dei Siculi e delle altre popolazioni indigene.
Alla fine dell'impero subentrano i Bizantini, quindi mantenendo il greco, poi arrivano gli arabi, importando con loro: la loro scienza, la matematica, l'architettura, una avanzata agricoltura e ovviamente la loro lingua, presente tuttora nel Siciliano perfino in alcuni cognomi, come Zappalá, Fragalá, oltre a toponimi, come Alcantara.
É nel X secolo che con l'arrivo dei Normanni e con la costituzione dell'indipendente Regno di Sicilia, che la Sicilia viene rilatinizzata, ma il latino parlato dai Normanni, non é il latino del ormai defunto impero, ma una lingua giá evoluta in un'altra forma, piú moderna.
É poi nel XII secolo alla corte di Re Federico II che si sviluppa la "Scuola Siciliana" che dará vita ad una lingua neolatina (il Siciliano) che verrá poi presa ad esempio qualche tempo dopo da quel Dante Aligheri, che nel suo "De vulgari eloquentia" scritto nella sua nuova lingua: il Toscano (che diventerá poi italiano) tesserá le lodi a poeti della Scuola Siciliana, come Jacopo da Lentini.
Come puó dunque essere il Siciliano dialetto dell'italiano se é nato prima di questo?
Qualcuno potrebbe obbiettare che non esiste un Siciliano standard: non esisterebbe neanche l'italiano standard se non esistesse l'Accademia della Crusca!
Del resto l'italiano parlato a Milano é diverso da quello parlato a Napoli, ecc.
Esistono si dialetti Siciliani, ma sono derivazioni di una lingua unica: il Siciliano e non l'italiano, esiste il dialetto Palermitano, il Catanese, il Ragusano, ma sono tutti espressione di una lingua unica che é appunto il Siciliano.
Del resto avete mai provato a viaggiare per il Regno Unito? Noterete che ci sono grandi differenze di pronuncia tra Londra e Manchester, o Liverpool, o Newcastle eppure la lingua é unica: é l'inglese!
Si puó benissimo parlare il Catanese a Palermo o viceversa e ci si capisce benissimo, provate a parlarlo a Milano o a Firenze!
Tocca ora a noi rivalorizzare la nostra lingua, la lingua dei nostri avi, la lingua che ci identifica, che ci da una collocazione nel tempo e nello spazio, la lingua che é nostra, eliminando quegli stereotipi che vogliono la parlata Siciliana abbinata al mafioso, al maleducato.
In fondo l'italiano é diventato lingua "nazionale" solo dopo la II guerra mondiale con la televisione, sono solo 60 anni, possiamo farcela, non si dimentichi l'italiano, peraltro una bellissima lingua, ma non si uccida il Siciliano!

Neva
30-05-08, 22:02
Molte volte in passato si é dibattuto sul definizione del Siciliano, ovvero se si deve considerare un dialetto o una lingua.
Recentemente, una risoluzione dell'UNESCO, ha dichiarato il Siciliano come lingua minoritaria a se stante dall'italiano, aggiungendola dunque alla giá numerosa lista di lingue minoritarie Europee come le lingue gaeliche Britanniche, il Sardo, il Corso, il Bretone, ecc.
Risoluzione che l'italia continua ad ignorare, mantenendo il Siciliano emarginato al ruolo di dialetto, mentre considera tra lingue minoritarie dentro dei suoi "confini": Sardo, Albanese, Ladino, ecc.
Il problema é comunque che non é solo l'italia a considerare il Siciliano un dialetto ma molti Siciliani.
Esiste in Sicilia la mentalitá di ritenere la lingua Siciliana come la lingua dei non colti, dei cafoni, una lingua che lascia indietro, che non fa progredire, non sapendo che é proprio la non conoscenza, il non usare il Siciliano che é sinonimo di non cultura!
Quando si apprende una lingua, si apprende anche la cultura della gente che parla quella lingua, e con essa tradizioni, usanze, la storia, non conoscere il Siciliano, per un Siciliano, é sconoscere la propria storia, la propria cultura, quindi é il non parlarlo che é di incolto!
Molti di noi ignorano le bellezze di una poesia di Nino Martoglio, di Buttitta, o le dolcezze di canzoni come:"mi votu e mi rivotu", proprio perché in Siciliano, perdendo qualcosa che é proprio, non allogeno, che é piú vicino, che parla di cose che abbiamo a due passi, intorno a noi, che sono dentro noi!
Non sono un esperto, parlo da profano, ma vorrei dimostrare a modo mio, e quindi confermare, che il Siciliano é una lingua a se stante.
Per cominciare, ci sarebbe da dire che durante tutto il periodo romano, in Sicilia non si parlava in latino, bensí in greco, e in questa lingua confluivano anche alcuni elementi autoctoni dei Siculi e delle altre popolazioni indigene.
Alla fine dell'impero subentrano i Bizantini, quindi mantenendo il greco, poi arrivano gli arabi, importando con loro: la loro scienza, la matematica, l'architettura, una avanzata agricoltura e ovviamente la loro lingua, presente tuttora nel Siciliano perfino in alcuni cognomi, come Zappalá, Fragalá, oltre a toponimi, come Alcantara.
É nel X secolo che con l'arrivo dei Normanni e con la costituzione dell'indipendente Regno di Sicilia, che la Sicilia viene rilatinizzata, ma il latino parlato dai Normanni, non é il latino del ormai defunto impero, ma una lingua giá evoluta in un'altra forma, piú moderna.
É poi nel XII secolo alla corte di Re Federico II che si sviluppa la "Scuola Siciliana" che dará vita ad una lingua neolatina (il Siciliano) che verrá poi presa ad esempio qualche tempo dopo da quel Dante Aligheri, che nel suo "De vulgari eloquentia" scritto nella sua nuova lingua: il Toscano (che diventerá poi italiano) tesserá le lodi a poeti della Scuola Siciliana, come Jacopo da Lentini.
Come puó dunque essere il Siciliano dialetto dell'italiano se é nato prima di questo?
Qualcuno potrebbe obbiettare che non esiste un Siciliano standard: non esisterebbe neanche l'italiano standard se non esistesse l'Accademia della Crusca!
Del resto l'italiano parlato a Milano é diverso da quello parlato a Napoli, ecc.
Esistono si dialetti Siciliani, ma sono derivazioni di una lingua unica: il Siciliano e non l'italiano, esiste il dialetto Palermitano, il Catanese, il Ragusano, ma sono tutti espressione di una lingua unica che é appunto il Siciliano.
Del resto avete mai provato a viaggiare per il Regno Unito? Noterete che ci sono grandi differenze di pronuncia tra Londra e Manchester, o Liverpool, o Newcastle eppure la lingua é unica: é l'inglese!
Si puó benissimo parlare il Catanese a Palermo o viceversa e ci si capisce benissimo, provate a parlarlo a Milano o a Firenze!
Tocca ora a noi rivalorizzare la nostra lingua, la lingua dei nostri avi, la lingua che ci identifica, che ci da una collocazione nel tempo e nello spazio, la lingua che é nostra, eliminando quegli stereotipi che vogliono la parlata Siciliana abbinata al mafioso, al maleducato.
In fondo l'italiano é diventato lingua "nazionale" solo dopo la II guerra mondiale con la televisione, sono solo 60 anni, possiamo farcela, non si dimentichi l'italiano, peraltro una bellissima lingua, ma non si uccida il Siciliano!
Caro Siculo,
è così importante il tema di questo 3d, e così bene illustrato da te, che ritengo di metterlo in rilievo.
Invito gli altri forumisti ad intervenire in questa discussione.

gladiator82ct
20-08-08, 20:46
in sicilia (così come in moltissime altre zone d'italia) c'è una chiara condizione di diglossia di fatto, ovvero, vi è un sistema in cui spesso si parla una lingua in presenza di amici e parenti nei discorsi informali e un'altra lingua (considerata covenzionalmente più elevata) nei discorsi formali o nei documenti ufficiali. la lingua ufficiale, usata in tutti i documenti, nei testi ufficiali e formali è ovviamente l'italiano, la lingua parlata informalmente è invece il siciliano (o i suoi dialetti).
ciò che distingue un dialetto da una lingua è esclusivamente il prestigio sociale che gli viene attribuito, capite ovviamente che il giudizio sul prestigio sociale di una lingua può essere del tutto soggettivo: esistono fior di documenti ufficiali del passato scritti in siciliano e opere letterarie di altissimo livello, eppure lo stato italiano non riconosce il siciliano come lingua, mente l'unesco (ed eminenti linguisti e filologi) come ben diceva siculo58 si.

il catalano è considerato lingua a tutti gli effetti dallo stato spagnolo e viene affiancato al castigliano in tutti i documenti ufficiali e nelle indicazioni stradali, si crea insomma una situazione di bilinguismo ufficialmente riconosciuto. in sicilia ciò non avviene semplicemente perchè lo stato non ha riconosciuto ufficialmente il siciliano, non perchè il siciliano sia una lingua meno nobile... del resto la lingua italiana è stata un mezzo per cercare di unire l'italia e una funzione fondamentale nel cercare di dare un'unica lingua agli italiani, l'ha avuta la televisione.

un dialetto in linguistica è semplicemente una lingua che non ha avuto abbastanza "fortuna" politica. fra l'altro storicamente, il siciliano "ha rischiato" di diventare la lingua ufficiale italiana, alla fine come tutti sappiamo l'ha spuntata il fiorentino...

il siciliano è una lingua complessa e con una sua chiara struttura, chiare regole grammaticali e sintattiche. non solo, di questa lingua vengono considerati dialetti (ricordando che il concetto di dialetto è assolutamente soggettivo) alcune sue varianti, come ad esempio il reggino...

siculo58
23-08-08, 02:37
in sicilia (così come in moltissime altre zone d'italia) c'è una chiara condizione di diglossia di fatto, ovvero, vi è un sistema in cui spesso si parla una lingua in presenza di amici e parenti nei discorsi informali e un'altra lingua (considerata covenzionalmente più elevata) nei discorsi formali o nei documenti ufficiali. la lingua ufficiale, usata in tutti i documenti, nei testi ufficiali e formali è ovviamente l'italiano, la lingua parlata informalmente è invece il siciliano (o i suoi dialetti).
ciò che distingue un dialetto da una lingua è esclusivamente il prestigio sociale che gli viene attribuito, capite ovviamente che il giudizio sul prestigio sociale di una lingua può essere del tutto soggettivo: esistono fior di documenti ufficiali del passato scritti in siciliano e opere letterarie di altissimo livello, eppure lo stato italiano non riconosce il siciliano come lingua, mente l'unesco (ed eminenti linguisti e filologi) come ben diceva siculo58 si.

il catalano è considerato lingua a tutti gli effetti dallo stato spagnolo e viene affiancato al castigliano in tutti i documenti ufficiali e nelle indicazioni stradali, si crea insomma una situazione di bilinguismo ufficialmente riconosciuto. in sicilia ciò non avviene semplicemente perchè lo stato non ha riconosciuto ufficialmente il siciliano, non perchè il siciliano sia una lingua meno nobile... del resto la lingua italiana è stata un mezzo per cercare di unire l'italia e una funzione fondamentale nel cercare di dare un'unica lingua agli italiani, l'ha avuta la televisione.

un dialetto in linguistica è semplicemente una lingua che non ha avuto abbastanza "fortuna" politica. fra l'altro storicamente, il siciliano "ha rischiato" di diventare la lingua ufficiale italiana, alla fine come tutti sappiamo l'ha spuntata il fiorentino...

il siciliano è una lingua complessa e con una sua chiara struttura, chiare regole grammaticali e sintattiche. non solo, di questa lingua vengono considerati dialetti (ricordando che il concetto di dialetto è assolutamente soggettivo) alcune sue varianti, come ad esempio il reggino...

Grazie per il tuo prezioso contenuto. Sarebbe ora che cominciassimo a scrollare di dosso alla nostra lingua questa patina di "pudore" che ci impedisce di parlarlo e scriverlo a tutti i livelli.
Hai studiato qualcosa riguardo al siciliano?

gladiator82ct
24-08-08, 19:16
Grazie per il tuo prezioso contenuto. Sarebbe ora che cominciassimo a scrollare di dosso alla nostra lingua questa patina di "pudore" che ci impedisce di parlarlo e scriverlo a tutti i livelli.
Hai studiato qualcosa riguardo al siciliano?

beh si.
ma anche senza aver studiato possiamo prendere spunto da ciò che vediamo tutti i giorni per iniziare un'interessante discussione. gli spunti offerti sono infiniti.

più che fare noiosi e inutili confronti tra linguistica siciliana e linguistica italiana, io mi soffermerei sugli aspetti sociolinguistici che riguardano l'italiano e il siciliano. la costituzione italiana ci spiega che devono essere riconosciuti uguali diritti ai cittadini "senza alcuna distinzione di lingua" oltre ovviamente a razza, sesso, religione, ecc. quindi la costituzione, in teoria, tutela le varietà linguistiche. eppure, di fatto, sappiamo benissimo che non è così.
il ragazzino che a scuola parla in siciliano, viene forzato a parlare esclusivamente in italiano. il siciliano, dal punto di vista sociolinguistico assume un valore esclusivamente popolare.

in catalogna moltissimi docenti universitari tengono le loro lezioni in catalano e le tengono anche in castigliano solo se invitati dagli studenti che non capiscono il catalano. quello che voglio sottolineare è che da noi, la mancata tutela ufficiale della lingua siciliana, porterà a una sua rapida scomparsa nel giro di non molte generazioni. questo discorso vale per il siciliano, così come può valere per molte altre lingue romanze non ufficialmente riconosciute e tutelate.

ormai c'è veramente poco da fare. del resto è sempre stato così. anche in sicilia è già successo qualcosa di simile a quello che sta accadendo oggi. durante la dominazione dei greci e dei fenici, le lingue parlate erano il greco, il cartaginese e ovviamente anche altre antiche lingue parlate dalle popolazioni locali prima del dominio (poi rapidamente scomparse) di cui non ricordo manco il nome. una volta arrivati i romani, il cartaginese venne fanculizzato a tempo di record e il greco sopravisse per un po', ma solo come lingua parlata dai ceti popolari (pensare che prima era l'esatto opposto: ovvero il greco era la lingua parlata negli ambienti culturalmente più elevati). oggi il siciliano è un po' come il greco, è la lingua dei ceti popolari dopo essere stata la lingua parlata negli ambienti culturali più alti.

fra l'altro, mentre il greco, il cartaginese, il latino, sono state lingue che i siciliani hanno "subito", il siciliano è la lingua che i siciliani hanno creato. nel siciliano è contenuta la storia della nostra terra. il siciliano ha vocaboli che ci ricordano le influenze linguistiche di tutti i nostri dominatori.

siculo58
25-08-08, 11:57
beh si.
ma anche senza aver studiato possiamo prendere spunto da ciò che vediamo tutti i giorni per iniziare un'interessante discussione. gli spunti offerti sono infiniti.

più che fare noiosi e inutili confronti tra linguistica siciliana e linguistica italiana, io mi soffermerei sugli aspetti sociolinguistici che riguardano l'italiano e il siciliano. la costituzione italiana ci spiega che devono essere riconosciuti uguali diritti ai cittadini "senza alcuna distinzione di lingua" oltre ovviamente a razza, sesso, religione, ecc. quindi la costituzione, in teoria, tutela le varietà linguistiche. eppure, di fatto, sappiamo benissimo che non è così.
il ragazzino che a scuola parla in siciliano, viene forzato a parlare esclusivamente in italiano. il siciliano, dal punto di vista sociolinguistico assume un valore esclusivamente popolare.

in catalogna moltissimi docenti universitari tengono le loro lezioni in catalano e le tengono anche in castigliano solo se invitati dagli studenti che non capiscono il catalano. quello che voglio sottolineare è che da noi, la mancata tutela ufficiale della lingua siciliana, porterà a una sua rapida scomparsa nel giro di non molte generazioni. questo discorso vale per il siciliano, così come può valere per molte altre lingue romanze non ufficialmente riconosciute e tutelate.

ormai c'è veramente poco da fare. del resto è sempre stato così. anche in sicilia è già successo qualcosa di simile a quello che sta accadendo oggi. durante la dominazione dei greci e dei fenici, le lingue parlate erano il greco, il cartaginese e ovviamente anche altre antiche lingue parlate dalle popolazioni locali prima del dominio (poi rapidamente scomparse) di cui non ricordo manco il nome. una volta arrivati i romani, il cartaginese venne fanculizzato a tempo di record e il greco sopravisse per un po', ma solo come lingua parlata dai ceti popolari (pensare che prima era l'esatto opposto: ovvero il greco era la lingua parlata negli ambienti culturalmente più elevati). oggi il siciliano è un po' come il greco, è la lingua dei ceti popolari dopo essere stata la lingua parlata negli ambienti culturali più alti.

fra l'altro, mentre il greco, il cartaginese, il latino, sono state lingue che i siciliani hanno "subito", il siciliano è la lingua che i siciliani hanno creato. nel siciliano è contenuta la storia della nostra terra. il siciliano ha vocaboli che ci ricordano le influenze linguistiche di tutti i nostri dominatori.

E appunto per questo che non bisogna perderlo! Il Siciliano siamo noi, é la nostra storia, é la nostra cultura, é il nostro modo di essere.
Bisogna innanzi tutto convincere noi stessi che parlare in siciliano non é da "zaurdi", al contrario é la lingua generata in Sicilia in una corte reale, e che perfino gente come Dante ne ha fatto le lodi.
Qui in Spagna c'é gente che usa le varie lingue senza problemi, io che lavoro in aereoporto a volte mi vedo arrivare gente che mi parla direttamente in valenziano o addirittura in catalano, e non c'é niente di male! Nessuno li chiamerá "zaurdi"!
Perché noi no? Perché guardiamo chi parla in siciliano con derisione? É frutto di 148 anni di lavaggio del cervello?
Chissá, forse se ci fosse una qualche pubblicazione che cominciasse ad inserire, agli inizi, piccoli articoli in siciliano, potrebbe aiutare.
Permettimi un piccolo appunto, non sono uno studioso, ma mi risulta che il greco fu parlato almeno per tutto il tempo che l'isola fu in mano romana, tant'é vero che il substrato latino del siciliano, a parte qualche parola come "antura", appartiene al medioevo, essendo stato portato dai Normanni.

gladiator82ct
25-08-08, 17:48
E appunto per questo che non bisogna perderlo! Il Siciliano siamo noi, é la nostra storia, é la nostra cultura, é il nostro modo di essere.
Bisogna innanzi tutto convincere noi stessi che parlare in siciliano non é da "zaurdi", al contrario é la lingua generata in Sicilia in una corte reale, e che perfino gente come Dante ne ha fatto le lodi.
Qui in Spagna c'é gente che usa le varie lingue senza problemi, io che lavoro in aereoporto a volte mi vedo arrivare gente che mi parla direttamente in valenziano o addirittura in catalano, e non c'é niente di male! Nessuno li chiamerá "zaurdi"!
Perché noi no? Perché guardiamo chi parla in siciliano con derisione? É frutto di 148 anni di lavaggio del cervello?
Chissá, forse se ci fosse una qualche pubblicazione che cominciasse ad inserire, agli inizi, piccoli articoli in siciliano, potrebbe aiutare.
Permettimi un piccolo appunto, non sono uno studioso, ma mi risulta che il greco fu parlato almeno per tutto il tempo che l'isola fu in mano romana, tant'é vero che il substrato latino del siciliano, a parte qualche parola come "antura", appartiene al medioevo, essendo stato portato dai Normanni.

quando dico che il greco scomparse già in epoca romana, sto usando il termine "scomparire" in maniera impropria. mi spiego meglio: quando una lingua parlata per secoli "scompare", il processo non è mai traumatico, vi è una fase di imbarbarimento della lingua, vengono introdotti prestiti da altre lingue, cambiano la sintassi e le regole grammaticali, in pratica avviene una (relativamente) lenta ma costante trasformazione. del resto non dobbiamo immaginare le lingue come qualcosa di statico, tutte le lingue sono in continua evoluzione, pensa a come parlano i giovani di oggi o pensa a come scrivono i testi degli sms e rapportali all'italiano standard parlato e scritto.

iniziata la dominazione romana, il greco, da lingua parlata negli ambienti altamente culturali, divenne lingua popolare per ovvi motivi politici (era la lingua dei dominatori). romano lingua ufficiale, greco lingua popolare. ma il greco parlato dal popolo era già un greco profondamente diverso, aveva subito evoluzioni e stravolgimenti, questa continua evoluzione e questo continuo contatto tra greco-popolare e latino mutò il greco fino a renderlo una lingua completamente diversa dal greco antico, fra l'altro, ricordiamo che il greco antico/originario di cui stiamo parlando era solo uno dei tanti dialetti greci (non ricordo se fosse dorico, ionico, attico o chissà quale altro). fra l'altro c'è da dire che anche quando si parla del latino in sicilia, mica si parla del latino che si studia a scuola nei licei, il latino parlato si stava involgarendo già in epoca romana, del resto i contadini non parlavano la lingua parlata da cesare o dai senatori, così come oggi (in linea di massima) un analfabeta non parla come parla un laureato. altro fattore da non sottovalutare è la diversa e contemporanea dominazione di due civiltà diverse in zone diverse... in certe zone della sicilia il greco (o meglio il greco volgare) è stato abbandonato addirittura secoli dopo rispetto ad altre zone della nostra isola che l'hanno rimpiazzato più velocemente. in questo senso la lingua si sviluppava in modo diverso in campagna o in città ad esempio. città che avevano stretti contatti e vicinanza geografica si influenzavano linguisticamente a vicenda, città molto lontane e più isolate facevano evolvere la loro lingua in maniera differente a seconda se sentivano più o meno l'influenza delle lingue dei nuovi dominatori.
il latino è la lingua dei romani e il substrato latino del siciliano è dovuto ai romani, i normanni parlavano un dialetto francese (o il francese stesso) e a loro è dovuto il nostro substrato francese.

siculo58
25-08-08, 22:16
quando dico che il greco scomparse già in epoca romana, sto usando il termine "scomparire" in maniera impropria. mi spiego meglio: quando una lingua parlata per secoli "scompare", il processo non è mai traumatico, vi è una fase di imbarbarimento della lingua, vengono introdotti prestiti da altre lingue, cambiano la sintassi e le regole grammaticali, in pratica avviene una (relativamente) lenta ma costante trasformazione. del resto non dobbiamo immaginare le lingue come qualcosa di statico, tutte le lingue sono in continua evoluzione, pensa a come parlano i giovani di oggi o pensa a come scrivono i testi degli sms e rapportali all'italiano standard parlato e scritto.

iniziata la dominazione romana, il greco, da lingua parlata negli ambienti altamente culturali, divenne lingua popolare per ovvi motivi politici (era la lingua dei dominatori). romano lingua ufficiale, greco lingua popolare. ma il greco parlato dal popolo era già un greco profondamente diverso, aveva subito evoluzioni e stravolgimenti, questa continua evoluzione e questo continuo contatto tra greco-popolare e latino mutò il greco fino a renderlo una lingua completamente diversa dal greco antico, fra l'altro, ricordiamo che il greco antico/originario di cui stiamo parlando era solo uno dei tanti dialetti greci (non ricordo se fosse dorico, ionico, attico o chissà quale altro). fra l'altro c'è da dire che anche quando si parla del latino in sicilia, mica si parla del latino che si studia a scuola nei licei, il latino parlato si stava involgarendo già in epoca romana, del resto i contadini non parlavano la lingua parlata da cesare o dai senatori, così come oggi (in linea di massima) un analfabeta non parla come parla un laureato. altro fattore da non sottovalutare è la diversa e contemporanea dominazione di due civiltà diverse in zone diverse... in certe zone della sicilia il greco (o meglio il greco volgare) è stato abbandonato addirittura secoli dopo rispetto ad altre zone della nostra isola che l'hanno rimpiazzato più velocemente. in questo senso la lingua si sviluppava in modo diverso in campagna o in città ad esempio. città che avevano stretti contatti e vicinanza geografica si influenzavano linguisticamente a vicenda, città molto lontane e più isolate facevano evolvere la loro lingua in maniera differente a seconda se sentivano più o meno l'influenza delle lingue dei nuovi dominatori.
il latino è la lingua dei romani e il substrato latino del siciliano è dovuto ai romani, i normanni parlavano un dialetto francese (o il francese stesso) e a loro è dovuto il nostro substrato francese.

Non sarebbe meglio sostenere che i Normanni rintrodussero un latino francesizzato e medievale piuttosto che il francese?
Io ho visto e letto diverse fonti dove si sostiene che la base latina del siciliano é medievale e non imperiale, tu come ti metti rispetto a questa opinione?

Neva
26-08-08, 00:17
Siculo, Matrix, desidero conplimentarvi con voi due per come state argomentando su un tema così importante ed anche un po' difficile da trattare, almeno pi mia ca nenti sacciu!
Bravi...non mi resta che leggervi ed imparare !

gladiator82ct
26-08-08, 10:30
Non sarebbe meglio sostenere che i Normanni rintrodussero un latino francesizzato e medievale piuttosto che il francese?
Io ho visto e letto diverse fonti dove si sostiene che la base latina del siciliano é medievale e non imperiale, tu come ti metti rispetto a questa opinione?

premettendo che il francese e il dialetto francese normanno sono entrambe lingue romanze (e quindi derivanti dal latino), escludo categoricamente che i normanni parlassero latino. la loro lingua discendeva dalla lingua antica dei galli e dal latino stesso, no, non possiamo decisamente parlare di latino reintrodotto dai normanni, visto che non parlavano latino. ci devono essere altre spiegazioni, ricordi dove l'hai letto? lì sarà sicuramente argomentata questa affermazione.

perchè il latino medievale avrebbe influenzato il siciliano con l'avvento dei normanni che non parlavano latino? l'unica ipotesi che mi sento di fare, potrebbe essere perchè il latino era la lingua del cristianesimo. del resto, una volta cacciati i saraceni, il cristianesimo tornò a essere l'unica religione siciliana (il latino era l'unica lingua parlata nei riti religiosi). ora cerco qualcosa sul web, appena trovo qualcosa di interessante che possa rispondere al nostro quesito lo posto.

gladiator82ct
26-08-08, 16:06
che nesso c'era tra normanni e latino? in che modo il substrato latino del siciliano può essere stato influenzato dalla dominazione normanna?
la risposta era di una banalità incredibile! molto semplicemente, con l'avvento dei normanni, sbarcarono in sicilia anche mercenari che parlavano latino volgare! e come ben ricordavi di aver letto, il latino medievale (il latino volgare) lasciò importanti segni nel siciliano.

siculo58
29-08-08, 03:39
che nesso c'era tra normanni e latino? in che modo il substrato latino del siciliano può essere stato influenzato dalla dominazione normanna?
la risposta era di una banalità incredibile! molto semplicemente, con l'avvento dei normanni, sbarcarono in sicilia anche mercenari che parlavano latino volgare! e come ben ricordavi di aver letto, il latino medievale (il latino volgare) lasciò importanti segni nel siciliano.

Su Sicilia Channel (Antenna Sicilia su satellite) ripetono fino alla nausea dei documentari sulla Sicilia e la sua storia. In uno di questi, dedicato a Taormina, il commentatore (di cui mi sfugge il nome) dice proprio che il latino tornó con i Normanni che ristabilirono il Cristianesimo e con esso l'uso del latino che sará un latino ecclesiastico e dell'epoca e cioé medievale e per tutta l'epoca romana in Sicilia si parlava il greco.

Neva
11-01-09, 13:18
Alla Corte di Federico II

LA LINGUA SICILIANA

Anticipò di un secolo il Dolce Stilnovo


Negli ultimi tempi, si parla spesso dell’importanza dei dialetti locali e dell’opportunità di salvaguardare la tradizione linguistica delle varie regioni italiane, attualmente a rischio di “estinzione”.
L’indebolimento del dialetto è dipeso senz’altro da una forma di snobismo manifestata dalle classi più agiate nei confronti dell’abitudine del “popolo” di parlare attraverso espressioni dialettali che, come molti forse non sanno, hanno alle origini una lunga tradizione legata alla storia delle realtà locali.
Eppure, tra dialetto e lingua esiste una vera e propria affinità genetica, come del resto tra gli stessi dialetti, legati tra di loro da una parentela che, in Italia, riconduce veneziano, milanese, romanesco, fiorentino, siciliano, ecc. tutti ad un nobile antenato comune: il latino.
Malgrado ciò, si è diffusa la strana convinzione che parlare in dialetto sia poco raffinato, poco prestigioso e persino segno di ignoranza; una convinzione, questa, che ha provocato, sulla base di un giudizio di ordine sociale assolutamente discutibile, una sorta di graduatoria tra i dialetti, secondo la quale, per esempio, il romanesco è “simpatico”, il fiorentino “adorabile”, il siciliano “orribile”.
Se ci si ferma un attimo a pensare, però, non si può non notare che mentre nel nominare gli altri dialetti si fa di solito riferimento alle città di origine (veneziano, milanese, fiorentino, ecc...), si parla invece genericamente di siciliano e non di palermitano, catanese, messinese, se non per indicare il diverso accento che caratterizza il modo di parlare nelle varie province siciliane.
Questa curiosità trova forse la sua spiegazione nel fatto che il siciliano, prima ancora di essere un
dialetto regionale, è stato ed è una vera e propria lingua, forse la più importante delle lingue regionali, considerato che è proprio dalla lingua siciliana del Duecento che è nata, alla corte di Federico II, la lingua letteraria italiana.
La storia della lingua è, infatti, profondamente legata alla storia dei dialetti, tenendo presente che, in realtà, non è neanche possibile parlare di dialetto se non in riferimento ad un ben definito e radicato concetto di lingua comune, dotata di maggiore prestigio e di maggiore considerazione sociale.
Dal Duecento al Quattrocento la scrittura in Italia rifletteva ancora gli usi linguistici locali che, anche se attenuati dall’applicazione del latino, prima, e del toscano, dopo, hanno tutti comunque contribuito alla nascita del cosiddetto volgare, un idioma che, dopo un uso inizialmente solo occasionale, venne presto adottato come lingua letteraria nell'ambito della poesia lirica, conquistandosi così una sempre maggiore considerazione tra gli autori del tempo.
In questo contesto culturale, nel XIII secolo si sviluppò nell'Italia meridionale, nell’ambien-
te colto e raffinato della Magna curia di Federico II di Svevia, la prima scuola poetica italiana, detta
appunto “siciliana” perché il fulcro del regno di questo interessante imperatore fu proprio la corte di Sicilia, come ricorda Dante nel De vulgari eloquentia.
Quando ebbe inizio l’opera della scuola siciliana, molti poeti italiani imitavano la letteratura provenzale in lingua d’oc, adoperando la stessa lingua usata dai trovatori per celebrare il nuovo concetto dell'amore “intellettualizzato”. Anche i poeti siciliani, come i connazionali, presero ispirazione dalla poesia provenzale, solo che, con un'intuizione geniale, sostituirono la lingua straniera con un volgare italiano, il volgare di Sicilia: non uno dei tanti idiomi del meridione continentale, ma il siciliano insulare, probabilmente influenzati anche dal fatto che fu proprio un siciliano l'iniziatore della lirica sveva, Giacomo da Lentini, inventore di una fortunata forma metrica, il sonetto, sopravvissuto al passare dei secoli. E, considerato che lo stesso Federico II poetò in quella lingua pur non essendo siciliano di nascita, così come altri poeti della scuola siciliana, è ragionevole pensare che la scelta del siciliano ebbe valore propriamente formale, come dimostrerebbe anche lo stile altamente raffinato del volgare usato per la poesia siciliana.
Anche Dante nel De vulguri eloquentia, primo vero trattato sulla lingua e sulla poesia volgare, nel tentativo di individuare il volgare illustre, celebrò la superiorità del siciliano, ovviamente non di quello popolare ma di quello di elevato livello formale adoperato dai poeti della corte di Federico II e nobilitato proprio attraverso il suo impiego nell’ambito della letteratura. Del resto Dante precisò che i rimatori del Duecento considerarono il volgare siciliano come loro lingua-base. Per quasi due secoli (XI e XII) il siciliano fu passibile di continui miglioramenti: Ciullo d’Alcamo nel “Contrasto Amoroso” scrisse “…per te non aio abbento…”, dando una chiara testimonianza della sua evoluzione. Daltra parte fu proprio con la “scuola poetica siciliana” che si cominciò a forgiare la nostra prima lingua letteraria, pur non dimenticando il rilevante contributo greco, arabo e di tutte le popolazioni con cui è venuto a contatto il popolo siciliano.
Qualche secolo più tardi, agli inizi dell’Ottocento, l’intellettuale Giulio Perticari giunse persino a contestare il primato cronologico della poesia provenzale attribuendo ai poeti della scuola siciliana il merito di aver adoperato una lingua “illustre” comune, sovraregionale, diffusa già in tutta l’Italia e derivata da una presunta lingua “romana intermedia” della cui esistenza nessuno è mai riuscito a dar prova.
Secondo alcuni studiosi, tuttavia, il Perticari sarebbe stato fuorviato, nel suo giudizio, dal fatto di aver letto le opere dei poeti siciliani in una forma diversa da quella autentica. In particolare, nella seconda metà dell'Ottocento, il filologo Giovanni Galvani, nell'esaminare la questione, constatò che la poesia italiana delle origini, compresa quella siciliana, era stata conservata attraverso dei codici medievali compilati da copisti toscani ed ipotizzò che, così come alcuni testi toscani trascritti da copisti medievali del nord Italia, erano stati settentrionalizzati, un processo analogo ma inverso avesse forse coinvolto la poesia siciliana, depurata dai copisti toscani dei suoi elementi tipicamente regionali.
L’interpolazione dei componimenti siciliani da parte dei copisti, effettivamente riscontrabile in diverse trascrizioni, è stata purtroppo un’operazione che ha spesso danneggiato la musicalità della poesia siciliana delle origini, alterando l’impostazione della famosa “rima siciliana” (ancora adoperata nell’Ottocento dal Manzoni, nel Cinque maggio) e, comunque, non è sufficiente a togliere prestigio ed importanza alla lirica siciliana. Ne è prova il fatto che il dibattito sulla “sicilianità” della poesia della corte di Federico II e sulla vera natura della lingua poetica siciliana ha caratterizzato tutto l’Ottocento e parte del Novecento, coinvolgendo i migliori filologi in quella che ha rappresentato una delle più importanti questioni della storia della letteratura italiana, soprattutto per il ruolo decisivo che la poesia siciliana ha svolto nella nascita della nostra tradizione lirica. È significativo al riguardo che, anche dopo la morte di Federico II, nel 1250, ed il tramonto del casato di Svevia, l’eredità della scuola poetica siciliana è stata raccolta in Toscana e a Bologna dai poeti siculo-toscani e dagli stilnovisti, delineando la linea maestra lungo la quale si è sviluppata la poesia italiana, partendo dall’area meridionale verso l’area centro-settentrionale.
Tornando, comunque, ai giorni nostri, una panoramica più generale sul fenomeno dialettale in Italia mette in evidenza il legame innegabile tra storia, tradizioni e dialetti, poiché le usanze linguistiche di ciascuna regione, a volte persino di ciascuna città, sono espressione immediata e diretta della cultura e soprattutto della personalità delle singole comunità locali. I dialetti, inoltre, rappresentano anche un importante strumento di evoluzione della lingua perché permettono un’interazione costante tra la lingua di ogni giorno, quotidiana e familiare, e la lingua letteraria, più elegante forse ma a volte troppo lontana dalla realtà che pretende di descrivere.
La lingua siciliana non è, infatti, soltanto espressione, ma tutta la vita, il carattere, la tradizione del popolostesso. Oggi sta accadendo qualche cosa di curioso: il siciliano ha fatto il suo ingresso nel cinema e sui palcoscenici dei teatri, alla radio e alla televisione, mentre l’italiano si imbarbarisce per i troppi vocaboli esotici o di comoda opportunità.
Ciò nonostante, è ormai un dato di fatto che i nostri giovani non conoscono il dialetto e si muovono nei quartieri popolari delle loro città come turisti in un paese straniero, ignari delle leggende raccontate dalle strade che percorrono ogni giorno.
Per far fronte a questo fenomeno di devitalizzazione del dialetto è stato così proposto di introdurre nelle scuole l'insegnamento della storia regionale per spronare i giovani a riscoprire l'origine della propria cultura e delle proprie tradizioni, anche attraverso il dialetto.
Un’idea che andrebbe valutata più seriamente perché, nonostante l’abbattimento delle frontiere, non si può essere cittadini del mondo senza essere prima consapevoli della propria identità. “Un popolo che non ha memoria non ha futuro”, scriveva Gesualdo Bufalino, e Ignazio Buttitta aggiungeva: “quando gli tolgono la lingua ricevuta dai padri diventa povero e servo ed è perso per sempre”.
Riappropriamoci, dunque, della nostra libertà linguistica facilitando la divulgazione e l’apprendimento della nostra lingua; così facendo contribuiremo a mantenere sempre vivo il desiderio della salvaguardia di questo preziosissimo patrimonio culturale e, forse, sentendo riecheggiare il siciliano, nella freschezza e nella vigoria di sempre, anche sul volto accigliato del sommo Dante spunterà un sorriso di piacere.



Salvatore Musumeci

Presidente Naz. Mis - Docente Storia

della Musica e Storia Contemporanea

Dip. Storico Università di Camerino