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Visualizza Versione Completa : Fanfani e lla sinistra democristiana



MaIn
29-10-14, 17:02
La Boschi se ne uscita con una battuta sulla sua preferenza tra Fanfani e Berlinguer:
Maria Elena Boschi a Fabio Fazio: ?Preferisco Fanfani a Berlinguer, da aretina? VIDEO | Blitz quotidiano (http://www.blitzquotidiano.it/blitztv/maria-elena-boschi-a-fabio-fazio-preferisco-fanfani-a-berlinguer-da-aretina-video-2004624/)

il contesto pare fosse gioioso, non quindi una seria elaborazione politica (i politici attuali sarebbero capaci di tesi elaborate come gramsci e bordiga?).


rimane comunque da capire come collocare la sinistra democristiana italiana.
riformista o conservatrice?

e più in generale del rapporto tra sinistre e governo.
è evidente che una sinistra di opposizione riesce a fare proposte più radicali
cos' come è evidente che una sinistra che governa, per definizione, è l'unica che può portare qualche risultato.


e quindi..... fanfani, sullo, demita, prodi.
come la mettiamo con questi personaggi?

MaIn
29-10-14, 20:17
Amintore Fanfani in ?Il Contributo italiano alla storia del Pensiero ? Economia? ? Treccani (http://www.treccani.it/enciclopedia/amintore-fanfani_(Il_Contributo_italiano_alla_storia_del_Pe nsiero:_Economia)/)

Gli studi sulle origini del capitalismo
Le ricerche sulle origini del capitalismo furono sviluppate da Fanfani sin dalla tesi di laurea, ove approfondì lo studio degli effetti economici della riforma protestante. Proprio la tesi gli fornì il materiale per la sua prima pubblicazione (Scisma e spirito capitalistico in Inghilterra, 1932), premessa di due più mature e fortunate monografie: Le origini dello spirito capitalistico in Italia (1933) e Cattolicesimo e protestantesimo nella formazione storica del capitalismo (1934), un volume, quest’ultimo, che ha conosciuto numerose traduzioni e una recente riedizione (2005).
Con queste opere il venticinquenne Fanfani si inserì nel vasto dibattito che, fin dai lavori di Werner Sombart e Max Weber, aveva spinto molti contemporanei a interrogarsi circa le responsabilità della fede religiosa nella genesi di quello ‘spirito capitalistico’ che aveva profondamente segnato la storia dell’Europa cristiana. La tesi fanfaniana è diretta proprio a smentire le conclusioni di Weber, secondo il quale la dottrina della predestinazione (introdotta dalla Riforma e incentrata sul convincimento che la salvezza individuale non sarebbe dipesa dalla condotta, ma dal preesistente disegno divino) avrebbe sollecitato negli uomini l’amore per il successo negli affari: i fedeli lo avrebbero infatti interpretato come una rassicurante prova della propria elezione. Per questa via, dunque, il protestantesimo avrebbe sollecitato la massima industriosità e, incoraggiando l’accumulazione del risparmio, avrebbe permesso al capitalismo di avviare la sua rapida diffusione.
Fanfani, al contrario, riconduceva il successo del capitalismo proprio alla disgregazione dei valori tradizionalmente difesi dalla cristianità. Tale decadimento si sarebbe avviato sin dal Trecento, quando i primi mercanti – gli italiani su tutti – avevano cominciato a subire il fascino delle ricchezze e ad allontanarsi dai precetti della morale cristiana. Il capitalismo, nei secoli a venire, avrebbe continuato la sua ascesa nonostante la ferma e costante opposizione della Chiesa; lo scisma avrebbe dunque solo velocizzato la diffusione di un processo già avviato da secoli, ma non per le ragioni suggerite da Weber, ma per una diversa e duplice causa: da un lato fu lo spirito capitalistico (appunto già vivo e in espansione) a indirizzare la Riforma verso un’etica a esso più favorevole; dall’altro la Riforma, svincolando la salvezza dell’uomo dal suo comportamento sulla terra, fece venire definitivamente meno gli ostacoli etico-morali che fino allora avevano trattenuto il libero agire dell’individuo.
Senza scendere ulteriormente nei dettagli delle tesi fanfaniane, quello che il giovane studioso tradiva fin da queste prime ricerche era un atteggiamento di percepibile sfiducia nei confronti del capitalismo e di quelle dottrine liberali – allevate proprio nel seno dell’eresia protestante – che, giustificandolo, lo avevano condotto al trionfo. Questa sfiducia, alimentata per altro dal sospetto anticapitalista diffusosi dopo la crisi 1929, sarebbe stata chiaramente espressa nel corso degli anni Trenta, durante i quali Fanfani non avrebbe mancato di indicare nel corporativismo fascista quell’attesa e benefica terza via fra il modello socialista sovietico e quello del capitalismo edonista (cfr. Il significato del corporativismo, 1937).
Dalla storia delle dottrine economiche all’istituzionalismo americano
Quanto alla ricostruzione della storia delle dottrine economiche, Fanfani vi si dedicò dalla metà degli anni Trenta. Alla base della sua interpretazione giace l’idea che ogni dottrina sia distinguibile dalle altre per la configurazione che assumono in essa tre distinti elementi caratterizzanti: presupposti, osservazioni e norme. I primi consisterebbero nelle «idee filosofiche proprie dell’autore della dottrina» (A. Fanfani, Economia, 19532, p. 25); le seconde sono invece quelle «nozioni che l’autore ha acquisito con le sue indagini sullo svolgimento della vita economica effettuale» (p. 27) e che, nell’interpretazione del «problema economico» proposta da Fanfani, hanno generalmente a che fare con le cosiddette resistenze (ovvero tutti quei fenomeni naturali e istituzionali che costituiscono limiti oggettivi alle pretese volontaristiche degli individui); le norme, infine, sono «le regole o prescrizioni che l’autore della dottrina suggerisce, allo scopo di razionalizzare il mondo economico osservato, secondo quelli che egli stima essere i fini lecitamente perseguibili» (p. 25).
È proprio sulla base dei presupposti tipici dei loro autori che le diverse dottrine, nell’esauriente sistematizzazione fanfaniana, possono essere aggregate entro tre macrocategorie storiografiche: dottrine volontaristiche (le più antiche), naturalistiche (le successive) e neovolontaristiche (le più recenti). Le prime sono quelle dottrine che presuppongono l’inesistenza di un ordine naturale nella sfera economica e propongono un ordine economico riflesso, dedotto da vari e mutevoli principi etico-morali; sarebbero tali le dottrine economiche greche, romane, degli scolastici e dei mercantilisti, tutte accomunate dalla scarsa capacità di riconoscere l’azione delle resistenze (ovvero accumunate dal modesto apporto in termini di osservazioni) e connotate da un forte normativismo.
Al contrario, sono naturalistiche tutte quelle dottrine che presuppongono l’esistenza, anche in economia, di leggi necessarie contro le quali è reputato vano ogni sforzo della volontà. Sono naturalistiche le dottrine fisiocratiche, quelle di Adam Smith e dei suoi seguaci, quelle di François-Marie-Charles Fourier, Pierre-Joseph Proudhon e Karl Marx e quelle, recentissime, delle correnti marginaliste. Si tratta di dottrine, stavolta, accomunate dalla capacità di produrre una rilevante mole di osservazioni riguardanti la dinamica dell’attività economica (e di tracciare così un quadro articolato delle resistenze che si frappongono fra l’individuo e i suoi obiettivi economici) e, al contempo, dal tendenziale rifiuto di ogni proposito normativo, abbandonato in nome del decantato laissez-faire.
Sono infine neovolontaristiche quelle dottrine che fanno sintesi delle precedenti, ovvero recuperano i presupposti propri della tradizione volontaristica, ma ne rendono realistiche le ambizioni valorizzando il patrimonio di osservazioni e di leggi svelate dal naturalismo.
Si tratta di un terzo momento che Fanfani descrive con la passione dell’apostolo: dapprima lo equivoca con il corporativismo, poi, progressivamente, giunge alla sua formulazione più compiuta, riconoscendo come neovolontaristiche le dottrine dei neoprotezionisti (Friedrich List), degli economisti-storici, dei socialisti di Stato, di Jean-Charles-Léonard Simonde de Sismondi e dei critici dei classici, dei cristiano-sociali e degli istituzionalisti allievi di Thorstein Veblen.
La storia delle dottrine economiche ‘secondo Fanfani’ sarebbe risultata una storia incompiuta. Se infatti le dottrine inquadrate entro i primi due grandi momenti vennero integralmente trattate in altrettante monografie (Storia delle dottrine economiche: il volontarismo, 1938, e Storia delle dottrine economiche: il naturalismo, 1946), il terzo volume, sul neovolontarismo, sebbene sempre promesso, non vide mai la luce. Nel 1946 Fanfani ne pubblicò quello che in origine avrebbe dovuto costituirne un capitolo: si tratta del libello su Il neovolontarismo economico statunitense, ovvero quell’istituzionalismo che Fanfani aveva scoperto e abbracciato durante l’esilio in Svizzera e che, in estrema sintesi, egli considerava la più moderna e convincente proposta teorico-economica. Ne condivideva, soprattutto, la fede in un sistema economico variamente regolato da vincoli istituzionali:
chi scrive – ammetteva a proposito della scuola – è convinto che essa diventerà ancora più grande, non appena gli economisti non vedranno [nei suoi autori] solo dei critici dei classici, ma degli uomini che cercano la sintesi tra i presupposti del volontarismo e le osservazioni del naturalismo, per arrivare a una appropriata teoria del controllo sociale sulla vita economica […]. Quando cominceranno le avanguardie della teoria, della politica, e della pratica ad intendere che la strada nuova è quella del controllo sociale dell’economia, garantito e limitato dalla libertà politica, allora saranno disposti a considerare i neovolontaristi americani come dei pionieri (pp. 69-70).
«Controllo sociale», temperato dalla garanzia delle libertà politiche: ecco la prassi di governo dell’economia che, pur nella genericità dell’espressione, Fanfani si ritrovava a indicare per superare le angustie entro cui era rimasto soffocato il corporativismo e, al contempo (e soprattutto), per impedire la degenerazione del sistema capitalistico; esso non aveva alternative praticabili ma, se lasciato a sé stesso – è questa un’opinione ricorrente nella produzione fanfaniana –, era in grado di produrre insopportabili ingiustizie distributive e crisi ricorrenti.
A mostrare quanto determinante sia stato lo studio dell’istituzionalismo americano, valga solo ricordare che quel termine – controllo – sarebbe finito, proprio attraverso la mano di Fanfani, nella Costituzione della novella Repubblica italiana.

MaIn
29-10-14, 20:22
Amintore Fanfani in ?Il Contributo italiano alla storia del Pensiero ? Economia? ? Treccani (http://www.treccani.it/enciclopedia/amintore-fanfani_(Il_Contributo_italiano_alla_storia_del_Pe nsiero:_Economia)/)

Fanfani, costituente e uomo di governo
Se gli studi storico-economici fornirono a Fanfani un rilevante bagaglio teorico, fu in lavori come Le tre città. Postille a San Luca (1946), volume uscito poco dopo altre due opere di analogo tenore (Colloqui sui poveri, 1941, e Persona, beni, società in una rinnovata civiltà cristiana, 1945), che lo studioso d’economia lasciò spazio all’osservatore della realtà e, più ancora, all’uomo di fede. Si tratta di opere ove teologia, sociologia, economia e scienza politica si mescolano fino a far emergere quel solidarismo che avrebbe costituito l’altro supporto – accanto a quello più squisitamente teorico – del successivo riformismo fanfaniano. Insomma: se è vero che l’impegno politico, come Fanfani avrebbe poi raccontato, giunse assolutamente inatteso e imprevisto, è altresì vero che Fanfani, alla metà degli anni Quaranta, aveva ormai tutte le carte in regola (leggasi consapevolezza teorica e passione politica) per inserirsi nella vita pubblica.
L’impegno alla Costituente rappresenta l’emblematico momento di passaggio del testimone dal Fanfani ‘professore’ a quello ‘politico’. E non solo per intuibili ragioni cronologiche, ma proprio perché fu in quella sede che Fanfani, presentandosi a colleghi e opinione pubblica, tradusse in indicazioni programmatiche ciò che fino allora aveva patrocinato sul piano teorico. Fanfani, del resto, non fu solo l’estensore della fortunata espressione dell’art. 1, ma fu anche, e soprattutto, uno dei protagonisti della terza sottocommissione, deputata a trattare le questioni economiche e sociali.
Egli non mancò di inserirsi in quasi tutti i dibattiti, anche se il punto forte delle sue tesi fu proprio quello del controllo dell’economia. Il territorio dell’economia «controllata», nella riflessione di Fanfani, si estendeva fra due distinti crinali: il primo, quello dell’economia «individualistico-liberale», che andava assolutamente scavalcato, per assicurare quella giustizia distributiva che il capitalismo non sapeva assicurare; il secondo, quello dell’economia socialista, che non poteva essere oltrepassato, pena soffocare i diritti fondamentali della persona, quali, per es., quello alla libera iniziativa individuale. Appostarsi, insomma, in un’area intermedia, dove beneficiare dei vantaggi delle regioni adiacenti, senza però cadere nelle loro reciproche insufficienze: fu questo, nella sostanza, il cuore della proposta di Fanfani, poi variamente disseminata nella lettera, tutta fanfaniana, di alcuni articoli della cosiddetta «costituzione economica» (titolo III).
La prospettiva dell’economia ‘controllata’ incontrò un certo favore anche da parte delle sinistre, né fu quello il solo tema a proposito del quale Fanfani rappresentò il punto d’incontro fra gli schieramenti maggioritari (quello democristiano e quello socialcomunista): ciò accadde anche durante i dibattiti su assicurazioni sociali, diritto al lavoro, riforma agraria e partecipazione dei lavoratori alla gestione e agli utili d’impresa. L’inconciliabilità fra la visione classista delle sinistre e quella dei centristi, tuttavia, emerse in occasione del dibattito sul diritto di sciopero. Se le prime erano disposte a mobilitare il Paese pur di leggerlo nella Costituzione, Fanfani – poi uscito sconfitto – era di ben altro avviso; in fondo, la Costituzione avrebbe previsto proprio il controllo sociale e la partecipazione, istituzioni già deputate ad assicurare la giusta tutela ai lavoratori: la garanzia dello sciopero sarebbe stata un’esplicita ammissione d’impotenza da parte dello Stato. Non è dunque un caso se la contemporanea garanzia di due istituti in qualche modo contradditori – diritto di sciopero (art. 40) e partecipazione (art. 46) – si sia tradotta nella sola affermazione del primo, né è un caso se, a distanza di trent’anni, Fanfani avrebbe dedicato una monografia a rivendicare l’urgenza di quella riforma partecipazionistica che costituiva l’irremovibile corollario personalista e interclassista delle sue formulazioni sul controllo sociale (cfr. Capitalismo, socialità, partecipazione, 1976).
Alle dichiarazioni d’intenti della Costituente seguirono ben presto le scelte di governo. Fanfani, prima come ministro del Lavoro, poi come ministro dell’Agricoltura, fu certamente tra i protagonisti di quello slancio interventista che permise al Paese di uscire dalle macerie della Seconda guerra mondiale e di correre rapidamente verso quel ‘miracolo economico’ realizzatosi proprio dagli anni del suo secondo governo (1958-59). Si deve a lui il piano di edilizia pubblica INA-casa che, lanciato nel 1948, avrebbe assicurato, nel giro di pochi lustri, l’impiego di centinaia di migliaia di operai e l’edificazione di circa 350.000 alloggi destinati alle classi popolari, così come si devono a lui la battaglia per il riconoscimento giuridico degli istituti di patronato e di assistenza sociale, la realizzazione della riforma agraria immaginata da Antonio Segni e tutta quella vasta serie d’interventi (noti comeLegge per la montagna) che, dal 1952, attraverso un massiccio intervento pubblico, avrebbero permesso di rilanciare le aree agricole e montane, colpite da un grave spopolamento.
Probabilmente, negli anni della maturità politica di Fanfani, quella sua passione riformatrice si sarebbe in qualche modo raffreddata, complici le nuove e ben diverse congiunture, così come il progressivo avanzare delle logiche partitocratiche. Non è per altro facile racchiudere in un giudizio sintetico il riformismo fanfaniano del vorticoso e irripetibile quindicennio postbellico, una stagione di riforme che sfuggono certamente all’etichetta di keynesiane, troppo spesso e troppo frettolosamente scomodata (non vi è molto, se non nulla, di keynesiano, per es., nel suo ‘piano case’, realizzato attraverso la compartecipazione alla spesa di operai e datori di lavoro, piuttosto che agendo sulla leva del deficit spending); esse, forse, non furono altro che le scelte di un cattolico e di un economista sempre pronto a volgersi alla storia per correggere le deformazioni della società del suo tempo, di uno studioso appassionato che preferì sempre il caos dell’agone politico al carcere silenzioso di una turris eburnea.

Gianky
29-10-14, 22:31
Avercene di Fanfani oggi.

democratico
30-10-14, 22:10
Conosco la figlia di de gasperi mi diceva che il padre lo considerava un arrivista Fanfani


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MaIn
30-10-14, 22:29
Conosco la figlia di de gasperi mi diceva che il padre lo considerava un arrivista Fanfani


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rispetto a de gasperi saranno arrivisti il 99% dei politici
ma non sono in giudizio le qualità morali bensì gli atti politici.

Gdem88
02-11-14, 15:11
La sinistra democristiana...una strana creatura, sicuramente. Dipende quale sinistra s'intende, le sinistre erano tante...


Dalla fondazione a De Gasperi


Dossettiani, detti anche Cronache sociali: corrente sociale (http://it.wikipedia.org/wiki/Cristianesimo_sociale) fondata dall'omonima rivista (http://it.wikipedia.org/wiki/Cronache_sociali) nell'estate 1946 (http://it.wikipedia.org/wiki/1946) che durò sino all'estate del 1951 (http://it.wikipedia.org/wiki/1951), quando confluì in Iniziativa democratica (http://it.wikipedia.org/wiki/Iniziativa_democratica). Capo corrente era Giuseppe Dossetti (http://it.wikipedia.org/wiki/Giuseppe_Dossetti), che in seguito avrebbe lasciato la politica per la vita monastica, e ne erano esponenti molti membri dell'Assemblea costituente, come Amintore Fanfani (http://it.wikipedia.org/wiki/Amintore_Fanfani) e Giorgio La Pira (http://it.wikipedia.org/wiki/Giorgio_La_Pira), ed intellettuali cattolici, come Giuseppe Lazzati (http://it.wikipedia.org/wiki/Giuseppe_Lazzati) e Achille Ardigò (http://it.wikipedia.org/wiki/Achille_Ardig%C3%B2). Poiché molti suoi militanti erano docenti universitari, soprattutto della Cattolica di Miano (http://it.wikipedia.org/wiki/Universit%C3%A0_Cattolica_del_Sacro_Cuore), era detta anche la corrente dei professorini.
Gronchiani, detti anche Politica sociale: eredi della sinistra dell'ex PPI (http://it.wikipedia.org/wiki/Partito_Popolare_Italiano_%281919%29), il leader era Giovanni Gronchi (http://it.wikipedia.org/wiki/Giovanni_Gronchi) e ne facevano parte Giuseppe Rapelli (http://it.wikipedia.org/wiki/Giuseppe_Rapelli), Piero Malvestiti (http://it.wikipedia.org/wiki/Piero_Malvestiti), Domenico Ravaioli (http://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Domenico_Ravaioli&action=edit&redlink=1), Achille Grandi (http://it.wikipedia.org/wiki/Achille_Grandi) e Fernando Tambroni (http://it.wikipedia.org/wiki/Fernando_Tambroni). La corrente andò esaurendosi nel corso degli anni cinquanta (http://it.wikipedia.org/wiki/Anni_1950) con l'elezione di Gronchi (http://it.wikipedia.org/wiki/Giovanni_Gronchi) alla Presidenza della Repubblica (http://it.wikipedia.org/wiki/Presidente_della_Repubblica_Italiana) e gli esponenti s'indirizzarono verso le altre correnti.

Anni '50: Fanfani e Iniziativa democratica


La Base (http://it.wikipedia.org/w/index.php?title=La_Base&action=edit&redlink=1): corrente di sinistra, fondata nel 1952 (http://it.wikipedia.org/wiki/1952) da ex dossettiani fuorusciti da Iniziativa democratica (http://it.wikipedia.org/wiki/Iniziativa_democratica). Ne facevano parte molti esponenti del mondo economico, quali Ezio Vanoni (http://it.wikipedia.org/wiki/Ezio_Vanoni), Giorgio Bo (http://it.wikipedia.org/wiki/Giorgio_Bo) e Giovanni Marcora (http://it.wikipedia.org/wiki/Giovanni_Marcora). Fu sostenuta da Enrico Mattei (http://it.wikipedia.org/wiki/Enrico_Mattei), presidente dell'ENI (http://it.wikipedia.org/wiki/ENI), e poi dal suo successore Eugenio Cefis (http://it.wikipedia.org/wiki/Eugenio_Cefis). Afferivano a questa tendenza anche la sinistra fiorentina di Nicola Pistelli (http://it.wikipedia.org/wiki/Nicola_Pistelli) e la sinistra veneziana di Vladimiro Dorigo (http://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Vladimiro_Dorigo&action=edit&redlink=1); più recentemente, vi appartenevano Luigi Granelli (http://it.wikipedia.org/wiki/Luigi_Granelli), Giovanni Galloni (http://it.wikipedia.org/wiki/Giovanni_Galloni) e Ciriaco De Mita (http://it.wikipedia.org/wiki/Ciriaco_De_Mita). Disponeva di un periodico, Politica, edito a Firenze (http://it.wikipedia.org/wiki/Firenze).
Forze sociali: corrente della sinistra sindacale, vicina alla CISL (http://it.wikipedia.org/wiki/Confederazione_Italiana_Sindacati_Lavoratori) nata nel 1953. Ne fu capo Giulio Pastore (http://it.wikipedia.org/wiki/Giulio_Pastore) e ne facevano parte Renato Cappugi (http://it.wikipedia.org/wiki/Renato_Cappugi), Bruno Storti (http://it.wikipedia.org/wiki/Bruno_Storti), Livio Labor (http://it.wikipedia.org/wiki/Livio_Labor), Carlo Donat-Cattin (http://it.wikipedia.org/wiki/Carlo_Donat-Cattin), che succederà a Pastore.

Anni '60: Moro, Rumor ed i dorotei


Nuove cronache: corrente di sinistra fondata nel 1959 (http://it.wikipedia.org/wiki/1959) da Amintore Fanfani (http://it.wikipedia.org/wiki/Amintore_Fanfani) e dagli uomini vicini a lui dopo la sfiducia da parte della maggioranza di Iniziativa democratica (http://it.wikipedia.org/wiki/Iniziativa_democratica). Ne facevano parte Ettore Bernabei (http://it.wikipedia.org/wiki/Ettore_Bernabei), Giampaolo Cresci (http://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Giampaolo_Cresci&action=edit&redlink=1), Lorenzo Natali (http://it.wikipedia.org/wiki/Lorenzo_Natali), Arnaldo Forlani (http://it.wikipedia.org/wiki/Arnaldo_Forlani), Giovanni Gioia (http://it.wikipedia.org/wiki/Giovanni_Gioia), Franco Maria Malfatti (http://it.wikipedia.org/wiki/Franco_Maria_Malfatti), Ivo Butini (http://it.wikipedia.org/wiki/Ivo_Butini), Clelio Darida (http://it.wikipedia.org/wiki/Clelio_Darida), Gian Aldo Arnaud (http://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Gian_Aldo_Arnaud&action=edit&redlink=1) e Gianni Prandini (http://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Gianni_Prandini&action=edit&redlink=1).
Rinnovamento democratico, detta successivamente Forze Nuove: nuova corrente della sinistra sindacalista. Vi aderivano Giulio Pastore (http://it.wikipedia.org/wiki/Giulio_Pastore), Bruno Storti (http://it.wikipedia.org/wiki/Bruno_Storti), Vittorino Colombo (http://it.wikipedia.org/wiki/Vittorino_Colombo), Guido Bodrato (http://it.wikipedia.org/wiki/Guido_Bodrato) e Carlo Donat Cattin (http://it.wikipedia.org/wiki/Carlo_Donat_Cattin).

La divisione dei dorotei


Morotei, detti anche Amici di Moro: corrente progressista, piccola ma influente, di Aldo Moro (http://it.wikipedia.org/wiki/Aldo_Moro). Si scisse nel 1968 dalla corrente dorotea e vi aderivano Benigno Zaccagnini (http://it.wikipedia.org/wiki/Benigno_Zaccagnini), Tina Anselmi (http://it.wikipedia.org/wiki/Tina_Anselmi), Maria Eletta Martini (http://it.wikipedia.org/wiki/Maria_Eletta_Martini), Tommaso Morlino (http://it.wikipedia.org/wiki/Tommaso_Morlino), Luigi Gui (http://it.wikipedia.org/wiki/Luigi_Gui), Leopoldo Elia (http://it.wikipedia.org/wiki/Leopoldo_Elia), Bernardo Mattarella (http://it.wikipedia.org/wiki/Bernardo_Mattarella) e Sergio Mattarella (http://it.wikipedia.org/wiki/Sergio_Mattarella).

Area Zac e Preambolo

Area Zac: gruppo di correnti di sinistra nata nella metà degli anni settanta. Era guidata da Benigno Zaccagnini (http://it.wikipedia.org/wiki/Benigno_Zaccagnini) e vi aderivano i morotei, la Base e gli esponenti di Forze Nuove vicino a Guido Bodrato (http://it.wikipedia.org/wiki/Guido_Bodrato).



Nuova sinistra: piccola corrente staccatasi dalla Base, guidata da Fiorentino Sullo (http://it.wikipedia.org/wiki/Fiorentino_Sullo) e Vito Scalia (http://it.wikipedia.org/wiki/Vito_Scalia).

Gli ultimi anni


Sinistra di Base: corrente di sinistra di Ciriaco De Mita (http://it.wikipedia.org/wiki/Ciriaco_De_Mita). Ne facevano parte anche Giovanni Galloni (http://it.wikipedia.org/wiki/Giovanni_Galloni), Leopoldo Elia (http://it.wikipedia.org/wiki/Leopoldo_Elia), Sergio Mattarella (http://it.wikipedia.org/wiki/Sergio_Mattarella), Leoluca Orlando (http://it.wikipedia.org/wiki/Leoluca_Orlando), Beniamino Andreatta (http://it.wikipedia.org/wiki/Beniamino_Andreatta), Romano Prodi (http://it.wikipedia.org/wiki/Romano_Prodi).
Forze Nuove: corrente di sinistra di Carlo Donat Cattin (http://it.wikipedia.org/wiki/Carlo_Donat_Cattin).
Nuove cronache: corrente che raccoglie gli ultimi seguaci di Amintore Fanfani (http://it.wikipedia.org/wiki/Amintore_Fanfani).

Gdem88
02-11-14, 15:16
In generale direi che si potrebbe dividerla tra un sinistra sociale e sindacale e una sinistra politica...il cattolicesimo democratico rimane però sicuramente una delle anomalie del panorama politico italiano, quello che distingueva la DC italiana dalla CDU-CSU tedesca.

Si potrebbe azzardare che l'imponente influenza cattolica del paese che ospita il Vaticano abbia portato al centro e formato su basi cattoliche persone che per sensibilità e schemi mentali avrebbero potuto stare in un partito socialdemocratico, qualora si fossero formate su basi più laiche. Questo ovviamente vale solo per le correnti più a sinistra, altri potrebbero essere identificate come cristiano sociali simili alla CDU bavarese, conservatori sul piano sociale e pro-welfare e intervento economico in quello economico

Gianky
03-11-14, 10:56
Di Fanfani e di tutta la sinistra "matteista" conservo un buon ricordo, sia perchè all'epoca avevo ancora i pantaloncini corti e andavo all'asilo sia perchè non mi dimenticherò mai il famosao "Piano Fanfani" con cui si diede casa e si diede la possibilità di divenirne proprietari a milioni di proletari. Prima del 1961 io e i miei genitori vivevano in una casa, senza bagno, senza riscaldamento, senza gas e senza acqua (bisognava andare al pozzo comune a pescarla). Da figlio di proletari che si toglievano il pane di bocca per darlo a me e seppur adesso con due auto, due moto, qualche appartamento e qualcosina in banca sempre orgoglioso della sua gente e delle mie origini e non dimentico quanto Fanfani e la sx DC hanno fatto per noi ultimi tra gli ultimi da millenni. Fanfani arrivista? Corrotto? Politicante? Reazionario negli ultimi anni? Ecchissenefrega!

MaIn
05-11-14, 17:58
Zaccagnini, 25 anni dopo Ancora riferimento per la politica | Cultura | www.avvenire.it (http://www.avvenire.it/Cultura/Pagine/commemorazione-zaccagnini-25-anni-da-scomparsa.aspx)

Zaccagnini, 25 anni dopo
Ancora riferimento per la politica


A 25 anni dalla sua scomparsa, l'Aula del Senato ha ricordato questa mattina, mercoledì 5 novembre, la figura di Benigno Zaccagnini. A ricordare le qualità politiche e umane dell'esponente Dc sono stati quasi tutti gli esponenti dei gruppi parlamentari.

IL RICORDO di Simone Valiante *
Il 5 novembre ricorrono 25 anni dalla scomparsa dell’onorevole Benigno Zaccagnini. Zaccagnini fu Padre fondatore della nostra repubblica, ministro e segretario della Democrazia Cristiana.

La sua lunga e importante esperienza politica è legata in primo luogo, nell’immaginario collettivo, alla sfida del rilancio della Dc, che fu realizzata grazie al suo profilo serio e integro di cattolico autentico e uomo delle istituzioni sempre all’altezza della situazione.

In secondo luogo Zaccagnini fu il segretario chiamato a gestire la drammatica vicenda del sequestro di Aldo Moro, suo amico e leader.

A distanza di anni il giudizio sulla giustezza o meno della linea della fermezza è ancora oggetto di valutazione da parte di storici, politici e opinionisti. Possiamo tuttavia riconoscere che Zaccagnini si trovò di fronte al terribile dilemma di chi sa che, scegliendo, sbaglierà comunque qualcosa.

La sua azione politica, innervata da una fede sentita, sincera, vera, si legò al pontificato di Paolo VI che influenzò indiscutibilmente tutta la generazione dei politici democratici cristiani del suo tempo da Aldo Moro a Giulio Andreotti.

La sua riconosciuta e apprezzata onestà, il suo carisma, la sua personale inclinazione, favorì una stagione di rinnovamento dei quadri della Dc e un’apertura delle sedi e della politica democristiana ai giovani in anni difficili.

Zaccagnini fu allievo dell’insegnamento moroteo al dialogo, esprimendo al meglio delle sue capacità il tentativo di interpretare un cattolicesimo di apertura, non conservatore e chiuso e mostrò polso e carattere, non soltanto durante la difficile stagione del caso Moro, ma anche rispetto alle pressioni, fortissime, che provenivano da ambienti americani preoccupati del dialogo del partito cattolico col Pci.

Nel 1960 Zaccagnini, prima di altri, in un dibattito alla Camera, anticipò la caduta del comunismo, giudicata all’epoca come inevitabile, ma preferisco citare una sua considerazione, espressa quattro gironi prima della caduta del muro di Berlino e che mostra, da sola, la grandezza del personaggio: «Sarebbe tuttavia illusorio immaginare la pace come il risultato di un accordo Est-Ovest, quasi prefigurandola come esclusivo appannaggio del Nord del mondo. La pace è indivisibile: o coinvolgerà in egual modo il Sud del mondo o non si realizzerà. Su questa sfida, della pace, noi cattolici democratici dobbiamo impegnare gran parte del nostro avvenire politico».

Al figlio, nel periodo tempestoso della contestazione del 1968, rivolse una lettera di dirompente attualità. Cito solo un passo, particolarmente significativo: «Ti dico con fermezza che, di fronte al dilemma che mi sembra tu stia vivendo, riformismo o rivoluzione, sono francamente per la prima soluzione, convinto che non vi sia altra rivoluzione vera da compiere all'infuori di quella che si attua spingendo al massimo in ogni fase storica le possibilità concrete e reali di riforma... Credo che occorra custodire in se stessi intimamente un'anima rivoluzionaria, operando però nel concreto, con metodo. Bisogna lavorare tenacemente, realisticamente, instancabilmente, senza sentirsi mai soddisfatti, guardando avanti al domani senza perdere di vista il presente».

Venticinque anni dopo Zaccagnini è un modello e un punto di riferimento non soltanto per il partito democratico ma per tutta la politica italiana.
* Deputato PD, portavoce di AmiciDem

MaIn
01-02-15, 00:15
e oggi la sinistra cattolica ha il presidente del consiglio e il presidente della repubblica.

Gdem88
01-02-15, 02:50
Uhmmm...non ascriverei Renzi alla sinistra democristiana, per età e connotazione personale Renzi è certamente un cattolico formatosi nel PPI prima e nella Margherita poi, ma non ha molte delle caratteristiche della sinistra dc, è più un liberal affine a Veltroni...lo vedo più ispirato da quest'ultimo che da Andreatta, Mattarella e Dossetti ( anche se fece la tesi su La Pira).