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carter
01-07-15, 09:47
Confusione dottrinaria (http://www.warfare.it/storie/dottrine_ww1.html)

Solo qualche spunto di riflessione senza grandi pretese.

Divisioni su 2 brigate.
Brigate su 3 reggimenti.
Reggimenti su 3 battaglioni
2 mitraglatrici per battaglione.

Fin qui tutto uguale: sono gli elementi base dell'organico delle divisioni francesi e tedesche nel 1914.

I tedeschi avevano il doppio delle artiglierie rispetto ai francesi: 36 contro 72.

Sì, è una differenza, ma non sono sicuro sia poi significativa.

Ma in realtà la questione che mi ponevo è un'altra: le dottrine che avevano generato quegli ordini di battaglia erano così simili da giustificare solo quella differenza?

Potenza dei numeri in una guerra che viene spesso presentata come l'apoteosi del Darwinismo sociale applicato alla guerra. In effetti i presupposti ci sarebbero.
Le dottrine militari della prima guerra mondiale hanno la tendenza a presentarsi come basate eminentemente su fattori culturali, e, quindi, statuivano come principio che l'offensiva fosse la naturale inclinazione del proprio popolo.
Solo per fare un esempio, i francesi nel loro "Réglement" del 1913, opera in gran parte del colonnello Louis de Grandmaison, precisavano che "L'Esercito francese, tornando alle proprie tradizioni, da ora in poi non conosce altra legge che l'offensiva". E per i tedeschi le cose, ovviamente, non erano diverse: la guerra sarebbe stata "furor gallicus" contro "furor teutonicus".

In Italia, nel 1888 il trentottenne maggiore Luigi Cadorna aveva spiegato in un articolo della Rivista militare come per vincere una guerra moderna si dovesse puntare a nient'altro che l'annientamento del nemico.

Questo obiettivo, prima o poi, era inevitabilmente destinato a sfociare in un brutale attacco frontale, che sarebbe stato risolto a vantaggio del combattente più determinato e più numeroso.

Quasi trent'anni dopo, il "generalissimo" Cadorna non aveva cambiato opinione, nonostante l'acqua passata sotto i ponti. Quel suo articolo, con poche revisioni e modifiche diventò nel 1915, pochi mesi prima dell'entrata nella guerra dell'Italia, la dottrina ufficiale del nostro Esercito, e pubblicata in un libretto con la copertina rossa intitolato "Attacco frontale e ammaestramento tattico".
Attaccando una vasta fronte dello schieramento nemico si poteva individuare il punto di cedimento sul quale esercitare un'ulteriore pressione allo scopo di provocare il massimo delle perdite nemiche. Semplice, razionale, infallibile. Inutile, anzi controproducente, cercare soluzioni di attacco alternative, quando, in conclusione, quell'imbuto logico conduceva a uno scontro frontale tra masse disciplinate e determinate. Se non funzionava, la colpa non era del tiro rapido delle mitragliatrici o della protezione offerta al difensore dalle trincee o dei colpi dell'artiglieria pesante: poteva risiedere solo nell'indisciplina e nella svogliatezza di quelle truppe e di chi le comandav a.

Alla stessa conclusione arriva Alfred von Schlieffen quando sostiene che per far funzionare il suo piano e far compiere tante marce forzate ai soldati che dovranno attuarlo, gli ufficiali dovranno dare prova di grande forza di volontà.

La cosa interessante è che Schieffen era molto meno convinto che una battaglia dovesse concludersi con un attacco frontale e anche per questo aveva ideato il suo piano, che doveva essere la dimostrazione di questo principio:

È interessante anche perché entrambi puntavano alla distruzione totale del nemico e pensavano entrambi che l'attacco fosse superiore alla difesa, per la possibilità da parte degli attaccanti di concentrare forze superiori in un punto dello schieramento difensiivo dell'avversario, che sarebbe stato per forza di cose più esteso.

Dunque c'è qualcosa che non torna. Da un lato abbiamo uomini che per la loro "razza" sono superiori agli uomini di altre nazioni, dall'altro abbiamo ufficiali che devono spronare a dovere questi uomini perché se lo ricordino, dall'altra ancora abbiamo la sottovalutazione del fatto che chi sta in difesa è avvantaggiato rispetto all'attaccante per il solo fatto di stare fermo e coperto a sparare, mentre l'altro avanza allo scoperto.

E questa cosa non gli era ignota: solo non sembra che le dottrine la esaminino a fondo.

Di più, nel prosieguo del conflitto l'artiglieria assunse un ruolo sempre più importante: "L'artiglieria conquista, la fanteria occupa", era il dogma nei quartier generali.

Il che se permettete non incoraggia certo quegli uomini di una razza superiore a comportarsi come tali, anzi, li relega ad un ruolo subalterno. E quando poi si accorgono che l'artiglieria non ha conquistato un bel niente, possiamo immaginarci come il loro morale scendesse sotto i tacchi.

Altro aspetto, e torniamo agli organigrammi proposti all'inizio di queste brevi considerazioni. Perché così poche mitragliatrici?

La mitragliatrice aveva alle sue spalle una storia relativamente recente: i primi modelli di armi automatiche moderne erano stati usati sui campi di battaglia della Guerra civile americana, della Guerra franco-prussiana e della Guerra russo-giapponese e in varie operazioni coloniali come la Guerra dei Matabele.
Insomma qualche dato di esperienza sulla loro efficacia era disponibile. Perché dunque così poche mitragliatrici? È una domanda retorica, e sono sicuro che avete trovato già voi la risposta: ma perché non erano (ancora) adatte ad una strategia offensiva: troppo pesanti, troppo prone ad incepparsi, troppo avide di munizioni in un'epoca dove i problemi logistici per una formazione che attacca erano terribili.

Insomma, a me pare che qualcosa in quegli anni sia andato storto nella produzione dottrinaria.

massena
04-08-15, 17:45
le mitragliatrici erano considerate utili nelle guerre coloniali, per fermare indigeni scalmanati che attaccavano in massa il fortino dei bianchi.
cose da barbari, che nella civile europa non potevano accadere, dato che la guerra sarebbe stata immane ma breve, dove avrebbe vinto la manovra in campo aperto, con le artiglierie a tiro rapido a farla da padrone, e i fucili splendidi e precisi fino a 2 km (le armi individuali più precise e costose mai realizzate, superiori anche a quelle odierne).
il problema è che i piani bellici si basano sulle esperienze precedenti, e i generali hanno combattuto quando erano maggiori o al massimo colonnelli...
non che i tedeschi avessero "geni militari" molto superiori ai francesi, sia inteso (infatti hanno "quasi" vinto. erano più efficienti e meglio organizzati, con un magnifico Stato Maggiore (e pensare che l'ha inventato Napoleone....).
non sono molto sicuro sul numero delle artiglierie che hai citato, non è che i francesi avessero DUE reggimenti di artiglieria per divisione?