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Visualizza Versione Completa : Non solo Antonio Merloni.



el cuntadin
14-11-08, 16:11
Siamo alla debacle del sistema produttivo marchigiano. E c'è chi sostiene che abbiamo bisogno degli immigrati!

http://www.corriereadriatico.it/articolo.aspx?varget=BFEB6FDB711F5C605D3E682EC0AEC A77


Prima di arrivare agli ammortizzatori sociali le aziende hanno già rinunciato ai lavoratori a tempo determinato: tanti giovani che non fanno storiadi cui nessuno tiene il conto”
Nuove crepe nella mappa della crisi. L’ultima di cronaca è alla Manuli che mette in Cig 415 dipendenti
Il lavoro che non c’è, siamo all’emergenza


ANCONA - Monocultura produttiva, all’origine della crisi di oggi c’è il record di sempre: quell’essere primi in Italia per vocazione manifatturiera. Padre e madre in fabbrica con il figlio che segue l’esempio e con l’imprenditore, padre-padrone, che esalta il modello: monocultura familiare. Fabriano è sintesi e baratro: fabbriche ovunque, piccole e grandi; il 58% dell’occupazione nell’industria: tre fratelli che fanno un impero; dietro ogni porta braccia e quotidianità per far marciare l’impresa. L’elettrodomestico tira, ma quando salta Antonio, uno dei tre fratelli, il banco sballa: tra dipendenti diretti e indotto sono ottomila che rischiano, più della metà è un brutto affare marchigiano. Il cambio di coordinate geografiche non garantisce un effetto migliore. E’ dell’altro ieri la notizia che alla Manuli, gomma e plastica del Piceno, scattano quattro settimane di cassa integrazione per 415 lavoratori. A inizio novembre era già emergenza, a dicembre sarà peggio: lo stabilimento fermerà gli impianti per le festività natalizie.

Tra ordinaria, giusto il tempo di risistemare la produzione, e straordinaria, in caso di crisi o ristrutturazioni, i ricorsi alla cassa integrazione non si contano più: le Marche sono la regione d’Italia con il più alto incremento percentuale. Una voragine della quale Stefano Mastrovincenzo, segretario regionale Cisl, stenta a dare le esatte dimensioni: “Prima di ricorrere alla cassa integrazione le aziende hanno già rinunciato ai lavoratori a tempo determinato: tanti giovani che non fanno storia, di cui nessuno tiene il conto”. Ma, prima o poi, qualcuno questo conto lo presenterà. “La nostra regione - fa notare il sindacalista - sconta la contrazione dei consumi interni e quella dell’export. E’ la monocultura manifatturiera”. Si paga.

Si allarga, si dilata a dismisura. “Nel ’93 era peggio, ma oggi chissà come finirà”, la raccontano così alla Cisl. Per definire la mappa delle crepe si parte dal Sud, dal Piceno. Oltre alla Manuli c’è il caso della Pfizer, con la multinazionale americana che sta per mettere fuori gioco una settantina di dipendenti; e quello della Novico che di lavoratori ne vuole licenziare 40, ovvero circa la metà del personale, peraltro senza mettere in campo un piano industriale di rilancio. Per restare in zona c’è pure la Foodinvest di San Benedetto con 80 in cassa straordinaria; alla cartiera Ahlstrom, ancora in cerca di acquirente, tutti i 180 dipendenti sono in Cigs: stessa formula per i quaranta della Nuova Orsa Maggiore che si muove nel settore alimentare. Emergenze che vanno ad aggiungersi a quelle di vecchia data: come l’elettronica Roland e la Sgl Carbon, con 134 in mobilità.

Stesse ombre anche sul Fermano con le scarpe che perdono il passo. La Melania, per esempio, ha chiuso tre strutture operative ad Offida, mettendo in mobilità 130 persone; a un’altra azienda del gruppo invece è stata applicato il contratto di solidarietà a 80 lavoratori, ossia paga e orario ridotti per tutti. Altro giro, altro rischio chiusura con destino segnato per 47 operai: e siamo sugli abiti della Pantacom. Non cambia la sostanza alla Andrenacci calzature: a restare senza posto qui sono in trentacinque. Chiude per fallimento la Mochi di Monte Urano: scarpe appese al chiodo, come i destini dei 50 dipendenti. E il conto a perdere non finisce qui. Mastrovincenzo aggiorna le cifre: “In zona ci sono almeno un’altra trentina di aziende, con una ventina di dipendenti ciascuna, che si agitano in zona chiusura”.

Puntando a Nord, alla crisi non sfugge Macerata. Si parte da Sira cucine di Passo Treia: si chiude e in sessanta vanno in mobilità. Si passa alla Falc di Civitanova, quella che firma le scarpe Naturino: qui a rimanere tagliati fuori sono in 111. Alla Diemme di Recanati, porte e cornici, è scattata la cassa integrazione straordinaria per 60 dipendenti. Cassa ordinaria, invece, per un centinaio di lavoratori della IGuzzini.

La spina della provincia di Ancona. Qui con la Antonio Merloni il conto sballa, ma sono in tanti a rompere gli argini. Le cappe Elica, per esempio: un mese fa sono scattati 133 licenziamenti. Per la Fime, un’altra azienda del gruppo fabrianese, 35 persone su trecento sono finite fuori produzione. Alla Mcr, che a Santa Maria Nuova si dava alle calzature, hanno perso il posto in quaranta. Non evita i colpi bassi la storica Codiva di Sassoferrato, ai tempi della Veiner era il più grande calzaturificio d’Europa: ha chiuso i battenti circa due mesi fa e per duecento lavoratori è stato licenziamento. Clabo e Bontempi seguono la scia: rispettivamente 45 in cassa integrazione su 400 e 45 licenziati su 81 a Camerano da metà gennaio. Le cifre sono più contenute ma la sorte è condivisa: la parola fine riguarda anche le camicie dei Fratelli Taccaliti di Camerano e i 30 dipendenti al seguito. Alla Edilninno di Fabriano sono in 45 a uscire di scena. Per lo zuccherificio Sadam la polpetta avvelenata si divide tra Jesi e Fermo: in tutto sono oltre 150 i dipendenti costretti alla cassa integrazione in attesa di riconversione. Poi c’è la vecchia storia, quella frabrianese del gruppo Violini, siamo sull’elettronica, con chiusura e 150 rimasti a spasso. Per riallineare la produzione anche i colossi Indesit e Mts non sfuggono alla logica della cassa: per due mesi, novembre e dicembre. Mastrovincenzo torna a metterci il carico: “Nella zona sud di Ancona, tra circuiti stampati, motori elettrici e argento, è difficile tenere il conto esatto sul ricorso agli ammortizzatori sociali”.

Il Pesarese chiude la la serie negativa. Scatta la cassa ordinaria per circa la metà dei dipendenti Biesse: una squadra metalmeccanica di mille e più addetti. Anche alla Pica, laterizi, con 250 lavoratori è partita la stessa richiesta. Alla Rivacold, frigoriferi e accessori, sono in 600, per 400 sarà cassa integrazione ordinaria. Bvb, produceva componentistica per la Antonio Merloni, ora in cassa ci vanno in 100. E’ l’indotto che cede.


M.CRISTINA BENEDETTI,

el cuntadin
15-11-08, 17:32
http://www.corriereadriatico.it/articolo.aspx?varget=C1F04D910EDC167451E5B88195953 B58
cassa integrazione a + 172% nel terzo trimestre 2008. I dati dell’Osservatorio della Cgil
Lavoro, le Marche perdono ancora colpi


ANCONA - Tutti in salita. Sono i numeri della cassa integrazione e della mobilità nelle Marche. E' un trend verso l'alto che conferma una tendenza già emersa a inizio anno. I settori più colpiti sono la meccanica, seguita dal tessile, abbigliamento e calzature fino a lambire l'agroalimentare. Nel complesso, sono circa 9 mila i lavoratori marchigiani interessati da crisi aziendali: in cima alla classifica c'è la provincia di Ancona con 3.926 lavoratori, segue Macerata con 1719, quindi Ascoli Piceno con 1512. Tocca poi a Pesaro e Urbino con 1388 e infine a Fermo con 564.

I numeri del terzo trimestre 2008, quelli dell'Osservatorio Cgil, non fanno certo esultare. Ciò che balza agli occhi è l'impennata della cassa integrazione, in particolare quella straordinaria: rispetto allo stesso periodo del 2007, la Cigs segna infatti un +172% nella regione (a giungo era +117) con Ancona che giunge a quota +272% e Ascoli con +268%. Non va sottovalutato anche il dato della cassa integrazione ordinaria che raddoppia arrivando a +104% con punte di massima ad Ascoli , +204%, e a Pesaro con +104%.

Nel contesto, anche altri elementi sono fonte di preoccupazione. C'è soprattutto la disoccupazione ordinaria, che continua a crescere: nel terzo trimestre 2008 segna un +35,4% nella regione raggiungendo il picco nella provincia di Macerata dove tocca il 60,7% e ad Ascoli dove si ferma, si fa per dire, al 37%.

Va inoltre presa in considerazione la mobilità: nel terzo trimestre dell'anno giunge a +23,9 rispetto allo stesso periodo del 2007 e addirittura a Pesaro e ad Ascoli cresce del doppio e cioè rispettivamente +46% e +41%.

Insomma, come già la Banca d'Italia aveva rilevato, anche i dati dell'Osservatorio Cgil comfermano che nelle Marche il sistema mostra segni di indebolimento. Se poi si analizzano i settori, ancora una volta, si evidenziano le particolari difficoltà della meccanica e non a caso dei 9 mila lavoratori interessati da crisi aziendali il 39,3% appartengono a questo settore. Proprio in questo comparto, del resto, sono diverse le imprese interessate da difficoltà: a Pesaro, per esempio, ci sono la Tvs e la Biesse, ad Ancona l'Antonio Merloni, ad Ascoli la Bluradia.

Dopo il meccanico, il tessile: il 25% dei lavoratori è alle prese con fenomeni di crisi. Come i dipendenti dell'Incom e della Godiva di Ancona, quelli della Tombolini e della Falc di Macerata, l'Itac di Ascoli.

Al terzo posto l'agroalimentare con il 12,3% dei lavoratori in difficoltà. Qualche esempio: l'Arena di Ancona, la Nuova Orsa Maggiore di Fermo o la Foodinvest di Ascoli. Subito dopo, il settore del legno: sono il 7,4% del totale marchigiano i lavoratori coinvolti da crisi aziendali. Un problema che colpisce soprattutto Pesaro: nella provincia il 27,6 % dei lavoratori interessati da crisi proviene proprio a tale comparto.


FEDERICA BURONI,

el cuntadin
29-11-08, 09:43
notizia sul srio pessima per le Marche. Stavolta la crisi coinvolge una società del Merloni più "grosso".

http://www.corriereadriatico.it/articolo.aspx?varget=42307B8BAAE7A1EED7C85E98F2F46 0B6

Scatta il concordato preventivo per una delle società finanziarie della Indesit
A Fabriano si apre la crepa Faber Factor


ANCONA - Ancora un’emergenza che parte da Fabriano, ferisce il sistema bancario e lascia il solco in una regione segnata da congiunture d’ogni genere. Alla Faber Factor spa è scattato il concordato preventivo, dal 21 novembre scorso. Storia recente, un’altra crepa profonda nel feudo marchigiano dell’elettrodomestico. Il braccio armato e finanziario della Indesit Company, che opera nel settore del leasing finanziario e del factoring, da oltre un anno naviga in acque agitate: l’avvio della procedura di liquidazione era stata deliberata con l’assemblea straordinaria del 9 marzo 2007. Le cifre sono da condanna senza appello: è di oltre 95 milioni il passivo al 31 dicembre del 2007. Tutte le negatività della società per azioni, con sede legale nella città della carta, sono riordinate nel Registro delle imprese della Camera di Commercio.

Nell’elenco di soci e titolari è la Fineldo spa, la finanziaria-cassaforte del gruppo di Vittorio Merloni, quella cioè che direttamente o indirettamente gestisce le partecipazioni di famiglia, ad avere la quota di maggioranza della Faber Factor; segue la Indesit Company Luxenbourg (già Merloni Ariston International); in lista c’è pure la Plusvalore spa. La missione era quella di garantire alla Indesit immobili e macchinari, attraverso la pratica del leasing, e anticipi di cassa acquistando le fatture emesse dal gruppo. Era, prima che fosse “liquidazione”.

Ed è sempre attraverso la visura camerale che si arriva a stabilire la ripartizione del danno. Si scopre così che la massima concentrazione pesa sul mondo creditizio: 86.609.190 euro, con un incremento rispetto all’anno precedente di 5.329.911 euro, sono i debiti verso le banche. Gli enti finanziari se la cavano con 468.718 euro; alla clientela è andata peggio con 8.788.340 euro. Una mappa a perdere che spiega le poche righe in fondo alla quarantunesima pagina della relazione del liquidatore sulla gestione di bilancio. La sostanza: tra i creditori della Faber Factor solo le banche, al 31 dicembre 2007, avevano chiesto altri venti giorni, come previsto dalla legge, per aderire all’ipotesi di concordato preventivo. Erano i soggetti più esposti e cercavano, dunque, di ridurre il fattore di rischio.

Una timida forma di resistenza che non cambia lo stato dei lavori in corso: il 7 marzo del 2008 viene iscritto e quindi richiesto il concordato preventivo; la seconda decade di novembre scatta la procedura.

Ancora un terremoto con epicentro-Fabriano, come quello della Antonio Merloni che, tra Italia e resto del mondo, getta nella voragine della disoccupazione oltre 5000 persone. Con Faber Factor il fattore umano non entra in ballo di prepotenza: qui a preoccupare non sono i livelli occupazionali ma il coinvolgimento profondo con il sistema finanziario nazionale e locale.

Piovono pietre e sono sempre gli stessi soggetti a non poterle evitare: la Banca della Marche, la Popolare di Ancona e la Cassa di Risparmio di Fabriano. Diventano macigni attraverso i passaggi di bilancio: è di 48 milioni di euro l’esposizione complessiva dei tre istituti di credito nei confronti dei due colossi in caduta libera. E con il si salvi chi può le dimensioni patrimoniali saranno la vera discriminante.