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Visualizza Versione Completa : I robot che sostituiscono i lavoratori



MaIn
21-01-16, 17:46
Non fine del lavoro ma altra impresa* | Commenti*| www.avvenire.it (http://www.avvenire.it/Commenti/Pagine/NON-FINE-DEL-LAVORO-MA-ALTRA-IMPRESA-.aspx)

Ogni posto di lavoro rischia di essere oggi sostituito dalla tecnologia. È questo l’allarme lanciato da Barack Obama nel suo ultimo discorso sullo Stato dell’Unione. Parole sicuramente iperboliche, e da contestualizzare all’interno di un discorso che rappresenta il 'testamento morale' di un leader a fine mandato. Ma allo stesso tempo parole che descrivono un pericolo reale e sempre più evidente: quello della sostituzione di persone con robot e sofisticate tecnologie di nuova generazione.


Un pericolo colto e denunciato anche da papa Francesco che ieri è tornato a sottolinearlo nel messaggio al World Economic Forum di Davos, in cui si discute degli effetti della 'quarta rivoluzione industriale'. E il messaggio del Pontefice è chiaro: «L’uomo deve guidare lo sviluppo tecnologico, non farsi comandare da esso!». Il dibattito sul tema della 'fine del lavoro' è, in realtà, ancora aperto. Le scuole di pensiero sono molteplici e sostengono posizioni in contrasto tra di loro.


Ma da più fonti autorevoli sono stati diffusi studi che prefigurano un futuro in cui molte professioni e mestieri verranno sostituiti da macchine. Una sostituzione che rafforzerà la tendenza dei mercati del lavoro contemporanei alla polarizzazione, con una forte presenza di lavori altamente qualificati insieme a lavori poveri e di bassa professionalità, che ha portato finora a parlare della fine di quella classe media che, dal dopoguerra in poi, ha composto la maggioranza della forza lavoro dei Paesi industrializzati.


Oggi si inizia a parlare di una trasformazione ancora più radicale che non risparmierà neppure i lavori più qualificati, grazie a tecnologie in grado di sostituire anche le attività non-routinarie e persino quelle che presuppongono una interazione con altre persone come medici, infermieri, avvocati, cassieri, insegnanti, tassisti.


Le parole di Obama non si sono limitate però a dipingere uno scenario negativo, ma hanno tentato di individuare una via d’uscita: l’educazione delle persone. Anche in questo caso vi sono studi che sostengono questa tesi, dimostrando come maggiore sia il livello di formazione di un lavoratore minore sia il rischio che il suo posto di lavoro venga sostituito dalle macchine. Non si tratta quindi di temere il futuro del lavoro, ma di avere le competenze giuste per affrontarlo. Se letto in questa ottica lo sviluppo tecnologico, lungi da suggestioni neo-luddiste, è una possibilità per una rinnovata centralità della persona nel mercato e nel luogo di lavoro.


Al contrario senza la costruzione di queste nuove competenze la tecnologia non potrà che distruggere il lavoro, rendendo l’uomo suo schiavo o comunque vittima designata. Questo non significa che molte professioni di oggi non scompariranno, è inevitabile che ciò accada; ma se pensiamo che nella prima metà del diciannovesimo secolo la quasi totalità dei lavoratori erano braccianti agricoli, capiamo che la scomparsa di posti di lavoro non significa che non possano nascerne di nuovi. Certo oggi la sfida è senza precedenti, poiché lo sviluppo tecnologico corre a una velocità che i sistemi economici e sociali non riescono a controllare, in una rincorsa che appare difficile da sostenere.


Ma le nuove competenze non sono unicamente tecniche e specialistiche. Molti dei nuovi lavori oggi richiedono una formazione integrale della persona a 360 gradi, ben oltre le competenze tecniche e di mestiere. Per questo è proprio favorendo la centralità della persona che si può consentirne l’educazione vera: quella educazione che avviene anche attraverso relazioni, con gli altri e con la realtà del mondo del lavoro, e che è all’origine del flusso creativo e innovativo necessario per dominare la tecnologia.


È lo stesso documento pubblicato dal World Economic Forum a ricordare come la tecnologia crei possibilità, che spetta alla società, alla politica e all’impresa decidere se e come accettare e portare avanti. Illudersi che tutto ciò sia possibile solo attraverso nuove regole giuridiche o attraverso tecniche prestabilite non ci porterà lontano. La legge verrà sempre superata dalla realtà e la tecnica diventerà obsoleta in poco tempo.


Di fronte al rischio rappresentato dalla automazione occorre scommettere sulla novità che la persona del lavoratore può sempre portare, e per far questo occorre lasciargli spazio, senza paura. Spesso nel nostro Paese non si è fatto questo, limitandosi a pensare che con qualche intervento normativo si potessero modificare gli scenari economico-sociali, e i risultati non sono stati e non sono particolarmente soddisfacenti. È dunque importante guardare e sostenere gli sforzi e le idee di quegli angoli del mondo del lavoro, sia da parte delle associazioni datoriali, come nel caso della coraggiosa piattaforma di rinnovamento delle relazioni industriali di Federmeccanica, che sindacali, come ad esempio gli sforzi della Fim-Cisl sul ruolo della formazione e del welfare della persona nella nuova manifattura digitale, per cercare insieme e in modo condiviso di non subire il cambiamento, ma di coglierne la grande sfida per il futuro del lavoro.


Non la 'fine del lavoro', dunque. Semmai la nascita di una nuova idea di impresa come formazione sociale entro cui si sviluppano relazioni positive animate da spirito di collaborazione e modelli organizzativi a misura d’uomo.

MaIn
23-01-16, 00:32
Il mondo dei robot: cos?è la quarta rivoluzione industriale e che impatto avrà sul lavoro | Left (http://www.left.it/2016/01/22/davos-quarta-rivoluzione-industriale-ai-robot/)


Il mondo dei robot: cos’è la quarta rivoluzione industriale e che impatto avrà sul lavoro MARTINO MAZZONIS (http://www.left.it/author/martino-mazzonis/) GENNAIO 22ND, 2016 PRIMO PIANO (http://www.left.it/category/primo-piano/), SOCIETÀ (http://www.left.it/category/societa/)

http://www.left.it/wp-content/uploads/2016/01/b-robots-b-20140926-e1453381492628-800x600.jpg (http://www.left.it/wp-content/uploads/2016/01/b-robots-b-20140926-e1453381492628.jpg)
Sota è un piccolo robot Made in Japan, parla, e muove le braccia. Di mestiere fa l’aiuto infermiere: è in grado di misurare la pressione, ricordare ai pazienti quali medicine prendere e a che ora, svolgere altre piccole funzioni accessorie nell’assistenza di routine ai pazienti di una casa di cura per anziani. Palro invece dimostra gli esercizi di ginnastica ai pazienti, può leggere loro le notizie da un tablet e cantare delle canzoncine. I video dimostrativi, le foto dei robot sono carine, divertenti e simpatiche. Il fatto che siano condite dall’estetica giapponese ce li rende divertenti. Sota e Palro sono l’esemplificazione alta 50 centimetri del mondo che verrà. Non sappiamo come sarà, ma sappiamo per certo che il progresso tecnologico prodigioso di questi anni sta cambiando le nostre vite, la società e il modo in cui ci relazioniamo tra noi e con le cose. E che nei prossimi anni assisteremo ad altre novità.
Nel freddo di Davos, in questi giorni, si discute anche e soprattutto di questo. Certo, c’è la preoccupazione enorme per la frenata dell’economia cinese, la caduta del petrolio, il rischio che le paure degli investitori rendano difficile trovare fondi con cui avviare le start-up della Silicon Valley – anche i titoli di giganti in buona salute come Netflix e Facebook hanno perso molto nei giorni passati. Ma un tema su cui gli appartenenti alle elites mondiali di ogni ambito possibile discuteranno è quello che gli organizzatori del World Economic Forum definiscono, in un rapporto titolato The future of Jobs (http://www.weforum.org/reports/the-future-of-jobs), la “Quarta rivoluzione industriale”. Si tratta di un tema grande, e sia Foreign Affairs (https://www.foreignaffairs.com/anthologies/2016-01-01/fourth-industrial-revolution), la più importante rivista di questioni internazionali del pianeta, che il Financial Times (http://www.ft.com/intl/reports/the-world), dedicano degli speciali alla questione proprio in questi giorni di Davos.
Di che parliamo? La quarta rivoluzione industriale è tale, come l’introduzione del vapore, dell’elettricità e dei computer nella produzione perché, scrive Klaus Schwab, direttore esecutivo del WEF su Foreign Affairs (https://www.foreignaffairs.com/articles/2015-12-12/fourth-industrial-revolution), il progresso tecnologico è veloce ed esponenziale come mai in passato, l’impatto della trasformazione riguarda ogni settore industriale e ogni Paese e la portata delle trasformazioni riguarda la produzione, il management, la governance. Il progresso tecnologico, inoltre, abbatte le barriere tra la sfera fisica, digitale e biologica. Ci sono aspetti positivi e negativi in questa quarta rivoluzione industriale: «gli scenari più pessimistici dicono che abbia il potenziale di robottizzare l’umanità, ma potrebbe anche portare l’umanità a una nuova e collettiva coscienza basata su un senso di destino comune. Molto dipende da noi e dai governi», scrive Schwab.
http://www.left.it/wp-content/uploads/2016/01/westworld-poster-cropped.jpg (http://www.left.it/wp-content/uploads/2016/01/westworld-poster-cropped.jpg)
Robot e questioni eticheCome quando passammo dalle campagne alle fabriche o da queste all’automazione e all’economia dei servizi, le questioni che la Quarta rivoluzione industriale apre sono enormi, di ordine economico, sociale e persino etico. Nel nostro banale quotidiano. Se persone come Elon Musk, il padrone di Tesla che vive e guadagna con tecnologie avanzate, mette in guardia sul fatto che l’intelligenza artificiale è «potenzialmente pericolosa più del nucleare», come ci ricorda il Financial Times (http://www.ft.com/intl/cms/s/2/dd328bf4-a25e-11e5-8d70-42b68cfae6e4.html#axzz3xo2XuMaG), c’è di che osservare, studiare, capire e inventare politiche e regole. Facciamo un esempio etico che è quello dell’articolo del FT in cui si parla di Musk: l’auto senza pilota, qualcosa che è molto vicino dal diventare un prodotto di consumo. Mettiamo che un auto senza conducente si trovi di fronte alla scelta di fare un incidente andandosi a schiantare contro un muro, colpendo una bicicletta con a bordo un bambino, scontrandosi con un auto.
Il pilota umano avrà un millesimo di secondo per decidere quale opzione vagliare e si baserà sull’istinto di sopravvivenza o sulla compassione umana (o magari sulla propria età e stato di salute). Cosa farà il computer? Chi lo programma per compiere una scelta del genere? Se il programma compierà sempre la scelta razionale (salvare il contenuto dell’auto che guida), potrebbe fare scelte etiche sbagliate. Dove, come e fino a che punto l’intelligenza artificiale (o la medicina bionica o l’invasione della privacy) deve, può andare? E chi impone regole su temi così enormi? Al momento i governi sembrano più interessati a incentivare qualsiasi cosa sia investimento su un terreno che diventerà di competizione internazionale. Enormi pericoli riguardano il possibile uso aggressivo o malevolo di queste tecnologie: ci sono voluti anni di diplomazia per trovare un accordo sul nucleare civile iraniano che evitasse la possibilità per Teheran di dotarsi di una bomba, decine di questioni simili si porranno su molti dei progressi portati dalla Quarta rivoluzione industriale: dall’uso dei Big Data alla questione dei rischi legati alla dipendenza dalle macchine. (continua sotto la scheda)


Come cambierà il lavoro da qui al 2020? Cosa dice “The future of jobs”

Il rapporto è il frutto di una ricerca che ha interpellato manager di imprese che impiegano 15 milioni di persone, nelle 15 economie più importanti del Pianeta e nove settori industriali, sostiene che i cambiamenti legati all’intelligenza artificiale, nanotecnologie, stampanti 3D, genetica e biotecnologia determineranno da qui al 2020 la perdita di 5 milioni di posti di lavoro.
Anzi, per la precisione i posti persi saranno 7,1 milioni, ma in alcuni settori industriali (computer, ingegneria, matematica, architettura, servizi professionali, Media & Entertainement) se ne guadagneranno 2,1 milioni.
I posti persi saranno in ambienti white collar: banche, finanza, sanità.
Le donne subiranno il contraccolpo peggiore perché più spesso impiegate nelle occupazioni destinate a essere rimpiazzate dalla Quarta rivoluzione industriale e soprattutto dalla poca presenza nei settori destinati a crescere (notoriamente nella silicon valley non ci sono donne o quasi).
Dal punto di vista geografico, i Paesi in cui l’occupazione aumenterà sono quelli dell’Asean, Messico, Stati Uniti e Regno Unito, dove, sostengono i ricercatori, per ragioni ovviamente diverse e in stadi di sviluppo diversi, la formazione dei lavoratori sui settori destinati a produrre nuova occupazione è più avanzata. Turchia, Cina, India e Italia sono tra le grandi economie che richiederanno un maggiore re-training per la forza lavoro inadeguata.



E cosa succederà al lavoro?Nella scheda qui sopra ci sono le previsioni per i prossimi anni contenute nel rapporto del World Economic Forum. Torniamo ai due piccoli robot giapponesi: quante assistenti infermiere e assistenti domiciliari smetteranno di lavorare per causa loro? E quanti autisti di autobus, camion, treno, hostess e steward di aerei verranno rispediti a casa? La digitalizzazione dei servizi finanziari e bancari ha già reso desuete le agenzie bancarie alle quali siamo abituati. E un’enorme massa di bancari.
http://www.left.it/wp-content/uploads/2016/01/p21-hooper-robot-b-20150215-1024x697.jpg (http://www.left.it/wp-content/uploads/2016/01/p21-hooper-robot-b-20150215-e1453381444969.jpg)
Le analisi sul futuro del lavoro divergono. Chi è più sereno su questi temi ci spiega che grida di dolore e spavento sul futuro del lavoro si sono ascoltate ad ogni passaggio tecnologico epocale, dalla spinning jenny – la spoletta meccanica che ha cambiato il modo di produrre nel tessile – alla robotizzazione dei primi anni 80. Eppure l’occupazione non è crollata. Altri, come gli economisti del Massachusetts Institute of Technology, Erik Brynjolfsson e Andrew McAfee, autori di Race against the machine (http://raceagainstthemachine.com/) eThe second machine age (http://secondmachineage.com/about-2ma/), restano ottimisti, ma ci ricordano che la rivoluzione tecnologica produrrà anche un aumento potenziale delle diseguaglianze, renderà desuete molte mansioni oggi affidate ai colletti bianchi stravolgendo il mercato del lavoro e, come ha scritto Martin Wolf, «creare una divisione tra coloro che possiedono i robot e gli altri, qualcosa di simile a quanto capitò tra proprietari terrieri e i contadini senza terra». Una lettura confermata in un libro bianco di UBS (https://www.ubs.com/global/en/about_ubs/follow_ubs/highlights/davos-2016.html) pubblicato anch’esso in occasione di Davos: che prevede una probabile polarizzazione della forza lavoro, nella quale i più ricchi e connessi diventeranno rapidamente più ricchi. «Coloro nella posizione migliore dal punto di vista delle competenze per sfruttare l’automazione e laconnettività, che in genere hanno già elevati tassi di risparmio, potranno beneficiare del fatto di possedere più beni il cui valore sarà spinto verso l’alto dalla quarta rivoluzioneindustriale», si dice nel rapporto.
Gli anni seguiti alla crisi finanziaria del 2008 hanno contribuito ad un aumento delle diseguaglianze nel pianeta e nelle società a capitalismo avanzato. Le tecnologie – che pure possono essere strumenti di avanzamento su mille fronti, a partire dal cambiamento climatico – accompagnano e accelerano questo processo aumentando la ricchezza di investitori e portatori di saperi collocati nei gradini alti del mercato del lavoro e tutti gli altri. In altre rivoluzioni industriali i cambiamenti hanno prodotto sconquassi nella società e generato risposte politiche (i sindacati, il welfare, le regole). In passato ci sono voluti decenni e passaggi traumatici non da poco. Stavolta le cose sono andate a una velocità enorme e sarà il caso di ragionare, osservare e governare questi processi. Si tratta di una delle grandi sfide dei prossimi anni. Non dei prossimi decenni.
@minomaz (https://twitter.com/minomazz)

Gdem88
26-01-16, 19:53
i-alca Maestrale