PDA

Visualizza Versione Completa : L'imperialismo della scienza economica



Tambourine
12-10-08, 18:05
L'imperialismo della scienza economica

Nel 2000, Edward P. Lazear, noto economista americano e consigliere economico del presidente Bush, pubblicò sul "Quarterly Journal of Economics ", una delle più importanti riviste al mondo nella disciplina, l'articolo Economic lmperialism che esordiva affermando che negli ultimi quarantenni «la scienza economica ha allargato il suo campo di indagine e la sua sfera di influenza». Quest'ascesa, scrive Lazear, è dovuta al fatto che la nostra disciplina possiede un linguaggio rigoroso che permette di trattare concetti complicati in termini relativamente semplici e astratti. Tale linguaggio permette agli economisti di eliminare la complessità. La complessità può aggiungere ricchezza alla descrizione ma essa impedisce all'analista di cogliere quel che è essenziale. Questo «linguaggio rigoroso» che sarebbe dunque capace di ridurre la complessità dei fenomeni alla loro «essenza» trova il suo primo e fondamentale utilizzo nell'ipotesi che l'autore considera il punto di partenza dell'economista, l'assunzione, o meglio sarebbe dire l'assioma, che gli individui hanno un comportamento razionale massimizzante. Egli scrive: II punto di partenza della teoria economica è che gli individui o le imprese massimizzano qualcosa, normalmente l'utilità o il profitto [...].
http://www.wuz.it/mm/2525/00181287_b.jpg (http://www.wuz.it/catalogo/libri/scheda.aspx?ean=9788861591219)La maggior parte delle analisi empiriche cercano di testare modelli che sono basati sul comportamento massimizzante. Se si ottengono risultati che sembrano non coerenti con ciò che appare razionale dal punto di vista individuale, si riesaminano i dati o si riesamina la teoria. Ma le revisioni teoriche non abbandonano quasi mai l'assunzione che gli individui stanno massimizzando qualcosa, anche se quel qualcosa è poco "ortodosso". Si può concedere a fattori quali l'informazione imperfetta o i costi di transazione di confondere un po' le cose (to muddy the waters), ma non si considera mai il comportamento come se fosse determinato da forze che stanno fuori del controllo dell'individuo.

Rigore, scientificità, capacità di astrazione, «che permette all'economista di rispondere a domande relative a un mondo complicato»: qui sta «il potere della scienza economica» e il suo vantaggio comparato nei confronti delle altre scienze sociali. Ruolo e compito di queste ultime sarebbe «identificare i problemi», quello della scienza economica dare risposte «ben ragionate». Queste caratteristiche spiegano perché la scienza economica sia imperialista, scrive Lazear. L'imperialismo economico è definito come:

l'estensione dell'economia ad argomenti che vanno al di là di quelli classici - scelta del consumatore, teoria dell'impresa, teoria dei mercati, attività macroeconomica, e tutti quei campi generati da queste aree base. Gli imperialisti economici [...] hanno per obiettivo spiegare ogni comportamento sociale usando gli strumenti dell'economia.

Il successo di questo imperialismo disciplinare, prosegue Lazear, è confermato dal fatto che altri scienziati sociali hanno adottato l'approccio economico per esaminare questioni che tradizionalmente non sono state considerate parte della scienza economica.

L'uso del termine «imperialismo economico» era stato introdotto a metà degli anni ottanta dal filosofo della scienza e dell'economia Gerard Radnitzky e dall'economista Peter Bernholz in un libro che per primo offriva una panoramica dell'applicazione del paradigma microeconomico a un'ampia varietà di campi sociali (dalla politica alla legge, dalla storia alla sociologia). Radnitzky è stato uno dei più convinti sostenitori dell'opinione che la scienza economica offra un approccio universalmente valido a tutti i fenomeni sociali. In un volume successivo, egli conia il termine «scienza economica universale» (universal economics) e così legittima l'imperialismo della scienza economica:

Ciò che dà all'economia questo potere imperialista, è il fatto che i concetti chiave sono universali nella loro applicabilità [...]. I concetti base della teoria economica, ottimizzazione ed equilibrio, sono applicabili a pressoché tutti i fenomeni sociali.

II concetto di «imperialismo economico» è fatto risalire da Radnitzky e da Lazear a Gary Becker," premio Nobel per l'economia nel 1992 e noto esponente della scuola di Chicago. Egli ha sviluppato un programma di applicazione della teoria economica a temi quali il capitale umano, l'organizzazione familiare, la discriminazione razziale, il comportamento criminale, la dipendenza dalla droga, per mostrare come i fattori economici spieghino processi decisionali prima considerati dominati da comportamenti abituali e spesso irrazionali. Le radici dell'imperialismo economico sono, però, nella rivoluzione metodologica compiuta tra gli anni venti e trenta del Novecento da due economisti neoclassici anglosassoni: l'americano Frank Knight, uno dei padri della Chicago School, e l'inglese Lionel Robbins della London School of Economics, canonizzata nel libro di Robbins The Nature and Significance of Economie Science. Da allora venne affermandosi, diventando dominante del dopoguerra, una definizione formale dell'economia come «scienza che studia il comportamento umano come una relazione tra fini e mezzi scarsi che hanno usi alternativi». Da qui la possibilità di includere tra i temi dell'economia argomenti che andavano oltre la consueta questione di come procurarsi "il pane e il burro". Gary Becker è certamente colui che più di ogni altro ha fatto suo questo programma e ha contribuito fortemente alla conquista da parte della scienza economica di nuovi spazi oltre quelli tradizionalmente occupati. Egli ha offerto una prospettiva in cui la teoria economica cerca di dare alle scienze sociali un linguaggio comune in grado di "unificare" il pensiero e comprendere una grande varietà di fenomeni. In altri termini, trovare senso a quel che senso non ha - ovviamente per l'economista che assuma di possedere il punto di vista razionale par excellence, in quanto rigoroso e scientifico.
Nel 1985 l'economista americano Jack Hirshleifer ha pubblicato un importante articolo sul tema della capacità egemonica della teoria economica, che si differenzia però da articoli analoghi per il maggior senso critico. Hirshleifer condivide la visione imperialista della disciplina:

È impossibile ricavare un territorio distinto per l'economia, confinante ma separato da altre discipline sociali. L'economia le compenetra tutte, e viceversa. C'è una sola scienza sociale.

Con tale affermazione egli si contrapponeva all'idea che il territorio dell'economia sia «confinante ma separato» dalle altre discipline sociali; opzione metodologica, quest'ultima, che impedisce il carattere imperialista della scienza economica, e che viene sostenuta da un altro importante esponente della scuola di Chicago, premio Nobel dell'economia nel 1991, Ronald Coase. Hirshleifer precisa poi il significato della sua affermazione con un'argomentazione che è una variazione di quelle sopra ricordate:

Ciò che dà all'economia il suo potere invasivo e imperialistico è che le nostre categorie - scarsità, costi, preferenze, ecc. - sono davvero universali nella loro applicabilità. Ancor più importante è l'organizzazione strutturata di questi concetti nei processi distinti ma interconnessi di ottimizzazione, a livello di decisioni individuali, e equilibrio, a livello sociale. L'economia costituisce la grammatica universale della scienza sociale.

Ma se da una parte, come l'autore riconosce, «il lavoro scientifico in antropologia, sociologia e scienza politica diventa in modo crescente indistinguibile dall'economia», dall'altra gli economisti devono diventare consapevoli di quanto limitante è stata la loro visione miope della natura dell'uomo e delle interazioni sociali. Una buona scienza economica deve anche essere una buona antropologia, sociologia, scienza politica e psicologia.

Per Hirshleifer l'ipotesi di homo oeconomicus - ovvero di un soggetto caratterizzato da fini egoistici e scelta razionale dei mezzi - è stata oggetto di motivate osservazioni critiche: «dopo tutto, uomini e donne talvolta operano per il benessere altrui e talvolta sono portati a smarrirsi per avventatezza e confusione». Egli indica due possibili risposte a queste osservazioni, entrambe utilizzate dagli economisti:

1) un tipo di risposta, che non mi convince, è usare il trucco verbale di ridefinire tutti i fini come egoistici e tutte le scelte come razionali; 2) più ragionevolmente si può ammettere che i fini non egoistici e le scelte non razionali siano "non economici". Gli economisti potrebbero così modestamente affermare che l'ipotesi di uomo egoista e razionale, sebbene non accurata, ha mostrato di avere un grande potere esplicativo nelle aree in cui è stata applicata.

Ma questo atteggiamento "modesto" non si confà all'economista. Dopotutto, nota Hirshleifer, «la storia dell'economia imperialista mostra che il modello dell'uomo economico è stato effettivamente produttivo», anche se tale produttività di applicazione si è mostrata soltanto «fino a un certo punto»:

nei nuovi territori parzialmente conquistati, persistono fenomeni non esaminabili con gli strumenti economici, difficili da combinare con il postulato del comportamento egoista e razionale.

La via suggerita da Heishleifer per superare questi limiti è approfondire la relazione tra economia e biologia, considerando la biologia come «un aspetto di una più ampia economia biologica della natura». Egli nota che, mentre la scienza economica si è sviluppata in modo orizzontale tra le scienze sociali, la biologia evoluzionista (e qui cita il controverso contributo di Edward O. Wilson alla sociobiologia) ha invaso il campo in modo verticale, ponendosi a fondamento delle scienze sociali, uno sviluppo che, a parere di Hirshleifer, «non dovrebbe preoccupare l'economista»:

L'influenza di Malthus e Adam Smith su Charles Darwin è ben nota. E se Alfred Marshall dichiarava che l'economia è una branca della biologia, il biologo Michael Ghiselin vorrebbe fare dell'economia universale la più generale delle discipline. Sotto quest'ampia cornice, i biologi possono essere considerati quelli che studiano l'economia naturale mentre il comportamento socialmente regolato degli umani costituisce l'economia politica.

L'affermazione è sostenuta sia sottolineando i concetti comuni tra le due scienze - come concorrenza e specializzazione, mutazione/innovazione, evoluzione/progresso -, sia mostrando come siano formulabili sistemi di equazioni paralleli capaci di descrivere gli stadi di equilibrio e i sentieri di cambiamento, ma anche e soprattutto evidenziando che taluni paradossi, ad esempio il comportamento altruistico di soggetti egoisti, sembrano risolvibili facendo ricorso a concetti biologici, come gene e organismo. Sono ovviamente riferimenti metaforici, non diversi da quelli degli economisti di fine Ottocento, quando guardavano all'alleanza con la fisica classica. Quel che ci preme qui sottolineare è che l'attenzione critica predicata da Hirshleifer è stata poco praticata in anni recenti nella comunità degli economisti, oscurata dall'entusiasmo degli imperialisti puri, come l'articolo di Lazear mostra. Ciò è accaduto anche se l'egemonia della visione della corrente economica neoclassica dominante nel dopoguerra fino agli anni ottanta è stata a poco a poco messa in discussione, e dai recenti sviluppi della microeconomia - in particolare quelli legati all'introduzione del concetto di razionalità limitata -, e da una nuova prospettiva teorica che ha recuperato positivamente la "complessità" dei fenomeni economici e sociali: essa ha guadagnato terreno nello stesso mainstream della teoria economica, pur essendo ancora oggetto di dispute epistemologiche sul suo effettivo apporto alla costruzione di una nuova scienza economica.

http://www.wuz.it/articolo/2525/marchionatti-pala-economisti-universita-torino-roma.html

A voi la parola.

Feliks
12-10-08, 18:11
tl;dr

Tambourine
12-10-08, 18:22
tl;dr
Dai che ce la fai! Non ci sono formule ma se vuoi aggiungo due integrali alla cavolo di cane per rendertelo più interessante!

Feliks
12-10-08, 18:26
ho leggiucchiano saltando di riga in riga qua e là

non ho trovato nulla che suscitasse la mia attenzione o che meritasse discussione.

Tambourine
12-10-08, 19:00
ho leggiucchiano saltando di riga in riga qua e là

non ho trovato nulla che suscitasse la mia attenzione o che meritasse discussione.
Va bene. De gustibus.

(Controcorrente (POL)
12-10-08, 22:07
quoto feliks