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Visualizza Versione Completa : 1472; Danni incalcolabili ai turchi. La storia del primo incursore Italiano...



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05-07-10, 15:01
Antonello da Messina 1472
di Pietro Faggioli

Pregasi riferire quello che si sta facendo per emulare le imprese degli italiani nel Porto di Alessandria. Vi sono ragioni per le quali noi non siamo capaci di dimostrare lo stesso tipo di aggressività scientifica che hanno dimostrato gli italiani?
A me sembra che avremmo dovuto essere noi a dare l’esempio.

(PRO PREM 23/3561 - Lettera del 18 Gennaio 1942 inviata da Wiston Churchill al generale Sir Hastings Hismay)


Questi chiari concetti, espressi il 18 gennaio 1942 da Wiston Churchill, furono, molto probabilmente, espressi anche nel febbraio 1472 dal sultano Mehemed II quando gli furono riferiti i danni arrecati alla sua flotta, al suo arsenale, da un pugno di italiani coraggiosi. Tanto tempo fa, un altro luogo, un altro momento, la stessa determinazione.
La caduta nel 1453 di Costantinopoli e la fine dell’impero Bizantino crearono un’enorme ondata di commozione in tutta Europa. In alcuni staterelli italiani vi fu invece, in realtà, soddisfazione per il danno che la conquista ottomana avrebbe certamente arrecato al commercio ed al predominio veneziano in Levante.
A Firenze ci si fregava le mani; a Napoli gli Aragonesi progettavano di soppiantare Venezia nel controllo dell’Adriatico. Genova, non ci si rendeva conto che le future mosse del Sultano sarebbero state quelle di impadronirsi dei fondaci del Mar Nero, dell’Asia Minore, dell’Egeo. Si scrivevano addirittura lettere a Mehemed II (1) per complimentarsi sulla «victoriam maximam et clarissimam». Un colto umanista senese, Enea Silvio Piccolomini, diventò Papa Pio II e si rese conto della pericolosità dell’atteggiamento egoista degli Stati Italiani davanti al pericolo turco e pensò a una nuova crociata. Fu indetta una dieta a Mantova ove fu preso atto della diffidenza e delle riserve della Repubblica di Venezia. Il concetto della politica della Serenissima era sempre lo stesso: per affrontare il Turco bisognava mettere in piedi una grande alleanza e svolgere un’azione completa e coordinata; in caso contrario era più conveniente non far nulla e restare fermi nei patti stipulati. Nel 1462 a Pasquale Malipiero, successe, come Doge, Cristoforo Moro che fu convinto alla necessità di far qualche cosa in Oriente.
I Turchi avevano occupato la Valacchia e la Moldavia, l’odierna Romania; conquistato la Bosnia e le loro truppe erano riuscite finalmente a piegare Skandemberg iniziando la sottomissione dell’odierna Albania, della Croazia, della Stiria. A far precipitare la situazione provvidero comunque gli stessi turchi che occuparono, rompendo i trattati stabiliti con la pace del 1454, la piazzaforte veneziana di Argo in Grecia. e iniziarono una campagna offensiva contro i veneziani che sfociò in una guerra lunga ben sedici anni. Come al solito Venezia si trovò a dover contare soltanto sulle proprie forze che erano già abbondantemente indebolite da oltre trenta anni di espansionismo continentale (2). L’anno 1463 è l’anno della guerra con il Turco. Con la consueta visione globale dei problemi vennero inviati ambasciatori presso tutti i potenziali alleati, perfino in Persia, ove lo Scià Hzun Hassan venne convinto ad associarsi all’impresa di sconfiggere Mehemed II. Sarà un alleato vero, sincero e capace di combattere e di vincere. Dal Pontefice venne indetta la famosa crociata, le forze si ritrovarono nel Porto di Ancona, quando si contarono risultarono presenti solo otto galee della Chiesa e ventiquattro di Venezia. Assenti tutti i principi italiani, inoltre mancavano le truppe del Duca di Borgogna e le navi del Re di Francia. Il Doge era vecchio e non volle neanche sentir parlare di imbarcarsi; Pio II morì dopo pochi giorni ed i cardinali rientrarono a Roma, per il conclave, con tre galee. E Venezia dovette cavarsela da sola; furono costruite torri per bloccare l’istmo di Corinto, venne conquistata Atene e la fortezza di Modene. Invece, raccontavano le spie, il Sultano preparava la guerra sul mare: duecento vele già pronte e, sugli scali, oltre cento galee. Gli informatori comunicarono che nel 1468 l’obbiettivo del nemico sarà la conquista di una delle colonie più floride e redditizie per Venezia: Negroponte (Eubea).
Visto che i turchi «provvedono a quel che bisogna senza alcun sparagno» consigliarono di armare subito una flotta di almeno settanta galee, molto ben armate ed equipaggiate. Il sopracomito Girolamo Longo, vide uscire la flotta nemica dai Dardanelli e relazionò: «il mare parve un bosco, altamente Negroponte sta in pericolo e, se si perde, tutto lo Stato del Levante, fin ad Istria, sarà con esso perduto». Purtroppo, in quel momento, il Capitan General da Mar era Nicolò da Canal, un distinto diplomatico «più atto a levar libri che a governar le cose del mar» (3). Si era al 14 giugno 1468 ed il 20 l’esercito turco, comandato personalmente da Mehemed II, sbarcò a Skiatos e pose l’assedio alla capitale Negroponte (4). La città fu difesa dal bailo Paolo Erizzo, un uomo molto coraggioso che contava su un’azione molto decisa della flotta veneziana che alleggerisse la situazione. Effettivamente la flotta veneta si affacciò cautamente al mare della capitale ma al comandante Da Canal mancò il fegato e si ostinò a rifiutare il combattimento nonostante le disperate richieste d’aiuto che arrivavano dalla città assediata. Le galere di Rodi e quelle del Re di Cipro volevano attaccare la flotta turca, ma egli, essendo il comandante in capo della flotta, rifiutò il permesso. Gli disobbedì soltanto un sopra comito e non patrizio, Antonio Ottobon, che attaccò da solo, fu subito affrontato dai turchi e costretto a ritirarsi. I turchi riuscirono a penetrare in Negroponte la mattina del 12 luglio ed iniziarono il massacro; quasi tutti gli uomini furono uccisi, il resto della popolazione condotta a Istambul per il mercato degli schiavi, Paolo Erizzo fu segato vivo. Appena giunta la notizia a Venezia, fu tolto il comando (ed incriminato, per la sua condotta) al Da Canal e, il comando delle operazioni fu trasferito a Pietro Mocenigo.
Per assistere il nuovo Capitan da Mar furono delegati due uomini particolarmente esperti in cose di mare: Luigi Bembo e Marin Malipiero. Mentre Mehemed II si preparava a combattere l’alleato di Venezia Hzun Hassan, il re di Persia, lasciato un esercito d’occupazione a Negroponte la flotta turca rientrò ai Dardanelli ove fu sfidata parecchie volte dal Mocenigo ma essa non accettò il combattimento e rimase agli approdi; allora le coste dell’Anatolia furono meta e teatro delle successive imprese. Hzun Hassan, l’alleato persiano, fece sapere che cavalleria abile nella lancia, nella spada e nell’arco, ne aveva a sufficienza ma gli mancava tutto ciò che era necessario per battere il nemico da lontano e per conquistare le città; richiese, con urgenza, agli alleati d’Occidente, dell’artiglieria con le relative munizioni (5).


Armata turca
(Museo Correr, Venezia)




Venezia, Anonimo
(Museo Condè)





Riproduzione di un ritratto del sultano Mehemed, ripresa da un testo conservato presso il Museo Correr di Venezia





Istanbul, quadro di G. Bellini presso il Museo del Louvre, Parigi





Galea (M.F. Levanto)

Purtroppo però, appena Venezia racimolò tutto e fu pronta a consegnare il materiale richiesto ed a sbarcarlo in un posto adatto e sicuro della costa siriana o della Caramania (per mezzo di Giosafat Barbaro, esperto dei rapporti su cose orientali) era ormai troppo tardi poiché la fortuna delle armi aveva abbandonato il signore del Montone Bianco (6).
Ed anche il momento adatto per colpire la flotta turca e vibrare un colpo decisivo (in quel momento erano disponibili fuori dal Bosforo 85 galee: 48 veneziane, 18 del Papa, 17 del Re di Napoli e 2 dei Cavalieri di Rodi); la flotta si dedicò a operazioni di pirateria contro le coste della Licia, della Caria e della Cilicia. Nel 1472 fu investita la città di Satalia (Caramania) che però non cadde e furono messe a ferro e fuoco le piazzeforti dell’Anatolia. Il 13 settembre 1472 fu saccheggiata Smirne. Mai forse si era presentata un’occasione più favorevole per dare un colpo mortale all’impero di Mehemed II come negli anni 1472 e 1473. Essi purtroppo trascorsero senza che la cristianità si accorgesse di questo vantaggio e certamente la colpa maggiore fu di Venezia, la cui flotta non osò affrontare un incontro decisivo con il nemico.
Dalla battaglia di Gallipoli (29 maggio 1416) fino alla battaglia di Lepanto (7 ottobre 1571), cioè per oltre un secolo e mazzo, gli ottomani non vennero mai vinti sul mare. Il Mocenigo non era sicuro di se, della sua flotta e delle sue truppe ed invece di scuotersi per dare una piega decisiva alla lotta della Croce contro la Mezzaluna titubò. Egli sperò in un colpo di fortuna che lo agevolasse nella lotta senza quartiere contro Mehemed II, il Conquistatore. Fu cosi che egli accettò l’offerta di un’azione rischiosa, proposta da un Siciliano, un certo Antonello nativo di Messina. Egli era stato fatto prigioniero dai turchi al momento della conquista di Negroponte, ridotto in schiavitù, e fuggito si dichiarava disposto e pronto a far saltare in aria l’arsenale turco sito nei pressi di Gallipoli, che Mehemed II aveva fatto recentemente fortificare. Intendeva poi bruciare la flotta del Sultano. Si sapeva che nei magazzini dell’arsenale erano custoditi gli armamenti di oltre trecento galere assieme ad una grande quantità di materiali infiammabili.
Antonello conosceva l’obbiettivo poiché vi aveva lavorato e chiese soltanto una piccola barca e sei compagni fidati. Appena ottenuta l’autorizzazione dal Mocenigo, furono caricati, sulla piccola barca, i materiali più adatti per appiccare un incendio. Furono nascosti con un carico di arance disposto in modo da nascondere gli arnesi, diciamo, da lavoro. Nella giornata del 13 febbraio 1472 egli riuscì ad entrare, inosservato, nei Dardanelli e appena scese la notte, penetrò nell’Arsenale. Assieme ai compagni riuscì a forzare le porte di quindici magazzini, appiccò gli incendi, spalancò porte e finestre per alimentare con le correnti d’aria le fiamme. Poi, risalì sulla sua piccola barca coi compagni, per andare ad incendiare la flotta nemica. Intanto l’incendio aveva assunto proporzioni inimmaginabili e le scintille, portate dal vento, raggiunsero la vela della barca di Antonello che prese fuoco. Anche un sacchetto di polvere prese fuoco e la fiammata sul mare rivelò, ai Turchi, la presenza di un nemico. Allora i componenti il commando si gettarono nella vicina costa, raggiunsero la spiaggia e cercarono rifugio in un boschetto. Furono subito individuati, catturati e uno di loro fu ucciso nel breve combattimento. Antonello e cinque superstiti furono trascinati al cospetto dello stesso Mehemed II. Senza tortura egli si dichiarò responsabile dell’incendio ed esternò il suo disprezzo per il Sultano. Il suo fiero comportamento suscitò l’ammirazione di Mehemed II, che comunque diede l’ordine di decapitare immediatamente Antonello ed i suoi cinque compagni (7.)
L’incendio dell’Arsenale di Gallipoli si protrasse per ben 10 giorni senza che nessuno riuscisse ad arginarlo; il danno complessivo fu valutato in oltre 100.000 ducati d’oro. Mentre Venezia provvedeva a munifiche donazioni su Messina per gli eredi (8) ed i famigliari degli sfortunati incursori, il riuscito colpo di mano non fu sfruttato adeguatamente.
La flotta cristiana presidiava i Dardanelli; il grosso incendio, i danni inflitti da quei valorosi alla flotta ottomana avrebbero certamente facilitato un improvviso attacco agli Stretti. A Venezia, Girolamo da Mula, cercò di far approvare ai Cinque Savi la proposta di ordinare al Mocenigo la conquista di Istambul. Fu perfino proposto ed approvato un piano che possiamo definire pazzesco: il Capitano Generale doveva far approdare una nave carica con due o trecento botti, ripiene di polvere e materiale infiammabile all’ingresso degli Stretti. La nave doveva essere portata ad arenarsi proprio sotto il castello all’ingresso dei Dardanelli (noto come «Castello di Grecia») e quindi incendiata. A Venezia si supponeva, anzi fu immaginato, che il calore sprigionato avrebbe fatto siche le polveri, immagazzinate nelle polveriere sotterranee, sarebbero esplose per autocombustione. Ed i cristiani avrebbero invaso l’Ellesponto senza ostacoli in quanto i Turchi, con il castello crollato e la vista annebbiata dal fumo non sarebbero stati in grado di opporre un’adeguata difesa. Per fortuna gli ordini relativi a questo progetto giunsero a Pietro Mocenigo soltanto il 24 luglio 1472, ne prese atto e lasciò cadere tutto nel dimenticatoio. La guerra andava male: i Turchi erano arrivati nel Friuli e lo stavano mettendo a ferro e fuoco giungendo fin sotto le mura di Udine. Venezia cercò di reagire: furono riscattati il maggior numero possibile di schiavi dei Turchi, furono elargite pensioni a vedove e orfani; furono introdotte nuove misure fiscali durissime e draconiane riduzioni degli stipendi, in terra e in mare.
Nel 1474, la maggior base veneziana in Adriatico, Scutari (Albania), piazzaforte tra la Drina e la Boiana, venne assediata da un esercito Turco di 80.000 uomini e, per fortuna resistette bravamente.
Alla fine dell’anno, Mehemed II aprì un canale diplomatico proponendo la pace. Fu subito inviato a Costantinopoli Girolamo Zorzi, un profondo conoscitore dell’universo mussulmano. Le trattative durarono ben dieci mesi e non sortirono in nulla. Allora i Turchi occuparono Caffa (di Genova), Tana e Soldaia (di Venezia), centri commerciali ove affluivano tutti i prodotti dell’Asia e del Caucaso. In Albania cadde, dopo lunghissimi assedi la città di Kruja, la capitale. Nel 1478, Mehemed II portò un nuovo assedio a Scutari che, di nuovo, riuscì a resistere (9). Il 25 gennaio 1479 fu, infine, firmata la pace: Venezia perdette definitivamente Negroponte e le Sporadi, Lemno, l’Argolide ed una grossa fetta dell’Albania. Per poter continuare i suoi traffici in Mar Nero dovette corrispondere, alla Sublime Porta, un tributo annuo di diecimila ducati oro ed una definitiva rinuncia a Scutari. E, del buon Antonello, nessuno parlò più.

NOTE

1 – Mehemed II (Maometto II), nato 1430 e morto 1481, e detto El Fatih (il Conquistatore) oppure Humkar (l’assetato di sangue), fu sultano Ottomano; figlio di Murad II, ebbeå il potere nel 1451 alla morte del padre. Conquistò Costantinopoli, il Peloponneso, Trebisonda, Mitileneå, Negroponte, parte dell’Albania, la Serbia e le colonie genovesi della Crimea. Morì improvvisamente nel 1481 mentre preparava l’invasione dell’Italia.
2 – Era stata creata una fascia di rispetto alle spalle del dominio lagunare che comprendeva la Marca Trevigiana, Padova, Vicenza, Verona, Belluno, Feltre, il Cadore, il Friuli, Bergamo, Brescia, Crema ed inoltre Rovereto e Ravenna.
3 – Come ricordato da Marino Sanudo.
4 – Odierna Chalkis.
5 – «e ghe se stà consegnando da presentar a quel Re, argenti lavoradi per 4.000 ducati; pani d’oro de più colori per 4.000 ducati; pani de seta per 4.000 ducati; pani de lana de più colori per 10.000 ducati; che fa in tutto 22.000 ducati; 6 bombarde grosse che pesa 400 lire; 10 bombarde de reparo che pese 500 lire; 200 spingarde de bronzo e de fero; 10.000 schiopeti; 3.000 pali de fero; 3.000 baili da guastadori; 2.000 zappe; 1.000 schiopeteri; 2 ingegneri e 2 tagliapiera. Tutte queste cose è stà condote in Cipro, e da là in Armenia». Lettera inviata da Chatharin Zen, Ambasciatore in Persia, ad Andrea Correr, Bailo in Cipro, il 9 ottobre 1472.
6 – La battaglia tra l’esercito Turco, guidato personalmente da Mehemed II, e l’esercito Persiano di Hzun Hassam, si combatté presso Tergian ed i persiani ottennero la vittoria ma il Signore del Montone Bianco (come veniva chiamato) non riuscì a sfruttarla per il sopraggiungere della notte. Fu poi combattuta un’altra battaglia a Baskent. Il risultato fu disastroso per i persiani e Hzun Hassam fuggi rifugiandosi ad Est e, suo figlio Sejnel, vi perse la vita.
7 – Un Sicilian, giovine virtuoso e de gran cuor, è andà a trovar el General Mocenigo, e s’ha offerto de brusar l’arsenal e l’armada del Turco. El General ghe parse ghe la cosa podesse reussir, e l’abbrazzò, e ghe fece proveder de tutto quel che bisognava; ghe armò un gripo, ghe dete 6 homeni, che ‘l se avea eletto; ghe dete polvere, solfere, rasa, e altra materia da fuogo: e carcade tutte queste cose nel gripo, con gran copia de naranze (arance), montò su, e andò a i Dardaneli; fece i so presenti, e andò verso Costantinopoli; e giunse a Galipoli a’ 20 de Fevrer, la note del Sabato; e smontò in terra con 5 homeni, che portava in spale un saco per uno, e giunse al seraglio dell’artelarie, onde era la munizion delle galie; rompè le porte, averse le seraure con tenage e con vide,e intrò con i suoi compagni in 15 magazeni, che i no fu sentidi: aprì le fenestre per dar esito al fuego, e messe per ogni magazen un canal de ferro, in forma de gorna, e lo empì de polvere de bombarda; e in testa d’esso canal messe un saco della medema polvere appresso le sartie, le vele e le artelarie; dete più volte fuego; e perchè la polvere era fatta humida in viazo, non se accese. In un magazen di mezo, dove era filadi della sartia, gran quantità de pegola, et de sevo, se accese grandissima fiama, e molti concorse per estinguerla. El Sicilian era ancora col fuogo in man, e con dissegno de impizar fuego in le galie, fin che i Turchi attendeva a estinguer quello de i magazeni: andò nel so gripo, ma la cosa no ghe successe; perché ‘l fuogo ghe cascò in un saco de polvere, e se brusò la vela, l’alboro e l’antena: e per el fuogo che se vedeva da lontan, dubitò d’esser discoverto; e dete in terra su la Turchia, e fondò ‘l gripo. El Subassì promesse gran premii e chi prendesse e ghe desse in man i authori dell’incendio. E ‘l Sicilian, el qual se chiamava Antonelo, fu trovado ne i boschi con i compagni; e un d’essi, defendendose, fo amazado; i altri fu conduti a la Porta: e Antonelo confessò alla presenza del Signor Turco, senza tormento, che l’era quello, che de comandamento del General haveva impizà ‘l fuogo; e soggiunse con gran anemo, che tutti i homeni da ben doverave perseguitarlo, perchè l’è la peste del mondo, ha spogiato tutti i Signori si visini de i so stadi senza alcuna causa, non ha mai osservado la fede a nessun, e cercar de destruzzer el nome de Christo; e che per tal causa lui s’ha messo in anemo de tentar quel che l’ha tentato. El Signor Turco aldì con gran admirazion e pazienza le so parole, e poi diede ordene che ghe fosse tagià la testa, insieme con i sui compagni. L’incendio durò 10 zorni, che ‘l no se potè estinguer; e fo giudicado che ‘l danno havesse importà 100,000 ducati. (Da Malipiero – Annali vaneti – Anno 1472)
8 – « A dì ditto fo preso dar aiudo a do fratelli di Antonello di Sicilia, qual andò con li compagni a metter fuego in la monicion et arsenal di Garipoli, fo morto crudelmente da’ Turchi, zoé duchati 1000 si mandi a Messina a investir in possession, sia le entrade soe e dei’ sui eriedi in perpetuo, item a una sorella duchati 1500 etiam in possession in parte venendo abitar qui habi provision et casa di bando.» (Da Marin Sanudo il Giovane).
9 – Le artiglierie Turche batterono la città con proiettili da 1.200 libbre; cannoni speciali vennero addirittura fusi sul posto e quando, il 22 luglio 1478, dopo un mese d’assedio fu sferrato l’attacco generale, la città guidata da Antonio de Lezze resistette bravamente nonostante che Mehemed II facesse sparare contemporaneamente ben undici cannoni contro una delle porte, massacrando i suoi stessi uomini assieme agli ostinati difensori.

Bibliografia

Malipiero – Annali veneti.
Alvise Zorzi – La Repubblica del Leone – Storia di Venezia.
Franz Babinger – Maometto il Conquistatore – Giulio Einaudi editore – 1957.
Archivio Storico Italiano – La Storia D’Italia – Tomo VII – Parte I – Firenze 1843.
Marin Sanudo il Giovane – Le vite dei Dogi, 1423-1474 – Venezia 2004.
Cappelletti G. – Storia della Repubblica di Venezia – Venezia 1850-1855.
E. Eickhoff – Venedig, Wien und die Osmanen – Ed. Rusconi – 1991


http://www.marina.difesa.it/editoria/rivista/rivista/2006/aprile/art04.asp

giacomo
28-02-11, 23:26
La caduta nel 1453 di Costantinopoli e la fine dell’impero Bizantino crearono un’enorme ondata di commozione in tutta Europa. In alcuni staterelli italiani vi fu invece, in realtà, soddisfazione per il danno che la conquista ottomana avrebbe certamente arrecato al commercio ed al predominio veneziano in Levante.
A Firenze ci si fregava le mani; a Napoli gli Aragonesi progettavano di soppiantare Venezia nel controllo dell’Adriatico. Genova, non ci si rendeva conto che le future mosse del Sultano sarebbero state quelle di impadronirsi dei fondaci del Mar Nero, dell’Asia Minore, dell’Egeo.

Vorrei ricordare come sia Venezia con Girolamo Minotto che Genova con Giovanni Giustiniani Longo rimasero a difendere Costantinopoli fino all'ultimo respiro.

occidentale
03-03-11, 01:48
Antonello da Messina 1472
di Pietro Faggioli

Pregasi riferire quello che si sta facendo per emulare le imprese degli italiani nel Porto di Alessandria. Vi sono ragioni per le quali noi non siamo capaci di dimostrare lo stesso tipo di aggressività scientifica che hanno dimostrato gli italiani?
A me sembra che avremmo dovuto essere noi a dare l’esempio.

(PRO PREM 23/3561 - Lettera del 18 Gennaio 1942 inviata da Wiston Churchill al generale Sir Hastings Hismay)


Questi chiari concetti, espressi il 18 gennaio 1942 da Wiston Churchill, furono, molto probabilmente, espressi anche nel febbraio 1472 dal sultano Mehemed II quando gli furono riferiti i danni arrecati alla sua flotta, al suo arsenale, da un pugno di italiani coraggiosi. Tanto tempo fa, un altro luogo, un altro momento, la stessa determinazione.
La caduta nel 1453 di Costantinopoli e la fine dell’impero Bizantino crearono un’enorme ondata di commozione in tutta Europa. In alcuni staterelli italiani vi fu invece, in realtà, soddisfazione per il danno che la conquista ottomana avrebbe certamente arrecato al commercio ed al predominio veneziano in Levante.
A Firenze ci si fregava le mani; a Napoli gli Aragonesi progettavano di soppiantare Venezia nel controllo dell’Adriatico. Genova, non ci si rendeva conto che le future mosse del Sultano sarebbero state quelle di impadronirsi dei fondaci del Mar Nero, dell’Asia Minore, dell’Egeo. Si scrivevano addirittura lettere a Mehemed II (1) per complimentarsi sulla «victoriam maximam et clarissimam». Un colto umanista senese, Enea Silvio Piccolomini, diventò Papa Pio II e si rese conto della pericolosità dell’atteggiamento egoista degli Stati Italiani davanti al pericolo turco e pensò a una nuova crociata. Fu indetta una dieta a Mantova ove fu preso atto della diffidenza e delle riserve della Repubblica di Venezia. Il concetto della politica della Serenissima era sempre lo stesso: per affrontare il Turco bisognava mettere in piedi una grande alleanza e svolgere un’azione completa e coordinata; in caso contrario era più conveniente non far nulla e restare fermi nei patti stipulati. Nel 1462 a Pasquale Malipiero, successe, come Doge, Cristoforo Moro che fu convinto alla necessità di far qualche cosa in Oriente.
I Turchi avevano occupato la Valacchia e la Moldavia, l’odierna Romania; conquistato la Bosnia e le loro truppe erano riuscite finalmente a piegare Skandemberg iniziando la sottomissione dell’odierna Albania, della Croazia, della Stiria. A far precipitare la situazione provvidero comunque gli stessi turchi che occuparono, rompendo i trattati stabiliti con la pace del 1454, la piazzaforte veneziana di Argo in Grecia. e iniziarono una campagna offensiva contro i veneziani che sfociò in una guerra lunga ben sedici anni. Come al solito Venezia si trovò a dover contare soltanto sulle proprie forze che erano già abbondantemente indebolite da oltre trenta anni di espansionismo continentale (2). L’anno 1463 è l’anno della guerra con il Turco. Con la consueta visione globale dei problemi vennero inviati ambasciatori presso tutti i potenziali alleati, perfino in Persia, ove lo Scià Hzun Hassan venne convinto ad associarsi all’impresa di sconfiggere Mehemed II. Sarà un alleato vero, sincero e capace di combattere e di vincere. Dal Pontefice venne indetta la famosa crociata, le forze si ritrovarono nel Porto di Ancona, quando si contarono risultarono presenti solo otto galee della Chiesa e ventiquattro di Venezia. Assenti tutti i principi italiani, inoltre mancavano le truppe del Duca di Borgogna e le navi del Re di Francia. Il Doge era vecchio e non volle neanche sentir parlare di imbarcarsi; Pio II morì dopo pochi giorni ed i cardinali rientrarono a Roma, per il conclave, con tre galee. E Venezia dovette cavarsela da sola; furono costruite torri per bloccare l’istmo di Corinto, venne conquistata Atene e la fortezza di Modene. Invece, raccontavano le spie, il Sultano preparava la guerra sul mare: duecento vele già pronte e, sugli scali, oltre cento galee. Gli informatori comunicarono che nel 1468 l’obbiettivo del nemico sarà la conquista di una delle colonie più floride e redditizie per Venezia: Negroponte (Eubea).
Visto che i turchi «provvedono a quel che bisogna senza alcun sparagno» consigliarono di armare subito una flotta di almeno settanta galee, molto ben armate ed equipaggiate. Il sopracomito Girolamo Longo, vide uscire la flotta nemica dai Dardanelli e relazionò: «il mare parve un bosco, altamente Negroponte sta in pericolo e, se si perde, tutto lo Stato del Levante, fin ad Istria, sarà con esso perduto». Purtroppo, in quel momento, il Capitan General da Mar era Nicolò da Canal, un distinto diplomatico «più atto a levar libri che a governar le cose del mar» (3). Si era al 14 giugno 1468 ed il 20 l’esercito turco, comandato personalmente da Mehemed II, sbarcò a Skiatos e pose l’assedio alla capitale Negroponte (4). La città fu difesa dal bailo Paolo Erizzo, un uomo molto coraggioso che contava su un’azione molto decisa della flotta veneziana che alleggerisse la situazione. Effettivamente la flotta veneta si affacciò cautamente al mare della capitale ma al comandante Da Canal mancò il fegato e si ostinò a rifiutare il combattimento nonostante le disperate richieste d’aiuto che arrivavano dalla città assediata. Le galere di Rodi e quelle del Re di Cipro volevano attaccare la flotta turca, ma egli, essendo il comandante in capo della flotta, rifiutò il permesso. Gli disobbedì soltanto un sopra comito e non patrizio, Antonio Ottobon, che attaccò da solo, fu subito affrontato dai turchi e costretto a ritirarsi. I turchi riuscirono a penetrare in Negroponte la mattina del 12 luglio ed iniziarono il massacro; quasi tutti gli uomini furono uccisi, il resto della popolazione condotta a Istambul per il mercato degli schiavi, Paolo Erizzo fu segato vivo. Appena giunta la notizia a Venezia, fu tolto il comando (ed incriminato, per la sua condotta) al Da Canal e, il comando delle operazioni fu trasferito a Pietro Mocenigo.
Per assistere il nuovo Capitan da Mar furono delegati due uomini particolarmente esperti in cose di mare: Luigi Bembo e Marin Malipiero. Mentre Mehemed II si preparava a combattere l’alleato di Venezia Hzun Hassan, il re di Persia, lasciato un esercito d’occupazione a Negroponte la flotta turca rientrò ai Dardanelli ove fu sfidata parecchie volte dal Mocenigo ma essa non accettò il combattimento e rimase agli approdi; allora le coste dell’Anatolia furono meta e teatro delle successive imprese. Hzun Hassan, l’alleato persiano, fece sapere che cavalleria abile nella lancia, nella spada e nell’arco, ne aveva a sufficienza ma gli mancava tutto ciò che era necessario per battere il nemico da lontano e per conquistare le città; richiese, con urgenza, agli alleati d’Occidente, dell’artiglieria con le relative munizioni (5).


Armata turca
(Museo Correr, Venezia)




Venezia, Anonimo
(Museo Condè)





Riproduzione di un ritratto del sultano Mehemed, ripresa da un testo conservato presso il Museo Correr di Venezia





Istanbul, quadro di G. Bellini presso il Museo del Louvre, Parigi





Galea (M.F. Levanto)

Purtroppo però, appena Venezia racimolò tutto e fu pronta a consegnare il materiale richiesto ed a sbarcarlo in un posto adatto e sicuro della costa siriana o della Caramania (per mezzo di Giosafat Barbaro, esperto dei rapporti su cose orientali) era ormai troppo tardi poiché la fortuna delle armi aveva abbandonato il signore del Montone Bianco (6).
Ed anche il momento adatto per colpire la flotta turca e vibrare un colpo decisivo (in quel momento erano disponibili fuori dal Bosforo 85 galee: 48 veneziane, 18 del Papa, 17 del Re di Napoli e 2 dei Cavalieri di Rodi); la flotta si dedicò a operazioni di pirateria contro le coste della Licia, della Caria e della Cilicia. Nel 1472 fu investita la città di Satalia (Caramania) che però non cadde e furono messe a ferro e fuoco le piazzeforti dell’Anatolia. Il 13 settembre 1472 fu saccheggiata Smirne. Mai forse si era presentata un’occasione più favorevole per dare un colpo mortale all’impero di Mehemed II come negli anni 1472 e 1473. Essi purtroppo trascorsero senza che la cristianità si accorgesse di questo vantaggio e certamente la colpa maggiore fu di Venezia, la cui flotta non osò affrontare un incontro decisivo con il nemico.
Dalla battaglia di Gallipoli (29 maggio 1416) fino alla battaglia di Lepanto (7 ottobre 1571), cioè per oltre un secolo e mazzo, gli ottomani non vennero mai vinti sul mare. Il Mocenigo non era sicuro di se, della sua flotta e delle sue truppe ed invece di scuotersi per dare una piega decisiva alla lotta della Croce contro la Mezzaluna titubò. Egli sperò in un colpo di fortuna che lo agevolasse nella lotta senza quartiere contro Mehemed II, il Conquistatore. Fu cosi che egli accettò l’offerta di un’azione rischiosa, proposta da un Siciliano, un certo Antonello nativo di Messina. Egli era stato fatto prigioniero dai turchi al momento della conquista di Negroponte, ridotto in schiavitù, e fuggito si dichiarava disposto e pronto a far saltare in aria l’arsenale turco sito nei pressi di Gallipoli, che Mehemed II aveva fatto recentemente fortificare. Intendeva poi bruciare la flotta del Sultano. Si sapeva che nei magazzini dell’arsenale erano custoditi gli armamenti di oltre trecento galere assieme ad una grande quantità di materiali infiammabili.
Antonello conosceva l’obbiettivo poiché vi aveva lavorato e chiese soltanto una piccola barca e sei compagni fidati. Appena ottenuta l’autorizzazione dal Mocenigo, furono caricati, sulla piccola barca, i materiali più adatti per appiccare un incendio. Furono nascosti con un carico di arance disposto in modo da nascondere gli arnesi, diciamo, da lavoro. Nella giornata del 13 febbraio 1472 egli riuscì ad entrare, inosservato, nei Dardanelli e appena scese la notte, penetrò nell’Arsenale. Assieme ai compagni riuscì a forzare le porte di quindici magazzini, appiccò gli incendi, spalancò porte e finestre per alimentare con le correnti d’aria le fiamme. Poi, risalì sulla sua piccola barca coi compagni, per andare ad incendiare la flotta nemica. Intanto l’incendio aveva assunto proporzioni inimmaginabili e le scintille, portate dal vento, raggiunsero la vela della barca di Antonello che prese fuoco. Anche un sacchetto di polvere prese fuoco e la fiammata sul mare rivelò, ai Turchi, la presenza di un nemico. Allora i componenti il commando si gettarono nella vicina costa, raggiunsero la spiaggia e cercarono rifugio in un boschetto. Furono subito individuati, catturati e uno di loro fu ucciso nel breve combattimento. Antonello e cinque superstiti furono trascinati al cospetto dello stesso Mehemed II. Senza tortura egli si dichiarò responsabile dell’incendio ed esternò il suo disprezzo per il Sultano. Il suo fiero comportamento suscitò l’ammirazione di Mehemed II, che comunque diede l’ordine di decapitare immediatamente Antonello ed i suoi cinque compagni (7.)
L’incendio dell’Arsenale di Gallipoli si protrasse per ben 10 giorni senza che nessuno riuscisse ad arginarlo; il danno complessivo fu valutato in oltre 100.000 ducati d’oro. Mentre Venezia provvedeva a munifiche donazioni su Messina per gli eredi (8) ed i famigliari degli sfortunati incursori, il riuscito colpo di mano non fu sfruttato adeguatamente.
La flotta cristiana presidiava i Dardanelli; il grosso incendio, i danni inflitti da quei valorosi alla flotta ottomana avrebbero certamente facilitato un improvviso attacco agli Stretti. A Venezia, Girolamo da Mula, cercò di far approvare ai Cinque Savi la proposta di ordinare al Mocenigo la conquista di Istambul. Fu perfino proposto ed approvato un piano che possiamo definire pazzesco: il Capitano Generale doveva far approdare una nave carica con due o trecento botti, ripiene di polvere e materiale infiammabile all’ingresso degli Stretti. La nave doveva essere portata ad arenarsi proprio sotto il castello all’ingresso dei Dardanelli (noto come «Castello di Grecia») e quindi incendiata. A Venezia si supponeva, anzi fu immaginato, che il calore sprigionato avrebbe fatto siche le polveri, immagazzinate nelle polveriere sotterranee, sarebbero esplose per autocombustione. Ed i cristiani avrebbero invaso l’Ellesponto senza ostacoli in quanto i Turchi, con il castello crollato e la vista annebbiata dal fumo non sarebbero stati in grado di opporre un’adeguata difesa. Per fortuna gli ordini relativi a questo progetto giunsero a Pietro Mocenigo soltanto il 24 luglio 1472, ne prese atto e lasciò cadere tutto nel dimenticatoio. La guerra andava male: i Turchi erano arrivati nel Friuli e lo stavano mettendo a ferro e fuoco giungendo fin sotto le mura di Udine. Venezia cercò di reagire: furono riscattati il maggior numero possibile di schiavi dei Turchi, furono elargite pensioni a vedove e orfani; furono introdotte nuove misure fiscali durissime e draconiane riduzioni degli stipendi, in terra e in mare.
Nel 1474, la maggior base veneziana in Adriatico, Scutari (Albania), piazzaforte tra la Drina e la Boiana, venne assediata da un esercito Turco di 80.000 uomini e, per fortuna resistette bravamente.
Alla fine dell’anno, Mehemed II aprì un canale diplomatico proponendo la pace. Fu subito inviato a Costantinopoli Girolamo Zorzi, un profondo conoscitore dell’universo mussulmano. Le trattative durarono ben dieci mesi e non sortirono in nulla. Allora i Turchi occuparono Caffa (di Genova), Tana e Soldaia (di Venezia), centri commerciali ove affluivano tutti i prodotti dell’Asia e del Caucaso. In Albania cadde, dopo lunghissimi assedi la città di Kruja, la capitale. Nel 1478, Mehemed II portò un nuovo assedio a Scutari che, di nuovo, riuscì a resistere (9). Il 25 gennaio 1479 fu, infine, firmata la pace: Venezia perdette definitivamente Negroponte e le Sporadi, Lemno, l’Argolide ed una grossa fetta dell’Albania. Per poter continuare i suoi traffici in Mar Nero dovette corrispondere, alla Sublime Porta, un tributo annuo di diecimila ducati oro ed una definitiva rinuncia a Scutari. E, del buon Antonello, nessuno parlò più.

NOTE

1 – Mehemed II (Maometto II), nato 1430 e morto 1481, e detto El Fatih (il Conquistatore) oppure Humkar (l’assetato di sangue), fu sultano Ottomano; figlio di Murad II, ebbeå il potere nel 1451 alla morte del padre. Conquistò Costantinopoli, il Peloponneso, Trebisonda, Mitileneå, Negroponte, parte dell’Albania, la Serbia e le colonie genovesi della Crimea. Morì improvvisamente nel 1481 mentre preparava l’invasione dell’Italia.
2 – Era stata creata una fascia di rispetto alle spalle del dominio lagunare che comprendeva la Marca Trevigiana, Padova, Vicenza, Verona, Belluno, Feltre, il Cadore, il Friuli, Bergamo, Brescia, Crema ed inoltre Rovereto e Ravenna.
3 – Come ricordato da Marino Sanudo.
4 – Odierna Chalkis.
5 – «e ghe se stà consegnando da presentar a quel Re, argenti lavoradi per 4.000 ducati; pani d’oro de più colori per 4.000 ducati; pani de seta per 4.000 ducati; pani de lana de più colori per 10.000 ducati; che fa in tutto 22.000 ducati; 6 bombarde grosse che pesa 400 lire; 10 bombarde de reparo che pese 500 lire; 200 spingarde de bronzo e de fero; 10.000 schiopeti; 3.000 pali de fero; 3.000 baili da guastadori; 2.000 zappe; 1.000 schiopeteri; 2 ingegneri e 2 tagliapiera. Tutte queste cose è stà condote in Cipro, e da là in Armenia». Lettera inviata da Chatharin Zen, Ambasciatore in Persia, ad Andrea Correr, Bailo in Cipro, il 9 ottobre 1472.
6 – La battaglia tra l’esercito Turco, guidato personalmente da Mehemed II, e l’esercito Persiano di Hzun Hassam, si combatté presso Tergian ed i persiani ottennero la vittoria ma il Signore del Montone Bianco (come veniva chiamato) non riuscì a sfruttarla per il sopraggiungere della notte. Fu poi combattuta un’altra battaglia a Baskent. Il risultato fu disastroso per i persiani e Hzun Hassam fuggi rifugiandosi ad Est e, suo figlio Sejnel, vi perse la vita.
7 – Un Sicilian, giovine virtuoso e de gran cuor, è andà a trovar el General Mocenigo, e s’ha offerto de brusar l’arsenal e l’armada del Turco. El General ghe parse ghe la cosa podesse reussir, e l’abbrazzò, e ghe fece proveder de tutto quel che bisognava; ghe armò un gripo, ghe dete 6 homeni, che ‘l se avea eletto; ghe dete polvere, solfere, rasa, e altra materia da fuogo: e carcade tutte queste cose nel gripo, con gran copia de naranze (arance), montò su, e andò a i Dardaneli; fece i so presenti, e andò verso Costantinopoli; e giunse a Galipoli a’ 20 de Fevrer, la note del Sabato; e smontò in terra con 5 homeni, che portava in spale un saco per uno, e giunse al seraglio dell’artelarie, onde era la munizion delle galie; rompè le porte, averse le seraure con tenage e con vide,e intrò con i suoi compagni in 15 magazeni, che i no fu sentidi: aprì le fenestre per dar esito al fuego, e messe per ogni magazen un canal de ferro, in forma de gorna, e lo empì de polvere de bombarda; e in testa d’esso canal messe un saco della medema polvere appresso le sartie, le vele e le artelarie; dete più volte fuego; e perchè la polvere era fatta humida in viazo, non se accese. In un magazen di mezo, dove era filadi della sartia, gran quantità de pegola, et de sevo, se accese grandissima fiama, e molti concorse per estinguerla. El Sicilian era ancora col fuogo in man, e con dissegno de impizar fuego in le galie, fin che i Turchi attendeva a estinguer quello de i magazeni: andò nel so gripo, ma la cosa no ghe successe; perché ‘l fuogo ghe cascò in un saco de polvere, e se brusò la vela, l’alboro e l’antena: e per el fuogo che se vedeva da lontan, dubitò d’esser discoverto; e dete in terra su la Turchia, e fondò ‘l gripo. El Subassì promesse gran premii e chi prendesse e ghe desse in man i authori dell’incendio. E ‘l Sicilian, el qual se chiamava Antonelo, fu trovado ne i boschi con i compagni; e un d’essi, defendendose, fo amazado; i altri fu conduti a la Porta: e Antonelo confessò alla presenza del Signor Turco, senza tormento, che l’era quello, che de comandamento del General haveva impizà ‘l fuogo; e soggiunse con gran anemo, che tutti i homeni da ben doverave perseguitarlo, perchè l’è la peste del mondo, ha spogiato tutti i Signori si visini de i so stadi senza alcuna causa, non ha mai osservado la fede a nessun, e cercar de destruzzer el nome de Christo; e che per tal causa lui s’ha messo in anemo de tentar quel che l’ha tentato. El Signor Turco aldì con gran admirazion e pazienza le so parole, e poi diede ordene che ghe fosse tagià la testa, insieme con i sui compagni. L’incendio durò 10 zorni, che ‘l no se potè estinguer; e fo giudicado che ‘l danno havesse importà 100,000 ducati. (Da Malipiero – Annali vaneti – Anno 1472)
8 – « A dì ditto fo preso dar aiudo a do fratelli di Antonello di Sicilia, qual andò con li compagni a metter fuego in la monicion et arsenal di Garipoli, fo morto crudelmente da’ Turchi, zoé duchati 1000 si mandi a Messina a investir in possession, sia le entrade soe e dei’ sui eriedi in perpetuo, item a una sorella duchati 1500 etiam in possession in parte venendo abitar qui habi provision et casa di bando.» (Da Marin Sanudo il Giovane).
9 – Le artiglierie Turche batterono la città con proiettili da 1.200 libbre; cannoni speciali vennero addirittura fusi sul posto e quando, il 22 luglio 1478, dopo un mese d’assedio fu sferrato l’attacco generale, la città guidata da Antonio de Lezze resistette bravamente nonostante che Mehemed II facesse sparare contemporaneamente ben undici cannoni contro una delle porte, massacrando i suoi stessi uomini assieme agli ostinati difensori.

Bibliografia

Malipiero – Annali veneti.
Alvise Zorzi – La Repubblica del Leone – Storia di Venezia.
Franz Babinger – Maometto il Conquistatore – Giulio Einaudi editore – 1957.
Archivio Storico Italiano – La Storia D’Italia – Tomo VII – Parte I – Firenze 1843.
Marin Sanudo il Giovane – Le vite dei Dogi, 1423-1474 – Venezia 2004.
Cappelletti G. – Storia della Repubblica di Venezia – Venezia 1850-1855.
E. Eickhoff – Venedig, Wien und die Osmanen – Ed. Rusconi – 1991


http://www.marina.difesa.it/editoria/rivista/rivista/2006/aprile/art04.asp

Era comunque solo il primo episodio rilevante dello scontro mortale tra San Marco e la Mezzaluna.
Candia, Cipro, Lepanto, La Campagna di Morea.....A fermare i turchi nel mediterraneo furono soprattuto i veneziani, inutile negarlo. Bragadin, Barbarigo,Morosini:Nomi semidimenticati che meriterebbero assai migliore e maggiore fama.

whiteritter
17-03-11, 14:32
Ciao, amici!
Io sono di Russia, Azov, precedentemente noto come Tana. Sul forum internet della città di Azov Ëåãåíäû è Ìèôû äðåâíåãî Àçîâà (http://www.azov.info/forum/showthread.php?7835-%CB%E5%E3%E5%ED%E4%FB-%E8-%CC%E8%F4%FB-%E4%F0%E5%E2%ED%E5%E3%EE-%C0%E7%EE%E2%E0/page15) si sta svolgendo la discussione sul rapporto di Venezia medievale Tana. Nel moderno Azov (Tana) è noto viaggiatore veneziano ed esploratore di Giosafat Barbaro, che ha vissuto in Tana per 16 anni. Ha studiato il eemlyu, i viaggi e alla ricerca del tesoro.

Mi chiedo se lo studio degli storici italiani, dedicato a Giosafat Barbaro e le sue attività in Tana. Sarei molto apprezzato il vostro aiuto, se si fornisce alcun riferimento in materia, comprese le memorie di Giosafat Barbaro.
Grazie! In attesa di vedere in Azov.

Sorry for my mistakes in Italian :-)

whiteritter
17-03-11, 20:28
Ciao signori!
Vorrei darvi il benvenuto dalla città di Azov (nel medioevo era chiamata la città Tana).

Sul nostro forum su internet Ëåãåíäû è Ìèôû äðåâíåãî Àçîâà (http://www.azov.info/forum/showthread.php?7835-%CB%E5%E3%E5%ED%E4%FB-%E8-%CC%E8%F4%FB-%E4%F0%E5%E2%ED%E5%E3%EE-%C0%E7%EE%E2%E0/page15)

discutiamo le attività del veneziano Giosafat Barbaro, che ha vissuto in Tana 16 anni e ha lasciato un libro di memorie della sua vita: dei suoi viaggi e di avventure.

Sarei molto apprezzato il vostro aiuto condizionato alla concessione di opzioni su Internet in materia di Giosafat Barbaro e il suo soggiorno a Tana.

Vi ringrazio in anticipo.