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Stalinator
21-04-10, 00:15
Un angolo per la memoria di tutti i soldati e i combattenti caduti per la libertà dei Popoli, contro l'Imperialismo di qualunque genere



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Stalinator
29-04-10, 21:11
Anche quest'anno, come ogni 9 maggio, la Piazza Rossa ricorderà il tributo di sangue versato dall'Armata Rossa e dal Popolo Sovietico, per la libertà e l'indipendenza della Madrepatria.

La scorsa edizione aveva visto la grande partecipazione popolare, e dal 2005, per volere di Vladimir Putin, la manifestazione è tornata ai fasti dei bei tempi sovietici.

VICTORY DAY EDIZIONE 2009

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Murru
18-07-10, 22:07
La grande vittoria dei popoli sovietici sul nazifascismo

Il 22 giugno 1941 iniziava l’attacco della Germania nazista all’ Unione Sovietica

di Aldo Calcidese

“Unione Sovietica, se insieme raccogliessimo
tutto il sangue che hai versato nella lotta,
tutto quello che hai dato, come una madre, al mondo
perché la libertà agonizzante riavesse vita,
un nuovo oceano noi avremmo,
di tutti il più grande,
di tutti il più profondo.”
(Pablo Neruda – Canto generale – ed. Accademia, secondo volume, pag.125)

Alle 3,30 del 22 giugno, l’esercito tedesco iniziava l’attacco al territorio sovietico.

Dopo i primi successi, l’euforia dei capi nazisti era tale che il generale Halder scrisse nel suo diario. “Non è esagerato dire che il 'Feldzug' contro la Russia è stato vinto in 14 giorni”.

Ma in realtà già dal mese di luglio si era visto che l’esercito sovietico, malgrado le gravi perdite in uomini e materiali, aveva mostrato una resistenza sempre crescente, tanto che il generale Blummentritt scrisse a questo proposito: “Il comportamento delle truppe russe già in questa prima battaglia (per la presa di Minsk) è stato ben diverso da quello dei polacchi e degli Alleati occidentali da noi messi in rotta. Anche se circondati, i russi resistevano e combattevano”. Arriveranno presto, per i tedeschi, le prime sconfitte militari.

In occidente, si esprimeva grande sorpresa per la capacità di resistenza dell’URSS.

“Per la prima volta, i tedeschi sono stati affrontati da un esercito addestrato non per la guerra del 1918, ma per la guerra del 1941”, scriveva George Fielding Eliot il 29 luglio 1941. Ed aggiungeva che l’URSS usava “posizioni difensive di grande profondità, saldamente tenute ovunque, camuffamenti di notevole abilità a protezione dell’artiglieria russa dagli attacchi aerei, unità mobili di contrattacco contro le colonne dei panzer tedeschi ed un’aviazione che sostiene completamente le truppe a terra”.

Il 30 settembre, i nazisti iniziavano l’offensiva che aveva come obiettivo l’occupazione di Mosca. Mosca fu bombardata dall’aviazione tedesca, una parte dell’amministrazione fu evacuata. Ma Stalin decise di rimanere a Mosca e di organizzare la tradizionale parata militare del 7 novembre sulla Piazza Rossa. Questo fu un segnale di grande significato per tutto il popolo, la dimostrazione che la direzione del partito e dello stato sovietico credevano nella vittoria. Stalin pronunciò un discorso che venne diffuso in tutto il paese:

“Il nemico è alle porte di Leningrado e di Mosca. Contava sul fatto che al primo colpo il nostro esercito si sarebbe disperso e il nostro paese si sarebbe messo in ginocchio. Ma il nemico si è dolorosamente sbagliato. Il nostro paese, tutto il nostro paese ha formato un unico campo militare per assicurare, d’intesa col nostro esercito e con la nostra flotta, la sconfitta degli invasori tedeschi…Si può dubitare che noi possiamo e dobbiamo vincere gli invasori tedeschi? Il nemico non è così forte come lo rappresentano certi intellettuali impauriti. Il diavolo non è poi così nero come lo si dipinge…Compagni soldati e marinai rossi, comandanti e lavoratori politici, partigiani e partigiane! Il mondo intero vede in voi una forza capace di annientare le orde di invasione dei banditi tedeschi. I popoli asserviti dell’Europa, caduti sotto il giogo tedesco, vi guardano come loro liberatori.
Una grande missione liberatrice vi è trasmessa. Siate dunque degni di questa grande missione. Che la bandiera vittoriosa del grande Lenin vi raduni sotto le sue pieghe.”
(Stalin, Oeuvres, tomo XVI, ed. NBE, 1975, p.38)

Il 25 novembre, alcune unità tedesche penetrarono nella periferia sud di Mosca. Ma il 5 dicembre l’attacco venne contenuto.

Dopo avere consultato tutti i comandanti, Stalin decise una grande controffensiva.

Il 6 dicembre il generale Zukov passò all’attacco, lanciando sette armate e due corpi di cavalleria, cento divisioni in tutto, con soldati ben equipaggiati e addestrati a combattere a temperature bassissime e con la neve alta.

Il colpo sferrato da Zukov con un imponente schieramento di truppe, artiglieria, carri armati, cavalleria e aviazione – schieramento di cui i capi nazisti non erano assolutamente a conoscenza – fu talmente sconvolgente che l’esercito tedesco, battuto e in ritirata, fu sul punto di disintegrarsi completamente.

“Il mito dell’invincibilità dell’esercito tedesco era stato infranto”, scriverà poi il generale Halder. I nazisti dovettero fare i conti anche con qualcosa che non avevano ancora sperimentato, se non episodicamente: la lotta partigiana. Il movimento partigiano assunse fin dall’inizio della guerra una grande ampiezza. Gli stessi occupanti riconobbero il legame indissolubile esistente tra i partigiani sovietici e il popolo.

“I reparti partigiani – scrisse l’ex ufficiale hitleriano Middweldorf – trovavano dappertutto un appoggio nascosto o persino palese presso la popolazione civile.”

Dimensioni particolarmente rilevanti raggiunse l’attività sabotatrice nelle regioni della steppa dell’Ucraina. Minatori ed operai metallurgici del Donbass riuscirono a sabotare il lavoro con tale maestria che i tedeschi non riuscirono ad ottenere nel Donbass né una regolare estrazione di carbone né una regolare produzione di metallo. Furono costretti a trasportare il carbone in Ucraina dall’Europa occidentale.


In attesa del “secondo fronte”

La nuova situazione sul fronte sovietico-tedesco, mutata a favore dell’URSS, creava le premesse per una disfatta della Germania nazista. Era però indispensabile che l’offensiva dell’Esercito Rosso venisse sostenuta dalle truppe alleate con un’azione contro la Germania che partisse da occidente.

Il governo sovietico nell’autunno del 1941 rivolse al governo inglese la richiesta di aprire un secondo fronte in Europa. Nel suo messaggio di risposta, Churchill dichiarò che non vi era alcuna possibilità di aprire il secondo fronte perché l’Inghilterra non disponeva delle truppe e degli armamenti necessari.

In realtà, l’Inghilterra si trovava in stato di guerra con la Germania dal 1939. Le sue riserve erano tanto più consistenti in quanto in due anni il comando inglese non aveva intrapreso alcuna grande offensiva. Come viene detto da Churchill nelle sue Memorie, all’inizio di settembre del 1941 nelle isole britanniche c’erano più di due milioni di soldati più 1.500.000 uomini che facevano parte delle formazioni territoriali di difesa. Nell’autunno del 1941 33 divisioni erano già mobilitate e comprendevano numerose unità di rinforzo. La produzione dell’industria bellica inglese era notevole. Per alcuni tipi di armamenti, a cominciare dagli aeroplani, superava quella tedesca. La marina militare della Gran Bretagna aveva grandi possibilità di intervento. Molti statisti inglesi riconoscevano questa situazione.

Lord Beaverbrook, tornato nell’ottobre del 1941 da Mosca, scrisse:

“E’ assurdo affermare che noi non possiamo fare nulla per la Russia.
Lo possiamo, se ci decidiamo a sacrificare i progetti a lunga scadenza e una concezione bellica che, pur continuando ad essere accarezzata, è definitivamente invecchiata.”

Anche il capo di Stato maggiore statunitense Marshall riconobbe che gli Stati Uniti erano in grado di aprire il secondo fronte.

“Per essere sinceri, va detto che disponiamo di truppe bene addestrate, di scorte di armamenti, di una buona aviazione e di divisioni corazzate”.

Ma perché gli anglo-americani non vollero aprire il secondo fronte in Europa né nel 1942 né nel 1943? Lo spiega molto bene Klement Gottwald, che fu prima segretario del Partito Comunista Cecoslovacco e poi presidente della Repubblica:

“E quando l’Unione Sovietica e le potenze occidentali combattevano ormai insieme contro la Germania hitleriana finirono forse, almeno allora, gli intrighi antisovietici? Non finirono neppure allora! E’ a tutti nota la storia del cosiddetto secondo fronte. L’Unione Sovietica sanguinava da innumerevoli ferite; essa impegnava e incatenava la grande maggioranza delle forze armate tedesche, dando all’Inghilterra e agli Stati Uniti la possibilità di prepararsi seriamente all’ulteriore condotta della guerra.

E quando questa preparazione fu, secondo ogni umana previsione, ultimata, l’Unione Sovietica chiese che venisse aperto il secondo fronte in occidente.

Gli argomenti dell’Unione Sovietica e la voce dei popoli di tutti i paesi furono così forti che gli esponenti dei paesi occidentali si impegnarono ad aprire a occidente il secondo fronte entro un certo termine. Si impegnarono una prima volta e non fecero niente. Si impegnarono una seconda volta e ancora non fecero niente. Solo più tardi, quando l’ulteriore inattività non era ormai più tollerabile, organizzarono il “secondo fronte” nell’Africa settentrionale e in Italia, un “secondo fronte” che non stornò dal fronte sovietico-tedesco neanche una divisione germanica. Perché i signori occidentali organizzarono un surrogato di secondo fronte nell’Africa settentrionale?

Dal sud essi speravano di poter arrivare ai Balcani e all’Europa centrale prima dell’esercito sovietico e di assicurare in questo modo queste regioni al capitalismo.

Comunque gli strateghi di Churchill erano certi che alla fine della seconda guerra mondiale avrebbero incontrato al tavolo delle trattative una Unione Sovietica dissanguata, indebolita, impotente. In secondo luogo si aspettavano che i paesi liberati dall’Unione Sovietica sarebbero tornati al capitalismo e nelle braccia degli imperialisti. Non avvenne né la prima né la seconda cosa. Solo chi sia irrimediabilmente ottuso può pensare sul serio che queste nazioni, che nel corso di una sola generazione avevano subito due bagni d sangue, potessero auspicare un puro e semplice ritorno alla situazione d’anteguerra. Potevano auspicare ciò tanto meno in quanto negli anni precedenti alla guerra e in quelli della guerra avevano visto chiaramente l’infamia, la doppiezza e l’incapacità delle classi prima dominanti e in quanto erano stati anche traditi dagli imperialisti occidentali.”

(Klement Gottwald, La Cecoslovacchia verso il socialismo, edizioni Rinascita, Roma, 1952, pp.299-301)

Non solo. Gli imperialisti anglo-americani volevano approfittare della situazione esistente nel fronte sovietico-tedesco per creare basi militari nei principali centri economici e strategici dell’URSS.

Churchill inviò una nota al Comando congiunto anglo-americano, nella quale chiedeva che non si facesse sfuggire l’occasione per un’invasione del Caucaso. Soltanto una cosa lo preoccupava: che fare di questi piani se l’offensiva tedesca del 1942 dovesse fallire.

(W.Churchill, The Second World War, vol.4, p. 514)



Stalingrado e la vittoria dell’Armata Rossa

Tutto il peso della guerra contro il nazifascismo in Europa rimane così sulle spalle dell’Unione Sovietica, almeno fino al giugno del 1944 quando, spaventati dalla travolgente avanzata dell’Armata Rossa verso Berlino, gli anglo-americani si decidono a sbarcare in Normandia.

La svolta della guerra avviene a Stalingrado.

“I tedeschi effettuano 1500-2000 incursioni al giorno, scaricando sulla città quotidianamente dalle 6 alle 8 mila bombe. Gli infami assassini hanno distrutto, incendiato interi quartieri, hanno messo fuori servizio decine di aziende. Ma la città continua a vivere, lavorare e combattere. Martoriata, carbonizzata ma irremovibile, resiste all’assalto del nemico ed infligge agli hitleriani colpi mortali, dissanguando l’armata tedesca. La fama della sua fermezza e della sua tenacia nella lotta contro il nemico si è diffusa in tutto il paese e in tutto il mondo. I combattenti di Stalingrado hanno già eliminato più di 175.000 tedeschi occupanti…Tutto il paese è accorso in aiuto di Stalingrado. Lotteremo per la nostra città sino all’ultima goccia di sangue.”
(dal comunicato del Comitato regionale del Partito Comunista bolscevico dell’URSS sulla situazione di Stalingrado)

E giunse il momento di passare da un’eroica resistenza a una potente controffensiva, una controffensiva devastante per l’aggressore nazista.
Le unità corazzate sovietiche erano riuscite a realizzare l’accerchiamento delle forze nemiche presso Stalingrado.
Nella morsa gigantesca vennero a trovarsi più di 300.000 uomini.
Il 31 gennaio 1943 il grosso delle truppe tedesche aveva cessato la resistenza. Il generale Von Paulus alfine non potè che accettare l’ultima proposta di resa dei sovietici, dopo avere respinto le due precedenti.

Dopo la guerra, in opere storiche pubblicate nell’ Europa occidentale e negli Stati Uniti, si è cercato di sminuire l’importanza della battaglia di Stalingrado. Anche il generale Marshall, ex-capo di Stato maggiore dell’esercito degli Stati Uniti, in un rapporto al presidente Roosevelt, scrisse: “ la crisi della guerra è iniziata a Stalingrado e a El Alamein.” Questa affermazione non è corretta, dal momento che sul fronte sovietico-tedesco i nazifascisti avevano, nell’autunno del 1942, 226 divisioni, mentre nell’Africa settentrionale avevano – al momento della battaglia di El Alamein – solo dodici divisioni, di cui otto italiane. Dopo Stalingrado, l’Armata Rossa assume la direzione delle operazioni militari fino a varcare, nel 1945, le frontiere della Germania.

Va ricordato che i dirigenti nazisti erano al corrente dei piani antisovietici dei governanti anglo-americani e si adoperarono per aiutarli. Infatti il comando tedesco a un certo punto cessò la resistenza ad ovest ed aprì il fronte perché potessero avanzare le truppe angloamericane.

L’ammiraglio nazista Donitz, che successe a Hitler dopo il suicidio del dittatore nazista, dichiarò a un gruppo di ufficiali tedeschi: “Dobbiamo marciare a fianco delle potenze occidentali e cooperare con esse nei territori occupati dell’ovest, perché solo in collaborazione con esse potremo in futuro strappare terra ai russi.”
(The Times, 17.8.1948)

Il governo sovietico rifiutò di accettare la legittimità di un accordo che si era realizzato a Reims, e che prevedeva la resa delle armate naziste agli eserciti angloamericani. L’Unione Sovietica esigette che l’atto di capitolazione si firmasse a Berlino. I governi degli Stati Uniti e della Gran Bretagna furono costretti ad accettare questa richiesta.

Quale fu il segreto della grande vittoria dei popoli sovietici sul nazifascismo?

Indubbiamente, il tanto criticato patto Molotov-Ribbentrop concesse all’Unione Sovietica due anni di tempo prezioso per prepararsi alla guerra contro la Germania e questo tempo fu sfruttato molto bene se è vero quello che scrive il maresciallo Zukov nelle sue Memorie:

“Le consegne militari effettuate tra il 1° gennaio 1939 e il 22 giugno 1941 erano enormi. L’artiglieria ricevette 92.578 pezzi. Nuovi mortai da 82 e 120 millimetri furono introdotti poco prima della guerra. La Forza Aerea ricevette 17.745 aerei da combattimento, di cui 3.719 nuovi modelli. Le misure prese dal 1939 al 1941 hanno creato le condizioni richieste per ottenere rapidamente la superiorità qualitativa e quantitativa.”
(Jukov, Memoires, tomo II, Ed. Fayard, Paris, 1970, p. 296)

Sui motivi che resero possibile la vittoria sul nazifascismo, Zukov aggiunge:

“Un’industria sviluppata, un’agricoltura collettivizzata, l’istruzione pubblica estesa a tutta la popolazione, l’unità della nazione, la potenza dello Stato socialista, il livello elevato di patriottismo del popolo, la direzione che, attraverso il Partito, era pronta a realizzare l’unità tra il fronte e le retrovie, tutto questo insieme di fattori fu la causa prima della grande vittoria che doveva coronare la nostra lotta contro il fascismo. Il solo fatto che l’industria sovietica avesse potuto produrre una quantità colossale di armamenti…prova che le basi dell’economia, dal punto di vista militare, erano state poste nel modo dovuto e che erano solide…In tutto ciò che era essenziale e fondamentale, il Partito e il popolo hanno saputo preparare la difesa della patria.”
(Jukov, op. cit. pp. 335-337)



Il ruolo di Stalin

Diversi esponenti della borghesia, anche della borghesia reazionaria come Winston Churchill, hanno riconosciuto le grandi capacità militari di Stalin come Comandante in capo dell’ Armata Rossa. Churchill, pur essendo un anticomunista e un nemico dichiarato dell’Unione Sovietica, parlando di Stalin disse:

“ Rispetto questo grande ed eccellente uomo…Assai pochi erano nel mondo coloro che potevano comprendere, in così pochi minuti, le questioni con le quali ci arrabattavamo da mesi. Egli aveva afferrato tutto in un lampo” (citato da Enver Hoxha nell’articolo “ Nel centenario della nascita di Giuseppe Stalin” del 1979)

Solo un gruppetto di revisionisti ha tentato di realizzare una ”missione impossibile”: quella di separare il nome di Stalin dalla grande epopea dei popoli sovietici , cercando di dimostrare che i successi furono realizzati senza la partecipazione di Stalin o addirittura “malgrado i gravi errori” di Stalin.

Nikita Chruscev inventò la favola secondo cui – dopo l’aggressione nazista – Stalin sarebbe “scomparso” per tre settimane, lasciando il Partito e l’esercito senza direttive.

Nelle sue Memorie, il maresciallo Zukov lo smentisce ricordando che Stalin, appena informato dell’attacco tedesco, gli ordinò di convocare l’Ufficio Politico per le 4,30. Nella stessa giornata del 22, Stalin prese decisioni di notevole importanza.

“Verso le 13 del 22 giugno Stalin mi chiamò: i nostri comandanti di fronte non hanno esperienza sufficiente per dirigere operazioni militari, in molti sono palesemente disorientati. L’Ufficio Politico ha deciso di inviarvi sul fronte Sud-Ovest in qualità di rappresentante della Stavka (Quartier Generale). Sul fronte Ovest invieremo il maresciallo Saposnikov e il maresciallo Kulik.”
Dopo il 22 giugno 1941 e per tutta la durata della guerra, Giuseppe Stalin assicurò la ferma direzione del paese, della guerra e delle nostre relazioni internazionali.”
(Jukov, op. cit. pp.354, 395, 396)

Nikita Chruscev ha affermato anche:

“Il potere accumulato nelle mani di un solo uomo, Stalin, comportò delle gravi conseguenze nella grande guerra patriottica. Stalin agisce per tutti, non conta su nessuno, non chiede il parere a nessuno”

Il generale d’armata Stemenko, che lavorò presso lo Stato maggiore generale, afferma:

“Devo dire che Stalin non decideva e nemmeno amava decidere da solo sulle questioni importanti della guerra. Capiva perfettamente la necessità del lavoro collettivo in questo campo così complesso, riconosceva le persone autorevoli nell’uno o nell’altro problema militare, teneva conto della loro opinione e riconosceva a ciascuno la sua competenza.”
(Chtèmenko, L’Etat Major general soviètique en guerre, Ed. du Progrès, Moscou, 1978, tomo II, p.319)

Vasilevskij, che fu aiutante di Zukov e, successivamente, egli stesso capo di Stato maggiore e lavorò con Stalin per tutta la durata della guerra, scrive:

“Per la preparazione dell’una o dell’altra decisione di ordine operativo o per l’esame di altri problemi importanti, Stalin faceva venire delle personalità responsabili che avevano un rapporto diretto con la questione esaminata…Questo lavoro spesso impegnava diversi giorni, durante i quali Stalin aveva degli incontri con i comandanti e i membri dei consigli militari dei fronti…L’Ufficio Politico, la Direzione delle Forze Armate si appoggiavano sempre sulla ragione collettiva. Ecco perché le decisioni strategiche prese dal comando supremo ed elaborate collettivamente rispondevano sempre, in generale, alla situazione concreta al fronte.”
(Vassilevski, La cause de toute une vie, Ed. du Progrès, Moscou, 1975, pp.34-36)

E il maresciallo Zukov ricorda:

“Il lavoro della Stavka si metteva in pratica, di regola, sotto il segno dell’organizzazione, della calma. Ognuno poteva esprimere la propria opinione. Giuseppe Stalin si rivolgeva a tutti nello stesso modo, con un tono severo e abbastanza ufficiale. Quando gli si faceva un rapporto con piena cognizione di causa, sapeva ascoltare. Occorre dire, cosa di cui mi sono convinto durante i lunghi anni della guerra, che Giuseppe Stalin non era affatto un uomo a cui non si poteva parlare dei problemi difficili, con cui non si poteva discutere e perfino difendere energicamente il proprio punto di vista. Se alcuni affermano il contrario, direi semplicemente che le loro asserzioni sono false.”
(Jukov, op.cit., p.415)

Tutte le menzogne di Chruscev servivano in realtà a giustificare la svolta di 180 gradi che i revisionisti intendevano imporre alla politica sovietica.

Una cosa però è certa: mentre oggi i nomi di Chruscev, di Mikojan e degli altri revisionisti che organizzarono il colpo di stato del 1956 promuovendo la cosiddetta destalinizzazione sono ormai finiti nella spazzatura della storia, e nessuno si ricorda più di loro, il nome di Stalin rimane e rimarrà sempre indissolubilmente legato ai grandi successi dell’edificazione socialista in URSS e alla grande vittoria dell’Armata Rossa e dei popoli sovietici sul nazifascismo.


La grande vittoria dei popoli sovietici sul nazifascismo (http://www.resistenze.org/sito/te/cu/st/custab25-006344.htm)

gerty80
19-08-10, 00:52
La grande vittoria dei popoli sovietici sul nazifascismo

Il 22 giugno 1941 iniziava l’attacco della Germania nazista all’ Unione Sovietica

di Aldo Calcidese

“Unione Sovietica, se insieme raccogliessimo
tutto il sangue che hai versato nella lotta,
tutto quello che hai dato, come una madre, al mondo
perché la libertà agonizzante riavesse vita,
un nuovo oceano noi avremmo,
di tutti il più grande,
di tutti il più profondo.”
(Pablo Neruda – Canto generale – ed. Accademia, secondo volume, pag.125)


Emblematica la foto simbolo della caduta nazifascista

http://www.ruskystamps.com/img/Red_army_soldiers_raising_the_soviet_flag_on_the_r oof_of_the_reichstag_berlin_germany.jpg

Gianky
02-09-10, 12:05
Grande la vittoria del Popolo sovietico e del suo Condottiero!

Murru
31-03-11, 21:47
L’Austria ricorda gli atti eroici dei militari sovietici

28.01.2011

A Vienna si è svolta la presentazione del “Libro della memoria” contenente dati relativi a 60 mila cittadini sovietici – militari dell’Armata Rossa, detenuti dei campi di concentramento, seppelliti in Austria negli anni della Seconda Guerra Mondiale. La maggiore parte dei dati, raccolti nel libro, in precedenza non era nota.

I dati sui cittadini sovietici morti in Austria sono stati raccolti nell’arco di 15 anni dall’architetto austriaco Peter Sixl il quale non solo ha creato una database sui generis, ma anche letteralmente riportato alla vita i nomi di migliaia di militari le cui salme giacevano nelle tombe senza nome.

Nella primavera del 1945 le truppe sovietiche condussero i pesanti combattimenti per la liberazione dell’Austria. Al nostro microfono lo studioso storico Oleg Rzheshevsky, partecipante a quei combattimenti:

La guerra in Europa stava ormai volgendo al termine. L’Armata Rossa si trovava a 60 km da Berlino. Le truppe degli USA e della Gran Bretagna stavano attaccando da Ovest. Ma è assolutamente inconsistente l’ipotesi di alcuni storici occidentali che i combattimenti conclusivi dell’Armata Rossa rappresentavano le operazioni al fine di dare un colpo di grazia al nemico già sconfitto.

In realtà, il nemico era ancora molto forte. In Austria furono trasferiti i resti del raggruppamento delle Armate “Sud” e della Sesta Armata carri delle “South Stream”, altre unità militari hitleriane,- ha detto in seguito Oleg Rzhashevsky.

I sette anni di occupazione nazista diventarono un triste periodo nella storia degli austriaci.

Nell’aprile del 1945 nonostante tutti gli appelli del Comando militare tedesco, gli abitanti di Vienna non solo non opposero resistenza alle truppe sovietiche, ma anche parteciparono alla lotta contro gli occupanti nazisti.

L’eroismo dei militari sovietici permise di conservare una delle città più belle dell’Europa – Vienna.

Nel dopoguerra tra l’Austria e l’Urss, poi la Russia si sono instaurti i rapporti di amicizia. Il Libro della Memoria, presentato a Vienna, ne è una testimonianza, - prosegue lo storico russo.

Ci teniamo molto all’attenzione che le autorità austriache e i comuni abitanti dell’Austria prestano alle tombe dei militari sovietici caduti. I rapporti russo-austriaci d’oggi sono un buon esempio per molti paesi.

Il Libro della Memoria si apre con le parole di saluto dei Presidenti della Russia e dell’Austria. L’edizione è stata pubblicata in due lingue: russa e tedesca.

http://italian.ruvr.ru/2011/01/28/41754092.html

Monsieur
01-04-11, 18:10
OFbtbMVseu4

Murru
01-05-11, 15:28
Il lato oscuro della II guerra mondiale


Unione sovietica, la vittoria sottratta

Sessantanni fa, il 57% dei francesi considerava l'Unione sovietica il principale vincitore della guerra. Nel 2004, la percentuale era ridotta al 20%. La progressiva dimenticanza del ruolo di Mosca, amplificata dai media, si deve anche alle polemiche sulla politica di Stalin tra il 1939 e il giugno 1941, pur inquadrata sotto un'altra luce da recenti ricerche storiche. Ma, qualunque cosa si pensi del patto germano-sovietico, come negare che, per tre anni, i russi hanno costituito la gran parte della resistenza - e poi della controffensiva - alla Wehrmacht? Al prezzo di 20 milioni di morti


Annie Lacroix-Ritz

A due anni dalla sua vittoria contro il nazismo, la guerra fredda trasforma l'Armata rossa in una minaccia per i popoli dell'«Occidente» (1). A sei decenni di distanza, la storiografia francese, completata la sua mutazione filo-americana, mette alla gogna l'Unione Sovietica non solo per la fase del patto germano-sovietico, ma oramai anche per quella della sua «grande guerra patriottica». I nostri manuali, surclassando gli storici dell'Europa orientale (2), assimilano il comunismo al nazismo. Ma le fonti originali che hanno alimentato queste conclusioni fanno emergere un quadro completamente diverso dell'Urss nella seconda guerra mondiale.
La principale accusa contro Mosca riguarda il patto germano-sovietico del 23 agosto 1939, e in particolare i suoi protocolli segreti. La schiacciante vittoria della Wehrmacht nella guerra lampo in Polonia è di fatto il segnale per l'occupazione sovietica della Galizia orientale (l'est della Polonia) e dei paesi baltici (3). Espansionismo, realpolitik o strategia difensiva?
Riprendendo le tesi dei prestigiosi storici Lewis B. Namier e Alan John Pecival Taylor, così come del giornalista Alexander Werth, i nuovi studi di alcuni storici anglofoni gettano luce sulle condizioni nelle quali l'Urss è arrivata a questa decisione. E dimostra come l'ostinazione della Francia e della Gran Bretagna - incoraggiata dagli Stati uniti - nella loro politica di «pacificazione», ossia di capitolazione a fronte delle potenze fasciste aveva vanificato il progetto sovietico di «sicurezza collettiva » degli stati minacciati dal Reich. Con gli accordi di Monaco (29 settembre 1938) Parigi, Londra e Roma consentono a Berlino di annettersi, due giorni dopo, i Sudeti. Isolata a fronte di un Terzo Reich che ha ormai «le mani libere ad Est», Mosca firma con Berlino il patto di non aggressione, che provvisoriamente risparmia l'Unione Sovietica. Si conclude così la missione franco- britannica inviata a Mosca (11-24 agosto) per placare l'opinione di chi reclamava - dopo l'annessione tedesca della Boemia-Moravia e la satellizzazione della Slovacchia - un fronte comune con l'Urss. Mosca puntava all'alleanza automatica e reciproca del 1914, che doveva associare la Polonia e la Romania, capisaldi del «cordone sanitario» antibolscevico del 1919, così come i paesi baltici, vitali per la «Russia d'Europa» (4). L'ammiraglio britannico Drax e il generale francese Doumenc dovevano accollare a Mosca tutta la responsabilità del fiasco. Si pensava che bastasse «lasciare la Germania sotto la minaccia di un patto militare anglo-franco-sovietico per guadagnare tempo, rinviando la guerra a dopo l'autunno e l'inverno».
Quando, il 12 agosto, Clement Voroshilov, capo dell'Armata rossa, propone loro in termini «precisi e diretti», «l'"esame concreto" dei piani operativi contro il blocco degli stati aggressori», confessano di non avere i necessari poteri. Parigi e Londra, decise a non fornire alcun aiuto ai loro alleati dell'Est, avevano delegato il compito all'Urss rendendolo al tempo stesso impossibile. Da sempre sia Bucarest che soprattutto Varsavia rifiutano all'Armata rossa in diritto di transito. Dopo aver «garantito» la Polonia senza consultarla, Parigi e Londra sostengono di avere le mani legate dal veto (incoraggiato sottomano) del colonnello filotedesco Josef Beck, che invocava il «testamento» del suo predecessore Josef Pilsudski: «Con i tedeschi rischiamo di perdere la nostra libertà; con i russi perdiamo la nostra anima».
La faccenda in realtà è più semplice. Con l'aiuto militare francese, la Polonia aveva strappato ai sovietici, nel 1920-1921, la Galizia orientale (5). Cieca, fin dal 1934, agli appetiti tedeschi, trema all'idea che l'Armata rossa si impadronisca agevolmente di quei territori.
Dal canto suo, la Romania teme di perdere la Bessarabia, strappata ai russi nel 1918 e conservata grazie alla Francia. L'Urss non ottiene neppure una «garanzia» dai paesi baltici, che devono tutto - dall'indipendenza del 1919-1920 al mantenimento dell'influenza tedesca - al «cordone sanitario». A partire dal marzo, e soprattutto dal maggio 1939 Mosca è corteggiata da Berlino, che preferisce - per esperienza - fare la guerra su un solo fronte; e prima di scagliarsi contro la Polonia promette ai sovietici di rispettare la loro «sfera d'influenza» in Galizia orientale, nella regione baltica e in Bessarabia. Se l'Urss all'ultimo momento finisce per cedere, non è in nome di una fantasticata «rivoluzione mondiale» o del «Drang nach Westen» (la pulsione verso l'Occidente tanto cara all'autore tedesco di estrema destra Ernst Nolte), ma perché rifiuta - visto che Londra e Parigi continuano a blandire Berlino - di «essere coinvolta da sola in un conflitto contro la Germania» - come dice testualmente il Segretario del Foreign Office Charles Lindsley Halifax il 6 maggio 1939. L'Occidente finge di trasecolare davanti alla «sinistra notizia che esplode nel mondo come una bomba (6)» e grida al tradimento. In realtà, era dal 1933 che le delegazioni francese e britannica a Mosca facevano la parte delle Cassandre, avvertendo che in mancanza di una Triplice Intesa l'Urss avrebbe dovuto venire a patti con Berlino per ottenere il «respiro» necessario a prepararsi economicamente e militarmente alla guerra.
Il 29 agosto 1939 il luogotenente Luguet, addetto aereonautico francese a Mosca (e futuro eroe della squadriglia Normandie-Niémen), attesta la buona fede di Voroshilov e definisce Stalin il «glorioso successore (...) di Alexander Nevsky e di Pietro I»: «Il Trattato pubblicato è completato da una convenzione segreta ove si definisce, a distanza dai confini sovietici, una linea che le truppe tedesche non dovranno superare, e che l'Urss considera in qualche modo la sua linea di copertura (7)».
La Germania apre il conflitto generale il 1° settembre 1939, in assenza dell'Intesa che nel settembre 1914 aveva salvato dall'invasione la Francia. Michael Carley incolpa la politica di pacificazione dei governi britannico e francese, nata dalla «paura di vincere contro il fascismo». A spaventare Londra e Parigi è il timore che il ruolo di guida promesso a Mosca in una guerra contro la Germania consenta all'Urss di estendere il suo sistema a tutti i belligeranti: perciò l'«anticomunismo», decisivo in ciascuna delle fasi chiave fin dal 1934-35, ha costituito «una causa importante della seconda guerra mondiale (8)».
Il 17 settembre l'Urss, allarmata per l'avanzata tedesca in Polonia, proclama la propria «neutralità» nel conflitto, non senza occupare la Galizia orientale. E in settembre-ottobre esige «garanzie» dai paesi baltici - «"occupazione mascherata", accolta con rassegnazione (9)» da Londra, a questo punto non meno preoccupata dal Reich che da una «Russia protesa verso l'Europa». Avendo invano chiesto a Helsinki, alleata di Berlino, una rettifica del confine (dietro compenso) l'Urss entra in guerra contro la Finlandia, incontrando una resistenza agguerrita.
La propaganda occidentale compiange la piccola vittima e ne esalta il coraggio. Weygand e Daladier progettano - un «sogno», anzi un «delirio», secondo lo storico Jean-Baptiste Duroselle - una guerra contro l'Urss, all'estremo Nord e quindi nel Caucaso. Ma Londra plaude al compromesso finno-sovietico del 12 marzo 1940 e alla nuova avanzata dell'Armata rossa seguita al tracollo francese (occupazione dei paesi baltici a metà giugno 1940, e della Bessarabia e Bucovina del Nord alla fine di giugno). Dopo di che invia a Mosca Stafford Cripps, unico filosovietico dell'establishment. Per Londra, a questo punto, meglio un'avanzata sovietica che tedesca nel Baltico. Dopo decenni di polemiche, gli archivi sovietici hanno confermato che 5.000 ufficiali polacchi, i cui cadaveri furono scoperti dai tedeschi a Katyn, presso Smolensk, nel 1943, erano stati giustiziati nell'aprile 1940 per ordine di Mosca. Feroci con i polacchi, i sovietici hanno però salvato, nelle zone di cui avevano ripreso il controllo, più di un milione di ebrei, dei quali hanno organizzato l'evacuazione prioritaria nel giugno 1941 (10). Il periodo compreso tra il 23 agosto 1939 al 22 giugno 1941, è oggetto di un altro dibattito, che verte sull'attuazione del patto germano-sovietico da parte di Stalin. Alcuni studiosi sottolineano ad esempio le forniture sovietiche di materie prime alla Germania nazista, o il cambiamento di strategia imposto, nell'estate 1940, al Komintern e ai partiti comunisti - come l'invito a denunciare la «guerra imperialista» ecc.
Dal canto loro, gli storici qui citati tendono a ridimensionare quest'interpretazione, se non a contestarla (11). Notiamo che gli Stati uniti, persino dopo la loro entrata in guerra contro Hitler (nel dicembre 1941), così come la Francia, ufficialmente belligerante dal 3 settembre 1939, avevano assicurato al Reich abbondanti forniture industriali (12).
I rapporti germano-sovietici, in crisi fin dal giugno 1940, sfiorano la rottura in novembre. «Tra il 1939 e il 1941, l'Urss imprime un considerevole sviluppo ai suoi armamenti terrestri e aerei, e ammassa da 100 a 300 divisioni (2- 5 milioni di uomini) lungo i suoi confini occidentali e nelle aree adiacenti. (13)». Il 22 giugno 1941 il Reich lancia l'assalto, già preannunciato dalla concentrazione delle sue truppe in Romania. Nicolas Werth parla di un «tracollo militare nel 1941», seguito (nel 1942- 1943) «da un soprassalto del regime e della società».
Ma il 16 luglio a Vichy il generale Doyen annuncia a Pétain la fine delle guerre lampo. «Se in Russia il Terzo Reich ha conseguito innegabili successi strategici, la piega che stanno prendendo le operazioni non corrisponde alle previsioni dei suoi dirigenti. Non avevano previsto una resistenza tanto accanita del soldato russo, un così appassionato fanatismo della popolazione, una guerriglia così estenuante nelle retrovie, né la gravità perdite, il vuoto totale davanti all'invasore, le considerevoli difficoltà dei rifornimenti e delle comunicazioni (...) Incurante di come si sfamerà domani, la Russia incendia i suoi raccolti coi lanciafiamme, fa saltare in aria i villaggi, distrugge il suo materiale rotabile, sabota le sue strutture produttive (14)».
Ai primi di settembre 1941 il Vaticano - la migliore rete di intelligence mondiale - si allarma per le difficoltà «dei tedeschi», paventando un esito «tale da far sì che Stalin venga chiamato a organizzare la pace di concerto con Churchill e Roosevelt». Ai suoi occhi il «punto di svolta della guerra» era stato raggiunto prima che la Wehrmacht si bloccasse davanti a Mosca (alla fine d'ottobre), e molto prima di Stalingrado. Si conferma così il giudizio espresso fin dal 1938 da Auguste-Antoine Palasse, addetto militare francese a Mosca: a suo parere la potenza militare sovietica non era stata affatto intaccata dalle purghe seguite ai processi e alle esecuzioni del maresciallo Michael Tukacevski e degli alti gradi dello stato maggiore dell'Armata rossa nel giugno 1937 (15).
L'Armata rossa, scrive Palasse, si rafforza, sviluppando uno straordinario «patriottismo»: lo status dell'esercito, la formazione militare e un'efficace propaganda «mantengono in tensione le energie del paese e alimentano la fiducia incrollabile nella sua forza difensiva e l'orgoglio delle gesta compiute». Nell'agosto 1938 Palasse aveva posto in rilievo le sconfitte nipponiche al confine Urss-Cina-Corea.
La qualità così attestata dell'Armata rossa doveva servire da lezione.
Facendo infuriare Hitler, il Giappone firma a Mosca, il 13 aprile 1941, un «patto di neutralità», liberando così l'Urss dall'incubo di una guerra su due fronti (dopo l'attacco alla Manciuria nel 1931 e a tutta la Cina nel 1937). Dopo essere stata piegata per lunghi mesi sotto l'assalto della formidabile macchina da guerra nazista, l'Armata rossa passerà nuovamente all'offensiva. Se nel 1917-18 il Reich è battuto a Occidente soprattutto dall'esercito francese, tra 1943 e 1945 finisce per soccombere sul fronte orientale all'Armata rossa. Preoccupato di alleggerire la pressione che grava sul suo esercito, Stalin insiste, fin dall'agosto-settembre 1941, per l'apertura di un «secondo fronte» (invio di divisioni alleate in Urss o sbarco sulle coste francesi). Ma deve accontentarsi degli elogi del primo ministro britannico Winston Chruchill, subito imitato dal presidente americano Franklin D. Roosevelt, per l'eroismo delle forze combattenti sovietiche. E di un prestito americano (rimborsabile dopo la guerra) valutato da uno storico sovietico a 5 miliardi di rubli, pari al 4% del reddito nazionale nel periodo 1941- 1945. Il rifiuto di aprire quel secondo fronte e l'emarginazione dell'Urss nelle relazioni interalleate (nonostante la sua presenza al vertice di Tehran, nel novembre 1943) riattizzano nei sovietici l'ossessione di un ritorno al «cordone sanitario» e alle «mani libere ad Est».
La questione dei rapporti di forze in Europa si acutizza quando la capitolazione del generale Friedrich von Paulus a Stalingrado, il 2 febbraio 1943, porta all'ordine del giorno la pace futura. Poiché Washington conta sulla sua egemonia finanziaria per sottrarsi alle norme militari di regolamento dei conflitti, Franklin D. Roosevelt rifiuta di negoziare sugli «obiettivi della guerra» presentati a Churchill da Stalin nel luglio 1941 (ritorno ai confini europei dell'ex impero raggiunti nel 1939-1940): una «sfera d'influenza sovietica» avrebbe limitato quella americana. Il finanziere Averell Harriman, ambasciatore a Mosca, pensava nel 1944 che data la situazione disastrata dell'Urss, l'attrattiva di un «aiuto economico» avrebbe «evitato lo sviluppo di una sfera d'influenza (...) sovietica in Europa orientale e nei Balcani». Ma bisogna fare i conti con Stalingrado, dove dal luglio 1942 si scontrano «due armate di oltre un milione di uomini». Le forze sovietiche hanno la meglio in quella «accanita battaglia» - seguita giorno per giorno dall'Europa occupata - che «supera in violenza ogni precedente della prima guerra mondiale (...) [si combatte] per ogni casa, ogni cisterna, ogni cantina, ogni frammento di muro in rovina». La vittoria di Stalingrado «ha avviato l'Urss al ruolo di potenza mondiale», così come quella «di Poltava del 1709 (contro la Svezia) aveva fatto della Russia una potenza europea». L'effettiva apertura del «secondo fronte» tarda fino al giugno 1944, periodo durante il quale l'avanzata dell'Armata rossa - al di là dei confini sovietici del 1940 - rende ineludibile la ripartizione delle «sfere d'influenza». Nel febbraio 1945 la Conferenza di Yalta, che ratifica la posizione dell'Urss in quanto belligerante decisivo, non è il prodotto dell'astuzia di Stalin che depreda la Polonia martire contro un Chrchill impotente e un Roosevelt moribondo; è il risultato di un rapporto di forze militari. Questo rapporto si era ribaltato durante la corsa-rincorsa negoziale di resa della Wehrmacht «alle armate anglo-americane e di riporto delle forze ad Est»: a fine marzo, «26 divisioni tedesche rimanevano sul fronte occidentale, (...) contro 170 divisioni su quello orientale (16)», dove i combattimenti infuriarono fino all'ultimo. Nel marzo- aprile 1945 l'operazione Sunrise fu uno sfregio per Mosca: il finanziere Allen Dulles, capo dell'Office of Strategic Services (antenato della Cia) a Berna, negoziò qui con il generale delle SS Karl Wolf, capo dello stato maggiore personale di Himmler (responsabile dell'assassinio di 300,000 ebrei) la capitolazione dell'esercito di Kesselring in Italia. Ma era praticamente escluso che Berlino andasse agli occidentali: dal 25 aprile al 3 maggio, in quella battaglia dovevano cadere altri 300.000 soldati sovietici: l'equivalente del totale delle perdite americane (292.000), «unicamente militari», sul fronte europeo e su quello giapponese, dal dicembre 1941 all'agosto 1945 (17).
Secondo Jean-Jacques Becker, «a prescindere dal suo dispiegamento su spazi molto più vasti e dal costo esorbitante dei metodi di combattimento arcaici dell'armata sovietica, sul piano militare la seconda guerra mondiale è stata forse meno violenta della prima (18)». Ma chi parla così dimentica che se l'Urss ha pagato da sola la metà del tributo complessivo di vittime del conflitto 1939-1945, la ragione principale va ricercata nel progetto del Terzo Reich di condurre una guerra di sterminio, destinata a liquidare, oltre alla totalità degli ebrei, da 30 a 50 milioni di slavi (19). Un'azione la cui principale artefice è stata la Wehrmacht, feudo pangermanista facilmente disponibile alla nazificazione, che considerava i russi come «asiatici degni solo del più assoluto disprezzo»: e nella sua ferocia antislava, antisemita e antibolscevica descritta al processo di Norimberga (1945- 1946) e ricordata recentemente in Germania da alcune mostre itineranti (20), ma a lungo taciuta in Occidente, rifiutava di applicare ai sovietici le «leggi di guerra» (convenzione dell'Aja 1907).
Ne danno testimonianza i suoi ordini: il cosiddetto decreto «del commissario» dell'8 giugno 1941, che prescrive l'esecuzione dei commissari politici comunisti integrati nell'Armata rossa; l'ordine di «non fare prigionieri», per cui sui campi di battaglia, a combattimenti conclusi, i soldati della Wehrmacht trucidarono 600.000 prigionieri di guerra (e la stessa disposizione fu estesa un mese dopo anche ai «civili nemici»); l'ordine Reichenau per lo «sterminio definitivo del sistema giudeo-bolscevico», ecc. (21). Fu così che negli anni 1941- 1942 ben 3,3 milioni di prigionieri di guerra - più di due terzi del totale - furono vittime della «morte programmata» - assoggettati a un lavoro da schiavi e uccisi dalla fame e la sete (l'80%), dal tifo e dalla fatica. Nel 1941 alcuni prigionieri «comunisti fanatici», consegnati alle SS, furono usati come cavie per i primi esperimenti di Auschwitz con il gas Zyklon B.
La Wehrmacht ha partecipato attivamente, a fianco delle SS e della polizia tedesca, alle stragi di civili, ebrei ma non solo. Ha aiutato gli Einsatzgruppen delle SS incaricate delle «operazioni mobili di eliminazione» (Raul Hilberg). Come il massacro perpetrato dal gruppo C nella forra di Babi Yar alla fine di settembre 1941, dieci giorni dopo l'ingresso delle sue truppe a Kiev (quasi 34.000 morti). E questo è stato solo uno degli innumerevoli massacri perpetrati insieme agli «ausiliari» polacchi, lettoni, lituani, ucraini, descritti dallo sconvolgente Libro nero di Ilya Ehrenburg e Vassili Grossman (22).
Slavi ed ebrei (1.100.000 su 3.300.000) furono massacrati in massa a Oradour-sur-Glâne e nei lager. I 900 giorni dell'assedio di Leningrado (luglio 1941- gennaio 1943) uccisero un milione di abitanti su 2,5 milioni, di cui più di 200.000 morirono per inedia nell'estate 1941-1942.
In totale «furono rase al suolo 1700 città, 70.000 villaggi e 32.000 stabilimenti industriali». Un milione di Ostarbeiter (operai dell'Est) deportati in Occidente morirono di sfinimento o per le sevizie delle SS e dei kapò nei campi di concentramento, nelle miniere, negli stabilimenti di grandi aziende o nelle filiali di gruppi stranieri - tra cui la Ford, fabbricante dei camion da 3 tonnellate del fronte orientale.
L'8 maggio 1945 l'Urss estenuata aveva già perso il beneficio della «Grande Alleanza», imposta agli alleati anglo-americani dall'immane contributo del suo popolo alla loro vittoria. Per il contenimento della guerra fredda e sotto l'egida di Washington, si poteva oramai ristabilire quel «cordone sanitario», «prima guerra fredda» condotta sotto la guida di Londra e Parigi tra il 1919 e il 1939.
note:
* Docente di storia contemporanea, Università Paris-VII, autrice dei saggi Le Vatican, l'Europe et le Reich 1914- 1944, Armand Collin, Parigi, 1996, e Le choix de la défaite: les élites françaises dans les années 1930, che uscirà prossimamente per i tipi dello stesso editore.
(1) «1947-1948. Du Kominform au"coup de Prague", l'Occident eut-il peur des Soviets et du communisme?», Historiens et géographes (Hg) n° 324, agosto- settembre 1989, pp. 219-243.
(2) Diana Pinto, «L'Amérique dans les livres d'histoire et de géographie des classes terminales françaises », Hg, n° 303, marzo 1985, pp.
611-620 ; Geoffrey Roberts, The Soviet Union and the origins of the Second World War, 1933- 1941, Saint Martin's Press, New York, 1995, introduzione.
(3) Leggere inoltre Geoffrey Roberts, op. cit., p. 95-105, e Gabriel Gorodetsky, «Les dessous du pacte germano-soviétique», Le Monde diplomatique, luglio 1997.
(4) Salvo indicazioni diverse, le fonti citate si trovano negli archivi del ministero francese degli affari esteri o delle Forze armate terrestri (Shat), o ancora nelle pubblicazioni degli archivi tedeschi, britannici e americani. Per quanto riguarda i numerosi libri, in buona parte poco noti in Francia, sui quali si basa questo articolo, il lettore troverà un'ampia bibliografia sul sito Internet del Monde diplomatique : www.monde-diplomatique.fr/2005/LACROIX_RIZ/12117
(5) Ndr: La Galizia è passata, nel corso della storia, dai russi ai mongoli, ai polacchi, ai lituani, agli austriaci e poi di nuovo ai russi e ai polacchi. Nel 1919 lord Curzon aveva assegnato la Galizia orientale alla Russia (linea Curzon).
(6) Winston Churchill, Mémoires, vol. I, The gathering storm, Houghton Mifflin Company, Boston, 1948, p. 346.
(7) Lettera a Guy de la Chambre, ministro dell'aviazione, Mosca, 29 agosto 1939 (Shat).
(8) Michael J. Carley, 1939, The alliance that never was and the coming of World War 2, Ivan R. Dee, Chicago, 2000, pp. 256-257.
(9) Lettera 771 di Charles Corbin, Londra, 28 ottobre 1939, archivi del Quai d'Orsay (MAE).
(10) Dov Levin, The lesser of two evils : Eastern European Jewry under Soviet rule, 1939-1941, The Jewish Publications Society, Philadelphia-Jérusalem, 1995.
(11) Leggere, in particolare, i testi già citati di Geoffrey Roberts e Gabriel Gorodetsky, ma anche di Bernhard H. Bayerlin et al., Moscou, Paris-Berlin [...] 1939-1941, Taillandier, Paris, 2003. Nelle sue Memorie, la comunista libertaria Margarete Buber-Neumann accusa il regime sovietico di aver consegnato alla Gestapo molti antifascisti tedeschi.
(12) Charles Higham, Trading with the enemy 1933-1949, Delacorte Press, New York, 1983 ; e Industriels et banquiers français sous l'Occupation, Armand Colin, Parigi, 1999.
(13) Geoffrey Roberts, op. cit., pp. 122-134 et 139.
(14) La Délégation française auprès de la commission allemande d'armistice de Wies-baden, 1940-1941, Imprimerie nationale, Paris, vol. 4, pp.
648-649.
(15) 16 giugno 2004, www.oui-socialiste.fr.
Annie Lacroix-Ritz
(16) Radio France internationale, 6 aprile 2005.
(17) Si legga Corinne Gobin, «L'Europa sociale, ingannevole apparenza», Le Monde diplomatique/ il manifesto, novembre 1997.
(18) Pierre Bourdieu, Contrefeux II, Liber-Raison d'agir, Parigi 2001, p.17, edizione italiana, ....
(19)Si legga, Jacques Généreux, Manuel critique du parfait européen, Seuil, Parigi, 2005.
(20)Raoul Marc Jennar, Europe: La trahison des élites, Fayard, Parigi, 2004.
(21) Corinne Gobin «L'Union Européenne: un état de perte di conscience publique?», in Attac, Une autre Europe pour une autre mondialisation, Editions Luc Pire Bruxelles, 2001, p.70.
(22) Alain Lipietz, Politis, 24 marzo 2005 (Traduzione di E. H.)

::: LeMondeDiplomatique il manifesto ::: (http://www.monde-diplomatique.it/LeMonde-archivio/Maggio-2005/pagina.php?cosa=0505lm1601.html&titolo=Unione%20sovietica,%20la%20vittoria%20sottr atta)

Murru
01-05-11, 15:33
SECONDA GUERRA MONDIALE: IL RUOLO DECISIVO DEI RUSSI NELLA SCONFITTA DEL NAZISMO




DI ALEKSANDER B. KRYLOV
Strategic Cultural Foundation

Sono notizia recente gli scontri in Estonia tra la polizia e la minoranza russa che protestava per la rimozione del monumento ai soldati dell'armata rossa che liberarono il paese dai nazisti: ennesimo segnale del tentativo di sminuire il ruolo dell'armata rossa nella sconfitta del nazifascismo. In occasione del 62esimo anniversario della vittoria sui nazisti (che per i russi ricorreva il 9 Maggio) è doveroso ricordare l'immane sacrificio del popolo russo che, con la vittoria a Stalingrado e nella battaglia di Kursk, rovesciò l'esito della seconda guerra mondiale. Ben prima dello sbarco in Normandia. N.d.r.



La battaglia di Kursk per gli storici britannici, o il nazismo che venne dall'Ovest

Alcune tendenze degne di nota continuano a comparire negli studi storici britannici e statunitensi circa la Seconda Guerra Mondiale e particolarmente sugli ultimi anni del conflitto. Fino a poco tempo fa, gli studenti inglesi e statunitensi si concentravano prevalentemente sugli eventi relativi al Fronte Occidentale (la battaglia di El Alamein, lo sbarco in Normandia, l'offensiva delle Ardenne, ecc...).

C'è una ben precisa ragione dietro l'enfasi assegnata alle operazioni compiute dagli Alleati: tale approccio creava tra la gente la falsa impressione che USA e Gran Bretagna sole avessero sconfitto la Germania (venne scoperto che, in certi casi, studenti inglesi e statunitensi effettivamente credevano che la Russia fosse alleata con la Germania nella Seconda Guerra Mondiale).Questa, chiamiamola 'interpretazione storica', divenne canonica in Occidente a partire dall'avvento della Guerra Fredda, dal momento in cui, aderendo ad una sorta di “approccio di classe”, W. Churchill screditò nelle sue memorie il cruciale contributo dell'Armata Rossa alla vittoria sulla Germania nazista.

In seguito, il pensiero degli storici occidentali fu largamente influenzato da scritti di ufficiali ex-fascisti, impiegati per l'esame degli archivi militari nazisti, e da numerose memorie lasciate dai generali della Wehrmacht. Di norma, autori di tal fatta tendevano a giustificare se stessi e l'esercito tedesco nel complesso presentandosi quali entità puramente professionali, avulse da Hitler, come da ogni ideologia. Le memorie dei cani da guerra di Hitler riflettevano anche buona parte dell'arroganza di casta e l'orgoglio ferito, i quali contribuivano a distorcere ulteriormente il quadro del recente passato. D'altra parte, le memorie di leader politici e militari sovietici generalmente non venivano impiegate come “contradditorio” scolastico e ideologico contro il flusso di letteratura degli ex-hitleriani. Le cronache di guerra pubblicate in URSS furono sottoposte ad una censura così violenta che il più delle volte perdevano ogni valore come fonti di conoscenza storica.

I primi tentativi di accertare in modo più realistico i rispettivi ruoli del fronte orientale e occidentale vennero intrapresi in Occidente passati circa 30 anni dalla fine della guerra. John Erickson, storico britannico, fu tra i primi a muoversi in questa direzione: nei suoi libri “The Road to Stalingrad” [“La strada per Stalingrado” n.d.t.] (1975) e “The Road to Berlin” [“La strada per Berlino” n.d.t.] (1983), rivelò la portata dell'effettivo contributo del fronte orientale per la sconfitta della Germania fascista. Dopo, David M. Glantz, storico militare statunitense, scrisse numerosi testi sulla guerra dal fronte russo. Tra il 1989 e il 2006, diede alle stampe 16 lavori, tra cui “When Titans Clashed: How the Red Army Stopped Hitler” [“Quando i Titani si scontrarono: Come l'Armata Rossa fermò Hitler” n.d.t.].

Centinaia di testi di studiosi anglo-statunitensi si concentrarono su vari aspetti particolari delle operazioni al fronte orientale come il trattamento dei prigionieri di guerra, le pulizie etniche in tempo di guerra, il ruolo dell'NKVD (i servizi segreti dell'URSS), l'economia e le risorse alimentari, ecc... Quelle edizioni non erano fatte per il grande pubblico, sicché per decenni le impressioni delle masse di lettori in Gran Bretagna e USA vennero formate soprattutto dalle memorie lasciate da W. Churchill ed altri uomini di stato occidentali, che presentavano il fronte occidentale come teatro principale della seconda guerra mondiale. Questa tradizionale impostazione ha iniziato a scemare solo di recente. Sotto questo aspetto, “Europe at War 1939-1945: No Simple Victory” [“L'Europa alla guerra dal 1939 al 1945: una vittoria non semplice” n.d.t.] di Norman Davies, uno storico britannico, ha giocato un ruolo decisivo.

Norman Davies è un autore popolare in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, a ragione. Divenne famoso dopo la pubblicazione di “The Isles. A history” [“Le isole. Una storia” n.d.t.] (1999), ampio e accattivante trattato sul passato britannico. I suoi “Europe. A History” [“Europa. Una storia” n.d.t.] (1996) e “Europe at War 1939-1945: No Simple Victory” [“L'Europa alla guerra dal 1939 al 1945: una vittoria non semplice” n.d.t.] (2006) ebbero ugual fortuna. In quest'ultimo libro, Davies condanna in modo chiaro, e con atipica veemenza per uno studioso inglese, il patologico narcisismo degli USA. In particolar modo manifesta una speciale acrimonia contro quegli autori statunitensi che stupidamente continuano a convincere i loro connazionali che furono gli USA a fermare il fascismo e infine a sconfiggere Hitler.

Secondo Norman Davies, sul fronte orientale i combattimenti, che infuriarono per 4 anni, coinvolsero 400 divisioni tedesche e sovietiche; il fronte stesso si estendeva per 1.600 km. Nel frattempo, le offensive sul fronte occidentale coinvolsero 15-20 divisioni al massimo. L'armata tedesca subì l'88% delle perdite sul fronte orientale. Fu l'esercito sovietico a fermare la volontà e la capacità dell'armata tedesca di portare a compimento importanti offensive al fronte nel 1943. La Battaglia di Kursk, questo è il nome che gli storici dovrebbero ricordare! Norman Davies sostiene che il ruolo chiave dell'armata sovietica nella seconda guerra mondiale sarà così palese ai venturi storici che in futuro USA e Gran Bretagna verranno semplicemente accreditate di aver fornito un supporto estremamente importante.

Ciononostante, nel perorare la causa del cruciale contributo offerto dall'Armata Rossa contro il fascismo, N. Davies incappa nel cliché ideologico sullo “scontro dei due totalitarismi”: nella sua visione, il regime più animalesco della storia europea non fu annientato dalle democrazie, ma da un altro brutale regime. In altre parole, un tiranno fu sconfitto da un tiranno.

Pur riconoscendo il decisivo apporto dell'Unione Sovietica per la vittoria durante la seconda guerra mondiale, N. Davies ignora completamente il fatto che il nazismo tedesco, sconfitto dalla Russia storica, e successivamente dalla sua incarnazione USSR, tra il 1941 e il 1945, fu un prodotto incredibilmente aggressivo e inumano della civiltà occidentale. Allo stesso tempo, N. Davies riconosce il ruolo personale di Stalin nella vittoria russa. Geoffrey Roberts, altro storico, concorda con questa visione. Nel suo “Stalin’s Wars. From World War to Cold War, 1939-1953” [“Le guerre di Stalin: dalla guerra mondiale alla guerra fredda, 1939-1953” n.d.t.], scrive che la rinascita dalle ceneri dopo errori così numerosi e la condotta del paese verso la vittoria più grande fu un vero e proprio trionfo, e che il mondo fu salvato per le democrazie da Stalin.

La verità è che il mondo fu salvato dai Russi, non dal genio di Stalin. Stalin stesso lo ammise nel 1945, nel suo brindisi “ai Russi” durante un ricevimento per i comandanti dell'Armata Rossa al Cremlino. Per i Russi, questa guerra sarà sempre grande, patriottica e totale, perchè per noi fu uno scontro mortale contro il male assoluto – il nazismo che venne dall'Ovest.

Aleksander B. Krylov
Fonte: Strategic Culture Foundation (http://en.fondsk.ru/)
World War II: The Decisive Role of the Russian People in defeating Nazi Germany (http://www.globalresearch.ca/index.php?context=viewArticle&code=KRY20070512&articleId=5619)
12.05.2007

Murru
01-05-11, 15:37
Ecco infine un articolo il cui autore non è per niente "stalinista"



Quelle bugie di Krusciov su Stalin

di Giorgio Bocca
Anche per Stalin è arrivata l'ora della riabilitazione: non per i milioni di persone che per suo ordine e capriccio finirono la loro vita nei gulag o davanti a un plotone di esecuzione, ma per la grande diffamazione sui suoi primi giorni di guerra inscenata al XX congresso del Pcus dal suo erede Krusciov e ripresa da tutta la storiografia occidentale e perciò stesso mondiale. La diffamazione di uno Stalin che, in preda al panico, si nasconde nella sua dacia e lascia per dieci giorni la grande Unione Sovietica senza una guida, in mano a pochi gerarchi che non sanno cosa fare e cercano invano di richiamare al Cremlino il loro capo.

E non solo per la fuga nei primi giorni di guerra, ma anche per la mancata preparazione dell'esercito e il rifiuto di considerare imminente l'attacco tedesco, sebbene le provocazioni e la dislocazione delle divisioni naziste fossero evidenti.

Entrambe le accuse, la scomparsa del capo e la sorpresa dell'attacco tedesco, erano, a lume di logica, assai poco credibili, ma facevano comodo a Krusciov che voleva distruggere il mito di Stalin e creare una direzione collettiva del partito e all'anticomunismo universale cui non pareva vero che arrivasse proprio dal Cremlino la smentita della gloria staliniana.

Ora dagli studi degli storici Medvdev, Zores e Roy, raccolti in un volume Feltrinelli, 'Stalin sconosciuto', risulta che le cose non andarono proprio così: è confermato che Stalin era un tiranno feroce, il più grande sterminatore di comunisti della storia. Ma è pienamente smentita la storia dello Stalin impreparato e spaurito che del resto si adattava assai poco al personaggio.

Non è vero, per cominciare, che ignorasse la minaccia nazista e la necessità del riarmo. Nell'aprile del 1941, prima della guerra, Stalin invitò una delegazione militare tedesca a visitare le fabbriche belliche degli Urali e della Siberia perché vedessero la produzione di massa del carro T34, il più efficiente nel mondo, e a Rabinsk dove c'era una fabbrica di aerei da bombardamento con un motore da 1.200 cavalli, il più potente nel mondo, e già migliaia di aerei pronti a entrare in azione.

Una menzogna la impreparazione sovietica e una esagerazione, a guerra finita, l'altra secondo cui la Russia di Stalin aveva vinto la guerra grazie agli aiuti americani arrivati con i convogli a Murmansk, una esagerazione del resto già smentita dall'Armata rossa come si era visto sul campo nella conquista di Berlino.

Stalin impreparato? Per niente: i Medvedev ripropongono il discorso pronunciato il 5 maggio del 1941 di fronte allo stato maggiore dell'Armata rossa in cui accusava la Germania di Hitler di preparare l'invasione dell'Unione Sovietica, ma affermando che essa era pronta a respingere l'attacco. "Il nostro esercito", disse, "è grande e bene equipaggiato, è passato da 120 a 300 divisioni in gran parte meccanizzate e corazzate".

Risulta anche dagli archivi moscoviti che aver tenuto parte dell'esercito in riserva, davanti a Mosca e a Leningrado, faceva parte della strategia generale: aveva lo scopo di obbligare i tedeschi, come infatti avvenne, a dividere le forze nella immensità del territorio.

Lo ha ammesso a guerra finita il maresciallo Zukov: "Il nostro esercito, meno mobile delle forze nemiche, si sarebbe trovato in gravissima difficoltà nel qual caso chi sa quale sarebbe stato l'esito delle battaglie per Mosca, Leningrado e del sud del paese".

E' poi del tutto chiaro che il preteso panico di Stalin, nelle prime ore di guerra, è una diffamazione dell'erede Krusciov, perché dalle carte del Soviet supremo risulta che furono in quelle ore i capi politici e militari ad attribuire a Stalin il comando supremo e la massima assunzione delle responsabilità.

I politici dovrebbero fare più attenzione agli archivi, per evitare che smentiscano le loro bugie.

Quelle bugie di Krusciov su Stalin - l’Espresso (http://espresso.repubblica.it/dettaglio/quelle-bugie-di-krusciov-su-stalin/1289847)

Murru
13-05-11, 14:35
Parata della Vittoria 2011


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Murru
28-06-11, 01:24
Dal libro di Domenico Losurdo , Stalin, Storia e critica di una leggenda nera pagine 23-36


La Grande guerra patriottica e le «invenzioni» di Chruscév

A partire da Stalingrado e dalla disfatta inflitta al Terzo Reich (ad una potenza che pareva invincibile), Stalin aveva acquisito enorme prestigio in tutto il mondo. E, non a caso, su questo punto Chruscév si sofferma in modo particolare. Egli descrive in termini catastrofici l'impreparazione militare dell'Unione Sovietica, il cui esercito, in alcuni casi, sarebbe stato sprovvisto persino dell'armamento più elementare. Direttamente contrapposto è il quadro emergente da uno studio che sembra pervenire dagli ambienti della Bundeswehr e che comunque fa largo uso dei suoi archivi militari. Vi si parla della «molteplice superiorità dell'Armata rossa in carri armati, aerei e pezzi d'artiglieria»; d'altro canto, «la capacità industriale dell'Unione Sovietica aveva raggiunto dimensioni tali da poter procurare alle forze armate sovietiche un armamento pressoché inimmaginabile». Esso cresce a ritmi sempre più serrati man mano che ci si avvicina all'operazione Barbarossa. Un dato è particolarmente eloquente: se nel 1940 l'Unione Sovietica produceva 358 carri armati del tipo più avanzato, nettamente superiori a quelli a disposizione degli altri eserciti, nel primo semestre dell'anno successivo ne produceva 1.503 . A loro volta, i documenti provenienti dagli archivi russi dimostrano che, almeno nei due anni immediatamente precedenti l'aggressione del Terzo Reich, Stalin è letteralmente ossessionato dal problema dell'«incremento quantitativo» e del «miglioramento qualitativo dell'intero apparato militare». Alcuni dati sono di per sé eloquenti: se nel primo piano quinquennale ammontano al 5,4% delle spese statali complessive, nel 1941 gli stanziamenti per la difesa salgono al 43,4%; «nel settembre 1939, su ordine di Stalin il Politbjuro prese la decisione di costruire entro il 1941 nove nuove fabbriche per la produzione di aerei»; al momento dell'invasione hitleriana «l'industria aveva prodotto 2.700 aerei moderni e 4.300 carri armati». A giudicare da questi dati, tutto si può dire, tranne che l'URSS sia giunta impreparata al tragico appuntamento con la guerra.
D'altro canto, già un decennio fa una storica statunitense ha inferto un duro colpo al mito del crollo e della fuga dalle sue responsabilità da parte del dirigente sovietico subito dopo l'inizio dell'invasione nazista: «per quanto scosso, il giorno dell'attacco Stalin indisse una riunione di undici ore con capi di partito, di governo e militari, e nei giorni successivi fece lo stesso». Ma ora abbiamo a disposizione il registro dei visitatori dell'ufficio di Stalin al Cremlino, scoperto agli inizi degli anni novanta: risulta che sin dalle ore immediatamente successive all'aggressione il leader sovietico si impegna in una fittissima rete di incontri e iniziative per organizzare la resistenza. Sono giorni e notti caratterizzati da un'«attività [ ... ] estenuante», ma ordinata. In ogni caso, «l'intero episodio [raccontato da Chruscév] è totalmente inventato», questa «storia è falsa». In realtà sin dagli inizi dell'operazione Barbarossa, Stalin non solo prende le decisioni più impegnative, impartendo disposizioni per lo spostamento della popolazione e degli impianti industriali dalla zona del fronte, ma «controlla tutto in modo minuzioso, dalla grandezza e dalla forma delle baionette sino agli autori e ai titoli degli articoli della "Pravda"». Non c'è traccia né di panico né di isteria. Leggiamo la nota di diario e la testimonianza di Dimitrov: «Alle 7 di mattina mi hanno chiamato con urgenza al Cremlino. La Germania ha attaccato l'URSS. E' iniziata la guerra [ ... ]. Sorprendente calma, fermezza, sicurezza in Stalin e in tutti gli altri». Ancora di più colpisce la chiarezza di idee. Non si tratta solo di procedere alla «mobilitazione generale delle nostre forze». È necessario anche definire il quadro politico. Sì, «solo i comunisti possono vincere i fascisti», ponendo fine all'ascesa apparentemente irresistibile del Terzo Reich, ma non bisogna perdere di vista la reale natura del conflitto: “I partiti [comunisti] sviluppano sul posto un movimento in difesa dell'URSS. Non porre la questione della rivoluzione socialista. Il popolo sovietico combatte una guerra patriottica contro la Germania fascista. Il problema è la disfatta del fascismo, che ha asservito una serie di popoli e tenta di asservire anche altri popoli».
La strategia politica che avrebbe presieduto alla Grande guerra patriottica è ben delineata. Già alcuni mesi prima Stalin aveva sottolineato che, all'espansionismo dispiegato dal Terzo Reich «all'insegna dell'asservimento, della sottomissione degli altri popoli», questi rispondevano con giuste guerre di resistenza e liberazione nazionale. D'altro canto, a coloro che scolasticamente contrapponevano patriottismo e internazionalismo, l'Internazionale comunista aveva provveduto a rispondere ancora una volta già prima dell'aggressione hitleriana, come risulta dalla nota di diario di Dimitrov del 12 maggio 1941:
Bisogna sviluppare l'idea che coniuga un sano nazionalismo, correttamente inteso, con l'internazionalismo proletario. L'internazionalismo proletario deve poggiare su questo nazionalismo nei singoli paesi [... ]. Tra il nazionalismo correttamente inteso e l'internazionalismo proletario non c'è e non può esserci contraddizione. Il cosmopolitismo senza patria, che nega il sentimento nazionale e l'idea di patria, non ha nulla da spartire con l'internazionalismo proletario.
Ben lungi dall'essere una reazione improvvisata e disperata alla situazione venutasi a creare con lo scatenamento dell'operazione Barbarossa, la strategia della Grande guerra patriottica esprimeva un orientamento teorico maturato da tempo e di carattere generale: l'internazionalismo e la causa internazionale dell'emancipazione dei popoli avanzavano con-cretamente sull'onda delle guerre di liberazione nazionale, rese necessarie dalla pretesa di Hitler di riprendere e radicalizzare la tradizione coloniale, assoggettando e schiavizzando in primo luogo le presunte razze servili dell'Europa orientale. Sono i motivi ripresi nei discorsi e nelle di-chiarazioni pronunciati da Stalin nel corso della guerra: essi costituirono «significative pietre miliari nella chiarificazione della strategia militare sovietica e dei suoi obbiettivi politici e giocarono un ruolo importante nel rafforzare il morale popolare»; ed essi assunsero un rilievo anche internazionale, come osservava contrariato Goebbels a proposito dell'appello radio del 3 luglio 1941, che «suscita enorme ammirazione in Inghilterra e negli USA».




Una serie di campagne di disinformazione e l'operazione Barbarossa

Persino sul piano della condotta militare vera e propria il Rapporto segreto ha smarrito ogni credibilità. Secondo Chruscév, incurante degli «avvertimenti» che da più parti gli provenivano circa l'imminenza dell'invasione, Stalin va irresponsabilmente incontro allo sbaraglio. Che dire di questa accusa? Intanto, anche le informazioni provenienti da un paese amico possono risultare errate: ad esempio, il 17 giugno 1942 Franklin Delano Roosevelt mette in guardia Stalin contro un imminente attacco giapponese, che poi non si verifica. Soprattutto, alla vigilia dell'aggressione hitleriana l'URSS è costretta a districarsi tra gigantesche manovre di diversione e di disinformazione. Il Terzo Reich s'impegna massicciamente a far credere che l'ammassamento di truppe a est miri solo a camuffare l'imminente balzo al di là della Manica, e ciò appare tanto più credibile dopo la conquista dell'isola di Creta. «L'intero apparato statale e militare è mobilitato», annota compiaciuto Goebbels sul suo diario (31 maggio 1941), per inscenare la «prima grande ondata mimetizzatrice» dell'operazione Barbarossa. Ecco allora che «14 divisioni sono trasportate a ovest»; per di più, tutte le truppe schierate sul fronte occidentale sono messe in stato di massima allerta. Circa due settimane dopo l'edizione berlinese del "Vólkischer Beobachter" pubblica un articolo che addita l'occupazione di Creta come modello per la progettata resa dei conti con l'Inghilterra: poche ore dopo il giornale è sequestrato al fine di dare l'impressione che sia stato maldestramente tradito un segreto di enorme importanza. Tre giorni dopo (14 giugno) Goebbels annota sul suo diario: «Le radio inglesi dichiarano già che il nostro spiegamento contro la Russia è solo un bluff, dietro il quale cercavamo di nascondere i nostri preparativi per l'invasione [dell'Inghilterra]». A questa campagna di disinformazione se ne aggiungeva da parte della Germania un'altra: venivano fatte circolare voci, secondo cui il dispiegamento militare a est si proponeva di fare pressioni sull'URSS, eventualmente col ricorso ad un ultimatum, perché Stalin accettasse di ridefinire le clausole del patto tedesco-sovietico e si impegnasse ad esportare in maggiore quantità i cereali, il petrolio e il carbone di cui aveva bisogno il Terzo Reich coinvolto in una guerra che non accennava a concludersi. Si mirava cioè a far credere che la crisi fosse solubile con nuove trattative e con qualche concessione supplementare da parte di Mosca. A questa conclusione pervenivano in Gran Bretagna i servizi d'informazione dell'esercito e i vertici militari che ancora il 22 maggio avvertivano il Gabinetto di guerra: «Hitler non ha ancora deciso se perseguire i suoi obbiettivi con la persuasione o con la forza delle armi». Il 14 giugno Goebbels annota soddisfatto sul suo diario: «In generale si crede ancora ad un bluff ovvero a un tentativo di ricatto».
Non bisogna sottovalutare neppure la campagna di disinformazione inscenata sul versante opposto e iniziata già due anni prima: nel novembre 1939, la stampa francese pubblica un fantomatico discorso (pronunciato dinanzi al Politbjuro il 19 agosto di quello stesso anno) in cui Stalin avrebbe esposto un piano per indebolire l'Europa, stimolando al suo interno una guerra fratricida, e poi sovietizzarla. Non ci sono dubbi: si tratta di un falso, che mirava a far saltare il patto di non aggressione tedesco-sovietico e a indirizzare verso est la furia espansionistica del Terzo Reich. Secondo una diffusa leggenda storiografica, alla vigilia dell'aggressione hitleriana, il governo di Londra avrebbe ripetutamente e disinteressatamente messo in guardia Stalin, il quale però, da buon dittatore, si sarebbe fidato solo del suo omologo berlinese. In realtà, se da un lato comunica a Mosca le informazioni relative all'operazione Barbarossa, dall'altro la Gran Bretagna diffonde voci su un imminente attacco dell'URSS contro la Germania o i territori da essa occupati. Evidente e comprensibile è l'interesse a rendere inevitabile o far precipitare il più rapidamente possibile il conflitto tedesco-sovietico.
Interviene poi il misterioso volo in Inghilterra di Rudolf Hess, chiaramente animato dalla speranza di ricostituire l'unità dell'Occidente nella lotta contro il bolscevismo, conferendo così concretezza al programma enunciato dal Mein Kampf di alleanza e solidarietà dei popoli germanici nella loro missione civilizzatrice. Gli agenti sovietici all'estero informano il Cremlino che il numero due del regime nazista ha preso la sua iniziativa in pieno accordo col Führer. D'altro canto, personalità di un certo rilievo del Terzo Reich hanno continuato sino all'ultimo a sostenere la tesi secondo la quale Hess aveva agito su incoraggiamento di Hitler. Questi in ogni caso sente il bisogno di inviare immediatamente a Roma il ministro degli Esteri Joachim von Ribbentrop al fine di fugare in Mussolini qualsiasi sospetto che la Germania stia tramando una pace separata con la Gran Bretagna. Ovviamente, ancora più forte è la preoccupazione da questo colpo di scena suscitata a Mosca, tanto più che ad alimentarla ulteriormente provvede l'atteggiamento del governo britannico: esso non sfrutta la «cattura del vice Führer» al fine di conseguire «il massimo profitto propagandistico, cosa che sia Hitler sia Goebbels si attendevano impauriti»; anzi, l'interrogatorio di Hess – riferisce da Londra a Stalin l'ambasciatore Ivan Majskij – è affidato ad un fautore della politica di appeasement. Mentre lasciano la porta aperta ad un riavvicinamento anglosovietico, i servizi segreti di Sua Maestà si impegnano a diffondere le voci, che ormai dilagano, di un'imminente pace separata tra Londra e Berlino; tutto ciò al fine di accrescere la pressione sull'Unione Sovietica (che forse avrebbe cercato di prevenire la paventata saldatura dell'alleanza tra Gran Bretagna e Terzo Reich con un attacco preventivo dell'Armata rossa contro la Wehrmacht) e di rafforzare comunque la capacità contrattuale dell'Inghilterra .
Ben si comprendono la cautela e la diffidenza del Cremlino: era in agguato il pericolo di una riedizione di Monaco su scala ben più larga e ben più tragica. Si può altresì ipotizzare che la seconda campagna di disinformazione inscenata dal Terzo Reich abbia giocato un ruolo. Stando almeno alla trascrizione rinvenuta negli archivi del partito comunista sovietico, pur dando per scontato il coinvolgimento a breve termine dell'URSS nel conflitto, nel discorso rivolto il 5 maggio 1941 ai licenziandi dell'Accademia militare Stalin sottolineava come storicamente la Germania avesse conseguito la vittoria quando era stata impegnata su un solo fronte, mentre aveva subito la sconfitta allorché era stata costretta a combattere contemporaneamente a est e a ovest. Ecco, Stalin potrebbe aver sottovalutato la sicumera con cui Hitler era pronto ad aggredire l'URSS. D'altro canto, egli ben sapeva che una precipitosa mobilitazione totale avrebbe fornito al Terzo Reich su un piatto d'argento il casus belli, com'era avvenuto allo scoppio della Prima guerra mondiale. C'è comunque un punto fermo: pur muovendosi con circospezione in una situazione assai aggrovigliata, il leader sovietico procede a una «accelerazione dei preparativi di guerra». In effetti, «tra maggio e giugno sono richiamati 800.000 riservisti, a metà maggio 28 divisioni sono dislocate nei distretti occidentali dell'Unione Sovietica», mentre procedo¬no a ritmo serrato i lavori di fortificazione delle frontiere e di camuffamento degli obiettivi militari più sensibili. «Nella notte tra 21 e il 22 giugno questa vasta forza è messa in allarme e chiamata a prepararsi per un attacco di sorpresa da parte dei tedeschi».
Per screditare Stalin, Chruscév insiste sulle spettacolari vittorie iniziali dell'esercito invasore, ma sorvola sulle previsioni a suo tempo formulate in Occidente. Dopo lo smembramento della Cecoslovacchia e l'ingresso a Praga della Wehrmacht, lord Halifax aveva continuato a respingere l'idea di un riavvicinamento dell'Inghilterra all'URSS facendo ricorso a questo argomento: non aveva senso allearsi con un paese le cui forze armate erano «insignificanti». Alla vigilia dell'operazione Barbarossa o al momento del suo scatenamento i servizi segreti britannici avevano calcolato che l'Unione Sovietica sarebbe stata «liquidata in 8-10 settimane»; a loro volta, i consiglieri del segretario di Stato americano (Henry L. Stimson) avevano previsto il 23 giugno che tutto si sarebbe concluso in un periodo di tempo tra uno e tre mesi. Peraltro, la fulminea penetrazione in profondità della Wehrmacht – osserva ai giorni nostri un illustre studioso di storia militare – si spiega agevolmente con la geografia:
[I]L'estensione del fronte – 1.800 miglia – e la scarsità di ostacoli naturali offrivano al¬l'aggressore immensi vantaggi per l'infiltrazione e la manovra. Nonostante le dimensioni colossali dell'Armata rossa, il rapporto tra le sue forze e lo spazio era così sfavorevole che le unità meccanizzate tedesche potevano trovare agevolmente le occasioni di manovre indirette alle spalle del loro avversario. Inoltre, le città largamente distanziate e dove convergevano strade e ferrovie offrivano all'aggressore la possibilità di puntare su obiettivi alternativi, mettendo il nemico nella difficile situazione di dover indovinare la reale direzione di marcia e di dover affrontare un dilemma dopo l'altro.




Il rapido delinearsi del fallimento della guerra-lampo

Non bisogna lasciarsi abbagliare dalle apparenze: a ben guardare, il progetto del Terzo Reich di rinnovare a est il trionfale Blitzkrieg realizzato a ovest comincia a rivelarsi problematico già nelle prime settimane del gigantesco scontro. A tale proposito risultano illuminanti i diari di Joseph Goebbels. All'immediata vigilia dell'aggressione egli sottolinea l'irresistibilità dell'imminente attacco tedesco, «senza dubbio il più poderoso che la storia abbia mai conosciuto»; nessuno potrà seriamente contrastare il «più forte schieramento della storia universale». E dunque: «Siamo dinanzi ad una marcia trionfale senza precedenti. Considero la forza militare dei russi molto bassa, ancora più bassa di quanto la consideri il Fuhrer. Se c'era e se c'è un'azione sicura, è questa». In realtà non è inferiore la sicumera di Hitler, che qualche mese prima con un diplomatico bulgaro così si era espresso a proposito dell'esercito sovietico: è solo una «barzelletta».
Sennonché, sin dall'inizio gli invasori si imbattono, nonostante tutto, in spiacevoli sorprese: «Il 25 giugno, in occasione del primo raid su Mosca, la difesa antiaerea si rivela di una tale efficacia che da quel momento la Luftwaffe è costretta a limitarsi a raids notturni a ranghi ridotti». Bastano dieci giorni di guerra perché comincino a cadere in crisi le certezze della vigilia. Il 2 luglio Goebbels annota nel suo diario: «Nel complesso, si combatte molto duramente e ostinatamente. Non si può in alcun modo parlare di passeggiata. Il regime rosso ha mobilitato il popolo». Gli avvenimenti incalzano e l'umore dei dirigenti nazisti muta in modo radicale, come emerge sempre dal diario di Goebbels.
24 luglio:
Non possiamo nutrire alcun dubbio sul fatto che il regime bolscevico, che esiste da quasi un quarto di secolo, ha lasciato profonde tracce nei popoli dell'Unione Sovietica [ ... ]. Sarebbe dunque giusto mettere con grande chiarezza in evidenza, dinanzi al popolo tedesco, la durezza della lotta che si svolge a est. Bisogna dire alla nazione che questa operazione è molto difficile, ma che possiamo superarla e che la supereremo.
1° agosto:
Nel quartier generale del Führer apertamente si ammette anche che ci si è un po' sbagliati nella valutazione della forza militare sovietica. I bolscevichi rivelano una resistenza maggiore di quella che supponessimo; soprattutto i mezzi materiali a loro disposizione sono maggiori di quanto pensassimo.
19 agosto:
Il Fuhrer è intimamente molto irritato con se stesso per il fatto di essersi lasciato ingannare sino a tal punto sul potenziale dei bolscevichi dai rapporti [degli agenti tedeschi inviati] dall'Unione Sovietica. Soprattutto la sua sottovalutazione dei carri armati e dell'aviazione del nemico ci ha creato molti problemi. Egli ne ha sofferto molto. Si tratta di una grave crisi [...1. Messe a confronto, le campagne condotte sinora erano quasi passeggiate [ ... ]. Per quanto riguarda l'ovest il Führer non ha alcun motivo di preoccupazione [...1. Col rigore e con l'oggettività di noi tedeschi abbiamo sempre sopravvalutato il nemico, con l'eccezione in questo caso dei bolscevichi.
16 settembre:
Abbiamo calcolato il potenziale dei bolscevichi in modo del tutto errato.
Gli studiosi di strategia militare sottolineano le difficoltà impreviste in cui in Unione Sovietica subito si imbatte una macchina da guerra poderosa, sperimentata e circonfusa dal mito dell'invincibilità. E' «particolarmente significativa per l'esito della guerra orientale la battaglia di Smolensk della seconda metà di luglio del 1941 (finora rimasta nella ricerca ampiamente coperta dall'ombra di altri accadimenti)» . L'osservazione è di un illustre storico tedesco, che riporta poi queste eloquenti note di diario stese dal generale Fedor von Bock il 20 e il 26 luglio:
Il nemico vuole riconquistare Smolensk ad ogni costo e vi fa giungere sempre nuove forze. L'ipotesi espressa da qualche parte che il nemico agisca senza un piano non trova riscontro nei fatti [ ... ]. Si constata che i russi hanno portato a termine intorno al fronte da me costruito in avanti un nuovo compatto spiegamento di forze. In molti punti essi tentano di passare all'attacco. Sorprendente per un avversario che ha su¬bito simili colpi; deve possedere una quantità incredibile di materiale, infatti le nostre truppe lamentano ancora adesso il forte effetto dell'artiglieria nemica.
Ancora più inquieto e anzi decisamente pessimista è l'ammiraglio Wilhelm Canaris, dirigente del controspionaggio, che, parlando col generale von Bock il 17 luglio, commenta: «Vedo nero su nero».
Non solo l'esercito sovietico non è allo sbando neppure nei primi giorni e nelle prime settimane dell'attacco e anzi oppone «tenace resistenza», ma esso risulta ben guidato, come rivela fra l'altro la «risolutezza di Stalin di arrestare l'avanzata tedesca nel punto per lui determinante». I risultati di questa accorta guida militare si rivelano anche sul piano diplomatico: è proprio perché «impressionato dall'ostinato scontro nell'area di Smolensk» che il Giappone, lì presente con osservatori, decide di respingere la richiesta del Terzo Reich di partecipazione alla guerra contro l'Unione Sovietica. L'analisi dello storico tedesco fieramente anticomunista è confermata in pieno da studiosi russi sull'onda del Rapporto Chruscév distintisi quali campioni della lotta contro lo "stalinismo": «I piani del Blitzkrieg [tedesco] erano già naufragati alla metà di luglio». In questo contesto non appare formale l'omaggio che il 14 agosto 1941 Churchill e F. D. Roosevelt rendono alla «splendida difesa» dell'esercito sovietico. Anche al di fuori dei circoli diplomatici e governativi, in Gran Bretagna – ci informa una nota di diario di Beatrice Webb – cittadini ordinari e persino di orientamento conservatore mostrano «vivo interesse per il coraggio e per l'iniziativa sorprendenti e per il magnifico equipaggiamento delle forze dell'Armata rossa, per l'unico Stato sovrano in grado di contrastare la potenza pressoché mitica della Germania di Hitler». Nella stessa Germania, già tre settimane dopo l'inizio dell'operazione Barbarossa, cominciano a circolare voci che mettono radicalmente in dubbio la versione trionfalistica del regime. È quello che emerge dal diario di un eminente intellettuale tedesco di origine ebraica: a quanto pare, ad est «subiremmo perdite immense, avremmo sottovalutato la forza di resistenza dei russi», i quali «sarebbero inesauribili in uomini e materiale bellico».
A lungo letta come espressione di insipienza politico-militare o addirittura di cieca fiducia nei confronti del Terzo Reich, la condotta estremamente cauta di Stalin nelle settimane che precedono lo scoppio delle ostilità appare ora in una luce del tutto diversa: «II concentramento delle forze della Wehrmacht lungo il confine con l'URSS, la violazione dello spazio aereo sovietico e numerose altre provocazioni avevano un unico scopo: attirare il grosso dell'Armata rossa il più vicino possibile al confine. Hitler intendeva vincere la guerra in una singola gigantesca battaglia». A sentirsi attratti dalla trappola sono persino valorosi generali che, in previsione dell'irruzione del nemico, premono per un massiccio spostamento di truppe alla frontiera: «Stalin respinse categoricamente la richiesta, insistendo sulla necessità di mantenere riserve di vasta scala a
considerevole distanza dalla linea del fronte». Più tardi, avendo preso visione dei piani strategici degli ideatori dell'operazione Barbarossa, il maresciallo Georgij K. Zukov ha riconosciuto la saggezza della linea adottata da Stalin: «Il comando di Hitler contava su uno spostamento del grosso delle nostre forze al confine con l'intenzione di circondarlo e distruggerlo».
In effetti, nei mesi che precedono l'invasione dell'URSS, discutendo coi suoi generali, il Führer osserva: «Problema dello spazio russo. L'ampiezza infinita dello spazio rende necessaria la concentrazione in punti decisivi». Più tardi, ad operazione Barbarossa già iniziata, in una conversazione egli chiarisce ulteriormente il suo pensiero: «Nella storia mondiale ci sono state sinora solo tre battaglie di annientamento: Canne, Sedan e Tannenberg. Possiamo essere orgogliosi per il fatto che due di esse sono state vittoriosamente combattute da eserciti tedeschi». Sennonché, per la Germania si rivela sempre più elusiva la terza e più grandiosa battaglia decisiva di accerchiamento e annientamento agognata da Hitler, il quale una settimana dopo è costretto a riconoscere che l'operazione Barbarossa aveva seriamente sottovalutato il nemico: «la preparazione bellica dei russi dev'essere considerata fantastica». Trasparente è qui il desiderio del giocatore d'azzardo di giustificare il fallimento delle sue previsioni. E, tuttavia, a conclusioni non dissimili giunge lo studioso inglese di strategia militare già citato: il motivo della disfatta dei francesi risiede «non nella quantità o qualità del loro materiale bensì nella loro dottrina militare»; per di più, agisce rovinosamente lo schieramento troppo avanzato dell'esercito, che «compromette gravemente la sua duttilità strategica»; un errore simile era stato commesso anche dalla Polonia, favorito «dalla fierezza nazionale e dalla fiducia eccessiva dei militari». Nulla di tutto ciò si verifica in Unione Sovietica.
Più importante delle singole battaglie è il quadro d'assieme: «II sistema staliniano riuscì a mobilitare l'immensa maggioranza della popolazione e la quasi totalità delle risorse»; in particolare, «straordinaria» fu la «capacità dei sovietici», in una situazione così difficile come quella venutasi a creare nei primi mesi di guerra, «di evacuare e poi di riconvertire per la produzione militare un numero considerevole di industrie». Sì, «messo in piedi due giorni dopo l'invasione tedesca, il Comitato per l'evacuazione riuscì a spostare a est 1.500 grandi imprese indu¬striali, al termine di operazioni titaniche di una grande complessità logistica». Peraltro, questo processo di dislocazione era già iniziato nelle settimane o nei mesi che precedono l'aggressione hitleriana, a conferma ulteriore del carattere fantasioso dell'accusa lanciata da Chruscév.
C'è di più. Il gruppo dirigente sovietico aveva in qualche modo intuito le modalità della guerra, che si andava profilando all'orizzonte, già al momento in cui aveva promosso l'industrializzazione del paese: con una radicale svolta rispetto alla situazione precedente, esso aveva identificato «un punto focale nella Russia asiatica», lontano e al riparo dai presumibili aggressori. In effetti, su ciò Stalin aveva insistito ripetutamente e vigorosamente. 31 gennaio 1931: s'imponeva la «creazione di un'industria nuova e ben attrezzata negli Urali, in Siberia, nel Kazachastan». Pochi anni dopo, il Rapporto pronunciato il 26 gennaio 1934 al XVII Congresso del Pcus aveva richiamato compiaciuto l'attenzione sul poderoso sviluppo industriale che nel frattempo si era verificato «in Asia centrale, nel Kazachastan, nelle Repubbliche dei Buriati, dei Tatari e dei Baschiri, negli Urali, nella Siberia orientale e occidentale, nell'Estremo Oriente ecc.». Le implicazioni di tutto ciò non erano sfuggite a Trockij che qualche anno dopo, nell'analizzare i pericoli di guerra e il grado di preparazione dell'Unione Sovietica e nel sottolineare i risultati conseguiti dall'«economia pianificata» in ambito «militare», aveva osservato: «L'industrializzazione delle regioni remote, principalmente della Siberia, conferisce alle distese delle steppe e delle foreste un'importanza nuova». Solo ora i grandi spazi assumevano tutto il loro valore e rendevano più problematica che mai la guerra-lampo tradizionalmente agognata e preparata dallo stato maggiore tedesco.
È proprio sul terreno dell'apparato industriale edificato in previsione della guerra che il Terzo Reich è costretto a registrare le sorprese più amare, come emerge da due commenti di Hitler. 29 novembre 1941: «Com'è possibile che un popolo così primitivo possa raggiungere simili traguardi tecnici in così poco tempo?». 26 agosto 1942: «Per quanto riguarda la Russia, è incontestabile che Stalin ha elevato il tenore di vita. Il popolo russo non soffriva la fame [al momento dello scatenamento dell'operazione Barbarossa]. Nel complesso occorre riconoscere: sono state costruite officine dell'importanza delle Hermann Goering Werke là dove fino a due anni fa non esistevano che villaggi sconosciuti. Troviamo linee ferroviarie che non sono indicate sulle carte».
A questo punto conviene dare la parola a tre studiosi fra loro assai diversi (l'uno russo e gli altri due occidentali). Il primo, che ha a suo tempo diretto l'Istituto sovietico di storia militare e che ha condiviso l'antistalinismo militante degli anni di Gorbacev, sembra ispirato dall'intenzione di riprendere e radicalizzare la requisitoria del Rapporto Chruscév. E, tuttavia, dai risultati stessi della sua ricerca egli si sente costretto a formulare un giudizio assai più sfumato: senza essere uno specialista e tanto meno il genio dipinto dalla propaganda ufficiale, già negli anni che precedono lo scoppio della guerra Stalin si occupa intensamente dei problemi della difesa, dell'industria della difesa e dell'economia di guerra nel suo complesso. Sì, sul piano strettamente militare, solo attraverso tentativi ed errori anche gravi e «grazie alla dura prassi della quotidiana vita militare», egli «apprende gradualmente i principi della strategia» In altri campi, però, il suo pensiero si rivela «più sviluppato di quello di molti leader militari sovietici». Grazie anche alla lunga pratica di gestione del potere politico, Stalin non perde mai di vista il ruolo centrale dell'economia di guerra, e contribuisce a rafforzare la resistenza dell'URSS col trasferimento verso l'interno delle industrie belliche: «è pressoché impossibile sopravvalutare l'importanza di questa impresa». Grande attenzione il leader sovietico presta infine alla dimensione politico-morale della guerra. In questo campo egli «aveva idee del tutto fuori del comune», come dimostra la decisione «coraggiosa e lungimirante», presa nonostante lo scetticismo dei suoi collaboratori, di effettuare la parata militare di celebrazione dell'anniversario della Rivoluzione d'ottobre il 7 novembre 1941, in una Mosca assediata e incalzata dal nemico nazista. In sintesi, si può dire che rispetto ai militari di carriera e alla cerchia dei suoi collaboratori in generale, «Stalin mostra un pensiero più universale». Ed è un pensiero – si può aggiungere – che non trascura neppure gli aspetti più minuti della vita e del morale dei soldati: informato del fatto che essi erano rimasti senza sigarette, grazie anche alla sua capacità di disbrigare «un enorme carico di lavoro», «nel momento cruciale della battaglia di Stalingrado, egli [Stalin] trovò il tempo di chiamare al telefono Akaki Mgeladze, capo del partito dell'Abhasia, la regione di coltivazione del tabacco: “I nostri soldati non hanno più la possibilità di fumare! Senza sigarette il fronte non regge! "».
Nell'apprezzamento positivo di Stalin quale leader militare ancora oltre si spingono due autori occidentali. Se Chruscév insiste sui travolgenti successi iniziali della Wehrmacht, il primo dei due studiosi cui qui faccio riferimento esprime questo medesimo dato di fatto con un linguaggio assai diverso: non è stupefacente che «la più grande invasione nella storia militare» abbia conseguito iniziali successi; la riscossa dell'Armata rossa dopo i colpi devastanti dell'invasione tedesca nel giugno 1941 fu «la più grande impresa d'armi che il mondo avesse mai visto». Il secondo studioso, docente in un'accademia militare statunitense, a partire dalla comprensione del conflitto nella prospettiva della lunga durata e dall'attenzione riservata alle retrovie come al fronte e alla dimensione economica e politica come a quella più propriamente militare della guerra, parla di Stalin come di un «grande stratega», anzi come del «primo vero stratega del ventesimo secolo». È un giudizio complessivo che trova pienamente consenziente anche l'altro studioso occidentale qui citato, la cui tesi di fondo, sintetizzata nel risvolto di copertina, individua in Stalin il «più grande leader militare del ventesimo secolo». Si possono ovviamente discutere o sfumare questi giudizi così lusinghieri; resta il fatto che, almeno per quanto riguarda il tema della guerra, il quadro tracciato da Chruscév ha perso qualsiasi credibilità.
Tanto più che, al momento della prova, l'URSS si rivela assai preparata anche da un altro essenziale punto di vista. Ridiamo la parola a Goebbels che, nello spiegare le impreviste difficoltà dell'operazione Barbarossa, oltre che al potenziale bellico del nemico, rinvia anche ad un altro fattore:
Ai nostri uomini di fiducia e alle nostre spie era pressocché impossibile di penetrare all'interno dell'Unione Sovietica. Essi non potevano acquisire un quadro preciso. I bolscevichi si sono direttamente impegnati a trarci in inganno. Di tutta una serie di armi da loro possedute, soprattutto di armi pesanti, non abbiamo avuto alcuna idea. Esattamente il contrario di quello che si è verificato in Francia, dove sapevamo in pratica tutto e non potevamo in alcun modo esser sorpresi.

deepak
09-01-15, 01:33
La grande vittoria dei popoli sovietici sul nazifascismo

Il 22 giugno 1941 iniziava l’attacco della Germania nazista all’ Unione Sovietica

di Aldo Calcidese

“Unione Sovietica, se insieme raccogliessimo
tutto il sangue che hai versato nella lotta,
tutto quello che hai dato, come una madre, al mondo
perché la libertà agonizzante riavesse vita,
un nuovo oceano noi avremmo,
di tutti il più grande,
di tutti il più profondo.”
(Pablo Neruda – Canto generale – ed. Accademia, secondo volume, pag.125)

Alle 3,30 del 22 giugno, l’esercito tedesco iniziava l’attacco al territorio sovietico.

Dopo i primi successi, l’euforia dei capi nazisti era tale che il generale Halder scrisse nel suo diario. “Non è esagerato dire che il 'Feldzug' contro la Russia è stato vinto in 14 giorni”.

Ma in realtà già dal mese di luglio si era visto che l’esercito sovietico, malgrado le gravi perdite in uomini e materiali, aveva mostrato una resistenza sempre crescente, tanto che il generale Blummentritt scrisse a questo proposito: “Il comportamento delle truppe russe già in questa prima battaglia (per la presa di Minsk) è stato ben diverso da quello dei polacchi e degli Alleati occidentali da noi messi in rotta. Anche se circondati, i russi resistevano e combattevano”. Arriveranno presto, per i tedeschi, le prime sconfitte militari.

In occidente, si esprimeva grande sorpresa per la capacità di resistenza dell’URSS.

“Per la prima volta, i tedeschi sono stati affrontati da un esercito addestrato non per la guerra del 1918, ma per la guerra del 1941”, scriveva George Fielding Eliot il 29 luglio 1941. Ed aggiungeva che l’URSS usava “posizioni difensive di grande profondità, saldamente tenute ovunque, camuffamenti di notevole abilità a protezione dell’artiglieria russa dagli attacchi aerei, unità mobili di contrattacco contro le colonne dei panzer tedeschi ed un’aviazione che sostiene completamente le truppe a terra”.

Il 30 settembre, i nazisti iniziavano l’offensiva che aveva come obiettivo l’occupazione di Mosca. Mosca fu bombardata dall’aviazione tedesca, una parte dell’amministrazione fu evacuata. Ma Stalin decise di rimanere a Mosca e di organizzare la tradizionale parata militare del 7 novembre sulla Piazza Rossa. Questo fu un segnale di grande significato per tutto il popolo, la dimostrazione che la direzione del partito e dello stato sovietico credevano nella vittoria. Stalin pronunciò un discorso che venne diffuso in tutto il paese:

“Il nemico è alle porte di Leningrado e di Mosca. Contava sul fatto che al primo colpo il nostro esercito si sarebbe disperso e il nostro paese si sarebbe messo in ginocchio. Ma il nemico si è dolorosamente sbagliato. Il nostro paese, tutto il nostro paese ha formato un unico campo militare per assicurare, d’intesa col nostro esercito e con la nostra flotta, la sconfitta degli invasori tedeschi…Si può dubitare che noi possiamo e dobbiamo vincere gli invasori tedeschi? Il nemico non è così forte come lo rappresentano certi intellettuali impauriti. Il diavolo non è poi così nero come lo si dipinge…Compagni soldati e marinai rossi, comandanti e lavoratori politici, partigiani e partigiane! Il mondo intero vede in voi una forza capace di annientare le orde di invasione dei banditi tedeschi. I popoli asserviti dell’Europa, caduti sotto il giogo tedesco, vi guardano come loro liberatori.
Una grande missione liberatrice vi è trasmessa. Siate dunque degni di questa grande missione. Che la bandiera vittoriosa del grande Lenin vi raduni sotto le sue pieghe.”
(Stalin, Oeuvres, tomo XVI, ed. NBE, 1975, p.38)

Il 25 novembre, alcune unità tedesche penetrarono nella periferia sud di Mosca. Ma il 5 dicembre l’attacco venne contenuto.

Dopo avere consultato tutti i comandanti, Stalin decise una grande controffensiva.

Il 6 dicembre il generale Zukov passò all’attacco, lanciando sette armate e due corpi di cavalleria, cento divisioni in tutto, con soldati ben equipaggiati e addestrati a combattere a temperature bassissime e con la neve alta.

Il colpo sferrato da Zukov con un imponente schieramento di truppe, artiglieria, carri armati, cavalleria e aviazione – schieramento di cui i capi nazisti non erano assolutamente a conoscenza – fu talmente sconvolgente che l’esercito tedesco, battuto e in ritirata, fu sul punto di disintegrarsi completamente.

“Il mito dell’invincibilità dell’esercito tedesco era stato infranto”, scriverà poi il generale Halder. I nazisti dovettero fare i conti anche con qualcosa che non avevano ancora sperimentato, se non episodicamente: la lotta partigiana. Il movimento partigiano assunse fin dall’inizio della guerra una grande ampiezza. Gli stessi occupanti riconobbero il legame indissolubile esistente tra i partigiani sovietici e il popolo.

“I reparti partigiani – scrisse l’ex ufficiale hitleriano Middweldorf – trovavano dappertutto un appoggio nascosto o persino palese presso la popolazione civile.”

Dimensioni particolarmente rilevanti raggiunse l’attività sabotatrice nelle regioni della steppa dell’Ucraina. Minatori ed operai metallurgici del Donbass riuscirono a sabotare il lavoro con tale maestria che i tedeschi non riuscirono ad ottenere nel Donbass né una regolare estrazione di carbone né una regolare produzione di metallo. Furono costretti a trasportare il carbone in Ucraina dall’Europa occidentale.


In attesa del “secondo fronte”

La nuova situazione sul fronte sovietico-tedesco, mutata a favore dell’URSS, creava le premesse per una disfatta della Germania nazista. Era però indispensabile che l’offensiva dell’Esercito Rosso venisse sostenuta dalle truppe alleate con un’azione contro la Germania che partisse da occidente.

Il governo sovietico nell’autunno del 1941 rivolse al governo inglese la richiesta di aprire un secondo fronte in Europa. Nel suo messaggio di risposta, Churchill dichiarò che non vi era alcuna possibilità di aprire il secondo fronte perché l’Inghilterra non disponeva delle truppe e degli armamenti necessari.

In realtà, l’Inghilterra si trovava in stato di guerra con la Germania dal 1939. Le sue riserve erano tanto più consistenti in quanto in due anni il comando inglese non aveva intrapreso alcuna grande offensiva. Come viene detto da Churchill nelle sue Memorie, all’inizio di settembre del 1941 nelle isole britanniche c’erano più di due milioni di soldati più 1.500.000 uomini che facevano parte delle formazioni territoriali di difesa. Nell’autunno del 1941 33 divisioni erano già mobilitate e comprendevano numerose unità di rinforzo. La produzione dell’industria bellica inglese era notevole. Per alcuni tipi di armamenti, a cominciare dagli aeroplani, superava quella tedesca. La marina militare della Gran Bretagna aveva grandi possibilità di intervento. Molti statisti inglesi riconoscevano questa situazione.

Lord Beaverbrook, tornato nell’ottobre del 1941 da Mosca, scrisse:

“E’ assurdo affermare che noi non possiamo fare nulla per la Russia.
Lo possiamo, se ci decidiamo a sacrificare i progetti a lunga scadenza e una concezione bellica che, pur continuando ad essere accarezzata, è definitivamente invecchiata.”

Anche il capo di Stato maggiore statunitense Marshall riconobbe che gli Stati Uniti erano in grado di aprire il secondo fronte.

“Per essere sinceri, va detto che disponiamo di truppe bene addestrate, di scorte di armamenti, di una buona aviazione e di divisioni corazzate”.

Ma perché gli anglo-americani non vollero aprire il secondo fronte in Europa né nel 1942 né nel 1943? Lo spiega molto bene Klement Gottwald, che fu prima segretario del Partito Comunista Cecoslovacco e poi presidente della Repubblica:

“E quando l’Unione Sovietica e le potenze occidentali combattevano ormai insieme contro la Germania hitleriana finirono forse, almeno allora, gli intrighi antisovietici? Non finirono neppure allora! E’ a tutti nota la storia del cosiddetto secondo fronte. L’Unione Sovietica sanguinava da innumerevoli ferite; essa impegnava e incatenava la grande maggioranza delle forze armate tedesche, dando all’Inghilterra e agli Stati Uniti la possibilità di prepararsi seriamente all’ulteriore condotta della guerra.

E quando questa preparazione fu, secondo ogni umana previsione, ultimata, l’Unione Sovietica chiese che venisse aperto il secondo fronte in occidente.

Gli argomenti dell’Unione Sovietica e la voce dei popoli di tutti i paesi furono così forti che gli esponenti dei paesi occidentali si impegnarono ad aprire a occidente il secondo fronte entro un certo termine. Si impegnarono una prima volta e non fecero niente. Si impegnarono una seconda volta e ancora non fecero niente. Solo più tardi, quando l’ulteriore inattività non era ormai più tollerabile, organizzarono il “secondo fronte” nell’Africa settentrionale e in Italia, un “secondo fronte” che non stornò dal fronte sovietico-tedesco neanche una divisione germanica. Perché i signori occidentali organizzarono un surrogato di secondo fronte nell’Africa settentrionale?

Dal sud essi speravano di poter arrivare ai Balcani e all’Europa centrale prima dell’esercito sovietico e di assicurare in questo modo queste regioni al capitalismo.

Comunque gli strateghi di Churchill erano certi che alla fine della seconda guerra mondiale avrebbero incontrato al tavolo delle trattative una Unione Sovietica dissanguata, indebolita, impotente. In secondo luogo si aspettavano che i paesi liberati dall’Unione Sovietica sarebbero tornati al capitalismo e nelle braccia degli imperialisti. Non avvenne né la prima né la seconda cosa. Solo chi sia irrimediabilmente ottuso può pensare sul serio che queste nazioni, che nel corso di una sola generazione avevano subito due bagni d sangue, potessero auspicare un puro e semplice ritorno alla situazione d’anteguerra. Potevano auspicare ciò tanto meno in quanto negli anni precedenti alla guerra e in quelli della guerra avevano visto chiaramente l’infamia, la doppiezza e l’incapacità delle classi prima dominanti e in quanto erano stati anche traditi dagli imperialisti occidentali.”

(Klement Gottwald, La Cecoslovacchia verso il socialismo, edizioni Rinascita, Roma, 1952, pp.299-301)

Non solo. Gli imperialisti anglo-americani volevano approfittare della situazione esistente nel fronte sovietico-tedesco per creare basi militari nei principali centri economici e strategici dell’URSS.

Churchill inviò una nota al Comando congiunto anglo-americano, nella quale chiedeva che non si facesse sfuggire l’occasione per un’invasione del Caucaso. Soltanto una cosa lo preoccupava: che fare di questi piani se l’offensiva tedesca del 1942 dovesse fallire.

(W.Churchill, The Second World War, vol.4, p. 514)



Stalingrado e la vittoria dell’Armata Rossa

Tutto il peso della guerra contro il nazifascismo in Europa rimane così sulle spalle dell’Unione Sovietica, almeno fino al giugno del 1944 quando, spaventati dalla travolgente avanzata dell’Armata Rossa verso Berlino, gli anglo-americani si decidono a sbarcare in Normandia.

La svolta della guerra avviene a Stalingrado.

“I tedeschi effettuano 1500-2000 incursioni al giorno, scaricando sulla città quotidianamente dalle 6 alle 8 mila bombe. Gli infami assassini hanno distrutto, incendiato interi quartieri, hanno messo fuori servizio decine di aziende. Ma la città continua a vivere, lavorare e combattere. Martoriata, carbonizzata ma irremovibile, resiste all’assalto del nemico ed infligge agli hitleriani colpi mortali, dissanguando l’armata tedesca. La fama della sua fermezza e della sua tenacia nella lotta contro il nemico si è diffusa in tutto il paese e in tutto il mondo. I combattenti di Stalingrado hanno già eliminato più di 175.000 tedeschi occupanti…Tutto il paese è accorso in aiuto di Stalingrado. Lotteremo per la nostra città sino all’ultima goccia di sangue.”
(dal comunicato del Comitato regionale del Partito Comunista bolscevico dell’URSS sulla situazione di Stalingrado)

E giunse il momento di passare da un’eroica resistenza a una potente controffensiva, una controffensiva devastante per l’aggressore nazista.
Le unità corazzate sovietiche erano riuscite a realizzare l’accerchiamento delle forze nemiche presso Stalingrado.
Nella morsa gigantesca vennero a trovarsi più di 300.000 uomini.
Il 31 gennaio 1943 il grosso delle truppe tedesche aveva cessato la resistenza. Il generale Von Paulus alfine non potè che accettare l’ultima proposta di resa dei sovietici, dopo avere respinto le due precedenti.

Dopo la guerra, in opere storiche pubblicate nell’ Europa occidentale e negli Stati Uniti, si è cercato di sminuire l’importanza della battaglia di Stalingrado. Anche il generale Marshall, ex-capo di Stato maggiore dell’esercito degli Stati Uniti, in un rapporto al presidente Roosevelt, scrisse: “ la crisi della guerra è iniziata a Stalingrado e a El Alamein.” Questa affermazione non è corretta, dal momento che sul fronte sovietico-tedesco i nazifascisti avevano, nell’autunno del 1942, 226 divisioni, mentre nell’Africa settentrionale avevano – al momento della battaglia di El Alamein – solo dodici divisioni, di cui otto italiane. Dopo Stalingrado, l’Armata Rossa assume la direzione delle operazioni militari fino a varcare, nel 1945, le frontiere della Germania.

Va ricordato che i dirigenti nazisti erano al corrente dei piani antisovietici dei governanti anglo-americani e si adoperarono per aiutarli. Infatti il comando tedesco a un certo punto cessò la resistenza ad ovest ed aprì il fronte perché potessero avanzare le truppe angloamericane.

L’ammiraglio nazista Donitz, che successe a Hitler dopo il suicidio del dittatore nazista, dichiarò a un gruppo di ufficiali tedeschi: “Dobbiamo marciare a fianco delle potenze occidentali e cooperare con esse nei territori occupati dell’ovest, perché solo in collaborazione con esse potremo in futuro strappare terra ai russi.”
(The Times, 17.8.1948)

Il governo sovietico rifiutò di accettare la legittimità di un accordo che si era realizzato a Reims, e che prevedeva la resa delle armate naziste agli eserciti angloamericani. L’Unione Sovietica esigette che l’atto di capitolazione si firmasse a Berlino. I governi degli Stati Uniti e della Gran Bretagna furono costretti ad accettare questa richiesta.

Quale fu il segreto della grande vittoria dei popoli sovietici sul nazifascismo?

Indubbiamente, il tanto criticato patto Molotov-Ribbentrop concesse all’Unione Sovietica due anni di tempo prezioso per prepararsi alla guerra contro la Germania e questo tempo fu sfruttato molto bene se è vero quello che scrive il maresciallo Zukov nelle sue Memorie:

“Le consegne militari effettuate tra il 1° gennaio 1939 e il 22 giugno 1941 erano enormi. L’artiglieria ricevette 92.578 pezzi. Nuovi mortai da 82 e 120 millimetri furono introdotti poco prima della guerra. La Forza Aerea ricevette 17.745 aerei da combattimento, di cui 3.719 nuovi modelli. Le misure prese dal 1939 al 1941 hanno creato le condizioni richieste per ottenere rapidamente la superiorità qualitativa e quantitativa.”
(Jukov, Memoires, tomo II, Ed. Fayard, Paris, 1970, p. 296)

Sui motivi che resero possibile la vittoria sul nazifascismo, Zukov aggiunge:

“Un’industria sviluppata, un’agricoltura collettivizzata, l’istruzione pubblica estesa a tutta la popolazione, l’unità della nazione, la potenza dello Stato socialista, il livello elevato di patriottismo del popolo, la direzione che, attraverso il Partito, era pronta a realizzare l’unità tra il fronte e le retrovie, tutto questo insieme di fattori fu la causa prima della grande vittoria che doveva coronare la nostra lotta contro il fascismo. Il solo fatto che l’industria sovietica avesse potuto produrre una quantità colossale di armamenti…prova che le basi dell’economia, dal punto di vista militare, erano state poste nel modo dovuto e che erano solide…In tutto ciò che era essenziale e fondamentale, il Partito e il popolo hanno saputo preparare la difesa della patria.”
(Jukov, op. cit. pp. 335-337)



Il ruolo di Stalin

Diversi esponenti della borghesia, anche della borghesia reazionaria come Winston Churchill, hanno riconosciuto le grandi capacità militari di Stalin come Comandante in capo dell’ Armata Rossa. Churchill, pur essendo un anticomunista e un nemico dichiarato dell’Unione Sovietica, parlando di Stalin disse:

“ Rispetto questo grande ed eccellente uomo…Assai pochi erano nel mondo coloro che potevano comprendere, in così pochi minuti, le questioni con le quali ci arrabattavamo da mesi. Egli aveva afferrato tutto in un lampo” (citato da Enver Hoxha nell’articolo “ Nel centenario della nascita di Giuseppe Stalin” del 1979)

Solo un gruppetto di revisionisti ha tentato di realizzare una ”missione impossibile”: quella di separare il nome di Stalin dalla grande epopea dei popoli sovietici , cercando di dimostrare che i successi furono realizzati senza la partecipazione di Stalin o addirittura “malgrado i gravi errori” di Stalin.

Nikita Chruscev inventò la favola secondo cui – dopo l’aggressione nazista – Stalin sarebbe “scomparso” per tre settimane, lasciando il Partito e l’esercito senza direttive.

Nelle sue Memorie, il maresciallo Zukov lo smentisce ricordando che Stalin, appena informato dell’attacco tedesco, gli ordinò di convocare l’Ufficio Politico per le 4,30. Nella stessa giornata del 22, Stalin prese decisioni di notevole importanza.

“Verso le 13 del 22 giugno Stalin mi chiamò: i nostri comandanti di fronte non hanno esperienza sufficiente per dirigere operazioni militari, in molti sono palesemente disorientati. L’Ufficio Politico ha deciso di inviarvi sul fronte Sud-Ovest in qualità di rappresentante della Stavka (Quartier Generale). Sul fronte Ovest invieremo il maresciallo Saposnikov e il maresciallo Kulik.”
Dopo il 22 giugno 1941 e per tutta la durata della guerra, Giuseppe Stalin assicurò la ferma direzione del paese, della guerra e delle nostre relazioni internazionali.”
(Jukov, op. cit. pp.354, 395, 396)

Nikita Chruscev ha affermato anche:

“Il potere accumulato nelle mani di un solo uomo, Stalin, comportò delle gravi conseguenze nella grande guerra patriottica. Stalin agisce per tutti, non conta su nessuno, non chiede il parere a nessuno”

Il generale d’armata Stemenko, che lavorò presso lo Stato maggiore generale, afferma:

“Devo dire che Stalin non decideva e nemmeno amava decidere da solo sulle questioni importanti della guerra. Capiva perfettamente la necessità del lavoro collettivo in questo campo così complesso, riconosceva le persone autorevoli nell’uno o nell’altro problema militare, teneva conto della loro opinione e riconosceva a ciascuno la sua competenza.”
(Chtèmenko, L’Etat Major general soviètique en guerre, Ed. du Progrès, Moscou, 1978, tomo II, p.319)

Vasilevskij, che fu aiutante di Zukov e, successivamente, egli stesso capo di Stato maggiore e lavorò con Stalin per tutta la durata della guerra, scrive:

“Per la preparazione dell’una o dell’altra decisione di ordine operativo o per l’esame di altri problemi importanti, Stalin faceva venire delle personalità responsabili che avevano un rapporto diretto con la questione esaminata…Questo lavoro spesso impegnava diversi giorni, durante i quali Stalin aveva degli incontri con i comandanti e i membri dei consigli militari dei fronti…L’Ufficio Politico, la Direzione delle Forze Armate si appoggiavano sempre sulla ragione collettiva. Ecco perché le decisioni strategiche prese dal comando supremo ed elaborate collettivamente rispondevano sempre, in generale, alla situazione concreta al fronte.”
(Vassilevski, La cause de toute une vie, Ed. du Progrès, Moscou, 1975, pp.34-36)

E il maresciallo Zukov ricorda:

“Il lavoro della Stavka si metteva in pratica, di regola, sotto il segno dell’organizzazione, della calma. Ognuno poteva esprimere la propria opinione. Giuseppe Stalin si rivolgeva a tutti nello stesso modo, con un tono severo e abbastanza ufficiale. Quando gli si faceva un rapporto con piena cognizione di causa, sapeva ascoltare. Occorre dire, cosa di cui mi sono convinto durante i lunghi anni della guerra, che Giuseppe Stalin non era affatto un uomo a cui non si poteva parlare dei problemi difficili, con cui non si poteva discutere e perfino difendere energicamente il proprio punto di vista. Se alcuni affermano il contrario, direi semplicemente che le loro asserzioni sono false.”
(Jukov, op.cit., p.415)

Tutte le menzogne di Chruscev servivano in realtà a giustificare la svolta di 180 gradi che i revisionisti intendevano imporre alla politica sovietica.

Una cosa però è certa: mentre oggi i nomi di Chruscev, di Mikojan e degli altri revisionisti che organizzarono il colpo di stato del 1956 promuovendo la cosiddetta destalinizzazione sono ormai finiti nella spazzatura della storia, e nessuno si ricorda più di loro, il nome di Stalin rimane e rimarrà sempre indissolubilmente legato ai grandi successi dell’edificazione socialista in URSS e alla grande vittoria dell’Armata Rossa e dei popoli sovietici sul nazifascismo.


La grande vittoria dei popoli sovietici sul nazifascismo (http://www.resistenze.org/sito/te/cu/st/custab25-006344.htm)


La parte in corsivo è certamente quella che preferisco, lo ammetto.