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Visualizza Versione Completa : Bakunin antisemita



Nihil88
10-02-14, 11:59
Vi è, tra i copiosi scritti di Mikhail Bakunin, uno nel quale il rivoluzionario russo si esprime in maniera assai incisiva sugli Ebrei d'Europa (allora non esisteva lo Stato d'Israele e lo stesso sionismo era ancora di là da venire), o, per dir meglio, sulle posizioni-chiave che nel commercio, nella finanza e nell'editoria alcuni di essi avevano raggiunto.
Si tratta dell'articolo Ai compagni della Federazione delle sessioni internazionali del Giura e risale al febbraio-marzo del 1872. Bakunin era stato duramente attaccato dalVolkstaat, organo del Partito della Democrazia Socialista tedesca, il cui redattore-capo era Wilhelm Liebknecht, e in seguito anche dall'organo della Federazione ginevrina, L'Egalité (che era anche l'organo della Federazione romanda). Bakunin era stato accusato addirittura di mirare a una "dittatura personale" e quindi si sentiva ferito ed esacerbato.
Nel brano che riportiamo (tratto da M. Bakunin, Opere complete, Edizioni della rivista "Anarchismo", Catania, 1977, vol. III, pp. 21 sgg.) egli denuncia non solo un complotto contro la sua persona, volto a screditarlo negli ambienti internazionalisti, ma altresì una sorta di "quinto potere" ebraico all'interno della stessa Internazionale: press'a poco quello che oggi, con termine politicamente scorrettissimo, si definisce "lobby". Pur tenendo conto del clima arroventato dalle polemiche tra la fazione marxista e quella bakunista della Prima Internazionale, che sarebbe culminata appunto con l'espulsione degli anarchici, nonché dagli strascichi delle polemiche relative alla spaccatura nel socialismo europeo determinata dalla guerra franco-prussiana, non è possibile ignorare che il tono generale del documento denota una forte contrarietà nei confronti della asserita invadenza dell'elemento ebraico, una contrarietà che sembra esulare dai motivi contingenti della polemica politica.
Si direbbe che, in esso, Bakunin tradisca la malcelata antipatia che nutriva tanto verso gli Ebrei, quanto verso i Tedeschi; antipatia che l'ebreo tedesco Marx, e molti seguaci di quest'ultimo, ricambiavano di tutto cuore nei confronti degli Slavi. Perciò esso è da un lato testimonianza del permanere, sotto la vernice dell'internazionalismo socialista, di forti tensioni e contrasti di natura schiettamente nazionale (il cui tragico punto d'arrivo saranno, alla fine del Novecento, le pulizie etniche e i massacri nella ex Jugoslavia); dall'altro il malessere di alcuni intellettuali europei, non certo sospettabili di condividere i pregiudizi antisemiti del governo zarista (del resto, i Protocolli dei savi di Sion non esistevano ancora) nei confronti di una presenza ebraica percepita come sempre più significativa nelle posizioni strategiche della società, dell'economia e dell'informazione. Pertanto ci consente di gettare nuova luce sugli antefatti di un malessere diffuso, che alcuni decenni più tardi avrebbe trovato sfogo anche nell'Europa occidentale (ad esempio, con l'affaire Dreyfuss) oltre che, tradizionalmente, nei pogrom dell'Europa orientale, sobillati dalle stesse autorità statali, per culminare infine in una delle più grandi tragedie del mondo moderne, allorché il nazismo salì al potere in Germania, nel 1933.
Data la delicatezza dell'argomento, vorremmo cercare di essere chiari e di evitare qualsiasi possibile strumentalizzazione. Riteniamo cioè che il compito della ricerca storica sia quello di cercar di comprendere come e perché si siano prodotti certi avvenimenti e non quello di deprecare il fatto che essi abbiano avuto luogo. Ma questo non è possibile se non si è disposti a lasciare completa libertà ideologica al ricercatore, in modo che egli possa rappresentare la realtà a trecentosessanta gradi, senza remore e senza tabù. Orbene, quando si parla della presenza ebraica in Europa, prima della nascita del sionismo e anche dopo, scatta da parte di alcuni un riflesso condizionato, che li porta ad accusare di "antisemitismo" chiunque desideri accostarsi alla questione su indicata senza sposare incondizionatamente e preventivamente tutte le tesi di una storiografia di parte, secondo la quale anche solo accennare alle posizioni dominanti raggiunte da alcuni gruppi ebraici in Europa (e negli Stati Uniti d'America) sarebbe già una dimostrazione, appunto, di antisemitismo.
In ciò vi è, senza dubbio, una preoccupazione comprensibile, se non storiograficamente legittima, poiché il nazismo (è quello, infatti, il termine di riferimento cui sempre corre il pensiero, quando si parla dell'ebraismo contemporaneo) fondava appunto il proprio antisemitismo sull'accusa agli Ebrei di aver diretto la regia dei due eventi più calamitosi della modernità: il totalitarismo bolscevico e la speculazione finanziaria della City e di Wall Street. Il commissario del popolo sovietico e il cinico uomo d'affari che specula in Borsa sui risparmi del ceto medio: queste erano le due figure più detestate dall'ideologia nazionalsocialista; ed entrambe erano ricondotte - a torto o a ragione - nell'ambito di un disegno egemonico dell'ebraismo a livello mondiale.
Comunque, l'articolo di Bakunin precede di sessant'anni l'avvento di Hitler al potere e si colloca interamente entro l'orizzonte politico-culturale dell'estrema sinistra europea, allora raccolta intorno alla (morente) Prima Internazionale dei Lavoratori. Il lettore, pertanto, farà una opportuna distinzione tra quanto vi è in esso di contingente e di polemico e quanto attiene a un piano di riflessione di carattere più generale. A noi sembra chiaro che Bakunin, quando denuncia l'invadenza ebraica nei centri nevralgici europei e mondiali, non scivola però affatto nell'antisemitismo; non più di quanto potrebbe essere accusato di sentimenti razzisti verso tutti i Siciliani colui che denunciasse, poniamo, la massiccia diffusione nazionale e internazionale della mafia. Piuttosto, per comprendere a pieno l'atteggiamento di Bakunin nei confronti degli Ebrei, bisogna tener presenti le sue forti pregiudiziali antireligiose, sulle quali poggiava tutta la sua concezione filosofico-politica (sintetizzabili nella celebre frase: Se Dio esiste, l'uomo è schiavo; ma Dio non esiste, dunque l'uomo è libero). Negli Ebrei egli vedeva pertanto i depositari di una tradizione religiosa connotata, a suo parere, dal massimo fanatismo e dalla massima intolleranza nei confronti degli altri popoli e degli altri culti; una tradizione che era stata perseguitata ma che era stata anche, a sua volta, persecutrice. L'ateo Bakunin non poteva vedere, perciò, nel giudaismo se non la forma più acuta di aberrazione religiosa, quella sfociante della dottrina del "popolo eletto" e dei suoi sacri ed egoistici diritti, sopra tutti e a dispetto di tutti.
Al tempo stesso, è necessario tener presente che, all'epoca in cui scrive Bakunin, ossia nella seconda metà dell'Ottocento, esisteva un problema ebraico che oggi si chiamerebbe di integrazione. Per una serie di ragioni storiche che risalgono certamente, almeno in parte, alle persecuzioni e alle discriminazioni delle quali erano stati vittime, le comunità ebraiche d'Europa, e specialmente dell'Europa centro-orientale, si erano spesso chiuse a riccio rispetto alle comunità nazionali presso le quali vivevano, al punto che non era infrequente la loro totale ignoranza delle lingue locali (il russo, il polacco, l'ucraino, l'ungherese, il tedesco, il romeno, ecc.). Inoltre, tali comunità - malviste per via del fatto che detenevano il monopolio del piccolo commercio e, spesso, del prestito a usura - erano, di quando in quando, percorse da ardenti fremiti di aspettativa messianica a breve scadenza, come è stato ampiamente documentato in sede storiografica, in una prospettiva escatologica che faceva coincidere il loro riscatto nazionale con la loro affermazione religiosa, in quanto popolo "eletto", sui cosiddetti gentili, visti come "massa dannata" destinata alle fiamme eterne della Geenna. Uno di questi Messia, vissuto nel XVIII secolo e noto col nome di Jakob Frank (ma il suo vero nome era Jakob Leibowicz) affermava che, così come Cristo aveva detto di essere venuto per liberare il mondo dalle grinfie di Satana, egli era venuto per liberare il mondo da tutte le leggi e i comandamenti e per distruggere ogni cosa, affinché il Dio buono potesse rivelarsi. Di conseguenza, nella sua dottrina tutto era permesso: menzogna, inganno, adulterio.
Nell'Europa Occidentale, invece, dove il loro numero era assai più contenuto, gli Ebrei - pur restando, nella maggioranza dei casi, legati alla loro religione e alle loro tradizioni nazionali - si erano in apparenza discretamente integrati, raggiungendo alte posizioni nella finanzia e nell'industria, oltre che nel mondo della cultura; e la stessa cosa, in misura anche maggiore, vale per gli Stati Uniti d'America. In Germania la loro posizione oscillava fra questi due estremi (così come la stessa cultura tedesca oscillava fra il modello prussiano-teutonico, di ascendenza aristocratico-feudale, luterano e imbevuto di spirito di superiorità verso i confinanti popoli slavi, e il modello renano-bavarese, storicamente imbevuto di cultura latina (rispettivamente francese e italiana), dalla musica alla letteratura all'architettura, cattolico e abituato a una secolare convivenza, ormai relativamente pacifica, con i popoli dell'Occidente. Pertanto gli Ebrei tedeschi, molto più numerosi - percentualmente - di quelli italiani, francesi, inglesi e olandesi, ma di gran lunga meno numerosi di quelli russi, polacchi, ecc., vivevano in comunità urbane solidamente organizzate e tradizionalmente solidali, ove occupavano spesso notevoli posizioni nell'ambito dell'industria, del commercio, delle professioni liberali e della cultura. Non di rado essi si sentivano cittadini tedeschi a tutti gli effetti e dei Tedeschi condividevano pregi e difetti, compreso l'ardente nazionalismo che li avrebbe portati, nel 1914, ad abbracciare senza riserve la causa della Germania nel primo conflitto mondiale. Per la stessa ragione, non pochi di essi, agli esordi del nazionalsocialismo, si rivolsero con simpatia verso il nuovo movimento politico e solo quando esso mostrò apertamente il suo volto razzista e antisemita se ne allontanarono, peraltro non senza significative eccezioni.
Tornando ora alla questione ebraica nell'insieme del continente europeo e nel periodo storico che ci interessa, ossia gli ultimi decenni dell'Ottocento, se è indubbio che esisteva un antisemitismo strisciante e, a volte, esplicito da parte delle comunità nazionali che ospitavano consistenti minoranze ebraiche, è altrettanto vero che anche presso queste ultime esisteva, a volte, un sentimento di xenofobia e di disprezzo religioso nei confronti di quelle. Lo storico, pertanto, deve tener presenti tutti gli aspetti del complesso mosaico, per poter collocare la questione ebraica in Europa, nel XIX secolo e all'inizio del XX, nella sua giusta prospettiva o, quanto meno, in una prospettiva di verosimiglianza.
Ed ecco la parte dell'articolo di Bakunin che concerne gli Ebrei.
"Fratelli e amici,
voi non ignorate che da più di due anni, a partire dall'ultimo Congresso dell'Internazionale, tenutosi a Basilea in settembre 1899, io sono divenuto l'oggetto delle calunnie più ridicole ed odiose, da parte di alcuni organi della stampa socialista della Germania, così come da parte dell'organo della Federazione ginevrina, L'Egalité, giornale che, dopo essere stato il rappresentante serio di un socialismo serio, è finito per cadere tra le mani di un piccolo giudeo russo [cioè Nikolai Isaakovic Outine, 1845-1883], mentitore sfrontato e intrigante senza vergogna.
"È stata una specie di cospirazione sfrenata e, per dire la parola giusta, una sporca cospirazione di ebrei tedeschi e russi contro di me.
"Che cosa ho fatto per meritare questo onore? Me lo domando ancora oggi, e confesso che sarei molto imbarazzato nel rispondere a questa domanda. Voi che mi conoscete, sapete che non ho mai fatto altro che dedicare completamente, e senza nessun secondo fine, né d'ambizione, né d'interesse o di vanità personale, tutte le mie capacità e le mie forze al trionfo delle idee e di una causa che noi consideriamo sacra. Era mio diritto nello stesso tempo che era mio dovere.
"Non ho mai attaccato le persone. Ma ho energicamente combattuto le idee che mi sembravano dannose e false; e fra queste idee, quella che io respingo ancora oggi con tutta la passione, istintiva e ponderata nello stesso tempo, di cui sono capace, è quell'idea infelice dell'autorità e del potere politico che i nostri avversari, senza dubbio sinceramente convinti,, ma secondo me, molto male ispirati, si sforzano di trapiantare nel programma e nell'organizzazione dell'Internazionale.
"Questo è il mio crimine, un crimine di cui non sono affatto l'iniziatore, come si è voluto sostenere, ma il complice, con voi. Questo è dunque il nostro crimine comune. E se i nostri avversari si fossero limitati ad attaccarci nelle nostre ideeanarchiche, non avremmo sicuramente nulla da rimproverare loro. Sarebbe stato il loro diritto, come il nostro è quello di difendere e propagare le nostre idee.
"Disgraziatamente per l'Internazionale e per essi, non hanno voluto, non hanno potuto rassegnarsi a quella moderazione che era loro imposta sia dalla cura della propria dignità e dalla giustizia, che dall'interesse supremo della nostra grande Associazione, dalla quale essi attendono, così come noi, la liberazione finale del proletariato. La sfera delle idee è sembrata loro troppo impersonale, troppo pura; e come dice il proverbio, scacciato il naturale, esso ritorna al galoppo. A loro è stato necessario il vilipendio. Il vilipendio, chi non lo sa, costituisce l'ingrediente principale della polemica giudeo-tedesca. Gli Ebrei formano oggi in Germania una vera potenza. È già da molto tempo che regnano come padroni assoluti nella banca. Ma da una trentina d'anni sono riusciti anche a formare una specie di monopolio nella letteratura. In Germani non vi è quasi più nessun giornale che non abbia il suo redattore ebreo, e il giornalismo e la banca si danno la mano, rendendosi a vicenda dei servizi preziosi.
"La razza degli Ebrei è una razza molto interessante. Essa è, nello stesso tempo, strettamente nazionale, ed internazionale per eccellenza, ma nel senso dello sfruttamento. È questo che ha creato il commercio internazionale, e quello strumento economico così potente che si chiama credito. Ecco, certamente, dei diritti incontestabili alla riconoscenza dell'umanità.
"Come tutte le altre nazioni della terra, con tutte le qualità ed i difetti che la distinguono, essa è il prodotto fatale della storia. Sarebbe dunque ingiusto rimproverarle questi misfatti; ma dato che costituisce oggi un'incontestabile potenza, è bene, è necessario ristudiarla bene per rendersi conto di ciò che può portarci sia di danno, sia di utile, e per sapere come dobbiamo preservarci dall'uno, ed approfittare dell'altro.
"Gli Ebrei sono sempre stati una razza molto intelligente e molto infelice, inumana, crudele, e vittima al tempo stesso, persecutrice e perseguitata. Essa adora fin dalla sua infanzia un Dio omicida, il più barbaro e al tempo stesso il più vanitosamente personale di tutti gli Dei conosciuti dalla terra, il feroce e vendicativo Jehovah, che ne aveva fatto il suo popolo eletto. Il suo primo legislatore, Mosé, le aveva ordinato di massacrare tutti i popoli, per stabilire la sua propria potenza. Questo fu il suo debutto nella storia.
"Molto fortunatamente per le altre nazioni, la potenza del popolo ebraico non eguagliò la sua crudeltà! Sempre vinto, molto prima del trionfo finale dei Romani, trapiantato di forza dai suoi conquistatori assiri, babilonesi e persiani nelle parti più lontane dell'Asia, passò dei secoli i un'emigrazione forzata. E fu nel centro di questa emigrazione che si formò eed approfondì nel cuore degli Ebrei il culto di Gerusalemme, simbolo dell'unità nazionale. Nulla unisce tanto quanto la disgrazia.
"Diffusi e sparsi in tutta l'Asia, schiavi, disprezzati, oppressi, ma sempre intelligenti, essi formarono più che mai una nazione: la nazione internazionale dell'Asia e di una parte dell'Africa. Sradicati dalla terra che Jehovah aveva dato loro e non potendo più dedicarsi all'agricoltura, essi dovettero cercare un altro sbocco per la loro attività appassionata ed inquieta. Questo sbocco non poteva essere altro che il commercio; ed è così che gli Ebrei divennero il popolo commerciante per eccellenza. In tutti i paesi, essi ritrovarono i loro compatrioti, vittime come loro dell'oppressione straniera, disprezzati, come loro perseguitati, e come loro animati da un odio naturale e profondo contro le nazioni conquistatrici. Ciò spiega come ha dovuto formarsi infine tra tutte le tribù ebraiche sparse in Africa ed in Asia, fra gli Ebrei di tutti gli Stati, una vasta associazione commerciante, di mutuo soccorso e di assistenza, e di sfruttamento in comune di tutte le nazioni straniere; un popolo di parassiti vivente del sudore e del sangue dei loro conquistatori.
"Le conquiste di Alessandro il Grande e la distruzione finale di Gerusalemme per opera di Tito, sotto il regno di suo padre, l'imperatore Vespasiano, e la deportazione di oltre un milione di schiavi ebrei in Italia, li sparpagliarono di forza in Europa, e finirono per imprimere loro di fatto quel carattere d'internazionalità sfruttatrice e strettamente nazionale che li distingue ancora oggi. Le crudeli persecuzioni di cui furono vittime, durante tutto il medio evo, ed in tutti i paesi, in nome di un Dio di giustizia e di amore, figlio unico e ben degno del loro Jehovah, finirono col determinare la loro tendenza eminentemente ostile alle popolazioni cristiane dell'Europa. E come sempre e più che mai, essi risposero ad una oppressone stupida, crudele ed iniqua, con uno sfruttamento accanito.
"Con la Chiesa cattolica ed i papi spartirono l'onore di aver per primi intuito l'onnipotenza del denaro, e centuplicarono questa potenza creando quella del credito. Le prime lettere di cambio ed i primi biglietti di banca furono, come si sa, emessi da degli Ebrei d'Italia e, grazie alle relazioni di questi con gli Ebrei di tutti gli altri paesi, questi strumenti di credito si diffusero in tutta l'Europa. Con la creazione del credito, gli Ebrei diedero un'anima al commercio internazionale, che cominciò a svilupparsi già a partire dal dodicesimo secolo, e, fin dall'inizio, essi divennero i padroni quasi esclusivi di questa anima.
"Con il credito nacque o meglio si sviluppò, in una spaventosa proporzione l'usura, questa piaga sempre sanguinante dei proprietari nobili prima, e più tardi delle popolazioni agricole. Nell'occidente dell'Europa, vi sono ancora molti paesi in cui i contadini proprietari o non proprietari sono letteralmente divorati dagli Ebrei; ma è soprattutto nell'Europa orientale, nei paesi slavi ed ungheresi dell'Austria, nel granducato di Posen, in Prussia, in tutta la Polonia, la Lituania e la Russia Bianca qui compresa, in Moldavia e in Valacchia, che lo sfruttamento ebraico esercita i suoi saccheggi più spietati e più eccessivi. Così, in tutti questi paesi, il popolo detesta gli Ebrei. Esso li detesta al punto che tutte le rivoluzioni popolari sono accompagnate da un massacro di Ebrei: conseguenza naturale, ma che non è per niente adatta a fare degli Ebrei dei partigiani della rivoluzione popolare e sociale.
"Così occorre dire che gli Ebrei, in tutti i nostri paesi orientali, sono essenzialmente dei conservatori. Poiché la civiltà, così come esiste ovunque oggi, significa lo sfruttamento sapiente del lavoro delle masse popolari a profitto delle minoranze privilegiate, gli Ebrei sono partigiani sfrenati della civiltà. E poiché i grandi Stati burocratici e centralizzati sono nello stesso tempo la conseguenza e la condizione e anche il coronamento necessario di questo sfruttamento formidabile, essi sono partigiani ad ogni costo dello Stato. Essi hanno naturalmente in orrore lo scatenamento delle masse popolari, e non sono per niente anarchici.
"Una cosa ugualmente degna di nota, è che, in tutti i paesi dell'Europa orientale, gli Ebrei hanno adottato il tedesco come lingua nazionale; ciò fa sì che i nostri Cosacchi s'immaginano molto seriamente che gli stessi Tedeschi altro non siano che Ebrei battezzati. Gli Ebrei sono così diventati in qualche modo i rappresentanti ed i pionieri della civiltà tedesca, dell'ordine, della disciplina e dello Stato tedesco in questi paesi più o meno barbari dell'Europa orientale: strumento prezioso e potente che Bismarck, certamente, non disprezzerà.
"Quando nel 1848 i contadini del granducato di Posen si sollevarono in nome della nazionalità polacca, ci fu un terribile subbuglio fra gli Ebrei di questo ducato, di cui gli antenati, sia detto fra parentesi, erano stati ricevuti con ospitalità dalle popolazioni polacche, mentre erano stati crudelmente perseguitati in tutti gli altri paesi. Accorsero in massa a Konigsberg, a Breslavia, a Berlino, lanciando grida di disperazione, giurando sul loro Jehovah che erano Tedeschi, che volevano vivere e morire come Tedeschi, e che di conseguenza tutte queste province polacche dovevano essere dichiarate al più presto parti integranti della Germania. A queste grida patriottiche, tutti gli Ebrei della Germania risposero con un grido fraterno, e favorendo l'appetito pangermanico, onnivoro, della borghesia tedesca pura, gridarono tanto che l'Assemblea nazionale di Francoforte, composta dai più sapienti capoccioni della Germania, finì col decretare, in effetti, la germanizzazione violenta di tutte quelle antiche province della Polonia, senza dubbio per la maggior gloria della civiltà umanitaria e della giustizia internazionale.
"Ho detto che gli Ebrei dell'Europa orientale sono nemici giurati di ogni rivoluzione veramente popolare, ed io penso che si possa dire la stessa cosa degli Ebrei dell'Europa occidentale, senza alcuna ingiustizia, e con pochissime eccezioni. L'Ebreo è borghese, cioè sfruttatore per eccellenza. Come abbiamo appena visto, tutta la sua storia l'ha fatto tale: sfruttatore in qualunque condizione e sotto qualsiasi forma. Nei paesi barbari dove la borghesia indifesa non esiste, e dove non vi sono che i due estremi, il nobile proprietario da un lato e il contadino lavoratore dall'altro, gli Ebrei divengono gli intermediari obbligati, sfruttando, in una maniera senza dubbio differente, l'uno e l'altro, e nei paesi più civilizzati, essi formano un ceto a parte che tende a confondersi oggi più o meno con la borghesia indigena, mai con il popolo.
"Anche questa mescolanza con la borghesia del paese nativo è piuttosto apparente che reale. In fondo, gli Ebrei di ogni paese, non sono realmente amici che con gli Ebrei di tutti i paesi, indipendentemente da ogni differenza che può esistere nelle loro posizioni sociali, il grado della loro istruzione, le loro opinioni politiche ed i loro culti religiosi. Non è più il culto superstizioso di Jehovah che costituisce oggi l'Ebreo; un Ebreo battezzato non è con ciò meno Ebreo.
"Vi sono degli Ebrei cattolici, protestanti, panteisti ed atei, degli Ebrei reazionari, liberali e persino degli Ebrei democratici e degli Ebrei socialisti. Innanzi tutto, essi sono degli Ebrei, e questo fatti stabilisce fra tutti gli individui di questa razza singolare, attraverso tutte le opposizioni religiose, politiche e speciali che li separano, una unione e una solidarietà mutuali e indissolubili. È una catena potente, largamente cosmopolita e strettamente nazionale allo stesso tempo, nel senso della razza, e che lega tra loro i re della Banca, i Rotschild, o le intelligenze scientificamente superiori, con gli Ebrei ignoranti e superstiziosi della Lituania, dell'Ungheria, della Romania, dell'Africa e dell'Asia. Io non penso che oggi esista un solo Ebreo che non sussulti di speranza e di orgoglio quando sente pronunciare il nome sacro dei Rotschild.
"L'illustre statista tedesco Kolb pensa che ci siano oggi circa 7 milioni di Ebrei che professano la religione ebraica nel mondo. Soggiungiamo due o tre milioni di Ebrei più o meno battezzati, e avremo una nazione di dieci milioni che, benché sparsa in tutti i paesi della terra, resta più strettamente unita di quanto non lo sia la maggior parte delle nazioni politicamente centralizzate. Non è forse questa una formidabile potenza? E questa potenza è stata creata da più di 25 secoli di persecuzioni. Soltanto la libertà più ampia potrà dissolverla; ma per raggiungere questo fine, occorreranno ancora molti secoli.
"Si parla del carattere indelebile del prete cattolico. Ma più ancora indelebile è il tipo ebreo, non soltanto in rapporto al suo aspetto, che colpisce a prima vista, ma anche forse ancora di più dal punto di vista delle facoltà e delle tendenze intellettuali e morali.
"Largamente cosmopolita e nello stesso tempo strettamente nazionalista: questo il primo aspetto. Borghese e sfruttatore dalla testa ai piedi, e istintivamente avverso ad ogni reale emancipazione popolare: ecco il secondo. Conseguenza naturale: egli è partigiano ad ogni costo della civiltà borghese, dell'ordine borghese, del dominio della banca e della potente centralizzazione degli Stati. Egli non lo è solo per interesse, lo è anche per convinzione sincera. Ogni Ebreo, per quanto illuminato sia, conserva il culto tradizionale per l'autorità: è l'eredità della sua razza, il segno manifesto della sua origine orientale.
"Molto realista nei suoi interessi di ogni giorno, l'Ebreo è eminentemente idealista nel suo intimo. Che sia il terribile Jehovah o il vitello d'oro, l'intelligenza scientifica ed astratta o la potenza oppressiva dello Stato, deve adorare una astrazione qualunque, molto più che questa astrazione si trasforma presto in motivo o in pretesto per sfruttare le masse, questa carne vivente eternamente sacrificata al trionfo di tutte le religioni:, di tutte le astrazioni e di tutti gli Stati.
"L'Ebreo è dunque autoritario per posizione, per tradizione e per natura. È una legge generale che ammette pochissime eccezioni, e queste eccezioni stesse, quando le si esamini da vicino, confermano la regola. La rivolta, origine di ogni libertà, è estranea al genio di questo popolo; esso l'ha stigmatizzata e maledetta una volta per tutte nella figura di Satana. Esso si è sollevato qualche volta contro Jehovah, ma per adorare il vitello d'oro, l'alter ego, il complemento necessario di Jehovah.
"In questo culto dell'autorità e della disciplina regolamentare, gli Ebrei non sono stati eguagliati ,in Europa, che dalla borghesia tedesca. Schiavi appassionati e convinti, il borghese così come il nobile tedesco curvano volentieri a tedesca davanti al loro sovrano e davanti ad ogni funzionario pubblico, militare o civile, rappresentante visibile della potenza del sovrano. Gli Ebrei, pur restando ossequiosi a tutti i poteri stabiliti nei paesi in cui vivono, cercano di preferenza le loro autorità ed i loro capi in mezzo agli uomini più potenti e più intelligenti della loro razza. Essi le deificano, li adorano, e ciò costituisce a profitto di questi capi una vera potenza.
"Le grandi intelligenze non sono mai mancate al popolo ebraico, una delle razze più intelligenti della terra. Senza parlare dei grandi anonimi di cui qualche vestigia ci è pervenuta sotto il nome di Gesù e dell'apostolo Paolo, e che hanno dato una nuova religione all'Europa, a considerarne solo i tempi più moderni, noi incontriamo, nel diciassettesimo secolo, la bella figura di Spinoza, l'ultimo ebreo perseguitato per la sua razza, e, nel diciottesimo secolo, quella di Mendelssohn, il nobile amico di Lessing. Il nostro secolo è ricco di Ebrei illustri. Ai primi ranghi vengono, senza dubbio, i Rotschild, i re dei re, gli arbitri della pace e della guerra in Europa. A fianco di questi brillano nel mondo musicale, i nomi di Meyerbeer, di Mendelssohn; nella letteratura politica e nella poesia, quelli di Boerne e di Heine. Infine, ai nostri giorni, il rispettabile capo del radicalismo tedesco, Jacoby, e l'eminente scrittore socialista, il principale promotore dell'Associazione internazionale dei lavoratori, Karl Marx. Poche nazioni hanno prodotto altrettanti uomini rimarchevoli in un così corto spazio di tempo.
"Ciò che caratterizza la situazione di questi illustri uomini moderni che onorano il nostro secolo, è che lontano dall'essere perseguitati e crocifissi per la loro razza, come lo furono un tempo i loro grandi predecessori, gli Spinoza, i Gesù Cristo, gli apostoli, San Paolo, essi sono, al contrario, profondamente rispettati, adorati e glorificati. E ciò con piena giustizia, perché sono delle intelligenze potenti e che fanno onore alla loro razza.
"Ma, a fianco di questi grandi spiriti, ci sono le piccole persone insignificanti, una folla innumerevole di piccoli Ebrei, banchieri, usurai, industriali, commercianti, letterati, giornalisti, politicanti, socialisti e sempre speculatori. Questi rivendono al dettaglio ciò che altri producono all'ingrosso, e vivono, come Lazzaro il povero, dei resti della tavola sontuosa dei loro padroni, di cui sono sempre i sudditi molto umili e molto adulatori: gente nervosa ed inquieta, spinta da un lato, dal bisogno, e, dall'altro, da quella attività sempre irrequieta, da quella passione per i compromessi e da quell'istinto di speculazione, così come da quella meschina e vanitosa ambizione che formano i segni distintivi della razza. Sono loro che si sono impadroniti oggi del giornalismo tedesco, che pullulano come capi subalterni nel Partito della democrazia socialista operaia, a gran detrimento del proletariato della Germania. Essi si chiamano Maurice Hess, Borkheim, Liebknecht, e molti altri nomi più o meno sconosciuti.
"Essi hanno trasformato il giornalismo tedesco in una arena di fango. Non conoscono altre armi che il fango. Insinuazioni nello stesso tempo vili e perfide, menzogne odiose e stupide, la sporca calunnia, ecco ciò che costituisce la loro polemica giornaliera. Si direbbe che essi non si nutrano se non di sporcizia, come certi insetti che si propagano sulle strade, in estate! Non domandate oro né giustizia, né onestà, né logica nelle idee. Tutto ciò non esiste per loro, essi non conoscono che l'adulazione per gli uni e per tutti gli altri l'ingiuria…"
Dicevamo che la posizione di Bakunin circa la questione ebraica non ci sembra tacciabile di antisemitismo, poiché nella sua critica puntuale egli non tocca mai l'ambito razziale, ma solo ed esclusivamente quello economico-sociale e, di conseguenza, quello politico. Da anarchico, egli vede negli Ebrei i rappresentanti di un ceto medio particolarmente vorace e parassitario, nonché i più accaniti sostenitori dell'ordine borghese costituito in Stato. In particolare, avendo svolto un ruolo di qualche importanza nella rivoluzione tedesca del 1848, Bakunin aveva potuto osservare in loco l'atteggiamento politico degli Ebrei tedeschi, e ne era rimasto doppiamente dispiaciuto: in quanto conservatori e in quanto fautori del pangermanesimo, a danno delle minoranze polacche delle province orientali (Slesia, Posnania, Prussia Orientale).
Il suo giudizio, pertanto, è che essi sono anti-rivoluzionari per una schietta logica di classe; e, da tale punto di vista, sarebbe rimasto certo assai sorpreso, se fosse vissuto fino al 1917, nel vedere quanti Ebrei avrebbero ricoperto posizioni di responsabilità nello stato maggiore bolscevico. O forse no. Forse, le drammatiche vicissitudini della Prima Internazionale, in cui l'ebreo Marx era riuscito a scacciarne l'ala anti-autoritaria, sia pure al prezzo di sfasciare completamente la sua stessa creatura (fra l'altro, trasferendone la sede dall'Europa agli Stati Uniti d'America) gli avevano già mostrato la loro duttilità, riassumibile nella frase, testé citata, "Vi sono degli Ebrei cattolici, protestanti, panteisti ed atei, degli Ebrei reazionari, liberali e persino degli Ebrei democratici e degli Ebrei socialisti…" Ma l'Ebreo, comunque, per Bakunin è un "borghese e sfruttatore dalla testa ai piedi, e istintivamente avverso ad ogni reale emancipazione popolare. (…) L'Ebreo è dunque autoritario per posizione, per tradizione e per natura".
Può essere un giudizio sbagliato, ma è un giudizio essenzialmente politico e non razziale.

Da Arianna Editrice (http://www.ariannaeditrice.it) (2007) - See more at: Bakunin e la questione ebraica | Cultura | Rinascita.eu - Quotidiano di Sinistra Nazionale (http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=15417#sthash.ds4vMyLH.dpuf)

Josef Scveik
10-02-14, 16:53
E' tornato tercerista con uno die suoi tanti travestimenti. Bene, prima di tutto ha modificato il titolo dell'articolo che è Bakunin e gli ebrei e non Bakunin antisemita, poi ha rifilato tutto il polpettone senza confidando che in pochi avrebbero letto tutto.

Evidenzio una parte dellarticolo che confuta al 100% la stupida tesi del nostro amico clone:
A noi sembra chiaro che Bakunin, quando denuncia l'invadenza ebraica nei centri nevralgici europei e mondiali, non scivola però affatto nell'antisemitismo; non più di quanto potrebbe essere accusato di sentimenti razzisti verso tutti i Siciliani colui che denunciasse, poniamo, la massiccia diffusione nazionale e internazionale della mafia. Piuttosto, per comprendere a pieno l'atteggiamento di Bakunin nei confronti degli Ebrei, bisogna tener presenti le sue forti pregiudiziali antireligiose, sulle quali poggiava tutta la sua concezione filosofico-politica (sintetizzabili nella celebre frase: Se Dio esiste, l'uomo è schiavo; ma Dio non esiste, dunque l'uomo è libero). Negli Ebrei egli vedeva pertanto i depositari di una tradizione religiosa connotata, a suo parere, dal massimo fanatismo e dalla massima intolleranza nei confronti degli altri popoli e degli altri culti; una tradizione che era stata perseguitata ma che era stata anche, a sua volta, persecutrice. L'ateo Bakunin non poteva vedere, perciò, nel giudaismo se non la forma più acuta di aberrazione religiosa, quella sfociante della dottrina del "popolo eletto" e dei suoi sacri ed egoistici diritti, sopra tutti e a dispetto di tutti.

Nihil88
10-02-14, 17:11
E' tornato tercerista con uno die suoi tanti travestimenti. Bene, prima di tutto ha modificato il titolo dell'articolo che è Bakunin e gli ebrei e non Bakunin antisemita, poi ha rifilato tutto il polpettone senza confidando che in pochi avrebbero letto tutto.

Evidenzio una parte dellarticolo che confuta al 100% la stupida tesi del nostro amico clone:
A noi sembra chiaro che Bakunin, quando denuncia l'invadenza ebraica nei centri nevralgici europei e mondiali, non scivola però affatto nell'antisemitismo; non più di quanto potrebbe essere accusato di sentimenti razzisti verso tutti i Siciliani colui che denunciasse, poniamo, la massiccia diffusione nazionale e internazionale della mafia. Piuttosto, per comprendere a pieno l'atteggiamento di Bakunin nei confronti degli Ebrei, bisogna tener presenti le sue forti pregiudiziali antireligiose, sulle quali poggiava tutta la sua concezione filosofico-politica (sintetizzabili nella celebre frase: Se Dio esiste, l'uomo è schiavo; ma Dio non esiste, dunque l'uomo è libero). Negli Ebrei egli vedeva pertanto i depositari di una tradizione religiosa connotata, a suo parere, dal massimo fanatismo e dalla massima intolleranza nei confronti degli altri popoli e degli altri culti; una tradizione che era stata perseguitata ma che era stata anche, a sua volta, persecutrice. L'ateo Bakunin non poteva vedere, perciò, nel giudaismo se non la forma più acuta di aberrazione religiosa, quella sfociante della dottrina del "popolo eletto" e dei suoi sacri ed egoistici diritti, sopra tutti e a dispetto di tutti.


La parte in rosso è stata scritta dai "fascisti" di ariannaeditrice e poi ripresa dai nazi-maoisti di Rinascita. Tu la condividi, quindi sei un fascista anche tu.

Josef Scveik
10-02-14, 20:20
La parte in rosso è stata scritta dai "fascisti" di ariannaeditrice e poi ripresa dai nazi-maoisti di Rinascita. Tu la condividi, quindi sei un fascista anche tu.

Non c'è traccia di antiemitismo perchè Bakunin ha condivio lotte ed esperienze con tantissimi ebrei. Ti sei inventato un titolo per far credere una cosa che gli stessi articolati hanno ben precisato: Bakunin non era antisemita.

Nihil88
10-02-14, 21:52
Tu dai ragione a quelli di Arianna e di Rinascita. Quindi sei un fascista. Sei caduto nella mia trappola e t'ho smascherato.

PS: Che faccia da ebete il Raymond che hai nell'avatar.

Nihil88
10-02-14, 22:02
E comunque non ho capito perché Mr. Bakunin può generalizzare sugli ebrei ma il comune cittadino italiano non può fare altrettanto con rom o simili. Forse perché tu hai una mentalità FASCISTA e pensi che determinati individui (tuoi maestri) siano superiori alla gente comune.