PDA

Visualizza Versione Completa : Da agnostico quale sono mi accingo a.....



cireno
02-12-15, 21:55
Rotwang ha iniziato un thread interessante sul Cristianesimo Scientista nel quale si leggono queste parole

La dottrina scientista cristiana si basa sull'affermazione contenuta nella Genesi in cui si dice che Dio fece tutto e tutto quello da Lui fatto viene ritenuto "buono". L'uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio, è un essere spirituale e non materiale. Ciò porta alla consapevolezza dell'irrealtà del "peccato", della malattia e della morte e permette all'uomo di arrivare alla liberazione da questi mali e alla guarigione attraverso l'insegnamento di Gesù Cristo. Il paradiso e l'inferno sono stati mentali, Satana è il simbolo della natura esteriore apparente, che viene vinto dalla fede in Cristo (cioè la comprensione della natura perfetta intrinseca del cosmo) simbolizzata dall'eucarestia, l'unione con la natura perfetta incarnata da Gesù.

Leggendo queste parole mi è tornato in mente quello che Umberto Veronesi ha scritto nel suo libro Il Mestiere di Uomo nel quale racconta il suo percorso da credente a uomo senza Dio. E’ stato l’incontro con il cancro-scrive Veronesi-a darmi la certezza della non esistenza di Dio. E ancora” Allo stesso modo di Auschwitz, per me il cancro è diventato la prova dell'impossibilità di Dio. Come puoi credere nella Provvidenza o nell'amore divino quando vedi un bambino invaso da cellule maligne che lo consumano giorno dopo giorno davanti ai tuoi occhi? ? Ci sono parole in qualche libro sacro del mondo, ci sono verità rivelate, che possano lenire il dolore dei suoi genitori? Io credo di no, e preferisco il silenzio, o il sussurro del non so"

E’ evidente che le parole che ha scritto Rotwang sono in aperta opposizione a quelle scritte da Veronesi, e davanti a posizioni così distanti tra loro io non riesco che ad essere sempre più dibattuto in cento domande alle quali non riesco a rispondere.
Ma soprattutto è una domanda, quella eterna, quella che migliaia di pensatori hanno nei secoli affrontato a turbarmi: PERCHE'?
Mi accingo a postare pagine di quello che forse diventerà un libro sulla ricerca di Dio, se esiste.
Spero di riuscire, con la mia modestia intellettuale, a farmi capire, in questa fatica.

cireno
02-12-15, 22:01
Prima di iniziare voglio ringraziare RACHEL WALLING e GIORDI per avermi concesso la possibilità di postare qui le pagine che verranno.

Prefazione


Giovanni è stato uno dei primi quattro uomini che hanno seguito Gesù.
Gli altri furono Giacomo, Simone (Pietro) e Andrea, fratello di Simone.
Circa trent’anni dopo la morte del Maestro, Giovanni partì per l’Asia Minore, per predicare il Suo messaggio e convertire le popolazioni pagane delle grandi città di Efeso, Mileto, Dydima.
Anche Maria, la madre che Gesù prima di morire aveva affidato a Giovanni, sembra si sia recata in quei luoghi ma su questo non si hanno certezze. In ogni modo in una località a quattro chilometri da Efeso, Panaya, esiste ancora una casa dove sembra che Maria abbia vissuto per qualche tempo e che per questa ragione è chiamata la Casa di Maria.

Giovanni morì qualche anno dopo essere giunto ad Efeso e venne sepolto nel paese di Selcuk, in una piccola chiesa, appositamente costruita dai fedeli del luogo per dare degna onoranza alle spoglie mortali dell’Apostolo.
Oltre cinque secoli più tardi, sotto Giustiniano, al posto di quella chiesetta, venne eretta la Basilica chiamata di San Giovanni, il più importante edificio bizantino della zona.

Nel 1330 gli ottomani trasformarono la Basilica in moschea quindi, nel 1402, le truppe mongole, nella loro furia barbarica, la devastarono e la distrussero quasi completamente. Solamente la tomba di Giovanni venne in parte risparmiata: il resto della grande basilica fu perso per sempre.
Oggi i suoi muri diroccati fanno da corona alla tomba di San Giovanni e testimoniano delle peripezie che questo luogo ha vissuto.

Malgrado la grande Basilica bizantina sia quasi completamente distrutta milioni di fedeli, nel corso dei secoli, hanno pregato sulla la tomba dell’Apostolo. Ancora oggi i resti della basilica sono meta di pellegrinaggi. Papa Paolo VI, durante il suo pontificato, si è recato a pregare sulla tomba dell’Apostolo Giovanni.

Un’antica leggenda dice che chi prega e cammina su quella tomba, trova la pace dello spirito.


***


Quest’estate siamo arrivati, mia moglie Carla e io, via mare nel porto turco di Kusadasi. A trenta chilometri da Kusadasi c’è Efeso, che dalle rovine romane ben conservate rivela la straordinaria grandezza del suo passato; tre chilometri a sinistra di Efeso, su una piccola collina al centro di Selcuk, ci sono i resti della Basilica di san Giovanni e la sua tomba.

Dopo un’estenuante trattativa sul prezzo della corsa, un simpatico e spericolato taxista turco ci ha portati a Selcuk. Pagato l’ingresso al Ministero dei Beni Culturali della Turchia, siamo entrati fra le rovine di quella che è stata una delle prime chiese del cristianesimo.
Erano le tre di un sereno pomeriggio, e il sole picchiava come è giusto che faccia in Turchia nel mese di agosto.
Fra quelle mura diroccate, che sembravano braccia levate al cielo, eravamo solo noi due, in compagnia del sole, del vento e di un gran numero di uccellini che, dagli alberi, rigavano l’assoluto silenzio con i loro canti.
La tomba dell’Apostolo era in un lato della basilica, spoglia e senza un fiore. Una lastra di granito con qualche parola scolpita, e quattro candelieri di pietra agli angoli.
Ci siamo fermati, mia moglie ed io, davanti a quel sepolcro in assoluto silenzio. Lei ha recitato qualche preghiera, io sono decenni che non dico una preghiera, per cui non potevo farlo, non ricordavo nemmeno le parole.
Sentivo però che il mio pensiero si alzava verso il cielo, in quell’atmosfera incredibile, assolutamente spirituale. D’altra parte non avrebbe potuto essere diversamente: lì, davanti a me, riposavano i resti di un uomo che aveva vissuto con Gesù Cristo, gli aveva parlato, lo aveva ascoltato, gli aveva dedicato la vita!
Mi sono ricordato della leggenda medioevale, e allora, con assoluto rispetto, anzi, con un certo imbarazzo, quasi temessi di compiere un atto sacrilego, ho camminato sulla tomba del Santo. Pochi passi.

Non so se questo mi ha fatto trovare la pace dello spirito, come vuole appunto l’antica leggenda, quello che è sicuro è che oggi sono qui, davanti a questa tastiera di computer, alla ricerca di quel Dio che rincorro da sempre senza mai riuscire a raggiungerlo.

cireno
03-12-15, 18:01
Preambolo

Ci sono interrogativi che fanno parte del bagaglio esistenziale dell’uomo, e che ci portiamo sempre con noi.
Alcuni, come quelli sull’esistenza di Dio e sul senso della vita, sul perché viviamo e dove andremo dopo questa brevissima esperienza terrena, se non ce li poniamo è solo perché li rifiutiamo, sapendo in anticipo che difficilmente potremo, nella nostra limitatezza, trovare una risposta adeguata alla grandiosità del tema.
Cercare risposte a queste domande è come guardare in un abisso di cui non si scorge il fondo: la paura dell’ignoto, atavica nell’uomo, diventa sgomento davanti a ciò che non si può vedere, toccare, identificare; sgomento che origina, secondo Kierkegaard, quell’angoscia esistenziale che è la causa principale delle tante forme di nevrosi di cui soffre l’umanità. Un famoso psicanalista americano ha detto, al riguardo “la depressione è il male del genere umano che nasce dall'impossibilità di dare un significato alla disperante inutilità di una vita che passa veloce e va verso la fine, senza che l’uomo riesca a comprendere nemmeno perché è nato”.

Altri interrogativi, più legati invece all’esistenza terrena, nascono per soddisfare il desiderio di sapere. Una volta trovate le risposte, queste diventano mattoni che servono per ampliare l’edificio della nostra cultura. Sono evidentemente domande di spessore diverso dalle prime, perché un conto è misurarsi con il problema dell’esistenza di Dio, che non si vede e che molti possono accettare per istinto, per fede, e perfino anche, qualche rara volta, per logica o deduzione, un altro conto è capire quello che l’uomo ha pensato, scritto, elaborato, scoperto nel corso dei secoli. In ogni caso sono sempre l’espressione del desiderio di sapere e quindi devono, o dovrebbero, avere una risposta, perché la mente umana ha sempre sete di conoscenza.

Molte persone invece non si pongono domande, lasciano perdere, sfuggono i vari problemi, evitano i dubbi e riescono così a vivere di poche e spesso superficiali certezze, senza rendersi conto che così riescono solo a galleggiare in un limbo di niente. Altri pensano che la vita debba essere solo un veloce passaggio fatto di lavoro e godimento materiale: è stato Voltaire, se non erro, a dire “lavoriamo senza pensare a niente, perché è l’unico modo per sopportare la vita”.
E’ evidente che questa mia “ricerca” non è rivolta a queste persone felici di non esistere, ma a coloro che, come me, a questi interrogativi vorrebbero trovare una risposta.

Probabilmente nel corso di questo mio scritto salterò fra domande e argomenti apparentemente diversi fra loro. Credo che sia normale, quando ci si accinge a scrivere senza sapere esattamente che percorso si riuscirà a seguire, ignorare cosa potrà nascere inoltrandosi nell’argomento. Questo mi porterà fatalmente a fare un po' di confusione nell’ordine logico dello scritto, ma non cambierà il senso della mia ricerca. Certo sono io a scrivere e quindi userò parole mie, ma non disdegnerò di usare anche cose che sono già state scritte da altri. Del resto io non sono uno scrittore e tanto meno un teologo: quello che mi accingo a scrivere lo faccio perché, in un certo senso, mi sento costretto a farlo.

Comunque, agli esegeti della lingua italiana, porgo le mie scuse anticipate per una costruzione grammaticale che forse qualche volta traballerà. Al ricordo del mio vecchio professore De Regibus, che al liceo cercava disperatamente di farmi studiare analisi logica e grammaticale, chiedo invece perdono: lui ha fatto del suo meglio.

E infine una annotazione importante: io non voglio convincere nessuno ad avere fede o a non averla, perché sono innanzi tutto io l’obbiettivo del mio scrivere, quello che deve trovare i motivi “logici” per credere all’esistenza di Dio o per definitivamente rifiutarlo. Per dirla con Messori, la fede non è un programma per computer, con una risposta ad ogni possibile domanda, che tra l’altro sarebbe anche cosa noiosissima, ma potrebbe essere un traguardo, dico io, che può essere almeno avvicinato con lo studio, il pensiero e addirittura con il ragionamento.

Mi rendo conto perfettamente che la ricerca di argomenti razionali per dimostrare qualcosa che alla mente dell’uomo appare più prossimo all’irrazionale è una scommessa quasi impossibile. Però la strada di cercare di dimostrare l’esistenza o l’inesistenza di Dio è già stata percorsa da altri, quindi io non mi considero un illuso: camminerò anch’io su questo difficile cammino. Questa strada è vecchia di migliaia di anni, visto che già nel cristianesimo primitivo si fronteggiarono due scuole di pensiero: la prima, di ispirazione ellenistica, patria della filosofia, cercava la Verità proprio attraverso il ragionamento e la seconda, di estrazione giudaica che, abituata alla fede assoluta nel Vecchio Testamento e nella figura onnipresente di Jhwh (Javeh), aveva un senso religioso più marcato e quindi semplicemente ‘credeva‘ senza farsi tante domande. Sappiamo tutti della grande diatriba che nacque tra Paolo, che di cultura era greco, che sentiva come scopo della sua vita l’annuncio della parola di Cristo a tutte le genti, e Giacomo, fratello di Giovanni, capo della cosiddetta fazione dei cristiani giudeizzanti, che pretendeva l’osservanza assoluta alla legge di Mosè e perfino la circoncisione dei nuovi battezzati. Una discussione che mise anche in pericolo la prima chiesa di Gesù, perché la diversità dell’interpretazione delle parole del Maestro, fra i due Apostoli, era davvero grande e le rispettive posizioni restarono a lungo ferme nei loro convincimenti.
Io rispetto assolutamente la posizione di Giacomo ma mi sento vicino a quella di Paolo e quindi cercherò attraverso il ragionamento e lo studio di quanto è già stato scritto sull’argomento di trovare una mia soluzione.

Perchè, voglio ripeterlo, vorrei almeno tentare di capire che senso ha questa mia esistenza, visto che non credo che vivere possa essere solo nascere, riprodursi e morire, e per questo mi sembra logico provare ad approfondire l’argomento con l’analisi di tutti i possibili punti di vista, visto che in duemila anni di discussioni e sono stati evidenziati migliaia.
E tutto questo non perché, avvicinandosi l’ora del sonno, come recita il titolo di un bellissimo lieder di Riccardo Strauss, si diventa mistici, almeno secondo l’opinione di un giovane parente, che non è vero, ma perché il desiderio di sapere e di capire, e quindi di cercare di trovare una risposta alla più grande di tutte le domande, desiderio che ho sempre avuto da quando mi ricordo, ora è diventato irrefrenabile, forse proprio perché, guardando avanti, mi rendo conto che il tempo che mi resta per capire è diventato limitato.

Il grande interrogativo non è solo “Dio esiste?” ma è anche, se non specialmente “perché viviamo?” O anche, come si chiese Leibniz “perché esiste qualcosa anziché il niente?” .

Che senso ha vivere? A cosa serve, e perché? Oppure la vita è solo un’illusione, un riflesso di qualcosa che in realtà non c’è? Ecco: questa è la grande domanda. Trovare delle risposte significa dipanare anche la matassa e entrare nel grande mistero di Dio, cioè di chi ha voluto, e quindi creato, tutto questo.

cireno
04-12-15, 10:14
E poi ci sono altre domande, ad esempio: Gesù Cristo è stato semplicemente un uomo o il figlio del Dio incarnato per la salvezza dell’umanità, come vogliono la Chiesa e i Vangeli? E se è stato solo un uomo cosa ha significato la breve vita straordinaria che i Vangeli, e non solo, raccontano?
Troverò risposte a tutte queste domande?
Lo spero. Così magari riuscirò a trovare un equilibrio al mio comportamento nei riguardi della religione(i), perché non posso continuare ad essere una sorta di travicello che sbattuto da onde furiose a momenti di calma piatta del mare interno, per tutti gli interrogativi e tutti i dubbi che non mi riesce di risolvere.

Però potrei anche non risolvere niente, non trovare risposte, e allora dovrò rassegnarmi a vivere immerso in questo limbo di agnosticismo e ad invidiare i credenti, quelli della fazione di Giacomo, che credono e basta senza porsi tante domande.
Cercherò ovviamente di non prendere posizioni. Mi sforzerò di chiarire perché si dovrebbe credere in Dio e anche perché si potrebbe non credere. Non so però se riuscirò a essere del tutto imparziale nel mio scrivere. Non è facile essere imparziali, quando tanti dubbi continuano a crearsi nella mente e il solo modo per risolverli è legato a interpretazioni, a intuizioni.
Perché, come mi sembra sia molto chiaro, io sono portatore di dubbi pesanti. E se il dubbio nasce dall’intelligenza, così come si dice, perché non dovrei averli?
Per questo mi piacerebbe poter seguire il consiglio che Agostino ha dato agli scettici e ai dubbiosi: prima credi e poi conoscerai. Ma non è facile, non si può ordinare a noi stessi di credere. E poi se già credessi non starei qui a scrivere quello che sto scrivendo. Devo quindi rovesciare il consiglio: prima cercherò di conoscere, magari con un atteggiamento fiducioso, poi forse riuscirò anche a credere. Forse.
Una cosa mi dà speranza: il fatto stesso che mi trovo qui per affrontare questa ricerca potrebbe voler dire che Dio, al di là dei miei dubbi di sempre, è già dentro di me. Credo sia Tommaso che ha detto “Per il fatto stesso che un uomo si senta costretto a pensare a Dio, questo sta a significare che Dio è già entrato in lui”. Vedremo.


****


Voglio chiudere questo lungo preambolo con una bella pagina di Sergio Quinzio, scrittore cattolico, filosofo e teologo, tratta dal libro ‘Mysterium Iniquitatis’, perché queste parole mi danno la possibilità di introdurre il tema nel miglior modo possibile.
E’ una confessione di fede e una riflessione sul mondo di oggi.
Quinzio è morto pochi anni fa, ancora abbastanza giovane. Ha lasciato degli ottimi studi sul Cristianesimo e sulla Bibbia. Era sicuramente un uomo che ‘credeva’, quindi un uomo felice, perché non travagliato dall'angoscia del dubbio.

“La fede è la scelta assoluta, gratuita e rischiosa - per grazia si diceva - di un orizzonte, di un linguaggio fra i tanti possibili. Ho sempre guardato con curiosità, ma senza vero interesse, come se fossero delle stranezze, agli innumerevoli tentativi che gli uomini hanno storicamente fatto per sostituire la semplice, insostenibile certezza senza appigli della fede con sistemi e artifici che avrebbero dovuto fondarla o confutarla.
Direi che questo cammino è proceduto lungo i secoli in tutte le direzioni possibili, dal mito alla ragione metafisica, dalla scienza alla politica, dai misteri esoterici al pragmatismo assoluto, dalle sublimazioni estetiche e mistiche ai vari sincretismi ed ecumenismi, dalla magia allo storicismo, fino alle varie forme di nichilismo.
Sono forse universali nel tempo e nello spazio, il mito, o la filosofia, o la scienza, più di quanto lo siano la fede o la religione?
Ignorando scienza e filosofia, intere civiltà hanno compiuto il loro corso. Noi tendiamo a definire filosofia e scienza alcune esperienze reali che di per sé non richiedono, neppure lontanamente, di essere trasposte e interpretate nel modo in cui sono trasposte e interpretate nel nostro orizzonte mentale.
Si possono naturalmente portare tantissimi argomenti per mostrare la inverosimiglianza del credo religioso. Ma sono pur sempre argomenti che ci appaiono validi per la sola ragione che appartengono alla ‘nostra cultura’, e cioè agli schemi psicologici, sociali, mentali del nostro tempo: e che dunque non provano niente di più di quel che, in altre culture del passato, i relativi argomenti presumevano di provare.
Il fatto che la fede sia diventata ‘incredibile’ per l’uomo d’oggi non prova di per sé nulla, né pro né contro di essa. E’ vero che apparteniamo al nostro tempo, che non possiamo pensare di uscirne, e che fra le esperienze del nostro tempo c’è quella dell’incredulità della fede. Ma senza dubbio appartiene ormai al nostro tempo anche l’essenziale coscienza della parzialità e precarietà e dei suoi criteri di valutazione.
Quindi la possibilità della fede rientra in gioco”.

cireno
05-12-15, 10:49
La figura di Dio


Dall’Enciclopedia Garzanti: - Dio, dall’indoeuropeo DIV (luminoso), e quindi dal latino DEUS, designa un’entità superiore dotata di potenza sovrumana. Nell’ambito della tradizione ebraico-cristiana la parola assume il significato di “Signore”, o Essere Supremo, ultramondano, personale, assoluto, che esiste per se stesso e perciò è necessario, eterno, creatore, legislatore, giudice, infinitamente perfetto, santo, rimuneratore. In ogni religione monoteista costituisce il centro di tutto e il punto assoluto di riferimento, essendo certa la relazione vitale tra l’IO umano e il TU divino, anche se ad un’analisi più penetrante le caratteristiche della divinità espressa con il nome di Dio appaiono, in relazione all’Io umano, molto tenui e difficilmente determinabili. La ragione di questo è spiegabile con il fatto che Dio nella sua totalità, infinitezza e assolutezza, non può avere nessuna peculiarità di persona, perché questo includerebbe una limitazione e una relazione.

Dice un autore “che un aspetto problematico del concetto di Dio è presente nel pensiero cristiano, cui incombe di giustificare la nozione di Dio uno, trino e incarnato, di fronte alle obiezioni del monoteismo assoluto e del razionalismo filosofico”. Nella patristica si presentano, al riguardo, due posizioni: quella della teologia negativa, ovvero della non-conoscenza di Dio (apofatica), per cui la natura di questi è inaccessibile alla mente, quindi è un Dio absconditus, nascosto, inafferrabile; e quella della teologia affermativa (catafatica), che al contrario cerca di determinare gli attributi di Dio sulla base delle analogie con la realtà accessibile alla mente umana. Tommaso d’Aquino, applicando a Dio la definizione di ‘persona’, sette secoli prima da Boezio, secondo il quale ‘persona è sostanza individua della natura razionale’, ha difeso la possibilità di un Dio personale ma, insieme, ha anche rilevato la sua base analogica: pertanto Dio rappresenta la personalità assoluta e il mistero di Dio unisce in sé quello che i concetti di persona e di assoluto invece separano.

Prospettive a prima vista paradossali e inspiegabili sono la lontananza, cioè la trascendenza rispetto al mondo materiale dell’universo, e la vicinanza di Dio, cioè la sua immanenza al mondo degli uomini, l’autosufficienza e la partecipazione. L’accento posto su uno o sull’altro di questi “attributi”, impronta sicuramente la concezione di Dio: l’affermazione esclusiva del suo essere separato dal mondo, trascendenza, dà luogo ad una concezione deistica; l’affermazione della sua immanenza, per cui al contrario Dio s’identifica con il mondo creato, può dar luogo al panteismo; l’autosufficienza nega la necessità di ricorrere a Dio, per spiegare la natura materiale.

L’islamismo e il giudaismo sono trascendenti, cioè pensano Dio “al di sopra” delle cose reali, mentre l’induismo è immanente e politeista, cioè immagina che Dio viva fra gli uomini, vicino alla loro vita quotidiana, che però si presenta sotto diverse forme e diversi nomi per assolvere a differenti funzioni: sono concezioni diverse, anche se non così tanto come potrebbe apparire dal solo confronto tra immanenza e trascendenza, perché nell’islamismo, e ancor più nel giudaismo, non mancano posizioni distinte e riluttanti all’affermazione unilaterale della definizione (trascendente o immanente).
Da tutto questo appare con evidenza come la coscienza religiosa riconosca di possedere il Dio “vero” solo nell’antitesi del suo ‘essere assoluto ed essere persona’ nello stesso momento, dell’unicità e della totalità, della lontananza e della vicinanza, quest’ultima espressa con il concetto di Divina Provvidenza. E la salvezza definitiva dell’uomo, intesa come liberazione definitiva dal peccato, dal bisogno e dalla miseria del mondo materiale, perché solo in Dio egli può trovare la risposta a tutte le sue irrequietezze esistenziali.

L’elemento razionale nella concezione di Dio, ha dato luogo all’elaborazione di “prove sulla sua esistenza”.
I pensatori che le enunciano sostengono che, ove non si ponga un principio trascendente, l’esperienza risulta contraddittoria e si dovrebbe allora negare la razionalità del reale.
Secondo alcuni fra essi (Cartesio, Anselmo), l’essere pensabile col massimo di perfezione “deve” esistere come logica conseguenza al fatto che esiste l’essere imperfetto, l’uomo. Secondo altri (Aristotele, Tommaso d’Aquino) la contingenza del mondo postula un essere necessario, per cui l’ordine e il finalismo che si presentano nella natura richiedono un ordinatore e un’intelligenza perfetta. Alcuni pensatori di scuola moderna riconoscono come voce di Dio il rimordere della coscienza di fronte al male compiuto. Secondo Kant invece, Dio è un’idea creata dall’esigenza di una vita morale, e quindi è un ‘bisogno’ dell’uomo.
La descrizione di Dio e dei suoi attributi è quindi variegata, e raccoglie una copiosa produzione. La teologia, però, nega il pensiero dei filosofi e ne sottolinea la distanza dal Dio vivo, quello uno e trino della Rivelazione. La filosofia che cerca di dimostrare Dio attraverso una logica matematica a sua volta rifiuta la presentazione teologica della figura divina.
L’ateo invece nega Dio, o per superficialità o per convinzione inesplicabile, in quanto manca la possibilità razionale di una dimostrazione che parta dalla realtà conosciuta dall’uomo, quindi l’unica che egli possa riuscire a comprendere nella sua limitatezza terrena.
Alcuni filosofi, Nietzche prima di altri, sono arrivati a proclamare la “morte di Dio”, e con questo si è cercato di superare la stessa filosofia materialista che semplicemente lo negava.
A questo punto è il caso di riportare alcune stupende righe, scritte nel 1920, da Giovanni Papini:-

”I Liberi Muratori, gli Spiritisti, i Teosofi, gli Occultisti, gli Scientisti credettero d’aver trovato il surrogato infallibile del Cristianesimo e di Dio. Ma codesti guazzetti di superstizioni muffose e di cabalistica cariata, di simbologia scimmiante e di umanitarismo acetoso, codeste rattoppature malfatte di buddismo d’esportazione e di Cristianesimo tradito, contentarono qualche migliaio di donne a riposo, di bipedes asellos, di condensatori del vuoto e fermi lì.
Intanto, tra un presbiterio tedesco e una cattedra svizzera, si veniva apprestando l’ultimo Anticristo. Gesù, disse costui scendendo dalle Alpi al sole, ha mortificato gli uomini; il peccato è bello, la violenza è bella; tutto quello che dice sì alla Vita è bello. E Zarathustra, dopo aver buttato nel Mediterraneo i testi greci di Lipsia e le opere di Machiavelli, cominciò a saltabeccare, con quella grazia che può avere un tedesco nato da un pastore luterano e sceso allora da una cattedra elvetica, ai piedi della statua di Dioniso. Ma benché i suoi canti fossero dolci all’orecchio, non riuscì mai a spiegare cosa fosse quell’adorabile Vita alla quale si dovrebbe sacrificare una parte tanto viva dell’uomo qual è il bisogno di vincere in sé la bestia, né seppe dire in quale maniera il Cristo vero degli Evangeli, si contrappone alla Vita, lui che vuole farla più alta e felice.
E il povero Anticristo sifilitico, quando fu vicino a impazzire, firmo l’ultima sua lettera: il Crocifisso”.

Per altri pensatori la morte di Dio sarebbe la logica conseguenza delle nuove scoperte della cosmologia (Big Bang), che sembrerebbero negare la Creazione divina, attraverso teorie che poi non sono riuscite a dimostrare se non che l’universo ‘ha avuto un inizio, circa 15 miliardi di anni or sono’, e quindi non è infinito nel tempo e nello spazio, come si presumeva.

Dio, il dio di tutte le religioni monoteistiche, è una figura immensa, che la mente umana non riesce a concepire perché di là dalle sue possibilità razionali, così che diverse religioni rifiutano perfino la sua rappresentazione figurata, considerandola un atto d’arroganza, così come bestemmia è pronunciarne inutilmente il nome.
Dio è quindi “qualcosa” che la nostra mente non può immaginare, perché di Lui non sappiamo nulla. Per questa ragione la teologia ortodossa, che vuole essere la depositaria della tradizione ecclesiale, liturgica e spirituale della prima chiesa di Pietro, proibisce anche di raffigurarlo in quanto ogni figura di Dio immaginata dall’uomo non può essere che un inganno dettato dalla superbia di poterlo rappresentare. Il luogo nel quale l’Antico Testamento incontra Dio, non è la riflessione razionale della realtà del mondo, del quale si ricerchino un‘origine e un’unità ultime e definitive, bensì la concreta esperienza nella quale egli appare come il Salvatore di un popolo.
Jahweh, il nome ebraico di Dio, irrompe nella storia come l’inatteso, l’insperato, il dominatore degli uomini e degli eventi; è un Dio immanente, presente, quindi diverso dal Dio trascendente del giudaismo successivo. Fondamento dell’Antico Testamento è l’alleanza di Jahweh con il popolo ebraico, che egli determina come “eletto” ai suoi occhi: in questo patto egli lega quel popolo a sé e ad esso si lega.
La fede nel Dio dell’Antico Testamento è l’atmosfera nella quale si sviluppa il Nuovo Testamento, dove il concetto di Dio assume invece significato universale. La prossimità di Dio, il suo accostarsi all’uomo peccatore, si realizza nella figura di Gesù, nel corpo del quale Dio si manifesta e si materializza, donandosi al mondo intero.

La grande novità della predicazione di Gesù è la manifestazione del perdono, diversamente dalla severità con cui Yahweh si rivolge al suo popolo. La profondità della sua ubbidienza alla missione affidatagli da colui che lo ha mandato, definisce la sua unità con il Padre e il Padre, attraverso i suoi prodigi, la sua morte ma soprattutto la sua Resurrezione, non solo ne autentica la testimonianza, ma lo mostra nella sua identità con Sé. Su quest’identità si basa il Nuovo Testamento, sul fatto proprio che Gesù è il perfetto rivelatore del Padre. “Mio Signore, mio Dio”, dirà Tommaso rivolgendosi a Gesù, e con queste parole viene realizzato il massimo dell’identità teologica: Dio incarnato nella figura di Gesù, Dio che attraverso un corpo umano si fa conoscere dall’uomo e quindi diventa “immaginabile”, presente, concreto.
E così Dio non è più il Yahweh legato solo ad un popolo: adesso è amore universale, è il Dio di ogni uomo della terra, il Padre del creato e nella croce, dove Lui, attraverso il Figlio, viene messo a morte, si trova il massimo della nuova espressione.
E’ evidente che la venuta del Cristo in terra ha ampliato l’Antico Testamento, e lo ha trasformato in strumento d’amore per tutti i figli di Dio, e questo, probabilmente, è stato uno dei motivi che hanno fatto rifiutare ai maggiorenti della religione ebraica del tempo la figura del Messia, incarnato in Cristo. Perché questo avrebbe significato la perdita della definizione di “popolo eletto” e la divisione con tutti gli altri uomini della terra di quel Dio-Jahweh, fino allora gelosamente considerato esclusivo Dio di Israele.

cireno
06-12-15, 15:34
La nascita delle tre religioni monoteistiche

Yaweh, Dio, Allah: questi sono i nomi con i quali le tre religioni monoteiste chiamano la loro divinità.
Cominciamo ad analizzare l’ultima nata delle religioni monoteistiche, l’Islamismo. Un giorno l’arcangelo Gabriele compare a Maometto e inizia a dettargli il messaggio di Dio, e il Corano altro non è per i musulmani che “la Parola di Dio”.

L’Islamismo è una religione abramitica nel senso che inizia con Abramo, con Noé, prosegue con Mosè, Gesù, e infine con Maometto che raccoglie direttamente da Dio l’ultimo messaggio.

Perché Dio avrebbe, secondo l’Islam, ritenuto opportuno dettare ancora il suo messaggio a Maometto se già in precedenza lo aveva dettato ad Abramo, Noè, Mosè, Gesù?

Perché i musulmani credono che questo doveva essere fatto in quanti i messaggi precedentemente dettati cioè

il Vangelo;
i Salmi;
la Tōrāh;

erano ugualmente d'ispirazione divina, ma corrotti dal tempo e dagli uomini: e quindi il nuovo messaggio di Dio a Maometto avrebbe dovuto sostituire tutti i precedenti, essendo rivolto a tutti gli uomini.

C’era poi il dilemma se trattare gli induisti come politeisti cui offrire l'opportunità fra conversione o morte ma questo fu superato grazie all'interpretazione di numerosi dotti musulmani, secondo cui anche i Veda sarebbero stati un testo d'origine divina, per quanto particolarmente corrotti poi nel tempo

Accanto alle sacre scritture, e da esse direttamente ispirata, v'è un'immensa letteratura prodotta nei secoli dalla comunità dei dottori appartenenti sia all'Islam sunnita sia a quello sciita: testi di fiqh (giurisprudenza), di kalām (teologia), di tasawwuf (mistica). Non è da trascurarsi infine che, soprattutto per quanto riguarda la mistica islamica o sufismo, molta pregevole letteratura è stata prodotta in versi da autori di espressione araba e persiana soprattutto, ma anche in turco, urdu ecc.


Abramo è stato la radice delle tre religioni. Nel XVIII sec. a.C., lasciò la terra di Ur e si avviò verso Canaan. Lasciare Ur significava lasciare la sicurezza economica ma secondo la Bibbia Abramo ebbe fede e non fatico a lasciare il certo, non amato, per un incerto da amare.
Per le tre religioni monoteistiche Abramo era un uomo santo ma una critica laica sulla sua figura recita:-
-Quando Abramo, colpito dalla carestia nella terra di Canaan, decise di recarsi in Egitto, trasformandosi da allevatore a mercante di sua moglie, nel senso che facendola passare per sua sorella la rese disponibile al faraone, come una sorta di prostituta di lusso a tempo indeterminato, non fece certo mostra di particolare "santità", per quanto quella scelta non possa essere capita senza un'adeguata contestualizzazione storica, non solo relativa alla coscienza etica in generale, di quel tempo, ma anche in riferimento alla scarsa considerazione in cui allora si teneva l'onore della donna. (Da notare però che i testi lasciano trasparire l'idea che il sacrificio della dignità di Sara era dipeso dal rischio che, a causa della sua bellezza, potessero sottrarla con la forza al marito, anche uccidendolo).
Comunque sia, in cambio del favore, i testi biblici non hanno remore nell'affermare che Abramo ricevette "greggi e armenti e asini, schiavi e schiave, asini e cammelli" - in una parola diventò un ricco mercante.

Singolare resta il fatto che l'esegesi sia ebraica che cristiana abbiano sempre giustificato un comportamento del genere. Abramo non passa soltanto per persona timorata di Dio, ma anche per uno il cui fiuto per gli affari non si pone in antitesi alla fede religiosa.
Abramo infatti richiese la moglie solo dopo essere diventato ricco al punto giusto, cioe' al punto in cui il faraone non avrebbe potuto negargli la richiesta senza incorrere in spiacevoli conseguenze. Abramo -dice la Bibbia- era diventato molto ricco in "bestiame, argento e oro" e il faraone lo fece espatriare "insieme con la moglie e tutti i suoi averi". Sembra qui di vedere non solo il capostipite del popolo ebraico ma anche l'antesignano dell'astuzia semitica...

Ritornato nel Negheb e nel paese di Canaan, ebbe un colpo di genio: dare al nipote Lot le terre migliori della valle del Giordano pur di non farselo nemico. E quando questi pagò il suo amore per la bella vita cadendo prigioniero degli Elamiti, Abramo, pur potendolo evitare, decise di liberarlo e, liberandolo, non ne approfittò per dominarlo, non pose alcuna condizione né a Lot né ai re che con Lot aveva liberato nelle città di Sodoma e Gomorra.
Insomma un uomo molto astuto senza essere avido: una virtù davvero rara per quei tempi.
Finché, ormai anziano, venne il giorno in cui si rese conto che aveva assolutamente bisogno di un discendente per evitare che tutti i suoi beni si frantumassero, alla sua morte, in mille rivoli. Occorreva un altro escamotage e lo trovò col consenso della moglie Sara: fare un figlio con la schiava Agar.
Non era il massimo dell'onorabilità, ma questo avrebbe scongiurato lotte intestine tra i clan per la successione.
Senonché, dal giorno in cui rimase incinta, Agar smise di servire Sara e prese a farla da padrona. Il saggio Abramo permise a Sara di cacciarla, ma Agar si pentì del suo ribellismo e tornò sottomessa alla padrona, nella consapevolezza che quello era l'unico modo per garantire un sicuro avvenire al figlio che avrebbe avuto.
Ed ebbe Ismaele.
Pensando non fosse sufficiente, per tenere unito il popolo alla sua morte, l'aver avuto l'erede universale (il cui sangue mezzo schiavo a tutti era noto), Abramo escogitò un'altra trovata: imporre al suo popolo la circoncisione, proprio per distinguerlo da tutti gli altri della terra di Canaan.
La circoncisione veniva a supplire la mancanza di sangue puro, non schiavo, nei discendenti di Abramo. Con la sua istituzione tutti potevano riconoscersi in un'unica comunità: "l'alleanza sussisterà nella carne" - si legge nel Genesi.

Tutto ciò ovviamente andrebbe interpretato. E' probabile che Abramo ad un certo punto si sia reso conto che i legami tribali si stavano sfaldando e che abbia cercato di porre rimedio a questa crisi sociale con misure che in quel momento potevano apparire dei palliativi ma che un popolo poco istruito avrebbe anche potuto considerare efficaci.
Tuttavia, il vero dramma di Abramo, quello di carattere politico e insieme personale e che in un certo senso lo pone ai vertici della dignità umana, scoppiò quando Sara concepì Isacco.
Egli infatti si rese subito conto che Isacco, essendo di sangue puro, andava favorito rispetto ad Ismaele, ma che né questi né Agar né forse una parte del popolo l'avrebbe tollerato.
Con la nascita del vero erede e successore Sara non voleva più tenere con sé né Agar né Ismaele: "ora che sono piccoli giocano insieme, ma da grandi che succederà?", diceva.
Abramo si convinse che Sara aveva ragione e, suo malgrado, relegò i due in una remota località.
L'angoscia tuttavia colse Abramo proprio nel momento in cui sembrava che l'interesse politico fosse salvo: l'angoscia d'aver abbandonato nel deserto un figlio che amava.
Per punire il suo gesto decise di compiere un atto riparatore: sacrificare Isacco sull'altare dell'equità, di nascosto del suo popolo.
Senonché, proprio nel momento cruciale del sacrificio, Abramo ebbe un nuovo ripensamento: la morale personale non può essere superiore agli interessi di un popolo. La coscienza della colpa individuale non può avere la meglio sulla realizzazione di un ideale collettivo. Isacco non può essere sacrificato non tanto perché innocente quanto perché dalla sua vita dipende il futuro di un intero popolo.
Isacco, "colui che ride", il down avuto in tarda età sarebbe stato il suo legittimo successore.
Abramo questa volte pose una condizione a Isacco: che sposasse una donna della terra di origine, di Ur. Il suo sangue non doveva mescolarsi con quello straniero dei Cananei, come invece sarebbe accaduto per la sua tribù.

E così Isacco, sulla cui vita quasi nulla si sa, sposò la cugina Rebecca, figlia di un fratello di Abramo, dalla quale ebbe Esaù e Giacobbe (almeno così dicono i testi, ma è probabile che Abramo abbia imposto quella condizione proprio perché sapeva che Isacco non avrebbe potuto fare figli normali e nessuno del popolo cananeo sarebbe andato a verificare a Ur di chi era l'effettiva paternità di Esaù e Giacobbe).
Noi sappiamo soltanto che con Isacco la Bibbia inizia a parlare del passaggio dall'allevamento all'agricoltura.
Interessante è l'episodio in cui Isacco si permette di usare la moglie Rebecca nella stessa maniera strumentale di Abramo nei confronti di Sara. Egli si giustifica dicendo che temeva di morire, a causa della bellezza di lei, ma il sacerdote lo riprende severamente. Questo probabilmente a testimonianza del fatto che i costumi erano mutati e che Isacco rappresentò una mezza figura nella storia del popolo d'Israele.

cireno
09-12-15, 10:20
Mosé e la nascita del popolo di Jahveh

Anche se considerato il padre delle religioni monoteiste, che infatti vengono definite abramitiche, molti studiosi della storia religiosa di Israele indicano in Mosè il vero iniziatore.
Io, per esempio, nella mia limitatezza non considero Abramo come il capostipite degli ibrim, e nemmeno lo considero l’uomo che abitando in Ur sentì la voce di Dio che gli disse di andare via, di portare le poche cose che aveva in terra di Canaan. E questo, secondo la Bibbia, è l'ordine di Dio:-

-Vai fuori dalla tua terra, dalla tua famiglia, dalla casa di tuo padre, verso le terre che io ti indicherò. Farò di te un grande popolo, ti benedirò e renderò grande il tuo nome. Sii dunque una benedizione. Benedirò chi ti benedice, maledirò chi ti maledice. Saranno benedette in te tutte le stirpi della terra.

Abramo obbedì, lasciò la casa di suo padre, la città, Haran, dove suo padre aveva portato la sua famiglia lasciando UR e parte verso le terre che la voce di Dio gli ha indicato, con se porta sua moglie Sarai e il nipote Lot.

Perché Dio vuole che Abramo vada via da Haran? Haran è il centro di una cultura molto sviluppata, la culla della nostra civiltà, qui è stata inventata la scrittura, qui sono state costruite le prime case: perché Abramo vuole andare via?
Stando al racconto biblico Abramo è sulle tracce di un altro dio, e allora parte. Arriva in Canaan ma ecco la sorpresa: ci sono i cananei che abitano quella terra. Abramo non si scoraggia, erige un altare al suo dio a Sichem e un altro erige ad Ai, poi si dirige verso sud, ma ecco la sorpresa: la carestia, una fortissima carestia. Ma come, uno si chiede (forse anche Abramo se lo è chiesto) mi fai lasciare la mia casa per venire in questa terra e che ci trovo qui? Abitanti che mi guardano male e la carestia….Dice la Bibbia “grave era la fame nel paese e allora Abramo scese in Egitto per soggiornarvi come straniero. Per Abramo l’Egitto era il paganesimo, ma la fame era più forte delle convinzioni. Arrivato in Egitto si sviluppa quella storia, protagonista Sarai, che tutti conosciamo, e in quel frangente Abramo non ci fa certo una gran figura. Possiamo allora considerare questo uomo dai principi morali così fluttuanti come l’origine delle tre religioni monoteistiche? Io mi rifiuto.

Gli ibrim, così come li chiama Renan nella sua Storia del Popolo di Israele, erano gli ebrei, tribù nomadi che avevano per casa una tenda e come mezzi di trasporto asini e cammelli. Gli ebrei della prima Storia di Israele sono i patriarchi, cioè i primi, i progenitori di quello che sarà un giorno un popolo.

Lasciamo Abramo alla sua leggenda e concentriamoci su Mosè, perché è questo l’uomo che ha fatto nascere Israele.
Chi era Mosè?
Esodo ci racconta che Mosè era un ebreo, nipote di Keat, figlio di Levi, che entrò in Egitto con Giacobbe. Shurè nel suo famoso libro sugli iniziati ci dà una versione meno religiosa, eccola:-
-Mosè, iniziato egiziano e prete di Osiride, fu incontestabilmente l’iniziatore del monoteismo. Per opera sua questo principio, fino allora nascosto sotto il triplice velo dei misteri, uscì dal fondo del tempio per entrare nel circulus della storia.Mosè ebbe l’audacia di fare del più alto principio dell’iniziazione il dogma unico di una religione nazionale e la prudenza di non rivelarne le conseguenze che ad un piccolo numero di iniziati, imponendolo alla massa con la paura. In ciò il profeta del Sinai ebbe evidentemente vedute lontane che sorpassavano di molto i destini del suo popolo. La religione universale dell’umanità: ecco la vera missione di Israele, che pochi ebrei hanno compreso, all’infuori dei suoi più grandi profeti. La nazione ebraica è stata dispersa e annientata, l’idea di Mosé e dei profeti ha vissuto e cresciuto. Sviluppata, trasfigurata dal cristianesimo, ripresa dall’Islam, sebbene a un livello inferiore, essa doveva imporsi all’Occidente barbaro e reagire alla stessa Asia. Questa è l’opera grandiosa di Mosé.

Il prete Manetone, l’egiziano che ha lasciato ai posteri le informazioni più esatte sulle dinastie dei faraoni, ci dice che Mosé si chiamava in effetti Hosasirph ed era uno scriba sacro del tempio di Osiride, e questa informazione viene confermata da Strabone. La fonte egizia racconta quindi di Mosè una storia diversa da quella biblica nella quale Mosè è, come già scritto, un ebreo della tribù di Levi che fu deposto bambino da sua madre in un canneto per poi essere salvato da una persecuzione simile a quella di Erode, ma personalmente sono del parere che la versione egizia non avendo nessun interesse recondito, come invece hanno poi avuto gli ebrei, sia quella più vicina alla verità.
Ma, si obietta, quando si parla di Mosè lo si definisce “salvato”, perché secondo il racconto biblico fu messo in una cesta di vimini e affidato alle acque del Nilo, ma altri testi, laici, recitano una diversa storia. Mosè per difendere uno schiavo picchiato brutalmente da un gendarme egiziano lo colpì e questo morì. Per questo fuggì e si impose da sé l’espiazione. Fuggi al di là del mar Rosso, nel paesi di Midian, dove c’era un tempio che non dipendeva dal sacerdozio egiziano. In quel tempio si adorava Osiride ma anche il dio unico degli ibrim schiavi, Elohim, adorato anche dagli etiopi. Molti semiti, e molti uomini di pelle nera, si recavano in quel tempio in pellegrinaggio. Rimanevano alcuni giorni in quel luogo, digiunando e pregando, per adorare Elohim. In quel luogo cercò rifugio Hosarsiph/Mosè.
Il prete di Midian si chiamava Jetro, apparteneva al tipo più puro dell’antica razza etiope, e aveva una figlia di nome Sefora, la donna di pelle nera che Aronne e Maria, fratello e sorella di Mosè secondo la Bibbia, rimproverarono poi a Mosé di aver sposato.
Dice sempre il Shurè descrivendo quel tempio:-

-Jetro era un uomo di pelle nera, dell’antica razza etiope che quattro o cinquemila anni prima di Ramses aveva regnato sull’Egitto, e che non aveva perduto le sue tradizioni risalenti alle più vecchie razze del globo. Jetro era un grande savio. Egli possedeva tesori di scienza accumulati nella sua memoria e nelle biblioteche di pietra del suo tempio, ed era poi protettore deli uomini del deserto, libici, arabi, semiti nomadi. Questi eterni errabondi, sempre gli stessi, con la loro vaga aspirazione al Dio unico, rappresentavano qualkche cosa di immobile in mezzo ai culti effimeri ed alle civiltà in disfacimento. Si sentiva in essi come la presenza dell’Eterno, la memoria delle età lontane, la grande riserva di Elohim.
Mosè fu affascinato da quel luogo e una volta stabilitosi presso Jetro, come sacerdote di Osiride volle sottomettersi all’espiazione per il delitto commesso. La prova era terribile, dopo giorni e giorni di digiuno l’espiante veniva immerso in un sonno letargico e rinchiuso in una grotta, dove restava anche per settimana. Durante quel tempo egli doveva cercare l’anima della sua vittima nella regione dell’Amenti dove vagano le anime dei morti, subiure le sue angosce, ottenere il suo perdono e aiutarla a cercare la via della luce. Solo allora si riteneva il delitto espiato ma, molto spesso, il risveglio non avveniva perché l’espiante veniva trovato morto. Hosarsiph fu risvegliato ed era ancora vivo, per cui fu soprannominato Mosè, che vuol dire appunto “il Salvato”
A questo punto la vita di Mosè il Salvato cambia, la Bibbia dice
Mosè era pastore del gregge di Jetro. Condusse il gregge oltre il deserto e arrivò al monte di Dio. Là gli apparve l’angelo del Signore.
Mosè quindi è solo, nel deserto, mentre vaga con i suoi animali non sa come condurre la sua vita, o almeno è così che la Bibbia ce lo descrive. A un certo momento l’incontro con Dio. E’ sempre la Bibbia che parla

L’angelo del Signore gli apparve come una fiamma di fuoco dal mezzo di un roveto. Mosè guardò, ed ecco, il roveto era in fiamma ma non si consumava.
Una visione. Il sole stava tramontando e, pme succede in quei luoghi, era rosso come fuoco dietro i cespugli, ma Mosè vede l’angelo di Dio nel roveto che brucia e non si consuma.
E’ a questo punto che Mosè sente la voce del Signore che gli chiede di portare fuori il suo popolo dalla schiavitù egiziana
…per salvarli dal potere degli egiziani e condurli fuori da questo paese, in un paese buono e ampio in cui scorra latte e miele.

Mosè si spaventa, come potrò fare, si chiede e chiede a Dio, e lui-siamo sempre nel racconto biblico- gli risponde

Non temere, io sarò con te

A questo punto Mosè dovrebbe convincere gli israeliti a lasciare l’Egitto per seguiro verso una terra ampia e buona dove scorre latte e miele…ma non sa come fare. Mi chiederanno chi mi ha detto di far nascere questa avventura e io che gli dico, che è stato Dio. Sai le risate?
Posso dire il tuo nome- chiede Mosè alla sua visione

Io sono colui che sono, Mosè, di pure agli israeliti che l’Io sono mi ha mandato da voi.

Il piano di Mosè era di un’audacia senza pari: strappare un popolo dal giogo di una nazione potente come l’Egitto per portarlo a conquistare una terra occupata da popolazioni nemiche e certamente meglio armate. E tutto questo attraverso una marcia nel deserto che sarebbe potuta durare anni.
Venne l’occasione di lasciare il paese quando le armate del faraone dovettere respingere la terribile invasione delle armate del re libico Mermaiu
Ecco dunque il popolo di Israele in marcia.
Secondi diversi testi storici si trattava di poche migliaia di persona, con cammelli tende e quant’altro potesse essere definito una carovana. Ma durante il cammino altri uomini si accodano, e. come dice la Bibbia, cananei, edomiti, arabi, semiti d’ogni tipo , ingrossano la carovana. Mosè la guida aiutato da Aaron, fratello in iniziazione, e dalla profetessa Maria.
Racconti leggende e storie diverse ci dicono che nel centro della carovana, custodita da settanta eletti, c’è la famosa arca d’oro. Mosè ne ha preso l’idea dai templi egiziani ma l’ha fatta rifondere con un modello nuovo per i suoi fini personali. Quattro cherubini d’oro ai lati come sfingi e simili ai quattro animali della isione di Ezechiele: uno ha la testa di leone, uno la testa di bue, il terzo d’aquila e l’ultimo d’uomo. E’ su questa arca che Mosè, iniziato nei tempi egizi, produrrà quei fenomeni luminosi, che servivano per dare al popolo l’idea che Dio fosse racchiuso là dentro. L’arca racchiude il Sepher Bereschit, un libro redatto da Mosè in geroglifici egiziani e la sua bacchetta magica, chiamata la verga della Bibbia. Ci sarà dentro inoltre iò libro dell’alleanza, e la legge del Sinai. Mosè chiamerà l’arca il trono di Elohim, giacchè in essa era contenuta la tradizione sacra, la missione di Israele, l’idea di Jahveh.

Sulla figura di Mosè è costruita gran parte della Storia del popolo di Israele e l’introduzione dell'idea del dio unico. Peccato che molti storici si siano chiesti da sempre se questa figura sia davvero esistita. Già dalla narrazione biblica su Mosè neonato messo in una cesta di vimini e affidato alle acque del Nilo ricalca, in maniera pedissequa, la storia del re sumerico Sargon, che mille anni prima aveva vissuto la medesima esperienza. La Bibbia poi parla di seicentomila ebrei che lasciarono l’Egitto per seguire Mosè: una cifra enorme, che non trova però riscontro nella storia dell’Egitto. La Bibbia poi parla di ebrei schiavi, condizione impossibile perché in Egitto i lavoratori erano liberi. C’è poi il famoso grande miracolo del mar Rosso che si apre per far passare Mosè, una storia che è chiaramente una bufala perché il passaggio di Mosè, secondo calcoli, avvenne nel mar delle canne, che era praticamente una palude. L’altro appunto da fare è la “distruzione” dell’esercito egizio alla chiusura delle acque del “Mar Rosso”: si dice chiaramente nel testo Biblico che il Faraone fu travolto dal Mare (Es 14,28) ma sappiamo che Ramesse morì circa 30 anni dopo di vecchiaia nel suo letto! Inoltre, si dice che i carri e gli armamenti dell’esercito andarono a fondo nel Mare (Es 15,5): peccato che in nessun luogo del Mar Rosso si siano trovati queste centinaia di reperti sommersi (per chi non lo sa, il Mar Rosso è la meta preferita da parte di tutti i sub d’Europa e che quindi è stato esplorato tutto in lungo e in largo, trovando anfore e navi, ma mai carri!!!)!!! Infine, l’esercito Egizio non può essere stato distrutto nel 1250 a.C. visto che dopo poco dovette impegnarsi in guerra!!

Insomma, questa mitica figura ha un piedistallo molto molto fragile.

cireno
10-12-15, 18:36
Gesù Cristo




L’amore di Dio, che è principio della storia, si fa mistero nel suo rivelarsi in Cristo.
Dio che così si manifesta e si dona, pone l’uomo dinanzi ad una nuova esigenza d’amore, quale prima mai era stato attraverso l’alleanza con il solo popolo ebreo, alla quale esigenza d’amore l’uomo deve corrispondere con l’ubbidienza della fede, dove, affidandosi al Dio “RIVELATO”, e quindi non più lontano e impensabile dalla mente umana, ne sfugge l’ira e ne accoglie la giustificazione e la salvezza.

Verità, grazia e salvezza sono promesse all’uomo attraverso lo Spirito Santo. E’ attraverso l’opera dello Spirito che si può comprendere la Rivelazione di Gesù, che si può avere la fede che salva e consola e che si può arrivare, di là dalla mente, nel luogo dove esiste la Verità: i dubbi dell’uomo possono finalmente trovare soluzione.
Dio incarnato nel Figlio, diventa quindi l’unica espressione fisica, concreta, di un Dio fino allora lontano e spesso anche terribile. Da questo momento agli uomini che non crederanno non sarà più perdonato di seguire una ragione che rifiuta l’evidenza.

Ecco, questo è quel che ci raccontano i ministri di Dio nelle chiese o quando puoi parlare loro esponendo le tue perplessità, i tuoi dubbi.

Dopo la venuta del Figlio, la sua morte e la sua Resurrezione, Dio sembra non parlare più. Non appare più all’uomo, sotto nessuna forma. Dio non parla all’uomo perché i tempi sono trascorsi, l’immanenza del Dio creatore si è realizzata con l’incarnazione nel Figlio ed ora l’uomo attende, scegliendo liberamente le sue scelte, l’avvento del “Tempo del Signore”, annunciato da Gesù.
Dio è oggi, ancora una volta un deus absconditus, perché di Lui non sappiamo niente, e quel che sappiamo è solo per analogia, per “speculum et in aenigmate”.
Dio quindi non può essere visto, conosciuto o udito da nessun essere vivente. La stessa esistenza di Dio, dinanzi al suo silenzio, diventa un enigma che la mente umana fatica ad affrontare: come essere certi dell’esistenza di chi non si vede, non si sente, non si conosce, non si sa dov’é? Anche la figura di Gesù Cristo ha fatto sorgere interrogativi: dov’è la sicurezza che Gesù, un uomo, sia stato veramente l’incarnazione di Dio?
E se è stato l’incarnazione di Dio, perché si è fatto uccidere sulla croce come un ladro qualunque?
La piccola ragione dell’uomo non può far altro che generare dubbi.

Un filosofo greco del II secolo è riuscito a definire Gesù Cristo un brigante, un bugiardo. Ha scritto, per citarne una sola frase “« Colui al quale avete dato il nome di Gesù in realtà non era che il capo di una banda di briganti i cui miracoli che gli attribuite non erano che manifestazioni operate secondo la magia e i trucchi esoterici. La verità è che tutti questi pretesi fatti non sono che dei miti che voi stessi avete fabbricato senza pertanto riuscire a dare alle vostre menzogne una tinta di credibilità”. Questo filosofo era Celso, ma le domande di prima comunque restano immobili.

Del resto l’esistenza di Dio non potrà mai essere provata a una mente scettica, così come si può fare per l’esistenza del sole che vediamo con i nostri occhi: Dio deve essere quindi cercato in altra maniera, con altri mezzi. Un amico, per esempio, davanti ai miei dubbi che in una discussione gli manifestavo, mi ha suggerito un suo metodo, ecco qua: perchè non avvii un periodo di prova in cui provi a ragionare con la mentalità di tua nonna, cioè a dire il rosario e andare a qualche messa feriale. A dire le preghierine dei bambini. E poi vedi come stai…
Come starei se ricominciassi con le preghierine dei bambini, che nemmeno conosco fra l'altro, non lo so, ma non credo che questo sia il metodo giusto per fugare le mie perplessità.

La definizione di “Dio nascosto”, cioè di un Essere assolutamente trascendente, se si eccettua la Sua incarnazione nel corpo del Figlio, è consuetudine della storia dell’uomo. Dio non si conosce e non si è mai conosciuto, se non attraverso il Figlio Gesù, ammettendone l’esistenza, perché Dio creatore non può intervenire nella vita dell’uomo, scopo finale della Sua Creazione.
Poiché è stato Lui, all’atto della creazione, che ha lasciato l’uomo libero delle proprie scelte e delle sue azioni, non può quindi essere altro che un Dio che assiste, un Dio nascosto alla vista dell’uomo.

Quando diciamo che Dio, se ci fosse, non potrebbe permettere certe malvagità che gli uomini commettono, compiamo un’atto di superbia, in primo luogo perché diamo una funzione a Dio e poi perché lo paragoniamo a qualcosa di terreno, che può entrare nelle nostre vite e modificarne il corso degli eventi, così come l’uomo modifica quello delle strade e dei fiumi.
Ho già detto, al seguito di tanti pensatori e teologi, che Dio non può, per sua volontà, entrare nella vita dell’uomo e modificarla: Lui assiste. Questo pone il problema della preghiera: perché, se le cose stanno così, rivolgere suppliche a un Dio che non vuole intervenire?
La risposta del teologo è che si deve pregare perché la preghiera è una formidabile arma dell’uomo, o meglio una grande opportunità. E’ il solo modo che egli ha per mettersi in contatto con il suo Creatore.
Non è solo la religione cristiana che lo afferma: Auribindo, il grande yogi indiano che da molti è stato indicato come “una reincarnazione di Gesù Cristo”, ha detto anche lui che la preghiera è “l’unico mezzo per collegarsi con Dio”.

Ma un Dio che solamente assiste è un Dio assente, imperturbabile ed estraneo alla vita dell’uomo: anche se ci mettiamo in contatto con Lui che può ascoltare le nostre preghiere, come potrebbe esaudire le nostre suppliche?
Anche questa domanda mi è stato fatto osservare che contiene un’arroganza di fondo, perché è una domanda che non ha risposta, perché Dio può ciò che vuole, e quindi anche esaudire le suppliche contenute nelle preghiere, perché Lui è un’entità che non può essere definita; i termini assente, estraneo e imperturbabile non hanno nessun significato se ci riferiamo al Dio che ci viene predicato: assente è un individuo che potrebbe, con atteggiamento contrario, essere presente e così imperturbabile ed estraneo, che ugualmente presuppongono, rovesciandoli, atteggiamenti contrari, cioè interessato e partecipe.
Ma Dio può avere emozioni simili a quelle umane?
No, però sappiamo dalle parole di Gesù Cristo che Dio è soprattutto Amore, e quindi, anche se apparentemente assente perché nascosto, non è mai estraneo alla vita dell’uomo.

Il perché razionale sta nella solennità della figura infigurabile di Dio, sostanza perfetta e infinita, capace di creare l’universo e l’uomo, che non può avere emozioni umane, anche se spesso, nell’Antico Testamento, si parla della collera di Dio.

Ma allora, la Bibbia, il Corano, e tutti i racconti dove Dio sembra essere sempre sulla terra, insieme a uomini e profeti, dove dimostra collera e spirito di vendetta, sono favole?
Sono parole che descrivono fatti reali forse mescolati a leggende e a ricordi di vite vissute, quasi sempre tramandati oralmente da uomini che avevano la misericordia della fede, e quindi li hanno interpretati in una certa direzione.
Ovviamente ci sono milioni di persone che credono che Dio, attraverso le parole e i pensieri dei profeti, sia intervenuto ‘direttamente’ nella stesura dell’Antico Testamento e nella creazione del Corano, anche se qui attraverso l’arcangelo Gabriele: al riguardo non possiamo provare nulla, quindi ci manteniamo in una posizione di assoluto rispetto per i Testi Sacri, che hanno un grande valore per il senso religioso che trasmettono ma rimaniamo con le nostre domande senza risposta.

Però qualcosa che ha dato origine ai fatti raccontati deve essersi verificato, e lo vedremo più avanti, ma questo non significa che questo ‘qualcosa’ debba essere sempre e comunque la Verità assoluta.
Questi Testi devono essere affrontati con un approccio non esclusivamente fideistico, ma nemmeno squisitamente razionale: essi devono essere studiati per ricercare quella Verità che solo un trasferimento del luogo ove cercare può essere trovata ma devono anche essere osservati con sentimento. Ricordo un premio Nobel della medicina, Alexis Carrel, che a questo proposito ebbe a scrivere “molto ragionamento e poca osservazione conducono all’errore. Molta osservazione e poco ragionamento conducono alla verità”.
Perché la verità non è solo un prodotto della nostra intelligenza, ma è concretamente presente là dove deve essere cercata: e questo luogo è al di fuori dalla ragione umana, troppo costretta dalla sua limitatezza a voler toccare e vedere per poter capire.

Dove cercare, allora? Come andare ‘oltre la ragione umana’ , se è con questa ragione che dobbiamo confrontarci?
Intanto rinunciando alla sicurezza che ci viene dalla presunzione di sapere. Già questo ci potrà aiutare a cercare per conoscere, sapendo da subito che comunque mai l’esistenza di Dio potrà essere dimostrata da qualsivoglia argomento, ma nemmeno il suo contrario.
E poi, ma qui siamo a un livello superiore, con la rinuncia della materia e con la coltivazione dello spirito, che è l’unica parte di noi che ci avvicina a Dio. Ecco, questa è forse la strada che conduce al luogo della Verità. Forse.
Non sarà certo vivendo la vita che viviamo, noi figli del cosiddetto progresso, che abbiamo oscurato le nostre menti con i paradisi artificiali dell’ovvio e dell’inutile, che riusciremo a trovare la via che porta alla conoscenza.

cireno
10-12-15, 19:22
Il Buddha è arrivato dopo lunga meditazione a ‘capire’ il male dell’uomo, e ha indicato il desiderio come sua origine. Il desiderio porta infelicità e malessere, questa è la grande scoperta del Buddha, il desiderio che è sempre legato alla materialità dell’esistenza, per cui la rinuncia alla materia porta la rinuncia al desiderio, e di conseguenza, il raggiungimento della serenità e la sconfitta del male. Ora non si pretende che l’uomo ‘comune’ si ritiri in una grotta come facevano gli eremiti o si rinchiuda in un convento di trappisti per rinunciare al mondo e trovare il mezzo di superare la materia, ma qualcosa si può fare: ad esempio, si potrebbe dare meno importanza a ciò che non ha importanza, e limitarsi a fare quello che serve per essere, senza nulla in più, perché la nostra esistenza non può essere solo legata alla terra. Il tempo della materia è un battito di ciglia davanti a quello che avrà il nostro spirito come attore e, anche se mi rendo conto di come sia difficoltoso recepire questo consiglio, qualche passo verso una visione più “naturale” della vita tutti noi lo potremmo tranquillamente fare.
La figura di Gesù potrebbe aiutarci, Egli non è comparso sulla terra solamente perché Dio ha voluto dare agli uomini la dimostrazione della sua esistenza, così come la religione ci insegna, ma anche per costituire l’esempio per una rivoluzionaria etica di vita.
Noi adoriamo il denaro, e Gesù ha amato i poveri. Amiamo il potere e Gesù ha amato gli umili. Amiamo il lusso e Gesù amava i lebbrosi. Ecco l’insegnamento cristiano per superare l’amore per la materia e per tutto quello che alla materia è legato. Per vie diverse e con insegnamenti diversi, il Buddha e Gesù ci hanno insegnato la stessa cosa: rinunciare alla materialità per essere felici.

Che Gesù uomo sia sicuramente esistito, lo confermano i testi giudaici del Talmud e di Giuseppe Flavio e quelli romani di Tacito e Svetonio, ma lo testimoniano più ancora i Vangeli, cioè le parole di uomini che erano con lui, che con lui hanno vissuto, lo hanno ascoltato, hanno assistito ai suoi miracoli, l’hanno pianto quando è morto sulla croce e salutato increduli quando è risorto dalla morte: Luca, Marco, Matteo, Giovanni sono stati i suoi testimoni. Dobbiamo quindi riconoscere la presenza di Gesù, delle sue azioni e delle sue predicazioni, come “evento storico” provato. Sulla sua natura divina cercheremo di chiarirci le idee, perché questo è un punto importante per trovare la strada per la Verità.

Perché se Gesù è stato ciò che si dice, cioè il figlio incarnato, Dio cessa di essere una cosa lontana e inimmaginabile, perché almeno una volta nella storia dell’uomo, ha assunto una veste che noi, anche se così piccoli e limitati, senza alcun sforzo riusciamo a capire. Se Gesù è stato invece semplicemente un profeta, uno dei grandi profeti come il giudaismo vorrebbe, l’incarnazione non sarebbe avvenuta e quindi la figura di Dio rimarrebbe ancora lontana e inimmaginabile: il dilemma non ha risvolti di poco conto, come si può ben capire.
Dobbiamo quindi cercare di trovare dei fondamenti alle due diverse ipotesi.
Intanto occorre dire che, fra i giudei, chi ha messo Gesù fra i profeti, è ancora in attesa della venuta del Messia, cioè dell’incarnazione della Parola di Dio. Questo anche perché Gesù, nel tempo in cui ha vissuto, come Messia potrebbe aver “tradito” le attese del popolo ebreo, che si attendeva un nuovo David che liberasse Israele dall’occupazione dei romani.
La venuta di quest’uomo di Galilea, senza fissa dimora, senza una pietra dove posare il capo, un girovago e capellone, amico di prostitute e pubblicani, scatenato contro le istituzioni e la gerarchia, tanto che i nostri anticlericali fanno sorridere al confronto, un uomo che parlava solo di perdono e di amore, che definiva i poveri con la dignità di uomo e i ricchi con il solo appellativo di ricco, bisogna ben dire che ha sconcertato il popolo di Israele: che razza di Messia era mai costui?!

Gesù inizia a predicare in Galilea e poi in tutta la Giudea, con parole che mai prima s’erano udite. I prodigi che l’accompagnavano raccolsero dapprima intorno alla sua figura molta gente. Le autorità religiose, specialmente i sadducei che erano i rappresentanti del più antico partito religioso ebraico, cominciarono a preoccuparsi e ad osteggiarlo quando ne udirono i concetti rivoluzionari, per cui le folle, anche incitate dai farisei che erano i potenti dell’epoca, lentamente lo abbandonarono.
Indicativa è la testimonianza di colui che lo tradì, Giuda, trascritta in un antico documento redatto in aramaico che conferma l’accordo di Giuda con Caifa e Hanna, i grandi sacerdoti del tempio, per far catturare Gesù

Jeudà Iskariòt :- ...Ma quel giorno non venne. E le cose andavano di male in peggio. Intorno a lui si faceva il deserto. Quelli che una volta ci spalancavano l’uscio di casa adesso ce la sbattevano in faccia. Tra lui e la gente a modo si era scavato un abisso. E la Borsa ( quella dove venivano conservate le elemosine della gente), l’inutile borsa mi ballonzolava vuota sulle chiappe. Andavamo noi dodici poveri vagabondi (gli apostoli) come macilenti sciacalli e ci precedeva lui il tredicesimo, il più povero di tutti. I piedi spellati dalle selci, punti dagli spini. Pidocchi nei capelli. La faccia e gli occhi pieni di polvere. Pieni di fame fino agli orecchi. Venuta la notte ci buttavamo per terra a dormire come le bestie. E lui diceva ‘le volpi hanno tane e i corvi hanno nidi ma il Figlio dell’Uomo non sa dove posare il capo’. E io dentro di me pensavo ‘ Così non va. Lui non è il Messia dell’oro e dell’argento, ma il Messia della miseria e della fame.

Quando Gesù fu condannato da Caifa, gran pontefice del tempio, e la sua morte confermata da Ponzio Pilato su denuncia del Sinedrio, che lo riconobbe colpevole di bestemmia grave per aver rivendicato origine e realtà divina, cosa che in realtà Gesù Cristo non aveva mai fatto, la folla lo aveva praticamente quasi dimenticato.

Dal Vangelo di Luca:

“E gli chiesero: sei tu dunque il Cristo, diccelo?
Gesù rispose: Anche se lo dico non mi crederete; se vi interrogo non mi risponderete. Ma da questo momento starà il Figlio dell’Uomo seduto alla destra della potenza di Dio.
Allora tutti esclamarono: Tu dunque sei il Figlio di Dio?
Ed egli disse loro: lo dite voi stessi, io lo sono.”

I Vangeli si diffondono nella narrazione degli avvenimenti conclusivi dell’esistenza di Gesù, che vedono realizzato il supremo valore della sua esistenza terrena. Ma il loro senso ultimo è colto solo a partire dalla Resurrezione, l’evento che costituisce il momento cruciale della testimonianza umana del Nuovo Testamento.
Mentre nulla si conosce della vita di Gesù fino ai trentanni (alcuni presumono che abbia vissuto a lungo sulle rive del Mar Morto, presso gli Esseni), molto si sa sulle sue predicazioni, il cui nucleo essenziale è costituito dal Vangelo del Regno, “Il tempo è compiuto e il Regno di Dio è prossimo” come diceva alle genti.
Bisogna ricordare che per Regno di Dio, Gesù voleva dire il recupero, a opera di Dio, del mondo ‘intero’ al suo disegno di grazia e di amore; è l’annuncio della liberazione dalla schiavitù che grava sull’uomo, della vittoria sulle potenze demoniache e quindi sul male.
Ma la grande novità delle parole predicate da Gesù, che lui proclamava dettate da Dio, era il recupero di tutti coloro che, per motivi diversi, venivano a quel tempo emarginati: il popolo della campagna, le donne, i lebbrosi, gli indemoniati, i pubblicani, i peccatori, le prostitute, con i quali condivise più volte la mensa, e queste parole venivano interpretate dai potenti come sobillatrici del popolo, e contrarie alla Legge di Mosè.

Dal Vangelo di Luca:

“Condussero Gesù da Pilato e cominciarono ad accusarlo. Abbiamo trovato costui che sobillava il nostro popolo, impediva di dare tributi a Cesare e affermava di essere il Cristo re.
Pilato lo interrogò: Sei tu il re dei Giudei?
E Gesù rispose: Tu lo dici.
Pilato disse alla folla e ai sacerdoti: Non trovo nessuna colpa in quest’uomo.
Ma essi insistevano: Costui solleva il popolo, insegnando per tutta la Giudea, dopo aver cominciato in Galilea.
Pilato riuniti ancora i sommi sacerdoti, le autorità e il popolo disse:
Mi avete portato quest’uomo come sobillatore del popolo, ecco io l’ho esaminato davanti a voi e non ho trovato in lui nessuna colpa di quello che lo accusate. Egli non ha fatto nulla che meriti la morte. Perciò dopo averlo castigato lo rilascerò.
Ma essi si misero a gridare: A morte a morte. Dacci libero Barabba.”

Gesù compie anche opere prodigiose, guarisce ed esorcizza, resuscita un morto, e questo in presenza di centinaia di persone: davanti allo stupore delle folle, spiega che non è lui a compiere questi miracoli, ma la “potenza di Dio” che in lui si manifesta.
La Chiesa che Gesù, attraverso Pietro, ha voluto, ha un significato profondo, e deriva proprio dalla novità dell’universalità del Dio-amore confrontato con il Dio-padrone dell’Antico Testamento. Certamente essendo formata da uomini, ne ha assunto tutti i vizi e i difetti, per cui non può venire giudicata per le sue azioni temporali, ma solo per il significato della sua presenza.
La Chiesa è la dimostrazione reale della volontà di Gesù, e come tale dovrebbe essere vista. Gesù ha voluto creare una comunità universale che diffondesse il suo messaggio in ogni angolo della terra, un messaggio escatologico, tutto pervaso dall’attesa di un imminente disvelarsi del piano di Dio. La Chiesa è una comunità della quale Gesù ha definito alcuni suoi tratti, dalla promessa a Pietro sino al banchetto eucaristico. A questa comunità risale non solo di aver diffuso il messaggio, ma anche l’autocoscienza di Gesù di essere l’evento del Regno di Dio che sta per giungere.
Lo stesso amore di Gesù per tutti gli uomini, ma specialmente per i miseri, significa che Dio ora è universale, e che la sua misericordia è il senso del suo amore per ogni essere vivente.
Il momento massimo dell’espressione di questo concetto viene raggiunto con la morte di Dio nella figura dell’uomo Gesù: la morte per amore di tutti gli uomini, per l’espiazione dei loro peccati. Gesù, morendo sulla croce, conferma in pieno le sue predicazioni alle folle e rompe, in tal modo, gli schemi fino allora costituiti e predicati dai rabbini del popolo ebreo, che volevano Dio legato al solo Popolo Eletto e praticamente indifferente, se non addirittura nemico, al resto dell’umanità.
Gesù ha portato, con le sue parole e con la sua morte, una nuova visione di Dio, una visione dove si parla di amore e pace fra gli uomini, di dignità ai miseri, di perdono alle offese che ci vengono fatte: concetti che rivoluzioneranno la storia.
Ma per i capi religiosi di allora egli bestemmiava, sia quando chiamava Dio con il nome di Abbà (Padre), sia quando allargava il “Padre mio” al “Padre vostro”, rivolto agli umili e ai peccatori, sia quando sembrava voler contestare la Legge, che Lui intendeva invece integrare, dicendo alle folle “vi hanno detto...invece io vi dico”. Sollevava ostilità e sgomento, nella teocrazia religiosa del tempio: la sua morte per mano del romano conquistatore non poteva di conseguenza essere evitata.
Ora, sulle testimonianze degli Apostoli circa la vita e gli atti di Gesù, mi vorrei soffermare un attimo, perché su quanto hanno detto e scritto ‘noi non dovremmo’ avere dubbi, considerato che sono stati “testimoni” dei fatti. Però posso capire che lo scettico i dubbi li possa ugualmente avere. Perché questo? Perché quest’altro?
Noi non possiamo non aver fiducia in chi ha visto, perché qualche sicurezza dobbiamo pur averla, sempre per quel fine di trovare la strada per la Verità.
Non è possibile dubitare anche di testimoni visivi, altrimenti viene a cadere ogni possibilità di costruire qualsivoglia ragionamento logico.
Agostino diceva che la fede (intesa come fiducia), deve venire prima della conoscenza perché:-

“Essa viene prima della comprensione della verità, in quanto la fede prepara e predispone l’animo, così che esso diviene capace del conoscere”
e ancora:-
“A causa della loro stoltezza, la maggior parte degli uomini non è in grado di intuire la verità. In questa situazione sarebbe assurdo pretendere che tali uomini siano purificati dalla conoscenza del vero che non possiedono; occorre invece che essi siano prima purificati ed elevati nell’animo per poter poi raggiungere la Verità. Ora è solo la fede che può operare questa purificazione, essa, suscitata dall’autorità, anticipa il contenuto del conoscere e muove verso di esso l’animo, innalzandolo e rendendolo capace di una conoscenza altrimenti impossibile”.

La fede che significa credere prima di conoscere, ma che significa anche avere fiducia in quello che ci viene riportato.
Abbiamo decine di testimonianze di uomini che confermano la natura divina di Gesù, espressa nei suoi atti da vivo ma specialmente nella sua Resurrezione, eppure molti uomini dubitano, e respingono l’idea della incarnazione di Dio nella figura umana del Cristo, dicendo che non è dimostrabile, come se un’azione divina ‘debba’ essere dimostrata.
Ecco dove la fede deve giocare un ruolo decisivo.
Noi che crediamo quando ci dicono che siamo figli di questo padre e di quella madre, e non possiamo certo ricordare se quel che ci dicono è vero, e quindi dimostriamo fede negli uomini che lo dicono, perché dovremmo dubitare della testimonianza degli Apostoli che a loro volta hanno visto?

Se un figlio non credesse a chi dice che quelli sono i suoi genitori, sarebbe giudicato come scellerato, eppure egli ha gli stessi criteri di valutazione, e le medesime testimonianze, di quello che crede che i suoi genitori sono quelli che gli sono stati indicati.
E allora? Come facciamo, su queste basi, a rifiutare la fede nella vita di Gesù, nella sua morte e sul fatto che è risorto, se dall’altra parte non dubitiamo della verità di chi ci dice che i nostri genitori sono proprio quelli che i testimoni ci indicano?
Ben pochi di noi conoscono con esattezza il significato della teoria della relatività, eppure tutti crediamo agli scienziati che ci dicono che con questa formula Einstein ha scoperto differenti misurazioni dell’universo, nel campo della gravità e del tempo.
Perché crediamo, visto che non sappiamo e, il più delle volte, non possiamo nemmeno capire con la nostra ragione? Forse che la scienza ha più verità del Vangelo? Se rispondete si, chiedetevi anche perché pensate che la scienza debba avere più verità del Vangelo.

Noi crediamo anche a eventi storici (chi di noi ha assistito alla Battaglia di Termopili?), a luoghi o persone che non abbiamo mai visto, che però conosciamo attraverso documenti o testimonianze dirette di chi ha visto o partecipato: crediamo sempre e solo su ‘testimonianze’.
E allora, se il raziocinio è uno solo e non due, in nome di quale strano modo di ragionare dovremmo rifiutare di credere all’evento storico dell’incarnazione di Dio nell’uomo Gesù, con tutte le testimonianze che ci vengono proposte da chi c’era, ha visto e partecipato?
Non c’è nessuna logica in questo, oppure c’è solo la logica del rifiuto di qualcosa che è troppo grande per essere creduto.
Abbiamo quindi nell’ateo un’altra fede: quella di non avere fede.

Eppure anche osservando la natura e il creato, si può trovare la presenza di Dio, perché la bellezza di ciò che circonda testimonia della realtà di Dio creatore.
Questo lo dice Agostino “I monti, le valli, il cielo, le piante, i fiori, tutto esprime un ordine che è loro e anche della natura stessa, un ordine che si presenta bello all’occhio dell’uomo, perché in esso si realizza l’accordo delle parti con l’intero, e una giusta proporzione e simmetria. Ma questo accordo non esisterebbe nelle cose se non esistesse, ‘fuori dalla cose stesse’, quell’unità che consente di ordinarle: parimenti non sarebbero affatto belle se non vi fosse una bellezza da imitare. E’ la armonia della Creazione che non può essere spiegata se non con l’intervento dell’Uno, cioè del Principio, da cui tutto deriva”.

Che prosegue:-
“Adeguandosi e assomigliando a questa bellezza prima, cioè ideale, le cose appaiono belle, allontanandosi da essa, divengono brutte. Come l’uomo è malvagio quando entra in conflitto con l’armonia della società e la turba, così una cosa o una parte è brutta quando non si accorda con il tutto”.

E anche Svoboda nell’Estetica ”Il brutto e il turpe non sono una realtà, ma l’alterazione di un rapporto, ossia una mancanza di forma e di unità”.

E queste ‘forma e unità’, da dove provengono se non dall’ordine?
E’ forse il caso, come qualcuno vorrebbe, il principio creatore dell’ordine e dell’unità?
La mente dell’uomo fatica ad accettare, spesso per la sola arroganza di credere di sapere, quello che non sa, cioè l’idea di Dio, perché questa è ovviamente al di la dei suoi limiti umani, e allora la dottrina cattolica, modestamente, distingue tra le cose che si possono sapere e quelle che si devono credere.
E qui si torna nel luogo dove dovremmo cercare la Verità, tenendo presente che la fede non è l’accettazione avventata di un’opinione, come potrebbe essere qualsiasi forma di credenza, o un atto di credulità, ma il possesso certo e indefettibile della verità, quantunque questa non sia espressa in modo evidente o mediante constatazione diretta.
Dunque credere non significa ammettere qualcosa di irrazionale, bensì accettare una verità che, in quanto tale, non è contro la ragione, anche se la mente umana non può totalmente ed esaurientemente dominarla, perché non può esistere ragione logica in grado di negare con certezza la possibilità dell’esistenza di quella che la fede vuole che esista, per cui tutto rimane su un piano di perfetto equilibrio.
Ciò che si sa, lo si sa per mezzo della ragione, ma non tutto ciò che si conosce si sa, e non ogni verità è da noi saputa e conosciuta, quindi nessuno può affermare con certezza assoluta di sapere quello che non sa.
Però potrebbe aver ragione Tommaso d’Aquino quando afferma che è ragionevole credere in ciò che non si può sapere, o ancora non si sa, perché non credere in ciò che non si conosce è illogico.
Diversamente dall’opinione che presenta come saputo ciò che invece non si sa affatto, la fede riguarda ciò che si sa di non sapere. Sembra un piccolo gioco di parole: ciò che si sa di non sapere, o forse sarebbe meglio dire, ciò che si dovrebbe ammettere di non sapere, perché è su questa presunzione che poggia spesso il castello dell’ateo.
Rifiutare di credere è quindi, razionalmente, da stolti perché “chi è convinto di sapere già, non potrà mai sapere perché non vuole imparare” (Agostino). E ancora, pensare di non credere è già affermazione di una credenza, fondata però sull’insipienza propria del soggetto in discussione che l’uomo forzatamente ha.
Dobbiamo quindi avere fiducia in quel che ci raccontano nei Vangeli coloro che hanno visto? Credere è una condizione difficile da ottenere, continuiamo nella nostra ricerca.

Fra coloro che hanno visto c’era Simone, che sul messaggio del Figlio dell’Uomo, e con il nome di Pietro, ha fondato la Chiesa di Cristo, così come lo stesso Cristo gli aveva ordinato affinché ‘l’universalità dell’amore di Dio venisse portato a tutti i popoli della terra’.
E’ forse andato incontro a questa avventura incredibile, in un mondo pagano e ostile, Simone, solo in forza di incertezze o addirittura di menzogne che si era da inventato in combutta con gli altri Apostoli?
Sapeva benissimo di mettere in gioco la sua vita in quella missione, aveva pur visto come era stato crocefisso Gesù, eppure è partito senza un dubbio. Perché lo ha fatto? Per quale ‘magia’?
O forse anche Pietro Simone non è mai esistito, forse la chiesa di Pietro si è costruita da sola, e così le catacombe? E i martiri non ci sono mai stati, né i leoni che sbranavano i cristiani negli anfiteatri? Magari anche Nerone è un’idea, e così Tacito che ha scritto la storia di quei tempi.
E possiamo dire che anche Ponzio Pilato, il Calvario, Giuseppe d’Arimatea, Maddalena, Maria, Erode, Caifa, Hanna sono a loro volta invenzioni, leggende?
E se invece fosse la verità? Se tutta questa gente fosse davvero esistita, così come i Vangeli ci hanno detto? Certo, dice il solito scettico, magari è la verità ma è anche vero che Gesù era solo un uomo, cosa diversa dall’essere il figlio di Dio.
Perché solitamente l’ateo giustifica così una verità assodata, quella della vita di Gesù: era solo un uomo, quindi nessun figlio di Dio, nessun Messia, nessun Cristo.
Vorrei che lo scettico si chiedesse: tutto il rivolgimento della storia sarebbe allora nato per un uomo, un semplice uomo, quel capellone galileo messo a morte in mezzo a due ladri, deriso e dileggiato dalla folla che nel primo referendum della storia gli ha preferito un assassino di nome Barabba?
E per le fantasie di quattro giudei che seguivano in vita questa specie di anarchico anti-litteram, fra lebbrosi e prostitute?
E a che scopo avrebbero raccontato fandonie su Gesù Cristo, i quattro giudei?
Per soldi, per onori, per potere?
E ancora, perché Simone, un pescatore, ha attraversato il mare per andare a Roma, la capitale degli oppressori del mondo di allora e il centro delle divinità pagane?
Un viaggio di piacere forse, concluso con la sua morte, crocefisso a testa in giù?
Ha messo a rischio la sua vita solo per tenera fede alla promessa fatta ad un ‘semplice’ uomo?
A queste domande lo scettico, solitamente, si stringe nelle spalle e risponde: non so perché Simone e gli altri hanno fatto ciò che hanno fatto, quello che so è che Gesù è stato sicuramente un uomo, perché quel Dio che attraverso lo spirito santo entra nel corpo di una giovane vergine ebrea e lo feconda, assomiglia tanto a una favola per bambini.
Non ha spiegazioni per la sua sicurezza, lo scettico, e nemmeno sembra importargli di averne, semplicemente si dimostra sicuro della sua superficiale convinzione, e questo gli basta.
E invece la spiegazione a quanto hanno fatto ‘i quattro giudei’ che seguivano il Nazareno esiste, ed è semplice: chi lo ha visto in vita e lo ha seguito ‘credeva’. E credeva con tanta convinzione e determinazione da mettere la propria vita, i propri affetti, l’intera esistenza di persona ‘normale’ a repentaglio.
Questo ci deve pur dire qualcosa. Dovrebbe far riflettere anche lo scettico.

Cosa c’era alla base di questi stravolgimenti esistenziali?
Sappiamo tutti che la Chiesa di Pietro, formata da uomini come noi, ha poi evidenziato nei secoli i vizi e le debolezze degli uomini stessi, ma solo il fatto che questa chiesa esiste, che Pietro l’ha fondata, che per essa ha dato la vita, deve pur aver un senso!
La Chiesa di Pietro è una comunità della quale Gesù stesso ha definito i tratti, dalla promessa a Pietro sino al banchetto eucaristico, essa è la dimostrazione concreta della vita di Gesù e del significato della sua venuta, è il simbolo della sua volontà affinché il messaggio del Padre, Dio d’amore, venisse letto a tutte le genti. Questa è la sostanza della presenza della chiesa di Roma: la testimonianza che Dio ha voluto parlare agli uomini attraverso il Figlio, ha voluto mostrarsi nella persona del Cristo.
Dobbiamo arrivare all’illuminismo per vedere come l’uomo abbia tentato di ridurre la figura del Cristo a dimensioni puramente umane, definendo, in maniera fantasiosa e forzata, Gesù come rappresentante di valori perseguiti dai suoi seguaci.
Per spiegare meglio il concetto, secondo alcuni illuministi, Diderot sopra gli altri, non è stata l’azione e la predicazione di Gesù di Nazaret ha iniziare la grande storia della chiesa, ma le convinzioni religiose dei suoi discepoli che hanno creduto, così facendo, di servire in ogni caso il Dio d’Israele e di andare a predicare in terre pagane la Legge di Mosè.
Questo è un ragionamento zoppo e mi stupisce che, forse un poco orbati dal dubbio e dal desiderio di dimostrare la fondatezza delle loro obiezioni, illustri filosofi abbiano costruito tale scadente ipotesi così facilmente confutabile dalla stessa storia degli Ebrei, che ‘non hanno mai voluto dividere il loro Dio’ con nessun altro popolo della terra, considerandolo gelosamente il Dio della sola Israele.
Se i discepoli del Nazareno avessero voluto servire Dio non c’era bisogno che lasciassero Israele per andare raminghi nel mondo con la probabilità, molto elevata, di farsi ammazzare. Potevano starsene tranquillamente a Gerusalemme e seminare ugualmente il verbo del Signore fra le genti, e contemporaneamente servire il loro Dio.
Supponiamo però, per pura ipotesi, che i discepoli di Gesù di Nazaret si sentissero l’animo del missionario e che, improvvisamente alla morte di Gesù, bruciassero dal desiderio di portare la parola del Dio d’Israele nel mondo pagano: e allora? Avere l’animo del missionario, cosa significa? Vuol dire sentire la necessità di predicare la parola di Dio a chi non la conosce.
Ma, io mi chiedo, questa improvvisa vocazione si è svegliata in loro, pescatori o intellettuali che fossero, solo dopo l’incontro con Gesù? Certo, si è sviluppata solo dopo l’incontro con Gesù di Nazaret. Perché questo è ciò che è successo: erano persone semplici e normali e ‘solo dopo’ aver incontrato il Nazareno sono diventati ‘portatori della parola di Dio’.
E allora se è così, se non erano toccati da questa vocazione ‘prima’ di conoscere il Maestro, vuol dire che questa idea di servire Dio non era già in loro e quindi che è stato Gesù a mettere nei loro cuori quei sentimenti che li hanno portati a servire Dio al prezzo della vita, per cui è stato sempre Lui, il Maestro, l’artefice della vocazione missionaria. Per questo sillogismo è giusto concludere che la Chiesa di Roma è nata dalla volontà di Gesù Cristo, e non altro.
Un bellissimo libro sull’argomento è uscito nel 1906 (Storia della ricerca sulla vita di Gesù di A.Schweitzer), e mostra le profonde contraddizioni del razionalismo illuminista sull’argomento.
Io consiglio gli increduli, gli scettici, di leggere quel libro e di riflettere.
Attraverso l’illuminismo si è giunti così, in mancanza di un ordine paritetico fra le varie tesi razionalistiche, alla radicalizzazione della figura di Gesù umano e storicizzato e del suo messaggio, visto invece in maniera differente e non dimostrabile. Anche qui il razionalismo ha commesso un errore, perché non è possibile dimostrare la verità o la menzogna di una cosa prescindendo dalla storicità e dalle testimonianze dirette, e costruendo altresì delle tesi, alla ricerca di una sicurezza umanamente garantita, su un argomento che, come abbiamo visto, dovrebbe prima essere affrontato con la fede per preparare l’animo e la ragione a conoscerlo profondamente. E comunque è difficile, anzi razionalmente impossibile negare l’origine ‘non umana’ di un messaggio in mancanza di altre certezze se non quelle personali, mai dimostrabili, di chi le ha espresse.
Al di là della dimostrazione o meno della figura di Gesù visto come incarnazione di Dio, che anche in questa ipotesi è ovviamente indimostrabile, c’è però la grande novità del suo messaggio, che per la prima volta parla di pace, amore e perdono e si rivolge agli uomini di tutto il mondo, quelli di buona volontà, quali figli di un Dio di tutti..
Nessun profeta dell’Antico Testamento aveva mai pronunciato simili concetti e nessuno si era mai rivolto alle folle con l’autorità che a Gesù veniva da tutti riconosciuta. Nei libri storici di Tacito e di Flavio Angelo si legge che egli parlava alle folle “come uno che ha potestà”, e questa autorità dimostrava anche quando rimetteva in discussione la legislazione inviolabile sul puro e l’impuro e quella indiscussa sul riposo del sabato, da sempre cardini fissi della religione ebraica, e con questo addirittura sembrava addirittura confrontarsi con l’autorità di Mosè e della sua Legge.

Poteva un semplice profeta avere questo atteggiamento?

Dobbiamo dire allora con sufficiente margine di sicurezza che Gesù è la grande spiegazione che Dio ha voluto dare agli increduli. Una spiegazione logica ed evidente anche per la nostra ragione, perché nessuna altra spiegazione dei Suoi atti e della Sua vita potrebbe avere la medesima possibilità di interpretazione.

Nessuna altra ragione potrebbe spiegare Pietro e i primi cristiani, nessuna altra potrebbe spiegare come, da quei pochi giudei analfabeti o quasi, il messaggio di un uomo condannato a morte per bestemmia e sedizione, e per questo crocifisso, sia stato capace di conquistare il cuore di due miliardi di persone nel mondo.


Per concludere questo capitolo, voglio riportare un’altra pagina dalla ‘Vita di Cristo’ di Giovanni Papini, un libro stupendo.

Si tratta di parti del capitolo ‘La Croce invisibile’ che chiudono, con le parole di un grande maestro della letteratura italiana, i miei modesti argomenti sul Maestro.

“Cristo è morto e il suo corpo traforato pende da quel giorno sopra una Croce invisibile piantata nel mezzo della terra. Sotto questa croce gigantesca, ancora gocciante di sangue, vanno a piangere i crocifissi nell’anima e tutte le stirpe dei Giuda non l’hanno potuta sradicare.

Ma gli schernitori non sono morti. La loro schiatta è longeva. I pronipoti di Caino e di Caiafa non hanno smesso di infamare e deridere. La pazzia della croce è uno scandalo troppo forte per la loro saggezza.

Quanto rumore, quanta meraviglia - squittiscono le ghiandaie dell’erudizione - per un uomo morto sulla croce. Voi dite che quest’uomo era un Dio ma noi sappiamo, noi che sappiamo tutto e abbiamo letto tutti i libri, che la morte violenta d’un eroe, di un semidio, d’un essere divino insomma, non è cosa nuova, da giustificare un così lungo appassionamento. Gesù è uno della lista.

......................
Ma senza ricorrere alla divinità - incalzano i discendenti di Caiafa - noi sappiamo di altri che, al par di Gesù, soffrirono per dare agli uomini la verità e fondarono, come lui, scuole e religioni. E quali sono, di grazia, quelli che sia pure da lontano siano comparabili a Gesù?
Forse il buon burocrate Confucio, ch’ebbe moglie e figli, e fu ricevitore delle tasse sui pascoli, soprintendente dei lavori pubblici, morto pacificamente nel suo letto a 73 anni?
Oppure Verdhamana, il capo del giainismo, che morì di morte naturale a 72 anni?
O Zarathustra che fu ucciso in guerra durante l’assedio di Bakhdi?
O il Buddha, nato da re, che generò un bel figlio da una bella sposa e si spense a ottantadue anni per aver mangiato carne di maiale troppo grassa?
L’unico che sia morto per sentenza di tribunale è Socrate ma nessuno ha mai creduto che Socrate fosse un Dio o parlasse in nome di Dio, e ancor meno che rivelasse verità sovrumane. Egli non voleva salvare gli uomini, ma insegnare agli ateniesi l’arte di ragionare con maggior precisione. Ha portato, dicono, la filosofia del cielo sulla terra ma Gesù ha portato il cielo sulla terra. Socrate promette una riforma dell’intelligenza e Gesù la felicità e l’eternità. E d’altra parte l’arguto professore di maieutica era già arrivato a settant’anni e non fu martoriato. Gli permisero una lunga difesa e morì in mezzo ai suoi discepoli.
Gesù ha insegnato più e meglio di una sofistica depurata o d’una morale civica fondata sulla giustizia. Egli ha voluto trasformare gli uomini a sua somiglianza secondo le parole del suo annunziatore Ezechiele:- E io vi darò un cuore nuovo e metterò in voi un nuovo spirito e toglierò il cuore di pietra dalla vostra carne e porrò in voi il mio spirito-.
Ci chiama all’imitazione di Dio, ad essere governati direttamente da Dio, cioè divinamente liberi. Siate santi come Dio è santo; perfetti come Dio è perfetto; perdonate come Dio perdona; amatevi come Dio vi ama: se farete questo non vi saranno più nemici e padroni, infelici e poveri, omicidi e calpestati ma il Regno dei Cieli vi compenserà degli ingiusti regni della terra.
Questa è stata l’opera di Gesù. Anche Gesù come il serpente del giardino , ma con opposto fine, ha detto agli uomini: Siate come dei. Ma gli uomini non hanno avuto la forza di obbedirlo. Dio è troppo distante e il brago ha le sue dolcezze. Troppa fatica ci vuole al verme involto nel grassume della bellezza per tramutarsi in santo e approssimarsi a quella perfezione che è la sola felicità degna d’esser cercata, la sola che non deluda.
E hanno rifiutato quel che Cristo aveva offerto con il suo sangue grondante. E per non udire la sua voce che chiamava a un’impresa troppo difficile l’hanno soffocata sulla croce. Hanno avuto il terrore di perdere i loro beni di sasso, di metallo e di carta, e non hanno creduto ai beni infiniti che prometteva in iscambio. E per questo rifiuto e questo terrore è morto quel giorno sul Teschio, gridando nel buio, il Figlio dell’Uomo. E ogni volta che uno di noi non risponde al suo grido dà un nuovo colpo sui chiodi che lo tengono appeso da secoli all’indistruggibile Croce.

Ma non si può chiudere il capitolo su Gesù senza parlare della parusia, cioè del suo ritorno fra gli uomini, che avverrà, come da Sua promessa, alla fine dei tempi. E’ questo uno dei capitoli più misteriosi da interpretare e anche uno di quelli che la Chiesa, chissà perché, cerca di dimenticare.
Le prime comunità cristiane pensavano imminente la fine dei tempi e quindi il vicino avverarsi della parusia, cioè del ‘glorioso ritorno del Messia’.
Essendo rimaste deluse le aspettative più immediate sul ritorno di Gesù, il concetto di parusia è stato de-temporalizzato: per parusia oggi si intende l’evento metatemporale coincidente con il giudizio universale. Con la parusia si realizzeranno nuovi cieli e nuove terre, dove la materia non sarà più corruttibile e tutte le anime si ricongiungeranno nel loro corpo.
Paolo scrivendo in una lettera ai Tessalonicesi dice che “Prima della gloriosa parusia del Cristo dovrà avvenire l’apostasia e dovrà essere rivelato l’uomo iniquo, il figlio della perdizione, colui che si contrappone e s’innalza sopra ogni essere che viene detto Dio o è oggetto di culto, fino a sedere nel tempio di Dio, additando se stesso come Dio. (2a lett.Ts 2,7).
Sottolinea l’importanza di questa previsione di Paolo : sembra parlare dei nostri tempi e forse di un futuro molto vicino.
-Non ricordate che, quando ero fra voi, venivo dicendo queste cose? E ora sapete ciò che impedisce la sua manifestazione, che avverrà nella sua ora. Il mistero dell’iniquità è già in atto ma è necessario che sia tolto di mezzo chi lo trattiene. Solo allora sarà rivelato l’empio e il Signore Gesù lo annienterà con un soffio della sua bocca e lo distruggerà all’apparire della sua venuta, l’iniquo, la cui venuta avverrà nella potenza di satana, con ogni specie di portenti, di segni e di prodigi menzogneri e con ogni sorta di empio inganno per quelli che vanno in rovina, perché non hanno accolto l’amore della verità per essere salvi”. (2a lett.Ts 2,2)
Le due lettere di Giovanni ai Tessalonicesi sono i più antichi testi del Nuovo Testamento, quelli che ci conducono più vicini allo spirito delle origini: gli stessi Vangeli sono stati scritti successivamente. Non esistono nemmeno in Agostino e in Tommaso riferimenti sicuri a quello che Giovanni indicava come ‘l’iniquo’ o ‘il figlio della perdizione’.
Nella prima lettera di Giovanni si legge “Come avete udito che deve venire l’anticristo, di fatto molti anticristi sono apparsi. Da questo conosciamo che è l’ultima ora. Sono usciti dai nostri ma non erano dei nostri”.
La venuta dell’anticristo sulla terra, quindi, sarà il segnale della Fine dei Tempi.
E’ un mistero che cammina strettamente collegato con il misterioso Libro dell’Apocalisse, che riprende a sua volta profezie dei profeti di Israele.
Sulla fine dei tempi, scienza e religione vanno d’accordo. La Terra, alla fine, tornerà ad essere quello che era prima di esistere: nulla.
E anche la frase che tutti conosciamo “Uomo, ricordati che sei polvere e polvere ritornerai” può essere scientificamente accettata, in quanto non solo l’uomo ha una limitazione temporale nella durata della propria esistenza, ma anche la Terra ce l’ha, come tutto il resto della creazione.
Ma la fine dei tempi, per la nostra religione significa soprattutto la fine del tempo dell’uomo, di questo uomo, e non significa necessariamente anche la fine della Terra.
“Il sole si oscurerà, la luna mancherà di splendore, le stelle cadranno, e le potenze del cielo resteranno commosse. Allora apparirà in cielo il segno del Figlio dell’Uomo. Le genti di tutta la terra piangeranno e vedranno il Figlio dell’Uomo venire sulle nubi, in gran potenza e gloria. Egli manderà i suoi angeli che a suon di tromba convocheranno gli eletti dai quattro venti, da un estremo all’altro del cielo. Imparate dal fico. Quando il suo ramo intenerisce e mette le foglie, voi dite che l’estate è vicina, alle porte. In verità vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto avvenga. Passeranno il cielo e la terra, ma le mie parole non passeranno” .
E poi ancora il Vangelo di Matteo, sempre riferendosi a parole di Gesù:-”Quando sarà poi il giorno e l’ora nessuno lo sa, neppure gli angeli del cielo, né il Figlio: ma soltanto il Padre. Come nei giorni di Noè, che si mangiava, si beveva, si prendevano moglie e marito, e nessuno si accorse di nulla fino a quando Noè entrò nell’arca e poi il diluvio annegò tutti quanti, così avverrà alla venuta del Figlio dell’Uomo. Di due che saranno nel campo, uno sarà preso e l’altro lasciato. Vegliate dunque perché non sapete in che giorno il vostro Signore verrà”
E ancora:- “E appariranno falsi profeti che sedurranno molti. E per il dilagare delle iniquità si raffredderà l’amore dei più. Ma chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvo. E questo vangelo sarà predicato in tutta la terra, testimonianza a tutte le genti, e allora verrà la fine”
Questa predicazione nel mondo coincide con il ‘raffreddamento della fede negli uomini’ e sarà l’inizio della fine.
Ancora il Vangelo di Matteo: “Sorgeranno falsi cristi e falsi profeti e faranno grandi portenti e miracoli, così da indurre in errore, se possibile, anche gli eletti. L’Apocalisse descrive due bestie, una che viene dalla terra e una dal mare. Tutti seguiranno la bestia, tutta la terra presa da ammirazione. La seconda bestia viene dalla terra e obbligherà gli uomini ad adorare la prima, farà grandi prodigi, farà scendere il fuoco dal cielo”.
Del figlio della perdizione parla anche Giovanni nel suo Vangelo ma la frase importante è nella seconda lettera “Uscirà da noi ma non sarà dei nostri”.
Cosa avrà voluto dire? La frase è oscura.
Chi può essere l’anticristo che uscirà da loro ma non sarà dei loro?
Uscire dai nostri, per Giovanni, potrebbe voler dire ‘dal popolo di Israele, oppure dalla comunità degli adepti del Cristo’. Cosa altro?
Secondo antiche profezie, quando Gesù disse ‘Mille e non più mille’ voleva dire che la fine dei tempi poteva essere l’anno 1000. Ora quell’anno è passato e siamo vicini alla fine del secondo millennio. Ma mille e non più mille potrebbe anche significare che non deve scoccare la fine del secondo millennio, e in questa ipotesi mi sembra che la fine dei tempi potrebbe essere vicina.
In realtà considerato che Gesù ha pronunciato quella frase quando aveva circa 30 anni (o 38-42, che la sua data di nascita sembra dover essere anticipata di 8-12 anni), la scadenza del secondo millennio dovrebbe essere intorno al 2015-2020 circa. Su questo vorrei riportare una antica profezia Maya che profetizza la fine della terra.
La misteriosa sapienza del popolo Maya sull’astronomia e su tutto ciò che riguardava il tempo e lo spazio, in contrasto con la primordialità che li caratterizzava nelle altre scienze, ha sempre affascinato schiere di scienziati: a cosa si doveva questa incredibile sapienza astronomica per cui i Maya sapevano ‘esattamente’ misure e distanze dell’universo, 3000 anni prima che l’occidente le scoprisse? Come facevano a conoscere la presenza di pianeti come Urano, scoperti solo recentemente dall’astronomia? I Maya avevano anche creato un calendario praticamente uguale a quello che noi usiamo, e questo è un ulteriore interrogativo, ma fra tutti i misteri che li circondano c’è anche quello della profezia da loro formulata che fissa la data della fine della terra: il 23 dicembre 2012, cioè la fine di quello che loro definivano il quinto ciclo solare.
Anche il monaco irlandese Malachia, nelle sue profezie sui papi della chiesa, dice che l’attuale è il penultimo papa della serie. Dopo di lui ne avremo un altro contrassegnato da Malachia con il motto “De Gloria olivae”, e quindi al soglio pontificale assurgerà l’ultimo papa, che prenderà il nome di Pietro II, perché nelle sue intenzioni ci sarà soprattutto quella di ‘rifondare’ la Chiesa di Cristo. Sempre secondo Malachia la chiesa invece chiuderà la sua vita terrena con questo pontefice di nome Pietro II. E così, dopo la caduta della Chiesa di Pietro la terra, fra sangue e grandi tribolazioni, si avvierà alla fine dei tempi.
Sarà quindi la parusia, il ritorno di Gesù sulla terra, ma questa volta nelle vesti di giudice. Tutto questo secondo le varie profezie. Ma un fattore importante non c’è in questo momento che vede l’avverarsi dei segni e cioè la venuta dell’anticristo. O forse sarebbe meglio dire che mancherebbe se noi ci limitassimo a pensare all’anticristo come ad un uomo che ‘deve sedurre’ i popoli della terra per trascinarli nel fango della perdizione.
Perché probabilmente l’anticristo è già presente, è già vivo tra noi, e potrebbe essere in una forma diversa che non quella umana, ma ugualmente capace di sedurre e di portare l’uomo nel fango : chi dice che l’anticristo debba essere per forza un uomo? Dove è scritto? Nasce da noi, ha detto Paolo, ma anche la perversione o il nazismo sono originati dall’uomo.
Questo è un secolo dove la fede sembra andata persa fra gli uomini, ha detto un giorno Padre Pio. Effettivamente mai, nella storia dell’uomo, la miscredenza e la lontananza da Dio, sono state così evidenti. L’uomo è preda di quello che io non esito a definire come il ‘vero anticristo annunciato’, la materialità e l’inganno del consumismo. In un mondo di diseredati e di affamati poche persone, che si considerano privilegiate, adorando la ‘bestia’ possiedono, anziché la luce della Verità, l’abominio della materia sotto forma di oro.
In un rapporto dell’ONU sullo sviluppo umano presentato nel 1996 si documenta che il divario nei redditi pro-capite tra il mondo industrializzato e il resto del mondo è triplicato in trent’anni.
Negli Usa il numero dei redditi alti è di 9 a 1 in rapporto a quelli bassi.
385 miliardari americani possiedono in patrimoni personali una cifra pari al 45% dell’intera ricchezza di tutta la popolazione mondiale, cioè a dire 2 miliardi e trecentomila persone.
Nel mondo vi sono un miliardo di persone senza casa e due miliardi di analfabeti.
I trafficanti di droghe hanno conquistato 57 milioni di adolescenti nei soli paesi industrializzati.
250 specie di mammiferi e 350 specie di uccelli sono in via di estinzione nel pianeta.
Ogni anno muoiono 500.000 bambini, di fame e malattie legate alla miseria.
Gli enzimi delegati a mangiare lo sporco nei vari prodotti chimici mangiano anche i globuli rossi, e nessuno, sapendolo, interviene. Il latte è pieno di sostanze radioattive, di antibiotici, pesticidi, fluoro e bacilli della tubercolosi. Il mercurio ha ormai avvelenato tutte le falde acquifere delle città, sta avvelenando i fiumi e quindi uccidendo i mari, che comunque stanno morendo anche per la distruzione di quasi tutte le specie marine viventi da parte dell’uomo.
In questo oceano di bestialità, l’uomo ha speso il 4,8% della ricchezza mondiale per aiutare i poveri e ha esportato l’80% della propria produzione in armi ( dati Unicef 1995).
Non parliamo poi della violenza dei mezzi di comunicazione di massa! Non parliamo del mercato del pornografico, ormai arrivato alle violenze sui minori, agli omicidi sessuali in diretta, alle deviazioni psicopatiche più terrificanti! Non parliamo della droga sottile, formata da musica-sesso-spettacoli di massa che viene iniettata nel cervello dei giovani per ‘costringerli’ a non pensare, a non avere ideali, a non ‘giudicare’!
Ecco allora che è legittimo affermare che l’anticristo è sulla terra, è già qui, davanti a noi, con i suoi ingannevoli prodigi e la sua bestiale sete di carne e oro: la profezia della parusia può dunque avverarsi, i presupposti ci sono tutti, i segni anche.

cireno
12-12-15, 15:45
Maometto

Prima di addentrarci nel tema devo fare qualche precisazione che può servire a capire meglio quello di cui parlerò.
La prima: il Corano, secondo il credo islamico, è sceso direttamente da Dio attraverso l’arcangelo Gabriele al momento della sua chiamata tra i profeti. E’ scritto in lingua araba e può essere recitato solo in questa lingua. La lingua araba è l’antica lingua dei beduini e qui gli studiosi, non islamici, di questo Libro sacro hanno puntato l’indice su un’incongruenza che deriva dal fatto che al tempo di Maometto l’arabo, come detto prima, era una lingua solo parlata dai beduini, in quanto la lingua ufficiale scritta era il siro-aramaico. Il Corano risale al 630 dopo Cristo circa e il primo esempio di letteratura araba si trova solo due secoli dopo circa, e si riferisce alla Biografia del Profeta, opera di al-Khalil bin Ahmad, morto nel 786 e di Sibawwayh morto nel 796, autore della prima grammatica araba classica.
Non è un incongruenza di poco conto perché il Corano così come è stato tradotto 150 anni dopo circa in lingua araba presenta ancora oggi diversi misteri interpretativi dei quali viene detto che “solo Dio può comprenderli”. Tradotto, quindi, per forza e questo vuol dire che quando è stato dettato l’arcangelo Gabriele ha parlato in siro-aramaico, che era la lingua ufficiale della zona ma anche la lingua dei cristiani.

Per esempio, il professor Christoph Luxenberg (nome di fantasia per timore di rappresaglie musulmane) cita il termine “huri” e dice nel suo libro sul Corano “Partiamo dal termine ´huri´, per il quale i commentatori arabi non hanno saputo trovare altro significato se non quello delle vergini paradisiache. Ma se si tiene conto delle derivazioni dal siro-aramaico, quell´espressione indica ´uva bianca´, che è un elemento simbolico del paradiso cristiano, richiamato nell´ultima cena di Gesù. C´è anche un´altra espressione coranica, erroneamente interpretata come ´i fanciulli´ o ´i giovani´ del paradiso: essa in aramaico designa i frutti della vite, che nel Corano vengono paragonati alle perle. Per quanto riguarda i simboli del paradiso, questi errori di interpretazione hanno probabilmente qualcosa a che fare con il monopolio maschile nel campo del commento e dell´interpretazione coranica".

-C´è poi un passaggio della sura 24, verso 31, che in arabo significa: ´Che esse battano il loro khumur sulle loro borse´. Una frase incomprensibile, della quale si è cercato di dare la seguente interpretazione: ´Che esse stendano i loro fazzoletti da testa sui loro seni´. Se invece questo passaggio si legge in chiave siro-aramaica, significa semplicemente: ´Che esse allaccino le loro cinture intorno ai loro fianchi´». Un’usanza che anche Gesù adottò quando lavò i piedi agli apostoli.
Sempre nel libo citato viene posta questa domanda al professor Luxenberg:-

D. - Lei ha trovato che la sura 97 del Corano menziona il natale. E nella sua traduzione della famosa sura di Maria, il "parto" di Maria è "reso legittimo dal Signore". E inoltre il testo conterrebbe l´invito a recarsi alle sacre liturgie, cioè alla messa. Ma allora il Corano potrebbe non essere altro che una versione araba della Bibbia cristiana?

R. -All´origine, il Corano è un libro liturgico siro-aramaico, con inni e con estratti della Sacra Scrittura che potrebbero essere stati usati nelle sacre ufficiature cristiane. In secondo luogo, si può vedere nel Corano l´inizio di una predicazione volta a trasmettere la fede nelle Sacre Scritture ai pagani della Mecca, in lingua araba. Quanto alle sue parti socio-politiche, le quali non hanno molto a che fare con il Corano originario, sono state aggiunte successivamente, a Medina. In origine, il Corano non fu concepito come il fondamento di una nuova religione. Esso presupponeva la fede nella Scrittura, e aveva quindi solo una funzione di tramite verso la società araba".

Un ulteriore osservazione deve essere fatta: si sente dire da diversi imam che l’islamismo, nonostante l’uso che ne fanno i terroristi neri dell’Is, sarebbe una religione di misericordia e di pace. Può darsi, ma come si spiega che dalla sua nascita c’è stata sempre una scia di sangue ad accompagnarlo? Come mai ben tre dei primi quattro successori di Maometto, i cosiddetti «califfi ben guidati», furono assassinati (Omar ibn al-Khattab, Uthman ibn Affan e Ali ibn Abi Talib) e due di loro (Omar e Ali) furono assassinati mentre pregavano in moschea? Assassinati da altri musulmani.

Ugualmente il passaggio di potere da un califfato all'altro avvenne tramite le armi e lo spargimento del sangue, musulmani contro musulmani. Quando Abu Al Abbas as-Saffah, letteralmente il sanguinario, fondò la dinastia abbaside, fece strage dei reggenti omayyadi e, in un eccesso di odio, profanò le tombe dei califfi omayyadi, le cui spoglie furono esumate e flagellate. Attorno all'anno Mille poi c'erano ben tre califfi che si contendevano, con le armi, il potere quali successori di Maometto: il califfo abbaside Al Qahir a Bagdad, il califfo omayyade Abd ar-Rahman III a Cordova, , il califfo fatimide Al Mu'izz al Cairo.

Ancora oggi gli estremisti islamici sunniti condannano per eresia gli sciiti, che rappresentano circa il 10 per cento dei musulmani, e ne legittimano pertanto l'uccisione indiscriminata. La morte violenta nel 661 di Ali, cugino e genero di Maometto, originò lo scisma sciita che attribuisce ai soli familiari di Maometto il diritto a succedergli. Questa continua ininterrotta guerra intestina tra musulmani viene legittimata da parte di tutti i carnefici e i giustizieri nel nome dell'islam.

Prima che Maometto fosse scelto da Dio per essere il nuovo profeta. Nelle zone dove abitava missionari cristiani diffondevano, in siro aramaico come già detto, le parole del Vangelo.

Ebbene, su un quotidiano milanese del settembre 2015 è cpmparsa questa strabiliante notizia. Riporto per intero:-

- Hanno «carbonizzato» il Corano . E facendolo potrebbero aver riscritto, almeno in parte, l'intera storia dell'islam. La «carbonizzazione» del caso non è certo stata un'opera distruttiva, tutt'altro. Si tratta della datazione al carbonio 14, tecnica di datazione impiegata per documenti, reperti e addirittura per i resti umani (si pensi ai casi clamorosi della Sacra Sindone o della vera Monnalisa che fu la modella di Leonardo da Vinci per la Gioconda ). A finire sotto la lente degli esperti dell'Università di Oxford, come era già stato annunciato sul finire del luglio scorso, sono state alcune parti di quella che ora viene considerata la più antica redazione del libro sacro dei musulmani.
Fra le pagine di un'altra copia del Corano databile alla fine del Sesto secolo, sono state infatti rinvenute, come specificava due giorni fa il Times dando grande rilievo alla cosa, alcune parti delle sure 18, 19 e 20 del cosiddetto « Corano di Birmingham», trovato appunto in quella università inglese e studiato da una ricercatrice italiana formatasi fra l'altro all'Università Cattolica di Milano, Alba Fedeli. Ebbene, quei preziosissimi fogli di pergamena, sarebbero da collocare fra il 568 e il 645, ha sentenziato il carbonio 14. Quindi non necessariamente dopo la scomparsa di Maometto, le date di nascita e di morte del quale usualmente accettate sono 570 e 632. Insomma, almeno una parte del Corano potrebbe esser stata scritta prima della dipartita del Profeta, e non dopo, come vuole la tradizione islamica che colloca la prima edizione del libro nell'anno 650, cioè 18 anni dopo la morte di Maometto.

«Certo - ha spiegato Tom Holland, uno degli esperti che hanno esaminato le sure in questione - ciò destabilizza l'idea che noi abbiamo sull'origine del Corano e comporta delle implicazioni sulla storicità di Maometto e dei suoi seguaci». Secondo la tradizione islamica, Maometto avrebbe ricevuto la rivelazione che poi ha portato alla stesura del libro sacro fra il 610 e il 632, anno della sua morte. Dunque, accettando per buono il lasso di tempo suggerito dal radiocarbonio per i reperti in oggetto, fra il 568 e il 645, esisterebbe un margine di ben 42 anni (fra il 568 e il 610, appunto, anno di inizio della rivelazione) in cui, Maometto vivente, almeno una piccola parte del Corano era già stata messa nero su bianco... Non solo, entra in gioco un altro fattore potenzialmente clamoroso: se l'ipotesi fosse vera, Maometto durante la sua predicazione avrebbe fatto riferimento a un testo antecedente quello che poi sarebbe diventato il Corano definitivo a tutti gli effetti.

Secondo alcune interpretazioni questo Corano primitivo, in diverse parti molto simile al Nuovo Testamento, sarebbe potuto essere un libro divulgativo del cristianesimo che nelle zone era abbastanza diffuso e che poi Maometto avrebbe rielaborato in un secondo momento.

cireno
13-12-15, 10:33
Mi scuso per gli errori di battitura, di ortografia e anche di grammatica. Come sempre scrivo direttamente senza passare da brutte copie.

cireno
13-12-15, 15:34
Cento anni dopo la rivelazione di Dio a Maometto l’islamismo aveva conquistato buona parte delle popolazioni dell’Africa centrale, l’India e la Spagna. Duecento anni dopo, per dire intorno all’anno 900 d.C., anche le popolazioni dell’Africa settentrionale, del Medio Oriente, stati come la Malesia, l’Indonesia erano diventati musulmani. Nel frattempo era scoppiata la profonda divergenza tra sunniti e sciiti. Il termine sunnita sta ad indicare la “gente della tradizione” , e la tradizione è semplicemente l’esempio di Maometto. Lo sciismo nasce subito dopo la morte di Maometto, quando alcune personalità del mondo islamico scelsero a succedergli Abu Bakr. A questa scelta si opposero ferocemente i sostenitori di Alì ibn Abi Talib, genero di Maometto, che loro consideravano l’erede legittimo del Profeta. Intanto l’Islam si propagava sempre più, nacquero i sufi, per esempio, che portarono il messaggio del Profeta in Somalia, in Tanzania, sulle coste del Mar Rosso.

Oggi i musulmani nel mondo sono poco meno dei cristiani (1,6 miliardi contro 1,8 dei cristiani) e le due religioni anche se si rivolgono a un solo Dio, hanno nel loro messaggio notevolissime differenze che cercherò di evidenziare.
Prima di farlo però vorrei cercare di capire perché, arrivata dopo secoli dal monoteismo ebraico e da quello cristiano, l’islamismo ha avuto così successo.

Fine dei confltti intertribali, bisogni economici e la forza della nuova religione Un anno dopo che gli ultimi beduini recalcitranti erano stati inseriti a forza nella confederazione islamica, i generali musulmani dichiararono la guerra santa contro la Siria bizantina.
“Non era per amore del cielo che combattevate colà, – scrisse un poeta beduino – ma per amore del pane e dei datteri”. La conquista degli imperi bizantino e persiano fu il prezzo che gli altri dovettero pagare per il trionfo della pax islamica tra gli Arabi.
Il messaggio di Maometto venne a colmare l’abisso tra gli Arabi e i loro altezzosi vicini, le popolazioni civili della Mezzaluna Fertile. Gli insegnamenti morali dell’Islamismo mettevano gli Arabi musulmani sullo stesso piano degli ebrei e dei cristiani “timorati di dio”.
da Peter Brown, Il mondo tardo antico, Einaudi
Le divisioni religiose all’interno dei regni sconfitti agevolano le conquiste arabe. Le conquiste degli Arabi musulmani incontrarono così i loro limiti, ma erano state rapide e vaste per le stesse ragioni per cui lo erano state quelle dei Vandali e di Alessandro Magno. Ciascuno di questi invasori aveva attaccato un impero che si era indebolito militarmente, ma che aveva conservato la propria rete di comunicazioni intatta, a tutto
vantaggio degli invasori.
Le conquiste arabe del VII secolo distrussero gli effetti di quelle compiute nella stessa regione, nel IV secolo a.C., da Alessandro. Nel 633 gli Arabi posero fine nel Medio Oriente a un’egemonia culturale greca durata 963 anni.
Essi furono aiutati non poco dai sudditi monofisiti dell’Impero romano d’Oriente, ai quali non dispiacque affatto cambiare padrone; così come i sudditi nestoriani dell’impero sasanide non mossero un dito per difendere i loro antichi sovrani iranici.
da Arnold J. Toynbee, Il racconto dell’uomo, Garzanti
Ma tutte queste ragioni non bastano a spiegare un trionfo così
completo. L’immensità dei risultati raggiunti è molto al di
sopra dell’importanza del conquistatore. Il grande problema
che si pone a questo punto è di sapere perché
gli Arabi, i quali non erano certamente più numerosi
dei Germani, non furono assorbiti come loro dalle popolazioni
dei paesi di civiltà superiore che li circondavano, dei quali poi s’impadronirono.
Tutto sta qui.
Non c’è che una risposta, ed è di ordine morale. Mentre
i Germani non ebbero niente da opporre al Cristianesimo
dell’impero, gli Arabi erano esaltati da una fede
nuova. l’islamismo.
Questo e questo solo li rese inassimilabili, perché
per tutto il resto essi non avevano maggiori prevenzioni che i
Germani contro la civiltà dei popoli che conquistavano.
da Henri Pirenne, Maometto e Carlomagno, Laterza
Cosi è stato spiegato il grande successo del messaggio del Profeta: il desiderio di essere parificati ai loro vicini di antica civiltà e l’unico strumento che i popoli arabi hanno potuto avere per raggiungere questo scopo era l’Islam.

L’Islam si dovette per forza, per potersi espandere, scontrare con le altre due religioni monoteiste della zona: l’ebraismo e il cristianesimo. A differenza dell’ebraismo la religione di Maometto cercava nuovi fedeli in ogni terra conquistata o percorsa, ma ugualmente rimaneva, così come l’ebraismo, una religione connotata, perché nata per i popoli arabi, e in questo differente dal cristianesimo che era nato per “tutti gli uomini di buona volontà”.
Ci sono notevoli differenze tra il cristianesimo e l’islamismo, anche se certi predicatori musulmani affermano che entrambe le religioni siano fondate sulla misericordia. La più importante riguarda i due “fondatori”: Gesù Cristo e Maometto. Il cristianesimo può essere definito la religione dell’amore, del perdono, della misericordia, indipendentemente da come poi nel corso dei secoli molti suoi interpreti l’hanno vilipeso nei fatti, l’islamismo no. Quando Maometto stava a Mecca, la città dove nel 610 ebbe la rivelazione, portava avanti una predicazione pacifica, ma poi, trasferitosi per forza a Medina e diventato un uomo politico, si trasformò in un uomo molto aggressivo: condusse circa quaranta invasioni, e assassinò diversi suoi oppositori. Si narra di una battaglia sanguinosa contro i giudei a Quraiza, dove centinaia di uomini furono giustiziati e altrettante donne e bambini venduti come schiavi.
In questo l’islamismo ha affinità con l’AT. Basterebbe ricordare quando Dio dice agli ebrei di uscire dall’Egitto per impossessarsi della terra di Canaan e una volta giunti là di uccidere tutti i suoi abitanti.

Come detto più sopra Gesù portò invece un messaggio non violento. Mentre nella storia numerose persone hanno tradito il suo messaggio di pace, i suoi insegnamenti hanno un tono coerente di pace e amore. Egli non ha mai detto di uccidere nessuno, e ha disdegnato la violenza.; non così si può dire del Corano.

cireno
14-12-15, 16:15
I testimoni di Gesù


Ho scritto che non potremmo non credere a coloro che con Gesù hanno vissuto, che l’hanno udito parlare alle folle, l’hanno visto morire e poi risorgere.
Ho anche scritto che dovremmo dare fiducia a questi testimoni così come ne diamo ad altri, su altri argomenti. Non possiamo, ho specificato, avere fede in qualcuno e non in altri, secondo l’argomento, perché questo non sarebbe logico né razionale. Se decidessimo di credere solo in quello che i nostri occhi vedono e le nostre mani toccano, staremmo freschi! Per parte mia non vedo ragioni importanti per dubitare di ciò che questi ‘testimoni’ hanno scritto nei Vangeli, ma posso accettare anche le obiezioni di chi la vede in modo diverso.

Per ampliare il discorso, per darmi basi più sostanziose su cui poggiare la mia ‘fiducia’ nella testimonianza degli Evangelisti, ho anche letto anche i cosiddetti Vangeli gnostici, cioè quelli non riconosciuti dalla chiesa ufficiale, ma che comunque hanno una loro importanza per la ricerca della Verità.
Perché si chiamano Vangeli gnostici? Perché non sono stati riconosciuti, nel Concilio di Nicea, come Vangeli ufficiali della Chiesa cristiana. Cosa significa “gnosi, gnosticismo”? ritorniamo all’Enciclopedia Garzanti

“Tendenza religiosa di tipo sincretistico (cioè contenente la ricerca della fusione del cristianesimo con le precedenti religione pagane), che ebbe grande diffusione agli inizi del cristianesimo (in particolare nel secolo II) ma le cui origini e complesse diramazioni sono tuttora discusse e non sufficientemente chiarite. Alle testimonianze degli scrittori cristiani (Ireneo, Ippolito, Epifanio e altri) e agli scarsi testi originali si sono aggiunte di recente le 44 opere gnostiche scoperte nel 1946 nell’Alto Egitto. E’ ormai opinione generale che lo gnosticismo non costituisca una degenerazione interna del cristianesimo, ma che rinvii a elementi pre-esistenti, derivati dalle varie religioni misteriche, dalle correnti magico-astrologiche dell’Oriente, dall’ermetismo, dalla qabbalah e dal giudaismo alessandrino (Aristotele, Filone) e dalle filosofie ellenistiche. Certamente però questo insieme dottrinario, tutt’altro che coerente e compatto, ha poi trovato nel cristianesimo e nella figura di Gesù il suo naturale punto di approdo.
Si suole inoltre distinguere una ‘gnosi volgare’ (Cerinto, Carpocrate, Simon Mago, Menandro) divisa anche in numerose sette in cui prevalgono le pratiche magiche e gli elementi astrologici iranico-babilonesi, ed una ‘gnosi dotta’, che ha il suo centro principale ad Alessandria ed è rappresentata da figure in cui è evidente l’impegno speculativo (Basilide, Valentino, Marcione). In particolare Valentino e Marcione, che agirono anche a Roma come capi di una vasta comunità e come esegeti originali del Nuovo Testamento, suscitarono i timori di Tertulliano e di altri padri della chiesa. Del resto una ‘gnosi’ ortodossa si insinuò anche nel cristianesimo, soprattutto ad opera di Origene.
Elemento comune del gnosticismo è l’insistenza sull’elemento conoscitivo, inteso come illuminazione riservata a pochi iniziati, in virtù della quale essi pervengono alla visione del divino e del vero e alla loro personale salvezza”.


Anche da questi vangeli gnostici ho ricavato tessere per il mio mosaico della Verità. Però tutto deve essere affrontato, lo ripeto ancora una volta, con quella fiducia che è la parte più importante per arrivare a conoscere. Se mi metto a dubitare di ogni testimonianza la ricerca della Verità rischia di diventare un nonsenso, un gioco inutile.: a qualcuno devo dare fiducia…

Mi rendo perfettamente conto che avere fiducia significa credere in quello che non si conosce, ma ci sono tante piccole cose che, messe insieme, formano alla fine un quadro che riesce a dare una ragione logica alla primitiva fiducia. Però mi rendo anche conto che è difficile trovare la fede solo dandosi delle prove, che poi in definitiva provano poco. La fede è un dono di Dio, non si può scegliere di avere fede come non si può scegliere questa o quella religione, però si può cercare, come io sta facendo, di avere una posizione non basata sul solo niente, come purtroppo molti scettici o atei hanno, i credenti no, loro sono certi di quello in cui credono. Ricordo, a questo proposito un’intervista a Indro Montanelli dove lui, agnostico convinto e laico dichiarato, disse “sono agnostico in quanto considero l’ateismo un’assurdità, perché trovo assolutamente irragionevole, al limite dell’imbecillità, dirsi certi che tutto ciò che esiste è frutto di un Nulla che si è messo assieme obbedendo al caso. Il mio gnosticismo cammina su quegli stessi binari.

Cominciamo dunque con i Testimoni della vita di Gesù.
Chi erano gli Apostoli?
Apostolo è colui che Gesù ha inviato agli altri uomini per portare la Buona Novella.
Essi sono, davanti agli uomini che non hanno visto né udito, la testimonianza vivente della vita, della morte e della Resurrezione del Signore: sono la Sua parola.
Il compimento della loro missione li farà diventare il fondamento del popolo di Dio, in attesa della ‘parusia’ cioè della seconda venuta di Gesù sulla terra (ecco dove nasce la ‘vocazione missionaria’ di questi uomini!).
Anche Paolo, che pur non era fra coloro che avevano visto, deve essere considerato un Apostolo, intanto perché ha parlato con chi ha visto e poi per quanto ha poi fatto e predicato affinché il Regno del Signore ponesse stabili radici fra gli uomini, dopo aver abbracciato, improvvisamente, la fede cristiana. Paolo nasce a Tarso qualche anno dopo che Gesù era nato a Betlemme. Cittadino romano di origine giudaica viene educato nelle scuole rabbiniche di Gerusalemme e poi integrato nella ‘setta’ dei farisei.
Inizialmente aiuta la classe religiosa ebrea nella persecuzione ai seguaci di Gesù, e quindi dei cristiani sparsi per il mondo. Si dice che Paolo abbia anche assistito alla morte di uno dei primi martiri cristiani, Stefano.
Improvvisamente un giorno, sulla via per Damasco dove si stava portando proprio per continuare nella sua opera di persecuzione dei cristiani, ebbe una folgorazione che Paolo descrisse poi come apparizione di Gesù. Da quel momento Paolo diventò il più importante mezzo per far giungere alle genti la parola del Signore. Fattosi immediatamente cristiano, iniziò un’opera di conversione al cristianesimo di folle di pagani che visitava in continuazione in tutti i paesi.
Nei ‘Galati’ si dice che egli considerava la sua missione del tutto autonoma da quella degli altri discepoli in quanto ordinatagli non dagli uomini ma, per mezzo di Gesù, da Dio in persona.
Pietro, Giacomo e Giovanni, discepoli iniziali del Messia, lo accolsero con grande rispetto e lo considerarono il loro inviato presso i pagani. Il primo viaggio di Paolo si svolse in Asia Minore, dove, accompagnato da Marco e Barnaba, fondò ed eresse le prime chiese cristiane.
Si recò successivamente in Grecia e in Macedonia, dove svolse la medesima opera di conversione. Tornato a Gerusalemme ripartì subito per Efeso, dove fu imprigionato dalle autorità locali, ma ugualmente riuscì a realizzare la sua missione, la costruzione di quella basilica che io ho citato nel preambolo.
Visitò Corinto, tornò in Macedonia, quindi ritornò a Gerusalemme dove venne di nuovo arrestato dai romani e trasferito, prigioniero, a Cesarea dove restò per due anni in prigione. Uscito dalle prigioni romane andò in Grecia, in Spagna, a Malta e quindi si recò a Roma, dove pare sia stato messo a morte.
E’ considerato uno dei grandi martiri della chiesa. Dalle sue molte prigionie scrisse numerose lettere ai Romani, ai Corinti, ai Galati, ai Tessalonicesi, agli Efesini. In queste lettere egli rivela la sua perfetta identità con il Vangelo nuovo predicato da Gesù di Nazareth.
Emerge in Paolo il valore salvifico dell’evento di Cristo, della sua morte e Resurrezione. Il suo pensiero ha molto influenzato la chiesa cristiana ma anche gran parte della cultura occidentale.
Agostino, Lutero, Kierkegaard, Barth sono solo alcuni fra quelli che hanno evoluto la teologia sotto l’influsso della dottrina paolina. Con Paolo abbiamo l’esempio di un uomo, benestante e facente parte del potere costituito del tempo in Giudea che, improvvisamente, dismette i suoi comodi abiti e percorre, pericolosamente fino a morirne a un’età inferiore ai 50 anni, la strada difficile e impervia della missione cristiana.
E’ uno dei tanti esempi di uomini che, avendo conosciuto Gesù, seppure attraverso la testimonianza di altri, non ha esitato a portarne il messaggio in terre sconosciute e spesso ostili.
Perché lo ha fatto? In virtù di quale speranza di innalzamento di grado, di conquista di potere, o di nuove ricchezze ha ribaltato la sua vita?
Era, come detto, un uomo istruito alle scuole rabbiniche di Gerusalemme, un fariseo, di cultura greca, cittadino romano. Era colto, intelligente e benestante. Può essere diventato, improvvisamente, mentre percorreva quella strada verso Damasco, un pericoloso estremista di quella setta ‘rivoluzionaria’ che fino a quel momento lui stesso stava perseguitando?
Può essere considerato un esaltato?
Lo scettico ha molti argomenti su cui meditare.

Pietro (Simone) aveva un anno meno di Gesù Cristo e faceva, come tutti sappiamo, il pescatore insieme al fratello Andrea. Divenne subito, all’apparizione di Gesù, insieme al fratello, a Giacomo e a Giovanni uno dei suoi discepoli più intimi.
Le testimonianze degli altri apostoli ci dicono che egli era il primo fra i discepoli del Signore, di cui era il portavoce.
Fu Gesù stesso a mutare il suo nome originario di Simone in Kèpha, che significa pietra, donde Pietro, in riferimento all’ordine ch gli aveva dato di erigere dopo la sua morte la chiesa del Dio universale.
Allo morte di Gesù, Pietro, avanti di recarsi a Roma si recò in Siria, in Grecia e in Asia Minore per portare la parola del Signore.
Giunto a Roma morì alla fine crocefisso a testa in giù, dopo aver compiuto la missione che Gesù gli aveva ordinato: fondare la chiesa del Dio di tutti gli uomini.
E’ considerato il primo capo della chiesa romana, quindi il primo vescovo di Roma, e quindi, essendo il papa anche vescovo di Roma, il primo papa della chiesa.

Il Vangelo e l’Apocalisse di Pietro sembra non siano autografi. Anche la lettera a suo nome riportata nel Nuovo Testamento sembra apocrifa.
Era un uomo d’azione, un rude e impetuoso uomo d’azione. Non era certo un letterato, ma una persona abituata alla severa legge del lavoro duro, un pragmatico, che non aveva molte fantasie al suo arco.
Pagò questa sua obbedienza alla promessa fatta al Maestro con il martirio e con una vita tribolata, senza riconoscimenti, senza famiglia né casa.
Anche qui la domanda sorge spontanea: poteva, un uomo come Pietro, pragmatico e lavoratore, essere un fanatico, un esaltato? Da cosa sarà stato spinto a rinunciare ad avere una ‘sua’ vita per dedicarsi interamente alla diffusione del messaggio del Maestro?
Lui che aveva vissuto con Gesù dai primi momenti, lui che per paura dell’arresto era anche stato capace di rinnegarlo davanti ai soldati, lui che lo aveva visto ridicolizzato dalla gente, condannato dalle autorità religiose e dal romano oppressore, morire infine sulla croce, cioè nel modo più ignominioso che i romani avevano inventato per punire la feccia (la più crudele e terribile delle morti, come la definì Cicerone), perché dopo la morte del Cristo ha messo tutta la sua esistenza in pericolo per continuarne la predicazione?
A cosa mirava? Onori, ricchezze, fama, considerazione, potere?
Quale riconoscimento materiale e umano si aspettava, dopo aver visto come era morto il Maestro?
Per capire bene cosa ha significato per un uomo semplice come Pietro fare quello che poi ha fatto dobbiamo cercare di riandare con la mente a quei tempi, dove la gente come lui non aveva nessun significato, dove era meglio nascondersi agli occhi dei potenti anziché farsi notare, perché la vita di quelli del suo livello aveva un valore certamente inferiore a quella di un cavallo.
E allora, perché tutti quei rischi, l’abbandono di ogni affetto famigliare, una vita stravolta? Per cosa?
Un pazzo esaltato?
La lista dei presunti esaltati si fa lunga.
Per me, Pietro è un’altra tessera per il mosaico della verità.

Anche Giovanni era nato a Betsaida come Simone-Pietro, e come lui aveva un anno meno di Gesù di Galilea.
Anche lui, come Simone-Pietro, Giacomo e Andrea fu tra i primi a seguire Gesù.
Di Giovanni si riconosce il IV Vangelo come assolutamente autografo. L’Apocalisse che gli era stata attribuita invece sembra apocrifa. Delle tre lettere che sembrano da lui scritte le prime due sono sicuramente autentiche, mentre la terza ha sempre sollevato grandi dubbi sulla veridicità della assegnazione all’Apostolo.
Alla morte di Gesù, Giovanni si trasferì a Efeso in Asia Minore, dove predicò il Verbo del Signore e fu arrestato dalle truppe romane di Domiziano che lo trasportarono nell’isola greca di Patmos, dove morì. Fu sepolto a Efeso, come sappiamo, nella chiesa iniziata da Paolo..
Giovanni rappresenta una via particolare al cristianesimo, tanto che si pensa adesso ad una sua possibile appartenenza alla setta degli esseni, dei quali si disse che anche Gesù aveva fatto parte, con ben minori possibilità di veridicità però, considerato che la predicazione del Galileo aveva ben poco in comune con le convinzioni degli esseni.
In pratica Giovanni, da buon ellenista, pensava di trovare sempre delle ragioni alla fede. Lui convertiva i pagani ma sempre tentava di trovare dei perché razionali per giustificare queste conversioni. Il suo diverbio con Giacomo, che voleva il cristianesimo come un rinnovamento dell’antica fede giudaica, fu lungo e difficile, ma alla fine tutto si aggiustò. Rimane in Giovanni la presenza di una posizione ‘non giudaica’ dell’avvento di Gesù, una posizione personale che ha comunque lasciato un segno nella storia della Chiesa.
Anche per Giovanni, testimone della vita e della morte di Gesù, valgono le stesse domande che ho fatto per Simone-Pietro.
Non voglio ripetermi, ma anche qui ci troviamo in presenza di qualcuno ‘che ha visto’ e che ha lasciato scritto ciò che ha visto.
Perché anche lui abbia affrontato una vita di rischi e priva di onori, nessuno può spiegarlo se non usando le sue stesse parole, quelle di Giovanni “Perché il Regno di Dio è vicino”.
Forse era anche lui ‘un pazzo esaltato’?
Le tessere del mio mosaico della verità aumentano di numero.

Degli esseni si sapeva ben poco fino al 1947, quando furono scoperti a Qumram degli scritti che testimoniano l’attività di questa setta ascetica ebraica, sicuramente instaurata sulle rive del Mar Morto proprio a Qumram, dal I° secolo prima fino al I° secolo dopo Cristo.
Questa setta sembrava essere stata la casa di Gesù prima che questi comparisse per le strade di Galilea. Questo perché poco si conosce della vita di Gesù fino ai 30 anni, età approssimativa di Gesù quando iniziò le sue predicazioni. Gli esseni portavano una tunica bianca, e Gesù portava una tunica bianca; gli esseni consideravano il deserto un luogo di purificazione e Gesù per purificarsi andò due volte nel deserto; gli esseni, che pur erano profondamente osservanti della Legge di Mosè, erano violentemente avversi alla classe dominante dei farisei e dei sadducei, i potenti economici e religiosi di Israele, e anche Gesù dimostrava con chiarezza le medesime posizioni
Ma la sostanza prima della ‘filosofia’ degli esseni era la divisione del mondo in due parti: essi credevano a un dualità dell’umanità, dove la loro posizione rappresentava l’élite nei confronti di Dio, per la vita strettamente monastica che conducevano, per le continue purificazioni, per la mancanza assoluta di desideri terreni (erano per il celibato assoluto e tutti i loro beni erano in comune, e su questo torneremo parlando del cristianesimo primitivo). Il loro dualismo proveniva dalla constatazione che tutto nell’universo mondo era poggiato su una base di dualità, luce e tenebre, materia e spirito, vita e morte, bene e male ecc.
Secondo molti studiosi alcuni concetti, e perfino dei termini esseni, si trovano negli scritti di Paolo e di Giovanni, e questo potrebbe significare che essi potrebbero aver fatto parte di questa setta.
Per quanto riguarda la supposta iniziazione di Gesù presso di loro questa è quasi sicuramente da escludere, innanzi tutto perché Gesù attraverso le sue predicazioni, voleva portare tutti gli uomini, nessuno escluso, nella luce di Dio al contrario della filosofia essena che ho già detto operava una netta distinzione tra gli uomini, e poi perché la Sua continua mescolanza con poveri, i miseri e le prostitute era un insulto per la rigidissima regola essena.

A proposito dell’appartenenza di Gesù alla setta degli esseni un certo professor Allegro dell’Università di Manchester ha affermato che tutta la sua predicazione, e perfino i nomi degli apostoli, provengono da una modificazione operata dagli esseni sulla lingua semitica, per cui anche il nome di Gesù proverrebbe dal semitico Joshua, che viene citato anche nei Vangeli come Bar-jesu ( Bar, in ebraico Ben, vuol dire figlio di..). Il professor Allegro è stato messo in ridicolo dall’autorevolissimo professor David Flusser, docente di storia del Cristianesimo primitivo all’Università di Gerusalemme.

Luca era, con Giovanni, l’intellettuale dei discepoli di Gesù. Con Matteo e Marco sono i quattro Apostoli che hanno testimoniato della vita e delle opere del Signore.
Non mi voglio dilungare sulla loro vita, non è questo il mio scopo. E’ simile a quella degli altri Apostoli.
Se qualcuno vuol pensare a Pietro come a un fanatico, così dovrebbe fare per Matteo.
Se qualcuno vuol pensare a Giovanni come a un esaltato, così dovrà fare per Luca.
La verità è che questi uomini hanno vissuto con Gesù di Nazareth prima e per Gesù di Nazareth dopo la sua morte.
Sulla loro realtà ‘fisica’ non ci sono dubbi: sono esistiti. Sulla paternità dei Vangeli non ci sono dubbi. Praticamente tutti, salvo forse un paio di lettere di Giovanni e quegli scritti già citati di Pietro, che però non è un evangelista, sono autografi.
I dubbi dello scettico nascono quando si affronta la parte più misteriosa dei Vangeli: la supposta ‘divinità’ di Gesù.
Che Gesù sia nato, sia vissuto e sia morto sulla croce, quasi tutti lo credono, anche se periodicamente salta fuori qualcuno a dire che ha scoperto che Gesù non è mai esistito. Ma accettare che Gesù possa essere stato il Figlio di Dio, nato per opera dello Spirito Santo dal ventre vergine di Maria, diventa molto più difficile. Per qualcuno sembra una favola.

cireno
14-12-15, 16:28
Eppure anche in favore di questa ‘probabilità’ esistono delle prove.
Certo si tratta di leggere dei segni, di trovare l’essenza di certi accadimenti che riesca a spiegare alcune situazioni: qui siamo nel campo dello spirituale, non si possono, lo abbiamo già ripetuto più volte, portare prove sicure, tangibili, in favore o contro a questa o quella ipotesi, però si può far funzionare il cervello, e cercare con questo strumento che la natura ci ha dato di dare le giuste interpretazioni alle cose. Per fare un esempio se in estate vedete levarsi improvvisamente il vento voi capite che sta per arrivare un temporale, oppure che ne è scoppiato uno nei dintorni. Un segno, una interpretazione dell’esperienza. Qui invece ci vuole più che altro logica, visto che l’esperienza non possiamo averla.
Portiamoci allora, con un piccolo volo della fantasia, ai tempi di Gesù.
I romani occupavano il paese, la gente era analfabeta per il 90%, il mondo era piccolo ma le distanze così lente da percorrere che l’idea di Roma era più un’astrazione che realtà tangibile, non fosse stato per i suoi legionari che erano presenti; la società era abbastanza povera nella maggior parte della popolazione e anche disinteressata ai problemi politici del paese. Le uniche cose che tenevano legato il popolo di Israele erano la Legge di Mosè e l’odio verso il romano occupante. Che poi questo legame non doveva nemmeno essere tanto forte se si è calcolato che a quei tempi la Diaspora, o Dispersione, era cosa fatta da secoli; secondo Jules Isaac la popolazione che risiedeva in Israele era la minoranza in quanto non meno del 60% degli ebrei del tempo erano già emigrati in altri luoghi.

La predicazione di Gesù di Nazaret per le strade di una Giudea sottomessa, cade come un fulmine a ciel sereno. Le sue parole scuotono le folle, che vedono in lui il possibile liberatore dall’oppressione romana, la gente lo crede il nuovo David, vuole credere a un nuovo David e lo ascolta come il possibile artefice del ritorno ai tempi d’oro del popolo ebreo.
Poi lentamente la delusione prende il posto dell’esaltazione: Gesù non è il Messia liberatore annunciato dai profeti, egli predica di perdonare al nemico, di amare chi offende. Non sono queste le parole che il popolo ebreo si attende dal Messia.
Ma se quest’uomo non può essere il Messia allora non può essere altro che un’impostore e un imbroglione, un sobillatore, per cui bisogna eliminarlo, per la sicurezza e l’ordine della comunità religiosa di Gerusalemme.
Prima domanda, che è anche particolare su cui riflettere: perché Gesù ha scelto quella strada del messaggio d’amore e di perdono, sapendo che la gente si aspettava ben altro dal Messia, quando avrebbe potuto parlare al popolo con messaggi diversi, che gli avrebbero messe le folle ai piedi senza trovarsi nemici i potenti dell’epoca?
Seconda domanda: perché durante l’interrogatorio, a una domanda specifica di Caifa, si qualificò Cristo e perciò, in base all’Antico Testamento, Figlio di Dio, sapendo benissimo che questo sarebbe stato sufficiente per farlo condannare a morte dai giudici del Sinedrio?
Io ho una risposta chiara a queste due domande. Se così ha fatto, sapendo anche di condannarsi a morte, ‘probabilmente’ non poteva fare diversamente. Perché quello era il Suo compito o quanto meno quello che Lui pensava lo fosse. Egli non era il nuovo David. Non era il nuovo Salomone. Non era il Messia guerriero che liberava il paese dall’odiato romano, simbolo dell’oppressione e del paganesimo. Egli era un’altro messia, era ‘il Messia’ annunciata centinaia di anni prima dai più grandi profeti.
Se Gesù avesse voluto trascinare con sé le folle avrebbe fatto altri discorsi, avrebbe tenuto altri atteggiamenti. Ma Gesù parlava dell’amore del Padre e per gli ebrei dell’epoca questa era una cosa lontana e comunque già stabilita e assicurata dal patto con Jahweh, il Dio esclusivo e geloso di Israele. Egli non pronunciava parole di odio contro i romani oppressori, e questo rendeva la folla scettica nei suoi confronti ; metteva in discussione alcune regole della Legge e ciò gli inimicava anche i sacerdoti del Tempio.
Non è stato un caso che alla fine, messa di fronte alla scelta se liberare Barabba, il grande ladrone e assassino, o Gesù, come proposto da Pilato, la folla urlante preferì far liberare Barabba: questo Gesù di Nazareth li aveva delusi.
Siamo davanti a un altro pazzo esaltato? Cominciano a essere troppi, gli esaltati, in questa storia…

La storia del processo a Gesù viene raccontata da Filone d’Alessandria, il quale dice che in un primo momento Ponzio Pilato lo aveva giudicato innocente e voleva liberarlo ma poi, davanti alle obiezioni dei sacerdoti del tempio (quest’uomo afferma di essere Re, mentre il re in Israele è solo Cesare, tu non puoi non condannarlo) si decise a ratificare la condanna a morte.
E’ da questa affermazione di Gesù, di essere Re, che nasce l’idea dei soldati romani di incoronarlo con la corona di spine che gli viene posta sul capo. Ed è dalla sua maestà nell’accettare la sorte che stava scritta fin dalla nascita, che nasce la malvagità della soldataglia romana nei suoi confronti.
Fino a questo momento tutto si svolge come in una normale storia umana. Perfino i discepoli di Gesù, di cui uno ha anche tradito per quattro soldi, sfuggono la presenza del Cristo, lo lasciano solo, lo rinnegano al canto del gallo, si eclissano.
Sembrerebbe che la storia di quest’uomo venuto dalla Galilea debba terminare con la sua morte per crocifissione, praticamente solo e quasi deriso dalla folla.
E invece è dalla Sua morte che iniziano i miracoli, che si evidenziano i segni che, interpretati con logica, ma anche con una discreta dose di fede, potrebbero dare fondamento alla Sua origine divina.

cireno
14-12-15, 18:50
Ecco, ora Gesù di Nazaret è sulla croce, con una corona di spine in testa. Con un ultimo urlo egli muore: la Sua avventura terrena è terminata.
Ebbene, quello che la Sua brevissima vita pubblica non era riuscita a dare, la sua morte ha abbondantemente dato, ancora una volta in perfetta sintonia con la profezia di Isaia e quella di Davide.

Isaia 53:4-12

4 Tuttavia erano le nostre malattie che egli portava,
erano i nostri dolori quelli di cui si era caricato;
ma noi lo ritenevamo colpito,
percosso da Dio e umiliato!
5 Egli è stato trafitto a causa delle nostre trasgressioni,
stroncato a causa delle nostre iniquità;
il castigo, per cui abbiamo pace, è caduto su di lui
e mediante le sue lividure noi siamo stati guariti.
6 Noi tutti eravamo smarriti come pecore,
ognuno di noi seguiva la propria via;
ma il SIGNORE ha fatto ricadere su di lui l'iniquità di noi tutti.
7 Maltrattato, si lasciò umiliare
e non aprì la bocca.
Come l'agnello condotto al mattatoio,
come la pecora muta davanti a chi la tosa,
egli non aprì la bocca.
8 Dopo l'arresto e la condanna fu tolto di mezzo;
e tra quelli della sua generazione chi rifletté
che egli era strappato dalla terra dei viventi
e colpito a causa dei peccati del mio popolo?
9 Gli avevano assegnato la sepoltura fra gli empi,
ma nella sua morte, egli è stato con il ricco,
perché non aveva commesso violenze
né c'era stato inganno nella sua bocca.
10 Ma il SIGNORE ha voluto stroncarlo con i patimenti.
Dopo aver dato la sua vita in sacrificio per il peccato,
egli vedrà una discendenza, prolungherà i suoi giorni,
e l'opera del SIGNORE prospererà nelle sue mani.
11 Dopo il tormento dell'anima sua vedrà la luce e sarà soddisfatto;
per la sua conoscenza, il mio servo, il giusto, renderà giusti i molti,
si caricherà egli stesso delle loro iniquità.
12 Perciò io gli darò in premio le moltitudini,
egli dividerà il bottino con i molti,
perché ha dato se stesso alla morte
ed è stato contato fra i malfattori;
perché egli ha portato i peccati di molti
e ha interceduto per i colpevoli.

Tutto infatti si svolge dopo la sua morte, come se la vita di Gesù fosse servita ‘solo’ a portare sulla terra quelle parole, quei concetti, quei gesti, ‘quell’esempio’, che avrebbero poi costituito nei secoli a venire la comunione nella Sua figura per milioni e milioni di uomini. Ecco il grande segno della presenza di quest’uomo sulla terra! Ed è su questo miracolo, perché non c’è altra possibile definizione, dell’avverarsi delle profezie nei minimi dettagli che sorge la terza domanda: è o non è un altro segno della divinità di quest’uomo crocefisso? O è una semplice combinzione o, peggio, una costruzione post mortem a opera di suoi discepoli?

Dopo la morte di Gesù gli Apostoli si ritrovano e concordano che l’esempio del Maestro deve essere seguito e che la sua parola deve essere portata fra le genti.
Eppure questi sono gli stessi uomini che poche ore prima, davanti al maestro arrestato e giudicato, fuggono, in preda alla paura di essere a loro volta imprigionati. Ed ecco che ora, morto Gesù, invece di tornarsene a casa, come sarebbe stato logico aspettarsi, in TUTTI loro scatta qualcosa che li costringe a volerne continuare l’opera, anche a prezzo della vita, perché con quella decisione sapevano benissimo che anche la loro vita poteva essere in pericolo.
Quarta domanda allo scettico: non è anche questo un altro ‘segno’ di straordinaria importanza?

Ed ora la Resurrezione. La chiesa indica nella Resurrezione di Gesù dal regno dei morti, il centro della religione cristiana.
La Resurrezione dal regno dei morti! Eccoci davanti a un’ altro mistero.
Come si può credere ad un uomo morto e imprigionato in un sepolcro che risorge alla vita, fa volare la grossa pietra che chiudeva l’entrata della tomba e se ne va in giro ad apparire alla gente come niente fosse accaduto. Anch’io faccio fatica a crederlo, devo essere sincero. Però questa improvvisa svolta, questo rinnovato fervore missionario in uomini allo sbando, fra gente incredula e ironica, un motivo ’straordinario’ deve pur averlo avuto. Il cambiamento radicale dell’atteggiamento dei discepoli: dopo la loro fuga impaurita al momento della crocifissione di Gesù, i discepoli hanno improvvisamente e sinceramente creduto che Egli fosse risorto dai morti, nonostante la loro ebraica predisposizione contraria. Tanto che improvvisamente furono disposti perfino a morire per la verità di questa convinzione. L’eminente studioso britannico NT Wright ha perciò affermato: «Questo è il motivo per cui, come storico, non riesco a spiegare l’ascesa del cristianesimo primitivo a meno che Gesù sia risorto, lasciando una tomba vuota dietro di lui». (“The New Unimproved Jesus”, Christianity Today, 13/09/1993

Sull’episodio il Vangelo di Luca dice:

“Era verso mezzogiorno quando il sole si eclissò e si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio. Il velo del tempio si squarciò nel mezzo. Gesù gridando a gran voce disse ‘Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito’. Visto ciò che era accaduto il centurione glorificava Dio: ‘Veramente quest’uomo era un giusto’. Anche le folle che erano accorse per godersi lo spettacolo, ripensando all’accaduto, se ne tornavano percuotendosi il petto. Tutti i suoi conoscenti assistevano da lontano e così le donne che lo avevano seguito fin dalla Galilea, osservando questi avvenimenti.
C’era un uomo di nome Giuseppe, membro del sinedrio, persona buona e giusta. Non aveva aderito alla decisione e all’operato degli altri. Egli era di Arimatea, una città dei Giudei, e aspettava il Regno di Dio. Si presentò a Pilato e chiese il corpo di Gesù. Lo calò dalla croce, lo avvolse in un lenzuolo e lo depose in una tomba scavata nella roccia, nella quale ancora nessuno era stato deposto. Era il giorno della Parasceve e già splendevano le luci del sabato. Le donne che erano venute con Gesù dalla Galilea seguivano Giuseppe; esse osservarono la tomba e come era stato deposto il corpo di Gesù, poi tornarono indietro e prepararono aromi e oli profumati, Il giorno di sabato osservarono il riposo, secondo il comandamento.
Il primo giorno dopo il sabato, di buon mattino, si recarono alla tomba. Trovarono la pietra rotolata via dal sepolcro; ma, entrate, non trovarono il corpo del Signore Gesù. Mentre erano ancora incerte ecco due uomini apparire a loro in vesti sfolgoranti. Essendosi le donne impaurite e avendo chinato il volto a terra, essi dissero loro:’ Perchè cercate tra i morti colui che è vivo? . Egli non è qui, è risuscitato. Ricordatevi come vi parlò quando era ancora in Galilea , dicendo che bisognava che il Figlio dell’uomo fosse consegnato in mano ai peccatori, che fosse crocifisso e risuscitasse il terzo giorno.’ Ed esse si ricordarono delle sue parole, e tornate dal sepolcro, annunziarono tutto questo agli Undici e a tutti gli altri. Erano Maria di Magdala, Giovanna e Maria di Giacomo. Anche le altre che erano insieme lo raccontarono agli Apostoli. Quelle parole parvero loro un vaneggiamento e non credettero ad esse. Pietro tuttavia corse al sepolcro e chinatosi vide solo le bende. E tornò a casa pieno di stupore per l’accaduto.
Ed ecco in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio distante circa sette miglia da Gerusalemme, di nome Emmaus, e conversavano di tutto quello che era accaduto. Mentre discorrevano e discutevano insieme, Gesù in persona si accostò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo. Ed egli disse loro:’ Che sono questi discorsi che state facendo fra voi durante il cammino?’
Si fermarono col volto triste; uno di loro di nome Cleopa gli disse:’Tu solo sei così forestiero in Gerusalemme da non sapere ciò che vi è accaduto in questi giorni?’ Domandò: ’Che cosa?’ Gli risposero: ’Tutto ciò che riguarda Gesù Nazareno, che fu profeta potente in opere e parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; come i sommi sacerdoti e i nostri capi lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e poi l’hanno crocifisso. Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele; con tutto ciò sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. Ma alcune donne delle nostre ci hanno sconvolti; recatesi al sepolcro e non avendo trovato il suo corpo, so venute a dirci di aver avuto una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. Alcuni di noi sono andati al sepolcro e hanno trovato le bende, ma lui non l’hanno visto.
Ed egli disse loro:’ Stolti e tardi di cuore nel credere alla parola dei profeti! Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?’ E cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture, ciò che si riferiva a lui. Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: ’Resta con noi che si fa sera.’ Egli entrò per rimanere con loro. Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione e lo spezzò. Ed ecco che si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma lui sparì dalla loro vista. Ed essi si dissero l’un l’altro: ‘Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi e ci spiegava le Sacre Scritture?’ E partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme dove erano riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: ’Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone.’ Essi poi riferirono ciò che era accaduto e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane.
Mentre parlavano di queste cose Gesù in persona apparve in mezzo a loro e disse: ’Pace a voi.’ Stupiti e spaventati credevano di vedere un fantasma. Ma egli disse:’ Perché siete turbati, e perché vi sorgono dubbi nel cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate: un fantasma non ha carne e ossa come vedete che io ho.’ Dicendo questo mostrò loro le mani e i piedi. Ma poiché per la grande gioia ancora non credevano ed erano stupefatti disse:’ Avete qui qualcosa da mangiare?’ Gli offrirono del pesce arrostito. Egli lo prese e lo mangiò davanti a loro. Poi disse: ’Sono queste le parole che vi dicevo quando ero ancora con voi; bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella Legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi.’ Allora aprì loro la mente all’intelligenza delle Scritture e disse:’ Così sta scritto: il Cristo dovrà patire e risuscitare il terzo giorno e nel suo nome saranno predicati a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni. E io manderò su di voi quello che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto.’
Poi li condusse fuori verso Betania e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva si staccò da loro e fu portato verso il cielo.”

Il fatto straordinario potrebbe essere in queste parole di Luca, che sono, come detto, il fondamento di tutta la religione cristiana. Gesù di Nazaret muore, nei tormenti della croce, e i suoi Apostoli non sono ai suoi piedi. Ci sono solo le donne, quelle donne che lo hanno sempre seguito, sono solo loro li davanti a Gesù morente a pregare. Forse i suoi discepoli pensavano che con la sua morte tutto dovesse finire. Forse non volevamo vederlo soffrire sulla croce. Forse avevano paura dei soldati romani. I motivi possono essere tanti: certo che lo spettacolo di un uomo crocifisso non era per tutti, e loro non c’erano, questo è un fatto.

Bisogna dire che in effetti la morte sulla croce, secondo gli studiosi, era una cosa orribile. Tenendo le braccia sollevate, già dopo una decina di minuti la pressione sanguigna diminuiva della metà e il battito del cuore raddoppiava. L’insufficiente irrorazione sanguigna del cervello provocava svenimenti continui e il cuore tentava di cedere per collasso ortostatico. Però i romani usavano mettere un piccolo appoggio all’altezza dei piedi sulla trave verticale. In funzione di questo, considerato che mentre il condannato si sentiva morire ci appoggiava i piedi, il sangue riprendeva a risalire al cervello per cui l’agonia durava, tra atroci sofferenze, anche due giorni. Per accelerare la morte si procedeva al crurifragium, cioè con dei randelli si spezzavano le ossa delle gambe sotto le ginocchia, così da impedire l’appoggio dei piedi. La morte sopraggiungeva dopo poco tempo per paralisi cardiaca.

Ma tornando al comportamento dei discepoli durante la crocifissione e dopo la sua morte, cosa c’è nelle parole di Luca che potrebbe spiegare il miracolo dell’inizio di tutto quello che poi si è verificato? Qual’è il segno che dobbiamo cercare?

Dice Hans Kung nel ‘Credere nel sepolcro vuoto?

“Si può arrivare rapidamente al punto decisivo se ci si pone la domanda semplice: chi, di fronte ad un sepolcro aperto, si farebbe l’idea che qui uno è risorto dai morti? Il puro fatto di un sepolcro vuoto non significa nulla. Del resto sono gli stessi evangelisti a riportare spiegazioni: il sepolcro era vuoto? Allora può trattarsi solo di una transfugazione di cadavere o di uno scambio di cadaveri o della morte apparente della persona. O ancora peggio: la storia della resurrezione può essere una finzione menzognera dei discepoli. Anzi, ancora oggi ci sono contemporanei che, contro tutte le chiare affermazioni delle fonti autentiche, credono alla tesi della morte apparente di Gesù. Un’idea astrusa di fronte alle testimonianze storiche.
Va detto con chiarezza che la verità della resurrezione di Gesù non può essere dimostrata con il sepolcro vuoto in quanto tale. sarebbe una evidente petitio principii: si presuppone proprio quello che si dovrebbe dimostrare.
In sé il sepolcro vuoto dice solo: ‘Egli non è qui.’ E si può aggiungere:’ Egli è resuscitato’. Ma questo lo si potrebbe dire anche senza dire che il sepolcro è vuoto.
Ciò significa che per il Nuovo Testamento non è stato il sepolcro vuoto a indurre alla fede nel Risorto (nel vangelo di Giovanni di fronte al sepolcro vuoto, Pietro non crede; crede solo il discepolo prediletto, il che fa pensare ad una conoscenza indotta da Dio).

Mi sembrano, le parole di Kung, le più indicate a descrivere il significato del ritrovamento del ‘sepolcro vuoto’ descritto dai Vangeli..
Ma anche ipotizzando che Gesù non fosse ‘fisicamente risorto’ dal regno dei morti, come invece vuole il Vangelo, rimane il fatto incontestabile che Egli è comunque risorto in mezzo alla sua gente che lo aveva abbandonato mentre moriva, e che se ne stava tornando a casa dopo la sua morte, come dicono i Vangeli stessi raccontando dei due che, lasciata Gerusalemme, se ne andavano verso Emmaus.

Se risorgere dal Regno dei Morti per un corpo fisico è un miracolo difficile da accettare per la nostra mente, anche se è nei patti di Dio con gli uomini, la Resurrezione del messaggio di Gesù di Nazareth è reale, concreta, provata dai fatti e quindi noi dovremmo interpretarla come un ulteriore segno miracoloso: la vita del maestro che non termina con la sua crocifissione, anzi da quella morte il suo messaggio ‘risorge’ e si diffonde fra gli uomini. “Quando offrirà se stesso in espiazione, vedrà una discendenza e vivrà a lungo. Perciò io gli darò in premio le moltitudini, dei potenti egli farà bottino, perché ha consegnato sé stesso alla morte ed è stato annoverato fra gli empi, mentre egli portava il peccato di molti e intercedeva per i peccatori” questo dice la parte finale della profezia che Isaia aveva scritto 800 anni prima, ripetendo le parole che il Signore gli aveva dettato annunciandogli la venuta del Cristo sulla terra.

Ma il miracolo non si ferma alla Resurrezione del messaggio del Cristo fra la sua gente, esso continua anche dopo la morte di chi aveva vissuto con lui, e si ingigantisce nei secoli successivi.
Un intero impero, quello romano, che sembrava inviolabile e invincibile, forte e potente com’era, cade progressivamente nelle mani di gente che combatte senza armi per abbattere il paganesimo di Roma, andando a morire negli anfiteatri romani cantando le lodi a Gesù e a Dio. Lentamente Roma da capitale della potenza materiale e degli dei pagani, diventa il centro della Cristianità.
Anche questo è inspiegabile. Se pensiamo poi a come erano quei tempi, dove le comunicazioni erano forzatamente lentissime, prolungate negli anni, dove la gente viveva una corta vita segnata da lavoro e stenti e quindi aveva poca voglia e tempo per ascoltare messaggi mistici, peraltro così insoliti da poter anche essere mal compresi (perdonare chi ti fa del male, perdonare il nemico ecc.), la cosa appare davvero miracolosa.
Eppure ‘l’insolito messaggio mistico’ avanza: conquista cuori e menti e poi infine, dopo aver pagato con centinaia di morti martirizzati, conquista Roma e il mondo.
Ma il miracolo ancora non è finito.
Nei secoli successivi, uomini che io caritatevolmente voglio definire di fede incerta, e spesso anche di animo privo di amore per il prossimo e di carità cristiana, assunti a capo della chiesa fondata da Pietro, mettono, con le loro errori, in grave pericolo la credibilità della predicazione di Gesù. La chiesa stessa per qualche secolo sembra in preda all’errore e in pericolo: scismi, dispute, azioni tendenti all’occupazione del comando temporale, sembrano distruggerla lentamente.
E invece ancora un miracolo inspiegabile: la chiesa, nonostante gravissimi errori e lunghi elenchi di tragiche crudeltà, risorge e oggi parla a due miliardi di uomini nel mondo.
Per fare un paragone con un’altra chiesa, quella che Marx ha ipotizzato per la felicità terrena dei miseri e per una maggior giustizia sociale, dopo aver incontrato tanto favore tra centinaia di milioni di uomini, ai primi, terribili errori di chi la comandava è caduta, distrutta, senza che all’orizzonte si vedano possibilità che risorga: e tutto in nemmeno cento anni di vita.
Invece la chiesa cristiana errori e crimini ha continuato a compierne per diversi secoli, e non meno gravi di quelli commessi dai ‘comunisti’ del socialismo reale: come mai è ancora viva?
Nonostante la fallibilità dei suoi uomini, nonostante gli sbagli commessi, il miracolo della sopravvivenza della chiesa di Cristo è là, davanti a noi.
Che altre tessere mettere nel mosaico dei segni da interpretare in un certo senso?
Cosa altro mostrare agli scettici?
Che argomenti ci sono per controbattere queste cose?

cireno
15-12-15, 19:47
I testimoni di Dio


Dio non è mai vissuto in mezzo a noi. Se è vissuto, nessuno lo ha visto.
Un Dio nascosto, le cui parole, scritte nella Bibbia, sono difficili da comprendere, le cui azioni sono così lontane nel tempo da sembrare mai accadute, se mai sono accadute.
Un Dio difficile da accettare perché davanti ad un Dio che esige un infinito prezzo di sangue e di lacrime per darci la salvezza, che nessuno ha mai visto con i suoi occhi terrestri, qualche perplessità ha il diritto di nascere.

Gli uomini hanno pregato davanti alle statue dei santi, a volta quasi increduli della morte che hanno avuto (si tratta quasi sempre di martiri) per un Dio invisibile.
Gli uomini hanno quasi sempre pregato senza capire, molto spesso per abitudine, per tradizione, per educazione. Molti hanno pregato per una speranza altrettanto difficile da credere, spesso davanti a prelati officianti che poi nei fatti, cioè nella vita di ogni giorno, mostravano di credere più alla materia che allo spirito.
Il passato della Chiesa è talmente costellato da errori, crudeltà e sangue che non si capisce, sinceramente, come ancora possa esistere: forse, come ho già scritto, si tratta veramente di un miracolo.
Eppure anche in questa confusa realtà, composta da fedeli che credono con il cuore e fedeli che non capiscono nemmeno quello che fanno, perché fanno ‘per abitudine’, fra uomini di chiesa santificabili e finti preti, fra errori ed esempi di morale della Chiesa di Cristo, io trovo altre tessere per il mio mosaico dei segni della Verità.
Le domande che ci dobbiamo porre sono semplici.
Può un uomo che è prete compiere cattive azioni?
Può un uomo che è Papa fare altrettanto?
Può un fedele pregare senza capire perchè prega?
Può un fedele pregare per consuetudine, senza interesse per quello che sta facendo?
La risposta a tutte le domande è sì.
Un prete è un uomo, e come tale soggetto agli errori dell’uomo. Un prete può essere egoista, bugiardo, può insidiare la donna d’altri, può perfino rubare i soldi delle offerte, come è capitato. Non dovrebbe, certo, la maggioranza di loro sicuramente non lo fa, però potrebbe farlo perché, malgrado la promessa fatta a Dio, spesso la materia è più forte della volontà e la fede non sempre riesce a frenare la tendenza dell’uomo al peccato.
Può allora essere colpevolizzata la Chiesa per un papa che aveva amanti e figli, o per un prete che fugge dal paese con la moglie di un parrocchiano?
La risposta è no, almeno per me.
La fede in Dio, la sicurezza della fede in Dio, non nasce dalla figura del ‘tramite’ fra Dio stesso e il l’uomo, ma da quello che il fedele ha dentro di sé. Non c’entra niente la Chiesa che ha messo a morte i Catari di Concorrezzo con la fede dell’uomo. Le Crociate non possono cambiare il rapporto tra Dio e un vero credente: sono state fatte da uomini, e saranno quegli uomini a risponderne. Il prete, il vescovo, tutti i prelati sono tramiti, sono il mezzo che Dio ha disposto per parlare, da uomini, agli uomini. L’errore è quindi possibile e perfino giustificabile: non siamo tutti santi!
Aver fede è difficile, ma anche perderla è difficile, perché è un dono che Dio fa a qualcuno più fortunato di altri, come ha detto sant’Agostino.
Le preposizioni di fede non hanno il carattere delle leggi matematiche o fisiche.
Il loro contenuto evidentemente non può essere dimostrato, come in matematica e in fisica, con un’evidenza immediata o con l’esperimento ad occluso.
Ma la realtà di Dio non sarebbe nemmeno realtà di Dio se fosse visibile, tangibile, constatabile empiricamente, se fosse verificabile sperimentalmente o deducibile con processi logico-matematici.
Un Dio che c’è, è un Dio che non c’è, ha detto un teologo.
E io penso che sia vero, un Dio che c’è non può essere un Dio che troviamo in piazza o in un banco di laboratorio.
E allora come faccio a trovare dei ‘Testimoni di Dio’, per mettere nuove tessere nel mosaico della mia ricerca?

Testimoni non ce ne sono, se ci fossero, questo capitolo sarebbe più facile.
Ma proprio Gesù è il primo testimone della esistenza di Dio.
Un’altro testimone di Dio sono io, che lo sto cercando, anche se la mia ricerca, come ho detto dall’inizio, ha l’obiettivo di farmi uscire da questa terra di nessuno che è l’agnosticismo. E scrivendo queste pagine non posso non ricordare Pascal “Tu non mi cercheresti se non mi avessi già trovato”? Già trovato? Se è vero, si nasconde bene.
Ma bandendo le facili battute, come potrei cercare una cosa che non conosco? Chi cerco io, è la domanda?
Nessuno di noi conosce Dio. Per questo non esiste, perché nessuno lo conosce.
E invece no, il fatto stesso che lo cerco dimostra, almeno per Pascal, che, nella mia anima, io so che Dio esiste.
L’obiezione più logica che si può sollevare adesso è che questi sono sofismi.
Non potendo dimostrare una cosa in maniera certa ricorro al vecchio espediente di volerne dimostrare l’esistenza per il solo fatto che io cerco di dimostrare che esiste: un sofisma.
Certo, è un sofisma, però non dimostra altro che io sto cercando qualcosa che non sono sicuro che esiste, ma nemmeno che non esiste. E’ quindi un sofisma necessario. A me necessario.

Io non voglio arrampicarmi sugli specchi per dimostrare a me stesso che lo scopo della mia ricerca finirà quando troverò Dio, perché non è detto che le inquietudini che oggi mi percorrono, non debbano spuntare un’altra volta. Comunque, io non ho, per ora, trovato nessun Dio. Però ho trovato, e li ho sottolineati, certi segni che potrebbero anche evidenziare la sua presenza. Anzi questi segni, se vengono interpretati nella giusta maniera, sembrano proprio dimostrare che Dio potrebbe esistere, o che per lo meno nulla contraddice la sua esistenza.

Ma dobbiamo andare avanti con la ricerca dei segni.
Leggiamo il ‘Libro di Dio’: la Bibbia.
Saltiamo tutta la parte iniziale, Adamo, Eva e il paradiso terrestre: sinceramente anche a me sembra una poetica allegoria, ma non è detto, la Bibbia riserva sempre incredibili sorprese.
Parliamo dal primo, grande patriarca: Abramo, a cui Dio si rivolgeva dando ordini e consigli.
Cominciamo subito con il dire che Abramo è probabilmente esistito. Questo è un bel passo avanti nella interpretazione dei segni che vengono dalla Bibbia, qui si parla della parte più antica della Bibbia, quella scritta quasi 6000 anni or sono, fosse partita con leggende anche il resto potrebbe essere considerato poco credibile. Vedremo più avanti come è stata scoperta la vita e l’esistenza di Abramo, e di altre cose che lo riguardano. Chiaro che queste cose vanno sempre valutate con molta cautela…
Consideriamo quindi l’Abramo realmente vissuto un segno dell’esistenza di Dio, perché anche la sua vita e la stessa descrizione della sua vita sembrano ‘segni’ miracolosi. Egli è nel Grande Libro di Dio, un uomo comune, un specie di pastore che non ha fatto altro che obbedire al suo Signore. Ha obbedito, almeno così recita l’AT ma ha anche commesso qualche grave errore che chissà perché il suo Dio è riuscito a perdonargli. Bisogna dire che non è molto per rimanere nella storia, quando i potenti re di allora, e perfino i popoli di allora sono confusi nella nebbia di un passato con pochi riscontri.
Consideriamo adesso, saltando di palo in frasca, un altro tipo di segno divino. Parliamo di miracoli: le apparizioni della Madonna, le guarigioni inspiegabili, i segni sulla carne, cioè le stigmate.
Sono segni di Dio? E se non lo sono, di cosa si tratta?
La chiesa procede, come vedremo, con estrema cautela su questo delicatissimo tema, ma ciò non toglie che i miracoli si sono verificati da sempre, e che anche la scienza si è trovata spesso di fronte a cose che non ha saputo spiegare.
E’ un segno ulteriore o no?
Anche la natura potrebbe testimoniare che Dio esiste. La bellezza della natura non può nascere che da una ‘bella’ origine e non dal caso o dal nulla…
Perché per gli scettici è stato proprio il caso l’origine di tutto.
Così bella, così perfetta?
E’ stato il caso, insistono.
Potrebbe anche essere. Però bisogna dire che questo ‘caso’ ha una fantasia e un gusto per le belle cose davvero incredibile: non c’è niente di brutto infatti, nella creazione!
Mi è venuta un’idea. Visto che il caso è, per lo scettico, l’artefice di ogni cosa, non potrebbe essere che il caso è semplicemente un pensiero di Dio, o una Sua manifestazione?
Chi può negare che Dio, nella sua infinita potenza, non possa aver delegato ‘il caso’ di realizzare, dopo il suo iniziale pensiero creatore, quello che esiste e che vediamo?
Nel momento stesso che Dio ha pensato alla creazione, e all’uomo come fine ultimo della stessa, questa è avvenuta. La Creazione può essere stata quindi un pensiero di Dio, e sempre un pensiero di Dio ha voluto quello che le sarebbe servito per esistere: la materia, il tempo, lo spazio, l’energia, la gravità, le dimensioni, i neutroni ecc.
Del resto diversi filosofi l’hanno già detto e io non faccio che ripeterlo: una volta ‘pensata’ la creazione, e le leggi necessarie alla sua vita, Dio ha lasciato che la materia fosse libera di essere, e la materia è diventata l’universo, e dalla materia organica in esso fluttuante è nato l’uomo, scopo finale della stessa Creazione. E allora perché non dovrebbe essere che il caso ha seguito l’atto creativo di Dio, ed ha rappresentato il suo successivo pensiero di libertà ?
Sono in molti, tra filosofi e scienziati, quelli che danno questa interpretazione della Genesi.

Oggi gli uomini studiando l’universo, con i mezzi che la scienza ha a disposizione, restano incantati dalla sua bellezza e perfezione, e ancor più rimangono perplessi davanti ai tanti misteri che non riescono a spiegare. E anche questo ‘doversi’ fermare’ ad un certo punto davanti all’inspiegabile, potrebbe essere un’altro segno della volontà di Dio.
Se Dio non vuole rivelarsi all’uomo, perché dovrebbe rivelare quello che potrebbe identificarlo. Ricordate? Se Dio c’è, Dio non c’è.
Non è quindi ‘non casuale’ questo mistero imperscrutabile che la scienza si trova davanti a certi livelli di studio?
Credere in Dio mi sembrerebbe come credere alla befana, ha detto una cosmologa italiana.
E come spiega le cose che non riesce a comprendere nell’universo? le hanno allora chiesto.
Non le spiego, le accetto e basta, è stata la risposta.
Ecco, questa è la classica risposta dello scettico che io ho citato nel secondo preambolo: non mi chiedo nulla perché rifiuto di pensarci.
Ma allora dobbiamo supporre che gli scienziati non credono in Dio?
Sembrerebbe proprio che non è così: da una statistica è emerso che almeno il 60% di loro è credente.
Come può essere, viene subito da chiedersi, se la scienza è quasi sempre in contraddizione con la teologia, come può essere quindi che due terzi degli scienziati sia credente?
Niente di particolarmente misterioso. La scienza, nonostante i grandi progressi, non è ancora riuscita a spiegarsi moltissime cose, ed è lì, davanti al mistero di certe situazioni ‘inspiegabili’ che lo scienziato qualche volta riesce a vedere la mano di Dio.

Lo scettico risponde che no, chd non c’è nessuna mano di Dio, che siamo davanti a semplici supposizioni, a problemi individuali di coscienza, nessuna certezza.
E’ vero, non esiste certezza, qui siamo nel campo del metafisico, dell’insondabile, come si può avere la ‘assoluta certezza’?
Parmenide diceva di “non costringere mai a esistere ciò che non esiste”, un pensiero talmente ovvio che a prima vista sembrerebbe perfino banale, ma invece, meditandoci, poi si scopre che è un pensiero terribile: l’uomo non riesce mai a tracciare chiari confini fra quello che veramente esiste e quello che veramente non esiste, in quanto Egli è sempre in una situazione di palese incertezza coperta qualche volta, da una finta sicurezza.
La maggior parte delle teorie scientifiche non è dimostrabile: chi può farci toccare o vedere il big-bang? Dove si po' osservare la curvatura dello spazio, secondo Einstein?
Teorie, ipotesi. Tutta una serie di segni che dicono che non può essere che così.
Niente può essere dimostrato se non in questo modo, così come si fa per l’esistenza di Dio. Teorie che nascono da ipotesi suffragate da calcoli, o da ragionamenti. Deduzioni basate su segni, risultati di studi, di ricerche. Oppure teorie della logica.
Perché credere allora?
Perché la ragione dice che bisogna avere fiducia in quello che gli scienziati dicono, perché loro, attraverso queste teorie, sono i testimoni diretti della curvatura dello spazio e del big-bang.
E io credo a questi uomini. Però anche il ragionamento sull’esistenza di Dio deve seguire lo stesso percorso logico. Abbiamo visto, ho cercato di dimostrare, che Gesù non può essere altro se non il Figlio di Dio annunciato dai profeti per cui mi aspetto che anche lo scettico creda, così come crede nel big-bang.
E invece di solito, messo davanti a questo ragionamento, lo scettico ha una sola risposta: ‘sono due cose diverse’ dice, l’universo può essere curvo con un’alta percentuale di verità, perché la scienza può anche sbagliare però si basa su esperimenti e calcoli che spesso si dimostrano esatti, mentre il Regno dei Cieli, non si può calcolare, non viene da ricerche, è solo una supposizione senza fondamenti.
Se devo essere sincero non trovo questo tipo di risposta molto intelligente.
Visto che si può dedurre anche l’esistenza di Dio da segni, così come per le teorie scientifiche che mettendoli insieme riescono a costruire una teoria, anche l’esistenza di Dio, mettendo insieme i diversi segni diventa una teoria, allo stesso modo: non si possono avere due maniere diverse di affrontare problemi simili.
Se Andrè Frossard, giornalista francese fra i più famosi di Francia, figlio del fondatore del Partito Comunista Francese, ateo e figlio di un’ateo, scrive un libro dove dice che, 35 anni prima, ha ‘Incontrato Dio e gli ha parlato’ lo scettico ride e non ci crede, salvo poi credere magari se uno scienziato dice che nell’universo ci sono mostri che mangiano i pianeti.
Personalmente ho parlato millanta volte con gente certissima dell’esistenza degli alieni, ma altrettanto certa che Dio non esiste.
I loro ragionamenti sono l’uno la fotocopia dell’altro:- Certo che gli extraterrestri ci sono. E’ illogico pensare che in tutto l’universo, miliardi e miliardi di pianeti, solo sulla terra si sia sviluppata la vita umana, quindi come logica conseguenza, gli alieni ci devono essere. Dio non può esistere, perché se esistesse, il mondo non sarebbe la schifezza che è, non ci sarebbe l’ingiustizia che c’è, non morirebbero i bambini di cancro, non ci sarebbero le guerre, non ci sarebbe stato l’Olocausto. Qualcuno che pensa di essere più preparato aggiunge anche: ‘e poi la scienza ha dimostrato che siamo nati casualmente, per una rarissima combinazione biochimica’.
Ma c’è una logica in questi ragionamenti? Che raziocinio c’è nell’affermare cose del genere ?
Si può escludere la possibilità che Dio esista perché sulla terra muoiono i bambini di cancro e c’è gente che muore di fame?
Si può incolpare Dio delle ingiustizie e del male che l’uomo fa da sempre a sé stesso?
No, non si può, siamo nel campo delle pure scemenze.
In primo luogo perché è vero che ci sono miliardi di pianeti, ma è anche possibile che in nessun pianeta si sia potuta sviluppare quella rarissima combinazione biochimica che avrebbe fatto nascere la vita sulla terra, almeno secondo le teorie materialiste. Quindi gli extraterrestri, nel senso di una possibilità di altra vita in altri pianeti, potrebbero esserci ma anche non esserci, se accettiamo la teoria della casualità della creazione, perché questa combinazione biochimica, madre della nostra vita, sembra essere un evento quasi impossibile nella statistica delle probabilità, almeno secondo la scienza.
Per cui la vita in altri pianeti sarebbe da dimostrare, prima di dichiararla. Al massimo si potrebbe dire: penso possa esserci vita anche in altri pianeti, e allora nel campo del supporre tutto ci può stare.
In quanto agli argomenti che dimostrerebbero la non esistenza di Dio, i bambini che muoiono di cancro, l’Olocausto ecc., ho già detto. Sono triti e ritriti, non possono negare né affermare nulla, e soprattutto non tengono conto della libertà che Dio, che non è un vigile urbano e nemmeno il direttore generale della Terra S.p.A., ha lasciato agli uomini.
Siamo quindi sempre nel campo delle ipotesi, delle possibilità, delle probabilità. Tutto deve essere accettato o messo in dubbio, ma rifiutare a priori significa assumere una posizione sbagliata.
Un certo Paneroni, che parlava in piazza Duomo a Milano qualche decennio or sono, affermava che la terra era piatta perché, se fosse stata sferica, quelli sotto di noi dall’altra parte della sfera sarebbero dovuti cadere nello spazio. E chiudeva i suoi ragionamenti dicendo ai milanesi: meditate bestie, meditate!
Agli increduli per principio io voglio rivolgere lo stesso invito, naturalmente ripulito dagli epiteti: meditate, meditate! Non respingete un’idea solo perché vi sembra incredibile! Se cinquant’anni or sono avessero detto a un chirurgo che nel 1990 suoi colleghi avrebbero trapiantato cuori umani, questi vi avrebbe guardato con assoluta incredulità.
Tutto quello che sembra impossibile alla nostra piccola, presuntuosa ragione, potrebbe invece essere. Chi è capace di escluderlo con dei ragionamenti logici e sensati, senza prendere posizione solo per partito preso? Nessuno!
Quindi teniamoci come valida la conclusione che dice che tutto ciò che non può essere negato, perché indimostrabile, si deve intendere che potrebbe anche essere affermato.
E con questo spero di essere almeno riuscito a mettere l’ombra del dubbio nell’incredulità troppo spesso preconcetta di qualcuno: sarebbe già un risultato. Ma andiamo avanti nella ricerca delle tessere per il mio mosaico.
I testimoni di Dio!
Cristoforo Colombo parte con tre caravelle e va alla ricerca delle Indie. Scopre l’America, ma questa terra sconosciuta per lui è l’India. Lui dell’America non aveva mai sentito parlare, semplicemente ignorava che esistesse.
Un uomo nasce e parte alla ricerca della miglior vita possibile, poi un giorno muore e incontra Dio. Lo guarda e non lo riconosce. Sono Dio, si sente dire, e l’uomo gli risponde che è impossibile: sei un sogno, una visione, un’allucinazione. Eppure in vita gli era stato detto che Dio sarebbe potuto esistere, quindi non è come Cristoforo Colombo che non sapeva dell’esistenza dell’America.
Significa allora che Colombo era solo ignorante e l’incredulo è stupido?
Si, vuol proprio dire che l’incredulo di solito è stupido.
Questa stupidità gli deriva da quello di cui l’uomo è solitamente più fiero: la ragione.
Ma malgrado la nostra presunzione si tratta sempre di una piccola ragione, che già può essere confusa con la massima di Parmenide ‘non dire che esiste ciò che non esiste’. Più che una ragione di solito è presunzione di poter giudicare senza conoscere, come ne è esempio la frase di quello scienziato che ha detto ‘Dio non esiste, mi sembra la storia della befana’.
Cosa significa ‘presumere’ se non ritenere, credere in base ad elementi vaghi e generici qualche cosa?
Ebbene, la maggior parte degli scettici ‘presume’ di sapere senza sapere davvero, perciò assume l’atteggiamento mentale classico di colui che argomenta un fatto noto per concludere su uno che gli è del tutto ignoto.
Potessi portare Dio davanti allo scettico presuntuoso, lo riconoscerebbe per Dio?
Certamente no, dall’alto della sua arroganza probabilmente direbbe che è un trucco.
Il grave è che nessuno di questi increduli ha quasi mai un minimo di ragione per negare l’esistenza di Dio, e nemmeno si sofferma, di solito, a pensare ‘magari mi sbaglio’. No, no, nessun dubbio, sono proprio sicuri che Dio non c’è. E se tu, ti dicono, sei sicuro che c’è, dimostramelo.
Che strano mistero!
Sanno che Dio non esiste, non sanno perché credono di saperlo, ma negano la possibilità che, negandolo, possano avere torto!
Se non fosse stupido, sarebbe incredibile.
Ma ancora una volta ho deviato dalla mia ricerca sui testimoni

cireno
16-12-15, 17:21
Avevo iniziato parlando di Abramo, uno dei padri riconosciuti delle tre religioni monoteiste: ebraica, cristiana, mussulmana, e avevo detto che può essere uno dei diversi segni dell’esistenza di Dio, anche se sulla figura di Abramo si potrebbe aprire una discussione.

“Poi Terech prese Abramo, suo figlio, e Lot, figlio di Aran, figlio cioè del suo figlio, e Sarai sua nuora, moglie di Abramo suo figlio, e uscì con loro da Ur dei Caldei per andare nel paese di Canaan.”

La prima obiezione alla Bibbia comincia sempre dal libro del Genesi, laddove descrive l’uscita di Abramo da Ur dei Caldei. Chi è mai questo Abramo che esce da una città di cui non si ha conoscenza ne traccia, la fantomatica Ur, si chiedevano i critici della Bibbia? E siccome non si trovava Ur da nessuna parte si concludeva che anche Abramo doveva essere una leggenda.
Invece oggi la fantomatica Ur dei Caldei è stata ritrovata dagli archeologi, che non solo hanno trovato questa inesistente città dalla quale sarebbe uscito Abramo, ma hanno anche trovato tracce sicure di un grande cataclisma di piogge che ha portato fino a tre metri di fango argilloso a coprire la vita di allora nella zona della città (cit. Werner Keller-La Bibbia aveva ragione).
E anche Abramo è esistito, come dimostrano altri ritrovamenti, che lo citano più volte.
Al Genesi 15,4 si legge: - “Mio Signore Dio, che mi darai? Io me ne vado senza figli e l’erede della mia casa è Elizier di Damasco? Ecco, a me non hai dato discendenza, e un mio domestico sarà mio erede”.
Al Genesi 16, 1:- “Sarai, moglie di Abramo, non gli aveva dato figli. Avendo però una schiava egiziana chiamata Agar, Sarai disse ad Abramo: Ecco, il Signore mi ha impedito di avere figli, unisciti alla mia schiava, forse da lei potrò avere figli”.

Nell’archivio di Nuzi a Yorgan Tepe, città hurrita del 1500 a.C., situata a 15 chilometri dall’attuale Kirkuk in Iraq, su una tavoletta di argilla ritrovata durante gli scavi, si è potuto leggere la testimonianza della veridicità del racconto biblico al riguardo, una testimonianza che conferma l’antico diritto hurrita nel caso di una moglie sterile, come è raccontato nella Bibbia al riguardo di Sara.
Questo diritto vuole anche che un uomo senza figli, può nominare un erede al di fuori dalla famiglia, e Abramo non avendo figli aveva nominato quel Eliezer di Damasco. Dalla tavoletta di Nuzi veniamo anche a sapere che una coppia senza figli, adottando un erede come tale, gli lasciava insieme all’eredità anche l’obbligo di occuparsi dei genitori adottivi in vecchiaia.
Sappiamo poi da quella tavoletta, che era anche diritto di un uomo che non ha avuto figli dalla moglie di provare ad averne da altra donna indicata dalla moglie legittima. E quindi è verità quando la Bibbia dice che Sarai, moglie di Abramo, non avendogli dato figli, chiede al marito di ‘unirsi’ con la sua schiava Agar per poter diventare padre. Una verità riscontrata in quella tavoletta vecchia di quasi 5000 anni.

Così infatti fece Sarai con Abramo e così più tardi fece Rachele con Giacobbe, perché questa era la legge di quelle terre dove loro vivevano. Siamo allora in presenza di un’ulteriore verità della Bibbia, una verità fino ad ieri indicata come leggenda.
Al Genesi 14,2 si narra anche che, dopo la separazione tra Abramo e Lot, quest’ultimo si stabilì vicino alla città di Sodoma. “Ora gli uomini di Sodoma erano perversi e peccavano molto contro il Signore” e quindi si legge ancora che alcuni re della zona mossero guerra “Contro Bera re di Sodoma, Birra re di Gomorra, Sinab re di Adamo, Semeber re di Zeboim, e Zoar re di Bela.. Tutti costoro si concentrarono nella valle di Siddim, cioè il mar Morto........La valle di Siddim era piena di pozzi di bitume”
Ora di Sodoma e Gomorra si conosce solo la fine descritta dalla Bibbia, cioè che furono distrutte dal fuoco del Signore e inabissate nella terra, dopo che gli angeli avevano fatto allontanare Lot e la sua famiglia, però delle due città mai si sono ritrovati i resti. Erano sulle sponde, o almeno molto vicino al Mar Morto, situate nella valle di Siddim ma niente di niente si è mai trovato che testimoniasse che erano veramente esistite. Qualche studioso ha ipotizzato che Sodoma e Gomorra potessero essere davvero sprofondate nei terreni intorno al Mar Morto. Altri studiosi, di fronte al mancato ritrovamento di anche insignificanti resti di almeno una delle due città, hanno invece presupposto che Sodoma e Gomorra non fossero mai esistite e la catastrofe di fuoco che si sarebbe abbattuta su di esse non fosse da considerare altro che una descrizione allegorica dei Testi Sacri.
Comunque nessuno poteva avere alcuna sicurezza, anche perché la zona dove sarebbe accaduta la grande catastrofe è un enorme interrogativo geologico, in quanto non potrebbe esistere, a detta dei geologi, un mare come il Mar Morto, situato 208 metri sotto la superficie del Mar Mediterraneo, dalle acque estremamente saline, bituminose, dove è perfino impossibile immergersi, dal quale, attraverso grotte e passaggi sconosciuti, nasce un fiume di acque limpide e cristalline come il Giordano, lo Sheriat el Kebire degli arabi, il Grande Fiume.
In questa località incredibile e quasi invivibile, sarebbero dunque vissute le due città del peccato, Sodoma e Gomorra?
I dubbi erano molti di più delle speranze, poi un giorno di qualche anno fa, due archeologi italiani nei pressi di Aleppo in Siria, si imbattono nei resti di una città antichissima, Ebla, databile 3000 anni a.C. Negli archivi di Ebla trovano centinaia di tavolette di argilla. Tutti gli studiosi del mondo trattennero il fiato, perché ogni ritrovamento importante di notizie del lontano passato può confermare ma anche distruggere le varie tesi e teorie.
La prima cosa che venne alla luce, dalle tavolette di Ebla, fu che Abramo ‘era citato’ più volte, per cui della sua esistenza nessuno, da quel momento, poteva più dubitare. Poi si scoprì che anche Sodoma e Gomorra venivano più volte citate! In un archivio di 5000 anni or sono si parla dunque di Abramo, e va bene, questo nome è comparso anche in altri luoghi, per cui nessun dubbio sulla ‘esistenza’ di questa mitica figura di patriarca, ma si parla anche di Sodoma e Gomorra situate ‘sul Mar Morto’, le città fantasma, di cui mai si era saputo nulla, ora comparivano alla luce dando ragione, ancora una volta, alla Bibbia.
Oggi la loro esistenza è confermata e anche la loro scomparsa repentina, derivata da un’immane catastrofe di cui non si conosce l’origine, che spiega il perché non si sono potuti ritrovare resti e rovine, che però si è certamente verificata.
Gli studi su Ebla e i suoi archivi di argilla continuano ancora ai nostri giorni, e altre cose importanti certamente verranno alla luce, ma per quello che riguarda la mia ricerca, delle piccole ipotesi di certezza le ho trovate, e cioè:-
I°) che Abramo è esistito, per cui si potrebbe anche dedurre che forse la sua vita abbia avuto quello svolgimento che la Bibbia descrive.
II°) che Sodoma e Gomorra sono anch’esse esistite e sono state distrutte da una terribile catastrofe.

cireno
16-12-15, 21:35
Dio e i filosofi


Non è mia intenzione parlare di tutti i filosofi che hanno argomentato pro e contro la possibile esistenza di Dio, seguendo uno schema cronologico o comunque un ordine.
Non è del resto una storia della filosofia metafisica o della teologia che io sto scrivendo, ma qualcosa di ben più complicato: cercare argomenti pro o contro l’esistenza di Dio.
Comincerò questo capitolo affrontando subito quella filosofia che, specialmente nel XIX secolo, ha tentato di chiudere la discussione affermando l’inutilità di Dio nella creazione e quindi la sua inesistenza: la filosofia materialista.
Questa filosofia rifiuta l’idea di Dio, essendo indimostrabile la sua esistenza.
La ragione umana, dicono i filosofi materialisti, non può accettare la presenza di un’entità invisibile, che non si vede e che non partecipa alla vita del mondo, per cui l’idea di Dio è da rifiutare totalmente, perché non verificabile.
L’Enciclopedia dice che “Questa tesi implica comunemente l’ateismo, a meno che non si sostenga la corporeità della divinità stessa, come hanno fatto Epicuro e Hobbes.”
Dirò subito che non sono d’accordo con la tesi del materialismo quando dice che l’esistenza delle sostanze corporee o materiali è evidente, e quindi riconoscibile e dimostrabile, mentre quella delle sostanze spirituali, non essendo riconoscibile e dimostrabile, deve essere rifiutata.
Per la verità non sono solo a negare questo assioma del materialismo, prima di me gli stoicisti, e poi anche Tertulliano e Voltaire, hanno preso identica posizione con ben migliori argomenti, ma anche fossi solo a confutare le tesi del materialismo, mi sembrerebbe ugualmente giusto farlo, perché io reputo che in questa filosofia esista un importante errore di fondo.
Per cominciare mi sembra che l’esistenza evidentemente dimostrabile delle sostanze corporee non debba necessariamente negare l’altra, cioè l’esistenza delle sostanze spirituali, e poi vorrei aggiungere che anche per il filosofo, anzi specialmente per lui, dovrebbe valere il principio di pariteticità nella costruzione delle ipotesi, per cui se una cosa deve essere rifiutata quando non è dimostrabile, allo stesso modo si dovrebbe rifiutare il suo contrario quando parimenti non è dimostrabile. Oddio, spero sia chiaro.
Qui, in questo dare per scontata l’inesistenza delle sostanze spirituali perché non dimostrabili, è l’errore di fondo del materialismo! Ma, purtroppo a scapito della loro logica, è proprio su questo ‘errore di fondo’ che i filosofi materialisti hanno creato ipotesi.
Constatato che l’esistenza di entità spirituali è impossibile da dimostrare, si negano.
Il padre della filosofia materialista è da tutti indicato in Democrito, nato in Tracia nel 460 a.C., quindi contemporaneo di Socrate e di Ippocrate.
Egli affermava che l’uomo è formato da atomi e da vuoto, così come tutte le cose del mondo. La formazione delle cose, animali o vegetali, deriva dalla ‘necessità’ di movimento degli atomi stessi che con la loro aggregazione tendono a formare corpi. Democrito con questo nega l’intervento di qualsiasi ente superiore o divinità per spiegare la nascita della vita, affidandola al puro caso.
L’uomo, per il filosofo di Tracia, è quindi ‘solo’ materia, un ammasso di atomi in perenne movimento, ed ha un destino simile, anzi del tutto identico, a quello di tutto ciò che vive nell’universo.
Fine morale dell’uomo è allora l’atteggiamento da tenere sulla terra, l’equilibrio, la serenità e anche il benessere fisico, che sono le uniche cose tangibili a cui può aspirare.
La teoria di Democrito della necessità degli atomi a incontrarsi e ad aggregarsi, venne in seguito corretta da Epicuro in casualità, intendendo che gli atomi si aggregavano, formando la materia, solo per assoluta casualità. Epicuro poi sosteneva che anche l’ordine del mondo proviene in modo casuale dal disordine del Kaos iniziale.
La teoria di Democrito, del resto grande filosofo e fisico, fu definita ‘atomismo’ e venne costantemente attaccata e criticata già dalla sua comparsa, in quanto tendeva a cancellare l’intervento di qualsiasi Ente superiore nella creazione della vita e delle cose: in pratica è stato il primo ateo della Storia.
Fu il successivo pensiero cristiano a combattere con forza il pensiero materialista sia quello della necessità di Democrito che quello della casualità di Epicuro, innanzi tutto per l’indimostrabilità del concetto atomistico ma soprattutto per la ‘volgarità’ del fine di questa filosofia che, escludendo la spiritualità, rendeva tutto materia ed edonismo, e in questa critica molto incideva anche l’etica di Epicuro che all’edonismo si richiamava.
Le scoperte di Newton oggi ci dicono che aveva ragione Democrito nella sua disputa a distanza con Epicuro, quando parlava di ‘necessità’ per il movimento degli atomi.
In effetti tutto nell’universo, anche il comportamento di un campo macroscopico, per fare un esempio, può essere ridotto al moto degli atomi che lo costituiscono, i quali atomi si muovono obbedendo alle leggi della meccanica che Newton ha scoperto, per cui il loro movimento non può essere casuale, come sosteneva Epicuro, ma necessario, proprio perché ‘obbligato’ da leggi universali al movimento e all’aggregazione.

Quasi contemporaneamente all’atomismo nasce ad Atene la prima filosofia di pensiero, chiamata stoicismo, che indica nell’anima, chiamata pneuma, la prova della presenza divina nell’uomo.
Il mondo, dicono gli stoicisti, è composto di materia e di fuoco, che è anche logos, cioè ragione divina, che ha avuto un inizio e avrà una fine il giorno del “grande anno”, quando tutti i pianeti si troveranno nella stessa posizione che avevano all’inizio. Ne seguirà una grande conflagrazione
cosmica dopo di che un nuovo mondo rinascerà per percorrere un nuovo ciclo di vita. Tutto questo sarebbe legato ad un disegno divino che identificato nel ‘destino’.
Alcune persone riescono anche a ‘leggere il futuro avendo la capacità di entrare nel destino’, dicevano gli stoici, e su questa affermazione Epicuro, con il suo spiccato senso della razionalità, lottava per dimostrare la fallibilità delle loro tesi.
Lo stoicismo ebbe anche fortuna presso i primi pensatori cristiani.
Poi anche queste filosofie caddero nell’oblio e per quasi venti secoli dell’atomismo e dello stoicismo non si parlò più.
Riappare l’atomismo nel Seicento in alcuni scritti di Gassendi, scienziato e filosofo empirico francese, nato in Provenza, contemporaneo di Cartesio, critico dello stesso Cartesio e delle sue Meditazioni, e critico anche della metafisica di Aristotele e dell’animismo di Platone e di tutte le filosofie che avevano cercato di ‘dimostrare’ quello che Gassendi definiva indimostrabile , vale a dire l’esistenza di Dio, che comunque Gassendi non negava.
La filosofia di Gassendi ha grande importanza nella storia del pensiero umano, e quando dice che “Gli uomini possiedono le verità matematiche perché sono opera dell’uomo, così che possono solo conoscere ciò che possono ricostruire fin dall’inizio, essendone i creatori, ma l’essenza profonda della natura è conosciuta solo da Dio, perché è Lui ad averla prodotta” in buona sostanza mette qualche pilastro a sostegno dell’esistenza di Dio.
Il pensiero di Gassendi è stato importante perché successivamente, attraverso Hobbes che ha sviluppato il materialismo, le sue idee vennero rielaborate da diversi pensatori, fino ad arrivare a quel grande filosofo italiano che fu Giambattista Vico.
L’atomismo in Gassendi riappare quando lui decide di dedicare la sua opera in difesa della filosofia di Epicuro, affermando la scientificità dell’atomismo, come ipotesi altamente probabile per la costituzione della materia. Ma Gassendi interpreta il pensiero di Democrito e di Epicuro in senso cristiano, e quindi deve essere considerato un materialista ‘sui generis’.
Gassendi si dimostra infatti credente quando afferma che l’uomo è composto da atomi ma questi sono prodotti da Dio, e da Dio è loro impresso originariamente il movimento che li caratterizza, per cui Dio, attraverso gli atomi, è il creatore del mondo e della vita. Scrive il nostro:-

-“L’ordine dell’universo è intelligentemente e liberamente disposto dal Creatore; in particolare, ad attestare il finalismo presente nel mondo sono i fenomeni biologici, cioè il fatto stesso della vita, e poi la mirabile struttura degli organismi e l’adattamento dei vari organi alle diverse funzioni, tutti dati inspiegabili meccanicamente. Da ciò si può trarre la prova migliore dell’esistenza di Dio in quanto una macchina così ben strutturata postula l’esistenza di un’intelligenza superiore ad averla creata”.

La filosofia di Gassendi fu contrastata e criticata da quasi tutti i pensatori a lui contemporanei, da Cartesio a Bacone a Spinoza, e perfino da Hobbes, che pur dai suoi concetti aveva tratto molti spunti per la sua filosofia della natura.
Fu proprio Hobbes, materialista, a sostenere che l’espressione ‘sostanza spirituale’ usata da molti filosofi fino a Cartesio, fosse addirittura un non senso.
L’uomo, per Hobbes, è solo materia ed è così non solo nella carne e nei muscoli, ma anche nella psiche e nel cervello, che crea l’immaginazione attraverso meccanismi simili a quelli che i muscoli usano per creare energia. Naturalmente anche su questo pensiero di Hobbes si è scatenata la polemica, in quanto non è dimostrabile che il meccanismo di creazione del pensiero, dell’immaginazione e della sensibilità sia simile a quello della creazione dell’energia, e anche fosse non significherebbe niente, in quanto si tratterebbe solo della parte ‘finale’ dell’oggetto, l’uomo, e questo in qualche maniera deve pur funzionare attraverso la materia di cui è dotato ed è formato.

Dopo Hobbes saranno gli illuministi, come già detto, a sviluppare ancor di più la filosofia materialista, specialmente con il Diderot della maturità, ma anche attraverso la concezione anti-deista di Holbach.
Holbach fu infatti uno dei più accaniti avversari dell’idea di Dio. L’idea di Dio nasce dal bisogno, dalla sofferenza del bisogno, egli scrive nel “Sistema della Natura”. Compito dei filosofi è quello di liberare l’uomo da questa illusione così da renderlo cosciente di se e di conseguenza felice di vivere. Secondo Holbach non c’è stato bisogno del Cristo per dare all’uomo una religione a cui aggrapparsi. Già nelle società primitive si cercava, adorando il fuoco o la luna o il sole, di avere contatti con qualche entità soprannaturale che non esisteva. La stessa religione degli ebrei è la semplificazione delle antecedenti religioni politeiste, e deriva dalla necessità di avere un alleato potente, appunto il dio Yahweh, che li aiutasse e li proteggesse in quella caldissima regione dove le loro tribù nomadi vivevano tra mille pericoli.
Insomma Holbach, fra l’altro filosofo di una certa sostanza, pensava di aver trovato la radice quadrata che stava all’origine della nascita di Dio nella vita dell’uomo. Tesi discutibili, come tutte le tesi, ma che hanno diritto di citazione in queste pagine.
Nel XIX secolo la comparsa dell’idealismo tedesco mette in grande crisi la filosofia materialista, che però riprende slancio e vigore con Bluchner e Vogt, ma specialmente con Engels e Marx, e in parte anche con Feuerbach.
Ma la spinta definitiva a far diventare il materialismo filosofico quasi una scienza moderna viene da Darwin e dalla sua Teoria dell’Evoluzione.

Le scienze della natura, la fisica, l’astronomia, la cosmogonia hanno nei fatti reso la filosofia materialista apparentemente più vicina alla scienza ma, in realtà, nell’ambito scientifico numerose correnti ancora dibattono sulla validità del pensiero originario di Democrito e di Epicuro, e discutono sulla possibile verità o sull’eventuale errore dell’affermazione di Hobbes, quando nega l’esistenza di ogni sostanza spirituale nella vita del mondo con quella sua teoria dell’energia muscolare uguale all’energia cerebrale, e questo dibattito rimette invece la filosofia materialista nella collocazione che le compete.
Con il materialismo si giunge ad una filosofia ‘pragmatica’, e infatti intorno ad essa sono ruotate le idee e anche le scienze che ‘hanno a che fare direttamente con la vita terrena’ vale a dire, il meccanicismo, il positivismo, l’evoluzionismo.
Purtroppo questa corrente filosofica, al contrario di quello che pensava Holbach quando diceva che privando l’uomo dall’illusione di Dio lo si sarebbe reso finalmente più felice di vivere, ha privato l’uomo di alcuni suoi importanti ideali, e quindi del desiderio di ricercare il senso profondo dell’esistenza, così che la attualizzazione del momento della vita terrena ha preso il posto di tutto, e da questo momento la nostra vita ha imboccato strade che non sono più tali, ma sentieri tortuosi e infidi che non potranno che portarci a niente, in nome di un pensiero che si fonda su una teoria altrettanto indimostrabile di quella che vuole combattere

cireno
17-12-15, 09:50
Un esempio significativo della confusione dell’uomo post-materialista viene da quell’astronauta sovietico che, dopo essere stato molti giorni in orbita intorno alla terra, tornando disse: “Non ho incontrato nessun dio lassù, e nemmeno ho visto il paradiso”, che sarebbe un compendio di stupidità e di arroganza se non rispecchiasse una distorsione della cultura derivata dalla filosofia materialista.
Io sono contrario alla filosofia materialista probabilmente per lo stesso motivo che avevano i contemporanei di Democrito quando ne osteggiavano le idee, ma forse anche per un idealismo di fondo che mi spinge a non ritenere possibile un mondo fatto di sola materia, però, al di là delle mie personali idee che su questo specifico argomento sono molto assimilabili all’insegnamento del Buddha, ci sono motivi di maggiore spessore per dimostrare la fallibilità del concetto base del materialismo sulla non esistenza di Dio, ma ne parleremo più avanti.

Ora invece mi vorrei soffermare su quei filosofi che hanno cercato, con le loro teorie, di dimostrare al contrario l’esistenza di Dio, anche se bisogna riconoscere che non sempre, e non tutti i materialisti, hanno negato Dio, sic et simpliciter, perché molti di loro hanno di fatto solo negato l’evidenza di Dio, che è differente e perfino, a mio modo di vedere, più intelligente.
Per quanto riguarda i filosofi che hanno cercato di affermare l’esistenza di Dio, bisogna considerare che, contrariamente ai materialisti che non dovevano dimostrare niente, essendo l’oggetto del loro universo concreto e reale, cioè la sostanza corporea e delle cose, questi filosofi si trovarono sempre ad affrontare un compito ben più difficile. Per arrivare a dimostrare l’esistenza di Dio, essi potevano sviluppare ragionamenti basati su due asserzioni improbabili ma per la loro logica inoppugnabili: la prima, che Dio non può non esistere, la seconda che se non può non esistere, Dio esiste.
Descartes (Cartesio) filosofo francese, vissuto a cavallo tra il XVI e il XVII secolo, nelle sue Meditazioni, ha un approccio del tutto originale alla disputa. Egli fa partire il suo ragionamento dalla possibilità che le cose che vediamo e sentiamo in effetti non esistano, come se la vita sia semplicemente un sogno, anziché una realtà concreta (e questa idea devo confessare che a me balla nella mente da sempre…). Da questo presupposto potrebbe nascere il dubbio che tutto ciò che riteniamo vero e reale, perché visibile e quindi assunto dalla ragione, possa essere ingannevole e quindi indimostrabile in quanto “non necessariamente vero”. Ma poi Cartesio conclude questa sua introduzione di partenza con la famosa frase “Cogito, ergo sum” (Penso, quindi esisto), e con questo intendendo dimostrare che quello che stiamo vivendo non è sogno né immaginazione ma realtà. E allora, continua Cartesio, se la mia esistenza è reale, anche altre esistenze devono essere considerate reali, il mondo materiale e altre verità naturali, quelle che regolano il mondo materiale: la natura, la matematica, la geometria e quindi anche Dio, che ha emanato tutto ciò, in assenza assoluta di una spiegazione differente della loro origine, che però nessuno è in grado di fornire.
Cartesio, dopo aver concluso il suo dubbio di vivere un’esistenza fallace, di sogno con quel “penso, quindi sono”, insiste sul fatto che non possiamo avere nessun dubbio anche sulla presenza reale di quello che vediamo, proprio perché non stiamo sognando di vivere, e quindi anche quello che ci circonda non può essere sogno. Possiamo avere invece dei dubbi sull’esistenza dell’immateriale, che non possiamo vedere, ma questi dubbi, nel caso di Dio non aiutano a fornire spiegazioni sui misteri dell’esistenza. Ma, per Cartesio, mentre il dubbio è un’operazione volontaria della mente, la resistenza che una conoscenza oppone al dubbio è il segno tangibile della sua verità, tanto che la nostra mente non può far altro che riconoscerlo. L’aspetto attivo del pensiero umano è quindi “la ricerca della verità” la quale richiede il maggior impegno morale e intellettuale, ma soprattutto l’abbandono di ogni certezza spontanea e di ogni sapere ricevuto, che Cartesio classifica come “pregiudizi”.
Ora, sempre Cartesio che parla, assunto ciò si deve passare dal piano psicologico del sentimento di evidenza, così ingannevole nelle sue espressioni, a quello ontologico della “Verità, cioè “la ricerca sull’essere in quanto essere, per arrivare a conoscere la Verità del tutto”. Cartesio ricorre allora a Dio verità assoluta in quanto incapace di menzogna. Se l’uomo pensa e quindi esiste, riassumo con mie parole il suo pensiero, è anche capace di esprimere dubbi come abbiamo constatato, e questa possibilità di dubitare indica una mancanza, una limitazione nel suo essere, perché un essere perfetto non potrebbe dubitare di niente. Ma se l’uomo è imperfetto, su cosa misura questa sua limitazione, se non su qualcosa di perfetto?
Può l’uomo produrre arbitrariamente la perfezione sulla quale misurare la sua imperfezione? Impossibile, risponde Cartesio. Tutte le idee degli uomini hanno un contenuto peculiare, che è ciò che esse rappresentano alla mente, in virtù del quale si distinguono l’una dalle altre. Tutto richiede una spiegazione, per la mente dell’uomo, proprio a causa della possibilità del dubbio, che abbiamo visto essere una sua limitatezza. Ecco quindi che spieghiamo colori e odori e cose che vediamo, e su queste non abbiamo dubbi, perché possiamo vedere e classificare e renderle conosciute, famigliari al nostro raziocinio, ed ecco anche che fatichiamo a riconoscere quelle che non possiamo vedere, sentire ed odorare, e su queste sviluppiamo dubbi, perché non possiamo vedere né toccare.
Ci sono poi idee che creiamo con la nostra immaginazione, che possiamo ritenere buone come opinioni o come conoscenza per testimonianza di altri, e ci sono infine le idee “innate”, cioè che non abbiamo fatto nascere dal visibile e che non abbiamo nemmeno immaginato, idee che ci portiamo con noi dalla nascita, e queste idee possono venire solo da Dio, perché la più grande delle idee innate è quella della perfezione assoluta, l’insieme delle perfezioni, cioè Dio.
Questa via per dimostrare Dio, da parte del grande filosofo francese, si completa con l’osservazione che ‘se le verità naturali sono esatte, e quelle immaginate lo sono altrettanto, anche senza prove concrete della loro esistenza, anche le verità innate lo sono (esatte), e se lo sono, perché non è possibile il contrario, visto che Dio non può ingannarci, esse portano, attraverso l’idea della perfezione, solo alla figura di Dio, unico Essere che somma in se ogni perfezione’.
Bisogna osservare che il ragionamento di Cartesio è coerente ma non è facile da accettare, tutto svolto com’è su una base di logica che potrebbe anche essere rovesciata ma, anche così facendo, ci resterebbe sempre l’obbligatorietà del dubbio, perché, come ho già scritto, se non posso dimostrare che ciò che non vedo esiste, mi è anche impossibile dimostrare che ciò che non vedo non esiste.
Del resto il fatto che Cartesio vede l’uomo finito e imperfetto dinnanzi all’infinito e al perfetto, e la Creazione è infinita e perfetta, non può essere confutato: l’uomo è finito e imperfetto, molto imperfetto. Come potrebbe infatti comprendere di dubitare, quindi di essere una realtà limitata, se non ci fosse nell’uomo l’idea “innata” della perfezione, confrontandosi con la quale l’uomo si rende conto di essere imperfetto e quindi di avere il dubbio?
E’ questa l’idea “innata” che viene direttamente da Dio perché nasce prima dell’uomo, così come la rappresentazione di Dio è precedente a quella dell’uomo. L’idea innata, cioè quella non reale né immaginata, che l’uomo non ha sempre dinnanzi ai suoi occhi, ma che può suscitare in certe occasioni, anzi che si leva da sola nella sua mente.
Cartesio poi ancora afferma che “la stessa rappresentazione di Dio, che è chiusa come idea innata in ogni uomo vivente, non può avere altra causa che Dio stesso”.
“Si deve assolutamente concludere, di conseguenza, che dal solo fatto che io esisto, e che in me è presente una certa rappresentazione come idea innata di una natura perfetta, che è Dio, viene dimostrato che Dio esiste” e con questa affermazione Cartesio chiude la sua dimostrazione dell’esistenza, per lui assolutamente sicura, di Dio.

Diversi filosofi discussero e confutarono queste tesi, ma questo fa parte della filosofia teologica che è costretta a discutere su un argomento che non può avvalersi di dimostrazioni come esperimenti o immagini e quindi deve procedere per sola logica e deduzioni, e questi sono strumenti sempre esposti alla critica di chi pensa in maniera differente.
Perché la logica e la capacità di deduzione è evidentemente bagaglio anche di chi pensa e vede in maniera differente da Cartesio.
Arnauld, fra questi, è stato quello che ha avanzato le critiche più efficaci allo stesso Cartesio.
La prima:- Cartesio dice che Dio è perfetto, perché invece non potrebbe essere ingannatore?
Su quali presupposti si basa Cartesio nell’affermarlo? Si chiede Arnauld.
E ancora :- Cartesio dice che pensa, quindi esiste. Perché, per il semplice fatto che io penso, debbo dichiarare di esistere? Anche nei sogni si pensa, ma non si esiste.
E perché Dio, che è la suprema natura, e quindi non può aver posto l’uomo in una condizione di inganno essendo incapace di falsità, non si mostra in qualche maniera all’uomo? Che significato ha questo nascondersi? Forse che la sua figura divina è oscurata appositamente all’occhio della ragione umana? In questo caso Dio non è l’essere perfetto, perché sarebbe capace di inganno, e quindi al di là delle deduzioni di Cartesio è giusto avere dei dubbi.
Baruch Spinoza, filosofo olandese di origine ebrea, entra con pieno diritto nella filosofia teologica.
Espulso dalla comunità ebraica come eretico, perché insofferente della rigida ortodossia religiosa di quella chiesa, in regime di povertà assoluta dedica la sua vita intera a Ethica, la summa della sua filosofia, che rimarrà incompiuta alla sua morte, che lo coglie a soli quarantacinque anni di età.
E’ paradossale che il filosofo che più di ogni altro ha affrontato il tema dell’esistenza di Dio sia sempre stato condannato come blasfemo ed eretico da tutte le comunità religiose del suo tempo, ebraiche, cattoliche e protestanti. La sua idea della laicità dello Stato, per lui condizione irrinunciabile per permettere ad ogni membro della collettività di pensare come crede e di esprimersi come vuole, senza interventi da parte di nessun tipo di autorità, in questioni che riguardano solo la coscienza degli individui, lo avevano portato ad essere indicato come elemento perturbatore delle società e quindi come personaggio empio e asociale.
Il fatto poi di aver detto che tutta la pratica religiosa si dovrebbe esaurire nella pratica della giustizia e della carità verso il prossimo, secondo i dettami della Bibbia, aveva peggiorato la sua situazione.
E’ vero che Spinoza ha spesso criticato i miracoli dei Testamenti, a cui non credeva, e anche che non perdeva occasione per sottolineare le molte contraddizioni degli scritti sacri, ma egli non era affatto ateo, come poteva apparire ai suoi contemporanei, al contrario aveva chiarissimo il concetto dell’esistenza di Dio, ma di un Dio purificato dalla dissacralità delle diverse chiese, luoghi che egli definiva “impuri” per la commistione di cose materiali con l’idea suprema della divinità. Ovviamente i suoi scritti contro la religione corrotta come i suoi attori, lo fecero diventare un eroe dell’ateismo e del libertinismo dei secoli successivi ma Spinoza fu, come detto, un grande filosofo teologo, e un vero credente nella figura di Dio.
Spinoza inizia proclamando che tra fede o teologia e filosofia non vi è nessuna affinità, e quindi che “scopo della filosofia è la ricerca della verità, scopo della fede è invece solo l’ubbidienza e la devozione”, ed è la prima botta al pensiero religioso del suo tempo, ma anche l’affermazione di un principio filosofico eterno, cioè che il pensiero umano è superiore alla semplice credenza.
Contrariamente a Cartesio, che ad un certo momento, cioè dopo aver affermato la certezza di esistere e la sicurezza di Dio, abbandona l’argomento per passare ad altro, in Spinoza questo abbandono della ricerca di Dio non si verificherà mai, perché, egli dice “Dio è il centro di ogni ricerca del filosofo”.
E ancora diversamente da Cartesio che distingue nella realtà tre soli generi di sostanze: una infinita, Dio, e due finite, quella pensante, l’uomo, e quella reale, le cose, lasciando aperta una questione, perché se sostanza significa esistenza, come insegnava Platone, che esiste per sé e non ha bisogno d’altro per esistere, allora la sostanzialità non può essere ugualmente attribuita, con lo stesso significato, alla sostanza infinita e a quelle finite; diversamente da Cartesio dicevo, per Spinoza “la sostanza è ciò che è in sé ed è per sé concepita”, vale a dire ciò il cui concetto non ha bisogno di altro concetto per essere formato.
Ma questo vale, in Spinoza, solo per la sostanza “infinita”, in quanto le sostanze finite, per poter formare il loro concetto, cioè per essere, hanno bisogno del concetto da cui esse dipendono, che è Dio.
La questione lasciata aperta da Cartesio viene quindi risolta con molta logica da Spinoza: sostanza (esistenza) è solo la sostanza infinita e “al di fuori di Dio non si può dare né concepire alcuna sostanza, per cui Dio è l’unico essere realmente assoluto, in quanto si sottrae al bisogno di un’altra cosa per essere”.
Con questo ragionamento Spinoza comincia a dimostrare filosoficamente l’esistenza di Dio.
E prosegue, ”alla natura della sostanza appartiene di esistere, la sostanza che non è prodotta da qualcosa d’altro, la sostanza che sarà essa stessa causa di sé, la cui essenza implica necessariamente l’esistenza, ossia che alla sua natura appartiene di esistere”. E questo, per il filosofo, significa che Dio esiste necessariamente, al di là di ogni possibile dubbio, perché creatore di sé stesso come sostanza infinita e creatore altresì di tutto quello che è finito.
Vediamo come Spinoza allarga ancor più questa conclusione.
Nel ‘Breve Trattato’ egli dice che, per il solo fatto che l’uomo ne ha l’idea, Dio esiste. Perché non si può avere l’idea di qualcosa che non è immaginabile, quindi se la rappresentazione di Dio è nell’uomo, Dio per forza esiste.
Questa è comunque un concetto abbastanza opinabile, almeno dal mio punto di vista, così come discutibile, forse perché il mio raziocinio non arriva a capire, è l’altro concetto che vuole “la sostanza che è essa stessa causa di sé” affermando così la creazione di Dio ad opera di se stesso, però quando Spinoza scrive che “alla natura di Dio non appartengono né l’intelletto né la volontà, perché Dio agisce secondo leggi della natura e non costretto da alcuno, per cui Dio è la vera essenza della libertà, e questa essenza, essendo sostanza necessariamente infinita, altrimenti tale non sarebbe, abbraccia infinite determinazioni dell’essere”, egli, almeno dal mio piccolo punto di vista, dice cosa perfettamente logica e razionale ai suoi concetti. Perché è giusto pensare che Dio non può essere assoggettato a nessuna delle condizioni che determinano le azioni umane, vale a dire volontà e intelletto, perché Dio non ha bisogno di intelletto e volontà per essere o per agire, essendo al di sopra di tutto ciò che può servire all’uomo e alle cose per essere o per agire, quindi è esatta la conclusione che, se Dio esiste, non può esserci nessuna costrizione nelle sue azioni, che di conseguenza sono del tutto libere.
Ora questi sono bellissimi pensieri che purtroppo danno alimento alla mia anima ma non aiutano a costruire il mio mosaico della verità. Io vorrei credere che quanto è così sicuro in Spinoza possa essere la verità, ma come sempre la mia mente crea nuovi dubbi e nuovi interrogativi.

Vorrei sinceramente credere che Dio esista davvero e non ha bisogno di niente per essere, essendo, come dice Spinoza, ‘sopra’ ogni necessità, ma io sono sempre ostacolato dalla mia arrogante ragione ad accettare facilmente questi bei pensieri, quindi debbo limitarmi a dire che si, potrebbe essere vero, potrebbe anche avere ragione Spinoza, ma potrebbe anche essere vero il contrario.
Ma perché Spinoza svolge il suo ragionamento partendo dall’assoluta certezza dell’esistenza di Dio? La questione fondamentale su cui fa perno il suo pensiero è proprio qui.
Da dove trae questa profonda, matematica convinzione? E’ vero, che ‘se ’Dio esiste non ha certo bisogno di intelletto o volontà per esistere: ma se non esiste, allora questo è un ragionamento costruito sull’acqua.
Spinoza afferma con sicurezza l’esistenza di Dio per il semplice fatto che noi siamo costretti a pensarlo. Se pensiamo Dio, significa che Dio esiste.
Sembrerebbe un gioco di parole ma invece mi sono accorto che contiene una base di verità. Perché poi Spinoza spiega questa sua tesi affermando che se la mente dell’uomo ha un’idea, questa non può nascere dal nulla, ma deve trovare corresponsione nella natura, “Ora tra tutte le idee dell’uomo quella di Dio è da sempre al primo posto”, anzi è “la causa di tutte le nostre idee”.
Per cui è la prova provata dell’esistenza di Dio.
Da parte mia voglio concludere che se è vero che l’idea corrisponde in qualche modo alla realtà, come Spinoza, e anche Cartesio, hanno cercato di dimostrare, allora Dio è vero e reale, essendo appunto la più potente fra tutte le idee dell’uomo.
E se Dio è vero e reale “l’amore verso Dio è il bene più alto cui possiamo aspirare secondo i dettami della fede e secondo quelli della ragione”, chiude il filosofo

cireno
17-12-15, 17:34
Per Wilhelm Leibniz , filosofo tedesco vissuto dopo Cartesio e Spinoza (XVII sec.), la fede e la ragione essendo entrambe dono di Dio, non possono confliggere, come qualche pensatore aveva affermato prima di lui, in quanto il loro contrasto farebbe lottare Dio contro sé stesso. In ragione di questo semplice ma efficace pensiero, aver fede non esclude saper usare la ragione.
Questo è il concetto essenziale della filosofia teologica di Leibniz.
Egli riconosce però che la fede è più potente e vede più lontano della ragione, che non può comprendere tutto quello che la fede insegna. Del resto la ragione, come abbiamo già visto in Cartesio e in Spinoza, essendo finita quindi limitata, perché frutto della mente dell’uomo, non può comprendere ciò che è infinito. Questo non vuol dire che la ragione è condannata a rinunciare a sé stessa, ma solo che ciò che va al di là del suo orizzonte non può esserle considerato contrario.
La fede quindi non cancella la ragione, ma può aprirle la strada a comprendere.
La prova a priori dell’esistenza di Dio, per Leibniz, muove dal concetto di esistenza di verità eterne, che Leibniz designa come essenze o possibilità. Per Leibniz queste essenze hanno una loro realtà, che nel suo pensiero significa, contenuto effettivo. Ora lui ritiene che queste realtà, questi contenuti effettivi, non nascano dal nulla, in quanto dal nulla ‘niente può nascere’, ma che la loro origine si debba cercare in Dio, che racchiude tutte le idee e tutte le realtà possibili.
Leibniz poi definisce l’importanza delle monadi nella Creazione del mondo. Le monadi sono create direttamente da Dio, sono gocce di divinità, sono centri di forza o metafisici, particelle eterne, e dimostrano che Dio è la sostanza originaria, il fondamento primo di tutte le cose.
Così si potrebbe spiegare anche il Big Bang, perché se Dio è la sostanza primaria da cui emanano tutte le cose, se Dio crea energia e sostanza e le diffonde intorno a sé, così come la mente dell’uomo crea le idee e le diffonde, allora anche la materia primaria e tutte le coordinate necessarie indispensabili per originare la grande esplosione, partono da Dio, anzi è il modo che Dio ha usato per creare l’universo.

E qui dobbiamo tornare a parlare del caso come origine del mondo e della vita.
La scienza ha stabilito che la possibilità che il caso possa aver originato il mondo e la vita sono da leggersi, nel calcolo delle probabilità, con una proporzione di una su oltre 1 miliardo di possibilità. Potrebbe anche essere stato che ‘il caso’ sia riuscito a pescare questa unica probabilità su oltre un miliardo di possibilità contrarie, ma sarebbe assai meno improbabile che ha determinare la nascita del mondo fosse stata un’entità superiore, che noi indichiamo in Dio ma potrebbe essere anche qualsiasi altro “motore”: le probabilità sono superiori, per questa ipotesi di creazione divina rispetto a quella cosiddetta casuale. Se una persona prende la borsa della tombola e estrae i numeri da uno a novanta in ordinata sequenza, forzatamente si deve pensare a ‘qualcuno’ che nella borsa li porge in ordine progressivo, 1,2,3,4 ecc. perché le possibilità che ‘casualmente’ escano in quell’ordine sono così incredibilmente minime da far divenire l’ipotesi come una pura astrazione. Ebbene, per quanto riguarda la ‘casualità’ che avrebbe pescato il jolly della creazione del mondo così come lo vediamo, le probabilità sono ancora, e di parecchie migliaia di volte, inferiori all’esempio dei numeri della tombola ordinati progressivamente nella loro uscita.
Dobbiamo allora riconoscere che ‘il caso’ creatore è un’eventualità se non impossibile almeno fortemente improbabile. Se esiste una possibilità su un miliardo di creare il mondo e la vita, il solo fatto che questa possibilità si sia realizzata potrebbe spiegare l’esistenza di un creatore che ha fatto in modo che questa impossibile probabilità si concretasse. Voglio dire che in questa ipotesi sarebbe stato certamente il ‘caso’ a creare la vita o il mondo, ma un caso guidato da qualcuno che così ha voluto e lo ha determinato.
E chi può essere stato a guidare questo caso al di là di ogni logica matematico-statistica, se non Dio? Possiamo pensare a qualcos’altro? E cosa?
Le monadi di Leibniz sono parte di questo possibile disegno divino. Esse sono ‘le gocce di Dio’, espressione della sua potenza e così come il filosofo ha ipotizzato nei suoi pensieri, potrebbero essere ‘il mezzo’ che Dio ha usato per il suo Fiat Lux della Genesi, quello che noi chiamiamo big-bang (grande esplosione).
Perché anche la Genesi della Bibbia potrebbe essere fedele alla vera rappresentazione del creato. Intanto, nella Bibbia, esistono DUE racconti della Genesi sulla Creazione. Il primo, quello originale, parla della Creazione di Dio eseguita tutta in una volta, nello stesso tempo. In un secondo momento, per dimostrare la sacralità del riposo del sabato, le autorità religiose ebree, aggiunsero la seconda descrizione, quella che conosciamo della creazione in sette giorni. Comunque, un minuto o sette giorni, nulla contraddice che Dio abbia prima creato la materia iniziale, perché è evidente che prima del Big Bang qualcuno deve aver creato le necessarie condizioni perché dalla grande esplosione nascesse l’Universo attuale, e poi che i tempi e i modi della Creazione siano quelli descritti dalla Genesi. Per la regola che una cosa che non si conosce non può essere contraddetta, così come non si può contraddire il suo contrario, anche questa ipotesi, che sembrerebbe più di un’ipotesi, visto che anche la scienza ammette la necessità di certe condizioni anteriori al famoso big bang, sembra abbastanza credibile.
A questo punto, dopo aver definito Dio l’emanatore di ogni cosa, e quindi anche dell’universo, sorge il problema, già grande in Spinoza, dell’origine di tutto ciò che è finito (l’uomo, le cose).
In che modo la sostanza assolutamente infinita giunge a produrre il finito?
Leibniz risponde che tutta l’opera dell’Essere Infinito ha come esito finale la creazione di cose finite, ma soprattutto la creazione dell’uomo, fatto a Sua immagine e somiglianza, e questa intuizione di Leibniz sembra confermata dalle parole, che leggeremo più avanti, di un grande scienziato quando parla dei protoni, scintille di energia praticamente eterni, che sono i mattoni della vita.
Leibniz poi, diversamente da Spinoza afferma che Dio è l’Essere Libero per antonomasia: Dio è libertà, dice Leibniz, mentre Spinoza sostiene che Dio è necessità.
Dio non può avere obblighi né costrizioni, e quindi, dice Leibniz, quando Spinoza afferma che Dio ha creato per necessità, sbaglia perché Dio è assolutamente libero e quindi non può essere costretto da nessun genere di necessità, perché anche la necessità è una costrizione.
Tuttavia anche Leibniz, a un certo punto, si convince che Dio, nel creare la realtà, sia stato guidato da una certa necessità, che però lui definisce morale, per distinguerla dalle semplice ‘necessità’ di Spinoza “Dio è vincolato da una necessità morale a creare le cose, in modo che non sia possibile niente di migliore. In ciò si manifesta la Sua bontà, una bontà infinita che unita alla Sua sapienza infinita , lo porta a creare il meglio. Ed è appunto in ciò che si manifesta la libertà di Dio, infatti essere necessitato moralmente dalla sapienza e dalla considerazione del bene, significa essere liberi”.
Ora Leibniz affronta un altro grande interrogativo sull’esistenza di Dio: l’origine del male fisico e del male morale. Le cose e l’uomo, egli dice, sono, in ragione di questi mali, sostanze imperfette, per cui diventa obligatorio porsi la domanda :-
“Come si può pensare che Dio, nella Sua assoluta perfezione, abbia creato qualcosa di imperfetto”?
E ancora: “Se nella mente di Dio vi sono un’infinità di universi possibili, e poiché uno soltanto può esistere, perché Dio ha determinato questo universo anziché un’altro?
Leibniz risponde asserendo che “ ...per la bontà e la sapienza Dio è sempre la causa del meglio: la Sua sapienza gli fa conoscere, la Sua bontà gli fa scegliere e la Sua potenza gli fa produrre sempre il meglio, quindi Dio, nella Sua somma perfezione ha scelto il miglior progetto, in cui vi sia la più grande varietà, con il più grande ordine”.
Ma il migliore degli universi possibili non vuol dire universo perfetto, perché è proprio della condizione “finita” della realtà di essere “imperfetta”, essendo la perfezione solo dell’Essere Infinito, e questo risponderebbe a quegli scienziati che dicono che l’universo non è sempre perfetto, volendo con ciò sottindere all’impossibilità di una creazione divina dello stesso.
E qui Leibniz trova anche la risposta ai mali fisici e morali che colpiscono l’uomo e le cose, perché “...ciò che è il meglio nel tutto, è anche il meglio possibile in ogni parte, per cui un mondo con il male forse può essere migliore di un mondo senza male, oppure più giusto agli occhi di Dio”.
E’ su questa affermazione di “più giusto” che vorrei soffermare la mia attenzione, perché mi piace fare dei commenti per capire.
Più giusto, rispetto a un mondo senza male, quindi senza dolore, visto che il male indicato nella frase di Leibniz sembra essere quello fisico e non il Male opposto al Bene, più giusto significa forse che anche il male ha una sua funzione e una sua ‘necessaria’ presenza nella vita dell’uomo?
Oppure ha altri significati? Perché se il male, nel senso di dolore, fosse solo una eventualità senza scopo nella vita dell’uomo, avrei dei forti sospetti sull’Amore di Dio verso la Sua creazione. Ma se il male, inteso come dolore fisico, ha invece dei motivi ben precisi, alcuni addirittura di difesa dell’organismo, il dolore è indispensabile perché non si può cancellare il sistema nervoso dal corpo umano. Se uno si taglia una vena, e i suoi nervi non trasmettono al cervello il dolore, egli potrebbe morire dissanguato senza nemmeno accorgersi, quindi il dolore è necessario, anzi indispensabile alla vita stessa. Poi ci sono le malattie, e il dolore da malattia, e infine la vecchiaia e la morte. Sono tutte cose logiche nella vita ‘fisica’ dell’uomo. Tutto quanto è materia ha un inizio e una fine, in quanto l’uomo non può essere diverso dal resto delle cose del mondo. Veronesi si chiede perché mai il cancro nei bambini, e ancora come può esserci un dio che lo permette. Perché l’essere umano è materia e come ogni materia è soggetto a degrado, a inquinamento, a distruzione.
Poi esiste il male ‘morale’. Non si capisce se Leibniz intende anche la presenza di questo male come ‘cosa più giusta agli occhi di Dio’. Credo che il filosofo tedesco intendesse ambedue i tipi di male, fisico e morale, quando ha scritto quelle parole.
Il male ‘morale’ però non è parte della fisicità dell’uomo: una pietra ha sicuramente una fine, una stella ha sicuramente una fine, e così un albero e un ippopotamo, ma questo male ‘morale’ è solo dell’uomo, per quanto ne sappiamo.
Agostino afferma che il male morale, o angoscia esistenziale come a me piace dire, è l’effetto del porsi lontani da Dio mentre si è sulla terra, e Leibniz dice che il male, anche quello morale, è giusto che ci sia agli occhi di Dio. In ragione di quanto afferma Agostino, Leibniz ha ragione.
Ma l’uomo di oggi soffre di questo ‘male morale? Siamo veramente tanto lontani da Dio?
L’uomo si allontana da Dio, ha detto Gesù, quando serve mammona, e infatti, nelle sue predicazioni, mentre a Lazzaro, il povero che stava sulla soglia del ricco epulone per chiedere l’elemosina, è dato un nome, “un uomo chiamato Lazzaro”, al ricco questa dignità, di avere un nome voglio dire, non viene data, e Gesù lo indica solo come “un ricco”.
Questa era la considerazione che Gesù Cristo aveva per la ricchezza terrena.
Ma la domanda di adesso è: oggi l’uomo si è veramente allontanato da Dio? Devo dire di si.
L’uomo di oggi ha perso Dio sulla strada del niente. E questo ‘male morale’, che colpisce gran parte delle persone, è conseguenza del niente in cui viviamo, perché materialità, denaro, consumi sono il ‘niente assoluto’, mammona, appunto.
Vorrei, al proposito, riportare un brano tratto da un libro che, in certe parti, mi ha colpito e commosso, si tratta di “Anche Dio è infelice” di David Maria Turoldo. A pag.83 in un capitolo dedicato allo studio della parabola del buon samaritano, si legge

“...Così dunque il nostro pover’uomo scendeva sulla strada per Gerusalemme, e andava verso Gerico, città molto fiorente allora; così, dicevo, ‘incappò nei briganti’. Ma chi sono costoro? Anche in due sarebbero sufficienti a giustificare il plurale; possono essere una banda; quelli di una cosca avversaria; possono essere della mafia (una genia che è sempre esistita); possono anche rappresentare il sistema, questo nostro sistema, che poi esso pure, almeno sotto certi aspetti, è antico quanto il mondo. Un sistema che spoglia, e denuda, e rapina, e ammazza, un sistema soprattutto che emargina, che ti impedisce di vivere, lasciandoti agonizzante sulla strada. Anche se è proprio di qualunque sistema non essere solo male, e altro sistema che sia solo bene: perché non esiste un manicheismo assoluto, o bianco o nero. Non esiste, tanto per intenderci ‘un impero del male’, contro il mondo di un altro sistema il quale sia ‘il continente del bene’. Tuttavia il nostro sistema , questo capitalismo, di cui noi ci onoriamo come del più splendido blasone, lo si può definire, sotto molti aspetti, certamente uno fra i più atei e disumani fra tutti i sistemi apparsi nella storia. Ateo, perché ha per fine quasi esclusivo il capitale; e il Vangelo dice che ‘ voi non potete servire Dio e mammona’, poiché il cuore dell’uomo è indivisibile. Per questo sistema, ciò che conta è il capitale. E di capitale non ce n’è mai abbastanza. Non esiste economia del superfluo, nemmeno nell’economia della più grande potenza del mondo esiste il superfluo. Esiste il consumismo, ma non il superfluo, in nessuna parte del mondo, perché è della natura stessa della ricchezza di essere divoratrice, è la divinità più assetata di sangue. Perciò è anche il sistema più disumano. Dietro un capitale voi troverete altri capitali, mai troverete la faccia di un uomo. In fondo e dietro a tutto è il sistema, quando diventa dittatura dello spirito, imperialismo economico, vera religione di una società, che rapina e ammazza; è allora che si formano le cosche e le mafie; le quali poi si intrecciano alle stesse politiche e alle stesse attività produttrici del sistema; si formano cioè le piovre, i famosi mostri con tentacoli diffusi in tutta la vita del paese, contro le quali sembrerebbe che non ci sia scampo, in assoluto. In fondo è una realtà che fa parte della terza tentazione di Cristo, quando il seduttore dall’alto della montagna, fa passare davanti agli occhi del grande tentato tutti i regni della terra, e gli dice ‘tutti questi regni io ti darò, se tu prostrato mi adorerai’. Di fronte alla quale realtà ce ne sta un’altra: quella di un mondo devastato e oppresso, angariato e sfruttato con tutti i mezzi, quelli del libero mercato soprattutto. La realtà del terzo, e del quarto mondo, che tutti conosciamo, i cinquanta milioni che muoiono ogni anno di fame sulla terra; i due terzi dell’umanità che è appena nutrita, e soprattutto denutrita, mentre un terzo del mondo ha bisogno addirittura di ‘consumare’, di distruggere, per poter continuare a vivere. Perché senza consumismo la stessa potente industria rischia di fermarsi, e si svilisce il capitale, quando invece con il consumismo la ricchezza tanto si moltiplica, da diventare inutile. Paesi e continenti interi sono spogliati dal sistema, come noi neppure immaginiamo, in quanto la stessa informazione è in mano al capitale e il capitale non parlerà mai male di sé. In un libro di Rifking, Entropia, è scritto che noi, a meno che non si cambi, stiamo andando a marce forzate verso la morte, e non solo in virtù della distruzione ecologica della natura, ma soprattutto per il degrado delle energie e la loro incalcolabile dispersione, fino al punto di non essere in grado di recuperarle più, e ancora perché tutto questo porta ad una sperequazione spaventosa nei rapporti socioeconomici del mondo. Vale per tutti l’esempio degli USA che, da soli, attualmente, consumano energie che sarebbero sufficienti per ventidue miliardi di uomini. Ciò è scritto nel libro di Rifking, ed è il libro di una grande scienziato, per di più americano. Ma non si tratta neppure soltanto degli Usa. Sarebbe bene invece che si approfondisse il discorso sulle multinazionali: questo è il vero problema del mondo. Helder Camara dice che le multinazionali hanno del diabolico. Si è riusciti a fare l’internazionale dei padroni, mentre non si riuscirà mai a fare l’internazionale degli operai; e i sindacati sono sconfitti perfino in casa propria.
E’ questa la realtà adombrata dalla comparsa dei briganti nella parabola del buon samaritano? Libero il lettore di condividere o meno, ma non libero il credente di non dare realtà attuale e concreta alla sua fede, non libero di negare l’attuosità alla parola”
.
Con queste parole David Maria Turoldo, un sacerdote che portava la luce nel cuore di chi lo avvicinava, definisce il nostro mondo di oggi, e l’organizzazione sociale che ci siamo dati, o che abbiamo dovuto subire da chi è più potente di noi.
Ed ecco quindi che, come dice Gesù, essendo il cuore dell’uomo “indivisibile”, questi non può servire Dio e anche mammona, e avendo scelto mammona, cioè la materialità della vita, i suoi agi, i suoi vizi, le sue cattiverie, non può servire Dio: da qui il male morale che l’uomo di oggi porta con sé, il male oscuro, che appunto è originato dal niente sostanziale che abbiamo nel cuore.
Alla luce di quanto ha scritto padre Turoldo, che marxista non mi sembra abbia mai dato l’idea di essere, si può cominciare per esempio a dubitare dell’assioma che vorrebbe che un marxista non possa anche essere credente, come molti pensano.
Nel senso che credere non dovrebbe impedire di pensare, come cerco di dire e di dimostrare dall’inizio. E se io vedo tanto egoismo, tanto spreco, tanta ingiustizia in questa società penso che il sistema che la regge ha assoluta necessità di essere cambiato. E non vedo, per quanto mi sforzi di cercare, alternative alla società attuale che ha creato e alimenta le ingiustizie che vediamo, se non in una più responsabile applicazione del marxismo economico, là dove dice che è alla società intera che vanno affidati i mezzi di produzione, e non a pochi individui.
Ma questo è un’altro discorso, che magari faremo più avanti

cireno
19-12-15, 18:23
Continuiamo nella nostra analisi sui filosofi e Dio.
Platone è vissuto circa quattrocento anni prima di Gesù, e deve essere considerato uno dei più grandi pensatori dell’umanità. E’ stato fra i primi filosofi dell’era conosciuta ad affrontare in maniera organica il problema di Dio, e su questo ha scritto cose che hanno originato scuole e correnti di pensiero ancora esistenti e vive ai nostri tempi.
Secondo gli studiosi però, il primo riferimento a qualcosa di simile a Dio sembra essere venuto da Parmenide, filosofo greco, nato a Elea intorno al 540 a.C. Nel suo poema “Sulla natura”, di cui si hanno decine di frammenti scritti, egli, nel proemio, fa parlare una dea che apre dicendo che la verità alla quale egli (Parmenide) è giunto è situata lontano dal cammino degli uomini, quindi è estremamente difficile da capire, e prosegue dichiarando che “l’immutabile nucleo della verità perfettamente sferica” che viene contrapposta “alle opinioni dei mortali, alle quali opinioni non inerisce nessuna vera persuasività né valore” non può essere compresa dall’uomo perchè essa non può abitare se non una regione lontana da quella dove abita l’uomo.
E se la Verità, continua Parmenide, abita in un ambiente “non umano e quindi non mortale”, significa che abita in un ambiente divino, cioè là dove abita l’ente o essere senza origine, che ha originato il creato, l’ente o essere che non era e non sarà, che non conosce né divenire né morire, per cui la Verità e l’Essere senza origine sono la stessa cosa.
E’ con queste affermazione che Parmenide ipotizza la presenza di Dio, anche se mai lo nomina. Parte da questo filosofo, nato 2500 anno or sono, quel lungo filo di pensiero che è passato poi per Platone fino a Kant, per concludersi con Heidegger.
Eraclito da Efeso, qualche anno dopo, si spinge ancora più avanti nella ricerca di Dio, un dio vicino all’uomo, a differenza di quello di Parmenide che abbiamo visto lontano dal reale e dal finito, assolutamente trascendente.
Il Dio immaginato da Eraclito è invece un dio immanente, vicino all’uomo in ogni momento.
Per questo filosofo Dio non è il puro separato, come in Parmenide, ma è “colui che ha in mano le leggi dell’infinito” per cui “tutte le leggi si nutrono dell’unica legge divina, quella di Dio”. Ne discende che Dio è tutto “il giorno, la notte, l’inverno e l’estate, la guerra e la pace, la fame e la sazietà, perché egli è l’armonia generale”.
E finalmente siamo a Socrate, questa figura straordinaria nel campo del pensiero umano, che vede in Dio “colui che nel medesimo tempo vede tutto e ascolta tutto, è presente dappertutto e si prende cura di tutto”. Sembrerebbe, a prima vista che Socrate, accetti tutta la filosofia a lui precedente, specialmente quella di Eraclito, che vede nella divinità qualcosa di immanente all’uomo e alla natura. Ma non è così, perché Socrate deve proseguire e andare oltre la filosofia dei sofisti, oltre la figura di un dio mescolato al reale dell’esistenza. Ad esempio, là dove Protagora afferma “sugli dei io non posso sapere né se essi sono, né se non sono, né se hanno forma, giacché molto è ciò che ostacola il conoscere: il mistero dell’argomento e la brevità della vita dell’uomo”, Socrate trova invece la via della certezza, seppur in un modo del tutto nuovo.
Intanto egli sa che il non sapere, cioè la certezza di sapere di non sapere, è la condizione definitiva e costante dell’uomo, tuttavia alcune condizioni gli danno la sicurezza di sapere di avere un punto di partenza giusto e queste sono: il desiderio di verità, il bisogno di conoscere, il primato della vita retta(meglio subire un’ingiustizia piuttosto che farla).
Queste certezze fondamentali sono bagaglio innato dell’uomo e si originano nelle sue interiorità, e questo per Socrate è il punto certo da cui far partire la ricerca. In questo modo Socrate rappresenta la svolta, mettendo Dio ‘dentro’ ciascun uomo, e non al di fuori come voleva Eraclito e nemmeno lontano come pensava Parmenide.

Torniamo ora a Platone. Su quanto affermato da Socrate, egli costruisce una prima teologia filosofica, che gli studiosi indicano non come “una filosofia attraversata dalla religione” ma una cosa sola con la religione stessa”.
Abbiamo fatto, in meno di duecento anni, passi da gigante sulla strada della ricerca di Dio, e mancano ancora più di trecento anni prima che sulla terra compaia la figura straordinaria di Gesù di Nazaret.
Ora io vorrei fare una piccola osservazione, prima di continuare il discorso sulla filosofia.
Molti uomini di oggi sono convinti di esseri atei, o quanto meno agnostici, come sono io, o altrimenti indifferenti, che è la condizione peggiore.
Guardano il cielo, vedono le stelle e il sole, forse sanno anche che di sistemi solari come quello in cui vive la terra ce ne sono miliardi, in un universo infinito che la mente non riesce nemmeno a costruire per immaginazione, sanno che tutto è regolato con un ordine certamente superiore e non pensano, non si fanno domande, per esempio: ma chi ha originato tutto ciò, e perché?
Vagamente alcuni pensano che è la scienza a saperlo, e questo pare bastare per mettere a dormire la curiosità che invece dovrebbero avere. Altri nemmeno se lo chiedono, problemi distanti pensano, che non hanno niente a che fare con quello che succede tutti i giorni. Altri ancora forse non vedono nemmeno le stelle perché guardano solo per terra, e sono tanti.
Alcuni conoscono la coscienza, sanno cos’è il rimorso, hanno magari un innato sentimento che vorrebbe che non vengano commesse cattive azioni, e non pensano, non si chiedono da dove vengono loro questi sentimenti.
Magari hanno sentito nominare, o addirittura conoscono, certe grandi figure storiche, Eraclito, Parmenide, Socrate, Aristotele, Platone, Agostino, Tommaso ecc., e non pensano, non si chiedono, ma perché questi uomini hanno dedicato la loro vita, la loro sapienza, per qualcosa a cui io non credo, o non mi interessa?
E nemmeno si domandano come hanno potuto, nella loro piccola mente, decidere ciò che le più grandi menti del passato hanno impiegato vite intere magari per non riuscire a decidere?
Io sono certo che la superbia e l’arroganza sono fra i più grandi difetti dell’uomo, difetti direttamente connessi con il Male, ma in questo caso sono convinto che sia più colpevole l’indifferenza o peggio, la superficialità.
Nascere, vivere, morire, senza nemmeno tentare di avvicinare il grande tema dell’esistenza di Dio. Nascere, vivere, morire alla stessa maniera degli animali: senza scopo, senza fine, senza domande? Può anche non interessare chi legge ma io è da una vita che mi pongo domande sulla mia esistenza, sull’Universo, sull’esistenza di Dio, e non riesco a capacitarmi di come gran
parte dell’umanità sia invece assolutmente disinteressata a questi problemi…
Torniamo alla filosofia di Platone.
Egli scorge, innanzi tutto, l’errore umano che vorrebbe il cielo e la terra, il fuoco, l’aria e l’acqua e tutto quanto da questi elementi deriva, animali e vegetali, uomini o minerali, come nati dal caso.
Platone è il primo fra tutte le grandi menti umane a rifiutare l’ipotesi del ‘caso’ creatore.
Egli dice “se tutto ciò (pianeti, stelle ecc.) nasce dal caso, la nostra anima è di conseguenza posteriore ad essi, per cui ciò che è la causa prima del divenire e del corrompersi di tutto, essi (i fautori del caso creatore) dicono che non è realtà prima, ma successiva. E qui sta l’errore perché l’anima nasce prima del corpo, perché non potrebbe essere altrimenti, essendo il corpo l’involucro mortale dell’anima immortale”.
Ora per il materialista, o per il positivista o semplicemente per lo scettico, accettare il pensiero di Platone quando dice che il corpo è l’involucro dell’anima, diventa difficile perché il corpo è visibile e l’anima è solo una supposizione, quindi nessuno può dimostrare allo scettico o al positivista che dentro il corpo ci sta un’anima.
E ancora sul rifiuto di Platone di considerare “casuale” la nascita del cielo e della terra, degli animali e delle piante, insomma dell’universo, vorrei fare un’altra disgressione, e parlare di scienza e di fede.
Molte persone che si professano atee, si appellano alla scienza, e alle sue scoperte, per confutare i Testi Sacri, la Genesi in particolare, e quindi la creazione dell’universo da parte di Dio: così facendo pretendono di negare l’esistenza di Dio.
Questa era una posizione che nell’Ottocento poteva avere qualche giustificazione, in quanto la scienza sembrava portare a conclusioni contrastanti le idee religiose, ma le ricerche e le scoperte più recenti, specialmente nel campo della fisica, della matematica e della cosmologia, sembrano al contrario avvicinare sempre più la scienza alla religione e all’esistenza di Dio. Infatti essere riusciti a entrare nell’immensità dello spazio cosmico e nella profondità del tempo, nell’ infinitamente grande e nell’ infinitamente piccolo, ha aperto una serie di domande proprio legate alla possibile presenza di Dio, alle quali domande è possibile oggi dare alcune risposte.
I grandi problemi che gli scienziati hanno avuto davanti dall’inizio erano: stabilire se l’universo è un sistema caotico oppure ordinato, o le due cose insieme; stabilire se l’universo è infinito nel tempo, cioè non ha mai avuto inizio, e quindi non avrà mai fine, oppure se ha avuto un’origine, dal nulla, da un punto iniziale che potrebbe riportarci alla Creazione; stabilire se l’universo si evolve casualmente, oppure se segue un progetto e una finalità, un disegno preciso; stabilire il significato della figura dell’uomo rapportata all’universo.
A queste domande la scienza oggi è arrivata a dare risposte sicure.
a) L’universo non è un sistema caotico ma abbastanza ordinato, che si muove su leggi razionali e assolutamente matematiche: infatti ogni teoria che riguarda la cosmologia è poggiata su questa sicurezza.
b) L’universo è finito nel tempo, che vuol dire che c’è stato un momento in cui è nato, in cui si è oppure è stato creato. La famosa teoria del Big Bang dovrebbe dimostrare, con un ampio margine di certezza, il momento di questa creazione. Consideriamo che secondo la Teoria del Big Bang tutta la materia-energia prima della grande esplosione era concentrata in un piccolissimo punto di inimmaginabile densità e di enorme massa, inaccessibile alle cognizioni fisiche in nostro possesso e per questo chiamato dagli scienziati ‘singolarità iniziale’. Questo nostro infinito universo occupava uno spazio più piccolo di un nucleo atomico, praticamente insignificante come misurazione.
c) L’universo si evolve in maniera matematicamente razionale e precisa, anzi addirittura si parla, nella scienza, di ‘creazione continua’: sembra addirittura che esso segua un progetto di evoluzione cosmica, strettamente connesso con quello di evoluzione biologica, che ha come scopo finale la nascita della vita e quindi la comparsa dell’uomo, capace di studiare e di comprendere la struttura dell’Universo e le sue leggi.
d) Per questa ragione l’Uomo appare come la tappa conclusiva di queste evoluzioni, cosmica e biologica, un essere che vive a metà strada tra l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo, essendo lui infinitamente complesso. Basta pensare che il corpo dell’uomo è composto da centomila miliardi di cellule, ognuna delle quali contiene migliaia di miliardi di molecole. Ogni cellula poi funziona come un perfetto, sofisticatissimo laboratorio chimico, che presiede automaticamente alla costruzione e alla regolazione dell’intero organismo. Nel quale organismo la scienza può oggi scorgere le stesse leggi, matematicamente logiche e razionali, che regolano l’intero universo. E’ uno dei grandi motivi che stanno avvicinando la scienza alla religione e che sembrano testimoniare dell’esistenza di un creatore, visto che la casualità sembra essere del tutto assente sia nel sistema universo che nel sistema uomo, e visto anche che sembra esistere una matrice identica, per l’uomo e per le cose, talmente uguale da poter essere definita una matrice comune.
Un Premio Nobel, il fisiologo e filosofo Sir John Eccles, ha detto, in una conferenza: “Quando guardiamo alla meravigliosa immensità del cosmo, vediamo che tutti gli eventi appaiono come un’unica operazione calcolata con estrema precisione. Potremmo anche affermare che tutto questo è avvenuto e avviene per caso, ma sarebbe una spiegazione stupida: io penso che al di sopra di questa immensità non possa esserci altro che Dio”.
Carter, fisico, matematico e cosmologo, ha coniato un ammodernamento della famosa frase di Cartesio “Cogito, ergo sum” ( Penso, quindi esisto) con “Cogito, ergo mundus talis est”. Infatti, lui ha scritto, ogni costante della natura è stato scelto con tale precisione che l’evoluzione cosmica è giunta ai viventi e quindi all’autocoscienza di sé.
Sarebbe bastato una lievissima modificazione al valore di determinate costanti che regolano l’universo, perché la Vita non sarebbe mai potuta nascere. Ad esempio, se la forza di gravitazione fosse stata leggermente superiore a quella che è, l’universo sarebbe collassato in breve tempo; se fosse stata leggermente più debole, il cosmo si sarebbe espanso, ma non si sarebbe potuto avere la condensazione della materia in galassie, stelle, pianeti, e quindi la Vita non sarebbe mai nata, e nemmeno l’universo, che sarebbe rimasto una semplice aggregazione di gas e nubi cosmiche.
Sembra esserci quindi un disegno preciso (e lo vedremo) che non viene nemmeno contraddetto dalla scienza, del resto incapace a spiegarsi ‘le cose che contano’ malgrado le scoperte.
A me sembra che a questo punto anche il più refrattario all’idea di una possibile esistenza di Dio, potrebbe cominciare ad avere, se non altro dei dubbi.

Certo, negare è molto più facile che credere: anzi spesso è solo una posizione di comodo, si evita di pensare. Però ora che siamo riusciti a trovare una serie di argomenti abbastanza suggestivi per poter cominciare a pensare in maniera positiva, sarebbe giusto continuare incrollabilmente a negare senza nemmeno darsi la pena di valutarli?
Certo cercare la fede significa tentare di compiere un salto di qualità: non è facile per l’uomo moderno, tutto preso da compiti che gli impediscano di fermarsi a riflettere, riuscire a trovare anche la fede, ma uno scienziato ha insegnato come trovarla: basta cercarla. Sembra una banalità e invece è una grande verità. Puoi trovare la fede se la cerchi, se non ti fai condizionare dai tuoi problemini insignificanti che tu invece, preso come sei nell’ingranaggio dell’ovvio, vedi come giganteschi. Basterebbe leggere, cercare di capire, riflettere.
Lo ha detto Max Plank, lo scopritore della Teoria dei Quanta, uno dei più grandi fisici e matematici mai esistiti. Egli, guardando “l’ordine della natura” e osservando la “razionalità che guida l’Universo e perfino il piccolo atomo”, “Questo sentire la grandiosità del disegno, l’ordine e l’armonia del creato creano per forza, in molti di noi, la fede dello scienziato” ha sentito il bisogno di capire, e per capire ha dovuto, come fa sempre uno scienziato, cercare. Chissà com’è che per molte persone invece tutto è già saputo, conosciuto per cui è inutile ‘cercare’?
Bisogna dire che la fisica quantistica, di cui Max Plank è stato un pioniere, si applica normalmente al microcosmo costituito dagli atomi e dai loro componenti, però in linea generale la fisica quantistica si applica anche alla cosmologia, all’astronomia.
Oggi sembra essere diventato di moda, fra gli scienziati, applicare questa ‘quantistica’ anche per indagare l’universo. Naturalmente si tratta di tentativi, praticamente degli esperimenti scientifici, che però contengono possibilità fortemente stimolanti. Per pura ipotesi, non sarebbe nemmeno assurdo che domani si riuscisse a dimostrare che l’universo si è generato spontaneamente come risultato di un processo quantistico, ipotesi che comunque non sposterebbe di una virgola il problema della creazione in quanto nascerebbero le solite domande su chi dovrebbe aver innescato il processo di auto-generazione del mondo ecc.

cireno
20-12-15, 11:32
Chiaramente il fatto che il cosmo nascente fosse privo di forma e contenuto, facilita enormemente il problema della sua origine ultima. E’ molto più facile credere che sia apparsa spontaneamente dal nulla una condizione di semplicità priva di caratteristiche, che credere che l’attuale stato dell’universo si sia materializzato dal nulla nella sua forma altamente complessa. Ma su queste stimolanti ipotesi la scienza ancora deve lavorare. Restiamo quindi alla scienza di oggi.
Un giorno a uno scienziato italiani fra i più noti, il professor Antonino Zichicchi, fisico sub-nucleare, scopritore del antideutono, il primo esempio di anti-materia nucleare, fu chiesto perché, secondo qualcuno, scienza e fede dovrebbero essere contrastanti e lui rispose

“No, religione e scienza non c’è motivo che debbano essere contrastanti, già Galileo sosteneva che la scienza opera sull’immanente e la religione sul trascendente, e queste due forme di esistenza non possono venire in conflitto fra loro perché entrambe sono figlie dello stesso Creatore”. E su un’altra frase di Galileo “La natura ha scritto il suo libro in codice matematico”, Zichicchi dice “Questa affermazione di Galileo deve essere presa come un atto di fede, perché a quel tempo delle leggi matematiche che regolano l’Universo, nessuno poteva sapere praticamente niente”. E sull’esistenza di Dio, Zichicchi afferma “Io penso che sbaglino sia quelli che pensano che la scienza può dimostrare che Dio esiste sia quelli che pensano il contrario. Ma la scienza può dare un grande messaggio culturale all’uomo di oggi e questo messaggio deve essere accettato da atei e da credenti, perché è fondato sullo studio dell’immanente, delle cose che si toccano, sulle quali non c’è discussione. Qual è questo messaggio? Eccolo: il mondo in cui viviamo, dal microcosmo al macrocosmo, da quello subnucleare ai confini dell’universo, è retto da leggi universali e immutabili nello spazio e nel tempo, leggi che hanno una sola identica matrice. L’insieme di queste leggi fa la logica della natura. Nessun scienziato può dire perché, fra tutte le logiche possibili, la natura abbia scelto proprio questa che noi cerchiamo di studiare e decifrare giorno dopo giorno. Ma una cosa è certa, ed è che questa logica esiste! Ed è una logica rigorosa, perfetta, incriticabile, il libro della natura non è scritto a caso, mai una virgola è stata trovata fuori posto. E questo è un discorso importante, che deve far molto pensare”.

E ancora, interrogato sulla famosa teoria del big-bang e sull’esistenza di Dio, Zichicchi conclude: “Tante persone parlando del big-bang, negano poi Dio: dicono che noi veniamo da quella grande esplosione, e così pensano di aver risolto il problema. Ma cosa c’era prima del big-bang? Questi non poteva nascere dal nulla cosmico! Prima bisognava che esistessero le leggi fondamentali della natura: lo spazio, il tempo, le cariche, la massa, l’energia, altrimenti non sarebbe stato possibile che, dopo, le cose prendessero il corso che hanno preso. Prima del big-bang bisognava fare lo spazio e decidere quante dimensioni doveva avere: se chi a creato il mondo lo avesse voluto a due dimensioni, noi saremmo come fogli di carta, ci vuole la terza dimensione per essere come siamo! Se chi ha fatto il mondo non avesse creato il tempo, noi saremmo immobili come figure geometriche, e se non avessimo la massa, non ci sarebbe nulla di quello che ci circonda: se ci danno una bistecca senza massa, cosa mangiamo? Poi ci vuole l’energia e anche le cariche, che evitano alla massa di trasformarsi in energia e quindi di esplodere. Chi ha creato il mondo ha dovuto fare tutte queste cose prima del big bang! Analizzando poi le origini concettuali e scientifiche della nostra esistenza, non si può che rimanere ammirati. n giorno Einstein disse, al proposito Se dovessi rifare il mondo e l’universo devo riconoscere che lo rifarei esattamente come è stato fatto, perché non si può immaginare nulla di più perfetto. E quando Einstein finalmente riuscì a scrivere la famosa equazione della gravitazione generale, la trovò di una tale eleganza matematica che rimase ammirato ed esclamò: Ecco, è così che io penso al Creatore”.

Ecco allora che, per le parole di grandi scienziati, noi ci troviamo dinnanzi, con l’universo, alla più grande dimostrazione di fantasia creatrice che si può immaginare. Soffermiamoci un attimo a pensare a questo universo che si ritiene abbia una possibilità di vita di almeno cento miliardi di anni. Dalla famosa esplosione ne sono passati, si è calcolato da parte della scienza, quindici o venti, quindi l’universo è ancora in netta fase di espansione. La sera il cielo è nero perché, espandendosi, le stelle si allontanano fra loro e la radiazione elettromagnetica si abbassa di frequenza. Fra circa 30, 40 miliardi di anni l’universo si fermerà nel suo espandersi e comincerà a collassare, il cielo pian piano diventerà bianco e poi tutto scomparirà, oppure, attraverso quello che viene chiamato big-crunch, darà origine a un nuovo universo, probabilmente attraverso una nuova esplosione come il big-bang. In ogni caso ‘questo’ universo scomparirà. Scomparirà, ho detto. Una vita di cento miliardi di anni e poi migliaia di miliardi di soli e stelle e pianeti SCOMPARIRANNO, magari per essere trasformati in altra cosa! Però non scompariranno i protoni, cioè le palline di energia che compongono la materia di cui è fatto l’uomo, le cellula della vita. Per un protone, cento miliardi di anni sono NIENTE, un battito del cuore, un secondo della nostra esistenza. Per cui i mattoni che ci compongono, la radice, la base della vita, continueranno ad esistere anche DOPO la scomparsa, o la mutazione, dell’universo, perché sono praticamente eterni. Questi mattoni ricordano le monadi di Leibniz, energia che proviene da Dio, gli eoni divini.
E allora, ancora una volta, ci troviamo di fronte a “messaggi” che sembrano proprio voler confermare quanto le Scritture dicono, messaggi che provengono dalla scienza, che li ha letti nell’universo del macro e del microcosmo, messaggi che ci dicono che sembra giustificato pensare alla Creazione come parte di un fine che vede l’Uomo come protagonista, l’Uomo creato da Dio a ‘propria immagine e somiglianza’, l’uomo ‘fisico’ formato essenzialmente da questi “protoni” che sembrano raccogliere in loro l’eternità divina.
Vorrei qui fare un’altra chiarificazione sul fatto che saremmo stati creati, secondo i sacri testi, ad immagine e somiglianza di Dio. In una discussione di qualche giorno fa un bello spirito di pensatore, mio figlio, mi ha chiesto: a quale uomo assomiglia Dio, a quello primitivo che sembrava una scimmia o a quello che sarà in futuro? Era una domanda chiaramente provocatoria. E’ chiaro che noi non siamo stati creati a immagine e somiglianza della fisicità di Dio, perché Dio non ha fisicità, ma dello spirito. O qualcuno pretenderebbe che Dio sia un bell’uomo, alto, magari con la barba bianca e gli occhi azzurri? Per la teologia Dio è puro spirito e quindi la somiglianza con Lui è proprio in quella parte che Platone ha chiamato pneuma, che vuol dire anima. Ci sarebbe poi tutta la discussione sul dio veterotestamentario, il dio di Mosè, di Abramo che per alcuni pensatori non sarebbe lo stesso dio che ha generato Gesù, ma su questo argomento mi riprometto di soffermarmi in futuro.
Tornando ai messaggi della scienza di cui parlavo più sopra, questi non fanno altro che confermare la tesi che vuole Dio esistente proprio come spiegazione dell’origine ultima della vita, la stessa tesi che non crede alla vita nata dal nulla e che alla fine tornerà allo stesso nulla, ma pensa a una totalità con un senso e un valore, che non sono semplicemente Kaos, ma cosmo, “perché il tutto ha una sicurezza prima e ultima in Dio in quanto origine, autore, creatore” (Bertrand Russel)
Ma qui torniamo a uno dei problemi fondamentali della filosofia: perché c’è qualcosa e non il nulla? Si è chiesto un importante filosofo. Domanda fondamentale sulla quale hanno dibattuto tutte le correnti di pensiero. E la risposta non può certo venire dalla scienza, che del resto rifiuta la domanda come priva di senso, in quanto essa studia il qualcosa che esiste e non il possibile nulla che non c’è.
Come giustamente si chiede Kung in un suo libro, “chi mai ha dimostrato inequivocabilmente che il problema del senso del tutto è privo di senso”?
I due racconti biblici della Creazione - il primo scritto nel 900 a.C. e il secondo nel 500 a.C.- non informano certamente sull’origine dell’universo in senso scientifico, per cui non avrebbe senso accettarli come “verità dimostrata”. La Bibbia non è stata scritta da un fisico, non riporta scoperte della scienza, la Bibbia “interpreta” i fatti, per cui là dove la scienza non arriva a spiegare, la Bibbia invece arriva, perché offre una testimonianza di fede. E dalla Bibbia sappiamo che l’inizio dell’universo non è stato né il caso né l’arbitrio, né la cieca energia, ma solo Dio e la sua buona intenzione nei confronti della Creazione. Come dice ancora Kung però non dobbiamo pensare a Dio come ad un architetto o come a un orologiaio, che stava lì a organizzare dall’esterno tutte le cose e ne determinava l’ordine. Che Dio abbia creato il mondo dal nulla non è un’asserzione scientifica su un falso vuoto con una forza di gravità negativa, ma neppure significa un’automazione dal nulla (cioè un vuoto spazio nero) esistente prima di Dio o situato accanto a Dio, ma è l’espressione teologica per indicare che il mondo e l’uomo, insieme allo spazio e al tempo, provengono soltanto da Dio e da nessuna altra causa.
La testimonianza di fede dei racconti biblici della Creazione, così come dimostrano ad esempio, anche gli affreschi di Michelangelo nella Cappella Sistina, rispondono con immagini e metafore proprie del loro tempo a problemi che sono ineludibili anche per l’uomo di oggi, problemi che la scienza non è ancora in grado di risolvere. E il messaggio della prima pagina della Bibbia è:-
· Il Dio buono è l’origine di tutto e di ciascuna cosa.
· Egli non è in concorrenza con nessun principio alternativo cattivo o demoniaco.
· Il mondo nella sua totalità e nelle sue singole parti, anche la notte, la materia, gli animali inferiori, il corpo umano e la sessualità sono fondamentalmente buoni.
· La creazione significa la benevola attenzione del Dio buono al mondo e all’uomo.
L’uomo è quindi il fine del processo creativo, e proprio per questo è responsabile della cura del proprio ambiente, della natura. Vorrei sottolineare l’ultima frase che è stata tratta, nel suo senso finito, dalla prima pagina della Bibbia “l’uomo è quindi il fine ultimo del processo creativo”. E con questa frase sott’occhio tornare alla pagina precedente, laddove si è parlato dei protoni, mattoni della sostanza umana, praticamente “eterni”. Non si concilia questa ultima scoperta della scienza, non solo con le monadi di Leibniz, ma addirittura con la prima pagina della Bibbia, una pagina scritta 3000 anni or sono, proprio in quella parte che abbiamo or ora sottolineato: l’uomo è quindi il fine ultimo della Creazione? Se pensiamo al fatto che fra 50/60mila miliardi di anni questo universo sarà scomparso, e che probabilmente attraverso una nuova esplosione rinascerà con una nuova forma, magari con coordinate differenti, o forse non rinascerà affatto, (ma non è questo il problema), se rinascerà, dicevamo, l’unica cosa certa sarà che le monadi, i mattoni della vita, cioè i protoni, ancora voleranno nei nuovi spazi appena nati per creare di nuovo la vita.

E’ questo l’incredibile! Per creare nuovamente la vita!
E allora quella frase della Bibbia che abbiamo sottolineato, una frase, ripeto, vecchia di 3000 anni, “l’uomo è quindi il fine ultimo del processo creativo” come spiegarla se non come volere di Dio?

Un’altra frase è molto importante, sempre in questa prima pagina della Bibbia, è dove si dice, riferendosi a Dio “Egli non è in concorrenza con nessun principio alternativo o demoniaco”. Questo vuol significare che il Male non esiste?
Grandi discussioni teologiche e filosofiche si sono sviluppate da secoli, al riguardo.
Per la mia modesta opinione il Male esiste, nulla sarebbe più grave del pensare il contrario. Parleremo del Male anche in altra sede ma in questo momento vorrei soffermarmi sul concetto di Male, e sulla sua esistenza.

Il Male non può essere in concorrenza con Dio e non può essere a Lui alternativo, perché per sua natura il Male è autodistruttivo, e quindi nulla può realizzare. Ma il Male che l’uomo conosce non è solo il male dell’uomo, quello di cui abbiamo già in qualche modo parlato, quello fisico e anche quello morale, ma un principio sovra-individuale, una potenza negativa, che il Nuovo Testamento indica come “potenza e potestà”. Quindi escludiamo da subito che esistano uomini cattivi per spiegare, ad esempio, Auschwitz e l’Olocausto. Perché questo sarebbe un grave errore di giudizio: terribile banalizzare il male privatizzandolo all’uomo singolo “cattivo”. Così come sarebbe sbagliato personificarlo in esseri sovrumani, demoni e diavoli, dotati di ragione, che prendono possesso dell’uomo per ridurlo a servo di Satana. Anche se questo può capitare, sarebbe una soluzione troppo semplice del problema della colpa: Hitler era forse preda del demonio? Personalmente non credo.

Come dice il teologo, la rappresentazione mitologica di Satana e delle sue legioni di diavoli, entra nella Bibbia ebraica ai tempi della dominazione persiana (539-331 a.C.), non c’entra niente con la religione ebraica e non dovrebbe essere accettata dagli uomini d’oggi. Eppoi nemmeno Gesù, benché vissuto in un’epoca in cui la credenza dei demoni era assai diffusa, stranamente non lascia trasparire nulla di questo dualismo di provenienza persiana, in cui Dio e il diavolo combattono sullo stesso piano, per il possesso del mondo e dell’uomo.

Gesù non parla del messaggio minaccioso di Satana, alle folle che lo ascoltano, ma solo di quello gioioso di Dio, ma Lui, Gesù, è di un’altra dimensione, forse, come pretende Marcione, di “altra” origine, perché Satana, nell’AT esiste, addirittura scommette con Dio, quel dio demiurgo secondo Marcione, sull’esito delle sofferenze che lo stesso dio/demiurgo fa patire a Giobbe. Il regno di Dio è una Creazione buona e Gesù, quando si legge che ha cacciato i demoni, prende sovente solo il significato di colui che, con quegli esorcismi, ha inteso liberare gli ossessi dalle costrizioni psichiche in cui erano posti gli anormali veri, e spezzare così il circolo infernale di turbamento psichico=fede nel diavolo=disprezzo sociale.

Però, forse io esagero nel credere che Satana fosse solo un derivato postumo della prigionaia degli ebrei in Persia. Infatti come spiegare il principe del male che ha tentato Gesù nel deserto, offrendogli tutti i beni del mondo, ricchezza e gloria dall’alto del picco sul mondo?

Allora accettiamo che Satana esista davvero, anche se non è sempre dietro l’angolo a insidiare le piccolissime virtù degli uomini
C’è stato un teologo cattolico di nome Herbert Haag che, senza negare la potenza del Male nel mondo, ha indicato nella fede dell’esistenza del diavolo la causa di danni incalcolabili all’umanità e anche alla stessa religione.
In effetti è stolto lo schematismo dualistico che, con assoluta leggerezza, pretende che là dove esiste un Dio personificato, debba esistere anche un demonio altrettanto personificato; dove si crede a un paradiso premiante debba anche esistere un inferno di punizione; dove esiste la vita eterna debba esserci anche la sofferenza eterna. Come se, per il fatto che esiste una cosa, necessariamente debba esistere anche il suo contrario.
No, Dio non ha bisogno di un anti-Dio per essere Dio, anche se questo anti-Dio da sempre, lo vedremo, lotta per separare l’uomo dal suo creatore.

Ma allora, in definitiva, il Male esiste o no? Per quel che mi riguarda ho già risposto di si, esiste. Ma ci sono anche pensieri differenti dal mio.

Per esempio: secondo certa filosofia orientale il Male non esiste, e se esiste non è originato da Dio ma creato dall’uomo, dalle sue paure e dalla sua malvagità. Però attenzione, l’ultima parola su questo argomento non può dirla nessuno.
Per la chiesa cattolica il Male invece esiste, esistono gli indemoniati, le possessioni e gli esorcismi. Eppoi tutto il creato poggia su due poli, positivo e negativo, perché non ci dovrebbe essere una negatività contraria alla positività di Dio?
Perché questo minerebbe, ed è impossibile solo pensarlo, il concetto dell’onnipotenza di Dio che, proprio per la Sua onnipotenza, non può avere forze contrarie a Sé, ed ecco perché più sopra io mi ho scritto” Come se, per il fatto che esiste una cosa, necessariamente debba esistere anche il suo contrario”.

E allora cos’è il Male, forse un prodotto della materia?
Oppure il Male è una forza limitata a quegli spiriti che ‘non hanno accettato Dio’, mettendosi in tal modo al di fuori della possibilità di ricevere amore?

cireno
21-12-15, 09:50
Nel Libro cinese dei Mutamenti si parla della Creazione e di Dio.
Tai-Geuk, l’Essere Supremo, è la fondazione dell’universo e da questo derivarono lo Ying e lo Yang (negativo e positivo). Da questi uscì O-Haeing - metalli, legno, acqua, fuoco e terra . Tutte le cose furono create da O-Haeing.
La positività e la negatività prese insieme si chiamarono Tao (La Via), che sarebbe il Verbo, cioè la parola di Dio. Allora Tai-Geuk originò il Verbo che produsse il mondo attraverso O-Haeing.
Tai-Geuk (l’Essere Supremo) è la causa prima e ultima dell’esistenza, il nucleo della polarità, e di conseguenza il soggetto neutro della positività e della negatività. In conseguenza di ciò Dio è l’unico a non dover poggiare su due differenti poli. La necessità delle cose di avere una positività e una negatività in Dio non esiste, come mi sembra giusto, per cui Dio non ha contrari, meglio dire NON può avere contrari.
Si ricava da questo concetto che Dio è l’unica sostanza o cosa del creato a non dover obbedire al concetto di dualità, in quanto riflette e possiede ‘entrambe’ le polarità. Se ne deduce che anche per la filosofia orientale il Male, concepito come antagonista del Bene, non esiste.
Nella Bibbia però si parla di un “inferno eterno”, cosa significa? E si parla anche di ‘battaglia finale’. Cosa vuol dire? Quello dell’inferno è un argomento che sembra piacere poco alle autorità ecclesiastiche, se volete mettere in imbarazzo un teologo o un prete qualsiasi chiedetegli dell’inferno: ne avrete sempre una risposta abbastanza vaga.
Il fatto è che la questione dell’inferno, così come lo ha visto Dante nella Divina Commedia, così come lo ha dipinto Luca Signorelli nella stupenda Caduta dei dannati, esposto nel Duomo di Orvieto, così come lo descrive la Chiesa dal Concilio di Firenze nel 1442 fino al Concilio Vaticano II, quando conferma la dannazione eterna per chi si trova, al momento della sua morte, fuori dalla chiesa cattolica, secondo il modesto parere del sottoscritto, confortato da quello di illustri teologi, è da superare come arcaico nel concetto e nella sostanza.
Come dice il teologo

“L’esito di questa idea dell’inferno sono stati i cristiani angosciati, spesso avviliti, che avevano paura e mettevano paura. Quello che spesso opprimeva essi stessi, sessualità, aggressività, dubbi di fede repressi, dogmatici e moralisti devoti combattevano in maniera compensatoria negli altri. Per salvare sé stessi e gli altri, in particolare gli ebrei, gli eretici, i non credenti, le streghe, dall’inferno, ogni mezzo appariva legittimo. Contro tutti coloro che erano destinati alla dannazione si procedeva con la spada, la tortura e soprattutto con il fuoco, tanto li attendeva il fuoco dell’inferno. Con la morte del corpo quaggiù si poteva forse sperare di salvare loro l’anima nell’aldilà. Le conversioni forzate, i roghi degli eretici, i progroom degli ebrei, le crociate, la caccia alle streghe, le guerre di religione nel nome di una religione che doveva portare amore, sono costati milioni di vite umane. E non sono stati solo i cattolici con il loro Dies irae, dies illa, pronunciata dal papa Pio V, ma anche i Riformatori, segnati e tormentati anch’essi dalla credenza nel diavolo e nell’inferno, a rendersi responsabili di massacri di ebrei, eretici, streghe e a sostenere la credenza nel diavolo e nell’inferno: e tutto in nome di Dio!!”

Possiamo davvero credere sinceramente che il Dio d’amore, quel Dio che ha creato l’intero universo con l’unico fine di creare l’uomo e renderlo partecipe, nella sua limitatezza, delle Grandi Verità, possiamo davvero credere che il Dio di ogni pietà, di ogni misericordia, così come da sempre la teologia ce lo indica, sia anche capace di mandare all’inferno, fra eterni tormenti un uomo, per un peccato mortale, ancorché gravissimo? Ma come poter credere nella giustizia di un Dio tanto crudele? Questo Dio non esiste perché la logica, che è anche un prodotto della sapienza di Dio, dice semplicemente che non può esistere.
Abbiamo detto però che il Male esiste, allora perché non ci dovrebbe essere l’inferno?
La domanda è giusta ma noi intanto non dobbiamo confondere il Male con l’inferno. Il Male esiste perché il bene si può solo misurare sul suo contrario, e poi perché il Male è ‘fisicamente’ presente nella vita terrena degli uomini, lo si vede, lo si sente, lo si sperimenta tutti i giorni. L’inferno è un’altra cosa, e sul fatto che possa esistere un luogo chiamato inferno dove Dio manda le anime dei defunti che in vita sono stati cattivi, io ho dei fortissimi dubbi. Questo però non significa che l’inferno non debba esistere ma solo che non può esserci un luogo con fiamme e diavoli che ti rincorrono con la forca in mano. L’inferno, immagino, deve essere qualcosa di più sofisticato, ma soprattutto non un luogo ‘collettivo’ di espiazione, ma sicuramente personale.
Come sarà punito allora il Male se manca il luogo della punizione?
La sconfitta finale. Il Male, in quanto contrario del bene, in quanto separatore delle creature di Dio da Dio, sarà sconfitto nel giorno della Rivelazione, perché così è scritto: ecco cosa si intende per ‘battaglia finale’. Il Male inteso come possibile scelta dell’uomo, perché fino a quel giorno all’uomo sarà concesso di scegliere liberamente ‘anche’ il Male.
E gli uomini che si sono dedicati al Male, nella loro vita?
Io voglio pensare che Dio, dopo il giorno della Rivelazione, nel suo grande amore perdonerà tutti i peccati e tutti i peccatori.

Ma, per tornare all’inferno, abbiamo la certezza che non esiste o è solo una supposizione?
Secondo alcuni teologi, la responsabilità della condanna alle pene dell’inferno non è di Dio, ma dell’uomo che ha peccato. L’autodannazione è la lontananza da Dio: dell’uomo che ha peccato, ecco la pena, che non significa ‘essere preda di Satana’ ma essere lontani da Dio. E’ come aver sete e non avere l’acqua. Una pena individuale, quindi.
Però anche su questa posizione qualche obiezione andrebbe posta. Dio non può essere due cose contemporaneamente, anzi lo potrebbe, dall’alto della sua onnipotenza, ma come pensare che Dio possa essere insieme misericordia e vendetta, amore e crudeltà, perdono e castigo? Da questo pensiero, e solo da questo, prendo sicurezza quando affermo che il peccato è umano e il perdono è divino, così come Gesù ha insegnato con la sua vita e le sue parole, quindi io voglio pensare che non solo l’inferno, come luogo deputato alla punizione, debba essere considerato solo un retaggio di credenze ‘importate’ dagli antichi ebrei dal vicino oriente, ma anche che la punizione ad personam, cioè individuale, non debba esserci, e proprio per il ragionamento appena svolto: può Dio dall’alto del Suo amore per l’uomo nutrire anche sentimenti di vendetta? O qualcuno preferisce chiamarla ‘giustizia’?
Invece l’inferno esiste nella vita terrena, ed è quando l’uomo decide, in piena libertà, di rifiutare l’amore di Dio, escludendosi in tal modo dalla comunione con il suo Creatore, che rappresenta il fine e la realizzazione perfetta, il senso ultimo della vita terrena.
Ma se il male non esiste, anzi esiste solo l’amore di Dio quello che abbiamo visto ad Auschwitz cos’era?

E Dio dov’era, quando i forni crematori di Auschwitz bruciavano migliaia di corpi al giorno? Milioni di suoi figli sono stati massacrati da una genia di demoni umani, e lui dov’era? Molti si sono posti queste domande.

Le risposte sono semplici: Dio era ad Auschwitz come è in ogni luogo, ma certo Dio non era negli uomini che hanno creato e fatto vivere Auschwitz. Semmai Auschwitz dimostra proprio il contrario, e cioè che là dove l’uomo sceglie esclusivamente la materialità dell’esistenza, Dio muore in lui e allora sono possibili deviazioni mentali come quelle che hanno generato quegli orrori. Seguendo una logica perversa, non frenata dall’insegnamento cristiano sull’amore universale, rifiutato in nome di un’ideologia contorta come fu quella nazista, l’uomo-carnefice di Auschwitz ha perfino creduto di aver ragione, di compiere un servizio all’umanità eliminando gli ebrei, i diversi, gli zingari. Per un nuovo mondo pulito e ordinato, dicevano i nazisti, che forse nemmeno oggi si rendono conto dell’enormità del crimine che hanno commesso.

Ecco, Dio non era in quegli uomini, e quindi, in quegli orribili lager, Gesù Cristo è stato messo in croce ancora milioni di volte, tante quante sono state le vittime della follia nazista.

In una lettera di Cartesio si legge, a proposito del terribile episodio della condanna di Galileo, uno dei grandi errori della Chiesa Cattolica, “Significa usare la Sacra Scrittura per uno scopo diverso da quello per cui Dio l’ha data, e quindi abusare di essa, se se ne vuole ricavare la conoscenza di verità che servono solo alla scienza umana e non alla nostra salvezza”.
Ma, a quel tempo, la Chiesa di Roma, al culmine della propria alterigia terrena, di questo non si preoccupava. La teoria galileiana contrastava con la sua immagine del cielo, immagine che si stava esprimendo nello stile barocco delle chiese, con le cupole a tamburo che dovevano rappresentare appunto la volta celeste, così come la chiesa romana la concepiva. Quel cielo che per la chiesa romana era popolato da santi e da angeli e, in mezzo a loro, dalla Trinità di Dio Padre, il Cristo con la croce e lo Spirito Santo, in figura di colomba. Il cielo della chiesa allora non era quello reale studiato da Galileo, ma un cielo metafisico, un cielo che Galileo metteva in pericolo con la verità dei suoi studi e delle sue conclusioni: Galileo doveva quindi morire, e la Chiesa nemmeno si rese conto che ancora una volta un altro uomo che diceva la verità, che portava un messaggio nuovo per le genti, veniva crocefisso.

Oggi quei tempi sono passati, la scienza ci ha mostrato il cielo nella sua vera natura e quando pensiamo al Paradiso o ai santi che ci vivono, sappiamo che si tratta sempre e solo di un cielo figurato.


Non crediamo più quindi a un Dio che abita “in cielo”, in senso locale o spaziale, ma in un Dio che abita nel mondo, anche se in senso trascendente.

Il cielo della fede non è quindi un luogo, dice sempre il teologo, ma un modo di essere, e il Dio infinito non è localizzabile nello spazio ne è delimitabile temporalmente. Quando si parla del cielo di Dio si intende quella sfera invisibile, quello spazio vitale di Dio Padre, del quale il cielo fisico visibile, nella sua grandezza, chiarezza, luminosità può certamente continuare ad essere il simbolo, ma solo il simbolo. Il cielo della fede non è che il segreto, invisibile e inconcepibile ambito di Dio, il quale non è affatto ritratto dalla terra, ma, per il bene di tutte le cose, rende partecipi della sovranità e del regno di Dio. In questo senso Feuerbach, nel suo capitolo sulla fede nell’immortalità ha definito Dio “ il cielo non sviluppato”, e il cielo reale lo ha chiamato “il Dio sviluppato”.
“Dio e cielo sono infatti identici - egli scrive - attualmente Dio è il regno dei cieli, in futuro il cielo sarà Dio”.

Ma quando il cielo che vediamo diventerà Dio? E perché diventerà Dio?

Qui dobbiamo parlare della Fine, della fine dei tempi stabilita da Dio all’universo finito, al momento della Creazione. Nella preghiera del Credo si inizia con la Creazione e si termina con “la vita del mondo futuro”. Che significato dobbiamo dare a queste parole?
Lo Zarathustra di Nietzsche dice a un certo momento “ Fratelli miei, restate fedeli alla terra e non credete a coloro che vi parlano di speranze ultraterrene”. Ma a parte il fatto che abbiamo visto, quando abbiamo parlato di Auschwitz e dell’Olocausto, cosa succede all’uomo quando mancano le cosiddette “speranze ultraterrene”, ‘il mondo futuro’ del Credo, dovrebbe essere preso in considerazione non solo per quel che dice la religione, ma anche per quello che presume la scienza, e oggi la scienza non è che ci prospetta un futuro rosa…
Sulla questione c’è un ristretto numero di scienziati che continua a credere in un universo che esiste “da sempre”, e che si sviluppa costantemente, ma la maggior parte di loro oggi accetta l’ipotesi che l’universo non è eterno, né che esiste da sempre ma che è sicuramente nato, quindi è finito nel tempo perché ha avuto un inizio, e altrettanto certamente avrà una fine: per lo meno questo universo che vediamo.
Per quanto riguarda la sua durata, ci sono anche scienziati che tendono a credere che l’universo abbia certamente avuto un inizio ma non avrà mai una fine, per cui si chiedono se davvero ad un certo momento finirà di espandersi e comincerà a contrarsi, per collassare su sé stesso e infine annullarsi, o se invece continuerà ad espandersi senza limite di tempo, all’infinito.
L’ipotesi della fine nel tempo di quest’universo, attraverso la contrazione e il suo collasso, vede in pratica un ritorno al principio. Lentamente tutto si contrarrà, come già detto, gli spazi si restringeranno, e quindi galassie e stelle e pianeti cadranno rapidamente l’una sulle altre e alla fine, per la disintegrazione degli atomi e dei nuclei atomici, si giungerà al big crunch, l’esplosione finale, se esplosione sarà, e questa è un modo che gli scienziati vedono per la morte dell’universo.
L’altra ipotesi, quella della espansione costante, vede invece un universo che muore lentamente per consunzione delle stelle in uno spazio infinito di gelo, silenzio, morte: la notte assoluta.
Effettivamente se si considera lo spreco enorme, incredibile di energia nell’universo, questa potrebbe essere un’ipotesi di qualche sostanza. Ma tutto è molto al di là di qualsiasi benché minima certezza, almeno proponibile.
Ma se l’uomo è la parte finale della Creazione e l’uomo vive sulla terra, e secondo me anche su altre terre sparse nel cosmo perché sarebbe impensabile il contrario, è della terra, di questa nostra terra, che dobbiamo maggiormente occuparci.
Arriveremo alla ‘fine dei tempi’ insieme al resto dell’universo, oppure l’uomo riuscirà nella straordinaria impresa di distruggere il pianeta dove vive, prima di quel giorno? Abbiamo visto il pericolo che corriamo con le centrali atomiche, Cernobyl ne è un esempio, ma di energia atomica imprigionata dall’uomo è piena la terra, anche nei piccoli paesi guidati da nazionalismi fanatici o da integralismi religiosi altrettanto fanatici. Dobbiamo allora temere per la vita del nostro pianeta?
“Sentirete parlare di guerre e di rumori di guerre. Guardate di non allarmarvi; è necessario che tutto questo avvenga, ma non sarà ancora la fine: si dovranno sollevare popolo contro popolo e regno contro regno; vi saranno carestie e terremoti in vari luoghi; ma tutto questo sarà solo l’inizio dei dolori, perché subito dopo il sole si oscurerà, gli astri cadranno dal cielo e le potenze dei cieli saranno sconvolte”.
Questo dice il Nuovo Testamento.
Cosa significa?
Che l’uomo riuscirà a distruggere la sua casa?
Forse con le atomiche sparse per tutto il pianeta, o con le scorie velenose, la sovrappopolazione, i terreni e le acque avvelenati dalle scorie, l’aria inquinata, il buco dell’ozono, i mari sporchi?
Anche se le parole del Nuovo Testamento devono essere prese come l’interpretazione di profezie, come possiamo non pensare che l’uomo stia veramente uccidendo se stesso?
E perché l’uomo si sta autodistruggendo?
Nel 1701, in un convento di religiose di Dresda, in Germania, una ragazza di vent’anni, di origini contadine, praticamente analfabeta, una novizia, cominciò ad un certo momento a sentire una voce incredibile, celestiale che le parlava dettandole messaggi particolari sul futuro del mondo. Il mistero è che la giovane novizia scriveva questi messaggi in latino o in tedesco colto, cosa che riusciva difficile da comprendere considerando appunto il livello di istruzione della ragazza.
La “Voce” le parlò per quasi sei anni, periodicamente, e la giovane novizia per quasi sei anni trascrisse i messaggi. Poi la Voce cessò di parlare e la ragazza in breve tempo morì: aveva solamente ventisei anni.
Ecco un insieme di tre messaggi trascritti dalla giovane, parole che entrano a pieno diritto nell’argomento che stiamo trattando.
.....
Giungerà un tempo in cui volerà la voce. E gli uomini si parleranno tra i mari e i monti. Giungerà un tempo in cui voleranno le immagini. E gli uomini si potranno vedere tra i mari e i monti. Questo sarà un tempo di grandi dolori e di grandi tormenti.
Voleranno le immagini come gli angeli, ma non porteranno la luce degli angeli. E voleranno gli animali, e voleranno gli uomini.
Guarda! Mi ordinò la Voce. Ed io ho visto volare una casa, con gli uomini dentro. Ho visto anche lunghi serpenti rotondi volare intorno alla terra. E dentro ai serpenti fluiva il sangue degli uomini. Alla fine voleranno anche i pensieri, e questo sarà il giorno della condanna. L’uomo non avrà più bisogno di immagini. L’uomo sarà libero, ma la sua libertà sarà la sua schiavitù.
Nell’ultima scala del tempo il ventre della terra diventerà putrido. E tutto quello che è in lei marcirà, e tutto quello che si raccoglierà da quel ventre sarà velenoso. Ma gli uomini continueranno a mangiare le interiora del ventre e periranno. La morte avrà il colore del ventre. Ma gli uomini diranno che è il colore del tempo. La morte avrà l’odore del ventre. Ma gli uomini diranno che è l’odore della natura. Verso la fine tutto sarà un veleno perché sarà l’uomo che avrà decretato di uccidere l’uomo. Ma questa non sarà ancora la volontà di Dio. E sarà così che gli uomini saggi proveranno a cingere il ventre marcio con una corda affinché il veleno non si espanda. Ma il ventre marcio farà più morti della guerra. E poi tutto sarà marcio, e tutto sarà morte.
Ho visto uomini senza pace sedersi su una terra piena di immondizie, che levavano il cuore ad altri, così come noi togliamo le scarpe. Poi ho visto uomini levare il cervello di altri uomini. e la Voce mi disse, guarda! E ho visto fiumi con vapori di veleno e di morte, e mari con vapori di veleno e di morte, e terre con vapori di veleno e di morte, e nuove malattie terribili, mai conosciute prima, faranno strage degli uomini che diranno che è colpa del destino e invece la colpa è degli uomini, che con le loro mani hanno avvelenato la casa che il Signore aveva loro affidato.

I commenti non sono necessari, però confesso che la prima volta che ho letto queste profezie scritte ripeto, quasi 300 anni fa, sono rimasto a bocca aperta. Comunque, si può credere alle “profezie” e si può non credere, ma una cosa è certa: alcune, come queste della novizia tedesca, lasciano quanto meno perplessi

cireno
22-12-15, 10:07
Ma a questo proposito, cioè il credere o meno alle profezie, alle divinazioni, agli oracoli e così via, oggi sembra svilupparsi una teoria che dice che il futuro, così come il passato che evidentemente è già stato vissuto e quindi scritto, è già scritto e quindi persone di particolari sensibilità possono anche leggerlo, e quindi anticiparlo con profezie e precognizioni. Non so ovviamente se questo può essere possibile, colpisce però da sempre la straordinaria somiglianza di certe profezie con fatti che accadono DOPO (le profezie di quella giovane novizia di Dresda sono spettacolari, in tal senso).
Ma torniamo a noi, e ai nostri filosofi, per concludere questa parte del ragionamento.

Hume, filosofo inglese nato nei primi anni del ‘700, ha avuto una grande importanza per la filosofia della religione. Ma non solo, egli ha una grande importanza anche per la ricerca che io sto conducendo.
E’ stato lui a chiedersi: è possibile fondare la religione per via della ragione? E ancora: come è nata la religione negli uomini?
Per quanto riguarda quest’ultima domanda Hume afferma che il bisogno di credere in un’essere divino non è una necessità dell’intelletto. La fede, dice Hume, viene provocata da sentimenti che nascono nel corso della vita: dal timore e dalla speranza, dall’attesa e dall’incertezza, ma specialmente dall’angoscia dinnanzi al mistero.
La storia sembra mostrare che il politeismo sia stato la religione dei primi uomini, il primo “dio unico” è nato con il faraone Akhenaton, e fu molto osteggiato, poi venne Zarathustra, e gli ebrei prigionieri in quelle terre ne copiarono l’idea realizzando il loro Yahweh, il dio personale delle tribù ivrim. E ciò concorda con il naturale processo evolutivo della coscienza che gradatamente si eleva dagli infimi gradi verso i più alti. Nello stato di eccitazione a cui sia la paura, sia l’entusiasmo la conducono, essa innalza sempre più l’oggetto della sua immaginazione e se lo figura sempre più perfetto finché in ultimo perviene alla rappresentazione di un Dio unico, infinito, inconcepibile. Avviene qui, secondo Hume, un processo di idealizzazione simile a quello che sta a fondamento della formazione dei principi matematici del principio casuale. Il passaggio dal politeismo al monoteismo non può venire spiegato da motivi puramente intellettuali, ma il sentimento ha condotto gli uomini allo stesso risultato: non può esservi che un solo Dio.
Nelle domande e nelle considerazioni di Filone, nel suo colloqui con Demea e con Cleante, si legge il pensiero di Hume sull’esistenza di Dio.

· Chi potrebbe biasimarci, dice Filone, se noi in rapporto a così grandi e difficili questioni dichiarassimo di non sapere nulla? Esse oltrepassano di gran lunga il campo dell’esperienza, e i sistemi si oppongono a altri sistemi!
· Perché cercare la causa dell’ordine e della finalità della natura fuori dal mondo?

In questo nostro mondo potrebbero addirittura agire forze capaci di produrre l’ordine e l’armonia, magari dopo molti rivolgimenti e accomodamenti provvisori. E allo stesso modo che l’abilità dell’artefice si realizza dopo diversi tentativi di prove, così avrebbero potuto succedersi diversi ordinamenti del mondo sempre più perfetti, fino ad arrivare al sistema presente.

La storia della filosofia chiude con questo ritratto di Hume: egli è stato il più importante precursore del positivismo moderno.
Io ho molto rispetto per Hume ma devo fare delle obiezioni alle sue tesi.
Alla storia del mondo imperfetto, con i suoi dolori e le sue necessità, guardando il quale si fatica a pensare ad un sistema perfetto e quindi a Dio, ho già risposto. Le azioni dell’uomo sono dell’uomo: Dio non fa il vigile urbano. Intervenisse nei nostri programmi e nelle nostre azioni noi saremmo delle figurine da mettere in un album, non degli esseri viventi.
In quanto al perché cercare la causa dell’ordine della finalità del creato ‘fuori dal creato stesso’ è una domanda da un euro, anzi è una domanda retorica, perché è il perno su cui poggia tutto il castello delle domande che Hume si pone: poiché non sappiamo giustificare le cose che vediamo, non le spieghiamo e ci limitiamo ad accettarle. Non mi sembra una grande risposta, però è quanto afferma la filosofia positivista: io spiego quello che vedo, quello che non posso spiegare è perché non lo posso vedere.
Concetto molto discutibile. Se posso spiegare solo quello che vedo, e Dio non si vede quindi non posso prenderlo in considerazione, anche il Big Bang non è, per le medesime ragioni, spiegabile. E allora che si fa, si nega anche quell’inizio?
E allora vale in Hume la domanda di Filone: non sarebbe meglio dichiarare che l’argomento è così difficile che noi non riusciremo mai a comprendere, perché noi non possiamo sapere nulla di preciso?
E se è questa conclusione ciò che dovrebbe rimarcare la filosofia di Hume, io sono d’accordo: se non sono in grado di capire, debbo astenermi dal dichiarare di aver capito, quindi non posso esprimere certezze, ne favorevoli ne contrarie, che tradotto in linguaggio pratico vuol dire: sono agnostico perché non mi è possibile essere altro.

(continua)

cireno
23-12-15, 11:10
La vita e la scienza



Come è nata la vita? Ma specialmente, perché?

Secondo la Bibbia è stato Dio a creare le varie specie animali e quindi l’uomo, dopo aver creato il mondo. L’uomo è stato creato, recita sempre la Bibbia, modellando un corpo con l’argilla, che divenne una cosa viva dopo che Dio gli ebbe soffiato il suo alito divino nelle narici. Sembrerebbe un bel racconto ad uso degli ingenui lettori o uditori del tempo, questo del fantoccio di argilla che è l’origine della vita dell’uomo, ma recentemente uno scienziato inglese della University of Glascow, il dr. Graham Cairns-Smith, ha dichiarato che le prime forme di vita potrebbero non essere nate da composti organici basato sul carbonio, come si ritiene comunemente, bensì dall’ argilla. Infatti egli ha potuto appurare in laboratorio che i cristalli di argilla sono in grado di mettere in atto una rudimentale forma di riproduzione, e potrebbero fornire una complessità sufficiente per realizzare l’immagazzinamento e la trasmissione genetica. In ogni caso la teoria sostiene che i primitivi organismi basati sull’argilla svilupparono gradualmente attività più complesse, comprese sperimentazioni con sostanze organiche. A tempo opportuno, le molecole organiche assunsero la funzione genetica, soppiantando le origini della vita legate all’argilla. E questo, bisogno riconoscerlo, è un’altro bel motivo di perplessità, e aggiunge confusione alla confusione, invece che fugare dubbi.

Nel 1944 il dottor Schrodinger, nel suo libro ‘Che cos’è la vita?’, scriveva che sia l’origine che la natura della vita stessa apparivano completamente sconosciute e del tutto ‘inspiegabili’.
A più di cinquanta anni di distanza dall’uscita di quel libro, che fra l’altro ebbe grande risonanza per la fama dell’autore ed influenzò la nascita della scienza della biologia molecolare, il mistero sulla natura e sull’origine della vita continua ad essere avvolto nella più fitta nebbia, malgrado gli straordinari progressi nella comprensione delle basi molecolari degli organismi viventi..
Paul Davies, un noto professore di Fisica Teorica, in un suo libro scrive:-

“I problemi connessi alla comprensione della vita sono esemplificati dai problemi legati alla sua semplice definizione. Si riconosce solitamente un organismo biologico come tale quando lo si incontra, e tuttavia è notoriamente difficile specificare cos’è che ci rende così certi che si tratti di qualcosa di vivo. Non esiste nessuna definizione che sia sufficiente a descriverlo. Qualunque proprietà particolare dei sistemi viventi si trova anche nei sistemi non viventi: i cristalli si possono riprodurre, le nubi possono crescere, e così via. Chiaramente la vita è caratterizzata da una costellazione di proprietà insolite.
Gli organismi viventi rappresentano l’esempio supremo di materia attiva. essi costituiscono la forma più sviluppata che conosciamo di materia ed energia organizzate. Esse esemplificano tutte le caratteristiche-crescita, adattamento, complessità crescente, dispiegamento di forme, varietà, impredicibilità-che abbiamo studiato al riguardo del mondo. Queste proprietà sono così cospicuamente rappresentate negli organismi viventi che non c’è quindi da meravigliarsi se la semplice domanda ‘Che cosa è la vita?’ abbia causato grandi controversie, e abbia suggerito risposte che sfidano le basi stesse della scienza”.

Forse la cosa più sconcertante che riguarda gli organismi biologici è la loro qualità teleologica.
Un argomento teleologico vuol esprimere la convinzione che Dio esiste basandosi sulla dimostrazione che ogni cosa esistente è ordinata in funzione di un ‘fine’, per cui, esistendo un fine, uno scopo, deve anche esistere un’intelligenza che ordina le cose in ragione di quel fine, e questo è Dio.
Sappiamo che Aristotele introdusse l’idea ‘che uno scopo finale guida l’attività di ogni organismo verso una meta pre-definita’. Benché la causalità finale sia un anatema per gli scienziati, il sapore teleologico posseduto dai sistemi biologici è innegabile. Questo fatto pone lo scienziato in una situazione imbarazzante, che Monod esprime così: ‘L’obiettività ci obbliga tuttavia a riconoscere il carattere teleonomico degli organismi viventi, ad ammettere cioè che nella loro struttura e nei loro atti essi decidono secondo uno scopo e lo perseguono.

Le misteriose qualità degli organismi viventi sono così notevoli che hanno spesso condotto alla conclusione che i sistemi viventi rappresentano una classe a parte, una forma di materia ed energia che è tanto strana da sfidare le leggi che governano la materia e l’energia ordinarie.
La credenza che la vita non possa essere spiegata dalle leggi fisiche ordinarie e che necessitava perciò di una sorta di ‘ingrediente extra’ è conosciuta dalla scienza come vitalismo. Il vitalismo sostiene che vi è una forza vitale, infusa nei sistemi biologici, che rende conto dei loro straordinari poteri.
Questa teoria del vitalismo è una delle due teorie della biologia molecolare, l’altra essendo quella così definita meccanicistica, secondo la quale gli organismi viventi sono macchine complesse che obbediscono alle leggi della fisica. ‘Macchine complesse’ formate da molecole biochimiche, per cui gli scienziati meccanicistici cercano una spiegazione della vita attraverso la sua composizione molecolare.
Si è arrivati, seguendo questo indirizzo, a grandi scoperte nel campo. Ad esempio si è capito che la vita è un legame fra due classi di molecole, acidi nucleici e proteine. Si è scoperto il DNA e il RNA, cioè gli schedari della riproduzione. Oggi si sa che le proteine svolgono il maggior lavoro a livello molecolare per consentire la vita, sappiamo che tutte le proteine sono composte da 20 aminoacidi, e questo vale per ogni organismo vivente, sia uomo o fiore o batterio che sia. Sono stati compiuti passi da gigante per conoscere la vita nei suoi più reconditi misteri. Ma è stato come smontare una macchina, per cercare di capirne il segreto del funzionamento ‘ignorando la benzina’, per cui si rimane perplessi dinnanzi al motore, ancor più dopo aver identificato pistoni, bielle, alberi ecc. ma non il mistero della sua ‘vita’, cioè del perché tutto questo ‘funzioni’.
Per questo il genetista Giuseppe Montalenti ha scritto:-

“La complessità strutturale e funzionale degli organismi, e soprattutto il finalismo dei fenomeni biologici, hanno costituito la difficoltà insuperabile, la insolubile aporia che ha impedito l’accettazione di un’interpretazione meccanicistica della vita. Questa è la ragione principale del perché nella competizione fra le interpretazioni aristotelica e democritea abbia vinto la prima, dall’inizio sino ai nostri giorni.
Tutti i tentativi di stabilire un’interpretazione meccanicistica sono stati frustrati dai fatti seguenti: a) la inadeguatezza delle leggi fisiche a spiegare il finalismo biologico; b) la crudezza degli schemi fisici nei riguardi di fenomeni meravigliosi e complessi quali quelli biologici; c)il fallimento del riduzionismo a comprendere che a ogni livello di integrazione che si verifica nei sistemi biologici si manifestano nuove qualità che hanno bisogno di nuovi principi esplicativi che sono sconosciuti enon necessari in fisica”.

Sottolineo quest’ultima frase: che hanno bisogno di nuovi principi esplicativi, cioè a dire di nuove spiegazioni, che la fisica non prevede e nemmeno conosce perché non necessari alle leggi della stessa fisica..
Il mistero della vita allora non è tanto nella natura delle forze agenti sulle singole molecole, cioè nel modo in cui la macchina è costruita, ma nel modo in cui l’intera struttura si comporta. Infatti anche possedendo esattamente una mappa di tutto il sistema nervoso di un’organismo, non si riesce a capire perché vi sia un certo comportamento di quell’organismo.
Ci sono poi altri misteri sulla vita.
Prendiamo l’origine della forma. Voglio dire, in che modo un insieme disorganizzato di molecole si riunisce e forma quel complesso coerente che è un organismo vivente? La creazione di forme biologiche si chiama morfonogenesi, ed è una materia ancora completamente misteriosa, malgrado gli sforzi della scienza.

Vediamo un caso: come, da una cellula fecondata, viene stabilito che certe cellule devono andare a costituire ossa, altre il fegato, altre i nervi, il cervello ecc?

Dice uno scienziato “E’ un processo che è in qualche modo supervisionato a un livello straordinario di dettaglio e accuratezza sia nello spazio che nel tempo”.

Va bene, ma come?

“Nello studiare lo sviluppo dell’embrione è difficile resistere all’impressione che da qualche parte esista un progetto, o schema costruttivo, contenente le istruzioni necessarie per realizzare la forma completa. In qualche maniera poco chiara la crescita dell’organismo è obbligata a obbedire a questo progetto. Vi è quindi un forte elemento teleologico in tutto ciò. Sembra che l’organismo in via di sviluppo venga guidato verso il suo stadio finale da un agente supervisore globale”


La morfonogenesi è inoltre ancor più straordinaria per altre incredibili curiosità. Se si mutila l’embrione, ad esempio, nulla muta nella nascita del nuovo organismo, che rimane inalterato nella sua costruzione.
Sarà bene chiarire quanto detto: se si prende un embrione e lo si mutila in una sua parte, all’organismo che nascerà non mancherà ugualmente nulla, perché sarà integro come se nulla fosse accaduto, e questa è una cosa ancora incomprensibile.
Si è detto che tutte le cellule contengono il medesimo DNA. Ma se è vero, come è infatti vero che ogni cellula contiene il progetto globale per l’intero organismo, com’è che cellule uguali eseguono parti differenti del progetto?- si chiede lo scienziato-vi è forse un metaprogetto che dice a ciascuna cellula quale parte del progetto complessivo essa deve eseguire? Se è così, dove si trova questo metaprogetto?
Comunque gli studi di biologia molecolare, e quelli sulla morfonogenesi continuano. Ma, benché eccitanti, tutte le loro scoperte in realtà riguardano solo il meccanismo della vita, ma non riescono a svelare il mistero più profondo di come tale meccanismo sia costretto ad obbedire ad un progetto globale, insomma perché la vita esiste e cosa è.
Il mistero fondamentale della biologia è in che modo una così grande varietà di vita, sia venuta alla luce. La Bibbia dice che è Dio ad aver creato uomini e animali tutti. La scoperta della dimensione temporale in biologia ha trasformato le basi concettuali di questo mistero. Oggi sappiamo, ad es., che i primo organismi viventi apparvero sulla Terra circa tre miliardi di anni or sono, ed erano estremamente semplici. Solo gradualmente si sono evoluti in organismi sempre più complessi. La pubblicazione del 1859 de L’Origine della Specie di Charles Darwin fu un avvenimento fondamentale nella storia della scienza, paragonabile ai Principia di Newton. Ma, a dispetto del suo successo, vi sono sempre stati scienziati che hanno avversato Darwin e ritengono non plausibili le basi della sua teoria. Questi scienziati non mettono in dubbio il fatto dell’evoluzione, visto che i reperti fossili non lasciano dubbi al proposito, ma contestano il meccanismo, cioè a dire ‘le mutazioni casuali’ e la selezione naturale. La selezione naturale, cioè là dove Darwin dice che ‘gli organismi più adatti a sopravvivere sopravviveranno meglio’, può anche essere accettata. Porre invece la pura probabilità, la casualità, al centro del grandioso edificio della biologia è per molti scienziati un boccone troppo grosso da inghiottire (anche lo stesso Darwin del resto espresse poi timori in proposito). Ecco alcune delle obiezioni che sono state sollevate contro la casualità darwinista.

Þ Come può un organismo incredibilmente complesso e così armoniosamente organizzato in un’integrata unità funzionante, essere il prodotto di una serie di eventi puramente casuali?
Þ Come possono eventi casuali aver mantenuto con successo un’adattamento biologico per milioni di anni a dispetto delle condizioni mutevoli?
Þ Come può la sola probabilità essere responsabile della comparsa di strutture completamente nuove e di successo, quali il sistema nervoso, il cervello, l’occhio, e così via, in risposta a sfide ambientali?
Þ Dove sono gli anelli di congiunzione fra gli organismi unicellulari e quelli pluricellulari?
Þ E come mai nell’evoluzione alcuni nostri fratelli tipo le scimmie antropomorfe non hanno seguito lo stesso nostro sviluppo evolutivo?

Al centro di queste domande vi sono la natura dei processi casuali e le leggi della probabilità. Non è necessario essere un matematico per capire che un piccolo errore di copiatura nel progetto di una bicicletta può significare quasi niente, mentre quello nel progetto di una nave spaziale può diventare un disastro, questo perché più un sistema è complesso più è fragile e complicato. Così come l’esperimento con un mazzo di carte, messe in ordine di semi, che mescolato, quasi certamente sarà meno ordinato che in partenza, allo stesso modo si dovrebbe supporre che le mutazioni casuali in biologia tenderebbero a degradare, piuttosto che a migliorare, la complessa adattabilità degli organismi. Per la verità succede proprio così, come è stato mostrato da esperimenti diretti: la maggior parte delle mutazioni sono dannose. E tuttavia si sostiene che il casuale mescolamento dei geni è responsabile della comparsa di occhi, orecchi, cervello e di tutti gli accessori degli esseri viventi. Come può essere possibile? Intuitivamente si percepisce che il rimescolamento può condurre solo al caos, non all’ordine.
Naturalmente a fronte di uno scienziato come Paul Davies, fisico teorico, matematico, cosmologo e docente di fisica fondamentale, che con le parole che abbiamo appena letto, critica la teoria evoluzionista dove parla di casualità e di nascita della vita dalla materia inerte, ce ne sono altri che queste teorie difendono.
Von Ditfurth, ad esempio, psichiatra e neurologo berlinese, è uno di questi.
Vediamo cosa dice:
“Sulla realtà dell’evoluzione biologica non è più possibile avere dubbi. E’ certo che le specie di organismi oggi esistenti sulla terra non si sono mantenute immutate fin dal principio, bensì sono il risultato transitorio di una lunga storia evolutiva che ancora oggi continua.
Si è rivelato un pregiudizio pensare che la terra fosse staccata dall’immensità del cosmo perché abitata dall’uomo. L’universo non consiste in zone sottoposte a leggi differenti. Tutto ciò che esiste è ‘mondo’, fa parte di un’intera, di un’unica realtà chiusa in se stessa e in rapporto con ogni altra parte del tutto.
Ci sono ad esempio dei confini che crediamo di vedere in natura. Per molti critici, specie nel campo delle scienza morali, la semplice idea di ‘oltrepassare il confine’ è un peccato mortale. Il confine che appare oggi decisivo, nello studio dei fondamenti biologici, è quello tra natura animata e inanimata. Chi mette in dubbio la sua realtà, cioè chi crede, come me, nella possibilità di un passaggio naturale, dalla materia inerte a quella animata, subito si scontra con questi scienziati ‘vitalisti’. I quali vitalisti negano la possibilità che la materia inerte abbia potuto originare la vita, in sostanza pensano all’intervento di una divinità.
Ora la prova concreta dell’origine naturale della vita sulla terra, cioè del passaggio spontaneo, governato dalle leggi naturali che noi conosciamo, dalla materia inerte a quella vivente, finora si presenta pieno di lacune. Nel quadro che gli scienziati stanno pazientemente componendo, manca ancora una intera serie di importanti tessere del mosaico. Da qui i vitalisti succhiano il loro miele. Ma i contorni del quadro sono già riconoscibili.
Consideriamo, per cominciare, con l’esperimento eseguito nel 1953 da Stanley Miller, allievo del Premio Nobel Harold Urey.
Miller chiuse in una provetta delle molecole semplici inorganiche, che, come gli aveva detto il suo maestro, dovevano abbondare nell’atmosfera della terra primordiale: biossido di carbonio, metano, ammoniaca, idrogeno molecolare. Eglì lasciò che la sua miscela si agitasse per giorni e la trattò con scariche elettriche, per simulare le tempeste della terra ai primordi. Tutti sanno che cosa ne uscì. Un brodo culturale dove si erano formati spontaneamente alcuni fra i più importanti elementi biologici, sotto forma di aminoacidi. Il resoconto di questo esperimento fece sensazione”.

E su questo esperimento di Miller si chiude lo scritto di Von Ditfurth.
Un’altro scienziato, di scuola differente, così descrive lo stesso esperimento di Stanley Miller:

“A questo punto dobbiamo spendere qualche parola sul famoso esperimento eseguito da Stanley Miller e Harold Urey alla University of Chicago nel 1953. L’esperimento fu un grezzo tentativo di simulare le condizioni che potrebbero aver regnato sulla terra tre o quattro miliardi di anni fa, al tempo della comparsa dei primi organismi viventi. In quel periodo sulla Terra non vi era ossigeno libero e l’atmosfera era, da un punto di vista chimico, di natura riducente. Neanche oggi si è sicuri della sua composizione precisa. Miller e Urey presero una miscela di gas idrogeno, metano e ammoniaca (tutte sostanze comuni nel sistema solare) insieme ad acqua in ebollizione, e fecero passare scariche elettriche per simulare i fulmini. Dopo una settimana nel recipiente si era accumulato un liquido rossastro che venne analizzato. In esso si trovò un certo numero di ben noti composti organici importanti per la vita, fra cui alcuni aminoacidi.
Benché i prodotti fossero banali in rapporto all’infinita complessità di molecole quali il DNA i risultati dell’esperimento ebbero grande effetto psicologico. Divenne possibile immaginare il verificarsi di un enorme e naturale esperimento di Miller sulla superficie primitiva della Terra nel corso di milioni di anni. Si pensò che le molecole si sarebbero rapidamente moltiplicate, usando come materiale grezzo il brodo chimicamente ricco dove si trovavano. E’ stato possibile calcolare, con elaboratori elettronici, le probabilità che questo enorme esperimento potesse essere in grado di formare anche solo un piccolo virus, dopo un miliardo di anni di fulmini e sbattimenti. Il numero di possibili combinazioni chimiche è talmente enorme che tale probabilità è minore di 1 su 10 al 2.00.000. Cioè, per capirsi meglio, meno probabile che ottenere testa per sei milioni di volte di seguito lanciando una moneta. Se invece di un virus si prende in considerazione una ipotetica molecola più semplice capace di riprodursi le probabilità non cambiano e la conclusione resta la stessa: la spontanea generazione della vita a partire dal mescolamento molecolare casuale è un evento ridicolmente improbabile”.

(continua)

cireno
23-12-15, 19:49
Ecco, abbiamo appena letto due diverse descrizioni del medesimo esperimento. Uno scienziato, il primo, fedelmente attaccato alla teoria dell’evoluzione darwinista, che accetta come possibile, anzi probabile, la nascita della vita dalla materia inerte e un’altro invece assolutamente critico nei confronti della casualità come origine.
Ci sono scienziati evoluzionisti che, pur di spiegare quello che ancora non è assolutamente spiegabile, cioè la nascita della vita dalla materia inerte, sono arrivati a formulare l’ipotesi che composti organici scatenanti la vita sulla Terra possano essere giunti dalla testa di comete cadute sul nostro pianeta in età primordiale, composti organici che in effetti esistono nello spazio. Ad esempio, in una nube di gas lontana molti anni luce da noi, si sono trovate molecole di acido formico e di monoamminometano. Queste due sostanze mescolate tra loro danno la glicina, e la glicina in biologia è un aminoacido importante per la vita. Ad avanzare questa ipotesi un poco ’fantascientifica’ sono stati anche alcuni scienziati di valore, per così dire, un premio Nobel come Svante Arrhenius ad esempio ha detto che non sarebbe da escludere l’ipotesi, e poi Fred Hoyle, Francis Crick e altri ottimi studiosi. Potrebbe anche essere accaduto, nulla vieta di pensarlo e quindi di ipotizzarlo, ma questa teoria sposterebbe solo l’enigma un passo indietro: si dovrebbe spiegare in che modo la vita si è generata altrove, presumibilmente in condizioni differenti, prima di essere trasportata sulla Terra dalla testa delle comete, perché insomma, se risaliamo all’inizio dell’inizio le comete non potevano esserci, e quindi qualcosa o qualcuno ha dovuto creare, formare, sviluppare questi essenziali composti organici.
Poi c’è il problema dei 20 aminoacidi che sono sempre presenti, in ogni organismo vivente, vegetale o animale che sia. E allora una parte di scienziati si chiede come ha fatto la materia inerte a trovare quei 20 aminoacidi, proprio quelli necessari a far nascere la vita, fra le centinaia di aminoacidi conosciuti e forse altrettanti non ancora conosciuti. La risposta degli evoluzionisti è che la vita è nata su quella serie di 20 aminoacidi’, ce ne fosse stata una serie diversa probabilmente sarebbe nata una vita differente.
Potrebbe anche essere, niente vieta di supporlo, ma allora anche l’idea di Dio ha le stesse probabilità di essere, a questo punto, anche se sembra non paragonabile un ragionamento con l’altro, mentre invece lo è, perché quando si discute su ipotesi, tutte quelle avanzate hanno lo stesso diritto di interesse e di possibilità, ed anche di credibilità fino a quando viene dimostrato il contrario. La verità è che nella scienza vi è una disputa infinita che nasconde il fatto che nessuno può dimostrare di aver ragione con le varie ipotesi. Si viaggia su supposizioni supportate da esperimenti che vengono interpretati a proprio vantaggio, come abbiamo visto. Ad oggi non si può quindi affermare che la scienza sia riuscita a spiegare un evento importante come la nascita della vita, perché infatti non è ancora riuscita a dare una accettabile spiegazione.

Tuttavia non possiamo trascurare il fatto che l’origine della vita si differenzia dagli altri eventi per un aspetto cruciale: noi esistiamo, noi siamo qui. Un qualche insieme di accadimenti deve aver condotto a questo fatto inconfutabile : noi siamo qui, senza sapere come siamo nati e tanto meno il perché siamo nati. La vita esiste, quindi, semplicemente perché noi ne siamo la prova. Però non possiamo provare cosa sia, la vita. Quando uno muore si dice che ha perso la vita. Perché l’ha persa? Per un infortunio alla materia che lo compone? Non basterebbe riparare l’infortunio? E una volta fatta la riparazione questa sfuggente, effimera, aleatoria, invisibile entità che è ‘la vita’ dove si dovrebbe riprenderla per rimetterla nel corpo che è stato aggiustato?
A questo punto del ragionamento non solo il senso dell’esistenza ci sfugge di mano, ma anche il motivo della vita stessa, in senso fisico, voglio dire.

Naturalmente, se mai otterremo le prove che la vita si è generata spontaneamente in qualche altro punto dell’universo, il fatto che noi esistiamo diventerà del tutto irrilevante, però rimarranno le domande di sempre: perché siamo nati, e che senso ha il nascere?
Malgrado le sue scoperte anche Darwin rimane non sempre spiegabile, specialmente, come abbiamo visto, quando teorizza la ‘casualità’ nell’evoluzione della specie. Ci sono domande che, anche ad un materialista come Darwin, sarebbe risultato difficile dare una risposta. Per esempio: io penso che la vita genera la vita, e ne ho le prove, ma in che modo la non vita avrebbe creato la vita?
Perché in pratica quello che afferma Darwin è proprio questo: siamo nati dalla materia inerte che per una strana, incredibile, rarissima combinazione biochimica non spiegabile, si è tramutata in vita biologica, che poi si sarebbe evoluta nel modo da lui spiegato. Chiaramente tutta la teoria potrebbe essere accettata, dico potrebbe anche se nessuno ha certezze, ma mi sembra evidente il difetto di partenza.
Il paleontologo gesuita Teillard de Chardin ha proposto una tesi interessante che vuole che l’evoluzione non obbedisca nei minimi dettagli a un progetto preesistente, ma che tenda nel complesso a convergere verso uno stadio finale ancora da raggiungere, che Egli ha chiamato ‘punto Omega’, rappresentante la comunione con Dio.

Ci sono anche scienziati che hanno ipotizzato che la nostra vita potrebbe essere semplicemente una fase di transizione verso altre forme di vita. Qualcuno di loro ha detto che il nostro rango attuale appare di natura assolutamente provvisoria. E’ certo che noi non esisteremo più, molto prima che l’Universo arrivi alla sua fine. Non sappiamo se moriremo magari per nostra stessa mano, se avremo discendenti genetici così lontano da noi come noi lo siamo dall’Homo Abilis, che non sapeva nemmeno parlare, oppure se rappresentiamo semplicemente un anello di congiunzione con una discendenza non biologica di tutt’altra specie. Forse non saremo nemmeno più cervelli organici. Dobbiamo calcolare la possibilità che anche la fase biologica dell’evoluzione rappresenti uno stadio passeggero della storia. Si possono addurre argomenti per sostenere che l’evoluzione biologica possa finire, non appena i suoi prodotti (noi!) avranno fornito alle strutture cibernetiche un sufficiente grado di complessità che le renderà capaci di continuare a svilupparsi da se, senza l’aiuto di tecnici organici viventi. Siccome la capacità intellettuale delle strutture cibernetiche non è sottoposta ai limiti della conoscenza realizzata organicamente, cioè per mezzo di cervelli organici, e certo non ai limiti della durata della vita organica, ridicolmente breve rispetto al compito gigantesco che la conoscenza deve affrontare nel cosmo, è lecito pensare che la linea principale dell’evoluzione, in futuro, possa abbandonare la via seguita fino ad ora e cominciare a realizzare le sue potenzialità non più con materiale organico, vivente, estremamente deperibile in certi particolari, quali noi siamo, bensì con modelli cibernetici, in qualunque forma materializzati. Il biofisico di Friburgo Werner Kreutz, di recente, si è espresso con argomenti a dir poco stimolanti, a favore della verosimiglianza di questa ipotesi.
Per cui il futuro potrebbe riservare un’umanità nella quale le parti dell’organismo umano deteriorabili saranno sostituite con ricambi artificiali, così da evitare ‘guasti’ nel funzionamento della ‘vita’ fisica, che potrà in tal modo durare centinaia di anni, permettendo di sfruttare il cervello umano mettendone a frutto cognizioni acquisite ed esperienza : insomma potremmo anche essere organismi simil-umani portatori del più straordinario computer realizzabile, il cervello dell’uomo, così come potremo addirittura essere sostituiti da organsimi completamente cibernetici. Ma!

La vita sarà quindi profondamente diversa da quella che siamo abituati oggi a vivere. Già se ne vedono le prime, timide ma rivoluzionarie, avvisaglie. Prendiamo, per fare un piccolo esempio, una novità del momento che sembrava iniziata per gioco, Internet. Ebbene, già questa rete di collegamento mondiale porterà domani una enorme evoluzione nella vita sociale perché con il suo uso si perderanno quasi tutti i motivi per muoversi nelle strade, basteranno cip e bit dei computer per trasmettere praticamente in tempo reale tutto ciò che ad oggi si spedisce e si porta materialmente. Chi andrà per strada ad alimentare il traffico lo farà perché vorrà farlo o per proprio piacere: una rivoluzione, come si vede, e questo è solo un piccolissimo esempio

(continua)

cireno
24-12-15, 18:28
Il senso della vita


Se viviamo, un perché ci deve essere. Non possiamo pensare di essere qui, fluttuanti su questa microscopica barca che si chiama Terra, immersi in un universo inimmaginabile, così, per “un puro capriccio del caso”, come qualcuno vorrebbe; non possiamo pensare che tutto ciò che è intorno a noi possa essere nato senza una ragione: sarebbe la spiegazione più banale, la più negativamente banale. Dunque, un motivo ci deve essere.
Oppure dovrebbe essere come ha detto l’astronoma Margaret Geller “Non c’è nessun scopo e nessun motivo. E’ solo un sistema fisico, perché dovrebbe avere uno scopo?”
E’ solo un sistema fisico, senza scopo né fine….demoralizante.
Nel Catechismo di Ginevra, redatto e pubblicato da Calvino nel 1542, alla domanda “Quelle est la principale fin de la vie humaine?” (qual è il fine principale della vita umana), viene risposto ”Per conoscere Dio”.
Nel Catechismo cattolico di maggiore diffusione, alla medesima domanda si risponde: ”Siamo sulla terra per conoscere Dio, amarlo, servirlo e prepararci la strada per il paradiso”.
Quindi noi saremmo sulla terra “per conoscere Dio”, e anche “per prepararci la strada del paradiso”.
Conoscere Dio sarebbe già un grande motivo, anzi una grande consolazione ai nostri tormenti esistenziali, e anche prepararci la strada per il paradiso sarebbe importante, anche se credo che per la povera gente, quella che vive di solo lavoro, che dura fatica giorno dopo giorno solo per riuscire a vivere, spesso anche solo per sopravvivere, la stessa vita è una lunga, faticosa strada verso il paradiso, ma per quanto riguarda quel “conoscere Dio” calvinista, malgrado i miei auspici, c’è il piccolo particolare che nella nostra vita Dio non riusciamo mai a vederlo, quindi diventa piuttosto difficile riuscire “a conoscerlo”. Forse la risposta del Catechismo di Ginevra vuole significare che la conoscenza di Dio avverrà dopo la morte se nella vita avremmo meritato di conoscerlo, però lì si parla di conoscerlo quando “siamo sulla terra”, non nella terra.
Io continuo a cercare una risposta al motivo di ‘questa vita’ che non può essere, con tutto il rispetto per Calvino, solo quello indicato nel suo Catechismo.

E allora? Perché viviamo, se dovremmo vivere per conoscere Dio e poi, in pratica non possiamo conoscerlo, ma possiamo solo pensarlo, immaginarlo, crederlo, cercarlo?
Domande che hanno bisogno di risposte che io non riesco a trovare. Io credo che l’uomo abbia una dovere da assolvere, nel corso della sua esistenza, un dovere che, una volta compiuto, diventa anche un omaggio al suo creatore: autorealizzarsi, formarsi nel lavoro, nell’amore per gli altri e per la terra che ci fa vivere, nel sano divertimento, nella sessualità pulita, nella cultura, nella preghiera. E’ questo che viene chiesto all’uomo, anzi che gli viene ordinato: la realizzazione di se stesso secondo le coordinate che Dio ha stabilito. Credo che il vero motivo del nostro vivere sia quindi la possibilità di autorealizzarci, cioè di creare “noi stessi”, di confezionare un abito alla vita che abbiamo, per cui è vero che siamo alla ricerca costante di conoscere Dio, che abbiamo imparato essere la domanda principale, l’idea ‘innata’, ma è anche vero che dobbiamo trovare, attraverso le nostre azioni e pensieri, un significato alla nostra unica esistenza.
Voglio dire che per dare un senso alla nostra vita, dovremo essere capaci di dare alla nostra vita un senso.
E di motivi che possono concorrere ad autorealizzare per un uomo ce ne sono molti, perché diversi sono i modi con cui si può dare un significato al nostro vivere. Si può essere un buon genitore e dedicare la propria vita ai figli, oppure si può sviluppare la propria artisticità, se si possiede, si possono aiutare i fratelli bisognosi, e sentirsi così riempiti di gioia per il bene che si compie, si può contribuire allo sviluppo dell’umanità, se si ha una mente in grado di farlo, e così via. Mille sono le cose che si possono fare, ma importante è che, qualunque strada si scelga, si riesca a sentire piena utilità in quello che si compie, e questa è la cosa più difficile.
Vorrei spiegarmi meglio: colui che vive una vita inutile, perché vuota di interessi, (anche l’amore è un interesse) è un uomo che non riesce a trovare la via dell’autorealizzazione e quindi è un uomo infelice. Ci sono persone che cercano di raggiungere la felicità attraverso il possesso di cose terrene, la carriera, il denaro (ricordate il famoso slogan americano “Sex, Car and Career=Sesso, auto e carriera): questi non sono degli illusi, certo che no, sono semplicemente edonisti, danno ai lustrini maggior importanza che al brillante, e alla fine si ritroveranno vuoti come marionette troppo usate da una vita del tutto inutile, senza aver potuto acquistare, con il denaro tanto perseguito, le cose veramente importanti che danno un significato all’esistenza.

Anche Aristotele, nella sua grande saggezza, scriveva “La felicità è il fine ultimo che deve guidare l’agire dell’uomo. La felicità però non risiede nei piaceri sensibili, che l’uomo ha in comune con gli animali, e non risiede nella ricchezza, che è solo un mezzo. Felicità, per l’uomo, significa esercizio dell’attività che più gli è propria, cioè quella intellettiva. L’esercizio dell’intelligenza, tuttavia, non esclude che si goda moderatamente dei piaceri sensibili e degli altri beni come la ricchezza, purché ciò non ostacoli la contemplazione del vero e non disturbi l’uso della ragione.
L’uomo si avvicina a Dio solo quando usa la sua intelligenza, ha detto un frate che ilk sabato mattina partecipa a una trasmissione radiofonica, perché è solo nel pensiero, oltre che nell’anima, che l’uomo assomiglia a Dio che è pensiero che pensa solo se stesso, pensiero di pensiero, come ha detto quel frate.

Dominare gli altri dunque, comandare, credersi privilegiati solo come conseguenza della ricchezza posseduta o della carriera svolta, è ben misera cosa. Non sarà mai vero dominio, ma solo una forzata condiscendenza dei sottoposti a una figura quasi sempre sopportata.
Ricordiamo che Gesù, nella parabola del ricco epulone, disse del povero “ un uomo chiamato Lazzaro” mentre il ricco lo indicò solo come “un ricco”. Perché? Perché, anche per Gesù, il ricco è colui che ama soprattutto il possesso del suo denaro, delle sue cose, insomma di ciò che possiede: quasi sempre egli si identifica con queste cose, al punto di scordarsi di tutto il resto. Ebbene, è questa l’autoaffermazione che conta? Avere? Possedere? E’ per questo, semmai, che Gesù disse “E’ più facile che un cammello entri nella cruna di un ago, che non per un ricco attraversare le porte del paradiso”. L’uomo che ama solo ciò che può avere dalla terra, non potrà mai elevare il suo spirito fino agli spazi dove Dio vive, e quindi sarà sempre un uomo infelice perché, per quanto possegga, gli mancherà sempre quel qualcosa che viene solo dallo spirito.
Diciamolo chiaramente: l’essere umano dovrebbe essere qualcosa di più che non un semplice accumulatore di denaro o di potere, al di là di una certa filosofia corrente che vorrebbe che “la ricchezza prodotta è ricchezza per tutti”, soprattutto perché non è vero, e i nostri tempi lo stanno dimostrando. Intanto, anzi soprattutto, l’uomo dovrebbe essere attento a non perdere l’anima, nel senso di non perdere l’umanità e l’amore verso gli altri, e gli “altri” non sono solo gli esseri umani, ma tutto quello che vive sulla terra, animali e vegetali che siano, e anche a non diventare dipendente dal desiderio del possesso, come purtroppo sembra succedere a troppi.
Egli dovrebbe cercare di elevare il proprio spirito, sollevarlo dalla facile materialità della terra, e portarlo più in alto, così da poter godere di tutto quello che la vita può regalare. Insomma è necessario che l’uomo cerchi di essere un Uomo Umano, come Aristotele oltre duemila anni or sono giustamente aveva detto.

E proprio su questa affermazione si è svolta una querelle fra i teologi: essere cristiano vuol forse dire essere di più che essere uomo? Uno dei miei teologi preferiti, a questa domanda risponde che “essere cristiani può costituire un ampliamento, un approfondimento dell’essere uomo, ma non significa essere più uomo.” E io aggiungo che non si deve essere cristiano al prezzo di non essere uomo. Mi scappa un sorriso sulla scelta di certe persone che hanno dedicato la loro vita “laica” alla verginità, o alla sola preghiera. Posso comprendere la preghiera, anzi la sollecito nel credente, ma la verginità cosa c’entra nel laico? Dio non ha fatto l’uomo perché rimanesse in contemplazione del suo mistero e basta, non ha fatto l’uomo perché mortificasse la sua natura di uomo, ma anche se questo dovesse essere, cioè sapersi fermare per contemplare il suo mistero, Dio ha creato l’uomo perché sappia ringraziarlo per la vita ricevuta dando un senso pieno al suo esistere, vale a dire saper diventare un uomo. Questo vuole Dio, o almeno, così mi sembra di poter credere, perché non vedo significati diversi da dare all’esistenza. Se poi Calvino, nella sua furia moralistica, ha detto che “Siamo nati per conoscere Dio”, e basta, io mi oppongo, e porto con me l’esempio di Gesù, che non ha mai chiesto all’uomo di vivere solo pregando e mortificandosi, perché è stato proprio questo triste modo di interpretare la religione cattolica, che ha portato, nei secoli scorsi, la chiesa a compiere azioni terribili in nome di un Dio che terribile non è.

Ci sono tutta una serie di cose obbligate che l’uomo laico non può non fare, anzi non deve non fare.
In ragione di questo, essere cristiano deve certamente significare aver fede, vivere secondo gli insegnamenti di Gesù, specialmente nei riguardi del resto dell’umanità, ma deve anche voler dire essere liberi di “esistere” nel senso più ampio del termine. Per cui smettiamo di pensare alla sessualità come ad una vergogna, come fonte di peccato, perché non lo è. Smettiamo di sentirci in colpa per una banale bugia (anche se la menzogna è, a mio giudizio, uno dei peccati più gravi dell’uomo) o per una risposta stizzita data alla propria madre: ben altri sono i peccati da evitare...


(continua)

cireno
25-12-15, 12:08
Voglio qui riportare un passaggio, a proposito della sessualità intesa come vergogna, anzi come peccato, di un libro di religione stampato dagli Avventisti nel 1976, quindi abbastanza recente, che casualmente ho trovato su una bancarella. Un passaggio illuminante su come ‘certe gerarchie’ della chiesa hanno mal compreso il messaggio di Gesù e ne hanno sempre diffuso una visione punitiva e mortificante, che non mi sembra esistesse nelle intenzioni del Figlio dell’Uomo.


Le radici del peccato - “Altri elementi possono provare che la radice del male è la fornicazione, l’adulterio. Dato che il peccato iniziò attraverso un rapporto sessuale, esso viene trasmesso di generazione in generazione. Le religioni che insegnano come liberarsi dal peccato, vedono l’adulterio come il peccato più grave ed incoraggiano la vita ascetica per non cadere in tentazione. Gli ebrei dovevano essere circoncisi per poter essere gli eletti di Dio, con questo atto gli ebrei rimuovevano il sangue contaminato dalla parte che aveva trasmesso il peccato. La fornicazione è stata causa di guerre e distruzioni nel mondo ed ha corrotto le menti degli uomini senza che essi ne fossero consapevoli. Gli altri peccati possono essere corretti e prevenuti attraverso gli insegnamenti etici, morali, religiosi e culturali, ed anche migliorando i sistemi economici e sociali. Però nessun insegnamento può prevenire questo peccato ed anzi questa civiltà lo vede aumentare di giorno in giorno. Il mondo ideale non potrà essere stabilito se prima non si sradica questo peccato, scoprendone la causa. Il messia, il Signore del Secondo Avvento, verrà per risolvere definitivamente questo dramma dell’umanità

Un commento è di dovere. Intanto bisogna distinguere tra adulterio e fornicazione, mentre qui vengono equiparati, secondo me in assoluta malafede, perché non posso pensare che chi ha scritto queste righe non conoscesse il differente significato dei due termini. E ancora chiarire che la circoncisione è, come tutti sappiamo, un atto igienico imposto ai tempi in cui lavarsi era una consuetudine quasi sconosciuta. Che poi si pretenda che, con questo segno, si possa diventare ‘eletti’ presso Dio, come gli ebrei pensavano scordando che Mosè aveva richiesto questa operazione come un marchio per distinguere loro ivrim dagli altri, mi sembra arrogantemente assurdo. E ancora la fornicazione viene indicata come causa di guerre e distruzioni. Non la miseria, non la prepotenza, non la malvagità dell’uomo potente, ma l’atto sessuale, una cosa che Dio ha voluto come suggello dell’unione di una coppia. Certo che la ‘fornicazione’ pagata con denaro o strappata con la violenza è un’atto squallido e sporco. Ma pagare una donna per averne il corpo, o costringerla con la forza a fare ciò che l’uomo vuole senza il suo consenso, non sono atti che richiedono l’avvento del Signore per essere puniti: fanno schifo e basta. Ed è su chi vende il proprio corpo per denaro e su chi lo compera per piacere che la sporcizia ricade, senza interventi divini di nessun genere.

Già che sono in questo argomento io vorrei vedere una chiesa cattolica finalmente all’altezza della natura. I preti, salvo loro specifica scelta, dovrebbero ad esempio avere una moglie. E’ stato scritto che chi predica il Vangelo debba vivere del Vangelo. D’accordo, ma dove è scritto che per predicare il Vangelo bisogna mortificare la innata sessualità e non avere un compagno per la vita? Perché quella punizione, che tale è, senza aver commesso peccato?
Dio non si serve con l’astinenza o, peggio, con l’amore solitario o rapinato alla donna di altri, o peggio all’ingenuo ragazzino che frequenta l’oratorio, ma si serve negli atti della vita, con il rispetto verso tutti e ‘verso noi stessi’ soprattutto. Questa mortificazione della carne, voluta non si è mai capito bene in nome di quale penitenza o mortificazione, è contro natura, illogica e anche origine di molti drammi conseguenti.
E poi l’amore fra un uomo e una donna è stato benedetto anche da Gesù il quale, fra l’altro, sembrerebbe essere stato addirittura sposato. O almeno così scrive Weddig Fricke nel suo libro ‘Il caso Gesù’ :-

Anche con le donne Gesù non sembra sia stato ritroso. Un episodio abbastanza piccante esce dalla penna di Luca (7,37) quando racconta che egli si lascia prestare alcuni servizi da una donna - che Luca chiama peccatrice - nella casa del fariseo Simone, dimostrando di gradire la sua vicinanza che lo stesso tollerante Simone stima eccessiva (Luca 7,44).
‘Volgendosi verso la donna disse a Simone : “Vedi questa donna? Sono venuto in casa tua e tu non mi hai dato l’acqua per lavare i piedi ; lei invece mi ha bagnato i piedi con le lacrime e con i capelli li ha asciugati”.
La scena con il suo profumo erotico è ritratta in molti eccellenti dipinti. La bella peccatrice è in genere identificata - ma Luca non può esserne un punto di riferimento - con Maria Maddalena.
Tratteggiando questo aspetto specifico di Gesù, Luca intende volutamente dare una lezione ai moralisti dall’animo gretto che sono sempre esistiti in ogni epoca. Eppure, come nulla fosse, la dottrina ecclesiastica nella sua avversione per il corpo non accetta di interpretare l’episodio - che so - come una sorridente concessione all’erotismo; anzi vuole scorgervi un esempio di contrizione senza tener conto che la donna a cui Gesù concede di ungerlo, in Marco e in Matteo non è una peccatrice e in Giovanni non è Maria di Magdala, ma la rispettabile Maria di Betania, sorella di quel Lazzaro che Gesù avrebbe risuscitato dai morti.
In genere si deve osservare che subito dagli inizi la Chiesa fu largamente orientata verso l’ideale paolino della castità, piuttosto che a scendere sul terreno della tolleranza, che era quello di Gesù. E quanto Gesù fosse tollerante risulta per esempio da suo comportamento con l’adultera, condannata a morte e prossima ad essere lapidata (gv,8,7 e 11.
Quello di voi che è senza peccato scagli per primo una pietra contro di lei...Neppure io ticondanno, và e d’ora in poi non peccare più.
Ben-Chorin è convinto che Gesù fosse sposato. “Egli stesso visse un momento nuziale. I discepoli e la cerchia dei seguaci chiamavano Gesù rabbi. E’ difficile immaginare un rabbi non sposato... Proviamo a domandarci: se Gesù non fosse stato sposato, i suoi discepoli non gli avrebbero chiesto il motivo di questo difetto? Soprattutto i suoi oppositori non gli avrebbero rimproverato di aver disatteso al primo precetto ‘siate fecondi e moltiplicatevi’ del catalogo rabbinico dei doveri?.. Dobbiamo anzitutto liberarci dell’idea che un Gesù sposato avrebbe costituito nel suo mondo un motivo di imbarazzo. E’ vero proprio il contrario.

Voglio affermare con questi esempi che io vedo un giusto comportamento cristiano soprattutto nel rapporto amorevole, comprensivo verso gli altri, i più deboli, i più indifesi e non nella mortificazione del corpo che Dio ci ha dato. Vedo un giusto comportamento cristiano nella mancanza di cattiveria e di aggressività nei rapporti con gli altri, che non vuol dire assenza di grinta nel lavoro o nello sport, sia ben chiaro. Lo vedo nel rispetto per tutto quello che vive intorno a noi, uomini, animali e vegetali; nella missione continua di cercare di migliorare la casa di tutti, sia nella pulizia che nella distribuzione delle sostanze; nell’aiuto che si può dare a quelli che possono aver bisogno di noi, specialmente a quelli che soffrono.
Ecco, la sofferenza. Essere cristiano significa aiutare chi soffre ma anche accettare la nostra sofferenza. Certo, si fa presto a dirlo, però guardando alla figura di Gesù, il Grande Sofferente, si deve almeno tentare di prenderne l’esempio. Certo nella nostra condizione di esseri umani la sofferenza per malattia, o per la perdita di una persona cara, ci sembrano ingiuste e difficili da sopportare, ma bisogna almeno provare, perché è anche attraverso la sofferenza che si diventa uomini ( o almeno è questo che io dico sempre ai miei nipotini), e che si giunge ad apprezzare la gioia che danno quelle che sembrano piccole cose, e invece sono grandissime: il colore del cielo, un bosco, le ali delle farfalle, una catena di montagne al tramonto, il sorriso di un bambino, la voce della persona che amiamo, il sole che spunta, la distesa del mare....

Nella mia vita, ormai lunga, ho trovato la felicità di vivere quasi sempre presso le persone semplici, o in coloro che pur non essendolo, sono riusciti ugualmente a vivere semplicemente. Perché? Perché la semplicità -“i poveri di spirito” come li ha definiti Gesù - ha la porta dei cieli aperta? Perché la semplicità è “sempre vera”, priva di artifizi e quindi di inganni: è come il candore del bambino.
Perché la semplicità non ‘obbliga’ a essere differenti da quello che siamo, è il mezzo più autentico, l’unico, che ci permette di essere noi stessi, fuori da ogni rappresentazione, è la realizzazione del nostro vero io, non la versione mascherata che portiamo in giro nella società.

In un bel libro che un caro amico mi ha recentemente regalato - Le sette leggi spirituali del successo, di Deepak Chopra - all’inizio si legge:

“La prima legge spirituale del successo è La Legge della Potenzialità pura, la quale si basa sulla convinzione che l’uomo, nel suo stato essenziale, è coscienza pura, ovvero potenzialità pura, ovvero campo di possibilità illimitate. La coscienza pura è la sua essenza spirituale. Essere infiniti e liberi significa provare una gioia pura. La conoscenza pura, il silenzio infinito, l’equilibrio perfetto, la semplicità e la felicità assoluta rappresentano gli attributi della coscienza.....La scoperta dell’essenza della vostra natura e la vera conoscenza di voi stessi rappresentano di per sé la capacità di realizzare qualsiasi sogno, perché voi siete l’eterna possibilità, il potenziale incommensurabile del passato, del presente e del futuro. La Legge della Potenzialità Pura potrebbe essere definita come la Legge dell’Universo: alla base delle infinite forme di vita sussiste sempre l’unità di uno spirito onnipresente. Non c’è separazione tra l’uomo e tale energia, poiché il campo della Potenzialità pura è il vostro Sé: quanto più vivete la vostra vera natura tanto più vi avvicinate al campo della potenzialità pura. L’esperienza del Sé o dell’autoriferimento implica prendere come spunto di riferimento il proprio spirito e non gli oggetti delle nostre esperienze. Il contrario dell’auto-riferimento è il riferimento esterno, in base al quale subiamo sempre l’influenza degli oggetti posti al di fuori del Sé, tra cui le situazioni, le circostanze, le persone e le cose. Il riferimento esterno porta alla ricerca dell’approvazione altrui; in tal caso il nostro modo di pensare e il nostro comportamento si esprimono sempre in funzione di una risposta e, conseguentemente, si fondano sulla paura. Il riferimento esterno , inoltre, fa nascere in noi un forte bisogno di controllare le cose: il bisogno di approvazione degli altri in realtà sono dettati dalla paura. Questo non deriva dal Sé. Il Sé non ha bisogno di lottare per ottenere l’approvazione degli altri. Nel riferimento esterno, il punto centrale è l’ego, che non è la vostra vera identità, ma la maschera che mettete nella società, il ruolo che interpretate. Esso si consolida con l’approvazione altrui, vuole avere il controllo di ogni cosa, poiché vive sempre nella paura.

Il vero Sé, cioè il vostro spirito, la vostra anima, è invece del tutto estraneo a quanto descritto. Esso infatti è immune nei confronti della critica, non teme nessuna sfida e non si sente inferiore a nessuno. Nel contempo è umile e non nutre sentimenti di superiorità nei confronti di nessuno, perché riconosce che anche gli altri sono l’espressione di Sé stessi. Questa è la differenza sostanziale fra riferimento esterno e auto-riferimento. Quest’ultimo consente di conoscere il proprio essere, il quale non teme sfide, rispetta tutti gli uomini e non si sente inferiore a nessuno. Il potere che deriva dal Sé è quindi il vero potere. Quello fondato sul riferimento esterno è invece falso: dato che si basa sull’ego, la sua durata è subordinata all’esistenza dell’oggetto di riferimento. Se siete presidente di una società o sindaco di un paese, oppure possedete una grossa somma di denaro, il potere che ne risulta dipende dal titolo, dalla carica o dal denaro. Il potere che vi viene non è vero ma durerà solo fino a quando esisteranno i fattori che lo hanno determinato. E’ quindi solo il potere che viene dal Sé, quello che conta”.

Poi il pezzo continua dichiarando appunto che la ricerca della ‘semplicità’ è il punto primo della vera esistenza, quella che porta alla felicità della vita(continua)

cireno
25-12-15, 22:03
Ci devono essere delle ragioni in questa felicità dei semplici. Aristotele ha detto che solo coltivando l’intelletto si può godere di gioie altrimenti sconosciute. E questo è vero. Ma è anche vero che chi si pone poche domande ha anche pochi dubbi, e quindi minor angoscia di vivere: forse è questo il segreto? Immerso nei suoi libri, colui che nutre solo il suo cervello magari non ha nemmeno il tempo, o la voglia, di guardare le meraviglie che lo circondano. L’uomo semplice no, lui vede il creato, ama la natura, e spesso ha la felicità di esserne compartecipe.

Io credo di essere un animo semplice. Alla mattina guardo ancora con vero stupore il cielo, il sole, gli uccellini che volano e le fronde degli alberi che disegnano arabeschi nell’azzurro e mi sento contento di vivere, anzi, penso con grande rammarico a quando non potrò più godere di queste meraviglie che ho intorno.

Ma probabilmente la felicità si raggiunge anche con i consigli di Chopra nel libro che ho appena citato: sforzarsi di essere noi stessi, non mascherarci, ‘accettare serenamente quello che siamo’, insomma non complicarci la vita.

Tornando alla sofferenza: dobbiamo convincerci che la materia, così come è fonte, qualche volta, di piacere, è necessariamente anche causa di dolori e sofferenze, perché l’involucro che contiene l’anima è mortale, e quindi soggetto alla malattia, al dolore, al degrado. Per questo credo che Dio abbia disposto tanta bellezza nel mondo ma ha permesso anche il male, perché le due cose sono complementari, visto che noi siamo, come tutto il resto che esiste, esseri o cose che avranno una fine. Poiché non può esistere una materia organica che invecchia e muore senza che esista il dolore del degrado e quindi la sofferenza, dobbiamo concludere che la sofferenza, come la gioia e il piacere, è parte della vita e come tale deve essere razionalmente accettata.

Al proposito dice il teologo:


Secondo Gesù Cristo l’uomo nel mondo di oggi può
vivere, agire, soffrire e morire in modo umano:
nella felicità e nella sventura, nella vita e nella morte
sorretto da Dio e fecondo di aiuto per gli altri.

Fecondo di aiuto per gli altri. Ecco uno dei significati più importanti che dobbiamo dare alla nostra vita. Essere di aiuto per chi ha bisogno di noi, ben sapendo che quelli che hanno bisogno di aiuto potremmo essere anche noi.
Avete mai provato a compiere una buona azione, fare una giusta elemosina, aiutare un cieco a camminare, un vecchio ad alzarsi? Non vi sentite pieni di gratitudine verso voi stessi, quando l’avete fatto?
C’è una parte di uno scritto di Simone Weil sulla sofferenza umana che voglio farvi conoscere.
Devo dire che è una delle più belle cose che ho mai letto su un argomento così difficile. Simone Weil lo scrisse a soli 33 anni, poco prima di morire, e lo confidò insieme ad altri suoi scritti ad un giovane sacerdote francese, Jean-Marie Perrin, con il quale intratteneva da tempo un epistolario (pubblicato da Rusconi sotto il titolo “Attesa di Dio), che ventilava la sua tentazione di entrare nella chiesa cattolica, lei ebrea di nascita e di famiglia, per il grande amore che provava per la figura di Gesù. Ecco uno stralcio dello scritto ( che è del 1943, in piena guerra):-

..Il grande enigma della vita umana non è la sofferenza, è la sventura. Non c’è da stupirsi che degli innocenti siano uccisi, torturati, cacciati dal proprio paese, ridotti in miseria o in schiavitù, chiusi in campi di concentramento o in carcere, dal momento che esistono criminali capaci di compiere tali azioni. Non c’è nemmeno da stupirsi che la malattia infligga lunghe sofferenze che paralizzano la vita e ne fanno un’immagine della morte, dal momento che la natura soggiace a un cieco gioco di necessità meccaniche. Ma c’è invece da stupirsi che Dio abbia dato alla sventura il potere di afferrare l’anima degli innocenti e di appropriarsene da padrona assoluta. Nel migliore dei casi, chi è segnato dal marchio della sventura riuscirà a salvaguardare solo metà della propria anima.
Chi è stato raggiunto da uno di quei colpi che lasciano l’essere umano a terra, a contorcersi come un verme mezzo schiacciato, non è in grado di trovare le parole per esprimere quanto gli succede. Lo persone che lo incontrano, pur avendo molto sofferto, se non hanno mai toccato con mano la vera sventura non possono capire ciò a cui si trovano di fronte. Essa è qualcosa di particolare che non si può rapportare a null’altro, come in nessun modo si può dare a un sordomuto l’idea dei suoni. E coloro che sono stati mutilati dalla sventura non sono in grado di soccorrere nessuno; sono quasi persino incapaci di provarne il desiderio. Quindi la compassione nei riguardi degli sventurati è cosa impossibile. Quando la cosa si verifica veramente, è un miracolo più sorprendente che camminare sulle acque, guarire gli infermi e persino risuscitare i morti.
La sventura ha costretto Cristo a supplicare di essere risparmiato, a cercare conforto fra gli uomini, a credersi abbandonato dal Padre. Ha costretto un giusto a imprecare contro Dio, un giusto perfetto, quanto almeno può esserlo un essere umano, e forse di più, se Giobbe non è tanto un personaggio storico quanto un’immagine di Cristo. “Egli si fa gioco della sventura degli innocenti”. Non è una bestemmia, è un autentico grido strappato al dolore. Il libro di Giobbe è dall’inizio alla fine una pura meraviglia di verità e autenticità.
Nella sventura Dio è assente, più assente di un morto, più assente della luce in un sotterraneo completamente buio. Una specie di orrore sommerge completamente l’anima. Durante questa assenza non c’è nulla da amare. la cosa terribile è che, se in queste tenebre in cui non c’è nulla da amare l’anima cessa di amare, l’assenza di Dio diventa definitiva. Bisogna che l’anima continui ad amare a vuoto, o almeno a voler amare, sia pure con una parte infinitesimale di se stessa. Allora viene il giorno in cui Dio le si mostra e le rivela la bellezza del mondo, come avvenne per Giobbe. Ma se l’anima cessa di amare, cade, già in questo mondo, in qualcosa che assomiglia all’inferno.
Ecco perché coloro che fanno precipitare nella sventura esseri umani non preparati a sopportarla, uccidono delle anime. D’altra parte, in un’epoca come la nostra ( eravamo nel 1942), nella quale la sventura incombe su tutti, l’aiuto prestato alle anime è efficace solo se riesce veramente a prepararle alla sventura. Non è cosa da poco.
la sventura indurisce l’anima e porta alla disperazione, perché imprime in essa profondamente, come un ferro rovente, quel disprezzo, quel disgusto e persino quella ripugnanza di se stessi, quel senso di colpa e di abiezione che dovrebbero essere la logica conseguenza del delitto, ma non lo sono mai.
perché il male abita nell’anima del criminale senza essere percepito. E’ percepito invece dall’anima dell’innocente colpito dalla sventura. Tutto avviene come se lo stato d’animo che è essenzialmente proprio del criminale fosse stato separato dal delitto e annesso alla sventura e persino in proporzione all’innocenza degli sventurati.
.........
“Egli venne fatto maledizione per noi”. Non soltanto il corpo di Cristo inchiodato sulla croce fu maledetto, ma anche l’anima sua. Allo stesso modo, ogni innocente nella sventura si sente maledetto.
.......
Talvolta è facile liberare uno sventurato dalla sua sventura presente, ma è difficile liberarlo da quella passata. Solo Dio può farlo. E nemmeno la grazia di Dio può guarire, quaggiù, la natura irrimediabilmente ferita. Il corpo glorioso di Cristo mostrava le piaghe.
Non si può considerare l’esistenza della sventura se non considerandola come una distanza.
Dio ha creato per amore, e ai fini dell’amore. Dio non ha creato altro che l’amore stesso e i mezzi dell’amore. Ha creato tutte le forme dell’amore. Ha creato esseri capaci di amore a tutte le distanze possibili. Lui stesso - poiché nessun altro poteva farlo - è andato alla distanza massima, alla distanza infinita. Questa distanza infinita fra Dio e Dio, strazio supremo, dolore senza pari, miracolo d’amore, è la crocifissione. Nulla può essere più lontano da Dio di ciò che è stato reso maledizione.
Questo strazio, al di sopra del quale l’amore supremo crea il legame dell’unione suprema, risuona in perpetuo attraverso l’universo, in fondo al silenzio, come due anime separate e fuse, come un’armonia pura e straziante. E’ la parola di Dio. L’intera Creazione non è che la sua vibrazione. Quando la musica umana, nella sua massima purezza, penetra nella nostra anima, è proprio questo che percepiamo attraverso di essa. Quando abbiamo imparato ad ascoltare il silenzio, è questo che, nel silenzio, cogliamo più distintamente.
Coloro che perseguono nell’amore sentono questa nota anche al fondo dell’abbattimento in cui li ha gettati la sventura. Da quel momento non possono più avere dubbi. Gli uomini colpiti dalla sventura sono ai piedi della croce, quasi alla massima distanza da Dio. Non bisogna credere che il peccato sia una distanza maggiore da Dio. Il peccato non è una distanza. E’ un cattivo orientamento dello sguardo.
Esiste, è vero, un legame misterioso tra questa distanza e una disobbedienza originale. Fin dalle origini, ci dicono, l’umanità ha distolto lo sguardo da Dio e ha camminato nella cattiva direzione, allontanandosene quando le era possibile. Sta di fatto che allora essa poteva camminare; noi invece siamo inchiodati sul posto, liberi solo dei nostri sguardi, sottomessi alla necessità. Un meccanismo cieco, che non tiene in alcun conto il grado di perfezionamento spirituale, spinge di continuo gli uomini ora da una parte ora dall’altra, e qualcuno viene scagliato ai piedi della croce. Dipende da loro soltanto il mantenere o no gli occhi rivolti a Dio durante questi bruschi spostamenti. Non che la Provvidenza di Dio sia assente: nella sua Provvidenza, Dio ha voluto la necessità come un meccanismo cieco. Se il meccanismo non fosse cieco non vi sarebbe sventura. La sventura non avrebbe questo potere senza la casualità che comporta. Coloro che sono perseguitati per la loro fede, e lo sanno, non sono sventurati, qualunque cosa abbiano da sopportare. Cadono nella sventura solo se la sofferenza e la paura occupano la loro anima al punto di far loro dimenticare il motivo della persecuzione. I martiri gettati alle belve, che entravano cantando nell’arena, non erano degli sventurati. Cristo era uno sventurato. Non è morto come un martire: è morto come un criminale comune, assieme ai ladroni, solo con un po’ più di ridicolo. perché la sventura è ridicola.
.....
Ma la sventura non è il dolore. La sventura è ben altro che un mezzo pedagogico di Dio. L’infinità dello spazio e del tempo ci separa da Dio. Come potremo cercarlo? Come potremo andare verso di lui? Anche se camminassimo per secoli e secoli, non si farebbe altro che girare intorno alla terra. Non possiamo fare neppure un passo verso il cielo. Dio attraversa lo spazio e viene allora da noi.
Al di là dello spazio e del tempo infinito, l’amore infinitamente più infinito di Dio viene ad afferrarci. Viene quando è la sua ora. Noi abbiamo facoltà di acconsentire ad accoglierlo o di rifiutare. Se restiamo sordi, egli torna e ritorna ancora, come un mendicante; ma un giorno, come un mendicante, non torna più. se noi acconsentiamo Dio depone in noi un piccolo seme e se ne va. Da quel momento, a Dio non resta altro da fare, e a noi nemmeno, se non attendere. Dobbiamo soltanto non rimpiangere il consenso che abbiamo accordato. Non è facile come sembra, perché la crescita del seme, in noi, è dolorosa. Inoltre per il solo fatto che noi accettiamo questa crescita, non possiamo fare ameno di distruggere ciò che potrebbe intralciarla, di estirpare l’erba cattiva, le gramigne; purtroppo queste erbacce fanno parte della nostra stessa carne, per cui tali operazioni sono cruente. Ciò nonostante il seme cresce da solo e viene il giorno in cui l’anima appartiene a Dio, un giorno in cui non soltanto acconsente all’amore ma ama veramente, effettivamente. Bisogna allora che essa a sua volta, attraversi l’universo per giungere sino a Dio.
....
L’amore divino ha attraversato l’infinità dello spazio e del tempo per venire fino a noi. Ma come può rifare il percorso inverso quando proviene da una creatura finita?... Sembra impossibile, ma un mezzo c’è.
..... Quando si batte un chiodo con il martello, il colpo si trasmette per intero dalla larga testa del chiodo alla punta, senza che niente vada perduto, sebbene essa non sia che una punta. Se il martello e la testa del chiodo fossero infinitamente grandi, non avverrebbe diversamente. La punta del chiodo trasmetterebbe quel colpo infinito al punto su cui essa è posata.
L’estrema sventura, che è a un tempo sofferenza fisica, sconforto mortale e degradazione sociale, può essere paragonata al chiodo. La punta viene posata al centro stesso dell’anima. La testa del chiodo è la necessità che si stende sulla totalità dello spazio e del tempo.
La sventura è un miracolo della tecnica divina. E’ un dispositivo semplice che permette a quella forza cieca, bruta e fredda di penetrare nell’anima di una creatura finita. La distanza infinita che separa Dio dalla creatura si raccoglie intera intorno a un punto per trafiggere l’anima al suo centro. L’uomo cui accade non ha parte alcuna in questa operazione. Egli si dibatte come una farfalla appuntata con uno spillo su un album. ma può voler insistere ad amare attraverso l’orrore. Ciò non è impossibile, ne incontra ostacoli; si può quasi dire che non è difficile. Infatti fin che il dolore più grande non è ancora arrivato a far perdere i sensi, non raggiunge quel punto dell’anima che permette un buon orientamento.
Bisogna solo sapere che l’amore è un orientamento e non uno stato d’animo. Se lo si ignora si cade nella disperazione al primo contatto con la sventura.
Chi riesce a mantenere la propria anima orientata verso Dio mentre un chiodo la trafigge, si trova inchiodato al centro dell’universo. E’ il vero centro, che sta nel mezzo, che è fuori dallo spazio e dal tempo, che è Dio. Secondo una dimensione che non appartiene allo spazio, che non è tempo, che è una particolare dimensione, questo chiodo ha fatto un foro attraverso la Creazione, attraverso lo spessore dello schermo che separa l’anima da Dio. Tramite questa miracolosa dimensione, l’anima, senza lasciare il luogo e l’istante in cui si trova il corpo al quale è avvinta, può attraversare la totalità del tempo e dello spazio e pervenire alla presenza di Dio. Essa si trova al punto di intersezione tra la Creazione e il creatore, là dove si intersecano i bracci della croce.


All’inizio di questo capitolo, ho citato la risposta di Calvino alla domanda eterna: “Perché viviamo?” Alla quale domanda lui ha risposto “Per conoscere Dio”.
E io ho commentato: ma se noi Dio non lo possiamo mai vedere, se mai lo incontriamo nella nostra vita, se mai ne udiamo la voce, come possiamo conoscerlo?
E invece potrebbe essere, come ebbe a dirmi un giorno don Ettore, il fondatore dell’Opera Fratel lettore, che noi Dio lo incontriamo ogni giorno, sul tram, per strada, in un’ospedale, nel mio dormitorio per i più poveri, come lui mi disse. Solo che non lo ‘identifichiamo’, non riusciamo a capire che Dio è lì, davanti a noi e, spesso, non vogliamo vederlo.
Ci sono però uomini che hanno incontrato Dio, nella loro vita, e lo hanno riconosciuto come tale. Certo Dio sembra essere intervenuto a Loreto, a Fatima, a Lourdes ecc. Ed è apparso in mille altri luoghi, e in mille diverse maniere inspiegabili, come è il mistero del sangue di San Gennaro a Napoli. Ma sono sempre stati interventi più che vere apparizioni ma a qualcuno è apparso nel pieno della sua presenza, e a costoro ha sempre totalmente mutato il corso della vita.
Uno degli esempi più eclatanti della apparizione di Dio, viene dall’incontro che Andrè Frossard, scrittore e giornalista fra i più famosi in Francia, ebbe nel 1935 con la divinità.
Vediamo la storia.

Andrè Frossard, nipote di una signora ebrea, figlio di una donna protestante e di un uomo nemmeno battezzato (Ludovic Oscar Frossard, definito il Gramsci di Francia, fondatore del Partito Comunista Francese nel 1920), ateo lui stesso e marxista, Andrè Frossard all’età di venti anni (siamo nel 1935), entrando in una chiesa cattolica alla ricerca di un amico con il quale aveva appuntamento davanti alla chiesa, fu folgorato da un’esperienza indicibile: il velo che si squarcia, la visione “faccia a faccia” di Dio, dell’aldilà, della vita eterna.

“Sono entrato in quella chiesa per caso, sereno, felice, senza angosce metafisiche, inquietudini, dispiaceri amorosi, problemi personali; non ero che un tranquillo giovane ateo, marxista, un ragazzo di vent’anni spensierato e allegro, anche un poco superficiale, che quella sera aveva in programma un incontro galante. Ne sono uscito dopo dieci minuti, tanto sorpreso da ritrovarmi improvvisamente cattolico e credente, quanto lo sarei stato nello scoprirmi giraffa o zebra all’uscita dallo zoo. Proprio perché sapevo che non sarei stato creduto, di quello che avevo visto in quei pochi minuti durati un secolo, ho taciuto per oltre trent’anni. Per tanti anni non ho mai confidato a nessuno il mio segreto. Ho lavorato sodo per farmi un nome come giornalista e scrittore, sperando di non essere preso per pazzo quando avessi assolto al mio debito: raccontare ciò che avevo visto e mi era accaduto in quella chiesa”.

Infatti nel 1969, spronato da Francois Mauriac a cui aveva raccontato l’accaduto, Frossard fece uscire un libro che nel frattempo aveva scritto, che segnò un grande successo editoriale: Dieu existe, je l’ai rencontrè (Dio esiste, io l’ho incontrato). Il mondo intero rimase sorpreso dal suo contenuto, polemiche e discussioni seguirono per anni. Il fatto è che tutti avevano davanti le parole di un uomo di grande prestigio e levatura intellettuale, che non lo aveva scritto per spiegare sue teorie o ragionamenti, ma perché “aveva visto e toccato Dio, con i suoi occhi e le sue mani”. Anche papa Giovanni Paolo II lo volle conoscere, e quando lo incontrò parlarono per ore come vecchi amici.
In un colloquio con uno scrittore cattolico italiano, Vittorio Messori, che allora andò a intervistarlo a Parigi, Andrè Frossard disse:

“Io non potevo evitare tutto questo trambusto. Cosa ci posso fare se Dio esiste, se il cristianesimo è vero, se l’aldilà c’è? Cosa ci posso fare se c’è una Verità, e questa Verità è una Persona che vuole essere conosciuta, che ci ama e che si chiama Gesù? Non ne parlo per ipotesi, per ragionamento. Ne parlo per esperienza: io ho visto. Non so perché si sia scelto proprio me, perché fossi testimone oculare di quel che si nasconde dietro l’apparenza del mondo. So solo che ho il dovere di testimoniare. Sono condannato a parlare, sono incalzato con dolcezza, ma con tenacia, dal bisogno di recitare la lezione che Dio mi ha impartito in quella chiesa nel 1935, durante quell’incontro sconvolgente. Quando si sa che Dio c’è, che Gesù è suo figlio, che siamo attesi dopo la morte, che su questa terra non c’è e non ci sarà mai altra speranza al di fuori del Vangelo, quando si sa questo, ebbene, bisogna dirlo”.

Ma perché, fu chiesto a Frossard, quel Dio incontrato sarebbe quello cristiano e non altri?


“Non avrei potuto incontrare Allah, perché quello non si incontra, egli è l’Inaccessibile per definizione. E così Jahvè, il Dio d’Israele. Non c’è che il Dio cristiano che renda possibile l’incontro, un Dio tanto umile da farsi mangiare. Il Dio dell’Antico Testamento appare avvolto e separato da noi dal velo del Sacro. E’ solo con Cristo che il sipario del tempio si squarcia. Con lui l’alleanza con Israele diventa una lega, come per i metalli, in cui Dio e l’umanità intera sono fusi in modo inestricabile.”

Ma perché dunque il Dio cristiano ha scelto proprio lui, il giovane Frossard, figlio del Grande Capo ateo dei comunisti, anch’egli ateo e comunista, per apparirgli e farlo diventare cattolico di colpo?

“Non lo so: so che non ho scelto proprio nulla, io. Ne la fede né, meno che mai, la Chiesa cattolica. Posso solo dire di aver sentito con chiarezza che quella Chiesa sarebbe stata da lì innanzi il mio indirizzo di casa. Dopo quell’esperienza un prete mi spiegò il catechismo; scoprii così che Roma aveva già messo in formule, da secoli, quello che io avevo visto di colpo nella chiesa. Sapevo già tutto, prima ancora di studiare: mi ero messo a cercare dopo aver già trovato”.

Andrè Frossard, ho già detto, era (è morto nel 1995) uno dei giornalisti più apprezzati di Francia, scriveva su Le Figaro. Una persona estremamente colta, polemista nato, con un carattere impetuoso, molto vivace.
Una sua frase “Non posso dare al mondo tutta la serietà che il mondo pretenderebbe da noi. La stessa storia degli uomini non è così importante. Quando si incontra Dio, la prima scoperta è l’insignificanza di tutte le cose che anche oggi i cristiani, esclusi i santi, ovviamente, prendono così ridicolmente sul serio”.uando si incontra Dio
Un’altra sua frase, data in risposta a qualcuno che gli aveva chiesto: “Come può sopravvivere l’uomo su cui Dio ha posato lo sguardo?.
“Basta non prendersi sul serio. Basta rendersi conto che non si è che pedine poco importanti in un gioco misterioso di cui ignoriamo le regole”.

Ci fermiamo qui su questa incredibile esperienza di un’uomo, ateo, marxista, giovane, felice e spensierato che in dieci minuti ha cambiato totalmente la sua vita, fino a diventare oggi uno dei personaggi cattolici più influenti di Francia, dal quale preti e suore in crisi spirituale andavano a parlare, per avere conforto nei momenti più difficili di un’esistenza cattolica; che parla del papa Giovanni Paolo II come di un amico di casa; che è stato anche abbastanza osteggiato, per la sua causticità di giornalista, dagli ambienti cattolici più conservatori di Francia, ambienti e uomini di una chiesa che Frossard non ha mancato mai di criticare.

Un uomo, come dice Vittorio Messori dopo averlo conosciuto, che sembra “Un ateo sconfitto, piegato a credere ciò che, senza quella stangata, mai avrebbe creduto”.


Certo sono pochi coloro che hanno, nella vita terrena, la grande opportunità di vedere e di conoscere Dio riconoscendolo, come vorrebbe il Catechismo di Calvino. Però, come abbiamo visto con un esempio, Dio si può trovare in ogni momento della nostra esistenza, oppure può trovare noi, come è stato per Frossard. I modi e i tempi non siamo certamente noi a sceglierli, ma questa conoscenza può nascere in ogni momento della nostra vita, e può accadere anche dietro l’angolo della nostra casa, e quindi potrebbe accadere anche a me, perché no?Ma torniamo alla domanda dell’inizio: Perché viviamo? qual è il senso della nostra esistenza?

Come ha detto in un suo libro Teillard de Chardin, ogni risposta a questa domanda sarebbe insufficiente. Per cui anche le risposte della fede, quelle riportate dai catechismi, possono essere poco convincenti, in quanto ovvie e stereotipizzate. Bisogna trovare qualcosa di più penetrante, che soprattutto, come ho già detto prima, tenga conto che la felicità dell’uomo è anche terrena, perché Dio ci ha fatto per vivere anche su questa terra.
Quindi certi parametri, che vengono ancora utilizzati dalla chiesa cattolica per dire quello che si deve e quello che non si deve fare, andrebbero rivisti. La nostra vita, voluta da Dio, ripeto, su questa terra, non deve essere intesa come un’esistenza di punizione e di mortificazione, come vorrebbero certi fondamentalisti cristiani, in quanto non c’è niente da mortificare né da punire, ma dev’essere dedicata alle cose che la terra e la vita donano, nei limiti del rispetto che gli altri uomini, gli animali e la natura stessa, ci impongono.

Perché esistono, secondo me, due verità alle quali io ‘credo di credere’:
· una verità superiore: dell’esistenza di Dio, della Sua venuta sulla terra nella carne di Gesù, ma anche la Creazione, che sono verità metafisiche.
· una verità inferiore: la verità della terra come mondo dove esistiamo, della procreazione, dell’amore fra le persone, della natura, degli animali, insomma la visibile e concreta verità della vita terrena.
Non ci sono motivi per cui, in onore della prima Verità si debba mortificare e annullare la seconda: per questo mi infastidiscono, voglio ripeterlo, i cattolici vergini a quarant’anni o quelli che passano la vita rinchiusi nelle chiese a recitare rosari, molto più servirebbero Dio se queste loro energie le dedicassero ad aiutare poveri e ammalati, ed ecco perché apprezzo il lavoro di papa Francesco. E se poi uno rifiuta la sessualità che Dio ci ha dato, se rifiuta l’idea tutta necessariamente terrena della procreazione, dell’amore fra uomo e donna, il concetto basilare di famiglia, a noi non resta che rispettarlo ugualmente, pur non condividendo.

Penso che quando Carlo Marx ha dato mano alla sua opera debba essersi ispirato alla sola seconda verità, quella inferiore, cioè la terra come mondo dove esistiamo, e alle conseguenze di questa verità. Del resto in quel tempo la scienza sembrava dar ragione al materialismo e al positivismo, per cui la spiritualità era un poco discesa nella scala dei valori terreni.
E poi Marx ha dichiarato più volte che egli voleva che anche la ‘vita dell’al di qua’ avesse la possibilità di rendere l’uomo felice di viverla, mentre sappiamo dalla storia che a quei tempi l’uomo, per la società neo-industriale, contava poco più di niente.
In un suo scritto sulla filosofia di Feuerbach, che “ha fondato l’idea di socialismo nel descrivere la necessaria unità degli uomini con i propri simili, per combattere le differenze reali che gli uomini si sono dati, o hanno dovuto subire da persone aiutate e benedette da preti spesso bugiardi, che hanno cercato di convincere i poveri e i miserabili ad accettare la loro povertà terrena in cambio di una ricchezza ‘a venire’ nel cielo”, Marx dimostrava:

-primo, di non credere alla verità delle gerarchie ecclesiastiche che, a suo giudizio, ingannavano i popoli promettendo un Dio nei cieli nel quale sovente, viste le loro azioni terrene, essi nemmeno mostravano di credere;
-secondo, che da buon materialista voleva portare, prima di tutto, il cielo in terra, diffondendo quella filosofia socialista che avrebbe dovuto rivoltare la concezione capitalistica della società, per far avere ai poveri e ai miserabili anche da mangiare e non solo fatica, lacrime e pane duro.
Marx voleva “l’emancipazione dell’uomo dalle proprie catene, materiali e intellettuali”, non gli bastava che l’illuminismo avesse generato quel motto “Libertè, egalitè, fraternitè” che per lui era ‘Solo bello da leggere sui frontoni dei palazzi di giustizia’ come ebbe a scrivere, ma che ha lasciato tutto praticamente come era prima della Rivoluzione.

“Occorre - scriveva Marx - liberarsi dai vincoli morali e religiosi che sono la prima causa dell’addormentamento delle coscienze umane. Mentre i poveri pregano nelle chiese per avere di che nutrirsi, la classe dei padroni pensa ad arricchirsi, sfruttando la loro ingenuità e il loro stato perenne di necessità. Il tutto con la interessata benedizione dei preti e delle alte autorità ecclesiastiche. Per questo affermo che la religione, così intesa, risulta essere come oppio per i popoli, che vengono con essa addormentati nella loro dignità di uomini, narcotizzati dalla paura del presente e dalla speranza dell’al di là”.

Marx non attacca la religione in quanto portatrice dell’idea di Dio come ente supremo, come molti interessati interpreti di destra e anche di sinistra hanno voluto far credere, ma il modo terreno che gli uomini della chiesa usano per risolvere i problemi della società umana, quella viva e vivente su una terra carica di ingiustizie sociali. Egli vuole un diverso rapporto dell’uomo con l’uomo, ma non con Dio, che lascia alle singole coscienze, attraverso una società riformata. Marx vuole “rivoltare” il concetto capitalistico che la ricchezza deve essere di pochi, e la miseria e la fame di molti, per arrivare a una società senza classi, senza proprietà privata, senza sfruttamento dell’uomo sull’uomo, senza oppressione di popoli su altri popoli: la religione diventerebbe così, nella sua visione della società umana, una cosa superflua, ma che comunque dovrebbe essere lasciata agli uomini come problema individuale. Per Marx contava solo l’eliminazione della proprietà privata, che giudicava originata da furti alla società e mantenuta da una sottrazione costante di ricchezza dalla fatica del salariato, quindi tutto il suo essere anelava al radicale sovvertimento dei rapporti sociali. La religione era vista come nemica in quanto “dalla parte dei ricchi e dei potenti nella vita terrena” e “dalla parte dei poveri nell’altra vita”, e questo a Marx, naturalmente non piaceva.
Una frase che egli scrisse nel Manifesto del partito comunista: “Alla vecchia società borghese, con le sue classi e i suoi antagonismi fra le classi, subentrerà un’associazione di uomini liberi in cui il libero sviluppo di ciascuno è condizione del libero sviluppo di tutti”, dimostra come la sua idea costante non fosse ‘contro la religione’ ma il sogno di una società priva di sfruttamento e della povertà. Per quanto lo riguardava Marx, come tutti filosofi materialisti, era assolutamente ateo, ma questo non significa niente.
Con Marx c’è quindi il rifiuto delle risposta dei catechismi: “Siamo sulla terra per conoscere Dio, e per andare in paradiso”, risposta che egli critica in nome di un pensiero che vorrebbe che anche sulla terra si dovrebbe cercare di vivere nella miglior maniera possibile, magari nel rispetto di Dio e degli altri uomini, come penso anch’io.
Io sono marxista, l’ho già detto, in quanto condivido la speranza di Carlo Marx per una società dove l’uomo non si arricchisca sfruttando suo fratello, ma dove tutti possano avere pari dignità e pari diritti. Questo vuol dire che io non devo, o non posso, anche credere in Dio?

(continua)

cireno
27-12-15, 17:50
Le prime comunità cristiane è certo che avevano adottato una specie di comunismo ante-litteram. Racconta Guerriero:

‘In seguito al martirio di Gesù, i discepoli, terrorizzati, erano fuggiti da Gerusalemme. La Resurrezione, le varie apparizioni di Gesù : l’autore degli Atti fa il quadro della seconda vita di Gesù durante quaranta giorni, ma non dice cosa abbiano fatto i discepoli nel periodo fra la dispersione e il ritorno a Gerusalemme. E’ probabile che si siano rimessi a esercitare i loro mestieri. Dovevano pur vivere ed era povera gente.
Può darsi che alcuni di essi si siano raccolti intorno a Pietro, e che Pietro abbia fatto loro coraggio. Un bel giorno ecco che si mettono in cammino e tornano a Gerusalemme. Perché vi tornano? Quanti erano? Come si installarono? Dove trovarono alloggio. Non ne sappiamo niente. Probabilmente avevano venduto le poche cose che possedevano e con il ricavato avranno fatto fronte alle prime spese. Ma è una congettura.
....................
Vediamo ora in che consistette il comunismo di questa primitiva società cristiana o precristiana. Rispondono gli Atti :- Tutti i credenti della società avevano tutto in comune. Essi vendevano le loro proprietà e i loro beni e li distribuivano a tutti secondo i bisogni di ciascuno. Tutti coloro che avevano terre e case, le vendevano, portavano il ricavato e lo deponevano ai piedi degli Apostoli. E si distribuiva quello di cui vi era bisogno.

Io, anche per questo esempio, sono convinto che marxisti e cristiani è una condizione che può tranquillamente convivere, perché sono anche certo che del connubio marxista=ateo s’è fatta una grande speculazione a fini politici, quindi terreni, che con la ricerca di Dio non hanno nessun aggancio. Si è invece riusciti, anzi la Chiesa è riuscita, a far diventare atee molte persone, che magari non si sarebbero mai sognate di diventarlo, perché si è loro rifiutato l’ingresso nelle chiese in maniera insensata e incosciente, solo perché comunisti.
E poi, se anche Marx fosse stato ateo o addirittura contro Dio, io cosa c’entro? Io accetto le teorie economiche marxiste ma non penso di dovermi ricalcare con la carta copiativa sull’uomo Marx. Se lui non credeva in Dio, sono affari suoi e della sua anima.
La presunzione di certi ambienti cattolici di rappresentare le idee di Dio e la sua volontà è incredibile. Come si può pretendere di non vedere e di non sentire, in nome di una fede nel Dio di tutti, il grande peccato dell’oppressione del ricco sul povero, del potente sul debole, e la mancanza di libertà economica, e spesso anche di quella fisica, degli uomini? Perché ci devono essere schiavi e oppressi ancora oggi, e perché ieri la Chiesa, nei 2000 anni della sua missione, non ha fatto praticamente niente per tutti gli schiavi e gli sfruttati del passato? Perché duecento milioni di uomini muoiono di fame, o per le conseguenze della sotto-nutrizione, ogni anno sulla terra, e due miliardi vivono al limite della miseria assoluta? E perché milioni di miliardi vengono invece spesi dai ricchi, dai potenti, in armi, ricerche sulle armi e su strumenti che producono morte? Perché ottocento milioni di uomini, la cosiddetta parte civile e industrializzata dell’umanità, consumano dieci volte più delle loro necessità e cinque miliardi di altri uomini soffrono quotidianamente la fame? Come si può pretendere di rappresentare Dio e scomunicare coloro che si battono per una società che potrebbe anche essere più giusta, al di là delle aberrazioni del socialismo reale? Cosa c’entra Dio in queste degli uomini? Dio ci ha lasciato liberi di agire in assoluta indipendenza, giudicherà poi come avremo agito!
E’ questa società che sbaglia, che cammina nell’errore, che è imbevuta di egoismo e di malvagità. E allora perché si dovrebbero sostenere posizioni ormai anacronistiche, come è quella del parallelismo fra marxismo e ateismo, quasi fosse una congiunzione obbligatoria, quando abbiamo davanti produttori di armi, sfruttatori di miseria, colonizzatori per interesse, mercanti di morte che magari alla domenica vanno in chiesa a pregare, o a fingere di pregare?
Questo è l’errore della Chiesa, un errore che ha duemila anni di storia ripetuta.
Dicono: guardiamo cosa è successo in Russia, è questa la società sognata da Marx? E’ questa la società descritta nel Manifesto del partito comunista, quella del libero sviluppo per tutti?
Certo che non è quella che abbiamo visto in Urss! E nemmeno quella che abbiamo visto in Vietnam, o in Cambogia! Anzi, laddove è stato applicato il cosiddetto socialismo reale, la libertà si è sempre più allontanata e il socialismo di Marx è stato continuamente tradito. Ma il tradimento è venuto dagli uomini, il principio era giusto: niente più sfruttati e niente sfruttatori. Forse che mettiamo in discussione la predicazione di Gesù perché la Chiesa ha fatto le crociate, l’inquisizione, ha distrutto la civiltà dei Maya e degli Incas, ha benedetto i cannoni fascisti, ha avuto al Sommo Soglio papi sacrileghi e crudeli ? L’uomo è un animale pensante che ha nell’errore il mezzo per imparare a vivere, non si può prescindere da questa verità, e non si può accusare la dottrina se l’uomo la applica per suo interesse e potere !
Con la morte del socialismo di Marx, decretata da funzionari tetri e sanguinari come furono Stalin, Pol Pot, Ceausescu ecc., il mondo ha perso una speranza che avrebbe anche potuto essere non utopistica. Ora che è rimasto solo il capitalismo, la tecnocrazia, la fede nella scienza, la ricerca della carriera e l’edonismo, il liberismo, l’uomo, già impoverito dalla crisi della fede, è ancora più povero perché non ha più speranze da coltivare. E quindi la realtà di oggi è nelle cose che si vedono: questo mondo, così com’è, è una vergogna alla dignità delle creature di Dio, è un insulto all’amore nel quale Egli vive. Se i cosiddetti “funzionari tetri” del socialismo reale hanno spezzato una speranza, questa deve presto rinascere attraverso la stessa idea rivisitata, magari resa impermeabile alla stupidità e alla cattiveria umana. Come ha scritto Marcuse, deve nascere “un nuovo tipo di uomo, con una diversa sensibilità e una diversa coscienza: un uomo che deve aver sviluppato in se stesso una barriera istintiva contro la crudeltà, la brutalità, la bruttezza, un uomo dalla sensibilità diversa”.
Ecco una nuova voce di speranza. Marcuse riconosce l’errore sociale del mondo, condanna il capitalismo, l’alienazione umana sottoposta al credo consumistico, ma bolla anche il marxismo sclerotizzato, totalitario e grigio, dimostrato là dove piccoli funzionari di partito, dopo le rivoluzioni rosse, sono diventati funzionari di stato.
I giovani del ‘68 hanno creduto in questa ri-visitazione del marxismo da parte di Marcuse, e hanno cercato di trovare un senso alla loro esistenza in una serie di idee alternative: i verdi ecologisti, gli arancioni orientalisti, le comunità rurali, le cooperative artigianali ecc. Altri si sono dedicati alla filosofia indiana, altri hanno costituito associazioni di volontariato, altri vanno nelle piazze a urlare in nome della pace nel mondo, alla ricerca di qualcosa che non fosse solo, dopo la caduta del sogno marxista, l’accettazione di tecnologia, carriera, sport, televisione, discoteca e sesso.
Bisogna dire che la chiesa, anche lei abbastanza sclerotizzata in certi suoi ambienti, ha fatto ben poco per cercare di riportare questa gioventù sulla via della fede nell’Assoluto. Questa assenza della chiesa nella visione giovanile, e anche la scomparsa della speranza in un futuro senza classi, che aveva tenuto vivi i padri di questi giovani sotto l’Internazionale e le bandiere rosse, ha determinato una spinta verso l’assolutizzazione della vita vissuta sulla terra. Ho già parlato dell’edonismo della società attuale, e ho già detto come da questo voler vivere il momento senza nessun pensiero per domani, si origina l’infelicità dell’uomo. Burattini usati e vuoti di energie, ho detto, e lo ripeto, marionette saltellanti in una società priva di valori e vuota
di contenuti.
E allora, stando le cose come stanno, che senso ha, oggi, la nostra vita?
Se Dio non possiamo conoscerlo da vivi, se la chiesa sembra confusa in questo mare di edonismo, se il sogno di una società degli uomini liberi dall’oppressione è caduta a Berlino insieme allo storico muro, che senso ha oggi la nostra vita? Dobbiamo forse rassegnarci e rinchiuderci nelle chiese a pregare Dio per il nostro domani, quando saremo luce anziché materia?
No. Dobbiamo darci da fare. Intanto perché, lo ripeto con forza, io non credo che siamo su questa terra solo per andare in cielo domani. Su questa terra dobbiamo viverci, senza dimenticare che questa vita deve anche servire per avvicinarci a quella di domani, quando appunto saremo luce, per cui dobbiamo sforzarci di non rendere inutile e vuoto questo ‘passaggio terreno’.
Darci da fare, ma in che modo?
Ognuno di noi ha delle potenzialità che deve esprimere. Io, fin che vivrò, parlerò e agirò per cercare di avere, almeno per i miei figli e i figli loro, una società più giusta a livello umano. Un altro potrebbe dedicarsi a rendere meno inquinata la terra dove tutti viviamo. Altri si dedicheranno a migliorare la giustizia nel mondo, esiste o non esiste Amnesty International? E nella nostra nazione, monumenti e opere d’arte che vanno in malora, sono o non sono ricchezza di tutti noi? Esiste o non esiste Italia Nostra? Diamoci da fare, perché questo mondo ottuso e liberista è pieno di cose da fare ‘per gli uomini di buona volontà’. Non dobbiamo subire l’invadenza e la prepotenza di chi comanda. Dio ha dato il mondo a tutti in ugual misura, perché accettare passivamente che qualcuno ne abbia più degli altri e ne faccia ciò che vuole?
Ma questa scelta di vita significa anche amare anche la vita materiale, perché l’idea che casualmente nati e casualmente morti sia il solo significato di un’esistenza, mi spaventa. Poiché non è possibile che così sia, come abbiamo già avuto modo di vedere, dobbiamo concludere dicendo che il senso principale della nostra vita è proprio quello di vivere, ricordando continuamente che avremo un’altra esistenza più lunga, anzi eterna, domani, la condizione della quale sarà anche determinata dalle azioni che in questa vita compiremo.
Del resto, per tornare alla questione marxismo=ateismo e scusandomi della confusione che faccio con questi salti, diversi filosofi neo-marxisti hanno oggi cominciato a porsi delle domande che prima, ai tempi del socialismo reale, forse tenevano chiuse nei cassetti del cuore: cosa significa la sofferenza, cosa rappresenta nella storia dell’uomo la figura di Gesù, perché la vecchiaia, e cosa esiste dietro il mistero della morte? Domande che mai il marxismo prima d’ora si era posto ma che stanno prepotentemente emergendo. Sono domande che l’ultimo filosofo marxista, Ernst Bloch, si pone nei suoi libri, dove, quando arriva al problema di Dio e della trascendenza, adotta il termine “Il Grande Forse”, compiendo così un notevole passo in avanti.
In un suo libro, egli cita la cosiddetta ‘formula di Horkheimer’, per giustificare queste sue domande a sfondo teologico:-

“Teologia significa qui la coscienza che il mondo è fenomeno, che non è verità assoluta, la quale soltanto è realtà ultima. La teologia è quindila speranza che, nonostante l’ingiustizia che caratterizza il mondo terreno, non possa avvenire che l’ingiustizia possa essere l’ultima parola. E questa è l’espressione di una speranza, secondo la quale l’assassino non possa trionfare sulla sua vittima innocente”.

Chiudiamo qui questo disodinato capitolo. Una cosa certamente ho imparato, scrivendolo. Che il cielo e la terra debbono rimanere divisi, uniti solo nell’idea di Dio. “Sia fatta la tua volontà, così in cielo come in terra”, dice la preghiera rivolta al Padre di tutti. Ma la volontà di Dio non riguarda certamente le azioni degli uomini nella loro vita terrena, perché queste azioni sono frutto di libera scelta, perché ognuno sulla grande lavagna delle cose fatte e non fatte sia sempre libero di scrivere quello che ritiene di dover scrivere.
La vita è un campo vergine da seminare - disse un saggio indiano a un giovane rajah, vizioso e fannullone - il cui raccolto ti servirà per sfamarti nella seconda vita. Se rimarrai fermo, nei tuoi ozi e nei tuoi vizi, questo campo non darà frutti e tu, domani, morirai di fame.

E allora, per stare anche con le parole del saggio indiano, viviamo e cerchiamo di seminare ciò di cui domani avremo bisogno

(continua)

cireno
27-12-15, 20:27
L’esistenza di Dio: pro e contro



Ho avuto modo di leggere in un quotidiano che il maggior numero di scienziati credenti è da ricercare fra gli astronomi, i fisici, i matematici. Ci deve essere un motivo, mi sono detto: credo di aver capito il perché, come sempre, leggendo ciò che hanno scritto.

Poche persone sanno che il Vaticano ha uno dei più grandi osservatori astronomici del mondo, condotto da un grande astronomo, gesuita, che risponde al nome di George Coyne. Da una intervista di Messori allo stesso scienziato, ho tratto alcuni punti che trovo interessanti.

Domanda di Messori: - Lei è gesuita e scienziato. Non c’è qualche interferenza tra il suo lavoro e la sua fede?

· Risposta di Coyne: Affatto. Non solo non c’è, ma non ci può essere nessun conflitto tra le due sfere. La verità è una sola: dunque, le verità che lo scienziato scopre nella natura riposano sulle verità insegnate dalla fede. Può il creato essere in conflitto con il suo Creatore?
·
D.- Allora è finito per sempre il tempo delle contrapposizioni tra scienza e fede?

· Ormai tutti ammettono che è impossibile trovare per via scientifica un qualunque argomento contro l’esistenza di Dio. Così come - occorre non dimenticarlo - la fede resta pur sempre quel pari, quella scommessa di cui parla quel grande scienziato e insieme grande cristiano che è Pascal. Dunque, la scienza non nega e non può negare che ci sia Qualcosa al di là della materia; ma non può nemmeno mettere l’ateismo con le spalle al muro, facendo derivare la fede direttamente dalla ricerca.
·
D.- Cosa la colpisce di più nel suo lavoro di astronomo?


· Il fatto che, più si va a fondo, più si scoprono cose sconosciute, più si fa esperienza del mistero. Quando uno scienziato dice di sentirsi sempre più ignorante, non fa il modesto, dice solo la verità. E’ dietro questa ignoranza che si sente il mistero più insondabile, che si avverte il richiamo di Dio. La ricerca, in questo senso, diventa una preghiera.
·
D.- Preghiera e teologia con equazioni matematiche e fotografie all’infrarosso?


· Si, certo. Io come astronomo mi sento vicino, ad esempio, alla teologia di Agostino, quando dice che Dio si manifesta e insieme si nasconde, Egli dà notizie di se, ma come in uno specchio. Chi si addentra nella mia disciplina vede che l’universo è insieme ordinato e confuso, strutturato e caotico, almeno in apparenza. L’universo più che Dio, ci restituisce le sue tracce: se il Creatore è Mistero, come dice Agostino, anche la sua creazione è misteriosa.
·
D.- Crede che esista la vita in altri pianeti dell’universo?


· Se siamo alla statistica le condizioni di vita ci devono essere, e non in un solo punto dell’universo. Le stelle come il sole sono centinaia di miliardi, ed è certo che una parte di esse ha un sistema di pianeti simile al nostro. Ma questo non significa nulla. Niente è per ora dimostrato dalla scienza.
·
D.- Ma l’uomo, il religioso padre Coyne, cosa ne pensa?


· Personalmente, sapendo che la Terra è assai meno di un granellino di sabbia in una spiaggia immensa, mi chiedo perché Dio avrebbe creato questo enorme palcoscenico che è l’universo solo per noi. Ma noi non siamo Dio, non abbiamo il diritto di chiedercelo, non possiamo conoscere i suoi pensieri. Guardi, le leggi del creato sembrano tutte rispondere ad un enorme spreco. L’uomo, per esempio, getta miliardi di spermatozoi affinché uno solo, e non sempre, giunga alla riproduzione. Quindi lo stesso spreco che si vede nell’universo potrebbe rispondere alla stessa legge. Ma non sono certo sicuro. Per uno che crede, la vita non nasce dal caso, dalle leggi di statistica, da una fortuita combinazione fisico-chimica: l’evoluzione nasce dal fiat lux divino e segue il programma del Creatore.
·
D.-I sondaggi dicono che gli astronomi sono credenti in percentuali superiori al 80%. Che ne dice?

· Non posso che confermare. Ma attenti al ‘concordismo’ tra scienza e fede. Dio è fuori dal tempo e dallo spazio, mentre noi possiamo muoverci solo in queste due coordinate.

Andiamo ora a un’altra bella citazione di sir John Carew Eccles, premio Nobel per la medicina:-


Supponiamo - egli dice - l’esistenza di un magazzino immenso di pezzi aeronautici, tutti bene imballati nelle loro casse e sugli scaffali. Immaginiamo che questo enorme magazzino abbia delle misure di mille chilometri per lato, insomma una cosa enormemente piena di materiali. Arriva un ciclone che, per centomila anni, fa roteare e scontrare tra di loro tutti i pezzi che sono in quel magazzino. Finalmente, quando il ciclone si placa, dove c’era il magazzino c’è tutta una serie di bimotori, trimotori e quadrimotori, già con i motori accesi. Ecco, stando proprio alla scienza e non alle semplici congetture o ai discorsi da salotto, la probabilità che il caso abbia creato la vita sono più o meno quelle di quest’esempio. Con un’aggravante, per giunta: da dove vengono i materiali del magazzino?

Un’altro scienziato, un astronomo famoso, Fred Hoyle, di recente ha detto:-


Come si può pensare davvero che il caso abbia prodotto, nel famoso brodo primordiale di cui si favoleggia, anche soltanto i circa duemila enzimi necessari al funzionamento del corpo umano? Basta una piccola serie di calcoli al computer per rendersi conto che la probabilità che questo sia avvenuto casualmente è uguale alla probabilità di ottenere sempre dodici, per 50.000 volte consecutive, gettando sul tavolo due dadi. E questo, ripeto, è solo per quanto riguarda gli enzimi, che l’improbabilità raggiunge livelli ben più pazzeschi se ci si allarga a tutte le condizioni necessarie alla vita: tutti numeri usciti per caso dal cilindro? Se si risponde di si, si esce dalla ragione.

La risposta di Margherita Hack, atea, a questa asserzione è stata:-



Se l’universo ha, come sembra, 50.000 anni, a furia di tirare dadi è possibile che siano anche usciti 50.000 dodici. Magari non tutti insieme.

No, guardi, fu osservato dall’intervistatore alla Hack- Hoyle diceva che stando al computer perché le probabilità siano pari a quelle della formazione casuale dei 2.000 enzimi umani, che sono solo uno degli elementi necessari alla vita, i 50.000 dodici devono uscire uno dopo l’altro, consecutivamente.

Hack:- E’ difficile, lo so. D’altro canto la vita c’è, e a me credere in Dio mi è sempre sembrato come credere alla befana. Con questo non voglio dire che il credente è un sempliciotto, conosco gente che ha fede e che sono ottimi scienziati e anche premi Nobel. Ma io la penso in questo modo.

Ora, la signora Hack non è una sprovveduta, per cui quando parla si presume che non dica frasi avventate, e infatti voglio pensare che con quella frase lei abbia semplicemente affermato un suo diritto ad un’opinione e non certo la sicurezza della verità.
Certo che quando parliamo di Dio camminiamo su un terreno estremamente impervio, e chiunque può inciampare nelle più grandi sciocchezze. Comunque sia, la dichiarata professione di ateismo della signora Hack non può che avere origine in ragionamenti che sicuramente ancora si combattono nella sua mente. Sono certo che un grande aiuto a questa “fede” nell’ateismo, a questo voler negare la figura di Dio, si basa anche, stiamo parlando di uno scienziato, su qualcosa di scientifico, più che di filosofico, per cui sarei dell’idea che il famoso libro che Darwin ha pubblicato nel 1871, “La discendenza dell’uomo”, che conteneva la teoria dell’evoluzione umana, abbia avuto una notevole parte nella formazione dell’opinione della signora Hack, così come grande parte ha avuto per l’opinione di molti atei, e con questo voglio indicare i cosidetti ‘atei coscienti’, non certo coloro che respingono ogni idea divina solo per istinto, o per disinformazione culturale.
Su questo argomento, che la Chiesa ha sempre rifiutato di prendere in considerazione e perfino di commentare con argomenti approfonditi, nei fatti essendosi limitata a rifiutarne il principio come “indecente”, oggi qualcosa è cambiato: è di questi giorni infatti la presa di posizione, nella figura di papa Giovanni Paolo II, sulla teoria di Darwin.
Su questo argomento, e su quello che significa e ha significato, mi pare che sia il caso di chiarirci le idee.
Darwin Charles Robert nasce in Inghilterra nel 1809. Diventa biologo e naturalista. Dopo aver scritto e pubblicato opere di puro interesse scientifico come naturalista, espose, attraverso un libro titolato “La discendenza dell’uomo”, la propria convinzione che l’uomo derivasse da specie inferiori, che lo sviluppo intellettuale e linguistico si fosse realizzato lentamente nel tempo attraverso successivi stadi evolutivi, e quindi che l’idea della moralità e della religione, che si estrinsecano nella figura di Dio e della creazione, sono modificazioni intervenute posteriormente, che sono state conservate per la loro utilità sociale.
Darwin teorizzava in quel libro il concetto di lotta per l’esistenza, che si sarebbe svolta fra tutte le specie animali nel corso dei millenni, e quello di selezione, attraverso la quale solo i migliori sarebbero stati in grado di sopravvivere e quindi di portare avanti l’evoluzione della specie: in pratica Darwin chiariva, da un punto di vista assolutamente scientifico, in quanto lui era uno scienziato, che il cammino dell’uomo, così come quello delle altre specie viventi, si fosse svolto attraverso un’evoluzione che lo ha portato, da ciò che era inizialmente, cioè da un essere poco più che animalesco, all’uomo odierno. Con questo la creazione dell’uomo, a immagine e somiglianza di Dio, cadeva perché contraddetta dalla scienza.
Prima di introdurmi in un breve riassunto di questa Teoria dell’evoluzione, vorrei però fare una piccola osservazione. Per l’evoluzionista ogni organo degli animali, uomo compreso, si sviluppa “secondo la necessità” dell’uso di quell’organo. C’è un piccolo mistero da spiegare: come mai il cervello dell’uomo, che provenendo da una specie inferiore si è necessariamente dovuto modificare nel corso della sua evoluzione, è oggi ampiamente sovrasviluppato per l’uso che ne facciamo? Forse che la teoria evoluzionistica, per quanto riguarda il cervello umano, deve avere una eccezione, oppure il cervello deve avere uno sviluppo superiore all’uso richiesto? E’ un piccolo, ma grandissimo mistero che però nessuno ha mai spiegato.
Come già detto, Darwin era uno scienziato. Non si è mai dichiarato ateo, per parlarne da un punto di vista religioso, ma agnostico. Con la sua Teoria dell’evoluzione si può ben dire che egli abbia scosso il mondo del suo tempo, non meno di quanto fece prima di lui Newton con i suoi Principia. La teoria evoluzionistica darwinista afferma soprattutto che la lotta per l’esistenza, di ogni specie animale, ha dato come risultato principale quello di ‘evolvere’ la vita sulla terra. Egli postulava la morte di specie non adatte alla vita terrena e la nascita di specie nuove con caratteristiche più adatte a vivere. Questo principio si conferma nella selezione sessuale che favorisce i più forti e quindi perpetua la discendenza con le caratteristiche migliori. Anche la natura, secondo Darwin, opera una selezione ‘naturale’ della specie, infatti, allo stesso modo degli allevatori, tende a eliminare, attraverso processi di vario tipo, compreso quello della predazione da parte degli animali carnivori, i soggetti più deboli e passibili di arrecare danno alla specie. Perno di tutta la concezione evoluzionistica darwinista era di conseguenza la tesi della ereditarietà dei caratteri liberamente insorti e selezionati dall’ambiente.
Le teorie di Darwin ovviamente crearono grande scalpore anche tra filosofi e teologi, e si rifletterono, anche tragicamente almeno in una occasione, perfino in campo politico, e fu quando la teoria venne usata dalla follia hitleriana che pretese di applicare l’evoluzione e la selezione della specie, in maniera unilaterale e violenta, eliminando fisicamente ogni specie umana diversa da quella che il nazismo definiva ‘razza ariana’, intendendo con questo termine la ‘razza pura di origine indoeuropea’, alla quale ovviamente appartenevano i tedeschi. Caddero, come tutti sappiamo, milioni di persone a seguito di questa folle progetto nazista, uomini differenti fra loro come ebrei e zingari, ma anche ‘ariani’ tarati psichicamente o fisicamente, oppure omosessuali, con l’aggiunta dei soggetti politici pericolosi come comunisti, anarchici, democratici, liberali.
Spencer (1820-1903), fra i filosofi del suo tempo, fu tra i primi a interessarsi delle teorie di Darwin.
Laureato in scienze, si era già interessato ai primi fermenti evoluzionistici che si erano formati intorno alle argomentazioni di scienziati dell’epoca (Lyell, Lamarck), infatti, ancor prima che Darwin pubblicasse il risultato delle sue ricerche, Spencer era riuscito a dare alle stampe un paio di trattati (Statica sociale e Principi di psicologia) improntati all’evoluzionismo. Nelle sue tesi egli rimarca il carattere meccanicistico dell’evoluzione, intesa come un mutamento costante che, in virtù di una dispersione di movimento e un’integrazione di materia, procede verso un’eterogeneità definita.
Le teorie evoluzionistiche di Spencer sono del tutto differenti, negli scopi e nella dimostrazione, da quelle di Darwin. Per Spencer la vita biologica e materiale segue un andamento evolutivo che la porta ad essere sempre più omogenea e ordinata, provenendo dal disomogeneo e dal disordinato (caos). La miglior controprova, secondo Spencer, a dimostrazione della validità della sua teoria, è offerta da quanto accade in campo naturale e in campo sociale dove, nel primo caso, si evidenzia sempre che quando un organismo si corrompe o si dissolve i suoi organi perdono la loro specificità e assumono forme confuse, come nei tumori, mentre nel secondo caso quando si dissolvono i diversi poteri costituiti creano un’unità disorganizzata di entità sociali fluide e spesso in conflitto fra loro. Delineare la legge dell’evoluzione non significa però poterne spiegare la causa ultima, e per questa via Spencer ritiene possibile una conciliazione tra filosofia e religione. Al di là di quello che la filosofia può discutere, afferma Spencer, vi è l’Inconoscibile, che spetta solo alla teologia. Per questo riconoscimento dei limiti della ragione umana, che non può negare o affermare l’assoluto, Spencer sembra avere una posizione simile a quella di Kant, anche se diverso è il modo di concepire la ragione.

Bergson (1859-1941), fu un’altro filosofo che si interessò alle teorie di Darwin.
Egli fu uno dei grandi avversari del positivismo e ispirò una concezione evoluzionistica dove scienza e religione risultassero al fine fuse in un un’unico obiettivo. Occorre dire che Bergson fu uno dei più grandi filosofi che il pensiero umano ha mai prodotto, la sua fama fu giustamente grande e i suoi insegnamenti influenzarono grandemente tutti i suoi contemporanei. Bergson ebbe influenza sul pragmatismo di James, sull’esistenzialismo francese, sull’ermetismo in letteratura, il simbolismo e l’impressionismo in arte.
La parte centrale del pensiero bergsoniano è il tempo. Il modello di spiegazione scientifica del positivismo è quello fisico-matematico, dice Bergson, ma proprio il concetto di ‘tempo’, fondamentale per una teoria evoluzionistica, sfugge alla scienza matematica. Il ‘tempo’ introdotto simbolicamente nelle equazioni della meccanica non è infatti, il ‘tempo reale’, ma una sua astrazione: una serie di istanti statici tutti uguali, distinti e indifferenti alla natura qualitativa dei fatti in essi contenuti. Da qui la necessità di trovare un modello di spiegazione dell’evoluzione non nella matematica ma nella biologia. “Si deve rompere con certi schemi matematici cartesiani e newtoniani, per tener conto delle scienze biologiche, psicologiche e sociologiche e su questa base più ampia edificare una metafisica capace di salire sempre più in alto mediante lo sforzo continuativo e progressivo dei filosofi”. (Bergson-Metafisica positiva-1901).
In ‘Materia e memoria’ Bergson affronta il problema del conflitto tra concetti astratti, quelli del pensiero, e rigidi, quelli della scienza, che si esplicano in dualismi irrisolvibili, materia-spirito, estensione-pensiero, necessità-libertà.

“E’ la memoria pura e spirituale a caratterizzare la vita profonda della coscienza; essa raccoglie tutto il nostro passato e lo conserva nel fondo della psiche. Il corpo però, e in particolare il cervello, si incarica di limitare la memoria totale imponendo la dimenticanza di alcuni contenuti e l’oblio (che però a volte riaffiorano come percezioni, nel delirio della follia, nei sogni). Il cervello è dunque un organo di ‘traduzione e collegamento’, da un lato traduce l’attività della coscienza in movimento dall’altro collega la coscienza con la realtà esterna, e soprattutto con l’io e il corpo. I due estremi che sono il corpo e lo spirito si esprimono quindi come memoria e percezione; la prima raccoglie la vita vissuta, nella sua creatività, la seconda si concentra sul presente, sulle necessità pratiche dell’azione, sugli schemi intellettuali astratti. Il corpo ha come funzione essenziale quella di limitare, in vista dell’azione, la vita dello spirito, ma lo spirito sopravanza e trascende il corpo, lo spinge oltre il presente e il passato nel futuro, lo riassorbe entro la propria durata”.

Su queste basi Bergson affronta il concetto dell’evoluzione che riguarda anche il mondo materiale. Egli respinge l’evoluzionismo deterministico di Spencer sia quello finalistico di Darwin. “L’evoluzione della realtà è slancio vitale, la vita cresce come un fascio di steli che si sviluppano in serie divergenti, che esplodono come fuochi d’artificio. La prima biforcazione dello slancio vitale dà luogo alla distinzione tra animale e pianta, quest’ultima chiusa nella notte dell’inconscio e dell’immobilità, si arresta ben presto nell’evoluzione, l’animale invece si protende oltre grazie al movimento e all’istinto”.
Per Bergson la distinzione tra l’uomo e l’animale proviene dall’intelligenza, che sorge contro la ripetitività del gesto istintivo, capace di produrre strumenti inorganici, per colmare un’insufficienza dell’istinto naturale. L’intelligenza avvia l’uomo sulla strada della coscienza e del concetto, e questo porta a quella evoluzione che ha come fine il raggiungimento con la realtà assoluta. Risulta chiaro che Bergson, da filosofo, aveva una distanza notevole da certe esposizioni, del resto prettamente scientifiche, di Darwin.
In campo religioso e teologico ovviamente Darwin accese una grande crisi, come fu a suo tempo per le scoperte di Galileo. Se l’uomo è il risultato di una selezione di evoluzione allora anche lo spirito è il risultato della stessa evoluzione, così come per gli animali. Da questo a pensare che l’uomo non è il fine del creato il passo è breve. Se l’uomo non è questo fine, anzi addirittura non tende a nessun fine, ne risulta che la vita è semplicemente un meccanismo che ha un’origine non ancora spiegabile, ma quasi certamente non divina.
Alcuni teologi hanno poi sviluppato teorie che consentono, al di là del racconto biblico della genesi umana, l’accettazione della teoria evoluzionista che vede lo sviluppo umano dall’uomo inferiore, quello di Neanderthal, all’uomo di oggi. Questa teoria è oggi ufficialmente accettata dalla chiesa cattolica e del resto il riconoscimento della validità scientifica della stessa non lede in nessun modo il principio della creazione dell’uomo da parte di Dio, anche se mette il racconto biblico in una luce più di allegoria, o di esoterismo nascosto, che di verità scientifica.

In un suo scritto, Monoquium salutis, Massimo Cacciari pone delle domande a Bruno Forte, teologo di fama, ordinario della Cattedra di Teologia Dogmatica dell’Università Pontificia. Cercherò di riportarne il senso.
In pratica, nel suo linguaggio abbastanza difficile da penetrare, zeppo com’è di citazioni in greco, latino, tedesco e di frasi che si rigirano un pochino su se stesse (a volte sembra un linguaggio per soli iniziati), Cacciari dice:-

La teologia dice che tutto è già stabilito da Dio fin dall’Inizio, e che il compimento finale è anticipato e promesso nella escatologica pienezza che è il Cristo. Ma questa, è un’anticipazione su ciò che sarà alla fine dei tempi o una promessa? Perché le due cose sono differenti. Se è una anticipazione “nulla c’è più da aspettarsi” di differente, la promessa invece può sempre fallire. L’essere fra gli eletti, può essere una promessa, ma se tutto è già nei disegni di Dio questa promessa
potrebbe essere anticipata. Significa allora che tutti saranno eletti? O che l’essere eletti dipende esclusivamente dalla ‘soggettiva apertura del cuore’, e cioè dal nostro accogliere il disegno divino? E comunque, cosa vuol dire che noi possiamo rifiutare di accogliere il disegno di Dio? Se tutto è già scritto, questa nostra non-accoglienza non sarà, come si vorrebbe, una tragedia ma una commedia. Dobbiamo allora pensare che dopo l’Inizio, rinchiuso nel mistero del Deus absconditus, ci debba essere un Fine che è solo una promessa, e che il rifiuto dell’uomo potrebbe determinare il fallimento del disegno divino. Alla divina ignoranza dell’Inizio corrisponde la divina ignoranza della Fine. E qui Dio sembra, in quanto si intuisce per enigma, svuotarsi del suo Essere al punto di affidare all’uomo, alla sua libertà soggettiva, di rifiutare e accogliere il suo stesso disegno sul Fine, già certo, dimostrato con l’apparizione del Figlio.
La fede cristiana è, sì, certezza, ma certezza di un Annuncio che rimane angosciosamente rivolto all’Inizio e alla Fine: un Annuncio che non risolve nella sua Parola l’Inizio, ma la cui Parola è nell’Inizio, e che promette salvezza senza poterla anticipare. E’ una fede che geme nell’attesa. Se, all’opposto, Inizio viene predicato come uguale a decisione creatrice, e tale decisione esprime la volontà di amore di Dio, allora da creazione a incarnazione a Fine, tutto non può che dipanarsi con un nesso e una logica. Per cui, in questo senso, ogni posizione umana può essere tollerata anche perché non sposterebbe di un millimetro il Fine anticipato.

E Cacciari a questo punto si chiede, giustamente, viste le considerazione svolte, :- Cum venerit Filius hominis, putas inveniet fidem in terra? ( Quando verrà il Figlio dell’uomo, troverà ancora la fede sulla terra?)
E qui entra in gioco la libera scelta dell’uomo. Ma a che pro utilizzarla se poi non può incidere su niente, visto che tutto è già stabilito dall’inizio?

La risposta di Bruno Forte a Massimo Cacciari.

Noi non possiamo misurare la Rivelazione del Fine con i nostri limiti troppo umani - dice Forte.
L’anticipazione non presuppone che tutti gli uomini saranno eletti. Dio non ci ama per scherzo, la libertà dell’uomo significa anche che Dio può soffrire per le scelte dell’uomo, può soffrire per il nostro rifiuto fino all’abisso della possibilità della nostra dannazione. Come per amore Dio ci ha creati, così per amore, e cioè in assoluta libertà, Dio accetta di correre il rischio della nostra libertà. Il Dio della passione, quello che si è incarnato e ha sofferto nel corpo di Gesù, conosce il dolore e quindi conosce la sofferenza. Non possiamo presupporre che tutti saremo eletti: una simile supposizione, che è poi l’altro nome dell’apocatastasi, è la scorciatoia del pensiero della logica necessitante, che salta sul mistero della sofferenza in Dio. Il Dio di Hegel non può soffrire: la sua eventuale sofferenza è solo un momento del processo creativo, ma il Dio della Croce invece può soffrire.

Ancora Cacciari chiede “Quando Gesù tornerà sulla Terra, il giorno della Fine, troverà la fede fra gli uomini?”. La domanda viene direttamente dall’idea della libertà di scelta che Dio lascerebbe agli uomini, condizione che potrebbe anche portare alla dissoluzione della fede sulla terra.

Ebbene - dice Forte - anche la mia fede è appesa a questa domanda. Con una differenza: che per Cacciari alla divina ignoranza dell’Inizio deve corrispondere la divina ignoranza della Fine; per me alla divina amorosa e libera iniziativa dell’Inizio corrisponde l’eterna fedeltà dell’indefettibile amore, che non solo non sminuisce la tragicità del nostro rifiuto, ma anzi la esalta, perché la mostra nel suo effetto drammatico sulle stesso cuore divino. Che poi alla fine la tragedia possa essere una commedia io mi oppongo. Tragico non è solo che l’uomo soffra e possa eternamente soffrire come conseguenza alla sua infedeltà alla vocazione dell’alleanza; sommamente tragico è che Dio soffra. E, perciò, sommamente esaltante per la dignità della creatura.

cireno
28-12-15, 11:33
Devo commentare questi passi.
L’inizio dello scritto di Kung, quello che ho riportato, mi sembra condivisibile, nella sostanza. E’ una posizione filosofica difficile da contraddire: se è infondato postulare l’esistenza di Dio in base alla insicurezza della scienza attuale, è anche infondato postulare la non esistenza di Dio in base alle stesse scarse conoscenze. Niente da eccepire, dunque.
La posizione davanti alla fede diventa così una questione personale: o credi o non credi, però devi sapere che in entrambi i casi non puoi dimostrare di avere ragione.
Mi sembra invece il caso di aggiungere qualcosa alla seconda domanda (Credere in Dio Padre onnipotente?).
Kung inizia descrivendo il silenzio di Dio davanti ai crimini più spaventosi, alle guerre dell’umanità, al Gulag, all’Olocausto. Questo Dio, più che inutile, sembra superfluo, dice Kung, ovviamente per introdurre un suo ragionamento di segno opposto come risposta. Ma io, al proposito, voglio fare quel benedetto commento, che poi è una postilla allo scritto di Kung, a pro di me stesso.
Ammettiamo, per pura ipotesi, che Dio non si limiti a tacere. Che non si limiti ad accettare. Dio interviene. Dall’alto di non so dove, o da chissà quale sito, egli scende, oppure manda una schiera di angeli e si intromette nelle piccole faccende dell’uomo. Ferma un’eruzione, impedisce una guerra, fa morire il dittatore sanguinario, fa sparire fame e carestia nel Bangladesh, divide due eserciti pronti a combattere, ferma un terremoto, e così via.
Che Dio sarebbe mai questo?
Più che Dio, sarebbe un arbitro, oppure un pompiere, un poliziotto, un medico del pronto soccorso.
E gli uomini cosa diventerebbero?
Niente, un gregge di qualche miliardo di stupidi automi guidati e condizionati da qualcosa di immensamente superiore a loro: degli schiavi. Nello spazio di poco tempo si mangerebbero il cervello e la volontà, ormai resi del tutto inutili, oppure cercherebbero un’altro albero della saggezza per ribellarsi a un Dio così invadente e presente.

Ha detto bene Kung: Dio non fa l’orologiaio, non può mettersi ad aggiustare quello che l’uomo rompe: non è da Dio!
E allora perché pregare Dio? Se Dio non fa l’orologiaio, se non vuole intervenire per non umiliare l’uomo e ridurlo a un niente vivente, che significato ha pregare?
Perché la preghiera è la possibilità dell’eccezione, mi disse un giorno il gesuita del Centro di San Fedele.
La preghiera è un aiuto che l’uomo, nella sua riconosciuta indipendenza e libertà, chiede a Dio quando non può rivolgersi a qualcosa di terreno.
E’ la possibilità del miracolo.
Quella possibilità che diventa a volte realtà, come dimostrano certi luoghi di culto con cuori d’argento, stampelle gettate, sedie a rotelle ormai inutili. Il miracolo, quello che fa sciogliere il sangue di San Gennaro o quello che ha operato Gesù quando ha ordinato a Lazzaro di risorgere dal regno dei morti.
E poi la preghiera è un modo diretto per essere in contatto con Dio. Anche quella pensata, recitata fra sé e sé in solitudine, senza bisogno dell’inginocchiatoio della chiesa.
Perché Dio, mi voglio ripetere, ha creato il mondo, gli ha dato delle regole ‘naturali’, e poi lo ha lasciato libero di essere, ma rimane comunque alla finestra perché non può abbandonare quello che ha creato. Questa creazione che, nella sua incredibile bellezza e funzionalità, reca la Sua impronta.
Ma ecco che un teologo come Kung ipotizza domande in cui sembra che Dio si può essere allontanato dalla sua splendida creazione. Sono domande che Kung chiaramente riferisce agli altri, ai dubbiosi interlocutori, lui, Kung, sa benissimo che Dio non si è allontanato dal creato semmai…. Ma di questo “semmai” avremo modo di parlarne nella conclusione di queste pagine.
Per quanto mi riguarda ho già detto che Dio non è l’orologiaio e nemmeno il direttore generale dell’universo spa. Se Dio fosse costretto a intervenire in un mondo già compiuto e quindi funzionante da sé, tutte le volte che volesse essere presente in questo mondo, allora ogni istante della sua presenza equivarrebbe a un atto per cui le leggi della natura, che nei casi normali, cioè in assenza di Dio, fanno funzionare il mondo da solo, verrebbero temporaneamente sospese. Ma questa combinazione di periodi straordinari, quelli con gli interventi divini, durante i quali le leggi della natura sarebbero sospese, e periodi normali, cioè quando le leggi della natura funzionano da sole, non farebbero altro che portare caos in un mondo che invece è ordine, quindi alla fine risulterebbero solo dannose.
Dio dunque non può intervenire.
Se Dio esiste, ha già fatto tutto quello per cui pensiamo a lui come Creatore. Non ci resta altro da fare che aspettare di rivederlo nell’aldilà e quindi alla fine dei tempi, al momento della Rivelazione.
Se Dio non esiste le cose non cambiano di una virgola.
Su cosa dobbiamo allora credere, o meglio, perché dobbiamo credere?
La prima cosa da fare, per arrivare a rispondere a questa domanda, è porre dei paletti fissi nelle nostre cognizioni, sui quali poter edificare poi una costruzione non traballante .
Che siamo nati e viviamo, non esiste alcun dubbio. Esistiamo.
Abbiamo una funzione? C’è un senso nel nostro esistere?
Non si sa, o meglio io non sono riuscito a saperlo. Ho cercato di capirlo studiando filosofi e scienziati ma, malgrado i duemilacinquecento anni di pensiero umano, nessuno di loro è riuscito ad andare oltre delle ipotesi sulle quali ha costruito delle tesi assolutamente indimostrabili, per cui il perché esistiamo non possiamo saperlo neanche con il minimo di certezza. Camminiamo nel buio.
Però possiamo immaginarlo, il perché viviamo.
Siamo forse inconsce palline di un gioco immenso? Potrebbe essere. Per un pollo l’aia della fattoria è l’universo e la contadina che porta il becchime potrebbe essere Dio, se il pollo riuscisse a sviluppare delle riflessioni e quindi se potesse avere l’idea di Dio.
Ecco, l’idea di Dio. Possiamo accettare il pensiero del filosofo che vorrebbe che l’idea di Dio è venuta all’uomo perché Dio esiste? Come dimostrazione dell’esistenza di Dio è un po' scarsa. No, non l’accetto. L’idea di Dio può essere venuta all’uomo per diversi motivi, iniziando dalla paura dell’ignoto, del sole che la notte spariva e magari poteva non ricomparire, del tuono e del fulmine che stavano in cielo non si sapeva da chi mandati, timori e ignoranza che hanno portato i primi uomini ad adorare proprio quello che temevano, o di cui sentivano il bisogno, il sole o il fuoco o la pioggia, per arrivare lentamente, evolvendo il pensiero nei secoli, al Dio unico. Però un’idea che nasce dal timore dell’ignoto non mi sembra possa contenere la possibilità di svilupparsi e di evolversi: qualcosa d’altro deve esserci, nell’uomo, per poter arrivare all’idea di Dio. Ed è questo ‘qualcosa d’altro’ che distingue l’uomo dagli altri organismi biologici viventi, compresi i mammiferi di elevata intelligenza e i primati. Un pollo non arriva a pensare Dio, eppure è vivo quanto noi, ha un cervello, ha subito un’evoluzione secondo Darwin, ha un DNA uguale al nostro, con i soliti 20 aminoacidi al posto giusto, è solo un’altra forma biologica con la stessa matrice.
E allora, perché non prega?
Qualcosa che ci distingue da un pollo quindi esiste.
Per noi uomini Dio potrebbe anche esistere, o almeno lo pensiamo magari per negarlo, per un pollo il problema non esiste.
Siamo quindi ‘diversi’ dal pollo.
Cosa ci rende diversi dal pollo qualche scienziato ha cercato di spiegarlo, magari confutato da altri suoi colleghi, ma in sostanza io ho capito che siamo diversi perché abbiamo sviluppato una ‘coscienza di essere’ che il pollo non possiede: è questa la differenza più notevole.
Ma come mai noi abbiamo sviluppato questa coscienza e il pollo no?
Nel gioco delle domande non si trovano mai le risposte adatte, ma una supposizione si può fare: perché noi non siamo nati allo stesso modo di un pollo, o meglio siamo nati entrambi da un uovo, ma siamo differenti proprio nell’autocoscienza.
Cosa significa, essere ‘differenti’, se potremmo anche discendere da una specie di scimmione? In definitiva tra noi e l’orango ci sono solo 12 cromosomi diversi.
Va bene, accettato, è vero, tra noi e l’orango ci sono solo 12 cromosomi di differenza.
Però su questa obbiezione anch’io ho una domanda: perché l’orango è rimasto orango e noi siamo uomini, e perché l’orango, se è nostro fratello gemello come sembrerebbe dimostrare la ‘scienza’ quando affretta le conclusioni, non ha, come invece abbiamo fatto noi, sviluppato la ‘coscienza’ di esistere. Perché non pensa a Dio? Perché non prega? Perché non ha imparato a scrivere di filosofia? Perché non costruisce sottomarini?
Caso. Un caso dell’evoluzione. Qualche supersaputo certamente darà questa risposta.
Cosa vuol dire ‘il caso’?
E se il caso fosse un’emanazione del volere di Dio? Chi è mai riuscito a dimostrare che il caso non debba essere scritto con tre lettere, di cui la prima maiuscola, invece che con quattro lettere minuscole?

(continua)

cireno
29-12-15, 15:48
E poi quando un’azione, o più d’una, ha una sistematicità non si può parlare di ‘caso’.
E’ vero. Allora leggiamo altri indizi. Continuiamo a cercare di mettere dei paletti fissi, non senza prima ricordare, tanto per far notare quanto è debole la ragione umana, che il grande Lavoisier, padre della chimica moderna, in una memorabile riunione dell’Accademia delle Scienze a Parigi ha dichiarato a voce alta che gli areoliti, che non sono altro che i residui combusti delle stelle filanti che cadono sulla terra, non esistono perché, parole sue “Non esistono pietre nel cielo, quindi non ne possono cadere sulla terra”. Povero Lavoisier, dal suo ‘limitato’ punto di vista aveva ragione, il grave è che le pietre invece nel cielo esistono, e anche grosse, ma la ragione umana quando ‘non può vedere, fatica a capire’ (vedi sopra).

Che potremmo essere palline di un gioco immenso, l’ho già detto. In questo caso Dio sarebbe il creatore del gioco, quindi non saremmo comunque ‘figli del ‘caso’, ma di qualcuno che noi chiamiamo Dio, colui che ha creato il gioco nel quale noi siamo attori.
Come possibili palline di un grande gioco l’evoluzione ha toccato noi più di chiunque altro essere vivente nel mondo. Possiamo cercare fra tutti gli animali più intelligenti ma tutti, nessuno escluso, sono diversi da noi: la loro vita è esclusivamente manovrata dall’istinto. La coscienza di esistere è solo dell’uomo, quindi chi ha determinato questo ‘caso’ molto speciale per l’uomo, quello di essere ‘diverso’ da ogni altra specie animale voglio dire, ha operato una selezione iniziale: e anche qui, in mancanza di altre spiegazioni logiche dobbiamo ancora pensare a un Dio, altrimenti cosa pensare?
Che noi si pensi a Dio, che noi ci si debba confrontare con l’idea di Dio è più che normale. Il filosofo potrebbe anche avere torto, quando dice che pensare a Dio vuol già significare che Dio esiste, però come posso pensare a Xyloych (termine chiaramente inventato) per cercare di comprendere una galassia che non vedo, non sento e non so nemmeno se esiste. Chi è Xyloych? Da dove mi viene questo termine? E se fosse il creatore del gioco? Comunque sia, Xyloych starebbe come Dio.
E allora Dio non è poi così inimmaginabile nella sua esistenza come qualcuno vorrebbe.
Se poni all’uomo un problema apparentemente insolubile questi, per risolverlo, crea delle ipotesi. Potrebbe essere che Dio è solo un’ipotesi di soluzione al problema della sua esistenza. Ma se il problema esiste, allora magari esiste anche Dio. Dire che esiste il problema ma non la soluzione, mi sembra stupido. Ogni cosa ha una spiegazione, solo che ci sono spiegazioni logiche, per la nostra mente, e altre che necessitano di uno sforzo che la nostra mente non riesce, malgrado tutto, a compiere.
E allora si può solo credere. Possiamo solo avere fede,, una situazione che per un agnostico è però alquanto difficile.
Noi che crediamo agli elettroni senza averli mai visti, perché dovremmo rifiutare, per la stessa ragione l’idea di Dio? Mi ha chiesto un amico chiaramente credente. Al che non ho risposto, perché non c’è una risposta, eppoi, caro amico, crediamo agli elettroni perché la scienza ci ha dimostrato che esistono. Ma allora, sempre il mio amico che parla, tutti gli indizi che hai da valutare non stanno a dimostrarti che Dio esiste?
Non hai altra scelta: si deve credere perché è più logico e naturale che non credere.
E anche perché là dove il problema sembra insolubile si può solo pensare che probabilmente, vista la assoluta inconsistenza delle ragioni contrarie e la minima logica di quelle a favore, Dio esiste.
Ma se Dio probabilmente esiste perché dovremmo affannarci a tentare di dimostrarne l’esistenza?
Perché è nel nostro modo di essere il voler capire..
E allora continuiamo con altre domande.
Perché esistono gli spiriti?
Vedo gente che ride: gli spiriti non esistono!
Abbiamo ancora gli scettici all’orizzonte!
Ci sono migliaia di apparizioni inspiegabili, di casi di infestazione in località anche visitate dalla scienza, ci sono stati medium famosi sottoposti a mille esperimenti scientifici, a rigorosi controlli, seviziati dagli scienziati, che hanno verificato l’assenza di trucchi e inganni, eppure c’è gente che dice ancora ‘gli spiriti non esistono’ e ride, come se credere a qualcosa del fenere, del resto ‘ampiamente dimostrato’, li potesse porre in condizione di inferiorità.
Ma esistono. Diciamo che esistono, anche con gli scettici sulla porta.
Perché esistono? Da dove arrivano?
Non saranno anche loro fenomeni casuali?
E le premonizioni da dove nascono?
Sempre dal caso?
Certe azioni dei santi, come volare (si chiama levitazione), sono sempre frutto del caso? E le guarigioni inspiegabili di Lourdes e degli altri luoghi di miracolo, da dove vengono? Dalla fede, dice qualcuno.
Bene, almeno queste non vengono dal caso.
E la fede cos’è? Non abbiamo detto che la preghiera è il modo diretto per mettersi in contatto con Dio? Ebbene se la preghiera è rivolta con fede, con sincerità Dio opera molto spesso il miracolo. Certo non può fare un miracolo per ogni supplica. Diventerebbe una macchina per la distribuzione di bevande, metti il gettone ed esce la bibita, però la possibilità, dimostrata migliaia di volte che il miracolo avvenga, esiste. E allora la preghiera, mossa dalla fede, diventa miracolo. Per cui, dobbiamo concludere che questa fede che opera miracoli altri non può essere che Dio, e allora chiamiamola con il suo vero nome, la fede si chiama Dio.
Quelli che avversano l’idea del miracolo dicono: non si è mai visto uno senza un braccio che per miracolo il braccio gli rispunta, e credono di dire una cosa intelligente, che taglia la testa al toro. E invece dicono una sciocchezza. Perché non sanno cosa significa un miracolo e non sanno che Dio ‘non può’ intervenire, come invece noi sappiamo, per modificare l’esistenza umana. Succede qualche volta che la fede operi una guarigione, ma questa è una cosa assolutamente diversa.
Ci sono persone che passano la vita rinchiusi in una cella a pregare Dio. Hanno lasciato la vita terrena ‘da vivi’ e dedicano le loro giornate a Dio. Ci vuole una gran forza per rinunciare alla vita. Perché lo fanno? Da dove traggono la forza inumana per farlo?
Da Dio, dalla sicurezza dell’esistenza di Dio.
Qualcuno dice che sono degli esaltati, dei fanatici? Ma avete mai visto il comportamento di un esaltato? Un monaco trappista ricorda forse un esaltato? No. Solo e sempre la fede in Dio agisce su queste persone.
Madre Teresa di Calcutta, don Mazzi, don Gelmini, le umili suore degli ospizi, degli ospedali, sono esseri esaltati anche loro? Cosa li spinge a fare ciò che fanno per aiutare i fratelli nel bisogno? Chi di noi lo farebbe?
La risposta è sempre la stessa: li spinge la fede in Dio.
Comincio a pensare che siano moltitudini ad avere questa assoluta fiducia in Dio.
Si sbaglieranno tutti?

(continua)

cireno
30-12-15, 12:06
Vuoi vedere che siamo solo noi, che rincorriamo il futile e il provvisorio della materialità, ad aver ragione e a vedere con chiarezza?
Ho messo un’avviso sulla porta, per gli scettici, che dice: è ora di cominciare ad avere qualche dubbio, se riuscite a farveli venire.
Ma andiamo avanti.

Parliamo ancora di Gesù.

*Guarire e consolare invece di ferire e offendere
*Perdonare invece di vendicarsi
*Soffrire invece di far soffrire
*Amare e cercare la pace invece della guerra
*Amare i nemici

Questo è in sintesi il messaggio di Gesù, per questo è andato a morire sulla croce.
Un esaltato? Un fanatico?
Forse, ma magari anche no. Gesù ha vissuto in mezzo alla gente, alla più umile, a prostitute, pubblicani, lebbrosi, perché egli non dava peso alla purezza del corpo ma a quella ben più importante dello spirito. Gesù non ha vissuto rinchiuso in una cella o in una grotta, egli ha portato il suo messaggio ‘rivoluzionario’ in mezzo alla gente.
Ma se Gesù, mi faccio le obbiezioni da solo, era un nazareno, cioè un uomo dedicato già da prima della nascita a servire Dio, perché non pensare che sia stato solo un profeta? Perché dovrebbe essere il Figlio di Dio, il Messia?
Gesù non ha mai pronunciato, effettivamente, il termine di ‘Messia’ riferito a se stesso. Non ha mai detto ‘io sono il figlio di Dio’, salvo quella volta davanti al Sinedrio. Ma la sua figura è stata ben diversa da quella dei profeti, anche dei più grandi. Loro, i profeti, parlavano di sventure, fustigavano il popolo, lo richiamavano alle leggi di Dio. Si è mai sentito da Gesù niente di tutto questo? No, quello che Gesù predicava era un discorso ben più elevato, non era a base di castighi e anatemi, Lui voleva che tutti gli uomini entrassero nel Regno di Dio: non erano parole di un semplice profeta.
Dice l’amico scettico: un grand’uomo, certo, un socialista ante-litteram, ma Figlio di Dio….e allora, chi può essere stato in realtà?
Dobbiamo riconoscere che è un enigma.
Ma non sorridete, non credo abbiate ragione di sorridere.
E’ vero che la figura di Gesù è enigmatica ma qualcosa che aiuta a chiarire l’enigma esiste, ed è la sua morte violenta e i miracoli veri che dopo questa morte si sono succeduti.
La morte violenta di Gesù è strettamente connessa al suo messaggio rivoluzionario. Quest’uomo che, incurante delle gerarchie, è passato sopra, con le parole e le opere, ai tabù culturali, alle esigenze e alle consuetudini proprie del digiuno e del riposo sabbatico, considerate il ‘precetto principale’ della Legge di Mosé. Quest’uomo che muore “per aver bestemmiato Dio” secondo le parole degli scribi del tempio e dei grandi rabbini, non era certo solo un profeta.
Un profeta può bestemmiare Dio? No.
E allora chi era Gesù?
Era un uomo che, come mai prima di lui era successo, parlava ai ceti dominanti con una forza e un’autorità che incuteva rispetto e timore: non poteva essere solo un profeta.
Era forse un fanatico religioso?
Era un fanatico, se vogliamo definirlo così. Ma un fanatico dell’idea di portare Dio, padre di tutti, nel cuore di tutti. Era un fanatico che voleva che le donne non fossero più merce nelle mani degli uomini. Che proteggeva i bambini di fronte agli adulti, i poveri davanti ai ricchi, i piccoli di fronte ai grandi. Che amava i lebbrosi, le prostitute, i miserabili. Che aiutava i malati, perdonava i peccatori, parlava agli emarginati.
Ma la cosa più ‘diversa’ era che Gesù non ha mai parlato in nome e per conto di Dio, e questo, per molti teologi ha un grande significato: se io parlo posso parlare in nome di me stesso? No, sarebbe assurdo, se sono io a parlare è chiaro che sono io a parlare. Da questa semplice verità il vescovo Marcione, circa cento anni dopo la morte di Gesù, ha detto, predicato, scritto che Gesù nei fatti era l’incarnazione del Dio buono venuto sulla terra per portare il suo messaggio, diverso da quello del Dio giusto di Mosè, quello che gli ebrei chiamano Yahweh. Ma ne parleremo.
I profeti dicevano “ Così vuole il Signore” oppure “Così dice il Signore”, perché loro parlavano a nome del…ma dalla bocca di Gesù queste parole non sono mai uscite.
Egli era un ‘esaltato’ che conosceva la materia religiosa più e meglio dei sacerdoti e dei dottori della legge, che parlava con loro con un’autorità che non si capiva da dove gli provenisse, che annunciava, in parole e opere, la volontà di Dio, anzi che sembrava rappresentare Dio dinnanzi agli uomini, e gli uomini davanti a Dio.
Ed ecco allora che, giustamente, i suoi discepoli si sono posti delle domande, che anche noi dobbiamo porci:- “Non era egli più di Giona e di tutti i profeti? (Matteo, 12,41) e ancora “E non era più di Salomone e di tutti i maestri di sapienza?” (Luca 11,31).
Gesù rinuncia poi (sapendolo), attraverso i suoi atti e le sue parole interpretate come bestemmie, alla vita stessa. Perché lo ha fatto? Isaia ha spiegato perché il ‘Servo del Signore’ ha rinunciato alla vita.
La crocifissione di Gesù ha infatti un significato profondo per l’umanità. Unico fra tutti i grandi portatori di Dio che hanno vissuto fra gli uomini Gesù, ha scelto di morire così come era vissuto, da uomo del popolo, da uomo che conosce la sofferenza della carne, perché questo è quello che Dio voleva che accadesse, e che Lui, la carne di Dio, ha subito senza un lamento, perchè nella visione che aveva avuto dalla grotta nel monte, prima ancora di cominciare a predicare alle folle, Lui aveva visto quello che sarebbe stato il Suo destino: crocifisso. Ecco, con la crocifissione Gesù diventa ancor più di quello che si può pensare, anzi si identifica, se non addirittura, come vuole Marcione, con il Dio Padre, almeno di fronte a Lui, nella gente umile e povera che ha amato. La sua invocazione a Dio sulla croce è la voce della carne dolente, perchè Gesù è il figlio dell’uomo, certamente, ma per quello che ha significato, per la portata straordinaria del suo messaggio, per la sua morte cercata, per la sua Resurrezione dai morti è anche giusto porsi le domande di Matteo e di Luca “Non era forse qualcosa di più di Giona e di Salomone?”.

Io capisco, perché ne faccio parte, coloro che fanno fatica ad accettare misteri così grandi. Ma mi batto per trovare una via di uscita dal dubbio. Essere atei è forse una via d’uscita? Rifiutare senza sapere non è una via d’uscita, è solo un vicolo cieco.
Agostino, Tommaso, Calvino, Leibniz, Hegel: nessuno è riuscito a fugare il dubbio dell’uomo.
Ma all’ateo voglio porre delle questioni. Se Dio non esiste, il mondo viene forse spiegato?
Se Dio non esiste l’uomo viene forse spiegato?
Rispondere che il mondo non ha bisogno di spiegazioni significa vestirsi di ignoranza e di superficialità. Sappiamo di esistere ma non vogliamo sapere perché esistiamo. Siamo, e basta, alla stessa maniera delle pecore e degli ornitorinchi.
Ma basta davvero? Forse con Auschwitz, roccia dell’ateismo per antonomasia, l’ateo vede spiegata la propria posizione di incredulo?
Auschwitz è stata proprio l’opera umana di criminali privi della presenza di Dio, bestie che pensavano all’uomo come ‘semplice materia’, priva di dignità e di importanza, e come tale lo hanno trattato, obbedendo alla loro dottrina folle.
Dopo Auschwitz un religioso ebreo ha chiesto a un grande rabbino: “Come è possibile oggi credere ancora in Dio, dopo questo massacro?” E il grande, saggio, vecchio rabbino ha risposto: “E’ proprio dopo Auschwitz che si deve credere in Dio”.
Eppure c'è molta gente che proprio guardando ad Auschwitz dice" Dio non può esistere, Auschwitz dimostra che non esiste"

Ho prima scritto che anche attraverso la Resurrezione dal regno dei morti di Gesù Luca e Matteo hanno diritto ai loro dubbi sulla reale figura, anzi sulla SOLA figura di profeta di Gesù.
Può un profeta ‘risorgere’ dal regno dei morti? Non si era mai visto.

(continua)

cireno
01-01-16, 14:05
Sulla Resurrezione si fonda gran parte della credenza del cristiano nella figura divina di Gesù.
Chiariamo che la Resurrezione di Gesù non deve essere intesa come un ritorno alla dimensione umana preesistente. La sua morte non era stata fisicamente cancellata, ma semplicemente superata. Egli, risorgendo, entra in una dimensione diversa, incorruttibile, celeste, eterna.
Risorgere non ha voluto dire ‘tornare alla vita terrena’, nessuno lo ha mai detto. Significa una vita nuova, esorbitante il tempo e lo spazio, così come dovrebbe essere per ognuno di noi.
Eppure il sepolcro era vuoto, il suo corpo non era più là, dicono i testi.
Nietzche ha teorizzato l’eterno ritorno dell’uguale. E’ un antichissimo mito dell’umanità, quello di risorgere un giorno. Quasi tutte le filosofie orientali parlano di reincarnazione. Tutti, in oriente, accettano quest’idea che però, ovviamente, non può essere dimostrata. Neppure nello spiritismo e nella teosofia esistono fatti riconosciuti che provano in maniera inoppugnabile la tesi della reincarnazione: si presume, come sempre si parla di ipotesi, ma il buddhismo si basa essenzialmente su questo: la reincarnazione.
Possiamo noi accettare passivamente queste tesi sulla reincarnazione?
Razionalmente non possiamo, perché nulla può realmente spiegare il senso di una vita poggiata su una vita precedente che a sua volta nasce da una ancora precedente. Ma la teoria della reincarnazione presuppone un premio ai giusti e una castigo agli empi. Quindi la reincarnazione sarebbe la retribuzione delle opere terrene compiute? Sembra proprio che sia così, ma allora qui dovrebbe sorgere la domanda: ma chi stabilisce in quale corpo o vegetale o altra dimensione si deve reincarnare l’anima del morto?

Il fatto è che l’uomo ha solo ‘questa vita’ da vivere e fatica ad accettare l’ineluttabilità della sua scomparsa, il giorno della fine per cui si crea molte tesi sull’immortalità, e la reincarnazione sembra, a molti, un mezzo per sfuggire alla assoluta cancellazione della nostra identità una volta trapassati.
In definitiva la realtà che conosciamo con certezza assoluta è solo una: morire.

Cosa troveremo nell’aldilà? Ma soprattutto, esiste un aldilà?
Un altro punto fermo della fede è la vittoria finale sulla morte. Non sarà la morte a vincere, anche se il suo silenzio sembra stendersi su tutte le cose. Nella Resurrezione Gesù ha vinto per sempre la morte: questo è il significato del sepolcro vuoto. “L’ultimo nemico ad essere annientato sarà la morte, perché ogni cosa Cristo ha posto sotto i suoi piedi” (Vangelo-Cor.15,26). L’atto del morire allora, letto alla luce della Resurrezione, non è più la fine dell’esistenza ma il passaggio ad una nuova condizione di esistenza. Scrive Hans Urs von Balthasar “E’ Dio il fine ultimo dell’esistenza dell’uomo. Egli è il cielo per chi lo guadagna, l’inferno per chi lo perde. Egli è colui per cui muore tutto ciò che è mortale che resuscita in Lui e per Lui”.
La resurrezione dei morti, annunciata da Cristo per la fine dei tempi, al proposito della quale dice il teologo “E’ quanto di più difforme si possa immaginare dall’esperienza comune e dalle ragionevoli aspettative umane. Eppure il Simbolo degli Apostoli afferma la resurrezione della carne per la ‘vita eterna’, e il Credo di Nicea afferma la resurrezione dei morti per la vita del mondo che verrà. Se ci si limitasse a parlare di resurrezione dei morti per la vita eterna, forse sarebbe possibile dare un’interpretazione metaforica di questa verità. Ma dalle formule usate nei due venerandi testi della Chiesa antica risalta l’affermazione che sarà la carne a risuscitare per vivere nel mondo che verrà. E su questo non sono ammesse interpretazioni metaforiche: questa è la promessa di Cristo, il cuore dell’annuncio cristiano che noi troppo spesso tendiamo a dimenticare, fingendo di non vedere ciò che le Scritture stesse dicono chiaramente”.
Ma come sarà la resurrezione dei morti, di tutti i morti nel corpo di carne in vita posseduto?
Sarà, dicono sempre i testi, la resurrezione dei corpi esattamente così come erano in vita.
E per quelli che hanno meritato l’inferno?
Ma avevamo detto che l’inferno non esiste, e allora?
Siamo sempre nella supposizione, ogni risposta non può avere certezza alcuna. Balthasar ‘suppone’ un inferno per chi non ha meritato Dio, io ‘suppongo’ l’inesistenza dell’inferno. Se attraverso la morte si accede all’incontro con il Cristo, lo stato che emergerà sarà comunque sempre rispettoso della piena libertà dell’essere che fu uomo, per quanto riguarda l’accettazione o il rifiuto dell’amore di Dio. Dio diventa così, per un periodo di tempo, il Dio della speranza, perché Dio vuole “Che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità” ma l’uomo può rifiutarne l’offerta. Ne consegue che l’inferno non è creazione di Dio, ma dell’uomo che lo crea sul suo rifiuto. Quindi l’inferno, quello delle urla di dolore e dello stridor di denti, vuol dire che non esiste? No, significa solo che l’inferno esiste ma non è voluto come castigo da Dio, che anzi lotta affinché ogni uomo debba essere affrancato dal castigo, o almeno è così che a me sembra di capire.

Ci sarà quindi l’inferno solo per chi avrà voluto, in modo libero e riflesso, edificare la sua vita lontano da Dio. Con ciò è esclusa la conseguenza che alcuni hanno voluto trarre dall’universale volontà salvifica dell’Eterno: che l’inferno cioè non esista, e che alla fine tutto e tutti saranno riconciliati in Dio. Questa visione dell’apocatastasi svuota di dignità e di serietà la libertà della creatura e di consistenza la storia che essa produce: se tutto è destinato comunque a un fine che lo sorpassa e che sarà conseguito nonostante o addirittura attraverso ogni possibile resistenza o caduta, non c’è più spazio per la tragicità del rifiuto, e la stessa accettazione risulta svalutata nel suo prezzo e nel suo rischio. La negazione della possibilità di una dannazione eterna si traduce nella negazione della stessa autonomia della creatura, e perciò diviene alla fine negazione della stessa carità del Creatore: in forma a prima vista paradossale si potrebbe asserire che, se non ci fosse l’inferno, Dio stesso non sarebbe amore, perché creerebbe degli esseri privi di libertà, incapaci di essere autentici protagonisti dell’alleanza (con Lui).

Ecco, questo è quanto dice il teologo Bruno Forte a una domanda su Inferno e Paradiso, che, ad un’altra domanda (E’ dunque conseguenza di una libera scelta della creatura la realtà dell’inferno?) aggiunge:-

E’ solo la creatura che può chiudersi al dono dell’amore creatore e redentore, a quella scelta, decisiva in ordine al destino eterno, cui il Profeta galileo chiama l’uomo con la Sua predicazione. La decisione, quando è vissuta come rifiuto consapevole e libero del dono veniente da Dio, si converte in affermazione di sé, presunzione inospitale e ingrata. Il destino ultimo di chi si è radicato nel rifiuto è descritto dal nazareno: fuoco, tenebra, pianto e stridore di denti...

L’inferno potrebbe essere quindi, secondo il teologo che riporta una frase di Gesù, proprio un luogo dantesco di fiamme e di grida di dolore, un inferno che l’uomo si sceglie in assoluta libertà e convinzione.

Dice ancora il teologo:- “Colui che, unito al Cristo nell’incontro del giudizio che avviene dopo la morte, prende dolorosa coscienza del suo rifiuto radicale dell’amore, resta come paralizzato in questo rifiuto: in Cristo e per mezzo di Lui egli è davanti al Padre, sorgente della carità eterna, conservato nell’essere dallo stesso amore che lo aveva chiamato ad esistere. Ma all’amore non può più rispondere con l’amore: l’inferno è la tristezza di non poter più amare, è il rimpianto infinito di non poter più vivere la gratitudine, senza la quale lo stesso dono è e perduto. Ma Dio non cessa di amare il dannato, perché senza il Suo amore egli nemmeno esisterebbe, ma nello Spirito che unisce e distingue, chi ha rifiutato l’amore, sapendosi amato, sa di non saper amare, e si consuma nell’infinito dolore di una possibilità irrevocabilmente perduta. fatta per amare la persona non sa né può più amare”.

Io spero ardentemente che la sicurezza del teologo sia corrispondente alla realtà del dopo-morte. Perché reputo straordinariamente difficile per un uomo ‘non poter amare’, per cui impossibile sarebbe trovarsi dinnanzi a Dio e rifiutarne l’amore. L’uomo nasce per amare il suo simile. Nasce anche per amare Dio, ovviamente, ma questo, come vediamo, gli diventa più complicato dall’assenza fisica del Dio che dovrebbe (potrebbe) amare.
Può Dio castigare, per i suoi dubbi, colui che potrebbe credere? Può castigare l’ateo per la sua incredulità, l’agnostico per il suo non decidere? Faccio molta fatica ad accettare l’idea di un inferno punitivo, dove le anime gemono di dolore e vivono nelle tenebra. Non ho delle ragioni valide, evidentemente, a mio conforto, ma io voglio credere che noi tutti, creature di un solo Padre, non possiamo essere privati della sua presenza in virtù di una condanna per qualcosa che non ci rendiamo conto di commettere o che non possiamo non commettere. Certo che l’assassino sa di uccidere. Ma il pazzo assassino no, egli uccide senza rendersene conto, così come l’ateo non crede perché la sua mente razionalmente impedisce al suo cuore di aver fede, quindi non rifiuta Dio e il suo amore, ma semplicemente non crede possibile che esista un Dio da accettare, per cui, conseguentemente, ne rifiuta l’offerta o meglio, non può accettare l’offerta perché non vede nessuna offerta.
Sarà egli punito da un Dio che è solo Amore? Non ci credo, o meglio, non voglio crederci.
Trovo forzata la posizione del teologo al riguardo.

(continua)

cireno
02-01-16, 11:35
Noi dovremmo credere a un Dio che non conosciamo, ma che probabilmente possiamo intuire da mille segni. Se non crediamo, se non abbiamo fede nel Signore, il teologo dice che rifiutiamo già da adesso l’offerta del suo amore che Dio ci farà al momento del nostro giudizio, quando cioè, accompagnati da Gesù, ci presenteremo al suo cospetto.
Questa posizione mi sembra difficile da sostenere, anzi penso di doverla respingere totalmente, perché manifestamente dubbia.
Intanto, domanda prima, chi ha dato al teologo informazioni ‘precise’ al riguardo? Sembrerebbe una domanda banale, anzi perfino stupida, ma la verità è che tutti noi, teologi compresi, esprimiamo delle ‘opinioni’ personali su argomenti difficili quindi, a meno che il teologo abbia delle informazioni diverse dalle mie, che non ne ho, sia lui che io abbiamo diritto ad avere delle idee nostre, e la mia è proprio in contraddizione con la sua impostazione del Dio che potrebbe anche castigarci per aver rifiutato il suo amore.
La seconda domanda è :-
-Come possiamo rifiutare l’amore di Dio, se non abbiamo la sua offerta diretta, ma solo quella mediata da una chiesa che sovente ha compiuto cose abominevoli al cospetto del Dio che ‘pretende’ di rappresentare? Non viene messa a durissima prova la nostra ragione?
Certo, è limitata, lo abbiamo ormai imparato benissimo da tutti i pensatori che l’hanno detto, però è la ragione che Dio ha voluto che avessimo, ed è con questa che ci dobbiamo misurare. Ora la nostra ragione ha diritto a sollevare dei dubbi, perché altrimenti non sarebbe una ragione, ma un arnese inutile. Il teologo comprenderà che è proprio la sua limitatezza a originare i dubbi, e non il rifiuto dell’offerta dell’amore di Dio, per cui non ci dovrebbe accusare di “affermazione di sé, di presunzione inospitale e ingrata”.

E se il teologo potrebbe comprenderci e quindi scusarci, sarà mai possibile che Dio, nel suo infinito Amore, voglia al contrario gettarci tra le fiamme e le tenebre a piangere la Sua lontananza e a urlare di dolore?
La terza domanda è:-
-Può l’uomo essere responsabile di qualcosa che commette senza sapere di commettere?
Evidentemente io vorrei amare Dio con tutte le mie forze, ma non solo perché ho paura dell’inferno, ove esistesse, cioè della mia povera anima infilata per l’eternità tra fiamme e pene, ma perché amare Dio vorrebbe dire essere più ricchi, condurre un’esistenza migliore, dove lo spirito può bere acqua miracolosa quando ne ha bisogno, che può aiutarlo a guarire quando le avversità della vita lo colpiscono. Vorrei amare Dio con tutte le mie forze, perché potrei andare in chiesa tutte le domeniche, dimenticare le sue colpe temporali, passare sopra l’accidia di certi prelati, e sentirmi unito a coloro che hanno la mia stessa fede, pregare con loro, dar loro la mano con gioia quando l’officiante dice di scambiarsi un segno di pace, e magari parlare alla gente affamata di consolazione per convincerli della presenza di Cristo anche nei momenti più bui dell’esistenza.
Vorrei, ma la mia mente continua ad avere dubbi.
Cosa devo fare, signor teologo, li cancello, fingo di non averli, e decido di avere fede?
Santo Dio, non è come accendere una lampadina!
Io cerco, leggo, penso, ragiono ma i dubbi continuo ad averli.
E se fosse il demonio a soffiarmeli nel cervello?
Non può essere perchè questo presupporrebbe di credere nel demonio quando ancora ho dei dubbi sull’esistenza di Dio?
No, certo che no, non è il demonio.
Ancora una domanda: cosa significa: “Ci sarà inferno solo per chi avrà voluto, in modo libero e riflesso, edificare la sua vita lontano da Dio?”
Significa forse che cercare Dio, come io sto facendo con tutti i miei dubbi, non vuol dire edificare la propria vita lontano da Dio? Vuol dire che edificare la propria vita ‘lontano da Dio’ è solo quando, commettendo in piena coscienza azioni gravi contro i Suoi insegnamenti, espressi nelle Tavole attraverso dieci ordini di comportamento, non solo non ci si pente dell’averli commessi ma si insulta Dio sapendo di farlo, ripetendo l’errore?
Se l’uomo che non crede offende coscientemente un Dio in cui non crede, merita una punizione. Penso di essere d’accordo, in questo caso, con il teologo. Non si può bestemmiare chi non si crede esista, oltre che stupido dal punto di vista razionale è anche una sfida aperta alla possibilità che chi si bestemmia invece esista davvero. La punizione, al di là dell’Amore del Padre per tutti, è in questo caso giusta.
Ma qui sorge la quinta domanda al teologo:-
-E’ giusto affermare che ciò che è giusto, misurato con la ragione dell’uomo, debba esserlo anche per il grande Amore che Dio ha per le sue creature?
Traducendo vorrei dire che se l’uomo che bestemmia un Dio in cui non crede lo fa in sfida alla possibilità che invece esista, e quindi è doppiamente colpevole, e di conseguenza per la ragione umana è punibile, per la ragione di Dio, illimitata così come il suo Amore, questa arroganza colpevole e blasfema può meritare quella punizione, che l’uomo, nella sua logica umana, comminerebbe al colpevole? Non è Dio ‘al di sopra e al di là’ di queste aule giudiziarie a misura umana, dei codici di comportamento con di fianco scritte le pene da infliggere, caso per caso? Oppure il dente per dente, occhio per occhio biblico vale anche per la nostra partita con Dio?

Sull’inferno poi le posizioni, dei vari teologi e pensatori ma anche nella stessa chiesa, sono state molto dibattute e abbastanza diversificate. Origene, Gregorio, Didimo e Girolamo, che sono stati fra i grandi padri della chiesa, pensavano a un inferno limitato nel tempo, un posto dove le anime empie e colpevoli di gravi peccati contro l’insegnamento di Dio, sono inviate a purificarsi in attesa dell’incontro con il Signore. Il Sinodo di Costantinopoli del 543 invece ha respinto l’idea origenista dell’inferno come pena limitata nel tempo e ne ha stabilito la durata eterna. Diventa quindi giusta la dantesca scritta sulla porta degli inferi’ Lasciate ogni speranza o voi che entrate?’. Ma specialmente è giusta una punizione simile per il Dio buono, il Dio d’amore?
Oggi perfino l’uomo tende a commutare le pene più lunghe, cioè l’ergastolo, in pene a termine. Questo per ragioni ovvie: non esiste criminale che non meriti un’ancora di salvezza al di là delle colpe commesse, una luce di speranza..
Può Dio fare dell’inferno ciò che il sinodo di Costantinopoli ha stabilito? Come cristiano devo credere a un tale Dio? Non ci credo, e ncora una volta rifiuto come illogica la decisione di un Concilio cristiano, di un Sinodo come fu quello di Costantinopoli.

“In un Dio che potrebbe assistere a una simile crudele tortura psicofisica, priva di speranza, di misericordia e di amore, oltre che senza fine, delle sue creature? Magari insieme ai beati del cielo per tutta l’eternità? Coloro che propugnano un Dio simile pensano che il Dio infinito, di fronte a un’offesa ritenuta infinita, per ristabilire il ‘proprio onore’ abbia bisogno di una punizione infinita. Ma il peccato, in quanto azione dell’uomo è realmente più di un atto finito?” E ancora più avanti Kung aggiunge:- “E nel Nuovo Testamento Dio è davvero presentato come un simile creditore duro di cuore? Un Dio della misericordia, dalla cui misericordia sono esclusi i morti? Un Dio della pace, che rende eterne l’inimicizia e la non conciliazione? Un Dio della grazia e dell’amore per i nemici, che spietatamente potrebbe vendicarsi dei suoi nemici per tutta l’eternità?

E allora? Come dirimere la questione? Bruno Forte dice alfa, e Hans Kung dice beta, a chi credere, visto che entrambi sono due grandi teologi?
Difficile a dirsi visto che ogni pensatore, dai grandi Padri della chiesa ad oggi, propone le proprie convinzioni che sono quasi sempre diverse l’una dall’altra.
I teologi favorevoli alla presenza dell’inferno e al castigo eterno non dicono che è Dio a condannare l’uomo che ha peccato, ma che è l’uomo stesso ‘in piena libertà e convinzione’ a peccare, e quindi a porsi fuori dalla presenza di Dio. Definitivamente.
Non è quindi Dio che vuole punire il peccatore ma il peccatore stesso che, rinnegando Dio e rifiutando il suo amore, lo obbliga a prendere atto della sua volontà. Del resto Dio ha o non ha lasciato libera l’umanità di decidere per sé stessa?
Qualcuno dice che dichiarare che il peccato è già stato cancellato dal sangue di Cristo, pur vedendolo crescere a dismisura intorno a noi, è una menzogna suprema. E’ stato l’Apostolo Paolo a dirlo, ma il teologo rigidamente dice che il peccato resta esattamente ciò che era un tempo: peccato. E di conseguenza come tale deve essere punito. Ma dichiarare abolito il peccato, continua il teologo, come se nulla fosse più peccato, significherebbe far coincidere la condizione di redenzione nel regno di Dio con la condizione del mondo in cui satana è principe e padrone, anche dopo il sacrificio di Cristo: e in questo consiste la peggiore bestemmia contro lo Spirito Santo.
Ma qui l’altro pensiero teologico, quello favorevole alla limitazione temporale del castigo, chiede.- “Perché un Dio infinitamente buono deve rendere eterna l’inimicizia e deve volere di fatto condividere per l’eternità la sua sovranità con qualche anti-Dio?”
La questione non si può chiudere con una conclusione netta.
Personalmente, ripeto, spero che Dio, se esiste, sia così buono da perdonare nel tempo tutte le sue creature. Così non fosse, avrei paura di affrontare la morte, non per il castigo che, da peccatore, potrei ricevere, ma per la stessa figura di Dio che ‘tradirebbe’ il ritratto di amore e bontà che, lentamente, sto costruendo sulla sua figura.

(continua)

cireno
02-01-16, 19:14
Ma la questione dell’esistenza dell’inferno non cancella quella dell’esistenza del diavolo.
Diavolo deriva dal greco diaballo che vuol dire separare. E infatti il diavolo è il grande ‘separatore’, colui che vuol staccare l’uomo da Dio.
Quinzio nel suo ultimo libro-Mysterium Iniquitatis-ha bene affrontato l’argomento del diavolo e della malvagità che sta ormai imperando nel mondo, ormai da troppo tempo.
Perché il diavolo, che si chiama anche la Scimmia del Signore, si chiede Quinzio, non dovrebbe esistere?

Lo vedremo adesso parlando dei miracoli.
Quello che ingenui pastorelli hanno visto a Lourdes, a Fatima, a Medjugorje era o non era la Madonna? E se non era la Madonna chi era? Un’allucinazione collettiva forse, ripetuta nel tempo, che ha originato tutta una serie di guarigioni inspiegabili?
E il miracolo del sangue di San Gennaro, è un miracolo oppure no?
Periodicamente, il 19 di settembre e il 16 dicembre, per la precisione, il sangue del martire, raggrumato e solidificato in due ampolle di vetro, si scioglie davanti a tutti i fedeli in attesa in chiesa.
Bisogna dire subito che le due ampolle di vetro racchiuse in una teca hanno un’età, stabilita scientificamente dal prof. Moscarella, che si aggira sul 1600 anni., quindi esattamente della data in cui è morto San Gennaro a Pozzuoli.
Quando il cardinale Ursi mostra ai fedeli il sangue sciolto nelle ampolle la gente batte le mani, piange, grida viva San Gennaro, viva Gesù. Poi finalmente tutti tacciono, ognuno segue la cerimonia in silenzio: il miracolo è concluso.
Cosa dice la scienza su questo fatto straordinario?
Innanzi tutto che, attraverso la spettrografia, si è stabilito che si tratta proprio di sangue.
Un biologo ha così spiegato la cosa:- “Ci troviamo di fronte a una sostanza solida, sigillata, secolare, che in modo irrefutabile si liquefa, cambia di colore, di volume, di peso, di viscosità davanti ai nostri occhi, in inverno e in estate, con il caldo e con il freddo, davanti alla folla, a date quasi sempre fisse. Qualche volta non si liquefa per niente”.
Tentativi di riprodurre artificialmente il fatto non hanno dato nessun risultato. La variazione di volume è imponente, sfida addirittura le leggi della fisica. Anche il colore cambia spesso: da rosso cupo a rosso brillante. Al termine del ‘miracolo’ la solidificazione avviene in maniera repentina. Ci sono persone che vorrebbero spiegare il miracolo con una possibile causa naturale che non si conosce. Però le leggi della fisica sono immutabili, e questo fatto, assolutamente illogico, le rovescia. Come lo spiegheranno gli scettici?
Considerato che qualcuno ha detto in passato che poteva essere la temperatura delle candele che si utilizzavano per riscontrare lo scioglimento ora viene usata una pila.
Qualcuno ha anche detto che potrebbe essere la tensione psichica della folla in attesa a operare il miracolo. Ma anche qui sbagliano, perché sovente il sangue si è sciolto prima della cerimonia o davanti a pochissime persone. E a volte non si scioglie, nemmeno davanti a una folla imponente.
Altri hanno supposto che si tratti di una sostanza alchemica di cui si sono perse le formule. Ma l’esame spettrografico ha chiarito che si tratta ‘solo’ e certamente di sangue.
E anche con questa affermazione le leggi della natura sono sovvertite. In 1600 anni il sangue umano, contenuto nelle ampolle, avrebbe già dovuto essersi putrefatto e diventato polvere.
Dopo uno studio molto accurato il prof. Gastone Lambertini ha dichiarato:- “Una cosa è certa. Tutte le possibili spiegazioni che possiamo dare ‘non reggono e cadono’. Non esiste spiegazione. Tutte le leggi, la gelificazione, la conservazione, la soluzione dei colloidi, tutto sfida le leggi naturali. Ogni spiegazione che non ipotizzi un intervento soprannaturale non ha fondamento”.

Sappiamo tutti cosa è accaduto a Lourdes e a Fatima. Meno persone sanno invece con cosa è accaduto a Medjugorje, in Jugoslavia.
In una piccola chiesa parrocchiale un giorno, a cinque ragazzi del posto, appare la misteriosa Signora che loro chiamano la Gospa, cioè la Signora, che parla e affida loro messaggi.
Periodicamente, e sempre contemporaneamente a tutti cinque i ragazzi, ‘la Gospa’ appare.
Si è provato a filmare l’atteggiamento dei cinque giovani e la ripresa ha evidenziato la contemporaneità dei loro gesti e dei loro sguardi che, senza che uno possa vedere l’altro, mostrano con chiarezza che ogni ragazzo segue ‘insieme agli altri qualcosa’ che solo i loro occhi riescono a vedere, e questa contemporaneità dello sguardo è dimostrata dal sincrono movimento della pupille di ognuno di loro.
Inutile dilungarci su questa nuova apparizione della Madonna, ci sono libri su Medjugorje che si possono acquistare. La realtà è che si tratta, ancora una volta, di fatti inspiegabili.
Così come inspiegabili sono le Madonnine che piangono lacrime o sangue.
Può essere allucinazione collettiva? O sono miracoli di provenienza ‘diabolica’?
Tutto può essere, però rimaniamo nella logica, per favore.
Cosa esiste come allucinazione collettiva a Medjugorje, se solo cinque ragazzi vedono la Signora?
E a Lourdes? E a Fatima?
E a Loreto, a Caravaggio?
Cosa esiste di allucinazione collettiva nelle stigmate? Le stigmate sanguinano e non guariscono, e quando guariscono, diversamente da ogni ferita naturale, non lasciano cicatrici. Come mai?
E il fenomeno della levitazione? Sono talmente tanti i casi che non si possono nemmeno citare. Come faceva a ‘volare’ San Giuseppe da Copertino?
E il digiuno? Parliamo di una caso eclatante, quello di Teresa Neumann. Controllata dalla scienza, è sopravvissuta 35 anni senza prendere altro che un’ostia consacrata al mattino. Wikipedia scrive di lei:-

-Teresa Neumann è nota per alcuni fenomeni e proprietà presuntamente sovrannaturali, che le sono stati riconosciuti dalla Chiesa Cattolica che le ha attribuito il titolo di "Serva di Dio", e per cui è in atto il processo di beatificazione; tali fenomeni sarebbero: la comparsa di stigmate, fenomeni quali bilocazione, xenoglossia, e profezia; l'essere guarita da paralisi e cecità in seguito a visioni mistiche; la conoscenza di lingue mai studiate (greco, latino, aramaico); la capacità di vivere senza alimentarsi: secondo quanto asserito da vari testimoni, per 36 anni si sarebbe nutrita ogni giorno esclusivamente con la Comunione sacramentale, senza assumere altri cibi o bevande.Diverse indagini psichiche sulle sue "grazie" hanno dato esiti positivi, confermando la sua sanità mentale, ed escludendo qualsiasi forma di patologia legata alla personalità.

La Chiesa nei riguardi dei miracoli procede con i piedi di piombo. La Chiesa sa che il diavolo molto spesso opera miracoli ‘falsi’ per ingannare le folle e confonderle nella loro fede.
Per entrare in argomento riporto con una storia.
Una suora di clausura francese, vissuta alla fine del 700, riuscì a predire con ‘estrema esattezza’ la Rivoluzione Francese, come si sarebbe svolta, chi sarebbe stato ucciso, e la sua fine. Fra le diverse cose che ha ancora predetto ha parlato di un periodo che sembra essere proprio il nostro, nel quale essa annunciava “L’apparizione di pseudo-religiosi che saranno di grande aiuto e sostegno al Nemico di sempre, il quale eserciterà per loro mezzo dei prodigi che affascineranno gli uomini. Costoro verranno considerati quasi delle divinità. Prediranno l’avvenire, faranno grandi rivelazioni, avranno estasi e rapimenti del corpo. Dei loro prodigi si sentirà parlare in ogni dove”.
Nel mondo stanno succedendo da tempo cose che hanno del miracoloso ma che potrebbero invece essere proprio opera del Nemico di sempre, per usare l’appellativo della monaca francese.
In Messico, ad esempio, è apparsa una Madonna con un piede di bronzo, che operava straordinari sortilegi e dava consigli alla gente con voce dolce e suadente. Masse di gente sono andate nel luogo di apparizione ma la Chiesa ha capito che questo miracolo’ era opera del diavolo: il piede di bronzo lo indicava chiaramente, come scherno alla maestà della divinità cristiana.
E così in Europa una bellissima madonna che ballava e piroettava su stessa e compiva ogni sorta di sortilegi: anche qui si è accertata la presenza del Nemico, del grande Separatore: una Madonna vera non balla, non piroetta.
Statue che piangono sangue, o lacrime, possono avere la stessa origine. Il diavolo si serve di ogni ‘prodigio’ fasullo per intaccare la fede nei veri miracoli che invece, qualche volta, si compiono.
Anche le ambigue prodezze di certi santoni apparsi negli ultimi anni mi lasciano perplesso.
Da un libro di Talamonti traggo questo brano su Shai Baba, che io sottoscrivo totalmente:-

“Finora non c’è mai stato nessuno che ambisse a gareggiare in miracoli con Cristo. Ora c’è.
Circa settant’anni or sono in India un ragazzo normalissimo subì una trasformazione radicale all’improvviso. Quel ragazzo si chiamava Satya Shai Baba ed era destinato a diventare l’uomo dei grandi portenti, la cui fama risuona in India e nel mondo.
Da altre quarant’anni raduna attorno a sé discepoli, accoglie pellegrini e visitatori giunti da ogni parte, e a tutti dispensa una sua sincretistica saggezza, ove si fa posto a insegnamenti del Cristianesimo, ma al tempo stesso intesi a far credere che si possa realizzare un’utopica religione universale, ove il Cristianesimo sarebbe praticamente annullato dal solito complesso di credenze che caratterizzano la teosofia ed altri movimenti parareligiosi. Insegnamenti moralmente ineccepibili con un solo punto centrale: la reincarnazione. A Shai Baba vengono attribuiti poteri e portenti di ogni genere compresa, si dice, qualche resurrezione di defunti.
La sua fama è però legata in particolare a due specie di prodigi con i quali incanta immancabilmente i visitatori: l’apporto di cenere sacra e di gioielli: monili di pregio che regala come amuleti. E intendiamoci: si tratta di prodigi autentici che Shai Baba opera con tranquilla noncuranza. Chiude la mano, la riapre e il gioiello, o la cenere, è lì. Realizza e regala, con una frequenza che non manca di sbalordire. Uomo di ‘potere’ senza dubbio, ma come si fa a paragonarlo a Cristo?
Eppure questo fanno. ‘Nuovo Cristo’ lo chiamano; ma forse non si è riflettuto ad alcune circostanze che a noi sembrano importanti. Per esempio questa: che Gesù guariva sì i corpi ma mirava in primo luogo alle anime; per prima cosa, rimetteva i peccati, e questo non crediamo rientri nei poteri di Shai Baba. Moltiplicò i pani e i pesci, Gesù, ma lo fece per aiutare un mare di gente che per amor suo si era dimenticata di mangiare. Erano miracoli dettati dall’amore, non dall’ambizione di diffondere la propria fama: che anzi gli capitava di pregare i suoi beneficiati perché mantenessero il segreto. E poi ci sono i simboli che parlano con eloquenza. Di chi sono simbolo i gioielli, gli anelli d’oro, i braccialetti, gli altri ninnoli d’oro? Parlano di vanità, di frivolezza, di fasto vuoto e vanesio; rappresentano tutto l’insieme di allettamenti mondani da cui tanta gente si lascia sedurre.
Fasto, potere, ricchezza: i doni che Cristo rifiutò sdegnosamente quando nel deserto il Signore di questo mondo glieli offrì. Quanto alla cenere sarà certamente sacra per gli induisti, ma per noi è simbolo penitenziale della dissoluzione, della riduzione in polvere di ciò che prima era vivo e vitale. I simboli hanno un linguaggio, ascoltiamolo”.

(continua)

cireno
04-01-16, 12:12
Ed ora parliamo di spiriti. Cosa dire degli spiriti?
Che non esistono, dirà qualche ben informato.
E allora come mai a Rosenheim in Baviera, per citare solo un esempio, magistratura, scienziati e polizia non riuscirono a spiegare fenomeni di spiritismo con oggetti che volavano, impressionanti perturbazioni elettriche e telefoniche, e perfino una cassaforte di tre quintali che si sollevava e stava sospesa in aria davanti agli occhi attoniti di magistrati e poliziotti?

Ma attenzione! Il passato può essere un grande pericolo per il presente, nel senso che bisogna fare grande attenzione a mescolare l’oggi fisicamente materiale con il passato extra-sensibile. Ci possono essere, anzi si trovano sovente, grandi e micidiali sorprese: non tutte le entità sono avvicinabili dall’uomo, e anzi, quelle malvagie sono le prime a cercare il contatto con il terreno. Vediamo un esempio tratto sempre da un libro di Talamonti:

“E’ un episodio riferito dall’ingegner Vittorio Perrone, riportato sul Bollettino della Società Italiana di Parapsicologia, Ente Morale. L’ingegnere era allora membro del Comitato Scientifico di quella società. L’episodio riguarda il signor GZ, noto scrittore, commediografo e novelliere, presentato dall’ing. Perrone come persona arguta, equilibrata e serena.
Un giorno GZ si trova a passare per Firenze, va in un albergo e si fa assegnare una camera. C’è una portafinestra che dà su un terrazzo. Nell’accostarsi al parapetto avverte, improvviso e prepotente, l’impulso di gettarsi nel vuoto sottostante. Preoccupato e sorpreso, reagisce con risolutezza a quel perverso impulso così estraneo alla sua personalità, e si ritrae subito all’indietro.
Scende, fa delle domande e viene a sapere che poco tempo prima un giovane artista straniero si era lanciato nel vuoto, morendone, proprio da quel terrazzo.
Ora noi sappiamo che certe persone hanno una mente facilmente influenzabile da accadimenti del passato, e questo è il pericolo di certi contatti.
C’è a suffragare l’ipotesi una casistica non trascurabile. Da sempre in Cina si parla di alberghi nei quali sono avvenuti parecchi suicidi, e tutti nella stessa stanza. Stanze del suicidio, vengono chiamate.
Non è pensabile che i clienti aspiranti suicidi le scegliessero appositamente, visto che nemmeno le conoscevano, perciò si deve dedurre che in quelle improvvise decisioni malsane l’ambiente c’entrasse per qualche verso. Non possiamo certo stupircene dopo aver visto l’impressionante facilità con cui Ida Ronconi e Sandra Baietto e altri soggetti citati, recepivano immagini, impressioni ed emozioni-a volte assai forti-solo toccando degli oggetti o entrando in certi ambienti, e capitava loro di soffrire in proprio per l’immedesimazione con protagonisti che non esistevano più.”

Gli esempi sulla possibile pericolosità del contatto con sostanze extra-sensibili, che possiamo chiamare ‘spiriti’ al di là dell’incredulità dei soliti scettici che dubitano sempre di tutto, forse persino della loro stessa esistenza, potrebbero continuare. Ci sono state malattie gravissime, suicidi, casi di follia citati e elencati in libri specializzati e assolutamente credibili in quanto frutto di assoluta ricerca scientifica.
Una dimensione extraterrestre quindi esiste. E non è certo la proiezione della nostra psiche o delle nostre emozioni: semmai queste la richiamano.
I morti tornano, qualche volta, ma molto raramente. Sono prodigi che partono per volere dell’Alto, mai per esaudire richieste di curiosi o nostalgie di congiunti, e hanno sempre uno scopo di ordine spirituale. Però è sbagliato credere che per queste apparizioni gli spiriti dei morti debbano avere bisogno dell’opera di un tramite, il medium.
Porto, al proposito, un esempio eclatante. Dopo la morte del nobile Guy de Torno, ad Alais vicino Avignone, per otto giorni la sua voce ha continuato a risuonare nella camera della vedova. L’eco di questo straordinario fatto giunse fino a Roma, al papa e ai cardinali del Sacro Collegio, che immediatamente ordinarono una rigorosa inchiesta. Fra le varie relazioni sull’accaduto riporto quella del frate John Goby: “Ispezionammo con diligenza la casa, fin sotto le tegole, e anche le case vicine. Lasciammo dappertutto uomini fidati a fare la guardia. Mettemmo una signora a guardia continua della vedova.” Il frate poi continua dicendo di aver messo sotto la tonaca una pisside con le sacre Specie. L’atmosfera era elettrica. I frati, erano in tutto quattro, si misero a recitare le litanie nella camera della vedova, quando a un certo momento sentirono come un fruscio e la vedova gridò “E’ qui, lo sento!”. Un frate chiese ad alta voce se fosse lo spirito di Guy de Torno e una voce lontana ma chiara rispose “Si, sono io”. Il frate ripresosi un pochino dalla meraviglia gli chiese se era uno spirito buono e la voce disse di si, e precisò che doveva frequentare quel luogo perché, in attesa di raggiungere sfere più elevate, doveva ripercorrere i peccati che aveva commesso.
Padre Resch, redentorista sud-tirolese, cattedratico di ‘Psicologia clinica e Paranormologia’ presso la Pontificia Università Lateranense di Innsbruck, ha avuto esperienze concrete con l’aldilà e alla domanda “Cosa si aspetta di trovare dopo la sua morte?” ha risposto:-

“Un luogo di felicità totale, perché in Dio avremo raggiunto l’unità con il cosmo e la conoscenza chiara dei legami che ci legano tutti a tutto. Una luce e un’unione di amore dove non dovrò più pensare a me stesso, dove l’infelicità sarà scomparsa assieme a ciò che la provoca: la domanda e il desiderio. La realtà che vedremo sarà superiore a tutte le nostre previsioni”.

E ora un episodio della mia vita. Mia madre era morta da circa tre anni quando una notte mi sembra di svegliarmi ma sono mezzo addormentato. Vicino al mio letto, in piedi, mia mamma che mi guarda e io noto che ha lacrime che le scorrono sul viso. Mi sveglio completamente, mi giro verso mia moglie e le dico “c’era mia mamma vicino al letto, mi guardava e piangeva”. Ti sarai sognato, dice lei. Forse, non lo so, era lì, proprio vicino a me.
Alla mattina sono ancora impressionato, e mia moglie mi dice “falle dire qualche messa”. Piangeva-dico io- perché piangeva?
Qualche giorno dopo ne parlo con un’amica e lei mi dice “forse è un avvertimento, vai da un medico tu che non ci vai mai, fai tutti gli esami possibili”.
E così succede, faccio tutte le analisi del sangue e li porto al medico di base. Tutto bene, dice lui, ma suo padre di cosa è morto? Tumore intestinale. Ah, ecco, allora deve fare la ricerca di sangue occulto nelle feci. Lo faccio: niente sangue. Deve ripeterlo tre volte-dice il medico. No, basta, ho schifo di portare il vasetto ecc. Bene, allora deve fare una colonscopia. Siamo in luglio, due giorni di digiuno e purghe ed ecco la colonscopia. Faticosissima, ho un intestino troppo lungo. Trovano un polipo intestinale. Dobbiamo toglierlo,ha fatto l’esame per il tempo di coagulazione del sangue? No, non lo sapevo. E allora deve farlo poi ritorna e togliamo il polipo. Non torno più in quella clinica, vado all’Ospedale di Niguarda e nuova colon-scopia. Deve togliermi il polipo-dico al nuovo medico. So io cosa devo fare, ora ispeziono tutto il colon. Dottore l’hanno già fatto alla clinica X un mese fa. Non importa, io lo rifaccio. A un certo punto sento che dice” ahi, qui sotto la valvola ileo cecale c’è un polipo che non mi piace, prelevo un frammento e facciamo la biopsia. Dopo dieci giorni vado a ritirare il referto “adeno carcinoma”. Dieci giorni dopo sono all’IEO di Veronesi, mi aprono la pancia e mi tolgono un pezzetto di intestino, poi prelevano frammenti dei vasi intorno all’alieno per vedere se il tumore si è mosso. Al quarto giorno viene il medico della sala e mi dice “tutto a posto, nessuna metastasi, ancora sei mesi e lei avrebbe cominciato il ciclo di chemio ecc. Può andare a casa e ringrazi chi l’ha mandata adesso, perchè le ha salvato la vita.

Ecco qua, chi mi può spiegare?

(continua)

cireno
07-01-16, 10:31
Ancora su Gesù



Come sappiamo tutti, altre religioni, e non solo quella ebraica dalla quale ufficialmente si dice che è nato il Cristianesimo, si sono ispirate al monoteismo o sono diventate universali, anche se apparentemente politeiste, come quella induista. Religioni che hanno avuto, e hanno tuttora, un peso nella storia dell’umanità e che meritano di essere ricordate per la loro importanza e, soprattutto in questa sede, per confrontarle con il Cristianesimo.
Ho già detto che Gesù ha predicato agli uomini parole mai sentite prima, e ho già detto che Lui ha rappresentato qualcosa di totalmente diverso da ogni profeta mai comparso prima, per la semplice ragione che Lui non era un profeta.
E’ questa la ragione che fa di Gesù di Nazaret il Cristo, cioè l’incarnazione del volere di Dio, oppure come dice marcione, l’incarnazione dello Spirito di Dio, del Dio Buono.
Il confronto con le altre grandi religioni deve far proprio apparire, così come io ho notato, la grande differenza dei messaggi del Nazareno rispetto a quelli di qualsiasi altro vissuto prima di Lui, ed è proprio questa diversità che dà alla Sua figura una patente di divinità che non può essere negata, anche se Lui, Gesù, mai nel corso della Sua esistenza, salvo che davanti al Sinedrio, ha dichiarato di essere il Figlio di Dio. Questa indicazione divina nasce con il Vangelo di Luca, che per la prima volta lo chiama in tal modo. Del resto non c’era bisogno che Gesù dichiarasse di essere quello che Luca dice che Lui era: la Resurrezione dal Regno dei morti, e i miracoli accaduti DOPO la sua morte (quelli che ho provato a descrivere), sono sufficienti a dimostrare la Sua origine divina.
Nell’Antico Testamento, cioè in uno scritto che va da 1000 a 200 anni a.C., c’è un brano di Davide (Salmi, 21) che voglio riportare a maggior sostegno della mia convinzione sull’origine divina di Gesù:

“Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato? Tu sei lontano dalla mia salvezza”:
sono le parole del mio lamento.
Dio mio, invoco di giorno e non rispondi, grido di notte e non trovo riposo.
Eppure tu abiti la santa dimora,
tu, lode di Israele.
In te hanno sperato i nostri padri, hanno sperato e tu li hai liberati;
a te gridarono e furono salvati,
sperando in te rimasero delusi.
Ma io sono un verme, non uomo,
infamia degli uomini, rifiuto del mio popolo.
Mi scherniscono quelli che mi vedono,
storcono le labbra, scuotono il capo:
“Si è affidato al Signore, lui lo scampi;
lo liberi se è suo amico”
Sei tu che mi hai tratto dal grembo
mi hai fatto riposare sul petto di mia madre.
Al mio nascere mi hai raccolto,
dal grembo di mia madre, sei tu il mio Dio.
Da me non stare lontano
perché l’angoscia è vicina
e nessuno mi aiuta.
Mi circondano tori numerosi
mi assediano tori di Basan.
Spalancano contro di me la loro bocca
come leone che sbrana e ruggisce.
Come acqua sono versato,
sono slogate tutte le mie ossa.
Il mio cuore è come cera,
si fonde in mezzo alle mie viscere.
E’ arido come un coccio il mio palato,
la mia lingua è incollata alla gola,
su polvere di morte mi hai deposto.
Un branco di cani mi circonda,
mi assedia una banda di malvagi;
hanno forato le mie mai e i miei piedi,
posso contare tutte le mie ossa.

Ho evidenziato in grassetto le due cose che mi hanno colpito, anzi che non possono non colpire chiunque le legga. Il Salmo riflette chiaramente la figura del Servo di Dio profetizzato da Isaia (52,13-53,12) che deve soffrire per i peccati di tutti gli uomini. Il Salmo, come si legge, inizia con la frase che Gesù ha poi, centinaia di anni dopo, urlato qualche secondo prima di morire sulla croce (Eli, Eli, lema sabactani?- Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?), e continua descrivendo chiaramente la fine del Nazareno, lo scherno a cui è stato sottoposto (se è amico del Signore perché non si fa liberare?) per arrivare alla parte finale che è impressionante nella sua veridicità di quello che ‘sarebbe successo’, là quando dice “le mie ossa sono tutte slogate, il mio cuore è di cera, la mia lingua è incollata al palato (ricordiamo la Sua grande sete sulla croce e l’offerta di acqua e aceto del soldato romano), un branco di cani mi circonda (e infatti intorno alla croce vi erano quasi solamente nemici, spariti i discepoli solo tre donne piangevano ai Suoi piedi), hanno forato le mie mani e i miei piedi.”
Ecco la profezia incredibile! Centinaia di anni prima che questo accadesse, in un paese che ‘non conosceva assolutamente la crocifissione’, che forse a quei tempi nemmeno esisteva a Roma, un uomo, Davide, Re di Israele, riferendosi al messia che ‘verrà’ ne parla in quei termini e ne descrive così la morte: deriso e schernito, picchiato, in mezzo a un branco di cani, bucate mani e piedi, con il cuore di cera e la gola riarsa e l’urlo dell’agonia, della paura ‘Dio mio, perché mi hai abbandonato.
E qui sarà bene riportare per intero anche la profezia di Isaia.

52,13-Il Servo del Signore
Ecco, il mio servo avrà successo,
sarà innalzato, onorato, esaltato grandemente.
Come molti si stupirono di lui
tanto da essere sfigurato per essere d’uomo il suo aspetto
e diversa la sua forma da quella dei figli dell’uomo
così si meraviglieranno di lui molte genti;
i re davanti a lui si chiuderanno la bocca,
perché vedranno un fatto mai ad essi raccontato
e comprenderanno ciò che non avevano mai udito.

53,1-Dovrà molto patire
Chi avrebbe creduto al nostro annuncio?
A chi sarebbe manifestato il braccio del Signore?
E’ cresciuto come un virgulto davanti a lui
e come una radice in terra arida.
Non ha apparenza ne bellezza
per attirare i nostri sguardi,
non splendore per potercene compiacere.
Disprezzato e reietto dagli uomini,
uomo dei dolori che ben conosce il patire,
come davanti al quale ci si copre la faccia,
era disprezzato e non aveva alcuna stima.
Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze,
si è addossato i nostri dolori,
e noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato.
Egli è stato trafitto per i nostri delitti,
schiacciato per le nostre iniquità.
Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui;
per le sue piaghe noi siamo guariti.
Noi eravamo tutti sperduti come un gregge,
ognuno di noi seguiva la sua strada,
il Signore fece ricadere su di lui
l’iniquità di noi tutti.
Maltrattato si lasciò umiliare
e non aprì la sua bocca.
Con oppressione e ingiusta sentenza fu tolto di mezzo;
chi si affligge per la sua sorte?
Sì, fu eliminato dalla terra dei viventi,
per l’iniquità del mio popolo fu percosso a morte.
Gli si diede sepoltura con gli empi,
con il ricco fu il suo tumulo,
sebbene non avesse commesso violenza
né vi fosse inganno nella sua bocca.
Ma al Signore è piaciuto prostrarlo con dolori.
Quando offrirà se stesso in espiazione,
vedrà una discendenza, vivrà a lungo,
si compirà per mezzo suo la volontà del Signore.
Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce
e si sazierà della sua conoscenza;
il giusto mio servo giustificherà molti,
egli si addosserà la loro iniquità.
Perciò io gli darò in premio le moltitudini,
dei potenti egli farà bottino,
perché ha consegnato se stesso alla morte
ed è stato annoverato fra gli empi,
mentre portava il peccato di molti
e intercedeva per i peccatori.**************************************** *

Ho lasciato alla fine questa profezia, con Isaia che parla con la voce di Dio, annunciando quello che ‘sarebbe arrivato’ ottocento anni più tardi, perché mi sembrava troppo facile darmi questo straordinario atout fin dall’inizio del mio scritto per provare la veridicità dell’origine divina di Gesù di Nazaret. Il salmo di Davide poi conclude e ‘spiega’ la frase di Dio pronunciata da Isaia (egli è stato trafitto per i nostri delitti), cioè trafitto nelle mani e nei piedi.
Anche il miracolo della Resurrezione e i successivi miracoli post-mortem sono elencati quasi con dettagli nella profezia di Isaia che, ripeto, riportava ‘La voce di Dio’. “Quando avrà dato se stesso in espiazione vivrà a lungo e vedrà una discendenza- dice Isaia - e poi avrà in premio le moltitudini e dei potenti farà bottino.” Non faccio interpretazioni perché tutto mi sembra fin troppo chiaro, però, sulle profezie ed i profeti voglio riportare una bella pagina di Schurè:

“La divinazione è esistita nelle forme e nei modi più diversi, presso tutti i popoli del ciclo antico; ma il profetismo in Israele raggiunse un’ampiezza, un’elevazione, una autorità, che ha la sua sorgente nell’alta regione intellettuale e spirituale, dove il monoteismo mantiene l’anima umana.
Il profetismo, presentato dai teologi della lettera quale comunicazione diretta di un Dio personale, negato dalla filosofia naturalistica come pura superstizione, non è in realtà che la manifestazione superiore delle leggi universali dello Spirito. Le verità generali che governano il mondo, dice Ewald nel suo bel libro sui profeti, in altri termini i pensieri di Dio, sono invariabili e intangibili e del tutto indipendenti dall’incertezza delle cose, dalla volontà e dalle azioni degli uomini. L’uomo è chiamato originariamente a parteciparvi, a comprenderli ed a tradurli liberamente in atto, ed è così che egli giunge alla sua propria e vera destinazione.
Però, affinchè il verbo dello Spirito penetri nell’uomo di carne, è necessario che l’uomo sia scosso sino nell’anima dalle grandi commozioni della storia; ed allora la verità eterna ne scaturisce come un raggio di luce. Perciò nel Vecchio Testamento è detto più volte che Jahvè è un Dio vivente. Quando l’uomo obbedisce alla chiamata divina ha origine in lui una vita nuova, nella quale non si sente più solo, ma in comunione con Dio e tutte le verità e pronto a camminare da una verità all’altra sino all’infinito. In questa nuova vita il suo pensiero si identifica con la volontà universale, ha visione chiara del presente e fede intera nel successo finale dell’idea divina.
L’uomo capace di sentire questo è un profeta, egli è irresistibilmente spinto a manifestarsi agli altri come rappresentante di Dio. Il suo pensiero diviene visione e questa forza superiore, che fa sgorgare la verità nella sua anima, benchè talvolta la infranga, costituisce l’elemento profetico. Le manifestazioni profetiche furono nella storia i colpi di fulmine e i lampi della verità. Ecco la fonte dove i giganti, che si chiamano Elia, Isaia, Ezechiele, Geremia attinsero la loro forza. Nel fondo delle loro caverne, o nei palazzi dei re, essi furono veramente le sentinelle dell’Eterno e, come dice Eliseo al suo maestro Elia, i carri e i cavalieri di Israele. Spesso predicono con esattezza la morte dei monarchi, la caduta dei regni, i castighi d’Israele; qualche volta errano, poichè, sebbene accesa al sole della verità divina, la fiaccola profetica vacilla fino a spegnersi nelle loro mani, al soffio delle passioni nazionali; ma giammai essi esitano sulle verità morali.
Non è che oggi, e innanzi alla tomba del Cristo, che questa visione comincia a realizzarsi?
Tutti ne parlano: l’incomparabile Isaia è ancora colui che vede più nettamente, che lo dipinge con più forza:- Verrà un discendente dal trono di Jesse, un rampollo crescerà dalle sue radici e lo spirito dell’Eterno sarà in lui. Egli è uscito come un fuiore dall’arida terra, ed è cresciuto in silenzio. E’ disprezzato, è l’ultimo degli uomini: è l’uomo del dolore. Si è caricato dei nostri mali e noi abbiamo creduto fosse colpito per le nostre iniquità. Fu perseguitato ed oppresso e condotto al massacro come un agnello e non ha aperto bocca-.
Durante otto secoli, sopra dissensi e calamità nazionali, il verbo tonante dei profeti fece intravedere l’immagine del messia. Al tempo di Erode, sotto la dominazione romana, il messia viveva in tutte le coscienze, e se i grandi profeti l’avevano visto con i lineamenti di un giusto, di un martire, di vero figlio di Dio il popolo, dfedele all’idea giudaica, se lo raffigurava come un Davide, un Salomone, o un nuovo Maccabeo”.

Gesù di Nazaret era quindi il messia annunciato dai grandi profeti, colui che avrebbe sopportato, per amore degli uomini, un’ingiusta sentenza, i maltrattamenti, la crocifissione e la morte e infine la sepoltura nel tumulo di un ricco (la tomba, come sappiamo, era quella di Giuseppe di Aritematea, un ricco componente del Sinedrio), era colui che per premio avrebbe avuto, come infatti ha poi avuto, le moltitudini, ed è stato colui che ha piegato i potenti (cos’era Roma a quei tempi?). Ma la domanda essenziale è: Gesù è stato solo un profeta, il più grande dei profeti ebraici o qualcosa di più come afferma Marcione e non solo? Non è facile trovare una risposta a questa basilare domanda, quindi nemmeno cerco di trovarne una.

A questo punto è utile il raffronto con gli altri grandi profeti o personaggi centrali di grandi correnti religiose.
Zarathustra è sempre stato un personaggio che mi ha sempre affascinato. Sembra essere vissuto in Iran intorno al 1000 a.C., ma non c’è alcuna sicurezza. Certamente era di origine indoeuropea, e lo stesso nome lo conferma, quindi estraneo al monoteismo iniziale dei semiti ebrei e alle rozze religioni dei popoli arabi delle regioni circostanti. Zarathustra era sposato e aveva figli, era un sacerdote addetto ai canti sacri del tempio. Predicava un monoteismo dove il Bene, rappresentato da Mazda, il dio della Luce, era in eterna lotta con Arimane, il dio delle tenebre e del Male. Intorno a Zarathustra è poi nata una leggenda che lo ha fatto una specie di Gesù dell’epoca. Intanto la sua nascita che è descritta come miracolosa, in quanto tutti gli elementi che lo avrebbero poi formato fisicamente già sarebbero esistiti dal giorno della nascita del mondo. Poi la sua infanzia, dove lui bambino sprigionava saggezza e metteva in imbarazzo gli adulti; poi la sua giovinezza, le sue predicazioni contro gli eretici e il suo ritiro nel deserto, la sua lotta con il Male, le sue estasi e le sue visioni, i miracoli e i prodigi, e infine la conservazione del suo seme nel lago Kasoya per far nascere un salvatore a venire, uno per ogni millenio di esistenza dell’umanità.
E’ stato uno dei primi uomini a proclamare la fede in un unico Dio che lui definiva nel Gatha, il libro della dottrina mazdeista, come il Signore Pensante, dio unico.

Confucio nasce 551 prima di Cristo. Non era un profeta ma un pensatore, e un politico.
Dopo tutta una serie di vicissitudini legate al suo stato di funzionario al servizio del sovrano dello stato di Lu, dove raggiunse un’elevata posizione, si dedicò a sistemare gli antichi libri della tradizione cinese il Libro della Storia, il Libro delle Odi, il Libro dei mutamenti e quello dei Riti. Malgrado si considerasse solo un ordinatore delle leggi antiche del suo paese, in effetti risultò un grande innovatore della società cinese, della quale criticava aspramente l’immoralità della aristocrazia, per combattere la quale redasse dei codici di comportamento rigorosissimi.
Cercò coraggiosamente di introdurre dei principi democratici in un paese che non ne aveva affatto. La leggenda lo ha poi portato anche a una dimensione simil-divina che lo stesso Confucio non aveva mai dichiarato di avere.

Lao-Tze era contemporaneo di Confucio ed è considerato il fondatore del taoismo, l’unica corrente filosofica alternativa al confucianesimo. Il taoismo ha avuto una influenza fondamentale sulla società cinese e sul pensiero di quel popolo. Lao-tze ha scritto un libro famoso, il Tao Teh Ching, Libro della Via e della Virtù, dove si riscontrano parecchie ricette di pratiche religiose e magiche radicate nell’antichità della Cina.
Il taoismo si basa su discipline alimentari e tecniche di respirazione antichissime, già praticate dagli sciamani allo scopo di ritardare l’invecchiamento della persona. La parte religioso-comportamentale vede il taoismo contrario alla rigida morale del confucianesimo e predica una vita autonoma, naturale e libera, condizionata solo dal non nuocere agli altri.
Tutte le miserie del mondo indeboliscono lo ‘spirito vitale’ che è il motore dell’uomo. Il tao è sinonimo del comportamento della natura, praticamente impassibile davanti a tutto, e proprio questo dovrebbe essere, secondo il taoismo, il modo che l’uomo dovrebbe adottare per vivere.
Il taoismo è quindi più un modo di vivere, una filosofia sociale che non una religione, malgrado pratiche magiche e formule per la ricerca dell’Essere supremo lo abbiano portato ad esserlo.
Presso la società cinese ha significato una ideologia di permissività nelle normali azioni umane contro la rigida schematizzazione della morale confuciana.

Contemporaneamente a Confucio nasce in India Siddharta Gaitama, detto poi il Buddha. Sposato e padre, verso i trent’anni abbandona tutto per cercare la via della salvezza dalla vecchiaia, dalla malattia e dalla morte. La sua ricerca si concluse dopo oltre un decennio di meditazioni con l’Illuminazione (Buddha vuol dire l’Illuminato) e da quel momento egli iniziò a percorrere in lungo e in largo la pianura orientale del Gange per predicare la sua Verità. Dopo la sua morte, avvenuta sembra per indigestione di carne grassa di maiale a circa 80 anni, i suoi seguaci iniziarono a creare una specie di culto sulle sue reliquie e sul suo insegnamento: nacque così la religione buddista, che io però nel mio piccolo considero più un filosofia di vita che non una vera religione.
Il nucleo centrale dell’insegnamento buddista è la liberazione dal dolore che può essere raggiunta solo con la rinuncia del desiderio delle cose materiali e con la coltivazione dello spirito. Buddha, dopo averlo esperimentato insieme ad altri eremiti, rinuncia anche alla macerazione dell’isolamento e predica la ‘via media’ per l’illuminazione, caratterizzata sia dal rifiuto dei piaceri e dei godimenti mondani che delle privazioni e delle penitenze. Praticamente dobbiamo considerare anche il Buddismo, così come il taoismo, come una grande filosofia di vita, anche perché Buddha non ha mai preteso di fondare una religione né di rappresentare Dio, ma ha semplicemente predicato agli uomini la via ‘terrena’ per migliorarsi e non soffrire.

Brahama è il dio induista che viene dopo l’antica religione dei Veda. Egli rappresenta il Principio creatore che, attraverso Visnu e Shiva, che con lui formano la Trimurti, è anche conservatore e distruttore dell’universo: Brahama è il Tutto, colui che dal brodo primordiale del caos ha tratto il mondo. Brahama è il dio unico dei vedanta, il dio assoluto che però la fantasia popolare distingue in diversi generi di divinità, vicine all’uomo in certe occasioni e lontane in altre.

Maometto è stato il profeta che ha creato la religione mussulmana.
Nato circa 600 anni dopo Cristo ha avuto una vita completamente differente da quella del Nazareno: Gesù ha fallito sulla terra, Maometto ha avuto successi e onori.
Maometto ha avuto coscienza della propria vocazione profetica molto tardi, verso i quarant’anni. Il Corano parla di visioni che Maometto ebbe. Iniziò predicando contro gli eretici arabi che pensavano che solo la vita che si stava vivendo avesse significato; continuò a parlare di Mosè e di Gesù, di Abramo e di Lot. Nelle sue prediche egli minacciava il popolo dicendo che un profeta all’inizio è osteggiato ma che chi lo avrebbe fatto nei suoi confronti Dio, Allah, poi lo avrebbe castigato.
La vita di Maometto si riassume nel Corano, un libro religioso e sociale di grande spessore, anche poeticamente molto bello in certe parti. Maometto, nel libro, dichiara di essere solo il Profeta di Dio.
La religione musulmana non è facile da spiegare, specialmente in poche righe, e poi questo non è il luogo adatto. E non sarebbe nemmeno giusto farlo, in maniera approssimativa, perché è una grande religione, che si rifà agli stessi nostri ideali (esiste un solo Dio, Allah; tutti gli altri, Maometto, e anche Gesù, sono profeti; alla nostra morte saremo giudicati per le nostre azioni).
Maometto si propone al popolo arabo così come facevano gli antichi profeti ebrei, cioè in base a un particolare rapporto con Dio, e come quei profeti intendeva solo annunciare la Parola di Dio.
Praticamente l’Islamismo e l’Ebraismo sembrano essere religioni ‘identiche’.
Allah è l’unico Dio degli arabi, e Jahvè è l’unico Dio degli ebrei, la parola di Allah è il Corano, quella di Javeh è la Bibbia, Allah è un Dio inaccessibile, di cui nemmeno si può pronunciare il nome, e così Javeh, Maometto è un profeta, allo stesso modo che lo furono Isaia e Geremia e Amos e Baruc e Osea, Abramo è uno dei padri degli ebrei e lo è anche degli arabi, e Gesù, che per noi è l’incarnazione del volere di Dio, se non addirittura l’incarnazione del Suo spirito, per entrambe le religioni un profeta.
Anche il libro di Dio, il Corano, è Parola Scritta, anche qui del tutto simile alla Bibbia, e così come la Bibbia con gli ebrei, il Corano ha impregnato la vita e la storia, le arti e la mistica dei popoli arabi.
Ma la differenza fra il grande profeta di Allah e Gesù di Nazaret è proprio qui, in questa similitudine di Maometto con Geremia, Isaia e gli altri profeti mentre Gesù non è mai stato, malgrado la visione ebraica, solo un profeta.
Confucio e Lao-Tze non sono nemmeno stati dei profeti, perché essi erano, dal punto di vista politico-sociale, semplicemente dei grandi riformatori della vita pubblica del loro paese.
Il Buddha ha certo significato qualcosa d’importante ma non tanto dal punto di vista della spiritualità quanto per un modo di vivere questa vita terrena, limitandone i lati negativi quali dolore e sofferenza. Dobbiamo considerare quindi il buddismo come un grande insegnamento ‘esistenziale’, una filosofia di vita, come ho già detto.
Come si vede niente è paragonabile all’insegnamento di Gesù di Nazaret. Niente può essergli nemmeno avvicinato. Gesù ha avuto ben altro significato per l’uomo, basta leggere i Vangeli, leggere della Sua vita e si capisce abbondantemente il perché.

(continua)

cireno
08-01-16, 12:12
Tempo fa dall’Inghilterra e dagli Usa è arrivata la notizia di due libri che vorrebbero introdurre una novità, che poi non è nemmeno tale, sulla figura di Gesù.
Per un autore inglese egli sarebbe stato addirittura un semplice esorcista che ha avuto come solo risultato delle sue azioni quello di essere ucciso sulla croce dai romani. Sarebbe stato Paolo, secondo questa ipotesi, a far nascere la nuova religione prendendo come simbolo il crocefisso e facendo passare Gesù per il Figlio di Dio. Fosse stato per Giacomo, fratello di Gesù e fervente israelita, il cristianesimo non sarebbe mai nato. Al massimo si sarebbe creata una corrente ebionita in seno alla religione di Mosè.
E’ chiaro che qualsiasi ipotesi può essere avanzata da chiunque, ricordo per esempio di un libro uscito negli anni 80 che pretendeva che Gesù fosse un alieno venuto da un’altro sistema solare.
Per restare almeno minimamente con i piedi per terra a questo punto diventa importante per valutare questa nuova ipotesi stabilire quando Paolo si convertì alla nuova religione.

Secondo il libro di Conzelmann sulle Origini del Cristianesimo, Gesù visse dall’anno 1 all’anno 30. Paolo fu folgorato dalla parole del Cristo sulla via per Damasco nell’anno 32. Secondo Luca (24,Atti1) Gesù appare ai suoi discepoli nei quaranta giorni successivi alla sua morte e ordina loro di non disperdersi, di rimanere in Gerusalemme. Qui la chiesa viene costituita, qui riceve lo Spirito (Atti 2) e da qui inizia ad espandersi (Luca Atti 1 :8).
Marco e Matteo nel loro Vangelo non parlano delle apparizioni di Gesù a Gerusalemme ma riferiscono di quelle avvenute in Galilea. Questo indica come probabilità abbastanza plausibile che esistesse in quella regione una seconda comunità di seguaci di Gesù. La chiesa non era quindi limitata alla città di Gerusalemme. E in quei tempi Paolo (sotto il nome ebraico di Saul) ancora perseguitava i cristiani. Secondo Atti 1 le basi organizzative della nuova chiesa vengono poste ancora prima di ricevere lo Spirito. La direzione è nelle mani dei dodici apostoli, che erano diventati undici per il tradimento di Giuda. Il portavoce degli undici era Pietro.
La discesa dello Spirito sulla nuova chiesa avviene dieci giorni dopo l’ascensione di Gesù, nel giorno della Pentecoste ebraica. Il primo effetto dello Spirito è la forza meravigliosa della predica con cui Pietro invita la gente alla conversione : tremila anime vengono aggiunte solo quel giorno, e subito diventano cinquemila (Atti 2.4 :41).
Lo Spirito compie miracoli e dà la forza di confessare la fede anche di fronte alle minacce. Stefano è il primo martire cristiano di quei giorni.
La chiesa cristiana si ingrandisce, si creano le prime comunità nelle quali si instaura la assoluta comunione dei beni. La suprema magistratura ebraica comincia a muoversi contro questa nuova fede. Non è ancora trascorso un anno dalla morte di Gesù, e di Paolo fra i cristiani non si sente ancora parlare. Il Sinedrio interroga Pietro e Giovanni, e poi anche gli altri nove apostoli. Si proibisce agli apostoli di svolgere attività pubblica. Essi non ubbidiscono eppure non vengono molestati.

A questo tempo, sono cioè trascorsi due anni dalla morte di Gesù, Saul (Paolo) si reca a Damasco ancora a caccia di cristiani. Da questo si dovrebbe dedurre che la chiesa di Gesù era arrivata anche a Damasco. Sulla sua intenzione di perseguitare i cristiani non ci sono dubbi, risulta dalle lettere (Galati, Corinzi II). E’ su questa via per Damasco che Saul viene folgorato dalla luce di Gesù e dalla sua voce. Da quel momento Saul, con il nome di Paolo, diventa un cristiano.
Com’è il mondo cristiano all’ingresso di Paolo nella comunità?
I primi cristiani sono senza alcuna eccezione solo ebrei. La loro fede non li allontana dalla religione ebraica, anzi la venuta di Gesù è la conferma della promessa di Dio a Israele. Sono cristiani e autenticamente israeliti. La fede si basa su questi principi: Gesù è il messia, la chiesa è il popolo del messia, il popolo è Israele.
La chiesa che era stata fondata da due anni è spiegata dalle apparizioni di Gesù risorto dai morti.
Conzelmann nel suo libro afferma di non volersi occupare della natura delle apparizioni di Gesù.
Egli infatti scrive:-

Non c’è motivo di dubitare che le persone che appaiono nei testi biblici come testimoni oculari delle apparizioni abbiano veramente avuto questa esperienza. Il suo contenuto, cioè il passaggio di Gesù dallo stato di morte a una condizione soprannaturale e alla funzione celeste di Signore universale, ovviamente non si situa all’interno della realtà verificabile oggettivamente. La natura della fede consiste proprio in questo: che non è fondata su avvenimenti accessibili all’osservazione e al giudizio del pubblico, ed è consapevole che ciò non costituisce un difetto, ma al contrario dà un fondamento alla sua certezza.
Di fronte alle apparizioni, dobbiamo notare che non esiste nessuna testimonianza di osservatori neutrali, cioè di gente che non sia stata convinta. Un osservatore neutrale non ci può essere per il modo stesso in cui i testimoni comprendono se stessi. Aggiungiamo che anche non-credenti e persino avversari (come Paolo) furono convinti.
E’ stato fatto il tentativo, con l’aiuto della psicologia, di spiegare come la condizione spirituale dei seguaci di Gesù subito dopo la sua morte si sarebbe condensata in tali esperienze. In questo modo, per esempio: la loro disperazione per il fallimento di Gesù sarebbe stata superata grazie alla perdurante influenza della sua personalità e trasformata in una certezza nuoa della sua missione; questa rinnovata certezza avrebbe prodotto le visioni in cui lo contemplavano come il Vivente e il glorificato. Ma tutti questi tentativi di spiegazione psicologica rimangono congetturali: realmente non sappiamo niente della condizione spirituale dei seguaci di Gesù dopo la sua morte. Solo abbastanza tardi, cioè ad uno stadio assai avanzato dello sviluppo dei racconti pasquali, si trova un accenno alla loro delusione Luca, 24 : 21). Però non si tratta di una descrizione realistica ricavata dai ricordi personali di un testimone oculare, perché serve solo a mettere in rilievo la certezza della fede pasquale. Non c’è quindi nessuna ipotesi psicologica che sia in grado di dare una risposta alla questione fondamentale: perché le apparizioni del Risorto hanno prodotto proprio questi effetti? Perché i discepoli sono scesi in piazza e non si ritirarono in silenziosa meditazione?
Ritornando ai testi più antichi, dobbiamo domandarci: che cosa riferirono, i discepoli sbalorditi, della loro esperienza?
Che conseguenze ne trassero?
Anzitutto è caratteristico che i più antichi documenti non dicano una sola parola sulle esperienze interiori degli interessati. Riferiscono soltanto il contenuto: Gesù crocefisso si mostrò a loro nella forma di esistenza chiamata “risurrezione”, ed essi sentirono questo come la loro salvezza. I Corinzi 15 : 3,5 ci offrono il terreno più sicuro. In questo passo paolo cita un atto di fede che risale ai primissimi anni della chiesa: “Gesù è morto per i nostri peccati, come era scritto nella Bibbia; è stato sepolto e risuscitato il terzo giorno, come era scritto nella Bibbia ed è apparso a Pietro e poi ai Dodici”.

La chiesa cristiana primitiva nasce quindi sulle apparizioni di Gesù. Di questo siamo sicuri, molte sono le testimonianze che lo confermano. Paolo elenca tutte le apparizioni di Gesù e include nell’elenco anche quella da lui avuta sulla strada per Damasco. La chiesa sa di essere nata direttamente dal Signore glorificato, e questo è stato da Lui fatto con un atto diretto di comunicazione. Contemporaneamente alla fondazione vi è il mandato missionario, che spiega la predicazione fra genti pagane del verbo del Signore anche a costo della vita. Poiché Dio è il creatore e il Signore del mondo, l’atto di aver risuscitato Gesù riguarda tutti i popoli del mondo e quindi la chiesa primitiva non può ritirarsi, come per esempio aveva fatto la setta di Qumran, per godere della propria edificazione interiore, ma era obbligata, proprio dall’atto della Risurrezione, a diffondere la parola del Messia nel mondo intero.
Pensare, come hanno fatto questi autori, a Paolo come il vero fondatore del cristianesimo è di conseguenza azzardare un’ipotesi, che però ha avuto molti sostenitori, fra i quali spicca la figura di MARCIONE.
A Qumran sono stati trovati i famosi ‘rotoli del Mar Morto’ che hanno evidenziato di essere stati scritti ‘prima’ della comparsa di Gesù e parlano di concezioni religiose del tutto diverse da quelle poi predicate dal Messia. Nonostante i vari libri sul mistero dei rotoli di Qumran che conterrebbero chissà quali rivelazioni in grado di distruggere il cristianesimo questi non parlano di Gesù, non parlano degli Apostoli essendo di almeno cento anni anteriori alla nascita del cristianesimo. Quindi l’argomento è chiuso.
Dei rotoli di Qumram, dell’importanza di Paolo nello sviluppo della nuova religione, avremo modo di parlare più avanti.

(continua)

cireno
08-01-16, 12:15
L’eresia di Marcione

L’ultimo capitolo di questo libro (ancora su Gesù) si apre con questa frase “Come sappiamo tutti, altre religioni, e non solo quella ebraica dalla quale ufficialmente si dice sia nato il Cristianesimo…” e queste parole meritano un momento di riflessione.
Circa cento anni dopo la morte di Gesù Cristo un vescovo greco di nome Marcione, propose una lettura diversa su Gesù e qui è il caso di accennare alla sua tesi perché il suo Vangelo, composto da una ventina di capitoli ma arrivato a noi solo in parte (cinque capitoli), non vedeva Gesù come figlio dell’Antico Testamento ma, al contrario, venuto sulla Terra proprio per portare un messaggio diverso da quello che si legge nella Bibbia ebraica.
Vedo di spiegarmi meglio.

Innanzi tutto Marcione non ammette alcuna continuità tra l’AT e il Nuovo Testamento, anzi lui, Marcione, nega che l’AT sia una prefigurazione sistematica del Nuovo Testamento. Seguendo la linea paolina dei due regimi dell’esistenza- la Legge e la Fede, la maledizione e la benedizione- Marcione afferma che in questa opposizione è racchiusa tutta la storia del mondo e dell’uomo, dalle origini fino al suo termine.

Marcione pone l’AT sotto il segno della maledizione (della Legge) e il nuovo sotto il segno della Fede (della benedizione ). Come scrive von Harnack “La maledictio che non è nettamente cattiva ma che proviene da una concezione particolare della giustizia divina e umana, è una costante dell’Antico Testamento e del suo dio di vendetta. In questo senso l’Antico Testamento è, secondo Marcione, un documento storico ineccepibile perché ci presenta un Demiurgo del mondo che si comporta come il più capriccioso dei tiranni e che proclama la legge dell’odio tra i suoi sudditi: occhio per occhio, dente per dente. Questo Demiurgo ha tutte le caratteristiche di un essere inferiore, ed egli le ha trasmesse al mondo e all’uomo, sua creatura.
Il mondo intero è stato costruito dal Demiurgo con la Materia. Sempre secondo Harnack che interpreta il pensiero marcionita, la Materia non è cattiva ma in realtà essa è soltanto inferiore, cattiva quindi è solo la sua “qualità”. L’atto più abominevole della tragedia cosmica non è però la creazione del mondo quanto piuttosto la creazione dell’uomo, plasmato dal demiurgo a sua propria immagine e fatto di una sostanza caduca, questa “carne infarcita di escrmenti” che lo rende schiavo della procreazione. Poiché nella cosmogonia marcionita la materia è sorta ex nihilo il dramma dell’umanità si compie attraverso l’intervento di un nuovo personaggio: il Maligno, Lucifero, l’angelo caduto del Demiurgo, precipitato nella materia. Nella più disperata delle antropologie Marcione sceglie quindi di fare dell’uomo la povera creatura di un demiurgo debole, corrotto dal Maligno, e respinto, in quanto ignorante, dal suo stesso creatore che a sua volta è un essere inferiore. Ma improvvisamente a quest’uomo miserevole, rifiutato nella sua totalità salvo che un piccolo nucleo di nomadi sottoposti alla sua legge, alle sue vendette, alle sue ire, si presenta sfavillante la buona novella rivolta a TUTTI gli uomini di buona volontà: è il Dio buono , un dono perfettamente gratuito e immeritato, annunciato e portato da Cristo. Ciò che caratterizza il Dio buono è la sua totale estraneità al mondo. Egli è del tutto estraneo al genere umano che a sua volta gli è estraneo.L’effetto di questa estraneità è il fatto che il Dio buono non si manifesta in questo mondo: egli è naturaliter ignotus.
Mentre il Demiurgo, il dio inferiore, risiede nel “primo cielo”, il Dio buono ha sede nel terzo cielo. Egli merita il titolo di Padre non perché è legato al genere umano da un rapporto di paternità, seppure immacolata, ma perché egli è Padre (Creatore) di un mondo immateriale e inaccessibile. Questo Dio che regna alla sommità dell’universo è separato da una distanza infinita dal cielo inferiore in cui ha sede il Demiurgo, e non potrebbe essere diverso, perché solo nel cielo inferiore, dimora del Demiurgo, sarebbe potuto nascere un angelo ribelle come Lucifero, perché nel cielo del Dio Padre questo sarebbe stato impossibile. Mentre la caratteristica principale del dio inferiore è la giustizia, il Dio superiore è soltanto buono e lo è gratuitamente: egli non giudica. Ed è stato per compassione verso il genere umano che Lui ha voluto manifestarsi inviando Cristo sulla terra e ponendo così fine alla schiavitù della Legge. Ed ecco allora che la figura di Gesù viene ad assumere un significato diverso, perché Lui, Gesù, altro non è, sempre secondo il pensiero di Marcione, che l’Incarnazione dello Spirito del Dio buono. E perfino la morte sulla croce del Cristo rientrava nei piani del Dio buono che, in tal maniera e attraverso di lui, voleva provare i dolori della carne.

Il demiurgo, per Platone, «artefice e padre dell'universo», è una forza ordinatrice, imitatrice, plasmatrice, che trasforma e forma, ma non crea. Secondo il filosofo il Demiurgo in qualche misura vivifica la materia, dandole forma e ordine, e la rende anima del cosmo.
Cinquecento anni prima di Marcione il grande filosofo ateniese, Platone, propose la figura del demiurgo come colui che ha creato il cosmo attraverso la materia, o meglio come colui che ha “ordinato” la materia. Come sappiamo questa idea si esprime nel famoso dialogo del Timeo, incredibile importante opera filosofica, che viene così descritta da Wikipedia in rete.

Termina qui la parte propriamente dialogica dell'opera, per dare inizio ad una lunga e complessa trattazione ad opera del solo Timeo. Nella prima parte Platone si sofferma sulle verità eterne della realtà increata, e su come questa abbia dato origine al cosmo del divenire. Data l'esigenza di sciogliere il dualismo fra mondo delle Idee e mondo delle cose, viene introdotto un terzo termine mediatore, il Demiurgo, ovvero il "divino artefice", una figura che successivamente è stata paragonata a quella del Dio cristiano. Compito del Demiurgo è quello di "plasmare", ordinare la materia preesistente, puro caos e necessità (αναγκη), ad immagine e somiglianza delle Idee. Per fare questo l'Artefice utilizza il numero, mediatore tra la realtà mutevole e quella eterna, ed in questo modo dà vita al cosmo attraverso un'anima del mondo. Quindi crea il tempo, immagine mobile dell'eternità, e gli astri, che sono dèi visibili. A queste divinità create attribuisce il compito di forgiare quello che resta del mondo, ovvero i corpi delle creature mortali; in questo modo il cosmo è compiuto in maniera completa e bella, la migliore possibile per un mondo in divenire. Viene fornita quindi una breve descrizione dei sensi umani e della loro finalità, a cui segue la seconda parte del dialogo.

Nel Vangelo di Giuda, un testo gnostico di cui si erano perse le tracce salvo poi ritrovarne una parte, così come recitò un giornale dell’epoca (fine anni ’70)
Scritto su papiro e legato da un laccio di pelle il codice è stato redatto in copto - la lingua in uso allora in Egitto - intorno al 300 dopo Cristo; ritrovato negli anni Settanta nel deserto presso El Minya, in Egitto finì nelle mani di mercanti di antichità, lasciò l'Egitto per giungere prima in Europa e poi negli Stati Uniti dove rimase in una cassetta di sicurezza a Long Island, New York, per 16 anni prima di venire acquistato dall'antiquaria di Zurigo Frieda Nussberger-Tchacos nel 2000.
si legge come la figura di Giuda non sia quella riportata dai Vangeli canonici, che Marcione ha comunque squalificato accusandoli di non essere, salvo quello di Luca, veritieri, ma diventa l’unico discepolo ad aver capito la figura e la missione di Gesù, come si evince appunto da questo Vangelo.
Nel documento - in cui non si fa alcun cenno alla crocifissione nè alla resurrezione - fin dalla prima scena Gesù ride dei suoi discepoli che pregano il loro Dio, il "dio minore" del Vecchio Testamento che ha creato il mondo. Li esorta a guardarlo e a comprendere cosa egli sia davvero, ma questi non lo fanno e non capiscono. Il passaggio fondamentale arriva quando Gesù dice a Giuda: "... tu supererai tutti loro. Perché tu farai sì che venga sacrificato l'uomo entro cui io sono". Aiutando Gesù a liberarsi del suo corpo terreno, Giuda lo aiuterà a liberare la sua entità spirituale, la sua essenza divina.
Forse Marcione aveva letto questo Vangelo andato poi disperso, o altri ugualmente gnostici in cui comunque la figura del dio dell’AT veniva sempre ridotta a quella che poi Marcione ha descritto: un dio inferiore, preda di sentimenti umani.
Per concludere questo capitolo devo citare l’opera di von Harnack su Marcione ma anche, se non specialmente, quella di Joseph Hoffmann dalle quali si trae il giudizio su Marcione che può essere espresso così:-
-Marcione è stato un teologo biblico che, rifiutando di applicare alla Bibbia un sistema di interpretazione allegorica, coglie in essa le numerose contraddizioni per giungere alla conclusione che i messaggi rispettivi del Nuovo Testamento e dell’Antico Testamento sono tra loro incompatibili e che, di conseguenza, essi non possono provenire da un solo e unico dio. Il sistema di Marcione è fondato sul dualismo tra il Dio buono e il Demiurgo inferiore, che è giusto ma non è buono.

(continua)

cireno
12-01-16, 10:00
Conclusione


“Crediamo di sapere e non sappiamo niente. Siamo così occupati a fare esperimenti con la materia da essere convinti che solo questa conti. Non sappiamo chi o cosa siamo, cosa facciamo qui, quali forze ci guidano, dove andremo. Però vogliamo spiegare tutto con i nostri piccoli esprimenti sulla materia. Quando ci troviamo di fronte a fenomeni per i quali non si ha pronta una spiegazione materialistica si suppone che trovarla è solo questione di tempo. A volte penso sinceramente che siamo le persone più stupide che siano mai esistite”.

Questa frase l’ha pronunciata un grande scienziato inglese, ed è chiaramente rivolta ai suoi colleghi scienziati ‘scettici’ o increduli.
Lo scettico fa quello che può, del resto. Abbiamo già visto che Dio dovrebbe tenere conto del fatto che questa ragione è stato Lui a crearla e quindi non ci potrà condannare per averla usata. Usiamo quello che abbiamo. E quello che abbiamo ci può anche fare’ scettici’. Analizzando con attenzione le risposte degli scettici, o degli atei, ma anche dei credenti, vediamo innanzi tutto che i giudizi degli uomini dipendono più dal loro temperamento che non dalla loro intelligenza. Come ha detto Jones, discepolo di Freud, l’intelligenza non è che l’umile ancella del temperamento. Essa usa le proprie risorse, piccole o grandi che siano, nella ricerca di giustificazioni ‘razionali’ per inclinazioni e impulsi che affiorano dal profondo e che, spesso, di razionale hanno ben poco. Lo scettico quindi potrebbe essere uno che ‘ha vergogna’ di mostrare di credere per una sorta di infantilismo mai superato completamente che, credendo in un Dio così lontano e non-vedibile, lo porterebbe, nella sua ancora puerile visione della maturità intellettuale, a sembrare un bambino che crede alla strega e al lupo del bosco. L’inconscio rimuove allora ciò che disturba la mente e la obbliga a prendere la posizione di scetticismo che, alla luce delle motivazioni descritte, gli sembra più ‘adulta’, quindi meno esposta al ridicolo. Normalmente lo scetticismo è solo insicurezza nelle proprie idee. Non a caso sono le persone più coltivate culturalmente a nuotare nel mare dello scetticismo….
Purtroppo questo modo inconscio di essere davanti all’esistenza di realtà ultraterrene sta portando gli uomini alla rovina. Mai come ora la gente è corrucciata e malevola. Nessuno ha più un sorriso. Oggi si glorifica solo la violenza, si eleva il mito del forte fisicamente e si elimina quello che ha la vera forza della mente e del cuore. Perché, da dove viene tutto questo ‘male’?
La storia ha sempre avuto crudeltà a non finire: l’uomo è un essere per sua natura dualisticamente composto, è buono e malvagio alla stesso tempo. In città come New York e Washington la polizia si è dichiarata impotente davanti alla criminalità giovanile, età media 19 anni. Oggi gli abitanti vivono nelle città americane come in territorio nemico. Sangue, stupri, aborti, violenze sui minori, sugli emarginati, sugli handicappati e chi più ne ha più ne metta: un momento storico per la bestialità nel mondo. Ma tutto deve prima avvenire, non vi è nulla di nascosto che prima non debba essere svelato, dice il Vangelo di Matteo. E’ forse giunto quel tempo annunciato?
Sembra veramente l’epoca in cui la forza del Separatore si è decuplicata, mentre la mente dell’uomo è sempre più confusa. Intanto si diradano le foreste, avanzano i deserti, diminuiscono le specie animali, l’aria e l’acqua sono avvelenate, e gli alimenti anche. Perfino il sole ci è diventato nemico. L’uomo corteggia la morte, sua e della terra, ormai, bisogna dirlo….
Ho già detto che un’antichissima profezia Maya vedeva nel 23 dicembre 2013 la fine di ogni tempo.
La profezia di Gesù (mille e non più mille), calcolando l’anno vero della sua nascita, porta quella data una decina di anni dopo..
Daniele, Isaia, hanno dato uguali indicazioni.
E così Giovanni di Patmos.
E Nostradamus. Don Bosco. Malachia e la sua teoria di papi. Il Ragno Nero. E i calcoli sulla base della Grande Piramide, che non dovrebbero far sorridere perché molti scienziati li hanno presi sul serio.
Ma c’è anche uno scienziato, il premio Nobel per la fisica Wolfgang Pauli che ha evidenziato questa teoria.
Esiste una legge di casualità che regge l’intero edificio della scienza. Ma ne esiste un’altra, meno appariscente, che prescinde dal rapporto causa-effetto e tende a raggruppare insieme, nel tempo e nello spazio, accadimenti tra loro simili. La sua validità è stata verificata nei fatti. Certi eventi del mondo subatomico si possono spiegare solo su questa base. Sembra possibile portare questa teoria sul comportamento attuale dell’uomo e sullo stato della natura. Un problema che rasenta l’escatologia che la scienza accademica ha voluto affrontare.
C’è un campo scientifico che è rimasto colpito dal parallelismo che si riscontra tra l’addensarsi di minacce interplanetarie e il ritmo sempre più serrato con il quale si susseguono le scoperte scientifiche. Secondo lo scienziato che ha tracciato sugli assi cartesiani la curva del progresso tecnico, essa corrisponde al ramo di una iperbole equilatera racchiusa nel quadrante superiore sinistro, tra l’asse delle ascisse-ove sono segnati i tempi in secoli-e l’asse verticale delle ordinate, ove sono riportati i valori via crescenti del progresso tecnico. Man mano che quest’ultimo va crescendo, il ramo della curva si scosta in maniera sempre più accentuata dall’asse orizzontale, per poi impennarsi bruscamente-com’è proprio dell’iperbole-a partire dai secoli XVIII e XIX; da allora in poi la curva del progresso tecnico si avvicina sempre più-indefinitamente-all’asintoto invalicabile, che cade proprio in corrispondenza dell’anno duemila circa, qualche decennio dopo..
Significa qualcosa? Lo vogliamo legare a quanto detto sopra?
Il Club di Roma ha fatto studi sui ‘limiti di sviluppo’. Sembra che l’aumento vertiginoso del progresso tecnico abbia un suo punto critico, oltre il quale l’Ignoto minaccia l’umanità in vari modi. E così la scienza comincia suo malgrado a sfiorare l’escatologia, e quindi entra anche in una dimensione teologica.
La mia personale riflessione sull’argomento mi ha portato a una considerazione basata sulla geometria analitica, la quale insegna che al ramo superiore dell’iperbole equilatera ne corrisponde un’altro esattamente speculare nel quadrante inferiore, ove i valori, ordinate e ascisse, sono negativi. E’ difficile resistere alla suggestione di sottolineare che alla svettante curva del progresso tecnico corrisponde in maniera speculare la caduta dei valori sui quali si è retta per secoli e millenni la società umana. E bisogna osservare che ENTRAMBE corrono, come conclusione, ad un asintoto comune che ‘non può essere’ valicato dall’iperbole: il periodo che va dal duemila a l duemila cinquanta circa.
Non voglio usare questa matematica applicata all’escatologia come mezzo per annunciare a mia volta profezie funeste, ma certo che questo risultato, messo insieme alle diverse profezie che parlano di questa scadenza in termini pessimistici, fa quantomeno pensare.

Del resto René Guenon, e con lui molti altri pensatori, è categorico quando afferma che il progresso, inteso come aumento del benessere materiale, e il decadimento spirituale, sono direttamente correlati, e purtroppo sembra aver del tutto ragione.
Non sembra infatti essere questo quel momento ‘dove non ci sarà più fede’ annunciato dai Vangeli come condizione per il ritorno di Gesù sulla terra a segnare la fine dei tempi?
Ma io non voglio concludere con una summa delle varie profezie funeste: sarà quello che dovrà essere, se così è scritto nel grande libro.
Personalmente però non credo che si sia vicini alla fine dei tempi. Certo una grande trasformazione nell’umanità dovrà forzatamente verificarsi perché così è impossibile che possa avere un futuro, a meno di non pensare che fra 50-100 anni, qualche miliardo di uomini sia in grado di abbandonare una Terra agonizzante (per nostra colpa) per andare a distruggere un’altro pianeta in qualche altra parte dell’universo.
Però non è questo l’argomento di cui voglio giungere a una conclusione. Sul futuro dell’uomo si potrebbe scrivere molto altro. La mia conclusione vuole tirare una riga sotto tutto quanto detto sull’esistenza di Dio e fare una somma perché voglio avere un risultato. Era questo il mio intendimento iniziale: capire se devo, posso, mi debbo sforzare di essere, un credente, oppure un ateo a tutti gli effetti.. Capire se la mia piccola ragione ‘può accettare’ la fede, con qualche motivazione razionale in più che non l’assunzione dell’ateismo o dello scetticismo.
Capisco benissimo che è quasi sacrilego arrivare a una conclusione come questa, sul credere o meno all’esistenza di Dio. Certo che meglio sarebbe stato avere fede, credere, senza farsi tanti problemi di ragione. Ma io questa fortuna non l’ho mai avuta, sono sempre stato costretto a ‘capire’ quello che stavo facendo, in ogni momento della mia esistenza. Cosa avrei potuto fare d’altro che non cercare di capire anche questo problema così grande, come il credere o no in Dio?
Per questo la conclusione logica è quella che ho adottato: tirare una riga e fare la somma degli argomenti in favore in favore e quella delle ragioni contrarie, quindi confrontare le due cifre e ottenere un risultato dalla differenza.
Come un salumiere con il conto della spesa, esattamente

(continua)

cireno
13-01-16, 11:05
Per me sarà un conto valido, al quale mi atterrò sperando di poter un giorno incontrare anche la fede ‘autentica’ quella che non chiede ragionamenti e operazioni di dare-avere perché, come diceva sempre una mia nonna “avere fede in un Dio che ci aspetta è un grande sostegno nella vita”
Posso però già dire che io queste due somme le ho già fatte, e la differenza che si è determinata è un lievissimo favore all’esistenza di Dio. E a questo punto un minimo di spiegazione devo darla.
Fra tutte quante le cose dette, quelle che hanno fatto pendere di più il piatto della bilancia in favore del mio credere ‘ragionato’, il fatto importante che mi sembra vada sottolineato, come possibile testimonianza dell’esistenza di Dio, è la ‘straordinaria’ serie di miracoli avvenuti dalla morte di Gesù in avanti. Li ho già descritti, questi miracoli, ma vorrei rimarcarli.
Se dopo la morte del Maestro, per esempio, i suoi discepoli, indifesi e impauriti, sono riusciti ad andare alla conquista del mondo pagano significa che un miracolo che possiamo chiamare di Resurrezione è sicuramente avvenuto. Un altro miracolo del resto è anche stato vedere questi pochi uomini restare ancora uniti nella parola del Maestro morto crocifisso, malgrado il pericolo che correvano, mentre avrebbero potuto, ritenendo conclusa l’esperienza con Gesù, tornare alle loro case, dalle loro famiglie e considerare chiuusa quell’avventura.
E ancora un miracolo è stato quando questi pochi discepoli dispersi, uomini semplici se si eccettuano Luca e Giovanni, hanno deciso di ‘stravolgere’ la loro vita, anzi di metterla addirittura a repentaglio, per portare la parola del Maestro anche fuori d’Israele, fra popoli che adoravano divinità terrene, dei semi-umani, collerici, voluttuosi, bugiardi, adulteri, vendicativi, invadenti, per parlar loro di un dio lontano, invisibile, assolutamente trascendente, un dio d’amore e di perdono, ed essere ‘ascoltati’.
Per dare un’idea della grandezza di questi miracoli accaduti dopo la morte di Gesù mi sembra giusto riportare un’altra pagina di Schurè, uno scritto che sicuramente meglio delle mie parole riesce a dare l’esatta dimensione della tragedia e dello sbandamento che ne era conseguito fra i discepoli del Maestro.

“E’ veramente compiuto il dramma? E’ finita la lotta formidabile e silenziosa fra il divino Amore e la Morte, che si è accanita su di lui assieme alle potenze dominatrici della terra? Chi è il vincitore? sarebbero forse quei sacerdoti, che scendono dal Calvario, contenti di se stessi, sicuri del fatto loro, poiché hanno visto il profeta spirare; o non è piuttosto il pallido crocifisso, già diventato livido?
Per quelle donne fedeli, che i legionari romani hanno lasciato avvicinare, e che singhiozzano ai piedi della croce, pei discepoli costernati, che si sono rifugiati in una grotta della valle di Giosafat, tutto è veramente finito? Il messia, che doveva assidersi sul trono di Gerusalemme, è perito miseramente nel supplizio infame della croce. Il maestro è sparito, e con lui ogni speranza. Un cupo silenzio, una profonda disperazione pesano sulla piccola comunità: Pietro e Giovanni sono essi pure accasciati: tutto è ormai buio intorno, non un raggio di luce splende ormai nella loro anima. Frattanto, come nei misteri di Eleusi subentrava una luce abbagliante a fugare le tenebre profonde, così negli Evangelisti a quella profonda disperazione succede all’improvviso una subita gioia, istantanea, prodigiosa.
Essa scoppia, fa irruzione come la luce al levar del sole, e questo grido fremente di gioia si propaga per tutta la Giudea: il maestro è resuscitato!
E per prima Maria Maddalena, errante nei dintorni della tomba, nell’eccesso del suo dolore ha visto il maestro e lo ha riconosciuto dalla voce che pronunciava il nome di lei: Maria! Folle di gioia ella si è precipitata ai suoi piedi: ha visto ancora Gesù, guardarla, farle un segno, come per impedirle di toccarlo; poi l’apparizione svanisce bruscamente, lasciando intorno a Maddalena una calda atmosfera e l’ebbrezza di una reale presenza. Poco dopo le sante donne hanno incontrato Gesù che ha detto loro queste parole:-Andate e dite ai miei fratelli di andare in Galilea, che là mi vedranno. La sera stessa gli undici apostoli erano riuniti ed a porte chiuse essi videro entrare Gesù. Egli prese posto fra di loro, parlò loro dolcemente, rimproverandoli per la loro incredulità, poi disse: Andatevene per tutto il mondo e predicate il vangelo a tutte le creature umane.
Cosa strana mentre l’ascoltavano pareva loro di sognare ed avevano completamente dimenticato la sua morte; lo credevano vivente ed erano persuasi che il maestro non li avrebbe più lasciati, ma nell’istante in cui stavano per parlare, l’avevano visto sparire come luce che si spegne. L’eco della sua voce vibrava ancora nelle loro orecchie e gli apostoli stupiti cercarono il suo posto rimasto vuoto: una luce vaga vi ondeggiava, che subitamente scomparve.
Secondo Matteo e Marco, Gesù riapparve poco dopo su una montagna, davanti a cinquecento fedeli riuniti dagli apostoli, e poi ancora una volta davanti agli undici. Poi le apparizioni cessarono.
Ma qui nacque il miracolo: la fede era creata, l’impulso era dato, il cristianesimo viveva. Gli apostoli presi da furore sacro guarivano gli ammalati e predicavano il vangelo del maestro.
Tre anni dopo un giovane fariseo di nome Saul, animato da odio verso la nuova religione, perseguitava i cristiani con ardore giovanile. Egli con molti compagni si stava recando a Damasco quando sulla via fu subitamente abbagliato da una luce così sfolgorante che cadde a terra e tutto tremante gridò: Chi sei tu?- E una voce disse: Io sono Gesù, colui che perseguiti. I suoi compagni, spaventati quanto lui, lo rialzarono, essi avevano udito la voce senza nulla vedere, e il giovane fariseo, accecato dal fulgore, non ricuperò la vista che dopo tre giorni. E si accostò alla fede del Cristo e divenne Paolo, l’apostolo dei gentili, e tutti convennero che senza quella conversione il cristianesimo, confinato in Giudea, forse non avrebbe mai conquistato il mondo.”

Dopo i primi miracoli, quelli appena raccontati, un’altro ancora deve essere considerato la Chiesa di Cristo, edificata nel cuore del mondo pagano, malgrado persecuzioni e martiri. E un’altro ancora è stato mantenerla nei secoli, specialmente quelli bui, quando le parole di Gesù, amore e perdono, sembravano non avere più significato, e ancora miracoloso è stato far vivere la sua Chiesa nonostante i suoi preti. E i miracoli si sono poi ancora succeduti, per consentire oggi a questa chiesa di rappresentare l’unico ideale spirituale in un mondo disperatamente materialista ed edonista, che ha perso ogni valore che non sia palpabile, e per mantenere in questa società ‘distratta’ una finestra aperta sui poveri, gli emarginati, gli oppressi.
E dobbiamo accettare queste verità miracolose che io ho appena esposto, perché sono ormai duemila anni che dalle parole di un uomo, alla fine della sua vita deriso dalla gente e inchiodato su una croce, con una dileggiante corona di spine sulla testa, questi che io definisco miracoli ‘incontrovertibilmente’ nascono, e quindi volerli discutere, o addirittura negarli significherebbe respingere la realtà.
Oppure vogliamo che sia stato un ‘caso’ anche la figura di Gesù di Nazareth?

La straordinaria figura di quest’uomo venuto fra noi per portare un messaggio che nessuno aveva mai udito prima qualcuno può sinceramente, caparbiamente pensare che sia stato solo un caso o magari addirittura un’invenzione? Un messaggio di cose semplici, ma rivoluzionarie, detto con parole semplici perché fossero capite dalle persone semplici alle quali era rivolto: perdonare chi ci offende, amare tutti come si ama noi stessi ami, amare i poveri perché saranno i primi ad essere ascoltati da Dio, amare i deboli perché saranno i primi ad essere accolti in cielo. Vogliamo che sia stato per caso, per un colpo di incredibile fortuna che Isaia, 800 anni prima della venuta di Gesù, sia stato in grado di descriverne l’arrivo e la vita breve e intensa, la morte da sentenza ingiusta, deriso e trafitto? Oppure vogliamo pensare che la profezia di Isaia sia stata scritta DOPO la vita e la morte di Gesù?

E sarà stato sempre per caso che Davide, 300 anni prima dell’apparizione del Cristo, ha scritto ‘con esattezza’ le parole che quest’uomo ha poi gridato sulla croce al momento della sua morte (Padre, Padre perché mi hai abbandonato?), e abbia con esattezza anche descritto la sua morte ‘bucate mani e piedi, deriso e dileggiato da una muta di cani, fattosi carico dei peccati degli uomini di fronte a Dio?’
Chi mi spiega questa profezia? Quale scienza può aprirmi il nodo del dubbio?
Eserciti interi di soldati e armi non sono mai riusciti a conquistare, in tutta la storia dell’umanità, nemmeno un decimo degli uomini e dei territori che Gesù di Nazareth ha conquistato senza un arma, senza usare forza, senza costrizione alcuna. Non Alessandro Magno né Napoleone né Cesare. Lui è stato il vero, grande conquistatore di uomini di tutta la storia umana.
Due miliardi di cristiani nel mondo pregano oggi il Crocifisso. Due miliardi di uomini credono nel Dio d’amore che Gesù ha predicato. E’ anche in questo dato il miracolo dell’esattezza della profezia di Isaia (e dopo morto io gli darò in premio le moltitudini) si è compiuto.
Da duemila anni questa è la figura più grande che l’umanità abbia mai prodotto, perché il Figlio dell’Uomo non è solo il Cristo inviato da Dio ma anche il nostro grande fratello. Niente ha potuto offuscare la Sua figura né tanto meno cancellarla. Gesù è sempre là, da duemila anni inchiodato sulla croce, per la salvezza degli uomini che lui ha tanto amato nella poca vita che il Padre gli ha concesso di vivere.

E’ lui quindi il più grande di tutti i miracoli, quello che potrebbe cancellare ogni dubbio sull’esistenza di Dio, quello che dovrebbe convincere anche il più scettico, perché nessuno può dare motivazioni diverse alla vita di Gesù se non quelle descritte da Isaia, da Davide e da Gesù medesimo..
E’ stato Lu, Gesù,i ha darmi la cifra importante che ha fatto vincere, nella mia somma delle diverse possibilità, il risultato che mi suggerisce che Dio dovrebbe esistere.
Ed ora io, con questa affermazione, credo di aver quasi esaurito il compito che mi sono dato da svolgere.

(continua)

cireno
15-01-16, 17:43
Non so se sono riuscito nell’intento di spiegare anche ad altri quello che a me ho invece spiegato benissimo. O forse, per quanto mi riguarda, sono stati davvero quei passi sulla tomba di San Giovanni che mi hanno aiutato, perché la mia anima non è mai stata serena come è in questo momento che sono riuscito a far traballare il mio agnosticismo, che prima era solo istintivo, con delle argomentazioni che mi sembrano anche solide.
Un poco mi dispiace di lasciare letture, autori e argomenti che mi hanno appassionato e aiutato in questi giorni, ma quello che dovevo fare l’ho fatto e quindi ricomincio la mia ‘vita normale’. Continuerò a ‘frequentarli’ lo stesso, autori e letture, come sempre ho fatto del resto, solo che adesso oltre al piacere della lettura sentirò dentro di me una sorta di subbuglio che vorrebbe essere il prodromo a quella pace interiore che ho sempre rincorso e che fino ad oggi solo attraverso l’ascolto della grande musica sono riuscito qualche volta ad ottenere.

Certo non sono riuscito a trovare sicurezza alcuna, i pro e i contro si sono elusi a vicenda e io sono rimasto un po’ meno perplesso ma comunque sempre sempre inquieto: sono perciò costretto ad accettare serenamente questa agitazione intellettuale. Però, voglio ripeterlo, oggi ho conquistato una maggiore tranquillità di spirito: so che nessun uomo, fedele o ateo che sia, può essere assolutamente certo e convinto della sua posizione, del resto anche i grandi santi hanno avuto le tentazioni e le crisi d’animo… Però adesso ho almeno capito che posso vincere molti dubbi che mi tormentavano, perché ho imparato, da quello che ho letto e scritto, una verità importante, anzi essenziale: che è impossibile che non esista qualcosa, qualcuno, sopra questo breve attimo che noi chiamiamo vita, universo, cose, perché tutto dice che questo ‘qualcosa’ esiste, deve esistere, anche per una ragione prettamente scientifica , quella che vuole che non ci sia effettoi senza una causa. Fossimo solo uno stupidissimo conglomerato di materia deperibile, sarebbe assolutamente inutile esistere e tutto non avrebbe senso, e questo non può evidentemente essere.

Dio quindi probabilmente esiste perché non può fare a meno di esistere, perché è logicamente obbligato ad esistere. E in questo sono d’accordo con Tommaso d’Aquino. e con Agostino: Dio c’è perché non può non esserci.
Come sia, cosa sia, io non lo so. Se è luce, o amore materializzato, o un uomo con una grande barba bianca e la testa maestosa. Magari è solo una voce, o un pensiero. Oppure la somma delle 22 lettere dell’alfabeto ebraico che secondo la tradizione degli ebrei forma la PAROLA, la Torah. Non lo so. E non mi importa niente, per adesso, di saperlo. Quello che so è che fra una scelta, esiste o no, io adesso rispondo che esiste, aggiungendoci però un forse. Credo che esista. Ho fiducia che esista, che è un gran passo avanti.
Ma soprattutto ho fiducia nella figura dell’Uomo Gesù, forse perché è stato così vicino a noi uomini che mi riesce più facile pensarlo, concretizzarlo nella mia mente. O forse perché sono affascinato dal suo messaggio, e da come lo ha portato agli uomini, e dalla sua vita incredibile, dalla sua morte ‘cercata’ per la salvezza di noi tutti.
Ecco, oggi sono contento di essere ‘quasi’ un Cristiano, nel senso di seguace del messaggio dell’ebreo Gesù. E non è certo perché, come qualche buontempone dalla battuta infelice ha detto, invecchiando si sente il bisogno di avvicinarsi a Dio, ma perché io penso davvero, e qui non sono affatto agnostico, che Gesù sia stata una persona straordinaria, fuori d al normale.
E voglio anche dire che continuerò ad essere un uomo di sinistra. Io non posso tradire la mia fede di sempre in una migliore giustizia per i deboli e i poveri, e considerato che non credo assolutamente né all’altruismo dei ricchi né alla giustizia sociale del capitalismo, non mi è possibile, coerentemente, avere una idea differente. Sarò ancora un marxista, del resto gioco in casa: Marx era ebreo, Gesù era ebreo…... Ma bando alle etichette, le etichette si mettono sulle bottiglie di vino e sulle scatole di conserva, e servono principalmente agli ingenui, quelli che anziché guardare al contenuto si fermano all’apparenza, come la nostra storia recente ci ha insegnato che accade.
Sarò quindi qui a lottare come sempre per un mondo migliore e più giusto, e sarò contemporaneamente abbastanza convinto che Dio, in qualche parte del cielo, ci deve essere, per dare un senso a tutta questa giostra.

(continua)

cireno
17-01-16, 12:31
ESSERE AGNOSTICI



Alla fine di questa mia ricerca volta a superare il guado dove mi trovo, lontano dalla sponda di destra e ugualmente lontano da quella di sinistra, devo dire di non essere riuscito a migliorare la mia condizione di agnostico.
Forse, istintivamente, sarei più per la presenza di Dio, un Dio impossibile da decifrare, da raffigurare ma che comunque darebbe un senso a un’esistenza, non solo mia ma dell’intero Universo, ma poi mi si affacciano alla mente delle domande impertinenti, maliziose e tutto ritorna tra le due sponde.
Per esempio: dov’era Dio prima di creare il Tutto e cosa faceva? Domande imbarazzanti perché la Bibbia, cioè la voce di Dio, non da risposte. Oddio, risposte ci sarebbero, per esempio la scienza aiuterebbe laddove ci insegna che il tempo è nato con lo spazio quindi con l’Universo. E comunque una buona risposta l’ha data il pastore Paolo Castellina. Ecco qua:
Questa domanda, per altro, è priva di significato. Non importa, infatti, di quanto si vada indietro nel tempo, si avrebbe comunque una quantità infinita di tempo prima che Dio avesse cominciato a creare. Anche se l’universo fosse vecchio miliardi o triliardi di anni, ci si potrebbe porre la stessa domanda.


Di fatto, il tempo stesso è stato creato con l’universo. Il tempo è un’entità creata. Il primo versetto della Bibbia dice: “Nel principio Dio creò i cieli e la terra” (Genesi 1:1). Se analizziamo questo versetto vediamo come Dio abbia creato il tempo, lo spazio e la materia il primo giorno della settimana della Creazione. Nessuna di queste realtà avrebbe un’esistenza significativa senza l’altra. Dio ha creato l’universo spazio-massa-temporale. Lo spazio e la materia devono esistere nel tempo, ed il tempo esige, presuppone lo spazio e la materia. Il tempo ha significato solo se esistono entità fisiche e degli eventi accadono nel tempo. “Nel principio” è quando è cominciato il tempo! Il tempo non esisteva prima che fosse creato!


Non esiste alcun “prima” che Dio avesse creato. Non esisteva neppure il “nulla”: c’era Dio che abitava l’eternità. Tutto questo noi, come umani, creature limitate, non lo possiamo veramente comprendere. Ecco perché la Bibbia mette in chiaro come vi sia sempre un aspetto di “fede” nella nostra comprensione di Dio.
Nel Salmo 90:2 leggiamo: “Prima che i monti fossero nati e che tu avessi formato la terra e l'universo, anzi, da eternità in eternità, tu sei Dio”. Che cosa c’era, dunque, in QUEL “prima” della creazione? Dio, che “è” di eternità in eternità – perché Dio abita l’eternità.

E’ evidente che la spiegazione di Castellina risente del suo essere un credente, ma a ben pensarci non ci potrbbero essere, malgrado il Genesi spieghi altro, risposte differenti.

Ma ho spesso sostenuto che il Dio Creatore non può essere lo stesso Dio che si è incarnato in Gesù Cristo, troppo diversi i messaggi, troppo distanti le azioni. Rifacciamoci alla Qabbala per cercare una risposta alla Creazione e magari anche uno spiraglio di luce nell’oscurità che il tema dei due diversi Dii propone. Su questa strada troveremo, per quanto riguarda la Creazione, l’autolimitazione del Dio infinito. Anche se interpretata come espressione dell’onnipotenza di Dio mi sembra una rappresentazione un po’ rude: il fatto che Dio debba ritirarsi per fare spazio alla Materia mi sembra defraudi Dio della sua infinitezza, eternità e perfezione ma potrebbe essere accettato laddove si accettasse l’idea dei due Dii differenti. In questo caso il Dio buono, quello superiore, ritirandosi, contraendosi, avrebbe lasciato uno spazio in cui il Dio inferiore, il Demiurgo, avrebbe usato la materia per dare vita alla Creazione.
E’ per questa ragione che la teologia ebraica, che ovviamente non può riconoscere in YHWH il Demiurgo dio inferiore, in quanto per la sua fede Lui, YHWH, è il dio di Abramo, di Mosè, il Dio dell’Arca dell’Alleanza, dell’Esodo ecc., prende le distanze dalla Qabbala e rifiuta rigorosamente l’idea di un Dio inferiore e limitato davanti al Male.
C’è la teodicea, ovvero la giustificazione di Dio davanti ai mali di questo mondo: se Dio esiste come si può comprendere Auschwitz, Hiroshima, l’Arcipelago Gulag? Siamo forse davanti a un Dio acosmico, distaccato, apatico perfino crudele?
Oppure Dio è segretamente presente, misericordioso e partecipe alla storia umana?
Non so prendere una posizione: se Dio esiste dovrebbe essere teocratico, autoritario, quasi un despota come appare nei Libri del VT oppure un Dio assente, quasi disgustato dalla Creazione dove la Materia è intrisa di Male? Oppure la Creazione non è nata intrisa di Male ma è stata buona prima di diventare il cattivo dominio di demoni malvagi?
Nel dopoguerra un teologo di nome Dietrich Bonhoeffer ha ipotizzato un Dio sofferente. Dio sarebbe impotente e debole nel mondo ed è proprio in questo modo che sarebbe vicino all’Uomo. In Resistenza e Resa scrive:-
-"Qui sta la differenza decisiva rispetto a qualsiasi religione. La religiosità umana rinvia l'uomo nella sua tribolazione alla potenza di Dio nel mondo, Dio è il deus ex machina. La Bibbia rinvia l'uomo all'impotenza e alla sofferenza di Dio; solo il Dio sofferente può aiutare. In questo senso si può dire che la descritta evoluzione verso la maggiore età del mondo, con la quale si fa piazza pulita di una falsa immagine di Dio, apra lo sguardo verso il Dio della Bibbia, che ottiene potenza e spazio nel mondo grazie alla sua impotenza. Qui dovrà appunto inserirsi l'interpretazione mondana"
Ho pensato e ripensato molte volte a questo periodo: un Dio impotente e sofferente che può aiutare l’uomo a superare il difficile momento della “maggiore età” della sua evoluzione: ma come? Forse l’aiuto sarà realizzare le profezie dell’AT che parlano della Fine dei Tempi? La Parusia, il ritorno del Cristo, la Battaglia di Armageddon e la sconfitta finale del Male con la risurrezione dei morti? Perché la fine dei tempi, così come noi esseri umani abbiamo ridotto la Terra non può non arrivare….
Mi accorgo di aver saltato di palo in frasca ma la sostanza del mio ragionamento rimane sempre la stessa: non posso non essere agnostico, non ci arrivo a non essere ateo, perchè non riesco a credere che il dio creatore di tutto quello che esiste sia il Caso, e non riesco a credere forse perché, come mi ha scritto un amico “sono bloccato da preconcetti umani”, e qui però mi sfugge qualcosa: io sono un umano e quindi genero pensieri da umano che forse possono anche essere preconcetti ma chi me lo può dimostrare?

Vabbè, chiudo così, con questo punto interrogativo.

(continua)

cireno
17-01-16, 12:32
Postscriptum



Questa avventura probabilmente iniziata sulla tomba dell’Apostolo Giovanni si conclude qui.
Certamente mi sento più calmo, forse anche più in grado di affrontare il mio tormento esistenziale che comunque non è guarito. Ma dentro di me c’è un grande spazio vuoto. Ho percorso centinaia di pagine di filosofi e di pensatori, di teologi e di scienziati, ma la fede, quella che illumina l’anima, è una ricchezza che ancora non possiedo.
Voglio credere, nel senso che, fra le due possibilità, quella di credere nell’esistenza di Dio mi sembra la più razionale, la più logica e quindi è a questa scelta che mi sono indirizzato. Ma il ragionamento non conquista la fede. Orienta la mente verso l’accettazione di un pensiero, ma niente altro.
Se stai cercando Dio vuol dire che lo hai già trovato, ha detto il teologo.
Io l’ho davvero trovato? Credo di averlo intravisto, mi sembra di averlo sentito vicino in questa avventura che non oso definire letteraria, ma non credo di averlo trovato.
Dio sta nel mio pensiero e nella mia mente, certo, ma sempre come un problema che vorrei risolvere con il ragionamento, con la cultura, con la deduzione. E questo so che non è possibile, non si trova Dio con un ragionamento, al massimo si può negare, escluderne l’esistenza perché il frutto della mente ‘forzatamente’ matura dalle cose che gli occhi riescono a vedere e le orecchie udire.
Dio non si vede. Dio non si può udire. Si può intravedere, si può percepire, ma niente di più.
Prima devi credere, ha detto Agostino, così da predisporre la tua mente a comprendere. Ma credere non dipende da un interruttore, ciak, lo si preme e si accende la fede. Posso io comandare alla mia mente di credere senza fare domande, senza dubbi, senza pensieri?
Impossibile.
E allora, dove sono arrivato con questa mia ‘ricerca di Dio’?
Se non a trovare Dio certamente a sentirlo possibile, forse addirittura probabile, senza però riuscire a raffigurarmelo: se Dio esiste cos’è?
Ecco questa è oggi la mia posizione.
Naturalmente la mia ricerca di Dio non si fermerà qui, con la fine di questo scritto. La vita è così bella che, arrivato alla mia età, dove per ovvie ragioni devo anche mettere in preventivo che tutto possa spegnersi da un momento all’altro, oltre a riempirmi ogni giorno gli occhi della bellezza del creato, forse per portare con me questo autentico capolavoro che è la natura, mi sento obbligato a cercare anche una seppur minima sicurezza in quella che sarà la mia vita di ‘dopo’.
Continuerò quindi ancora questa mia ricerca. Non credo che porterà ad una nuova esperienza scritta, penso che molto probabilmente dedicherò il mio tempo a leggere quello che altri hanno scritto con ben maggiore cognizione e preparazione. No, non credo proprio che scriverò ancora su questo argomento.
Quindi continuerò la mia ricerca in silenzio, in maniera del tutto privata.
Perché sono convinto che ognuno di noi dovrebbe condurre questa ricerca sull’esistenza di Dio in un modo o nell’altro. Anche i giovani lo dovrebbero fare. Specialmente quelli che vivono senza rendersi conto di quale meravigliosa avventura stanno vivendo, e sono purtroppo tanti. Sono quelli che vivono ‘lasciandosi vivere’, accettando la natura come una coreografia dovuta, la giovinezza come un momento eterno, la vecchiaia come un’avventura che è solo di altri.
Perché con queste letture non si va solo alla ricerca di Dio ma si possono trovare anche gli occhi per poter vedere l’incredibile bellezza della vita, che è un attimo, un evento assolutamente effimero, come la stagione delle farfalle. Chiedo ai giovani che per caso leggeranno queste righe di guardare con maggior attenzione ciò che li circonda e di assorbire tutta la bellezza che vedono così come i polmoni fanno con l’ossigeno, perché è ossigeno purissimo per la loro anima. E perché in questa meraviglia potrebbero magari anche avere la fortuna di scorgere Dio.
Questo non esclude ovviamente che le varie teorie scientifiche debbano essere studiate e considerate, così come quelle dei grandi filosofi e le ipotesi dei teologi, perché alla base di una seria ricerca c’è la cultura che ha lasciato le sue testimonianze con centinaia di scritti di ogni genere, in favore e contro. Non ci si può rinchiudere in una credenza senza basi, anche se questa sarebbe una fortuna. Certo è che al di là di tutte le cognizioni umane si arriverà a capire che il grande testimone della presenza di Dio è proprio il vivere in questo mondo che troppi di noi guardano senza vedere.
Perché la vita è un dono meraviglioso che un uomo e una donna hanno estratto dal loro amore per donarlo a noi. Dal loro amore è generata la nostra vita, e non dal caso, in questo ripetendo un atto di Dio, che proprio per un atto d’amore ha creato la vita e il mondo, e poi, quando ha visto che gli uomini non capivano il dono che era stato loro fatto e vivevano solo di peccati e crudeltà, ha inviato, con ulteriore atto d’amore, il Suo stesso figlio per caricarsi le malvagità dell’uomo sulle spalle, facendosi inchiodare su una croce.
Perché è sulla croce che si è consumato il più grande atto d’amore che l’uomo possa immaginare.
Anche per Gesù la vita era un dono meraviglioso, anche per Lui la natura era stupenda, il cielo, il sole, gli animali, le foreste, il mare. Eppure nel pieno della Sua vita, a trentatre anni, ha accettato di perderla per amore verso i suoi fratelli.
E’ per questo che soffro quando vedo un giovane gettare questo dono magari abbruttendosi con l’alcool o la droga, o calpestarlo con una vita inutile. Soffro perché so che questo è sempre un giovane che non ha capito, perché non vede oppure non vuol vedere.
Anche a questi giovani vorrei che la creazione di Dio si rivelasse in tutta la sua grandiosa bellezza, vorrei davvero che Dio aprisse loro gli occhi, perché ne hanno certo più bisogno di me. Affinché non sprechino l’unica occasione che hanno di godere di tanta bellezza.
Io non credo che esista la reincarnazione, che comunque non sposterebbe di una virgola il danno che essi si fanno tenendo gli occhi chiusi. Perché anche dovesse esistere, la vita che ognuno di noi ha avuto dal padre e dalla madre resterebbe comunque UNICA e neppure mille reincarnazioni potrebbero mai rimpiazzarla.
E mi rivolgo anche a coloro che si credono infelici, che vedono attraverso lenti scure, che pensano alla vita come a una brutta avventura. Anche per loro Dio esiste, e quindi anche loro lo devono cercare perché è proprio chi è infelice, come ci ha insegnato Simone Weil, che può trovare Dio con maggiore facilità.
Dio è per tutti il Padre, o meglio deve essere il Padre di tutti, ma specialmente per i più deboli, per quelli che si credono o sono infelici, per i giovani che tengono gli occhi chiusi e per quelli come me che lo cercano da sempre.
Io vorrei chiudere con la certezza che Dio sia dietro l’angolo della mia casa e io lo possa davvero incontrare in uno giorno che verrà. Perché mi piacerebbe avere anche il grande dono della fede, che chiuderebbe il mio vagare alla ricerca di quello che non posso vedere.
A questo punto non mi sembra di dover dire altro. Non ho da dire altro. Da oggi parlerò con me stesso e, se mi riesce, qualche volta esprimerò, con la mente, un’invocazione che non sarà una preghiera ma che comunque sarà ugualmente recepita da Dio, poche parole, che non rientrano nel catechismo ufficiale: Dio, se ci sei, aiutami, dammi la grazia di vedere!


FINE