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Visualizza Versione Completa : JEAN SCHRAMME, “Battaglione Leopard. Ricordi di un africano bianco” (recensione)



Bisentium
08-02-14, 19:19
EreticaMente: JEAN SCHRAMME, ?Battaglione Leopard. Ricordi di un africano bianco? (Edizioni il Maglio, Solarussa 2014) (http://www.ereticamente.net/2014/02/jean-schramme-battaglione-leopard.html)

JEAN SCHRAMME, “Battaglione Leopard. Ricordi di un africano bianco” (Edizioni il Maglio, Solarussa 2014) (http://www.ereticamente.net/2014/02/jean-schramme-battaglione-leopard.html)Pubblicato da Admin il sabato, febbraio 08, 2014





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Di Luca Cancelliere


A 45 anni dalla pubblicazione dell’originale francese (“Le Bataillon Leopard. Souvenirs d’un african blanc”, Robert Laffont, Paris 1969) e a 41 anni dalla prima edizione italiana, uscita per Sperling & Kupfer nel 1973, viene riproposto al pubblico italiano il libro in cui il belga Jean Schramme descrive la sua partecipazione alle intricate vicende politiche e belliche vissute dal Congo dal 1960 al 1967.


Questa pubblicazione, già di per sé degna di nota per l’indubbio interesse storico e documentario dell’opera, segna altresì il promettente esordio delle nuove “Edizioni il Maglio” di Solarussa (provincia di Oristano), nate per l’iniziativa di Alberto Manca, che dopo 27 anni di brillante attività imprenditoriale nel campo editoriale e librario a Milano con la Libreria Militare e le Edizioni Ritter, ha deciso di tornare nella Sardegna natìa per lanciare una nuova libreria “on line” (www.lastoriamilitare.com (http://www.lastoriamilitare.com/)) e la già nominata casa editrice. Quest’ultima, dedicata in primo luogo alla storia militare, articolerà la sua offerta in una serie di collane dedicate ai conflitti del secondo dopoguerra, alla decolonizzazione, alla manualistica militare, alle tecniche operative e alle monografie sulle armi da fuoco.

Con il libro di Jean Schramme, in particolare, si inaugura la collana “Conflitti del Dopoguerra”, focalizzata sui conflitti avvenuti dopo il 1945 fino agli inizi del XXI secolo. La collana è curata dall’intellettuale e giornalista Marco Valle, che nelle venti pagine della prefazione intitolata “Congo, una crudele storia africana” predispone magistralmente il lettore alla fruizione del libro di Schramme, ripercorrendo le vicende del Congo dal 1876 (data di inizio dell’interessamento del re belga Leopoldo II alla colonizzazione mediante la costituzione della “Association Internationale Africaine”) al 1967 (data in cui il dittatore Mobutu completa la propria presa di potere, con la definitiva sconfitta degli oppositori interni cui Schramme aveva garantito, con il suo Battaglione Leopard, un notevole sostegno militare).


La storia del Congo contemporaneo si può approssimativamente dividere in tre fasi diverse. Dal 1885 al 1908 il grande paese africano, conquistato dall’esploratore Stanley tra il 1879 e il 1884, è amministrato dal sovrano belga Leopoldo II come un proprio possedimento coloniale personale, come tale non dipendente dallo Stato Belga, sotto il nome di “Stato Indipendente del Congo”. Durante questo periodo il Congo è sottoposto dall’amministrazione coloniale a un “durissimo regime di lavoro forzato” incentrato sulla raccolta e la commercializzazione della gomma. Questo “sistema di lavoro concentrazionario” sarà denunciato nel 1904 da una commissione internazionale d’inchiesta, le cui risultanze porteranno alla necessaria rinuncia della Corona alla gestione della colonia e al passaggio di quest’ultima sotto il governo di Bruxelles. da Dal 1908 al 1960 il Congo è una colonia soggetta all’amministrazione diretta del governo del Regno del Belgio sotto il nome di “Congo Belga”, secondo le regole stabilite con la “Charte coloniale” del 1909 e con l’intento di farne, dopo gli eccessi dell’età leopoldina, una “colonia modello”. La colonia avrà un notevole sviluppo e grazie al ruolo della “Société Générale de Belgique” e delle imprese diamantifere di Anversa, rivestirà una notevole importanza nello sviluppo economico della madrepatria. Tuttavia l’iniziale carattere di “colonia di sfruttamento” e non di popolamento risulterà confermato nella sostanza anche dallo scarso numero di bianchi presenti nel Congo, che dagli iniziali 1.500 dell’epoca dello “Stato Indipendente” raggiungerà al massimo le circa 89.000 unità del 1959. Dopo il 1° luglio 1960 inizia la storia del Congo indipendente. Il ritiro dei Belgi dal Congo avvenne in modo precipitoso e inaspettato. Se ancora nel 1955 re Baldovino poteva parlare di una futura “comunità belgo-congolese” destinata ad essere il quadro di un processo di emancipazione da sviluppare nell’arco di alcuni decenni, l’introduzione dei consigli municipali elettivi e la vittoria dei nazionalisti neri nel 1957 portò in poco tempo l’amministrazione coloniale belga a fronteggiare uno strisciante stato di tensione interna destinato a sfociare nella rivolta del 4 gennaio 1959. Il rifiuto dell’imbelle e miope classe politica belga a impegnare le truppe in una repressione che avrebbe ridotto i nazionalisti congolesi a più miti consigli, evitando il caos nel paese, portò alla conferenza di Bruxelles del 20 gennaio 1960, che si concluse con il riconoscimento dell’indipendenza del Congo a decorrere dal 1° luglio 1960. Il Congo indipendente fu immediatamente devastato da saccheggi, devastazioni e stupri in particolare ai danni dei coloni bianchi, nonché dal risorgere delle mai sopite rivalità tribali tra le varie etnie nere di cui si componeva il paese. Già nel settembre 1960 il primo ministro Patrice Lumumba, che divideva il potere con il presidente della repubblica Kasa Vubu, fu destituito, per essere poi ucciso alcuni mesi dopo. Intanto il Congo veniva dilaniato da una guerra civile tra il governo ufficiale della capitale Léopoldville (l’attuale Kinshasa) sostenuto dagli USA, il governo di Stanleyville (l’attuale Kisangami) dei sostenitori del defunto Lumumba, sostenuto dall’URSS e le repubbliche secessioniste di Kasai e Katanga.


E’ in questo scenario, complicato dall’intervento dell’ONU (il 12 novembre 1961, dodici aviatori italiani della spedizione ONU furono massacrati a Kindu da milizie del governo di Stanleyville, che li avevano scambiati per mercenari) e dai molteplici interessi geopolitici ed economici delle potenze straniere e delle multinazionali interessate alle materie prime del paese, che si colloca la vicenda del colono belga Jean Schramme. Egli nacque a Bruges nel 1929 (“Crescevo come ogni bambino dell’alta borghesia fiamminga, in cui vi è l’usanza di esprimersi in francese e il patriottismo si identifica nella persona del re”). Stabilitosi nel Congo belga all’età di 18 anni e divenuto un grande piantatore durante gli anni ’50, costretto nel luglio 1960 a fuggire davanti alle violenze dei ribelli e minacciato di morte, forma un reparto misto composto da bianchi e indigeni e combatte agli ordini del governo secessionista del Katanga guidato da Moisé Tschombé, fino alla sconfitta di quest’ultimo. Quando poi l’ex presidente del Katanga libero torna in patria e assume la guida del governo nazionale congolese, Schramme riprende servizio nell’esercito alla guida del X Commando. Dopo il colpo di stato con cui Mobutu destituì Kasa Vubu e Tschombé (25 novembre 1965), il paese si avviò sulla strada di un totalitarismo cleptocratico in salsa africana, teso a cancellare ogni traccia del passato coloniale, retto sul potere assoluto di Mobutu e del suo partito unico “Mouvement populaire pour la Révolution”: come accennato sopra, i nomi coloniali delle città furono sostituiti con nomi africani e anche il nome del paese fu modificato in Zaire. A seguito del disarmo dei contingenti bianchi presenti nel paese, Schramme fu coinvolto nelle manovre dell’opposizione guidata dal colonnello Leonard Monga, che il 10 agosto istituì un governo provvisorio a Bukavu (il relativo proclama è pubblicato in appendice al libro). Dopo la sconfitta degli insorti (5 novembre 1967) Schramme dovette espatriare in Ruanda, per poi finire i suoi giorni in Brasile dove morì nel 1988.

Come ricordato da Marco Valle nella prefazione, per Jean Schramme “la difesa accanita del Katanga, dove si era rifugiato dopo esser sfuggito alla mattanza degli europei nel luglio ’60, non fu un beau geste fine a sé stesso, ma un dovere preciso verso le sue due patrie, l’antica e la nuova. Una missione. Agli occhi di Schramme la repubblica di Moise Tshombe, il capo federalista in rivolta contro il governo centrale (…) era una possibile barriera contro l’imperialismo delle super potenze un laboratorio, un banco di prova di una rinnovatae più dinamica presenza del Belgio e, forse, dell’Europa nel cuore dell’Africa. Di qui la preoccupazione del nazionalista belga verso l’invasività degli USA e della Francia degaullista (…) e l’iniziale distanza dai “soldati di ventura” – considerati indisciplinati, poco affidabili e privi di coscienza politica – e la volontà di formare reparti indigeni – come, appunto, le bataillon Leopard – con quadri esclusivamente nazionali”. Da allora il Congo ha vissuto 32 anni di dittatura di Mobutu (1965-1996) e altri quattro conflitti (la prima guerra del Congo del 1996-1997, la seconda guerra del Congo del 1998-2003, il conflitto dell’Ituri del 1999-2007 e il conflitto del Kivu del 2004-2008). Alla luce di quanto avvenuto, il sogno euro-africano di Schramme e la sua epopea militare, nonostante la sconfitta, assumono un nuovo significato, portandoci a concludere che molto probabilmente l’illuminato progetto di Re Baldovino di una “comunità belgo-congolese”, fondata sulla pacifica collaborazione tra europei e africani, o come avrebbe più volentieri detto Schramme, tra “africani bianchi” e “africani neri”, sarebbe stato molto più conveniente per le disgraziate popolazioni del Congo rispetto a una decolonizzazione tanto prematura quanto dannosa.