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Visualizza Versione Completa : AUGUSTO: IL PATRIOTA DIVINO



acchiappaignoranti
20-04-10, 12:43
La riproposizione SAPIENTE di riti arcaici e il richiamo ai prisci mores fanno parte di una cultura sempre più condivisa che punta a porre fine ai disordini sociali e alle guerre civili utilizzando il richiamo al passato, ad un passato idealizzato e riletto nella chiave del presente, che possa essere proposto come fondamento mitico della società pacificata. La concordia civile e la pax deorum sono i due cardini (quello politico e quello religioso) su cui punta la cultura conservatrice per ricomporre la vita sociale.
La stessa "temperie storico-culturale", per usare le parole di Prosdocimi, coinvolge tutto il mondo italico. Gli scossoni delle guerre civili e le confische delle terre rimettono in crisi equilibri che, dopo la conclusione delle guerre sociali, sembravano acquisiti. C'è desiderio di pace, ma - da parte dei ceti dirigenti municipali - c'è anche bisogno di riappropriarsi di un ruolo locale egemone, che può essere garantito soltanto dalla rinnovata alleanza con Roma. L'occasione opportuna per riportare "ordine" e "pace" anche in provincia è data dalla restaurazione augustea.
La "pace augustea" è il grande momento anche "per i residui campioni dell'oligarchia etrusca", dice Torelli (io). "L'amalgama economico e sociale si completa con un altrettanto efficace amalgama ideologico, cementato ali 'insegna della restaurazione antiquaria favorita da Augusto, nella quale le tradizioni locali italiche (...) trovano una collocazione privilegiata. Augusto rifonda un simulacro di città a Veio e ricostruisce l'antica lega etrusca al Fanum Voltumnae, con la celebrazione di giochi e feste e la nomina di praetores ed aediles Etruriae, cariche onorifiche che vanno a fregiare le carriere di gentiluomini di rango senatoriale ed equestre... " ).
Forse proprio nel contesto storico della pax augustea, o comunque nel-l'ambito del I secolo a.C., a partire dai tempi di Siila in poi, si collocavano del resto anche i testi sacri etruschi: i Libri Haruspicini, i Libri Fulguriales e i Libri Rituales. Questi ultimi contenevano, pare, le norme del culto, le modalità per la consacrazione dei santuari, per la fondazione delle città, per la divisione dei campi, per la divisione del tempo, oltre ai riti di salvazione e alla interpretazione dei prodigi.
"E' indicativo - sostiene Camporeale - che nel I secolo a.C., quando ormai la civiltà etrusca stava perdendo ogni identità a causa della romanizzazione, questi libri siano poi stati tradotti tempestivamente in latino.

TRATTO DA :IL DIO GRABO IL DIVINO AUGUSTO E LE TAVOLE IUGUVINE DI CARLO D'ADAMO gherli editore

http://www.carlo.dadamo.name/libri/copertina_dio-grabo.jpg

acchiappaignoranti
21-04-10, 09:30
IL collegamento non solo astrattamente etimologico, ma topografico
col il titolo di Augustus e l’auctoritas, nel capitolo xxxiv delle Res Gestae, significa che dal 16 gennaio del 27 a. C. la posizione del principe si formalizzò come la più elevata rispetto a quella di qualunque persona od ufficio nello Stato.
Augusto fu dunque, per consapevole disegno, restauratore e innovatore, nonsolo rispetto al quadro politico-costituzionale della repubblica aristocratica, entro il quale inserì la propria monarchia parallela, ma anche nel regolare il profilo storico della società romana. L’ultimo secolo della Repubblica aveva visto una profonda mutazione culturale: per la miscela etnica non solo tra Romani Latini e Italici, ma tra costoro ed ex schiavi, affrancati, provenienti da popoli stranieri di ogni riva del Mediterraneo; per lo sfaldamento delle solidarietà familiari e parentali conseguente alla crisi della struttura agraria piccolo-contadina, allo spopolamento delle campagne dominate dal latifondo a manodopera servile, al processo di urbanizzazione che accomunava masse di individui isolati, specie se giuridicamente già privi di statuto familiare per il periodo in cui avevano servito in schiavitù; per il contatto e la ibridazione di credenze religiose, di costumi, di mentalità di nuovi cittadini con origini tanto diverse; per le esperienze di culture lontane "portate nell’area romano-italica da militari veterani e da peregrini commercianti ed artigiani".
Per guidare tanta trasformazione Augusto usò lo strumento delle leggi. In meno di un trentennio, tra il i8 a. C. e il d. C., si susseguono la Iex lulia de maritandis ordinibus e la lex Papia Poppaea nuptialis (successivamente riunite in un testo unico detto Iex lulia et Papia) che resero obbligatorio il matrimonio per gli uomini dai venticinque ai sessanta anni e per le donne dai venti ai cinquanta anni, con un apparato di misure incentivanti la procreazione e sanzionantì la sterilità. L’osservazione dell’andamento demografico fu un assillo per Augusto che celebrò ben tre censimenti, dopo che erano trascorsi quarantadue anni dall’ultimo, arrivando a contare poco meno di cinque milioni di cittadini (R.G.
8.2-4). La moralità sessuale e coniugale, rigorosa nell’antico costume romano, decaduta specie nei ceti alti della società urbana, si tentò di ripristinare con la lex lulia de adulteriis.

Con la lex Fufia Caninia del 2 a. C. e la lex Aelia Sentia del d. C. si frenò severamente la pratica di manumissioni illimitate di schiavi, che produceva il duplice nocumento della dilapidazione patrimoniale, per quanto riguardava la ricchezza privata consistente in forza di lavoro servile, e della corruttela etnico-culturale e socìale per l’ingresso nella cittadinanza di libertini, non compiutamente romanizzati o non pienamente adulti perché infratrentenni, o peggio di mala indole e colpiti già da pene infamanti, pubbliche o private, durante la schiavitù. Ma, oltre queste esemplificazioni, è importante ascoltare Augusto stesso quando dà conto, nel capitolo ottavo delle Res Gestae, della sua opera legislativa: ‘Con nuove leggi, da me promosse, ho rimesso in uso molti modelli di vita degli antenati che già stavano uscendo dalla memoria del nostro secolo; ed io stesso ho tramandato ai posteri esempi di molte cose da imitare’ (R.G. 8.5).
11. Il nuovo diritto come esempio da imitare e tramandare
È comprensibile che soprattutto nella tradizione dei giuristi, tra quei posteri. l’età augustea sia stata interpretata e ricordata come una cesura storica, tra un prima e un dopo. Nel VI secolo d. C. a Costantinopoli le Istituzioni imperiali hanno un brano che si apre significativamente con un ‘Ante tempora Augusti..
(Inst. 2.25 pr.) e nel luogo corrispondente della Parafrasi di Teofilo è scritto
-rW Augùstu xp6wv’ (Theoph. de codic. tit. 25 [Ferrini 1.251]).

tratto da

a.a .v.v "optima hereditas" sapienza giuridica romana


[/I]

acchiappaignoranti
22-04-10, 10:48
http://img2.libreriauniversitaria.it/BIT/044/9788842080442g.jpg



: “L’associazione è straordinariamente significativa, non solo perché tutte le divinità italiche hanno ancora una volta un riscontro incredibilmente preciso e di rilievo nel pantheon locale preromano, ma perché il loro recupero viene fatto in funzione dell’ideologia religiosa augustea”. E a proposito delle città italiche: “Anche le vecchie città della penisola rimodellano con maggiore o minore enfasi (e spesa) il loro antico assetto monumentale . (Torelli 1990, 64).

storia dell'urbanistica : il mondo romano

acchiappaignoranti
22-04-10, 11:36
" la sistematica etimologizzazione di fatti culturali e religiosi è opera romana . Il nome, che non rappresenterebbe una convenzione, ma avrebbe in origine descritto onomatopeicamente la sua vera essenza, è inteso come chiave d'accesso alla preistoria, alla genesi d'un concetto e condurrebbe quindi anche alla vera essenza d'un dio. E qui Roma è ancora una volta più interessante di Atene, perché i Romani della tarda repubblica e del periodo augusteo si studiarono - per un insieme di italico patriottismo campanilistico, internazionalismo intellettuale e fierezza politica nazionale (concetti anacronistici, è vero, ma è un aspetto compensato dalla combinazione, del tutto assurda dal nostro punto di vista moderno) - di scoprire le radici etniche della loro cultura "

Jorg Rupke
docente religioni comparate università di erfurt


http://img2.libreriauniversitaria.it/BIT/586/9788806165864g.jpg

acchiappaignoranti
23-04-10, 13:19
L'antico Ottavio, divenuto poi Cesare Ottavi -(ano ) : ora al vertice dello stato così restaurato diventa Caesar Augustus- l'immagine stessa del potere della sua sacralità. Il nuovo nome non conserva più il ricordo delle vere origini familiari, ma evoca ormai solo l'antenato divinizzato Egli è altresì il princeps ed è designato come pater patriae: colui che da vita alla città. Dove la dimensione arcaica e patriarcale si fonda con una supremazia che si colora anche di elementi religiosi: Augusto infatti, titolare delle supreme cariche sacerdotali della comunità assolve alla necessaria ed esclusiva intermediazione tra la sfera divina e quella umana.
Fortuna e virtù si fondono nella sua vicenda in modo straordinario. Ia fredda determinazione e la matura sapienza politica mostrata sin dai lonta anni della giovinezza lo hanno portato al vertice di un potere immenso, mai forse: avuto prima da nessuno. Nel corso degli anni successivi, con pazienza e abili non meno grandi, egli conserverà e consoliderà la sua posizione e, con essa, fortuna dell'Impero. Sarà poi anche fortuna, per lui e per Roma, che la sua vita duri sì a lungo (ma non scevra, anche in questo caso, da abilità nell'evitare ogi pericolo di conflitto e nello sventare complotti che pur vi furono), e con essa il suo governo: Augusto, nato nel 63 a.C., divenuto triumviro nel 42 a.C. e solitari padrone dell'Impero dopo Azio, nel 30 a.C., regnerà sino al giorno della su morte, nel 14 d.C. L'eccezionale lunghezza di questo periodo, più di ogni altro fattore, sarà in grado di assicurare quella stabilità e quella sicurezza a cui oramai tutti i ceti e tutte le parti dell'Impero ambivano più di ogni altro bene, atta a fa rifiorire, con la vita quotidiana, le normali attività economiche. È iniziato il secolo d'oro, l'età di Augusto che riporta finalmente la pace e le certezze. E di ci anche i nostalgici delle antiche libertà (libertà di pochi, ricordiamolo, in una re pubblica essenzialmente aristocratica) non potranno che allietarsi, rassegnandosi infine alla presenza di un nuovo e non più sopprimibile protettore .




"Solo tenendo conto di questo complesso dottrinale che caratterizzava antiche civiltà e culture molto raffinate può essere compreso il Regnum Apollinis che visibilmente Augusto intendeva instaurare.
Esso avrebbe assunto i caratteri dell'archetipo indicato in una prospettiva escatologica da Virgilio non solo nella IV egloga, ma anche nell'Eneide (VI, 792 sgg ).

nuccio d'anna




tratto da Diritto e potere nella storia di Roma ed.iovene

http://www.aseq.it/immag/copertine/978882431681.jpg

DI Luigi Capogrossi Colognesi insegna Diritto romano nella Sapienza Università di Roma

acchiappaignoranti
25-04-10, 10:50
Con Augusto per dirla con un'espressione familiare, la gente comune potrà rendere omaggio al Genio del suo principe, la cui presenza era visibile ovunque. Augusto decise che, per due volte all'anno, i Lares compitales dovessero essere ornati di fiori, in primavera e in estate (Svetonio, Vita di Augusto 31). Il 1 maggio, leggiamo in Ovidio, festa dei Lares praestites («prò. lettori» di Roma) e il 1° agosto - mese che porta il nome di-I principe - Roma celebra un culto dedicato ai suoi «mille Lari e al Genio del sovrano: i quartieri onorano tre divinità», numina trina (fasti 5, 129-148). Sono i Lares Auguri .

Consacrato nel 13 a.C., dedicato nel 9, l'altare monumentale della Pace Augusta, Ara Pacis Augustae, offriva alla venerazione del pubblico l'esempio di antiche divinità , divenute anch'esse «Auguste» (la Giustizia, la Concordia ecc. ricevettero lo stesso appellativo), che sembravano prò iettare sul pantheon l'immagine soprannaturale del principe. I rilievi dell'Ara Pacis, la figura dell'Antenato padre fondatore Enea, in atto di celebrare un sacrificio, la processione con i sacerdoti, la famiglia imperiale e Augusto in persona, fissano per sempre la fastosa liturgia della cerimonia.
Un'altra forma di associazione, particolarmente frequente, è quella che unisce, in un unico atto di omaggio, Roma, alla Dea roma, dal II secolo oggetto di culto in tutte le provincie italiane, e la nuova deificazione del principe. Ce ne fornisce un esempio l'altare di Lione consacrato, nel 12, alla dea Roma e ad Augusto dai sessanta popoli della Gallia, a quei tempi ancora barbara. Il 1° agosto, giorno della festa annuale, coincideva con la grande festa celtica di Lugnasad, parola; etimologicamente affine a Lugudunum, nome di Lione, e a Lug, il Mercurio dei galli. Il culto imperiale è uno dei fattori della romanizzazione. Il che non solo non gli impedisce, ma addirittura ne favorisce, in Spagna e in Gallia, la possibilità di modellarsi sulle sensibilità locali. A Roma, verso il 9 d.C., Tiberio dedica un altare al Numen Augusti. Basterà ricordare che nella tradizione religiosa romana il numern è sempre stato la «potenza attiva» della divinità, per rendersi conto che l'elevazione di Augusto a un vero e proprio status divino

Nell'agosto del 14 d.C. i funerali e l'apoteosi seguiti alla morie di Augusto inaugurano il cerimoniale delle deificazioni imperiali. Un'aquila che s'invola dal rogo porta in cielo la figura del principe . La sua spoglia mortale, cremata, è riposta nel Mausoleo dinastico. la sua anima è quella di un Divus. Augusto riceve tutti i tributi di una divinità: un tempio un flamine nella persona di Germanico, un collegio di sodales Augustales, composto dai membri della famiglia imperiale e della migliore aristocrazia. I culti
provinciali furono organizzati secondo lo stesso schema:

La situazione dell'imperatore da vivo non è diversa. orazio ha visto nel principe un praesens divus (Odi 3, 5, 2), nei due sensi dell'aggettivo latino: un dio «presente» e «efficace», ed efficace perché presente. Certamente il sentire di orazio era condiviso dalla grande maggioranza dei suoi contemporanei. Vegezio si pone come il depositario di una lunga tradizione quando, nel IV secolo d.C., scrive queste parole: «non appena l'imperatore ha ricevuto il nome di Augusto, bisogna testimoniargli una fedeltà assoluta,
la Divinità presente e incarnata», tamquam praesenti et , ileo (Epitoma rei militari* 2,5). Gli dei tradizionali sono lontani, la loro residenza celeste è inaccessibile all'uomo. Gli dei orientali, che colmeranno il vuoto, non hanno diritto di cittadinanza a Roma. Nel frattempo il posto che hanno lasciato vacante è occupato da un dio e se non da un dio vero e proprio, da un futuro dio che vive in mezzo ai suoi sudditi. Come non fargli giungere il profumo dell'incenso e l'omaggio delle preghiere? Il carisma imperiale non è parola vuota. Nell'impero esistono religioni diverse: quella dell'imperatore unisce tutti gli abitanti in una sola fede.

L'opera di Augusto in campo religioso ha dato luogo a i giudizi contrastanti. Troppo rigida, troppo esclusivamente nazionale; un puro e semplice ritorno al passato, dicono coloro che vi vedono soltanto una ricostruzione archeologica e parlano di «restaurazione» augustea. Noi abbiamo preferito il termine di «rinascita», più trionfalmente rivolto all'avve nire. Quando Augusto, devoto di Apollo, iniziato ai misteri eleusini, deciderà di aprire la religione romana agli apporti stranieri, ciò sarà in direzione dell'ellenismo. Non andrà oltre: la porta si chiude di fronte alle religioni orientali. Nel 43 i triumviri Antonio, Ottaviano e Lepido avevano deciso di innalzare un tempio a Iside e a Serapide. Nel 28 e nel 21 per ordine di Augusto e di Agrippa, le due divinità orientali sono di nuovo allontanate ufficialmente dalla città e relegate in sobborghi lontani, di difficile accesso. Augusto ha rifondato i suoi templi e sacerdozi e ha definito e avviato il progetto di un culto imperiale che i suoi successori completeranno. A lui spetta il merito di avere dato forma alla religione romana dell'impero fino alla crisi del III secolo. Dai suoi ludi Sae culares ai giochi di Settimio Severo, a quelli del 248, millenario di Roma, o del 262, Augusto ha ridato vita per tre secoli a una religione che si stava sgretolando. Le Restaurazioni, di solito, durano poco. Non ci sembra dunque eccessivo, in ' questo caso, parlare di «rinascita».




Pecuniam pro agris quos in consulatu meo quarto et postea consulibus M. Crasso et Cn. Lentulo Augure adsignavi militibus solvi municipis; ea summa sestertium circiter sexsiens milliens fuit quam pro Italicis praedis numeravi, et circiter bis milliens et sescentiens quod pro agris provincialibus solvi. Id pimus et solus omnium qui deduxerunt colonias militum in Italia aut in provincis ad memoriam aetatis meae feci. Et postea.



http://img2.webster.it/BIT/464/9788815084644g.jpg






Jacqueline Champeaux insegna Civiltà e letteratura latina alla Sorbona. Ha pubblicato: "Fortuna dans la religion archaique" (Ecole française de Rome, 1982).

acchiappaignoranti
25-04-10, 17:56
augusto ed il popolo italiano nessuna propaganda l'unione fu mistica

Colle Paganello di Attiggio, Cappella di San Michele Arcangelo.
Altare in pietra locale.

Il corpo parallelepipedo dell'altare è raccordato alla base e al coronamento di cornici modanate; sul coronamento, che è stato scalpellato in facciata, restano i pulvini cilindrici e l'incasso per il focus',

Marti Augusto Sacrum CAIUS EGNATIUS

Traduzione

Sacro a Marte Augusto.

Gaio Egnazio

L'incisione, accurata ed elegante nelle proporzioni delle lettere, ma incompleta, fa supporre che l'iscrizione non sia stata ultimata, la linea 4 infatti non presenta tracce di abrasioni o ribassamenti del piano che facciano pensare ad un'erasione deliberata. Solo le prime due linee di scrittura sono complete e ben impaginate; la terza non rispetta una disposizione simmetrica essendo decentrata a sinistra, la presenza dell'interpunzione dopo il gentilizio fa ritenere che fosse previsto il patronimico che poi non fu iscritto forse perché lo spazio era stato mal calcolato; della linea 4 è stata iscritta solo la lettera S che, per la sua posizione, può costituire la finale del cognomen di C. Egnatius, come preferisce Paci, oppure essere l'acrommo di una forma verbale come s(olvit) nella formula v(otum) s(olvit) E' possibile che, quando l'iscrizione era già stata parzialmente incisa, la constatazione della mancanza di spazio per il patronimico di linea 3 abbia convinto il lapicida a sospendere il lavoro. Se le cose stanno così ci si può domandare se l'altare sia mai stato messo in opera o se sia rimasto come materiale da riutilizzare in una bottega di scalpellino. Le notizie sulla provenienza del pezzo sono quanto mai incerte , ma il luogo di conservazione, con la sua sopravvivenza toponomastica, potrebbe suggerIrire un luogo di culto; in tal caso, se l'altare fu esposto, potremmo pensare che la dedica incisa fosse sostituita con una analoga iscrizione dipinta sulla facciata del monumento opportunamente stuccata.

L'ara è CONSACRATA a Marte Augusto, attributo con il quale la divinità viene associata all'imperatore e alla casa imperiale.

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università degli studi di genova - dipartimento di scienze dell'antichità

Attidium in età romana. (a cura della dottoressa Maria Federica Petraccia)

acchiappaignoranti
26-04-10, 21:07
Nel 36 a.C. un fulmine colpì la casa di ottaviano . Il signum ex melo venne interpretato dal proprietario, che era anche augure, come un auspicio che rivelava la volontà di Apollo. Il dio pretendeva la parte della casa sulla quale era caduto il fulmine, oltre ad alcune delle più recenti acquisizioni, sulle quali avrebbero dovuto sorgere, tra il 36 e il 28, il tempio di Apollo, affiancato dalle due domus, l'area con portici su due livelli, sacra anch'essa al dio, la curia-templum, affiancata da biblioteche in cui Augusto riunirà il senato e passerà in rivista le decurie dei giudici .

Sovrapponendo le piante dei complessi di Ottaviano e di Augusto (figg. 23a-b) è facile ricostruire che il fulmine dovette cadere tra il vestibolo e il tablinum della casa di Ottaviano, la parte della prima casa che finirà sotto il tempio di Apollo e la sua ara. Così la zona intermedia della prima dimora veniva auspicalmente riservata all'aedes del dio, oltre a una zona da poco acquisita, più a nord. Se il punto in cui era caduto il fulmine fosse stato l'impluvio dell'atrio, corrisponderà nel nuovo complesso ad un punto alla base della scalinata di accesso al tempio.
3.2.1 fulmini si devono espiare

Si può immaginare che il fulmine fosse stato espiato grazie al rituale delfulgur conditum, per il quale il luogo in cui era caduto doveva essere nascosto alla vista e protetto dal calpestio da una vera di pozzo, analoga magari a quella sottostante il «betilo» (immagine aniconica di Apollo a forma di fuso) che figura su una lastra fittile (tipo «Camp- jana») relativa alla prima casa (fig. 72, 1.1). Si potrebbe ricordare, a questo proposito, il betilo di Apollo

http://media.hoepli.it/hoepli/Libro/CARANDINI-ANDREA-BRUNO-DANIELA/LA-CASA-DI-AUGUSTO--DAI-LUPERCALIA-AL-NATALE-/9788842086413.jpeg

acchiappaignoranti
27-04-10, 20:52
http://img2.webster.it/BIT/893/9788806168933g.jpg




In un passaggio cruciale di uno scritto famoso — uno scabro testamento politico di rara suggestione ed efficacia — Augusto raccontava come egli avesse posto la sua persona al centro di un consenso mondiale: nel 32 a.C., «tutta l'italia», disse, «giurò nelle mie parole [...]. E giurarono nelle stesse parole le province di Gallia, di Spagna, di Africa, di Sicilia, di Sardegna». Il gesto non aveva precedenti costituzionali (se si esclude qualche labile traccia cesariana), e rendeva il principe oggetto di una delega plebiscitaria e di massa senza eguali nelle civiltà antiche . Nel ricordare l’episodio — alla fine della sua vita — Augusto sottolineava con enfasi come nel momento decisivo l’investitura non fosse stata solo italica, ma provinciale. Era un segno di indubbia rilevanza ideologica e programmatica. E anche se dobbiamo considerare probabile che egli — nel momento in cui si svolsero i fatti — avesse teso, nel corso della lotta con Antonio, prima e subito dopo Azio, a risvegliare anche un ‘patriottismo’ specificamente italico .


http://img2.libreriauniversitaria.it/BIT/539/9788843595396p.jpg

di adriano la regina

L’immagine più compiuta di questo processo di identificazione è l’ercole trovato in Inghilterra, presso il Vallo di Adriano, che con tutta probabilità costituiva la statua di culto del sacrario personale di qualche comandante delle legioni romane. Sotto la pelle del leone portata come un mantello, con la protome dell’animale calzata sulla testa a mo’ di elmo, l’eroe indossa il costume sannita: casacca e cinturone (fig. 26). Anche le altre divinità maschili assumono spesso nel pantheon italico le caratteristiche etniche locali. Soprattutto Marte, ma anche Giove e i Dioscuri. Questi ultimi in particolare, numi tutelari della cavalleria, sono rappresentati, analogamente a Ercole, anche sulla base dei ganci di cinturone, a volte accompagnati dalla vittoria alata .

acchiappaignoranti
28-04-10, 22:39
http://www.consiglio.basilicata.it/pubblicazioni/DiNoia/copertina_Potentia_p.jpg


il patronus municipii eretto da Augusto, a Potenza noto attraverso una sola iscrizione, non magistrati, bensì privati cittadini che si assumevano l’onere e l'onore di tutelare gli interessi del municipio difronte al governo di Roma. Alcune epigrafi potentine, tutte databili tra la fine della repubblica e il I secolo d.C., mostrano infine come tra la classe dirigente locale, l’elemento indigeno fosse stato attivamente coinvolto nella gestione della città. Controversa è, infine, la lettura di un’iscrizione, laquale attesterebbe per la prima volta l’attività di [Quoelius] Eutychius, il quattordicesimo ed ultimo corrector Lucaniae et Brittiorum . La documentazione epigrafica, in mancanza di un riscontro
archeologico, diviene l’unico strumento attraverso il quale è possibile
ricostruire anche la vita religiosa di Potenza. Come in ogni altro municipio,a Potentia una cura particolare era riservata al culto imperiale; le iscrizioni
che testimoniano la presenza di Augustali e di sacerdoti imperiali,
solitamente liberti o, non di rado, gli stessi magistrati, risultano essere infatti tra le più numerose . Le iscrizioni, inoltre, attestano l’esistenza di un luogo sacro, la cui localizzazione è per il momento ancora ipotetica, in onore di Mefite Utiana , la dea indigena il cui culto fu mutuato, nella seconda metà del I secolo d.C., dalla vicina Rossano di Vaglio e che a
Potenza, dove il culto è testimoniato ancora all’inizio del III secolo d.C.45, doveva rivestire un ruolo centrale all’interno del pantheon, come dimostra
la preminenza di iscrizioni in suo onore rispetto alle altre divinità venerate nel municipio, Venere ericina e Cerere Verticordia - la cui epiclesi
tradisce probabilmente l’esistenza di un culto congiunto tra Cerere, Cibele e Venere -, culti anch’essi trapiantati da Rossano di Vaglio. Chiudono
il pantheon potentino, la dea Fortuna, di cui è attestata una sodalità, e
Mercurius, di cui conosciamo un magister Mercurialis augustalis.
Scarse, invece, le informazioni che possiamo desumere circa
’economia della città. È infatti epigraficamente nota una sola corporazione
professionale, la corporazione degli asinai e dei mulattieri , professione
che trova un appropriato sviluppo nel montuoso territorio potentino e
che ha fatto ipotizzare per Potentia la funzione di snodo carovaniero della
Lucania interna . Ovviamente anche lo sfruttamento delle terre, sia a scopo agricolo che per il pascolo, doveva giocare un ruolo fondamentale, come sembra dimostrare la presenza di demani imperiali nel territorio, adombrati da alcune iscrizioni erette in ricordo di liberti della famiglia imperiale a non essere più schiavi, sia che ipotizziamo per essi la volontà di richiamarsi idealmente alle case patrizie romane, dove venivano custodite le immagines maiorum corredate di iscrizione, esse stesse prerogativa di nobiltà. La diminuzione della domanda a partire dal I secolo d.C., trova ragione nelle conquiste sociali raggiunte dai liberti proprio negli anni del principato di Augusto , che non rendono oramai più necessario ostentare una posizione che ha raggiunto un pieno riconoscimento nella società .Rilievi funerari provengono anche dal centro di Potenza. Si tratta inrealtà di pochi esemplari, quattro per l’esattezza, che attestano comunque la diffusione, anche nel potentino, di modelli per i quali esiste una più ampia attestazione nel vicino Vallo di di jano , gruppo nel quale i nostririlievi rientrano per ragioni stilistiche. Lo studio tipologico su questo tipo di produzione ha infatti individuato un “gruppo meridionale”, includentei rilievi del Vallo di Diano , della Lucania, del Bruzio settentrionale
e dell’Apulia, stilisticamente affini, e che cronologicamente sembra
svilupparsi tra la fine del I secolo a.C. ed il periodo augusteo-tiberiano

dottoressa Annarita di noia -Potentia romana

acchiappaignoranti
03-05-10, 19:38
uno sguardo significativo alla lingua

http://www.eugubininelmondo.it/images/La_Lingua_degli_Umbri.jpg



Giano, il suffisso guardiano


II. Formazioni italiche in -ano-, -mo-, -ano-, -mo¬ il suffisso -no- in umbro risulta ben attestato anche in forme che presentano una vocale prima del suffisso stesso: il fenomeno non è affatto eccezionale, anzi, si può facilmente rilevare una situazione analoga in tutti i casi in cui si ha a che fare con morfemi inizianti per consonante.


I Suffissi -ano-, -ino-, -dno-, -ino- operano con evidenza come morfemi autonomi rispetto a -no-, pur mantenendo la loro funzione generalmente aggettivale; dato che sono in grado di veicolare singole specializzazioni, non risultano in alcun modo intercambiabili o sovrapponibili.

1) La forma in -ano- è una delle più attestate in umbro e presenta una funzione abbastanza omogenea: in almeno quattro volte, rispetto alle cinque in cui compare, infatti, serve per formare aggettivi che precisano la "localizzazione" del referente così qualificato . È probabile che il morfema originariamente nasca e si trasferica In due derivati, il morfema forma degli etnonimi, che traggono la denominazione da quella del luogo di appartenenza: gli iuieska-nr.v (li b 6, II b 5 ), < *iuiesko- + -ano-, dat. pl ., 'luiescani', ed i < *sata- + -ano-, dat. pl., 'Satani', sono infatti gli abitanti sono rispettivamente di una circoscrizione definita iuiesko- o iuieska-, in ogni modo, a prescindere dalla localizzazione concreta di tali territori, il valore del morfema in questione è appunto quello di indicare l'appartenenza ad un dato territorio, come, del resto, avviene anche in latino (cfr. Lucànus, Circum-padànus, oltre ai nomi derivati da città come Romànus, ecc. 180).


Nel caso di peraznanie (II b 7), dat. sg., 'Perasnania', il derivato in là-, *perasn-ano- + -ià-, è un vero e proprio toponimo: designa la regione abitata dai Perasnani , come Campania è la regione abitata dai campani
è dunque chiaro che il suffisso -ano- sarà individuabile anche nell'etnico , il cui nome è ricavalo dall'indicazione del luogo in cui tale gruppo risiedeva, cioè "perazno"

Un valore affine, ,si ritrova nel nome di una delle tre porte citate nelle tavole di gubbio: porta trebulana (VI a 22, VII a 42), abl. pi., 'Trebulana', è infatti da analizzarsi come *trebo- + -elo-+ -ano-, cioè un aggettivo in -ano-, derivato dal tema *trebelo" che, a sua volta, si presenta come un derivato in -eh- dal tema trebo-, 'edificio in legno' (per cui confronta il teonimo Trebo). Se anche in questo contesto il valore dell'aggettivo in -ano- è quello di dotare il derivato di un valore "locale", si evince che Trebulana era la porta che si apriva verso una località chiamata Treb(e)la, l


nel caso di asiane (I a 21 ), < *asea- + -ano-, loc. sg., 'relativo allo spiazzo', non è del tutto coincidente con quelli precedenti, dato che non è possibile decidere formalmente se si tratti di un derivato in -no- oppure in -ano-. Solo la semantica può quindi essere d'aiuto: il termine è probabilmente l'aggettivo derivato dal sostantivo asea-, 'spiazzo' (cfr. lat. area), e dovrebbe quindi valere come 'ciò che è relativo allo spiazzo', o meglio, 'ciò che è situato nello spiazzo'. Sembra assai più plausibile supporre che anche in questo caso sia riscontrabile quell'idea di "localizzazione" veicolata generalmente da -ano- e confermata dal fatto che la base derivazionale è essa stessa un sostantivo che indica un luogo.




in latino si trovano dei derivati analoghi a tutta l'area appenninica, che si piegano secondo quest'ottica: vicanus, urbanus, rusticànus, ecc., " sono degli aggettivi che indicano genericamente l'appartenenza ad un determinato ambito geografico-sociale, anche se la base derivazionale è un nome proprio di luogo. La differenza tra queste designazioni gli etnici e toponimi sopra menzionati consiste solo nel fatto che qesti ultimi rimandano ad un referente unico (un nome proprio), mentre gli altri una volta rotacizzati ad una classe comune . Si può dunque desumere che, almeno nell'ambito italico, il suffisso -ano- venisse costantemente, o quasi, utilizzato per esprimere delle localizzazioni, geografiche, in seguito anche socio-politiche.
Infatti forme come vicanus, urbanus, ecc., sono servite forse come modello per altre che avevano un'accezione più spiccatamente politica, quali ad esempio publicànus, populànus, e altre: le prime, visto che il loro significato era sì geografico, ma allo stesso tempo era soggetto ad un'interpretazione in chiave sociale, potrebbero aver permesso la formazione di altri derivati, in cui la pertinenza principale era proprio quella sociale e politica.