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Visualizza Versione Completa : Nodi di un semestre (Uno sguardo al quadro politico italiano)



amaryllide
12-07-14, 03:06
I 6 mesi di presidenza italiana della UE sono appena iniziati. Questo semestre è stato caricato di aspettative che vanno ben oltre i poteri di un'ordinaria presidenza di turno. Tuttavia, in parte proprio anche per queste attese, ma soprattutto per la delicatissima situazione economica, nonché per le promesse diffuse a piene mani da Renzi, le vicende dei prossimi mesi ci diranno molte cose tanto sul futuro dell'UE quanto su quello del nostro Paese.

Con le recenti elezioni per il parlamento di Strasburgo si è registrata una forte perdita di consensi, non solo verso le politiche europee, ma più in generale verso l'intero progetto europeista. Oggi i fautori di una maggiore integrazione politica, per non parlare di quelli apertamente federalisti, sono in grande difficoltà, mentre i vertici politici dell'Unione sono costretti a navigare a vista.

Se il risultato elettorale inglese, seguito dal no del governo di Londra alla designazione di Juncker alla guida della Commissione, disegna un percorso di allontanamento della Gran Bretagna dall'UE; la netta sconfitta delle forze europeiste in Francia - paese da sempre centrale nella costruzione europea - ha un peso e delle conseguenze ancora maggiori.

E' in questo quadro assai critico che è iniziato il confronto sulle future politiche europee. Le scontatissime "larghe intese" tra PPE, PSE ed ALDE non riescono certo a nascondere lo scontro di interessi in atto tra i paesi del nord Europa (Germania in primis) e quelli dell'area mediterranea.

Anche se nessun governo mette apertamente in discussione i vincoli europei, neppure quelli più stringenti del Fiscal Compact, la loro sempre più evidente insostenibilità per le economie del sud è destinata ad acuire le già palesi contraddizioni interne all'Unione, ed all'Eurozona in particolare.

Niente fa pensare che il blocco eurista dominante abbia intenzione di venire meno ai suoi dogmi monetaristi, né di modificare nella sostanza le politiche liberiste di rigore ed austerità imposte ai paesi maggiormente indebitati. Questo cambiamento non può esservi perché aprirebbe le porte al fallimento dell'intero progetto incentrato sulla moneta unica: quello di un’Europa oligarchica, antidemocratica e imperialistica a guida tedesca. L'euro non è, quindi, semplicemente una moneta, è lo strumento essenziale, non solo per ridurre in schiavitù i lavoratori salariati, ma anche per mettere in riga i settori recalcitranti delle borghesie nazionali, ed infine per privare gli Stati delle loro residue facoltà sovrane.

Le oligarchie dominanti non intendono certo rinunciare a questo sistema, che è servito a realizzare la più grande devastazione sociale dal 1945 in poi, con uno spostamento di quote di ricchezza (e di potere) verso l'alto che non ha precedenti. Per non incepparsi del tutto, questo sistema di dominio classista ha bisogno di realizzare una decisa convergenza delle politiche fiscali e di bilancio. Ecco perché non può rinunciare, salvo qualche modesto aggiustamento, al Fiscal Compact.

Sbaglia quindi chi pensa di poter dire no all'austerità senza rimettere in discussione l'intero sistema imperniato sull'euro.

Su questi nodi andrà a sbattere lo stesso governo Renzi. L'illusione di poter "cambiare verso" all'Europa è destinata ad evaporare assai presto. Restano semmai da capire le possibili conseguenze di questo impatto con la realtà.

Finora Renzi ha potuto muoversi come un teatrante consumato qual è, dicendo una cosa e facendo esattamente l'opposto. In primavera, mentre a parole chiedeva un allentamento dei vincoli, varava un Documento di Economia e Finanza (DEF) perfettamente allineato con la tabella di marcia del rientro del debito prevista nel Fiscal Compact. Pochi giorni fa, pur continuando a tuonare contro il rigore, sottoscriveva l'anticipo dell'obiettivo del pareggio di bilancio "strutturale" al 2015, rinunciando alla precedente richiesta di spostarlo al 2016. Il tutto condito dall'accettazione dell'oltranzista filo-tedesco Juncker alla testa della Commissione.

Il tempo di questi giochini sta però per scadere. La promessa senza la quale non avrebbe potuto stravincere le elezioni europee, quella della "fine dell'austerità", emblematizzata nella mossa degli "80 euro", sta per avvicinarsi a scadenze non aggirabili. Le richieste di maggior flessibilità, la penosa ricerca di questa o quella voce di spesa da scorporare dal computo del deficit e del debito non risolvono alcun problema. Al di là del fatto che per ora nessun risultato concreto è stato ottenuto in sede europea, resta il macigno delle regole di bilancio imposte dal Fiscal Compact che Renzi si guarda bene dal mettere in discussione.

Alla fine dell'estate - in un quadro economico segnato peraltro da una recessione senza fine - una scelta si imporrà. Il rispetto dei vincoli europei impone infatti una manovra finanziaria per il 2015 assai pesante. Se Renzi deciderà di attuarla come se niente fosse, la cosiddetta "luna di miele" con molti italiani finirà all'istante. Se invece deciderà di evitarla, magari passando anche da elezioni politiche anticipate, quel che non potrà più eludere sarà uno scontro aperto con l'Unione Europea.

Nel primo caso avremo un repentino indebolimento del governo sul fronte interno, nel secondo una forte acutizzazione della crisi europea. In un caso, come nell'altro, è necessario che le forze che si battono contro l'euro e contro l'Unione Europea siano in campo con una proposta politica. Al tempo stesso è sempre più urgente che tra queste forze più avanzate, e quelle che comunque si battono contro le politiche dell'UE, si realizzi un'unità d'azione sul terreno della ferma opposizione al Fiscal Compact.

In questo senso, il Coordinamento della sinistra contro l'euro decide di partecipare alla raccolta di firme, iniziata nei giorni scorsi, per il referendum contro il Fiscal Compact, con il quale si intendono abrogare alcune parti della Legge 243 del 2012 sul pareggio di bilancio. Questo referendum ha diversi limiti: alcuni oggettivi, derivanti dalla stessa legge che regola i referendum abrogativi; altri politici, frutto della visione politica europeista di alcuni dei promotori. Tuttavia, arrivare al referendum sarebbe in ogni caso un grande successo politico. Al di là dei limiti richiamati si tratterebbe infatti del primo pronunciamento popolare sull'Unione Europea, sulle sue regole e, sia pure indirettamente, sulla stessa moneta unica.

Grande sarebbe la possibilità di assestare un duro colpo alle oligarchie europee ed allo stesso governo Renzi. Ovviamente, per noi, questo referendum ha senso solo se inserito in una visione più ampia. Per questo raccoglieremo le firme dentro la cornice della battaglia più generale per l'uscita dell'Italia dall'euro e dall'Unione Europea, per quella che noi chiamiamo uscita da sinistra, accompagnata cioè da una serie di misure (moratoria sul debito pubblico, nazionalizzazione delle banche, piano per il lavoro) che prospetti uno sganciamento dal sistema del capitalismo-casinò e la difesa degli interessi delle classi popolari.

Al tempo stesso non bisogna sottovalutare il disegno antidemocratico ed autoritario che Renzi porta avanti con le riforme istituzionali e con la nuova legge elettorale. Su questo fronte bisogna opporsi sia al Senato non elettivo, che ad un sistema elettorale disegnato attorno al dogma della "governabilità". In questo senso consideriamo inaccettabili le ultime mosse del M5S; mosse che rischiano di portare quella che è rimasta l'unica opposizione parlamentare dentro il pantano di una discussione ben recintata a priori dal patto Renzi-Berlusconi.

I principi democratici e costituzionali non sono per noi negoziabili. Il principio "una testa, un voto", che può trovare attuazione solo nel sistema proporzionale, va dunque difeso con ogni mezzo.


Comitato operativo del Coordinamento della sinistra contro l'euro

Gianky
15-07-14, 08:40
REFERENDUM CONTRO IL FISCAL COMPACT. Noi ci siamo! di Segreteria nazionale del Mpl





http://1.bp.blogspot.com/-lugR95L-lTM/U7z507kUO9I/AAAAAAAANcY/cTxYU5ovE2I/s1600/abroghiamo-l'austerita%CC%80.jpg (http://1.bp.blogspot.com/-lugR95L-lTM/U7z507kUO9I/AAAAAAAANcY/cTxYU5ovE2I/s1600/abroghiamo-l'austerita%CC%80.jpg)
Il 3 luglio ha preso avvio la raccolta di firme per un referendum che, almeno nelle intenzioni del comitato promotore (http://www.referendum243.it/) , è contro il Fiscal compact e le politiche di austerità.

Il Fiscal compact venne approvato il 2 marzo 2012 da 25 dei 27 governi dell’Unione europea. Il Patto, mentre obbligava gli Stati ad adottare politiche economiche e di bilancio draconiane, forniva alla Commissione europea, suprema cupola dei poteri oligarchici neoliberisti, l’ultima parola sulla validazione delle politiche di bilancio degli Stati nazionali, sottraendo ad essi gli ultimi scampoli di sovranità politica.

Le oligarchie europee giustificarono il Patto sostenendo che era la sola terapia in grado di salvare capra e cavoli, ovvero: ridurre i debiti pubblici, “uscire dalla crisi e innescare una “sana crescita economica”, evitare la frammentazione dell’Unione europea, sventare il tracollo del sistema bancario e il definitivo collasso dell’euro.

Due anni sono passati, il bilancio è sotto gli occhi di tutti. I cavoli li hanno salvati ma la capra è moribonda. Dei cinque obbiettivi due sono stati raggiunti, ma a spese degli altri tre. Le politiche austeritarie di rapina avendo ingrassato la finanza predatoria globale, hanno sì temporaneamente evitato crack bancari a catena e la dipartita dell’euro, ma hanno aggravato in modo spaventoso la crisi economica, hanno fatto lievitare i debiti pubblici, ed hanno infine approfondito le disparità in seno alla “dis-Unione europea”.

Il Parlamento italiano non si limitò ad approvare il Fiscal compact con una legge ordinaria. Fece di peggio. Nell’aprile 2012, su richiesta del Governo Monti (Pd+Pdl+Terzo Polo) e sotto la regia di Napolitano, modificò in fretta e furia l’Art. 81 della Costituzione, inserendovi il principio del pareggio di bilancio obbligatorio. Il 24 dicembre 2012, governo Monti dimissionario, la stessa maggioranza approvò, con clausole addirittura peggiorative, la legge attuativa dell’Art. 81 così come modificato in aprile.

Essendo inibita la possibilità di sottoporre a giudizio popolare i trattati internazionali: ed essendo che un referendum costituzionale è possibile soltanto previa maggioranza favorevole dei 2/3 del parlamento; i quattro quesiti referendari su cui si stanno raccogliendo le firme intendono abrogare alcune parti della Legge 243 del 2012.

I limiti e le tare di questo referendum sono evidenti. L’eventuale abrogazione delle parti in questione della Legge 243 del 2012, non obbligherebbero Parlamento e governo ad una radicale inversione di rotta rispetto alle politiche di massacro sociale. Questa inversione implicherebbe infatti non solo riconsegnare al Parlamento italiano la sua piena sovranità in fatto di politica economica e di bilancio (togliendola quindi alla Commissione europea), ma pure che lo Stato si riprenda la sua piena sovranità monetaria sottraendola alla Bce. Le dichiarazioni di fede europeista di alcuni dei promotori confermano i limiti di questo referendum.

Nonostante queste gravi lacune noi riteniamo che svolgere il referendum sarebbe un fatto politico positivo. Al di là dei limiti e dei tecnicismi esso assumerà oggettivamente il significato di un voto di massa contro l’austerità. Di più, in barba alle pie intenzioni dei promotori, la vittoria dei SI darebbe un colpo micidiale ai poteri oligarchici europei ed ai partiti che, senza alcun dibattito pubblico, hanno adottato il Fiscal compact sottoponendo il Paese ad un indecente regime di protettorato, darebbe infine una sberla anche al Governo Renzi e alla sua cosiddetta “austerità flessibile”.

Per questo il Mpl farà la sua parte nella raccolta di firme, affinché sia superata di slancio la soglia delle 500mila firme entro la fine di settembre. Ciò a maggior ragione mettendo nel conto la possibilità che la Corte Costituzionale si arroghi la facoltà di considerare “inammissibili” i quesiti referendari.

Parteciperemo alla raccolta di firme con spirito costruttivo ma critico, ribadendo che una volta che la grande maggioranza dei cittadini si saranno espressi contro l’austerità e il Fiscal compact, c’è una sola maniera per porre davvero fine al marasma economico e sociale e alle pene d’inferno che soffrono i cittadini, una sollevazione popolare che, mandati a casa i politicanti al servizio dei banchieri e della speculazione finanziaria, dia vita ad un governo di liberazione nazionale che adotti immediate misure d’emergenza tra cui: ripristino della sovranità monetaria, moratoria sul debito pubblico, nazionalizzazione del sistema bancario, un piano per la piena occupazione.

La Segreteria nazionale del Mpl
7 luglio 2014

sollevazione: REFERENDUM CONTRO IL FISCAL COMPACT. Noi ci siamo! di Segreteria nazionale del Mpl (http://sollevazione.blogspot.it/2014/07/referendum-contro-il-fiscal-compact-noi.html)

Gianky
15-07-14, 08:43
Ma qualcuno non sembra essere d'accordo..............


Alberto Bagnai

Su Twitter intravedo tracce di un referendum non capisco bene se sull'austerità o sul Fiscal compact, che porrebbe non so bene quale quesito, con non si sa bene quale scopo. La democrazia diretta, per carità, è una bellissima cosa. L'uso che se ne fa ultimamente suscita qualche perplessità, ma non vorrei entrare in un campo che non è il mio. Quanto a questo referendum, i promotori, va da sé, sono illustri o meno illustri ma comunque ottimi colleghi, tutte brave persone, ovviamente, tutte bene intenzionate, si capisce, e, non occorre dirlo, tutte animate dal desiderio di fare qualcosa. Mi spingo oltre (senza chiedere il permesso): sono animati, gli illustri e meno illustri ma sempre ottimi colleghi, da qualcosa di più di un desiderio. Quello che li anima è la smania ideologica di fare qualcosa, il qualcosismo, l'ideologia velleitaria e perdente dalla quale questo blog si è distanziato fin dall'inizio, per due ben precisi motivi che occorre ricordare a chi è appena arrivato: il primo è che la cosa più importante da fare, ora come sempre, è capire, e per capire non occorre scrivere il proprio nome su una qualche lista, occorre viceversa leggere i tanti bravi autori che da decenni ci hanno avvertito (http://goofynomics.blogspot.it/2011/12/euro-una-catastrofe-annunciata.html) del vicolo cieco nel quale ci stavamo mettendo. La seconda è che, per chissà quale motivo, capita che i fanatici del qualcosismo, ancorché tendano a vedersi e presentarsi come persone pure, animate dal nobile e disinteressato movente di fare qualcosa (“qualsiasi cosa!”) pur di “risolvere” la situazione, poi, quando vai a grattare, sotto sotto hanno sempre un interessante network di affiliazioni politicanti cui far riferimento, o hanno ambizioni politiche, sempre tutte legittime in quanto tali, ma non sempre molto condivisibili per il modo nel quale vengono portate avanti.
Un esempio fra tutti: mi pare di capire che fra i più illustri promotori di questo nobile referendum sul non si sa bene cosa vi sia uno che dopo aver per anni tuonato contro l’austerità, negando ultra vires il nesso fra questa e l’euro (https://www.youtube.com/watch?v=ECak82CXG4o), alle ultime politiche non ha trovato di meglio da fare che candidarsi col partito di Monti (benedetto da Boldrin). Ora dico: ma se vuoi salvare l’euro e le apparenza, almeno candidati con Tsipras, così fai lo stesso il gioco del capitale, ma almeno non vai incontro a sicura perdita, no? No. Perché la politica ha le sue regole. Se uno è nel tenure track, anche una sconfitta fa curriculum. Con il che capisci che quello non solo non difende un ideale (incoerente con i compagni di strada che si è scelto), ma non vuole nemmeno vincere: vuole solo esserci, essere nella compagnia di giro. E ci sarà.

Avendo appena postato sul blog di a/simmetrie (http://www.asimmetrie.org/category/opinions/) la versione inglese dell’articolo di Alberto Montero Soler sull’uscita dall’incubo dell’euro (http://www.asimmetrie.org/opinions/uscire-dallincubo-delleuro-le-asimmetrie-delleurozona/?lang=en), mi sento di condividere rapidamente con voi alcune considerazioni sul perché questo referendum sia, oltre che, come tutti vedono, una colossale presa in giro, anche un drammatico errore politico, e una tessera non trascurabile nel mosaico di scemenze “de sinistra” che stanno contribuendo all’accumulazione di violenza più massiccia nell’intera storia del nostro pur sufficientemente martoriato continente.

Perché alla fine ci stancheremo, questo è poco, ma sicuro.

Per farlo, però, non chiedetemi di perder tempo a leggere quale sia la proposta. Non ne vale la pena, perché le mie critiche sono a un livello preliminare, riguardano il significato di un’operazione simile, più che i suoi contenuti e le sue modalità di attuazione. Permettetemi invece di farvi leggere come presenta questo significato un amico che stimo, che vi prego di rispettare, e che, se vorrà, potrà intervenire nel dibattito (il quale, però, oggi non può più essere, almeno da parte dei “critici”, confinato nelle segrete stanze. Deve, cioè deve, essere reso pubblico e sottoposto al vaglio dei cittadini).

Uno dei più onesti fautori di questa farsa mi scrive:

“Nei riguardi del referendum tu sottovaluti quanto sarebbe comunque dirompente, se mai si andasse a un voto popolare, che una nazione si esprimesse contro il fiscal compact. Per la CGIL è già un enorme passo in avanti appoggiare una iniziativa del genere. Ma 600 mila firme sono una enormità. Capisco naturalmente le tue perplessità, ma una cosa è essere tiepidi ma dire comunque andate avanti, male non fa, un’altra è andare contro. Ma tu non sei per le mezze misure, io ahimè sì”.
Bene. Inutile dire chi sia, non solo per non violarne la privacy, ma anche perché temo che questo atteggiamento sia condiviso da tutti i fautori, in modalità sostanzialmente analoghe.
Dico “temo”, perché questo atteggiamento è, ahimè, sbagliato, sbagliatissimo.

Cerco di sintetizzare il perché in una frase, poi, se il tempo e la voglia ce lo consente, ci addentreremo nei dettagli: la proposta di referendum sull’euro è sbagliata perché da un lato propone una soluzione illusoria, e dall’altro alimenta una pericolosa illusione.

La soluzione illusoria
È del tutto illusorio pensare che un allentamento delle regole fiscali possa risolvere in qualche modo i problemi della periferia dell’Eurozona.

Intanto, va sempre ricordato che non ci sarebbe bisogno di alcuna modifica dell’attuale assetto istituzionale per godere di un minimo di libertà fiscale, e questo non solo perché, come ha spesso ricordato in Italia Giuseppe Guarino (http://www.asimmetrie.org/past-events/leuropa-alla-resa-dei-conti-roma-12-settembre-2013/), esistono forti dubbi sulla legittimità del Fiscal compact in quanto fonte normativa, ma anche perché, come ha ricordato Luciano Barra Caracciolo (http://www.asimmetrie.org/opinions/golden-rule-e-asimmetria-nellapplicazione-delle-regole-europee/) sul blog di a/simmetrie, i Trattati attuali prevedono comunque norme di salvaguardia che, purché si rispettasse la lettera e lo spirito dei Trattati stessi, consentirebbero a paesi in difficoltà di praticare politiche espansive. Quale sia il vantaggio in termini politici di piatire una cosa che ci spetta di diritto ai sensi dei Trattati europei (cioè la possibilità di fare politiche più espansive in caso di crisi) sinceramente continuo a non capirlo. Chi si fa pecora, il lupo se lo mangia. Ma questa saggezza i dispensatori di lezzioncine di saggezza politica pare non l’abbiano interiorizzata.

Al di là del pur rilevante quadro normativo e politico-strategico, che denuncia questa operazione come inutile e quindi perdente, la stretta, magari anche gretta, ma comunque irrinunciabile logica economica ci rivela un altro semplicissimo dato di fatto. La reattività dei flussi commerciali (esportazioni e importazioni) alla domanda interna è tale che qualsiasi manovra espansiva attuata in modo non coordinato dai paesi periferici si tradurrebbe in un aumento abnorme delle importazioni nette, determinando una nuova crisi di bilancia dei pagamenti. Questa, cari amici, è una nozione vecchia quanto il mondo, e che quindi i miei illustri o meno illustri colleghi non possono ignorare. Sentite come la mette uno “de passaggio” (e che dove passa fa danni non indifferenti), niente meno che Stanley Fischer:

“Any one country that expands will create a current account deficit; all countries expanding together avoid that problem (http://www.nber.org/papers/w2244)”

ovvero:

“Ogni paese che pratica una politica espansiva da solo andrà in deficit con l’estero; se tutti i paesi fanno politica espansiva insieme questo problema verrà evitato”.

Ve lo dico in un altro modo. I colleghi che chiedono il referendum sul fiscal compact, alla luce della pura logica economica, che lo capiscano o meno (non poniamo limiti alla Divina Provvidenza), che lo ammettano o meno (non lo ammetteranno mai), vi stanno chiedendo di aiutare la Germania. Eh sì! Perché la struttura delle elasticità al reddito delle importazioni italiane, come è noto in letteratura e come un recente e dettagliato studio condotto da a/simmetrie conferma (http://www.asimmetrie.org/opinions/impatto-di-un-riallineamento-del-cambio-sulleconomia-italiana/), è tale per cui il soldino che il governo si trovasse a spendere col permesso di mamma Merkel finirebbe per essere speso in parte non trascurabile nell’acquisto di beni prodotti in Germania (o nei suoi satelliti).

Una politica fiscale espansiva in Europa funzionerebbe se e solo se venisse praticata dalla potenza egemone, la Germania, che potrebbe tranquillamente praticarla, visto che nessuno glielo impedisce e che quando ha voluto essa ha sempre infranto le regole europee, come perfino quel simpatico caratterista ci ha ricordato qualche giorno fa (http://www.ilpost.it/2014/07/02/discorso-renzi-parlamento-europeo/). Quello che gli illustri non capiscono è quanto spiegano alcuni Alberti (Montero Soler e Bagnai, certo non Alesina): se questa politica espansiva la Germania non la pratica, un motivo ci sarà, no? E il motivo è che essa politica sarebbe consustanziale a una redistribuzione top-down del reddito che (ma guarda un po’ quant’è strana la vita) i capitalisti tedeschi, essendo ricchi e potenti, e comandando a casa propria (e anche altrui), non vogliono fare!

Ha più senso chiedere a chi è più forte di noi di fare una cosa che non vuole fare, o togliergli un’arma che gli consente di tenerci sotto scacco? E quest’arma è l’euro, non l’austerità, perché solo il ritorno a rapporti di cambio flessibili permetterebbe ai paesi del Sud di beneficiare di quella sostituzione delle importazioni dal Nord necessaria in caso di politiche espansive interne per evitare squilibri esteri pericolosi (come facciamo vedere nel nostro studio (http://www.asimmetrie.org/opinions/impatto-di-un-riallineamento-del-cambio-sulleconomia-italiana/), studio che è stato portato all’attenzione degli illustri colleghi, senza che nessuno degnasse prenderne atto).

Quindi la soluzione è illusoria in una duplice dimensione: politica e tecnica.

La dimensione politica è che l’austerità andrebbe allentata dove non esiste una volontà politica per farlo, dato che allentarla significherebbe per le classi dominanti e per l’intero paese perdere la propria posizione di privilegio, cioè al Nord. La dimensione tecnica è che, se il Nord non asseconda con sue politiche espansive quelle del Sud, la violazione di parametri fiscali al Sud servirebbe solo a dare ossigeno alle industrie del Nord (che ne hanno bisogno (http://articles.economictimes.indiatimes.com/2014-07-04/news/51076468_1_orders-official-data-capital-goods)) e a rimettere il Sud in mano ai creditori esteri (che questa volta starebbero ben attenti a far governare i propri crediti dal diritto britannico, in modo da evitare alla successiva crisi l’applicazione della Lex Monetae).

Quindi i simpatici qualcosisti propugnatori del referendum cooperano attivamente, che lo sappiano o meno, non al riscatto, ma alla svendita del nostro paese. Basta saperlo. Ci sarà tempo e modo per ringraziarli dell’aiuto.

La pericolosa illusione
Ma il problema non si esaurisce qui. Perché invocando clemenza (cosa politicamente perdente e inaccettabile) sul piano delle regole fiscali, i simpatici colleghi critici e meno critici, montiani e meno montiani, di fatto alimentano il frame all’interno del quale il grande capitale europeo ha gestito finora la crisi (per dirla con Lakoff (http://it.wikipedia.org/wiki/George_Lakoff)). In questo frame, in questa cornice di luoghi comuni, il responsabile ultimo della crisi è il settore pubblico. Come sapete, sono stato uno dei primi a chiarire in Italia che il debito pubblico con la crisi c’entrava ben poco. Ci ho aperto questo blog (http://goofynomics.blogspot.it/2011/11/i-salvataggi-che-non-ci-salveranno.html), ma mi ero sommessamente permesso di dirlo anche qualche mese prima (http://www.sbilanciamoci.info/Sezioni/globi/Se-cade-anche-il-muro-dell-euro-4411). L’attacco al debito pubblico ha ragioni chiaramente ideologiche che ho esposto qui (http://www.costituzionalismo.it/articoli/406/) (senza scoprire nulla di nuovo).

Ma vedete, così come Lakoff provocatoriamente chiede di “non pensare all’elefante” (dopo di che, ovviamente, ognuno di noi ha stampate in mente proboscide e orecchione flosce, e le porta con sé per un paio d’ore, tatuate nella propria dura madre), allo stesso modo i colleghi de cujus ci stanno chiedendo di “non pensare al debito pubblico”, di abolire l’austerità, perché Keynes ecc. Così facendo, però, non contestano, ma anzi avvalorano, sostanziano, corroborano, se pure subliminalmente, la tesi del grande capitale finanziario, la tesi delle istituzioni private sregolate e criminali che ci hanno messo nei guai, cioè la tesi che il problema sia il debito pubblico, e che però, date le circostanze, in effetti sarebbe opportuno essere un po’ clementi verso quei lazzaroni che l’hanno accumulato.

Il debito pubblico è un non-problema e quindi se ne dovrebbe non-parlare. Chi invece ne parla, per dirne male, o per dirne bene, sta facendo ovviamente il gioco di chi vuole spostare l’attenzione dalla luna al dito.

Se Goldman Sachs fosse quella specie di Spectre in grisaglia che i simpatici complottisti ci descrivono, se io fossi l’Ernst Stavro Blofeld della finanza mondiale, per proteggere la mia posizione di potere investirei un bel po’ di dindi in due cose: in un referendum sull’euro (per i motivi già esposti) e in un referendum sull’austerità: due belle armi di distrazione di massa, e quindi di distruzione di massa della democrazia, per di più compatibili con il politically correct e con la narrazione che della crisi il capitale ci ha imposto.

Ma la brutta notizia, amici cari, è che i complotti non esistono, e quindi nessuno ha speso nulla. Questi due schermi di protezione il grande capitale ha aspettato che si ergessero endogenamente, senza spendere una lira, ed attingendo alla materia prima più preziosa per il potere, ma assolutamente gratuita e disponibile con elasticità infinita: l’imbecillità umana.

E fosse solo che porre quesiti in termini di politica fiscale in un contesto giuridico che li rende superflui, in un contesto politico che li rende perdenti, in un contesto economico che li rende assurdi, fosse solo che porre simili quesiti in simili condizioni facesse il gioco del capitale... Ce la potremmo cavare con una battuta: potremmo dire che i qualcosisti non hanno interiorizzato un altro caposaldo della saggezza popolare, quello secondo il quale ci sono situazioni nelle quali se ti muovi fai il gioco del nemico.

Ma il problema non si esaurisce mica qui. Perché questo atteggiamento, e la contestuale proposta referendaria, sono politicamente dannose sotto tre ulteriori, gravissimi, sciagurati aspetti, che vale la pena di mettere in evidenza, anche per richiamarli all’attenzione di chi pensa che tanto “male non fa”...

Il primo, ovvio, è che nella misura in cui portando il dibattito sul piano fiscale ci si spalma sul frame del capitale finanziario (la colpa è dello Stato) e non si evidenzia il problema (l’assurdità di un sistema monetario centro-periferia che non ha precedenti nella storia umana), si contribuisce attivamente a soffocare il sorgere di quella coscienza di classe che Alberto Montero Soler tanto opportunamente invoca. Ed è proprio lui, se leggete quello che ha scritto, a denunciare il carattere contraddittorio di una sinistra che si appella ancora alle classi popolari, in termini puramente di facciata, ma che deroga dal dibattito, impedendo che queste classi maturino una vera coscienza dei veri problemi. Ricordate Eurodelitto ed eurocastigo (http://goofynomics.blogspot.it/2012/02/eurodelitto-ed-eurocastigo.html)? “I nostri non sono ancora pronti”. Ecco: l’atteggiamento sottostante è questo. Anzi, no, non “è questo”: “è ancora questo”, dopo che un’esperienza divulgativa come quella di questo blog ha fatto capire ai fini politici e colleghi “de sinistra” (attirandosi il loro sterile e grottesco odio), che “er popolo”, si je parli, te capisce, anche quando parli in linguaggio aulico ed accademico.

Perché, come spiega Edgar Allan Poe, la paura è una grande didatta.

Additando dei falsi scopi (l’austerità invece dell’euro, il colpo di tosse invece del batterio), la sinistra partitica soffoca il maturare di una coscienza di classe e così continua ad alimentare il bacino elettorale della destra partitica (per favore: ho aggiunto l’aggettivo partitica perché non mi rompiate i coglioni col fatto che oggi non c’è più destra e sinistra e non ci sono le mezze stagioni, chiaro? Chiaro? Sicuri che è chiaro? Bene...), alimentare, dicevo, il bacino elettorale della destra partitica, il che sarebbe anche fisiologico (per quando da me non desiderato, se pure esattamente previsto (http://www.sbilanciamoci.info/Sezioni/globi/L-uscita-dall-euro-prossima-ventura-9819)), ma soprattutto a porre le basi per una colossale, travolgente, devastante esplosione di violenza.

Il sangue dei prossimi morti è in capo a chi propugna false soluzioni ritardando la presa di coscienza dei veri problemi.

Il secondo aspetto è che questo atteggiamento attivamente fomenta la violenza intraeuropea, perché avvalora la tesi secondo la quale l’euro sarebbe una bella cosa, fallita per colpa dell’austerità voluta dei tedeschi. Si realizza, attraverso questo referendum, il paradosso che ho più volte denunciato in questo blog, quello secondo il quale chi si atteggia a europeista di fatto per difendere la moneta unica deve chiamare alle armi contro la Germania, sotto forma di “sbattimento di pugni”, di risentimenti vari assortiti per i vari misfatti veri o presunti della Germania (dall’infrazione del patto di stabilità al non aver onorato i debiti di guerra dopo la seconda guerra mondiale), ecc. Poi i populisti e gli antitedeschi saremmo noi, che, se abbandonati in una qualsiasi cittadina di quel nobile e altresì martoriato paese, potremmo amabilmente conversare con chiunque incontrassimo, laddove loro, gli europeisti, morirebbero di fame nella vana ricerca di un ristorante che gli servisse degli spaghetti al dente...

Ma c’è un ulteriore, gravissimo, ma anche beffardo, motivo per il quale i colleghi “de sinistra” sbagliano, e sbagliano di grosso, a proporre soluzioni illusorie. Posso anche capire che se sono molto “de sinistra” il piccolo imprenditore sia vissuto da loro come un nemico, e le sue oscillazioni isocrone, nel freddo di un capannone abbandonato, come il giusto guiderdone della Storia nei riguardi del nemico di classe (capire non è condividere). Posso anche capire che, se invece sono poco “de sinistra”, essi sperino che nei loro tinelli o salotti buoni il vento della crisi non soffierà mai, e che basterà dire “mangino brioche” o “violino i parametri” perché i sanculotti non vengano a cercarli. Insomma: posso capire che da “sinistra” o da “meno sinistra” sia lecito battersene il belino di tanti morti, pur esibendo quella simpatica smania di fare, di essere costruttivi e propositivi che ho chiamato il qualcosismo.

Ma di una cosa temo, cari illustri e meno illustri, che vi sarà difficile fottervene, e non mi riferisco al vostro prossimo. Mi riferisco al fatto che, vedete, voi che avete fatto il percorso, quattro anni fa siete stati sorpassati a sinistra da un keynesianello di provincia (et in Pescara ego); l’anno scorso siete stati sorpassati a sinistra dal vicegovernatore della Bce (http://www.ecb.europa.eu/press/key/date/2013/html/sp130523_1.en.html), che a differenza di voi parla dei veri problemi; e quest’anno, da pochi giorni, siete stati sorpassati a sinistra perfino da quel dipartimento di economia che ha diffuso nel mondo l’ideologia austeriana, prendendosi sonori ceffoni da Krugman sulle colonne del New York Times. Ecco: oggi, mentre voi vi arrampicate sugli specchi per difendere l’euro, Tabby (http://www.liberoquotidiano.it/news/11646686/L-ex-rettore-Bocconi--.html) e Zingy (http://www.ilfoglio.it/articoli/v/98711/rubriche/euro-a-tutti-i-costi-no-saggio-anti-lite-del-pragmatico-zingales.htm) prendono saggiamente le distanze. Cosa, anche questa, da me ampiamente prevista nel mio libro. I cambi di regime vengono gestiti dal regime. E così uno come Zingy vi fotterà, cari amici “de sinistra” (fotterà voi, non me, perché io il potere non lo voglio), proponendosi come quello che aveva capito (mentre voi, alla fine di questo breve saggio, credo sia evidente che non avete capito una fava), e come quello contro le élite, alle quali lui appartiene, e voi vorreste tanto appartenere, motivo per il quale continuate a lambire le terga dell’euro.

Si può essere più perdenti di così?

Direi di no.

Ma guardiamo il lato positivo. Con questo referendum avete oggettivamente toccato il fondo. Ora potete solo risalire. La paura, che ha insegnato ai miei lettori la macroeconomia, presto insegnerà a voi la politica.


Alberto Bagnai: Facciamo un referendum sul cancro? (http://www.sinistrainrete.info/europa/3900-alberto-bagnai-facciamo-un-referendum-sul-cancro.html)

Gianky
15-07-14, 08:46
doppio

amaryllide
15-07-14, 13:14
Ma qualcuno non sembra essere d'accordo..............
Bagnai ha OGGETTIVAMENTE aiutato la Lega a fare il botto, che taccia per sempre, prima di accusare gli altri di aiutare la Germania!

Gianky
15-07-14, 13:33
Bagnai ha OGGETTIVAMENTE aiutato la Lega a fare il botto, che taccia per sempre, prima di accusare gli altri di aiutare la Germania!


Beh oddio botto. Cosa ha preso la Lega? Il 6%? Aver preso il 6% in uno scenario antieuro come le scorse europee, direi che è stato un risultato modestissimo. Certo sempre meglio dei "miei" che hanno preso lo ZERO% non essendosi nemmeno presentati (parlo di MPL, sinistra no-euro e compagnia briscola)

Gianky
15-07-14, 20:56
La Sinistra e l’Unione antieuropea: la fine delle illusionidi Enrico Grazzinihttp://www.sinistrainrete.info/images/stories/stories2/Morte_Bruegel.jpgLa sinistra sembra illudersi che la Ue possa cambiare all'interno dell'attuale quadro istituzionale, politico e monetario. Bisogna invece rivendicare la sovranità nazionale e disobbedire al Patto di Stabilità imposto dalla Troika
Occorre una rottura, un bagno di realismo e uno scatto di coraggio di fronte a questa crisi e a questa Unione Europea che opprime e disunisce i popoli europei. La sinistra italiana ed europea guidata da Alexis Tsipras dovrebbe prendere atto della cruda realtà politica di questa UE appena rieletta e modificare la sua politica pro UE e pro euro nutrita di buone e nobili illusioni. L'ideologia dell'europeismo a tutti i costi rischia infatti di diventare inconcludente, inefficace e impopolare verso la politica economica imposta dalla UE, che è senza dubbio la principale causa della crisi senza fine che affligge drammaticamente l'Europa e l'Italia. Anche considerando che, dopo le elezioni europee, l'opinione pubblica, delusa dalla mancanza di tangibili cambiamenti positivi, diventerà prevedibilmente sempre più anti-Unione Europea.
Matteo Renzi chiede di realizzare gli Stati Uniti d'Europa e reclama la fine dell'austerità senza crescita. Renzi in questo senso è molto più coraggioso e innovatore di Enrico Letta e di Pier Luigi Bersani, il quale, quando ancora sperava di diventare premier italiano, nelle sue interviste al Wall Street Journal rassicurava sul rispetto integrale di tutte le politiche d'austerità.
Renzi invece, a differenza di Letta e di Bersani, non intende sdraiarsi sul tappeto di fronte alla Merkel e vorrebbe guidare il (debole e diviso) fronte europeo anti-austerità in nome della “flessibilità”. Ma è molto difficile, per non dire impossibile, che riesca a ottenere qualche risultato sostanziale: infatti alla base della politica europea e tedesca dell'austerità senza fine, della deflazione e della disoccupazione di massa ci sono i trattati di Maastricht, e poi del Fiscal Compact, del Two Pack e Six Pack, già sottoscritti dai suoi predecessori di centrosinistra e di centrodestra al governo. Senza modificare o ripudiare questi trattati capestro è praticamente impossibile rilanciare la spesa pubblica e invertire l'attuale rotta europea puntata sulla deflazione, magari anche sulla recessione e il sempre possibile disastro finanziario.
I trattati sono alla base delle istituzioni e delle politiche deflattive che affliggono da anni l'Europa e costituiscono i bastioni della politica suicida e insostenibile che la Merkel impone all'Europa. Sono questi trattati a dettare regole rigidissima e pignole sui limiti ai deficit pubblici nel breve, medio e lungo termine; ma, in una situazione in cui gli investimenti privati e i consumi sono in caduta libera, senza rilanciare gli investimenti pubblici è impossibile uscire dalla crisi. Grazie alla UE l'Europa è diventata da anni il malato grave dell'economia mondiale. E non riesce a vedere la fine del tunnel.
L'Unione Europea uscita da Maastricht non è nulla di più di questi accordi intergovernativi che potrebbero condurla al dissesto economico e al disastro politico. Non è la patria degli europei ma è una istituzione essenzialmente intergovernativa. Dal loro punto di vista i tedeschi hanno ragione a chiedere il pieno rispetto dei trattati sottoscritti dai governi europei sotto il ricatto della speculazione internazionale. Purtroppo però modificare i trattati è quasi impossibile perché la loro revisione richiederebbe l'unanimità degli stati. Se la revisione dei trattati diventa impossibile, l'unica possibilità è allora di ripudiarli, di uscire da queste regole rovinose. Disconoscere i trattati significa percorrere una strada difficile e dolorosa, piena di rischi, ma probabilmente non esistono alternative realisticamente praticabili.
Renzi non è l'unico che rischia di sbattere il muso contro il muro dell'ortodossia monetaria liberista e degli interessi egemonici della Germania. Purtroppo anche la sinistra italiana ed europea – quella che ha proposto Alexis Tsipras come leader del Parlamento Europeo – sembra illudersi che la UE possa cambiare all'interno di questo quadro istituzionale, politico e monetario. La sinistra è culturalmente succube di un europeismo federalista che oggi ormai è completamente fuori dalla realtà.
I fatti recenti parlano chiaro: il Parlamento europeo, nominato solo dal 40% circa della popolazione del continente, è dominato da una coalizione pro-austerità ancora più larga di quella prevista prima delle elezioni, perché comprende non solo i democristiani e socialisti ma anche i liberali europei; la Commissione Europea verrà prevedibilmente guidata dal lussemburghese Juncker che, come ha sottolineato Vladimiro Giacchè su questo sito, rappresenta da sempre gli interessi della grande finanza europea. Ma anche la Commissione conterà poco. I governi – e quello tedesco su tutti - decideranno le questioni economiche e politiche di sostanza.
Tsipras sperava che i socialisti europei cambiassero la loro politica pro Merkel indirizzandosi invece a favore della crescita e dell'occupazione, e per questo motivo era disposto ad eleggere Martin Schulz come presidente del Parlamento Europeo. Ma il compagno Schulz è stato invece nominato da democristiani e liberali e non cambierà politica, se non forse nei dettagli.
Il Parlamento europeo, nominato solo da una minoranza di elettori e con poteri quasi nulli, è utile unicamente a fornire un velo di legittimità democratica all'Unione intergovernativa. E' chiamato a ratificare le decisioni dei governi e della Commissione Europea. Non ha poteri propositivi e può poco o nulla in materia economica, monetaria e fiscale, cioè nelle materie che contano. I trattati come quello del Fiscal Compact sono al di fuori della sfera dell'Unione Europea e riguardano solo i governi.
I governi, e in particolare quello tedesco, determinano le politiche economiche dell'Unione e dell'eurozona. La Germania non mollerà sugli eurobond e non prende neppure in considerazione la possibilità di una maggiore solidarietà europea. E ovviamente Germania, Francia e naturalmente la Gran Bretagna, nonostante i bei discorsi di Renzi, si oppongono a ogni lontanissima ipotesi di federazione europea.
Anche Syriza di Tsipras probabilmente dovrà riflettere sulla sua linea politica. Il partito della sinistra unita greca è riuscito a consolidare i suoi consensi elettorali ma non ha conquistato i voti necessari per arrivare al governo e cambiare politica economica, come invece sperava. La situazione della Grecia resta disperata dal momento che il debito continua a crescere oltre il 170 per cento. La Grecia è un paese virtualmente fallito a causa del debito estero e dell'ingordigia delle banche tedesche e francesi che in tempi di vacche grasse hanno prestato enormi somme a governi corrotti. E' un paese strozzato dai debiti.
Tuttavia per prima volta quest'anno la Grecia ha raggiunto una bilancia commerciale in attivo e un avanzo di bilancio pubblico: quindi non ha più bisogno di capitale estero. A questo punto, secondo alcuni analisti, alla Grecia potrebbe convenire dichiarare default, ritornare alla moneta nazionale e svalutare per recuperare competitività verso l'estero. Una strada difficile e pericolosa ma probabilmente senza alternative per non morire più o meno lentamente per soffocamento da debito. Infatti, anche se vendesse il Partenone, il suo debito pubblico continuerebbe ad aumentare a causa del pagamento degli interessi sul debito estero.

L'Unione Europea è antieuropea
Al posto di nutrirsi, come il giovane Renzi, di nobili e vacue illusioni federaliste sugli Stati Uniti d'Europa, la sinistra europea dovrebbe riconoscere una realtà sempre più evidente: l'Unione Europea nata a Mastricht non è e non sarà mai l'Unione dei popoli europei. Rappresenta invece manifestamente una istituzione intergovernativa e sovranazionale oppressiva e antidemocratica che intende garantire la sottomissione degli Stati europei agli imperativi della grande finanza tedesca e internazionale. La UE è prona ai diktat dei mercati finanziari e non ascolta il grido di dolore dei cittadini. Se mai c'è una istituzione che, come anticipava Marx, rappresenta il “comitato d'affari” del grande capitale, questa è proprio la UE. Per interpretare la politica dell'Unione occorre leggere Machiavelli piuttosto che Giuseppe Mazzini o Altiero Spinelli.
L'Unione Europea è nata da governi che avevano differenti e divergenti interessi strategici. I tre democristiani, padri fondatori (di lingua tedesca) della Comunità Europea, l'italiano De Gasperi, il francese Schumann e il tedesco Adenauer, erano sinceramente a favore dell'Europa unita per la pace. Ma la politica federalista di Spinelli era già fallita a causa del nazionalismo francese. E il quadro europeo è poi cambiato completamente con la caduta del muro di Berlino, la nascita della nuova potenza tedesca e la creazione dell'euro.
Due socialisti hanno cambiato (in peggio) la storia d'Europa: il francese Mitterand e il tedesco Schroeder. Il primo ha imposto la moneta unica alla Germania, accettando però che l'euro fosse fin dalla nascita un marco mascherato; il secondo ha creato, con la deregolamentazione del mercato del lavoro in Germania, con l'introduzione dei mini-jobs e la sua politica pro-business e pro petrolio russo, le condizioni della supremazia tedesca.
Da allora la storia europea è dominata dall'economia e dagli interessi tedeschi. L'euro di Maastricht ha reso impossibili le svalutazioni e le rivalutazioni. L'euro è però rimasto una moneta debole e incompleta. Con la crisi globale iniziata nel 2008 stava per saltare: la Merkel lo ha salvato concedendo che la BCE di Mario Draghi intervenisse in sua difesa “con tutti i mezzi possibili” solo perché conveniva alla Germania che l'euro non finisse nel caos.
La moneta unica però non elimina solo la sovranità nazionale: divide strutturalmente le economie e impedisce uno sviluppo sostenibile. E' una gabbia rigida e stupida, e mortale per le nazioni meno competitive. Infatti l'impossibilità di svalutare all'esterno i prezzi dei prodotti nazionali – come invece fanno senza vergogna e con successo gli USA, la Cina e il Giappone – comporta automaticamente la necessità di svalutare internamente il lavoro e il proprio patrimonio pubblico e privato. E infine di offrirsi in vendita ai paesi creditori per ripagare i debiti.
La crisi globale del 2008 ha reso evidenti i limiti della gabbia monetaria disegnata a Maastricht. Dilaga la disoccupazione, la deindustrializzazione a favore del capitale estero, mentre continuano ad aumentare i debiti pubblici degli stati periferici, come l'Italia. La UE prevedibilmente non cambierà politica, anzi diventerà sempre più rigida nel chiedere il rispetto del Fiscal Compact. Nel nome dell'integrazione europea la UE vuole intervenire in maniera sempre più autoritaria e diretta nelle economie dei singoli paesi europei dettando le sue ricette anche a livello fiscale e di spesa pubblica.
La UE interferisce nelle economie nazionali imponendo la diminuzione della spesa pubblica, l'aumento della tassazione regressiva sui consumi, la privatizzazione del welfare e dei beni comuni, la deregolamentazione selvaggia del mercato del lavoro con i mini job alla tedesca, e la messa sul mercato delle industrie strategiche nazionali, del risparmio dei cittadini, delle banche.
Anche l'Unione bancaria è funzionale alla politica di centralizzazione dei capitali. E le controriforme di Renzi sono funzionali al disegno europeo e agli imperativi dei mercati finanziari. E' però difficile che Renzi abbia successo: anche se riuscisse a completare i suoi “compiti a casa” - cioè ad ottenere un Senato debole e non eletto dai cittadini, una legge elettorale ultramaggioritaria, l'introduzione dei mini-job a 400 euro al mese - non avrà nulla dalla UE. In cambio delle (contro)riforme italiane otterrà dall'Europa ancora più austerità, o magari qualche briciola di investimento che però non modificherà la drammatica situazione italiana.

Rivendicare la sovranità nazionale è di sinistra
Il processo verso gli Stati Uniti d'Europa implicherebbe la sottomissione dei paesi europei ad ulteriori regole sempre più centralizzate e oppressive per integrare l'Europa su base tedesca. Al posto di reclamare una impossibile (e comunque autoritaria) Federazione Europea, la sinistra farebbe invece bene a proporre una politica aggressiva di denuncia per destrutturare questa Unione, ridare voce all'opposizione di massa a questa UE della finanza e della tecnocrazia, e rilanciare l'economia a partire dal livello nazionale, cioè a partire dall'unico livello in cui è ancora possibile (anche se difficile) condizionare democraticamente i governi.
Occorre riproporre la questione della sovranità nazionale perché solo a livello nazionale è possibile che i popoli riescano a incidere democraticamente sull'economia e sull'occupazione. A livello europeo e intergovernativo le forze progressiste e popolari del continente sono e resteranno prevedibilmente del tutto impotenti.
E' una favola sciocca che il nazionalismo sia solo di destra: anche Garibaldi e i partigiani erano nazionalisti e patrioti. Anche Enrico Mattei era un patriota.
Ovviamente il nazionalismo di sinistra è completamente opposto a quello di destra. E' aperto a nuove forme di solidarietà sindacali e politiche con i popoli europei, a nuove modalità di cooperazione sociale, economica e istituzionale che però non limitino la democrazia. E propone innanzitutto uno sviluppo sostenibile orientato alla piena occupazione, alla garanzia di un salario minimo e di un reddito garantito per chi non ha trovato lavoro.
L'autodeterminazione dei popoli contro la globalizzazione selvaggia implica una dura lotta per ristabilire l'autonomia nazionale contro i poteri sovranazionali di stampo neo-coloniale. La butta novità di questo decennio è che, anche grazie alla UE, il neocolonialismo monetario ed economico per la prima volta colpisce direttamente le più avanzate nazioni europee e non solo gli Stati del Terzo Mondo. Per questo motivo lasciare alle destre populiste la rivendicazione della sovranità nazionale è folle e suicida. Non a caso la destra occupa lo spazio popolare che la sinistra ha colpevolmente abbandonato.
La sinistra europea dovrebbe allora abbandonare l'ideologia obsoleta del bel sogno europeista per tentare di realizzare innanzitutto nuove coraggiose politiche nazionali, popolari e solidali in tutta Europa contro questa UE. La sinistra non può lasciare le fasce più deboli della popolazione in mano alle destre populiste. La Lega in Italia è riuscita ad evitare la scomparsa e ad arrivare al 7% dei voti solo grazie alla denuncia dell'euro e della politica europea. Marine Le Pen in Francia è arrivata prima dicendo di difendere i salari operai dalla globalizzazione e dalla UE. Grillo, che ha ottenuto il 20% (e non il 4% della lista Tsipras) alle elezioni europee denunciando le politiche della UE, afferma di non essere né di destra né di sinistra ma poi, a sorpresa, senza discussione, si è unito ai filorazzisti, ultranazionalisti e nostalgici dell'impero dell'Ukip guidata dal britannico Nigel Farage. Schierandosi a fianco di una brutta destra Grillo ha tradito la maggioranza dei suoi elettori progressisti.
La strada per la sinistra europea è stretta e non facile, ma occorre proporre alternative audaci contro questa UE antieuropea che fomenta la crisi. La sinistra ha bisogno di coraggio, realismo e fantasia. L'iniziativa del referendum italiano contro il Fiscal Compact avviata da Riccardo Realfonzo è ottima e dovrebbe ampliarsi ed essere rafforzata. La sinistra dovrebbe proporre di cambiare o ripudiare i trattati europei, di ristrutturare i debiti pubblici, di avviare politiche espansive mirate a combattere la disoccupazione e a reprimere la speculazione; e dovrebbe ridiscutere radicalmente la moneta unica che conviene solo alla Germania. Potrebbe proporre di concordare il ritorno alle monete nazionali con cambi fissi aggiustabili, e di creare una moneta comune (ma non unica) europea verso il dollaro, lo yuan e lo yen. L'Europa potrebbe rinascere con una diversa politica monetaria ed economica, ma occorre una forte discontinuità.
Purtroppo però in generale sembra che nella sinistra europea, e più ancora in quella italiana, non sia ancora emersa la piena consapevolezza della gravità della crisi e la necessità di una svolta e di una rottura. E' sempre più forte la necessità di una leadership coraggiosa in grado di formulare politiche popolari a cui sarebbero potenzialmente interessati milioni di lavoratori e di cittadini di ogni nazione europea. Altrimenti si rischia di continuare a subire questa crisi suicida a vantaggio delle destre più estreme. L'Europa soffre e si divide, e la democrazia traballa.


Enrico Grazzini: La Sinistra e l?Unione antieuropea: la fine delle illusioni (http://www.sinistrainrete.info/europa/3922-enrico-grazzini-la-sinistra-e-lunione-antieuropea-la-fine-delle-illusioni.html)

amaryllide
16-07-14, 02:08
Beh oddio botto. Cosa ha preso la Lega? Il 6%? Aver preso il 6% in uno scenario antieuro come le scorse europee, direi che è stato un risultato modestissimo
a parte Bagnai, la stragrande maggioranza degli italiani sa che i leghisti restano delle m...e cui interessano solo le poltrone, per cui non cambiano idea solo perchè Salvini era convinto di cavalcare un tema popolare. Se i sondaggi dicevano che essere pro-euro portava voti, la Lega sarebbe stata il partito più filoeuro di tutti, la realtà è che dietro le parole c'è il nulla assoluto, e infatti la Lega non ha mosso UN dito nè quando l'euro è entrato in vigore, nè dopo (ovviamente quando è stata al governo, perchè è quello che conta, dall'opposizione può dire quello che vuole, tanto conta meno di zero non essendoci il rischio di sputtanare la propaganda coi NON fatti).