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Visualizza Versione Completa : Nenni e Amendola due interpreti della sinistra



Frescobaldi
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di Giovanni Spadolini - “La Voce Repubblicana”, 2-3 settembre 1982



Giorgio Amendola non amava Pietro Nenni. In un dibattito che avemmo insieme, presso la sede dell’ “Avanti!” proprio all’indomani della morte dell’uomo politico socialista, nel gennaio 1980, il figlio di Giovanni Amendola – in cui rivivevano alcune delle scontrosità e delle insofferenze del padre, alcune delle vibrazioni inseparabili dal filone della Destra storica nutrita ai filoni della cultura spaventiana e crociana – non mancò di sottolineare le caratteristiche peculiari e inconfondibili del “socialismo di Nenni”: una specie di fusione, egli disse in sostanza, fra l’anima libertaria del repubblicanesimo e le inclinazioni connaturali del massimalismo.
Amendola insisteva molto sulle origini repubblicane di Nenni, nella scia di quella forma di “sovversivismo” istituzionale che era connessa alla posizione del partito mazziniano, sullo sfondo della Romagna incandescente. “Pensiamo alla sua infanzia vissuta all’orfanotrofio, su cui girava il peso della società reazionaria, questo fattore di rivolta poi emergente, come volontà di riscatto e anche di vendetta proletaria”. Sono alcune fra le parole che mi annotai di quel dibattito.
Amendola, che era arrivato al marxismo, a una sua forma di marxismo, attraverso l’educazione paterna, attraverso il complesso di letture che si muovevano in una certa orbita ideale, non senza un’influenza diretta o indiretta di Giustino Fortunato, non riusciva a separare quel certo tipo di socialismo da un certo di tipo di “rivoluzionarismo” generico e insisteva su quelle che a lui apparivano compromissioni del socialista romagnolo. “Non parlerei mai di un marxismo di Nenni. L’uomo è sempre stato scarsamente dottrinario, si sentiva costretto nelle ideologie, cercava di superarle nell’azione politica. E di qui la sua sopravvalutazione dell’iniziativa politica tendente alla modifica del quadro politico, senza vedere i mutamenti di base”.
Ecco un esempio delle critiche amendoliane verso Nenni, critiche in cui appariva una punta di asprezza, di insofferenza e anche di ingiustizia. Non troppo dissimili da quello che era stato l’atteggiamento, talvolta perfino sprezzante, di Togliatti (da cui, pure, Amendola si divideva su tanti altri punti).
Aprendo il nuovo libro di scritti politici intitolato Tra passione e ragione, edito da Rizzoli, troviamo solo pochi riferimenti a Nenni, e diversamente distribuiti: su venti citazioni complessive, sedici sono concentrate nei primi sei capitoli, che coprono il periodo 1957-1961, quello di più vivace polemica con il leader del PSI, e solo quattro (in chiave prevalentemente storica) nei restanti otto capitoli, che arrivano al 1977, alle “conclusioni al XVI congresso della federazione milanese del PCI” e agli albori della solidarietà nazionale.
Una polemica, quella della seconda metà degli Anni Cinquanta, aspra e spesso puntuta: si trattava per Amendola di difendere l’interpretazione egemonica comunista della classe operaia da quelle che erano le riaffioranti, e talora prevalenti, tendenze riformiste e gradualiste, caratterizzanti le file del socialismo dopo l’infelice esperienza frontista. In questa prospettiva e in questo spirito si colloca e si spiega il deciso “no” di Amendola all’incontro di Pralognan fra Saragat e Nenni, a quella unificazione socialista che pure obbediva alla esigenza di allargare le basi dello Stato democratico. “Disegno di vertice”, rispondeva Amendola. Nessun apporto della classe operaia. Ancora una forma di iniziativa politica, di fiducia nell’azione politica piuttosto che nell’azione sociale (dal basso). E soprattutto compromesso il rapporto fra socialisti e comunisti: un rapporto in cui lo storicismo rigido e talvolta spietato di Amendola collocava il PSI in posizione di subalternità, quasi permanente.
Era, e resterà, il cruccio di Nenni: un socialista abbastanza orgoglioso del ruolo e dell’autonomia del suo partito, nonostante i diversi errori tattici commessi. “Giorgio è il meno cinico dei comunisti – riconoscerà Nenni una volta – ma lo è abbastanza per rispondere: quel che conta è il risultato. Non è la mia teoria”.
La costante, puntigliosa polemica di Giorgio Amendola contro il centro-sinistra trova significativi echi e riflessi nelle pagine del “diario” di Pietro Nenni, in particolare nel secondo volume, dedicato appunto a Gli anni del centro-sinistra (1957-1966) uscito in queste settimane da Sugar: più numerose, in questa sede, le citazioni di Amendola, anche perché si tratta non di discorsi politici ma di un’apertura o confessione di stati d’animo, dove una vibrazione di amicizia umana mitiga le divergenze di natura politica.

Il giudizio sull’unità nazionale

Particolarmente significativa la pagina di diario datata 23 aprile 1964: “Stamattina mentre facevo i miei soliti quattro passi lungo la passeggiata archeologica – annota Nenni – mi si è affiancato Giorgio Amendola. È sempre molto cordiale. Mi ha parlato della riunione in corso del comitato centrale comunista, delle loro preoccupazioni politiche, della loro “ansietà” di evitare con noi e con me una rottura verticale pur insistendo nella loro polemica. La loro tesi è che la DC non voterà nessuna delle leggi programmate. Non è meglio allora rompere subito? Risposta: rompere adesso vuol dire rompere su un processo alle intenzioni. Se la DC non dovesse mantenere i suoi impegni, romperemo, ma su dei fatti. Per di più il vero problema politico non è rompere o non rompere. È: e poi?”
“E poi?”. Negli ultimi anni della sua vita, immalinconito da una vena di ripiegamento autobiografico, Amendola si porrà, pur nella sua rigorosa ortodossia comunista, il problema del “male minore”. La stessa formula dell’unità nazionale fu da Giorgio giudicata tale: una pausa utile, atta al rinsaldamento di sindacati e partiti. Nenni preferiva parlare di emergenza, di governi di salute pubblica, secondo il suo classico timbro giacobino.
Erano due accenti, due toni diversi. Il “compromesso storico” insospettiva e infastidiva Nenni e i socialisti più legati a lui; Amendola invece guardava a un’esperienza di unità nazionale, quasi come a un ritorno alle fonti del patto costituzionale, quasi come un ripristino – in chiave di CLN, in chiave unitaria – dello spirito dell’antifascismo e della Resistenza.
La riflessione amendoliana ripiegava sul passato, sostava sugli anni 1922-1945, nei quali la collaborazione fra socialisti e comunisti era stata solcata da contrasti asperrimi e da riconciliazioni improvvise – le une e gli altri riflessi della parola di Nenni – ma in ogni caso e sempre caratterizzati da una punta di reciproca invidia, da un’ansia di emulazione nel pagare un tributo sempre maggiore alla lotta contro il fascismo, alla difesa degli ideali antifascisti.
C’è un episodio emblematico e rivelatore di quel particolare stato d’animo nelle pagine di Tra passione e ragione, ce lo ricorda lo stesso Amendola, rievocando il periodo di prigionia trascorsa all’isola di Ponza, e la gara tutta “particolare” con l’amico-recluso Sandro Pertini sull’appartenenza degli antifascisti via via confinati alle file del comunismo oppure del socialismo. “Pertini si rammaricava – sono le parole di Giorgio Amendola – nel suo orgoglio di partito che il numero dei carcerati e confinati socialisti fosse molto minore del numero dei carcerati e confinati comunisti. Quando arrivava un convoglio a Ponza, egli andava sempre a spiare se arrivavano dei socialisti. Io dicevo, per calmarlo: “Se non arriva nessun socialista sarai contento, vuol dire che lavorano bene”. Ma c’era, appunto, questa concorrenza fra noi”.
Nelle commosse pagine di prefazione al volume, è proprio Sandro Pertini che rende omaggio “all’uomo di grande levatura culturale e di serissimo impegno politico: fra noi due fiorì un’amicizia schietta ed essenziale, nell’accordo e nel dissenso politico, fatta di stima reciproca e di umana simpatia, amicizia che mai venne meno, neanche nei momenti di maggiore tensione fra i nostri rispettivi partiti”.
Anche nel dissenso: non a caso in quel dibattito postumo su Nenni del gennaio 1980 Amendola era portato a giustificare l’intervento sovietico in Afghanistan, contro le esplicite riserve di parte socialista (e anche di Ingrao). La Realpolitik costituiva un confine netto fra il suo comunismo e il socialismo dei vecchi tempi, di cui Nenni era interprete e difensore. Non crediamo di sbagliare se diciamo che fra Garibaldi e Cavour Amendola avrebbe scelto Cavour. Mentre Nenni scelse sempre Garibaldi.

Giovanni Spadolini