PDA

Visualizza Versione Completa : Scozia indipendente



MaIn
12-09-14, 14:34
che ne pensate?

Kavalerists
12-09-14, 19:22
Confesso candidamente di non aver approfondito molto la cosa, questione di interesse...
Comunque se l'indipendenza scozzese può in qualche modo danneggiare l'Inghilterra la cosa mi farà senz'altro piacere, vista la mia simpatia per gli inglesi.

Kavalerists
15-09-14, 17:03
Perché l?indipendentismo scozzese è diverso dagli altri (e dobbiamo quindi appoggiarlo) - Stato & Potenza (http://www.statopotenza.eu/14419/perche-lindipendentismo-scozzese-e-diverso-dagli-altri-e-dobbiamo-quindi-appoggiarlo)


Pubblicato il: 8 settembre, 2014
Europa (http://www.statopotenza.eu/europa) | Di Hyblaeus

Perché l’indipendentismo scozzese è diverso dagli altri (e dobbiamo quindi appoggiarlo) Il 18 settembre la Scozia voterà un referendum epocale. Il quesito, cui si dovrà votare con un sì o un no, pone la seguente domanda: “Should Scotland be an independent country?”
http://www.statopotenza.eu/wp-content/uploads/2014/09/wallace.jpg (http://www.statopotenza.eu/wp-content/uploads/2014/09/wallace.jpg)
Dovrebbe la Scozia essere un “paese” indipendente? Stando agli ultimi sondaggi, la disfida tra unionisti e indipendentisti si giocherà fino all’ultimo voto. Il che è già una vittoria per il primo ministro scozzese, Alex Salmond, e per il Partito Nazionale Scozzese (SNP) fautore del referendum. La causa indipendentista della Scozia vanta una lunga storia, a partire dalla leggenda della scomparsa della IX Legio Hispana: in base a una delle versioni, con ogni probabilità non vera nonostante abbia ispirato libri e film di successo (su tutti citiamo ‘L’ultima legione’ di Valerio Massimo Manfredi e la sua trasposizione cinematografica), essa sarebbe scomparsa intorno al 120 p.e.v. perché annientata dai Pitti, gli antichi e misteriosi abitanti della Scozia. Fatto sta che Adriano fece poi erigere il Vallo per difendere la provincia di Britannia dalle incursioni di quelle popolazioni mai sottomesse. Il pubblico generalista occidentale cominciò a farsi un’idea concreta del millenario anelito indipendentista degli scozzesi grazie al pluripremiato “Braveheart” di Mel Gibson in cui, tra innumerevoli errori storici probabilmente connaturati anche alle esigenze del mezzo artistico adoperato e alle finalità ideologiche dell’opera, emerge in maniera prepotente la figura di William Wallace, nobile delle Lowlands (nel film è invece un plebeo originario delle Highlands) capace di tener testa agli eserciti dei Plantageneti d’Inghilterra che alla fine del XIII secolo avevano assoggettato il suo popolo. Qualche anno dopo la cattura di Wallace e la sua messa a morte, gli scozzesi riuscirono a conquistare la libertà sconfiggendo gli inglesi nella battaglia di Bannockburn sotto il comando di Robert Bruce. Da lì in poi abbiamo un Regno di Scozia destinato a rimanere indipendente fino al 1707, anno dell’”Atto di Unione” col Regno d’Inghilterra. Non per questo tuttavia gli scozzesi rinunciarono a sfidare la supremazia londinese: alla morte della regina Anna supportarono massicciamente la causa della dinastia Stuart soppiantata da quella Hannover che invece era gradita agli inglesi. I partigiani degli Stuart furono detti “giacobiti”, dal nome di Giacomo II Stuart che nel 1688 era stato deposto da Guglielmo d’Orange, stadtholder d’Olanda (passaggio noto come“Glorious Revolution”). Nel 1746 gli scozzesi andarono tuttavia incontro a una terribile sconfitta sulla radura di Culloden: il comandante in capo degli hannoveriani (noti anche come “orangisti”), Guglielmo di Cumberland, ordinò lo sterminio di tutti gli scozzesi feriti mentre i prigionieri d’alto lignaggio furono giustiziati. Ma per gli scozzesi il peggio doveva ancora arrivare: nei mesi successivi la Corona prese infatti provvedimenti draconiani per distruggere il loro retaggio, arrivando a vietare perfino il kilt e la cornamusa e perseguitando la lingua gaelica fino a quel momento predominante nelle Highlands e lungo la costa occidentale del paese. La repressione della cultura scozzese diede i suoi risultati dal momento che ai giorni nostri, a dispetto della “Gaelic Renaissance”, meno del 5% degli abitanti delle Highlands è in grado di comprendere e parlare il gaelico che resiste ormai come lingua d’uso quotidiano solamente nelle sperdute Ebridi Esterne. Quanto alle Lowlands e alla costa orientale, in cui vivono almeno i 4/5 degli scozzesi, già nel medioevo da quelle parti il retaggio celtico aveva ceduto il passo a quello germanico di ascendenza sia anglosassone che normanna. Dal punto di vista linguistico questo retaggio ha dato forma allo scots, una parlata affine all’inglese ma anche assai differente specie sul piano semantico. Tale diversa evoluzione della lingua è da addebitare almeno in parte al mancato influsso del sostrato romanzo nei territori al di là del Vallo. Ad ogni modo un’identità scozzese ben distinta da quella inglese esiste eccome, e se ne sentono gli effetti già nelle piccole cose, ad esempio nell’accento con cui i discendenti di Wallace parlano la lingua dei loro dirimpettai: nonostante la vicinanza geografica, l’unità politica e l’invasività londinese a tutti i livelli, la pronuncia degli scozzesi è probabilmente la più lontana in assoluto da quella standard nonché la più difficile da cogliere per il neofita e, talvolta, anche per gli stessi madrelingua.

La lotta identitaria scozzese non finisce con la brutale repressione dei giacobiti, riemerge progressivamente nel XIX secolo benché con un’intensità assai minore rispetto a quella della “nazione sorella” irlandese. E, così come in Irlanda, abbandona del tutto i pretesti dinastici per caricarsi di valenze che da questa fase in poi fanno della causa indipendentista una questione “socialnazionale”, ove l’elemento patriottico e quello della rivendicazione sociale si fondono in maniera inscindibile. Anche l’Italia, nel corso dell’Ottocento, aveva conosciuto qualcosa di simile col suo miglior Risorgimento, quello dei Mazzini e dei Pisacane per i quali la liberazione nazionale costituiva l’occasione imperdibile anche per il riscatto delle classi subalterne sottoposte al sopruso dei ceti legati all’ancien régime. Com’è noto, l’Unità fu poi completata dalla monarchia sabauda e le vecchie classi dominanti si riciclarono tranquillamente nella nuova compagine rimandando le questioni sociali a tempo indeterminato. In Scozia e Irlanda, diversamente che in Italia, l’indipendentismo è rimasto legato a questa dimensione in maniera profonda, anche perché il dominio inglese è sempre coinciso col dominio di classi privilegiate ai danni di masse tagliate fuori dalle opportunità di ascesa sociale e non di rado anche dai diritti politici. In Scozia gli unionisti sono ancor adesso, in parte non trascurabile, espressione di quelle classi abbienti per secoli favorite da Londra ed emanazione “britannizante” del lealismo orangista; allo stesso modo in Ulster, se vogliamo anche più drammaticamente che in Scozia, un regime di apartheid ha letteralmente segregato la popolazione irlandese per buona parte del ’900 a vantaggio della popolazione originaria della Gran Bretagna reclutata in particolare proprio dai ceti unionisti scozzesi. Simultaneamente all’arrivo in Ulster degli orangisti moltissimi irlandesi, a partire dalla Grande Carestia degli anni ’40 dell’800, attraversavano il mare nel senso opposto per cercare fortuna in Gran Bretagna, e in particolar modo proprio in Scozia, in cui andarono a costituire il nerbo del proletariato. Una città come Glasgow, ad esempio, può vantare origini irlandesi per una buona metà dei suoi abitanti. Dal che si evince quanto intrecciate siano le vicende scozzesi e quelle irlandesi.

Gli elementi culturali, linguistici e non da ultimo religiosi, per quanto importanti continuino ad essere, non hanno mai funto da molla decisiva dell’indipendentismo scozzese o irlandese in età moderna e post-moderna. Tant’è che se volessimo incarnare questa storia in un simbolo, in un singolo uomo, costui sarebbe senza dubbio James Connolly. Egli nacque infatti ad Edimburgo da genitori irlandesi, e la sua vita si svolse tra Scozia e Irlanda nel tormentato periodo a cavallo tra ’800 e ’900. A undici anni Connolly era già un lavoratore e prima dei trenta aveva guidato diverse organizzazioni di sinistra, dalla Scottish Socialist Federation all’Irish Republican Party fino a diventare un capo dell’Irish Transport and General Workers Union. Per difendere dalla polizia i lavoratori in sciopero costituì, insieme ad altri sindacalisti, l’Irish Citizen Army, piccolo esercito destinato a distinguersi nella Rivolta di Pasqua a Dublino del 1916, occasione in cui questo minuto ma combattivo patriota e sindacalista trovò la morte: non potendo stare in piedi a causa delle ferite rimediate in combattimento, gli inglesi lo fucilarono su una sedia. La Seconda Internazionale generalmente diffidava delle cause patriottiche bollandole come “borghesi”, e la fama di Connolly sembrava destinata a rimanere confinata in Irlanda e Scozia; fu Lenin a intravedere invece nella sua lotta al tempo stesso sociale e nazionale un modello rivoluzionario efficace che non per nulla rivedremo in azione nei decenni successivi ai quattro angoli del mondo (basti pensare al carattere “laico” del panarabismo di organizzazioni come il Partito Socialista Nazionale Siriano).

Da questo “background” provengono anche lo SNP e le altre formazioni indipendentiste scozzesi, ancorché decise a perseguire in modo pacifico e non più con le armi le loro istanze. Così, dopo aver ottenuto la “Devolution” nel 1997, la Scozia si trova adesso al suo bivio più importante. Il fronte del no vede in prima fila i laburisti, guidati dall’ex ministro delle Finanze Alistair Darling: i laburisti sono molto preoccupati perché, in caso di vittoria dei sì, perderebbero la loro più importante roccaforte elettorale. In realtà, molti laburisti scozzesi sono già stati conquistati alla causa indipendentista. Più che le future performance elettorali del Labour, ad ogni modo, a preoccupare Londra sarebbero i mancati introiti del brent di Aberdeen e di altre attività produttive scozzesi per un ammontare di almeno una quindicina di miliardi annui. Gli indipendentisti, dal canto loro, si dicono sicuri di poter affrontare l’eventuale “salto nel buio” senza troppi scossoni, anzi con migliorie sociali significative. Per parte nostra, la preoccupazione espressa in merito a un’eventuale autodeterminazione scozzese da colossi bancari come Lloyd e Goldman Sachs ci spinge a un più convinto sostegno alla causa. A farci ben sperare in caso di vittoria del sì possiamo aggiungere anche la solida tradizione antimperialista dello SNP e dei suoi alleati, da sempre contrari alle avventure militari di Londra che oltretutto per parte sua, proprio in questi giorni, dichiara di voler moltiplicare sullo scacchiere in cui si sta giocando la partita contro il multipolarismo. Menzione a parte merita la situazione dell’Ulster: è chiaro che in caso di indipendenza della Scozia ai lealisti nordirlandesi, come detto per lo più di origine scozzese, verrebbe un po’ a mancare il terreno sotto i piedi ed inevitabilmente anche la riunificazione dell’Irlanda guadagnerebbe nuovo slancio.
La questione in essere ci spinge però anche ad altre considerazioni. Il quadro generale europeo vede il progressivo indebolimento, e forse anche il superamento, degli stati-nazione. Una Scozia che si separa dal Regno Unito potrebbe così dare il via alla disintegrazione della mappa geografica dell’Europa così come la conosciamo. A questa preoccupazione rispondiamo con alcune puntualizzazioni che non saranno forse superflue nel dibattito che si sta sviluppando in merito. In primo luogo, dobbiamo rilevare che l’indebolimento degli stati-nazione non è affatto provocato dalle spinte autonomiste o indipendentiste che agiscono a livello locale, bensì da quelle accentratrici, verticistiche e sempre più piramidali che agiscono dall’alto su impulso dell’Unione Europea e in particolare del segretario della BCE, Mario Draghi, che proprio in queste ultime settimane ha moltiplicato gli appelli affinché stati-nazione come l’Italia cedano la loro sovranità al suo consiglio d’amministrazione. Se ne avessimo la possibilità lo chiederemmo proprio a Draghi cosa pensa della causa indipendentista scozzese, sicuri che la sua risposta ci illuminerebbe definitivamente al riguardo. A questo tipo di considerazione, incentrata sull’attualità, vogliamo affiancarne un’altra di respiro più ampio. Cos’è irredentismo? Cos’è secessionismo? Quando è lecito l’uno, quando l’altro se mai lo è. Così come esiste una differenza sostanziale tra nazionalismo e patriottismo, intendendo il primo come l’arbitrio espansionistico di uno stato-nazione ai danni di un altro e il secondo invece come un anelito sano di cui sono protagonisti coloro che proprio perché amano la loro patria amano tutte le patrie, allo stesso modo non ci sembra insensato distinguere tra irredentismo e secessionismo.
L’irredentismo è l’aspirazione all’unificazione (o più spesso alla riunificazione) politica della propria nazione. Senza doverci allontanare da casa nostra troviamo molti esempi di questo tipo: irredentisti erano per esempio Cesare Battisti – che voleva unificare all’Italia il Trentino sotto il dominio asburgico, e Carmelo Borg Pisani – che voleva unificare all’Italia Malta sotto il dominio inglese. Ambedue furono fucilati come traditori dalle autorità ufficiali, e nondimeno per un italiano essi traditori non lo sono affatto assurgendo semmai al rango di eroi. Anche quello irlandese è un irredentismo, dato che mira alla riunificazione dell’Ulster con il resto dell’Irlanda. L’irredentismo unisce, non divide. Al contrario se per assurdo qualcuno, sulla base di un’invenzione fantasiosa, si sognasse di fare la Padania laddove invece è l’Italia, allora ci troveremmo di fronte a un caso di secessionismo. Se l’irredentismo è un fenomeno tipico soprattutto di periodi di crescita – tant’è vero che, come si è visto, difficilmente può essere separato dalle istanze sociali, il secessionismo è invece sempre in agguato nei periodi di decrescita: l’Italia come entità politica, culturale, linguistica, e anche psicologica unitaria (non “provincia” ma cuore dell’Impero), si frantuma alla fine del mondo antico di pari passo con lo sconquasso dello Stato e dei suoi confini e con la deurbanizzazione che lascia il passo ai signorotti locali – germanici o latini, che man mano diventano conti, duchi, vescovi, principi ecc. Ora, ci sembra plausibile ipotizzare che tale frammentazione sarebbe molto probabilmente rientrata col cambio di congiuntura, si sarebbe ricomposto un Regno unitario anche in Italia – così come si affermarono in Francia o in Spagna – se non fosse stato per il ruolo politico della Chiesa.
Ma allora, se seguiamo questo ragionamento (tanto più che “c’è la crisi”!), anche quello scozzese non sarà certo un irredentismo bensì un secessionismo dato che non mira a riunificare la Gran Bretagna bensì a separarla! A prima vista sembrerebbe proprio così. In realtà si tratta del contrario. La Gran Bretagna non è infatti una nazione, è un’isola la cui unificazione culturale, linguistica, psicologica non è mai avvenuta nella storia e quella politica, conseguita solo al prezzo dello sterminio e della repressione, vacilla praticamente da sempre. Piaccia o meno ai “supporters” dell’unionismo britannico, è quella scozzese ad essere una nazione non quella britannica: una nazione che non può conseguire la sua vera unità né filarsi la sua storia in qualità di stato-nazione vero e proprio, finché rimane ostaggio di un dominio che nei decenni si è fatto senz’altro più morbido ma che sempre dominio resta. Anche quella inglese ad ogni modo è una nazione. Tempo fa leggevo su “The Scotsman”, quotidiano unionista di Edimburgo, che negli ultimi lustri non solo gli scozzesi e i gallesi hanno maturato uno spirito di appartenenza sempre più robusto, ma anche gli stessi inglesi. E a nostro avviso a nessuno di questi popoli può essere negata la possibilità di ritornare ad essere padroni dei loro destini liberandosi delle ultime vestigia di un giogo imperialista che ha davvero fatto il suo tempo. A tutti loro, il nostro migliore augurio.

MaIn
15-09-14, 18:31
facciamola più semplice: gli inglesi stanno sul cazzo a tutti e un po' tutti sperano di indebolirli (con 5 milioni di persone in meno e il petrolio in meno) :D

sono molto curioso, nel caso la scozia si renda indipenente sulla moneta che adotterà. e se cadrà in orbita tedesca (neanche loro particolarmente simpatici per quanto mi riguarda)

Kavalerists
15-09-14, 18:42
facciamola più semplice: gli inglesi stanno sul cazzo a tutti e un po' tutti sperano di indebolirli (con 5 milioni di persone in meno e il petrolio in meno) :D

sono molto curioso, nel caso la scozia si renda indipenente sulla moneta che adotterà. e se cadrà in orbita tedesca (neanche loro particolarmente simpatici per quanto mi riguarda)

Vero! :D

Vero anche questo! :D

sulla moneta spero per loro di no.

MaIn
15-09-14, 20:14
ecco una voce eretica in merito di questo referendum
i comunisti internazionalisti:
Il referendum per l'indipendenza della Scozia - Il grande diversivo | Leftcom (http://www.leftcom.org/it/articles/2014-09-08/il-referendum-per-l-indipendenza-della-scozia-il-grande-diversivo)

LupoSciolto°
15-09-14, 20:48
Regno Disunito! Supporto massimo a iralndesi e scozzesi!