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Visualizza Versione Completa : Valentin Gonzalez "El Campesino"



Gianky
23-07-14, 13:29
L'uomo che vinse la morte in Spagna e in URSS



Introduzione di Julian Gorkin (http://bataillesocialiste.wordpress.com/biographies/gorkin-1901-1987/) a La Vie et la mort en U.R.S.S. [La vita e la morte in URSS], Parigi, 1950. Il libro è disponibile in rete in formato PDF in inglese (http://www.archive.org/download/elcampesinolifea007506mbp/elcampesinolifea007506mbp.pdf). Un uomo, uno Spagnolo da leggenda, è riuscito in questa doppia impresa: sopravvivere alle peggiori persecuzioni nella Russia stalinista e evadere, dopo un primo tentativo senza risultato, da ciò che egli ha chiamato "la più vasta e infernale prigione totalitaria del mondo". Quest'uomo è Valentin Gonzalez, conosciuto con il nome di El Campesino, primo commandante comunista durante la guerra di Spagna.

Immagino che tutti coloro nel mondo intero - in primo luogo i comunisti e i vecchi combattenti delle Brigate internazionali - che lo credono morto e sepolto da molto tempo, saranno sorpresi nell'apprendere che egli è ancora in vita. Soltanto un uomo come lui, di una resistenza fisica e morale a tutta prova, di una risoluzione indomabile, poteva riuscire in quest'impresa. Soltanto l'uomo che, per due volte, seppe vincere la morte in Spagna, morte annunciata ufficialmente due volte, poteva vincerla una terza volta in URSS in condizioni ancora più difficili. Io che conosco oggi tutti i dettagli di quell'evasione, posso affermare che è questo un caso unico in un'epoca eppure così ricca di vite prodigiosamente drammatiche. Avrei potuto annunciare la notizia di quest'evasione alcuni mesi fa, ma ho aspettato a farlo che egli fosse al sicuro. Coloro che conoscono i mezzi di cui dispone e i metodi impiegati dalla sinistra GPU- ieri N.K.V.D., oggi M.V.D. – per sbarazzarsi dei suoi avversari di rilievo (ci si ricordi come essa soppresse Ignace Reiss, Krivitsky e Trotsky) capiranno le precauzioni che occorreva prendere. Prima di lasciargli la parola, credo necessario abbozzare rapidamente la sua biografia. Ne circolano numerose, piene di inesattezze: una dello scrittore americano Hemingway e un'altra, del tutto fantasiosa e adatta alle necessità della propaganda comunista, di Ilya Ehrenburg, senza contare quelle scritte dai franchisti, di cui era la bestia nera. Non si tratta per me, che fui suo avversario e rischiai di essere anche sua vittima [1], di discolparlo dai suoi errori passati, cosa che egli d'altronde non accetterebbe, ma di presentarlo così come è: una delle figure più bizzarre della nostra epoca.

L'eterno ribelle L'Estremadura è una delle regioni più arretrate della Spagna; votata quasi del tutto all'agricoltura e all'allevamento; essa conta quasi il 65% di analfabeti. Comprende vasti terreni e territori incolti, dove vivono masse di contadini senza terra e a volte anche senza pane, il che spiega il loro tradizionale spirito di ribellione. La dura lotta lotta quotidiana contro una terra ingrata, di cui una gran parte è occupata da montagne brulle, semi selvagge, creata da uomini rudi, energici, risoluti e ostinati. I contadini dell'Estremadura non sanno né leggere né scrivere, ma possiedono in generale una forte personalità. Hernán Cortés, che conquistò il Messico, era originario dell'Estremadura, così come Pizarro, il conquistatore del Perù. Ed è ancora nell'Estremadura che è nato Valentin Gonzalez, in un villaggio sperduto e da una famiglia molto umile. Al tempo della conquista, sarebbe stato senza alcun dubbio un capitano avventuroso, capace di grandi imprese. Nato nel primo decennio di questo secolo, è stato un grande ribelle e uno dei più audaci comandanti della geurra civile. Uomo senza grande cultura, possiede tuttavia una viva intelligenza naturale, una memoria stupefacente, uno spirito di decisione e un'astuzia straordinaria. Senza questi doni eccezionali, una tale vita sarebbe stata inconcepibile. Suo padre, di origine contadina, lavorò alla costruzione di strade e, più tardi, nelle miniere di Peñarroya. Più per convinzione dottrinale o filosofica, era anarchico per istinto; era in realtà un ribelle nato. Questo tipo di anarchico abbonda in Spagna, soprattutto negli ambienti operai della Catalogna e tra i contadini dell'Andalusia e dell'Estremadura. Tipo primario e anche primitivo, avido d'azione diretta, ma animato da un ardente desiderio di giustizia e da uno spirito di sacrificio e di solidarietà a tutta prova. Durante l aguerra civile, doveva essere uno dei capi dei guerriglieri dell'Estremadura. Fatto prigioniero con una delle sue figlie, i falangisti li impiccano senza processo. Per un'intera settimana i loro cadaveri rimasero l'uno accanto all'altro con dei cartelli che li segnalavano come il padre e la sorella di El Campesino. È all'età di quindici anni che Valentin Gonzalez comminciò la sua attività sindacale. Arrestato per aver preso, durante il corso di uno sciopero, la difesa dei contadini, la polizia lo soprannominò El Campesino, che significa "il contadino". Non è esatto, come è stato detto, che questo soprannome gli fu dato dagli agenti russi all'inizio della guerra civile allo scopo di guadagnargli la simpatia dei contadini. Nel 1925, all'età di 16 anni, durante uno sciopero dei minatori a Peñarroya, lanciò una bomba su una stazione della polizia, uccidendo quattro guardie civili. Bisogna conoscere il profondo odio del popolo spagnolo nei confronti di questa istituzione poliziesca per spiegarsi un fatto del genere. Suo padre gli aveva detto: "Se un giorno ti dovrai nascondere, va in montagna. Il denaro, la civiltà, le donne ti tradiranno, la montagna mai". È sulla montagna che un tempo si nascondevano i banditi d'onore. È sulla montagna che andò a nascondersi Valentin Gonzalez in compagnia di un altro giovane terrorista; essi vi vissero come dei banditi per alcuni mesi. Arrestati durante una loro discesa a valle e sottoposti ad atroci torture, il suo compagno perì, ma lui, più forte e più risoluto, sopravvisse. Per alcuni mesi, rimase incarcerato alla prigione di Fuenteojuna, il villaggio immortalato da Lope de Vega. Gli anarchici detenuti con lui contribuirono alla sua formazione politica, mentre i contadini della regione gli portavano dei viveri in prigione. Quando ne uscì, andò a vivere illegalmente a Peñarroya, come capo di un gruppo di pistoleros.
Il popolo spagnolo, che doveva lottare durante i trentadue mesi della guerra civile contro la reazione interna sostenuta dal nazi-fascismo europeo, era violentemente ostile all'esercito della monarchia, ed è per questo, che sin dall'inizio della guerra el Marocco, esso adottò nei suoi confronti un atteggiamento di opposizione. Giunto in età di servizio militare, non è strano che El Campesino manifestasse lui stesso le sue opinioni antimilitariste. Appena arruolato,disertò. Arrestato e condotto a Siviglia in compagnia di altri disertori, evase di nuovo. Ripreso, fu imbarcato, manette alle mani, per Ceuta, da cui fu condotto a Larache. Un sergente che lo aveva schiaffeggiato davanti agli altri soldati, quest'ufficiale, noto per la sua brutalità, fu ritrovato morto alcuni giorni dopo. A Larache, fece conoscenza con un soldato comunista che lo convertì alle sue idee. Si mise sin da allora a rubare dei prodotti all'intendenza, la cui vendita gli servì per sostenere la pubblicazione di un foglio antimilitarista. Disertò una terza volta e visse tra i Berberi fin quando un'amnistia gli permise di tornare a Madrid, dove, nel 1929, aderì ufficialmente al partito comunista. La morte nelle mani È a Mosca che Lister e Modesto, gli altri due principali comandanti comunisti della guerra civile, avevano fatto la loro formazione politica e militare. El Campesino, lui, era una creazione diretta del popolo spagnolo: si comportò più come un capo guerrigliero che come un militare disciplinato. Sin dall'inizio della guerra civile, organizzò di sua propria iniziativa un battaglione di miliziani, i cui effettivi crebbero rapidamente sino a formare una brigada, poi una divisione, la famosa 46a divisione d'urto, che doveva portare durante tutta la guerra il nome del suo creatore. Quando Mosca decise, due mesi dopo lo scatenamento delle ostilità, di intervenire negli affari della Spagna, i suoi agenti e i suoi esperti militari, consci del valore di questo guerrigliero e dell'influenza che egli esercitava sui suoi uomini, lo riconobbero come uno dei principali capi militari, malgrado il suo carattere anarchico e i suoi ripetuti atti di indisciplina. Essi vedevano in lui lo Ciapaiev della guerra civile spagnola. Se fosse vissuto in Messico, all'epoca della rivoluzione anti-porfirista, avrebbe svolto il ruolo di un Zapata o di un Pancho Villa. Ha, infatti, con questi ultimi molti più punti comuni che con il famoso capo dei partigiani russi. Ma, desiderosi di di nascondere l'aiuto generoso e disinteressato del Messico e di combattere i sentimenti di amicizia che provava il popolo spagnolo per quest'ultimo paese, gli agenti di Mosca crearono intorno a lui la leggenda di uno Ciapaiev spagnolo. Se si dovesse fare eccezione del fronte del Nord, El Campesino combatté su tutti i fronti della guerra civile. Lo si vedeva comparire dappertutto dove c'era da realizzare un'operazione difficile o ristabilire una situazione disperata. Dava l'impressione di un pazzo eroico; si salvava dai peggiori pericoli quasi per miracolo, senza lasciarsi fermare da nulla e senza esitare sul prezzo da pagare. Acquistò così una fama quasi sinistra, non soltanto presso il nemico, ma tra i settori del campo repubblicano ostili allo stalinismo. E mi spiega oggi con un gesto d'amarezza: "L'Ufficio politico e gli agenti di Mosca che controllavano del tutto il famoso Quinto reggimento, commisero e fecero commettere le peggiori atrocità, di cui in seguito facevano ricadere su di me la responsabilità. Si voleva circondarmi di un aureola di terrore, non soltanto sul fronte, ma anche dietro. Sapevano che avevo spalle forti e che potevo sopportare di tutto". È esatto. Non è meno vero che trascinato dalla sua passione e dal suo fanatismo, commise egli stesso numerosi eccessi. Tutti coloro che hanno assistito o partecipato ad una guerra civile sanno quanto sia facile uccidere e farsi uccidere durante queste epoche in cui la passione collettiva - una specie di follia demoniaca che non conosce freni - domina tutto. Fu il caso della Spagna forse come in nessun altra parte. Lo Spagnolo è per natura allegro, cordiale, generoso, ospitale, e tuttavia ha in se stesso, come nessun altro popolo, il sentimento tragico della vita e il disprezzo della morte. Si scambia ciò per una fanfaronata, ma è qualcosa di molto più profondo. Questo popolo ha abitudine di dare tutto, di rischiare tutto, di sacrificare tutto con una generosità e un disinteresse assoluto. Quando la sua passione si scatena, è capace di tutto. El Campesino è il prototipo per eccellenza di questo popolo. Per tutta la guerra civile, portò letteralmente la morte tra le sue mani. In tali epoche si direbbe che sono le mani stesse che, senza l'intervento della coscienza, prendono l'abitudine di uccidere. El Campesino era il solo in questo caso? Ve n'erano altri come lui, che, in tempi normali non sarebbero stati capaci di uccidere nemmeno una mosca. A vederlo, ci si meraviglia quasi che abbia potuto svolgere un ruolo sanguinario. Egli è infatti semplice, bonario, e dà anche a volte l'impressione di un timido. I responsabili del grande dramma non furono coloro che scatenarono la tormenta contro la legge e la giustizia? I crimini da loro commessi non superarono in orrore tutto quanto fu fatto in campo repubblicano? I crimini del franchismo non possono essere paragonati che a quelli commessi dallo stalinismo in nome di una politica estranea agli interessi e aspirazioni del popolo spagnolo. È questo che capì più tardi, in URSS, El Campesino. E è questo ora il suo grande dramma personale. Le imprese militari di El Campesino sono legate alle principali operazioni della guerra civile. Conquistò il famoso Cerro de los Angeles, il che impedì al nemico di conquistare Madrid. La stampa comunista attribuì questa impresa a Lister. Ma quest'ultimo, in realtà, perse la posizione e si ritirò a Perales de Tajuna, dove si consolò della sua sconfitta con un'orgia. El Campesino combatté a Somosierra, a Segovia, a Caravita, a Guadalajara, in Andalusia, in Estremadura, sul fronte di Levante, in Aragona, sull'Ebro, in Catalogna... Fu a Madrid quando Miaja credeva che tutto era perso. Dormìn al palazzo d'Oriente nel letto di Alfonso XIII. Installò il suo posto di comando all'Escorial, poi al Pardo, la residenza attuale di Franco. Con un piccolo gruppo di fanatici, si impegno in un colpo di mano audace su Lerida, dove fece prigioniero un colonnello franchista e il suo stato maggiore. Fu ferito undici volte e più di una volta gravemente. Dopo al presa, poi la perdita di Teruel, vi rimase chiuso per cinque giorni. Poiché i soldati franchisti gridavano ai soldati repubblicani che El Campesino era stato ucciso, egli accorse immediatamente sulla linea di fuoco, salì in cima ad una casa in rovina e, a corpo scoperto, gridò ai soldati di Franco che potevano sincerarsi da sé che era ancora ben in vita. Essi lo guardarono ipnotizzati, e nessuno di loro ebbe la prontezza di spirito di sparargli. Infine, riuscì a sfuggire, non senza perdere il suo aiutante in campo e più di mille uomini, dopo un corpo a corpo accanito che durò più di cinque ore. Tutti lo credevano perso. Franco annunciò che lo teneva prigioniero e presentò ai giornalisti il suo mantello coperto di sangue. Era in realtà quello del suo aiutante in campo, mortalmente ferito, che egli aveva portato sulle sue spalle nella speranza di salvarlo. Il governo repubblicano inviò un telegramma a sua moglia in cui le annunciava ufficialmente la morte di suo marito... Quando in piena notte, El Campesino chiamò per telefono Prieto, allora ministro ella Difesa nazionale, quest'ultimo poté a malapena credere alle sue orecchie. Come sempre, al dramma si unì un elemento comico. El Campesino e il suo amico, il colonnello Francisco Galan, avevano giurato durante i primi giorni della guerra civile che non avrebbero rimosso un solo pelo della loro barba sino al giorno del loro ingresso a Burgos, capitale dei franchisti. Vedendo quest'evento rinculare in una prospettiva sempre più lontana, Galan decise infine di radersi. El Campesino vollel imitarlo. Egli fu però convocato all'Ufficio politico del partito comunista spagnolo, dove, in presenza dei delegati di Mosca, glielo si impedì formalmente. Era una barba leggendaria, gli dissero; è con questo ornamento che lo si conosceva in Spagna e nel mondo intero; toglierla sarebbe stato tradire. Uno dei delegati russi gli disse anche: "Questa barba non ti appartiene; essa appartiene al popolo spagnolo, alla rivoluzione e all'Internazionale comunista. Tu devi conservarla per disciplina". E per disciplina egli la conservò. Si voleva manifestamente far nascere la credenza che la sua forza risiedeva nella sua barba, come quella di Sansone nella sua capigliatura.
Fu l'ultimo a lasciare la Spagna, quando era già, dopo la sconfitta del fronte del Centro, interamente nelle mani dei franchisti. Tutti i capi comunisti erano fuggiti con gli aerei tenuti pronti per l'evenienza. Gli aiutanti di campo di El Campesino, che si trovavano con lui a Valencia, capirono che tutto era perso e che la resistenza alla quale voleva impegnarsi il loro capo non sarebbe stato che un eroico ma vano suicidio. Essi si gettarono su di lui, lo legarono ad una poltrono e gli tagliarono la barba, che essi nascosero sotto un tetto promettendo do tornare a cercarla un giorno. Armati sino ai denti, essi riuscirono ad uscire da Valencia in una potente automobile e ad attraversare tutte le province del Levante e una parte della Spagna del Sud, sino a un piccolo porto di pesca situato tra Almeria e Malaga, non senza lasciare sul loro passaggio alcuni cadaveri di falangisti. Sia a causa della sua poca importanza, sia in seguito alla confuzione che regnava allora, il villaggio era ancora amministrato da un commissario socialista che si chiamava Benavente. Quest'ultimo li nascose in casa sua. La notte stessa che seguì il loro arrivo, i franchisti presero possesso del villaggio e della casa dove si tenevano nascosti i fuggischi. Non potevano sospettare che, in una stanza attigua alla loro, si trovavano il famoso El Campesino e i suoi intendenti di campo. Tuttavia la loro presenza nella regione era segnalata dalla radio franchista, che inviava senza sosta degli ordini affinché fossero catturati ad ogni costo. Questi ordini giungevano alle orecchie dei fuggiaschi, così come i commenti del commissario franchista

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