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Visualizza Versione Completa : Jean Claude Michéa: il vecchio sistema destra/sinistra è una mistificazione



Gdem88
03-01-16, 14:13
L'Intellettuale Dissidente (http://www.lintellettualedissidente.it/) / Ars Disputandi (http://www.lintellettualedissidente.it/Ars%20Disputandi) Esteri (http://www.lintellettualedissidente.it/Esteri)

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Se sono arrivato a rimettere in discussione il vecchio schema destra/sinistra - insieme, tra gli altri, a Cornelius Castoriadis e Christopher Lasch - ritenendolo ormai una mistificazione, è semplicemente perché il compromesso storico siglato in seguito all'affare Dreyfus tra il movimento operaio socialista e la sinistra liberale e repubblicana (il "partito del movimento", dove il partito radicale e la massoneria volteriana dell'epoca marciavano fianco al fianco) sembra ormai aver esaurito tutte le sue qualità positive.
La redazione - 11 ottobre 2014


Traduzione a cura di Stefano Bruno (riproduzione riservata) Fonte: Intervista raccolta il 12 Marzo 2013 dalla testata francese Marianne. [...] I libri di Jean-Claude Michéa si fanno sempre desiderare. Qualcuno ne attende l’uscita con trepidazione, qualcun altro affila i coltelli. In primo luogo perché le parole di questo filosofo, ispirato dal pensiero di George Orwell, di Guy Debord e del miglior Marx, sono riportate molto di rado dai media. Inoltre, dato che appartiene ad una specie politicamente ambidestra, purtroppo così poco rappresentata e spesso fraintesa, Michéa si mostra crudele verso una sinistra liberale ridotta ad una caricatura di sé stessa, impegnata a valorizzare tutte le presunte trasgressioni morali e culturali, ma riesce a restare lucido di fronte all’incredibile cinismo dei leader della destra attuale (Sarkozy e Copé in testa) che si atteggiano a difensori del “popolo minuto”, in realtà la principale vittima del loro programma economico dedicato all’espansione illimitata degli interessi del CAC 40(1). Diciamolo subito: “Mystères de la Gauche” (edito in Francia da Climats) è il libro che tutti noi, da molti anni, attendevamo da Michéa. Vi sono molti aspetti che giustificano quest’attesa. In primo luogo il suo rifiuto definitivo di riconoscere nella “sinistra” il fronte popolare di liberazione a cui fa appello nei suoi scritti. “La sinistra” è un significante-padrone fatto prostituire già da molti anni: Michéa lo considera ormai foriero di “inutili divisioni, dal momento che è necessario riunire le classi popolari.” Anche perché il filosofo risponde colpo su colpo alla “virata a destra” che gli viene regolarmente imputata. Così questo anti-capitalista conservatore ammette che l’attaccamento ai “valori tradizionali” può produrre delle derive inquietanti e che “su questo punto, i costanti allarmi lanciati dalla sinistra restano pienamente validi.” Una grande annata, quindi, per il filosofo orwelliano di Montpellier. Disturbante, pungente e spesso esilarante quando prende in giro l’autocelebrazione delle sinistra come “partito del domani” (Zola), Michéa riesce ad essere illuminante e quasi sempre convincente.

Marianne: Lei ritiene che sia urgente abbandonare il nome “sinistra”, cioè cambiare il significante che descriverà le forze politiche che prenderanno di nuovo in considerazione gli interessi della classe operaia … Questo nome non può più tornare in vita e superare le sue ferite storiche, i suoi fallimenti, il suo passato ingombrante? Lo stesso problema sussiste per la parola “socialismo”, che in origine indicava il mutuo soccorso operaio promosso da persone come Pierre Leroux e negli anni ’80 è diventato sinonimo delle pagliacciate à la Jack Lang. Non potremmo ravvisare, in questo desiderio di abolire un nome che ha fatto la storia, una sgradevole eco di quello spirito della tabula rasa che in altre occasioni ha denunciato in modo instancabile?

Jean-Claude Michea: Se sono arrivato a rimettere in discussione il vecchio schema destra/sinistra – insieme, tra gli altri, a Cornelius Castoriadis e Christopher Lasch – ritenendolo ormai una mistificazione, è semplicemente perché il compromesso storico siglato in seguito all’affare Dreyfus tra il movimento operaio socialista e la sinistra liberale e repubblicana (il “partito del movimento”, dove il partito radicale e la massoneria volteriana dell’epoca marciavano fianco al fianco) sembra ormai aver esaurito tutte le sue qualità positive. Difatti, se andiamo a studiarne le origini, si è trattato solo di un’alleanza difensiva siglata contro un nemico comune, incarnato all’epoca dall’onnipotente “reazione”. Quest’ultima era un patchwork di forze in gran parte pre-capitaliste che speravano ancora di restaurare in tutto o in parte l’Ancien Régime, in particolare il dominio incontrastato della Chiesa cattolica sulle istituzioni e sulle anime. Questa destra clericale, reazionaria e monarchica è stata definitivamente sconfitta nel 1945 e le sue ultime vestigia sono state spazzate via dal Maggio Francese (quella che oggi chiamiamo “destra”, nei fatti, indica gli ultras del liberalismo economico di Friedrich Hayek e Milton Friedman). Privato del suo nemico storico e dei suoi bersagli specifici (come la famiglia patriarcale o “l’alleanza tra il trono e l’altare”), il “partito del movimento” è stato immediatamente costretto, per mantenere la sua identità originaria, a perseguire a tempo indeterminato la sua opera di “modernizzazione” del mondo (che è il motivo per cui, oggi, “essere di sinistra” non significa altro che essere in testa a tutti i movimenti che lavorano per la costruzione della società capitalistica moderna, che vadano incontro o meno agli interessi del popolo, o finanche al semplice buon senso). Anche se i primi socialisti condividevano con i liberali e i repubblicani il rifiuto di tutte le istituzioni oppressive e portatrici di ineguaglianza dell’Ancien Régime, non avevano alcuna intenzione di abolire tutte le forme di solidarietà popolare tradizionale, neppure quindi di attaccare le fondamenta del “legame sociale” (perché questo è ciò che inevitabilmente accade quando si afferma di voler fondare una “società” moderna – ignorando tutti i dati dell’antropologia e della psicologia – esclusivamente sulla base di un accordo privato tra individui considerati come “indipendenti per natura”). La critica socialista degli effetti atomizzanti e distruttivi sull’umanità del credo liberale, secondo il quale il mercato e il diritto astratto sarebbero stati sufficienti a formare, secondo le parole di Jean-Baptiste Say, un “collante sociale” (Engels scrisse nel 1843 che l’ultima conseguenza di questa logica sarebbe stata un giorno la “dissoluzione della famiglia”), divenne quindi chiaramente incompatibile con il culto del “movimento” come fine in sé, di cui Eduard Bernstein aveva formulato il principio sin dalla fine del XIX secolo, proclamando che “il fine è nulla” e “il movimento è tutto”.Per liquidare quest’alleanza ormai priva di senso tra i sostenitori del socialismo e recuperare la sua indipendenza originaria, la “nuova” sinistra non dovette fare altro che imporre mediaticamente l’idea che qualsiasi critica dell’economia di mercato o dell’ideologia dei diritti umani (il “pomposo catalogo dei diritti dell’uomo” a cui Marx contrapponeva, ne Il Capitale, l’idea di un modesta “Magna Carta” capace di proteggere realmente le sole libertà individuali e collettive fondamentali) porterebbe ineluttabilmente al “gulag” e al “totalitarismo”. La missione è stata portata a termine alla fine degli anni ’70 da quella “nouvelle philosophie” che oggi è diventata la teologia ufficiale della società dello spettacolo. In queste circostanze, io continuo a pensare che oggi è diventato politicamente inefficace, se non pericoloso, continuare a promuovere un programma di ritiro graduale del capitalismo sotto le insegne esclusive di un movimento ideologico la cui missione emancipatrice è finita, in sostanza, quando la destra monarchica, reazionaria e clericale è definitivamente scomparsa dal panorama politico. Il socialismo è per definizione incompatibile con lo sfruttamento capitalistico. La sinistra, purtroppo, no. E se tanti lavoratori – autonomi o dipendenti – ormai votano a destra, o non votano per nulla, è spesso perché hanno percepito intuitivamente questa triste verità.

Marianne: Nel libro Mystères de la gauche, lei ricorda con molta efficacia i tanti crimini commessi dalla sinistra liberale contro il popolo, e soprattutto il fatto che le due repressioni degli operai più sanguinose dell’Ottocento sono ad essa imputabili. Eppure oggi, dopo che l’inventario critico della sinistra culturale mitterrandiana è divenuto banale, non possiamo ammettere che i socialisti sono cambiati? Si sono verificate diverse prese di coscienza importanti. Una tra queste, ad esempio, è stata il lungo abbandono della classe operaia: un fenomeno recente, ma reale. Anche sulle questioni in materia di sicurezza, non si può dire più che Manuel Valls incarni una sinistra permissiva e buonista. Dalle sue parole traspare l’impressione che la sinistra, in linea di principio, non riuscirà mai a riformarsi. È questa la conclusione a cui giunge?


J.-C.M. : Quello che mi colpisce di più è che le cose vanno esattamente come avevo previsto. Dal momento in cui, nei fatti, la sinistra e la destra si sono accordate nel considerare l’economia capitalista come l’orizzonte ultimo del nostro tempo (non è un caso che Christine Lagarde sia stata nominata direttrice del Fondo Monetario Internazionale per poi perseguire la stessa politica di Strauss-Khan), era inevitabile che la sinistra – una volta tornata al potere indossando la rigida veste dell’”unica alternativa” – cercasse di nascondere alle urne questa complicità ideologica sotto la cortina fumogena delle sole questioni “sociali”. Da qui l’attuale e desolante spettacolo. Ora il sistema capitalistico globale si sta dirigendo in tutta calma verso l’iceberg, stiamo assistendo ad una surreale e feroce lotta tra coloro la cui unica missione è difendere tutte le implicazioni antropologiche e culturali di questo sistema e coloro che devono far finta di combatterlo (il presupposto filosofico comune di tutti questi liberali è, naturalmente, il diritto assoluto di ogni individuo di fare ciò che vuole con il suo corpo e il suo denaro). Ma non ho il merito di descrivere qualcosa di nuovo. Questo è ciò che Guy Debord annunciava già vent’anni fa: i futuri sviluppi del capitalismo moderno avrebbero necessariamente trovano il loro principale alibi ideologico nella lotta contro il “razzismo, l’omofobia e l’anti-modernismo” (da qui, egli aggiunge, il “neo-moralismo indignato che mettono in scena le pecore dell’attuale intellighenzia”). Per quanto riguarda le posture marziali di un Manuel Valls, si tratta solo di una strategia comunicativa. La vera posizione della sinistra su questi temi è ovviamente quella di un ex groupie di Bernard Tapie e di Edouard Balladur come Christiane Taubira.

Marianne: A differenza di altri, ciò che la tiene ancora lontano dalla “sinistra della sinistra”, dai movimenti anti-globalizzazione o dagli altri indignati, non è l’invocazione di un passato totalitario da rinfacciare ai cuginetti comunisti… Piuttosto è la base liberale di questi movimenti: l’individuo isolato che manifesta per il diritto di restare un individuo isolato, citando le sue parole. Ad ogni modo, non vi è alcuna di queste lotte o di questi movimenti verso cui ha avvertito una certa affinità negli ultimi anni?

J.-C.M. : Se si ammette che il capitalismo è diventato un fatto sociale totale (inseparabile, in quanto tale, da una cultura e da un modo di vivere specifici) è chiaro che i critici più lucidi e radicali di questa nuova civilizzazione si trovano dalla parte dei sostenitori della “decrescita”. Intesa, naturalmente, non come una “crescita negativa” o un’austerità generalizzata (come vorrebbero farci credere, ad esempio, Laurence Parisot o Najat Vallaud-Belkacem), ma come la necessità di rimettere in questione uno stile di vita quotidiano alienante, basato – citando Marx – sulla sola necessità di “produrre per produrre ed accumulare per accumulare.” Uno stile di vita necessariamente privo di ogni reale senso umano, iniquo (dal momento che la logica di accumulazione del capitale porta inevitabilmente a concentrare la ricchezza ad un polo della società mondiale e l’austerità, ossia la miseria, all’altro polo) e, in ogni caso, impossibile da universalizzare senza contraddizione in un mondo dove le risorse naturali sono, per definizione, limitate (sappiamo, infatti, che sarebbero necessari diversi pianeti per estendere a tutta l’umanità il tenore di vita dell’americano medio di oggi). Noto con interesse che queste idee di buon senso – anche se presentate sempre in un modo caricaturale e fuorviante dalla propaganda mediatica e dai suoi economisti prezzolati – stanno cominciando a essere comprese da un pubblico sempre più ampio. Auguriamoci solo che non sia troppo tardi. Nulla può garantire, infatti, che il crollo inevitabile del nuovo Impero Romano globalizzato dia vita ad una società decente, piuttosto che a un mondo barbaro, sbirresco e mafioso.

Marianne: In questo libro lei riafferma la sua fede nell’idea che il popolo sarebbe depositario di una “decenza comune” ["common decency", secondo l'espressione coniata da George Orwell] avversata dalle “élite” liberali sin dal principio. Ma, in tutta sincerità crede che oggi sia l’attaccamento ai valori morali a definire il “popolo minuto di destra”, come ha riportato? La scomparsa delle strutture sociali tradizionali, insieme alla de-cristianizzazione e all’impatto dei flussi mediatici di cui lei descrive gli effetti catastrofici sulla cultura, ha colpito duramente anche queste classi. Non crede di farsi delle illusioni – nobili, certo, ma piuttosto irrealistiche – nel considerarle come l’unico terreno fertile per un “riarmo” morale e politico?

J.-C.M. : Se tra le classi popolari che votano per i partiti di destra non ci fosse ancora un solido attaccamento all’idea orwelliana che ci sono “cose ​​che non si fanno”, non potremmo capire perché i leader di questi partiti sono costantemente costretti a simulare o a esaltare grottescamente la propria adesione incrollabile ai valori della decenza comune. Anche quando in realtà questi leader credono, per citare un recente discorso dell’ideologo liberale Philippe Manière, che solo il “desiderio di lucrare” possa sostenere “moralmente” la dinamica del capitale (in questo senso, è sicuramente più difficile essere un politico di destra che un politico di sinistra). Questo è anche il motivo per cui il popolo minuto di destra è strutturalmente condannato alla disperazione politica (da qui l’inclinazione logica, che nasce oltre una certa soglia di delusione, per il voto di “estrema destra”). Nelle parole del critico radicale americano Thomas Franck, questo popolo minuto vota per il candidato di destra credendo che solo lui possa ristabilire un po’ d’ordine e di decenza in questa società senz’anima e, in ultima analisi, l’unica cosa che finisce per ottenere è la privatizzazione delle centrali elettriche! Detto questo, credo che lei abbia ragione. La logica dell’individualismo liberale, minando in continuazione tutte le forme di solidarietà popolare ancora esistenti, nello stesso momento distrugge necessariamente le condizioni morali che rendono possibile la rivolta anti-capitalista. Ecco la ragione per cui quest’epoca si sta muovendo sempre di più contro la vera libertà e la vera felicità degli individui e dei popoli. L’esatto contrario, infatti, della tesi sostenuta dai fanatici della religione del progresso. Les Mystères de la gauche, di Jean-Claude Michéa, Climats, 144 p., 14 €. 1: CAC40 indica l’indice borsistico francese che raccoglie le 40 azioni più rilevanti della Borsa di Parigi. Il 46,7% dell’azionariato è detenuto da investitori stranieri, in buona parte fondi d’investimento americani.



Jean-Claude Michéa: ?Perchè ho rotto con la sinistra? (http://www.lintellettualedissidente.it/ars-disputandi/jean-claude-michea-perche-ho-rotto-con-la-sinistra/)

Gdem88
03-01-16, 14:17
Versione più compatta dei concetti, uscita su Repubblica


Jean-Claude Michéa: Parla il filosofo: "Il modello va ripensato. Per il progressismo è diventata difficile qualsiasi critica della modernità liberale. È troppo lontana dalle classi popolari. Ormai a citare Marx e Gramsci c'è la Le Pen"

di FABIO GAMBARO

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19 dicembre 2015

















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Come spiega questa evoluzione della sinistra?
"Quella che ancora oggi chiamiamo "sinistra" è nata da un patto difensivo contro la destra nazionalista, clericale e reazionaria, siglato all'alba del XX secolo tra le correnti maggioritarie del movimento socialista e le forze liberali e repubblicane che si rifacevano ai principi del 1789 e all'eredità dell'illuminismo, la quale include anche Adam Smith. Come notò subito Rosa Luxemburg, era un'alleanza ambigua, che certo fino agli anni Sessanta ha reso possibili molte lotte emancipatrici, ma che, una volta eliminate le ultime vestigia dell'Ancien régime, non poteva che sfociare nella sconfitta di uno dei due alleati. È quello che è successo alla fine degli anni Settanta, quando l'intellighenzia di sinistra si è convinta che il progetto socialista fosse essenzialmente "totalitario". Da qui il ripiegamento della sinistra europea sul liberalismo di Adam Smith e l'abbandono di ogni idea d'emancipazione dei lavoratori".

Perché quella che lei chiama la "metafisica del progresso" ha spinto la sinistra ad accettare il capitalismo?
"L'ideologia progressista è fondata sulla credenza che esista un "senso della storia" e che ogni passo avanti costituisca un passo nella giusta direzione. Tale idea si è dimostrata globalmente efficace fintanto che si è trattato di combattere l'Ancien régime. Ma il capitalismo - basato su un'accumulazione del capitale che, come ha detto Marx, non conosce "alcun limite naturale né morale" - è un sistema dinamico che tende a colonizzare tutte le regioni del globo e tutte le sfere della vita umana. Focalizzandosi sulla lotta contro il "vecchio mondo" e le "forze del passato", per il "progressismo" di sinistra è diventato sempre più difficile qualsiasi approccio critico della modernità liberale. Fino al punto di confondere l'idea che "non si può fermare il progresso" con l'idea che non si può fermare il capitalismo".

In questo contesto, in che modo la sinistra cerca di differenziarsi dalla destra?
"Da quando la sinistra è convinta che l'unico orizzonte del nostro tempo sia il capitalismo, la sua politica economica è diventata indistinguibile da quella della destra liberale. Da qui, negli ultimi trent'anni, il tentativo di cercare il principio ultimo della sua differenza nel liberalismo culturale delle nuove classi medie. Vale a dire nella battaglia permanente combattuta dagli "agenti dominati della dominazione", secondo la formula di André Gorz, contro tutti i "tabù" del passato. La sinistra dimentica però che il capitalismo è "un fatto sociale" totale. E se la chiave del liberalismo economico, secondo Hayek, è il diritto di ciascuno di "produrre, vendere e comprare tutto ciò che può essere prodotto o venduto" (che si tratti di droghe, armi chimiche, servizi sessuali o "madri in affitto"), è chiaro che il capitalismo non accetterà alcun limite né tabù. Al contrario, tenderà, come dice Marx, a affondare tutti i valori umani "nelle acque ghiacciate del calcolo egoista"".

Perché considera un errore da parte della sinistra aver accettato il capitalismo? C'è chi sostiene che sia una prova di realismo...
"Come scriveva Rosa Luxemburg nel 1913, la fase finale del capitalismo darà luogo a "un periodo di catastrofi". Una definizione che si adatta perfettamente all'epoca nella quale stiamo entrando. Innanzitutto catastrofe morale e culturale, dato che nessuna comunità può sopravvivere solo sulla base del ciascuno per sé e dell'interesse personale. Quindi, catastrofe ecologica, perché l'idea di una crescita materiale infinita in un mondo finito è la più folle utopia che l'uomo abbia mai concepito. E infine catastrofe economica e finanziaria, perché l'accumulo mondializzato del capitale - la "crescita" - sta per scontrarsi con quello che Marx chiamava il "limite interno". Vale a dire la contraddizione tra il fatto che la fonte di ogni valore aggiunto - e dunque di ogni profitto - è sempre il lavoro vivo, e la tendenza del capitale ad accrescere la produttività sostituendo al lavoro vivo le macchine, i programmi e i robot. Il fatto che le "industrie del futuro" creino pochi posti di lavoro conferma la tesi di Marx".

Perché, in questo contesto, ritiene necessario pensare "la sinistra contro la sinistra"?
"La forza della critica socialista nasce proprio dall'aver compreso fin dal XIX secolo che un sistema sociale basato esclusivamente sulla ricerca del profitto privato conduce l'umanità in un vicolo cieco. Paradossalmente, la sinistra europea ha scelto di riconciliarsi con questo sistema sociale, considerando "arcaica" ogni critica radicale nei suoi confronti, proprio nel momento in cui questo comincia a incrinarsi da tutte le parti sotto il peso delle contraddizioni interne. Insomma, non poteva scommettere su un cavallo peggiore! Per questo oggi è urgente pensare la sinistra contro la sinistra".


Jean-Claude Michéa: "La sinistra deve rifondare l'alleanza illuminista" - Repubblica.it (http://www.repubblica.it/cultura/2015/12/19/news/jean-claude_miche_a_la_sinistra_deve_rifondare_l_allean za_illuminista_-129800190/)

Gdem88
03-01-16, 14:24
Riprendendo un dibattito in parte iniziato in altro thread in questa sezione, ripropongo un paio di articoli recenti in occasione dell'uscita del libro "I misteri della Sinistra" scritto da Michéa. Nel libro il filosofo attacca la separazione destra/sinistra e afferma che la sinistra ormai è corrotta dal mito del progresso e della modernità, che la cultura "progressista" è oggi inadeguata a rappresentare le istanze di emancipazione delle classi popolari, meglio interpretate da quello che molti (sia a sinistra che a destra) chiamano il "populismo patrimoniale" (?Il Front National non è più di destra, per questo può vincere? - Linkiesta.it (http://www.linkiesta.it/it/article/2015/12/03/il-front-national-non-e-piu-di-destra-per-questo-puo-vincere/28460/)) della Le Pen, che tuttavia dagli aderenti a questa corrente di pensiero è invece ritenuta una novità significativa per la difesa dei diritti sociali e per la rappresentanza dei ceti popolari.

Mi pare interessante discutere di questo perché vedo una buona frangia di utenti, qui si TPOL, che sembrano pensarla come Michéa, sia provenendo da destra che da sinistra...un esempio mi pare proprio il buon Kavalerists.

Ernesto
03-01-16, 16:55
Secondo me il problema è un altro e lo ha evidenziato un altro francese, Onfray.

Una parte della Sinistra (e lo noto soprattutto nei più anziani) non si è resa conto che siamo dinnanzi a un nuovo fascismo, il capitalismo. Così facendo non si riesce a organizzare una Resistenza (che io ho ribattezzato e concettualizzato in R/esistenza) come si fece in passato con i fascismi, basata su luoghi di contropotere nelle periferie.

Ernesto
03-01-16, 17:03
Comunque per parlarne andrebbe preso il libro

Gdem88
03-01-16, 19:15
Comunque per parlarne andrebbe preso il libro

Non necessariamente :-) le due interviste mi pare riassumano molto bene il pensiero di Michéa, che di fatto è tutto centrato sulla necessità di creare una nuova sinistra svincolata totalmente dalla cultura liberale e dagli insegnamenti dell'illuminismo...una prospettiva che mi pare s'incroci con quella dei comunitaristi, che seguendo Veneziani ma anche Preve affermano la dicotomia comunitarismo vs liberalismo

Gdem88
03-01-16, 19:18
cosa ne pensi @LupoSciolto° (https://forum.termometropolitico.it/members/42003/luposciolto%B0) ? Al di là di tutto e delle diversità di veduta, ti ritrovi nel ragionamento di Michéa? Vedi similitudini con Preve? Quest'ultimo ammetto di non conoscerlo bene, quindi chiedo...

Vedo tanti, qui su TPOL, che sono anticapitalisti e magari si definiscono anche socialisti e marxisti, ma di fatto non si ritrovano nel progressismo e nella sinistra con contaminazioni liberali e illuministe

Vedo peraltro che anche sul forum CeC si è parlato di Michéa in passato https://forum.termometropolitico.it/424302-leggere-jean-claude-michea.html
https://forum.termometropolitico.it/688734-marx-voterebbe-marine-le-pen-parola-di-michea.html (https://forum.termometropolitico.it/424302-leggere-jean-claude-michea.html)

Ernesto
03-01-16, 20:26
Non necessariamente :-) le due interviste mi pare riassumano molto bene il pensiero di Michéa, che di fatto è tutto centrato sulla necessità di creare una nuova sinistra svincolata totalmente dalla cultura liberale e dagli insegnamenti dell'illuminismo...una prospettiva che mi pare s'incroci con quella dei comunitaristi, che seguendo Veneziani ma anche Preve affermano la dicotomia comunitarismo vs liberalismoRipeto, dovrei leggere per benino il libro. Messa così trovo sia giusto non avere contaminazioni liberali in economia e essere forza di R/esistenza al capitalismo

Questo però non vuol dire non voler condurre uno stile di vita "liberale".

Kavalerists
04-01-16, 01:07
Caro Gdem, certo che mi sento molto vicino al pensiero di JC Michea, su quello che è oggi ciò che si definisce sinistra, ne condivido in pieno critica e analisi. E' un pensatore e uno scrittore del quale purtroppo è abbastanza difficile reperire le opere, peraltro poche delle quali tradotte in Italiano, però si trovano interviste e articoliarticoli interessanti in giro sul web.

Jean-Claude Michéa e la “sinistra capitalista”, Matteo Luca Andriola (http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=50432)

Tommaso
04-01-16, 17:38
Un autore, Michéa, di cui raccomando la lettura.

MaIn
04-01-16, 18:10
Non necessariamente :-) le due interviste mi pare riassumano molto bene il pensiero di Michéa, che di fatto è tutto centrato sulla necessità di creare una nuova sinistra svincolata totalmente dalla cultura liberale e dagli insegnamenti dell'illuminismo...una prospettiva che mi pare s'incroci con quella dei comunitaristi, che seguendo Veneziani ma anche Preve affermano la dicotomia comunitarismo vs liberalismo


scrivo avendo letto solo il testo postato di repubblica.

per come la vedo io, non bisogna staccarsi dall'illuminismo e dai movimenti riformisti dei tre secoli passati
ma riscoprirne lo spirito che è quello di critica alla tradizione e all'imperio di sovrastrutture sull'individuo.
oggi alcune idee progressiste sono diventate tradizionali e quindi ostacolo alla piena realizzzazione dell'individuo: penso a tutta la retorica terzomondista e femminista.

penso inoltre che il welfare non sia questione tanto o solo di socialità ma di libertà. senza un welfare forte non si ha libertà dell'indivuo. è inutile stabilire dei diritti solo sulla carta se nella pratica non vi può essere piena realizzazione di questi diritti. è un discorso che può trovare appigli nella tradizione socialista con rosselli e pertini.


il capitalismo e il libero mercato sono due cose diverse per quanto mi riguarda. il capitalismo non è il libero mercato ma le dittatura di chi possiede il capitale (pubblico, privato, culturale). esso impone il proprio modello.
allora questa dittatura va combattuta ristabilendo veramente la libera circolazione di merci e idee.

e per far questo ognuno deve possedere una possibilità di produrre, si torna cioè al welfare forte per l'individuo e per estensione i territori o i gruppi territoriali. vanno quindi finanziate gli individui tramite quel modello di welfare e vanno finanziati i territori perchè dal basso sorgano attività.
quando quindi si abbandona ad esempio il meridione d'italia o le comunità montane alpine/appennine si commette un errore strategico, si lascia avanzare il deserto capitalista e si rafforza l'accentramento di potere.
più accentramento c'è, meno possibilità di ribellarsi vi sarà.

all'ostacolo di prendere i soldi e finanziare si può addurre ragioni economiche ma queste ragione sono ragioni imposte dalla logica burocratica che a sua volta è quella capitalista.
comprendere che le elite economiche e le loro alleate burocratiche evadono costantemente queste regole che invece applicano a popolo e individui deboli economicamente è il primo obbiettivo.
quanti soldi sono stati dati dall'europa e dall'italia alle banche? quanti ne vengono dati ad una finanza stracciona italia incapace? quanti soldi vengono gettati in ceti burocratici?

con questi soldi, quante nuove iniziative dal basso potrebbero sorgere?

oggi si è trasformato il mondo cooperativo in attività capitalistiche a tutti gli effetti
e l'amministrazione pubblica è più che mai mera esecutrice di questo dominio.
ma sono tigri di carta.
basta solo imporre un'amministrazione diversa e loro saranno costretta ad accettarli perchè avendo il profitto come unico scopo nessun capitalista può permettersi una lotta sul lungo periodo.

io non credo che si debba fare la rivoluzione. la rivoluzione può avvenire solo come constatazione di un modello diverso, dato solitamente dalle tecnologie nuove
ma credo che la politica debba concentrarsi a combattere le accumulazioni di potere(che nella nostra società solo sostanzialmente accumulazioni di capitali) di volta in volta esse si presentano.

ziomaio
04-01-16, 18:44
Il problema non è destra né sinistra...il problema è che riconosce il primato all economia e chi alla politica... cmq credo che in occidente questa scelta sia stata implicitamente fatta da tempo

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Gdem88
07-01-16, 18:47
Ho comprato il libro di Michéa, lo leggerò con curiosità...

Gdem88
11-01-16, 14:00
Sto leggendo con attenzione il pamphlet di Michéa: al di là del punto di vista completamente diverso dal mio, pone indubbiamente degli interrogativi interessanti, a cui ognuno però può dare le sue risposte.

Un' ipotesi di risposta alternativa a questo Comunitarismo Radicale già ce l'ho, ma ho deciso di lasciarla per ultima...prima devo finire Michéa, poi passerò a "Voglia di Comunità" di Baumann ( che avevo già iniziato prima di Michéa ma che essendo più scorrevole del ponderoso pamphlet del francese ho lasciato in standby) e infine, al libro che penso possa contenere alcune risposte agli interrogativi sollevati dai primi due..."Manifesto al servizio del personalismo comunitario" di Emmanuel Mounier.


Specifico che ultimamente sto molto riflettendo sul concetto politico di Comunità e su come ci si debba approcciare....prima lo facevo in proprio e con pochi strumenti teorici, ora i sopraelencati mi forniscono la possibilità di approfondire :-)