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Visualizza Versione Completa : Terza via (nasserismo, baathismo, peronismo, bolivarismo)



LupoSciolto°
12-03-16, 18:52
Thread tematico di tipo storico

Discussioni basate sulle esperienze novecentesche che, pur non ispirandosi al marxismo-leninismo, hanno cercato di indicare una via socialista "altra".

PS: Nessun richiamo al terzoposizionismo fascista e tedesco.

LupoSciolto°
12-03-16, 20:20
Interessante articolo (anche se non condivido tutto)

Un socialismo del XXI secolo?Pubblicato il 14 dicembre 2014 · in AlfaDomenica (https://www.alfabeta2.it/categorie/alfadomenica-2/) · 3 Commenti (https://www.alfabeta2.it/2014/12/14/socialismo-impossibile/#wp-comments)

https://www.alfabeta2.it/wp-content/uploads/2014/12/antonio-dias31-150x150.jpg (https://www.alfabeta2.it/2014/12/14/socialismo-impossibile/)Lelio Demichelis
Forse la sinistra non ha più il vento della storia che soffia nelle sue vele, come dice il titolo dell’ultimo libro di Franco Cassano. Forse davvero la lotta di classe è finita con il crollo del Muro di Berlino, perché la guerra contro il demos e i diritti dell’uomo e del cittadino, la guerra di posizione per la conquista dell’egemonia l’ha vinta il capitalismo. Forse le sinistre si sono illuse di poter creare un socialismo (magari anche un poco anarchico e libertario) via rete, dove invece trionfa l’ideologia della condivisione di tutti con tutti e con il tutto della rete: rete capitalista all’ennesima potenza.
Forse l’errore (un errore intellettuale e culturale, prima che politico) di un certo socialismo è stato quello di credere che il capitalismo potesse essere democratizzato, o che bastasse stipulare un soddisfacente matrimonio di interessi tra capitale e lavoro per controllarne gli spiriti animali. Forse l’errore (un altro) della sinistra è stato quello di pensare che si potesse vincere grazie ad una coscienza di classe forte, quando invece il capitalismo ha nella sua logica di funzionamento proprio la dissoluzione, lo scioglimento (attraverso la de-socializzazione, la falsa individualizzazione, i falsi bisogni che continuamente crea, l’industria culturale e del divertimento che incessantemente distrae e diverte) di ogni legame e di ogni coscienza (anche) di classe contraria al proprio funzionamento. Un capitalismo che è ormaiapparato autopoietico: che cioè in se stesso e per se stesso ha la fonte e l’essenza della propria legittimazione e della propria riproducibilità infinita, capace di superare anche le contraddizioni che incessantemente crea, perché il capitalismo è una potentissima macchina di organizzazione ma soprattutto di socializzazione.
Dunque, dal capitalismo non si esce. La sua pedagogia ha ormai vinto, ha creato il suo uomo nuovo e i nuovi eroi sono gli imprenditori, appunto perché oggi ciascuno non è più persona ma solo capitale umano e imprenditore di se stesso, cioè non deve in alcun modo esseresoggetto capace di individuazione e di soggettivazione, ma solo oggetto economico a produttività crescente e quindi assoggettato/integrato al capitalismo.
E invece si deve uscire da questa macchina autoreferenziale e bisogna farlo in fretta pena la dissoluzione definitiva della società (e la sua trasformazione in mercato), dell’ambiente naturale, dell’uomo/cittadino capace di saper/poter essere in-comune (non in comunità) con gli altri. Se il socialismo è nato nell’Ottocento, se è arrivato al potere nel Novecento in diverse forme ovvero, e semplificando: totalitarismo comunista o socialdemocrazia e/o welfare state europeo, ma se nel Novecento è forse anche morto, si può immaginare di resuscitarlo nel XXI secolo partendo magari da quella che era una periferia del mondo come l’America Latina? E poi, perché questa morte? A parte la vecchia e politicamente imbarazzante Unione sovietica, la sinistra europea è morta per proprio suicidio politico e culturale, accettando il neoliberismo (da Blair a Matteo Renzi) convinta che flessibilità, rete e globalizzazione fossero sinonimi di modernità e che quello fosse il giusto vento della storia.
Agli occhi di molti occidentali e di parte delle sue sinistre oggi allo sbando (perché cieche davanti alla realtà), la rivoluzione cittadina di Rafael Correa in Ecuador è sembrata un modello virtuoso, l’ultima speranza a cui aggrapparsi assieme a quella di altri (e comunque non omogenei) spostamenti a sinistra avvenuti in America Latina dall’inizio del nuovo millennio. Salita al potere dopo un ampio lavoro culturale e in forma pacifica e democratica, la rivoluzione ha elaborato una Costituzione detta di Montecristi (dal nome della località dove è stata discussa e approvata) tra le più avanzate del mondo quanto a riconoscimento dei diritti individuali, sociali, ambientali e civili, ma anche dei diritti di identità e di autonomia delle minoranze etniche oltre che di definizione di forme nuove di partecipazione democratica.
Un modello nuovo, per un socialismo del XXI secolo? Forse la realtà e la verità dei fatti dicono qualcosa di diverso. Carlo Formenti, in questo suo nuovo, documentatissimo e riflessivo libro a confine tra reportage e pamphlet (Magia bianca, magia nera – Jaca Book 2014 (http://www.ibs.it/code/9788816412835/formenti-carlo/magia-bianca-magia.html)) – esito di un seminario universitario e di una prolungata permanenza in Ecuador - prova a rompere l’illusione di questa rivoluzione che da subito (ancora!) ha cominciato a divorare i suoi figli e molti suoi padri se hanno ragione le opposizioni di sinistra che contestano il regime di Correa per avere imboccato una via tecnocratica, di preferire la magia nera del petrolio alla magia bianca del buen vivir e di preferire la modernizzazione via capitalismo (sia pure temperato) alla cultura tradizionale indigena fatta di cooperazione e di solidarietà comunitaria e di armonia tra uomo e natura. Scrive Formenti: “Ho dovuto prendere atto che l’etichetta di socialismo del XXI secolo è troppo generosa (perlomeno nel caso ecuadoriano) nei confronti di governi che, nella migliore delle ipotesi, possono essere definiti populisti di sinistra o post neoliberisti”. Con movimenti indigeni e nuovi movimenti sociali che “esprimono oggi un’amara delusione per le promesse non mantenute”.
Partiamo dal concetto di buen vivir. L’occidente ha creato la società del benessere (ben-essere), in realtà confondendo (Fromm) l’avere con l’essere. E questo sembra essere l’esito inevitabile di ogni via al capitalismo. Replicato in Ecuador dove i ceti medi, un tempo alleati delle culture indigene contro il neoliberismo, sono oggi su posizioni maggioritarie (il consenso populista di Correa) mentre gli indigeni sono tornati emarginati e minoritari. Buen vivir: vivere bene. Concetto affascinante, ma anche concetto passpartout, o sincretista: una vita dignitosa, anche se un poco austera; comunitaria; con forti valenze ambientali e spirituali; avvicinabile per alcuni al concetto occidentale di benessere (pur presentandosene come una variante), o di sviluppo come pure a bene comune e decrescita. Tutto e il contrario di tutto. Ma anche, scrive Formenti “riflesso di un rapporto di forza fra classi sociali, perché la posta dell’egemonia si gioca proprio nel rapporto fra movimenti indigeni e classi medie”. Con nuove élite e nuove classi dirigenti.
E poi: populismo, cui Formenti dedica pagine importanti. Macchina politica che personalmente consideriamo pericolosissima per la democrazia e la libertà (e la cittadinanza). Populismo: fenomeno di destra, oggi soprattutto di sinistra? Involuzione delle rivoluzioni antiliberiste ma incompiute in America Latina? Ha forse ragione il filosofo franco-argentino Ernesto Laclau a sostenere che il populismo è la sola logica politica possibile nel contesto attuale perché il popolo possa costruirsi in forma egemonica, con una volontà collettiva che trascenda le identità particolari, facendosi (gramscianamente) popolo (e non la classe operaia) che diventa Stato? Quello Stato – ancora Laclau – che, dopo la fase espansiva dei movimenti deve guidare dall’alto i processi per evitare derive corporative? L’idea di Laclau, scrive Formenti con ragione, è insoddisfacente. Come quella di Negri e le sue moltitudini. E dunque?
Per Formenti non basta tornare ad una visione marxista classica, ma prima occorre procedere ad una analisi dettagliata della composizione di classe che ha consentito lo sviluppo di questi movimenti rivoluzionari. E capire verso dove si sposta l’egemonia: “Se pende dalla parte dell’antagonismo indigeno nei confronti della civiltà capitalista, vince la magia bianca; se viceversa pende dalla parte dell’incivilimento del capitalismo attraverso il rafforzamento dei diritti individuali, vince la magia nera”. Resta il problema se ilcomunitarismo indigeno (o il suo marxiano comunismo primitivo) possa essere davvero anticapitalista e rappresentare una autentica magia bianca; mentre siamo convinti che i diritti individuali, se veri e capaci – come dovrebbero - di produrre soggettivazione e cura di sé e quindi anche degli altri non possano e non debbano essere associati inesorabilmente al capitalismo.
E dunque? Meglio lasciare l’Ecuador di Correa e andare nella Bolivia di Morales, simile ma molto diversa (ad esempio, per la sua composizione sociale)? Conclude Formenti: “Non intendo eleggere Evo Morales a eroe della rivoluzione mondiale né, tanto meno, voglio presentare il suo regime come un modello universale per la sinistra. Sono consapevole delle contraddizioni che lo caratterizzano (…). Ciò detto, mi pare giusto riconoscere che si tratta di un processo politico che, in ragione della forma che si è dato, appare tuttora aperto a un’evoluzione in senso socialista”.
Carlo Formenti
Magia bianca, magia nera (http://www.ibs.it/code/9788816412835/formenti-carlo/magia-bianca-magia.html)
Jaca Book (2014), pp. 116
€ 12.00

FONTE: https://www.alfabeta2.it/2014/12/14/socialismo-impossibile/

LupoSciolto°
12-03-16, 20:24
Il PERONISMO (o Giustizialismo)

Il justicialismo è un sistema di pensiero politico formatosi in Argentina negli anni ’40 ad opera del generale Juan Domingo Perón (1895-1974): quand’era ancora colonnello era stato in Italia ed era rimasto colpito dagli esperimenti e dalla dottrina sociale fascisti.https://i2.wp.com/www.revistaenie.clarin.com/sociedad/Juan-Domingo-Peron_CLAIMA20120404_0124_8.jpg
Juan Domingo Peron

Il fenomeno nasce nel 1943, con il colpo di stato che dà luogo alla formazione di un governo militare in cui Peron ricopre la carica di Ministro del Lavoro. Ma le sue origini vanno ricercate più indietro: nella struttura della società argentina, retta da un’oligarchia di cui fanno parte i grandi allevatori e i commercianti di carne con un proletariato rurale impiegato nell’allevamento, un proletariato urbano in crescita e una classe media urbana, nel quadro di un’economia fortemente caratterizzata dalla presenza di capitali britannici e nord-americani (circa il 50% delle industrie è in mano a capitali stranieri) e con fenomeni di migrazione interna e dall’Europa, che ne arricchiscono la complessità e ne mettono in discussione, insieme alla grande crisi del 1929, gli equilibri interni.Lo scontro politico storico è quello tra i conservatori, espressione dell’oligarchia, e i radicali, espressione dei ceti medi urbani. L’industrializzazione e l’immigrazione hanno però favorito lo sviluppo, soprattutto nelle aree urbane, del partito socialista e di un movimento sindacale che si esprime in tre centrali sindacali: una anarchica, una anarco-sindacalista, e una socialista. Esiste fin dal 1915 anche un partito comunista che ha una propria organizzazione operaia la cui influenza si sviluppa soprattutto tra i lavoratori edili.
Nel settembre 1930 il colpo di stato del gen. Uriburu, aveva già messo fine allo stato liberale. Il modello è quello di una società corporativa e autoritaria con venature populistiche, ispirato al modello fascista italiano. Il golpe è ispirato dall’oligarchia, ma segna comunque la fine dell’equilibrio tra questa e i ceti medi radicali.
Il ritorno alla democrazia avviene nel 1932 a vantaggio dei conservatori e a spese degli altri partiti.Il golpe militare del 1943 sostenuto da ufficiali progressisti, di cui lui faceva parte, destituì un governo argentino che era controllato dall’oligarchia conservatrice borghese e che mirava ad un atteggiamento favorevole alle potenze alleate nella guerra che era in corso. Ricordiamo che quelle stesse potenze detenevano il 50% del mercato argentino. Avendo avuto nel nuovo regime la responsabilità delle politiche del Ministero del Lavoro, avviò una serie di significative misure a difesa della classe lavoratrice: creazione dei tribunali del lavoro, stipula di contratti collettivi di lavoro, aumenti salariali, indennità di licenziamento, statuti del bracciante agricolo e del giornalista, regolamentazioni delle associazioni professionali, unificazione del sistema di previdenza sociale, pensioni, creazione dell’ospedale per i ferroviari, scuole tecniche per operai, proibizione di agenzie di collocamento private.
Nondimeno l’Argentina è in una situazione di forte crescita economica favorita dal fabbisogno di carne delle nazioni europee sconvolte dal conflitto e dallo spostamento della produzione industriale in aree pacifiche. Una situazione che sviluppa le richieste operaie e consente risposte positive da parte dei poteri economici. In questa veste Peron si lega alla C.G.T. 2 (il sindacato autonomista), con una politica di discriminazioni verso i settori sindacali incontrollati e di concessioni verso quelli più addomesticati. Ma complessivamente i lavoratori ottengono nel periodo 1943-1945 quanto avevano richiesto nelle lotte degli anni precedenti: la giornata diotto ore, le ferie pagate, l’indennizzo in caso di incidenti, l’estensione del sistema pensionistico, lo statuto dei giornalieri e miglioramenti retributivi.
Le condizioni della classe operaia e bracciantile argentina cambiarono a tal punto che a causa della sua popolarità il governo allarmato, e spinto dall’oligarchia, lo fece arrestare nell’ottobre del ’45 (allora era vicepresidente della repubblica, ministro della difesa, segretario al lavoro).
La colossale mobilitazione di popolo promossa dai sindacati peronisti costrinse la dittatura a rimettere in libertà Perón ed a garantire libere elezioni. Perón scelse quindi di correre da solo alle elezioni formando un partito Laburista. Una marea di Argentini davanti alla Casa rosadain Plaza de mayo a Buenos Aires gridava a ripetizione: «Queremos a Perón!!!». Il quale il 17 ottobre (celebrato nel peronismo come el día de la lealtad) parlò dal balcone del palazzo presidenziale rassicurando tutti. Le elezioni si tennero nel febbraio del ’46 (il sistema amministrativo argentino ricalca quello statunitense): a suffragio maschile vinse Perón, senza brogli, per circa 1.500.000 voti contro 1.200.000. Aveva avuto contro uno schieramento di partiti che andava dalla sinistra alla destra, sostenuto dagli USA e dagli Inglesi che perderanno il controllo economico e politico dell’Argentina.A questi fenomeni si accompagna la sapiente gestione dell’immagine di Peron, imperniata sul ruolo della moglie Evita Duarte, già intrattenitrice radiofonica di umili origini, dotata di carisma e di capacitàcomunicativa che ne fanno la Madonna dei “descamisados”, la sua fondazione: laFUNDACIÓN EVA PERÓN, diretta da Evita stessa, operò meritevolmente su vasta scala persollevare gli indigenti dal bisogno producendo molto: costruzione di ospedali, asili, scuole, colonie di vacanza, abitazioni, strutture di accoglienza per bambini, donne nubili, impiegate, anziani; promozione della donna, scuole per infermiere; borse di studio, sport per i giovani; aiuti alle famiglie più povere; etc. Tra l’altro, la fondazione fornisce aiuti economici al neonato stato d’Israele, e la visita ufficiale del ministro del lavoro israelianoGolda Maier nel 1951 dimostra che l’Argentina non abbia mai avuto politiche antisemite, nonostante abbia accolto ex nazisti in fuga che però non hanno dato nessun condizionamento al peronismo.https://lapromenademag.files.wordpress.com/2011/07/eva-peron_650x435.jpg?w=312&h=209
Eva Péron

Perón continuò ad attuare un programma che diede tanti risultati: nazionalizzazioni di servizi pubblici (ferrovia, telefonia, servizi del gas, etc.) e gestione statale del commercio estero in modo da liberarsi da condizionamenti stranieri; nazionalizzazione della banca nazionale e divieto di esportare i capitali per difendere lo sviluppo economico interno; case, infrastrutture (reti idriche e fognarie, etc.);politiche sanitarie (assistenza gratuita, aumento dei posti letto, campagne mediche contro malattie); diminuzione della mortalità infantile ed innalzamento del periodo medio di vita; comparsa della televisione, gratuità dell’istruzione, abolizione delle tasse universitarie, creazione dell’Università operaia, aumento del tasso di scolarizzazione; aumenti salariali, partecipazione agli utili d’impresa da parte dei lavoratori, periodi di vacanza per le loro famiglie a carico dello Stato; riforma agraria; politiche contro la disoccupazione; pensioni; etc.
Nel justicialismol’economia è strumento del benessere collettivo e perciò deve sottostare al controllo ed alla regolamentazione pubblici pur rimanendo in una condizione di libero mercato. Questa si proponeva come una terza via tra il capitalismo ed il socialismo, proprio sul modello del fascismo italiano che Juan Domingo Peron conobbe mentre prestava servizio in Italia negli anni ’30 e i cui principi fondamentali da lui scelti furono:

giustizia sociale, impostata non sulla lotta di classe, bensì sulla collaborazione tra le classi sociali all’interno del corpo statale;
indipendenza economica del paese dai monopoli internazionali;
terzaposizionismo in politica estera, inteso come un atteggiamento neutrale nei confronti dei due grandi blocchi che, durante gli anni del suo governo, si fronteggiavano nella guerra fredda.

Un’assemblea costituente, nel 1949 elaborò una nuova costituzione che incorporava i principi del giustizialismo. Questo che segue è il manifesto del Partido justicialista con i suoi venti punti così come furono enunziati nel 1950 da Perón:1 – La vera democrazia è quella in cui il governo compie la volontà del popolo e difende un solo interesse: quello del popolo.2 – Il peronismo è essenzialmente popolare. Ogni fazione politica è antipopolare e pertanto non è peronista.3 – Il peronista lavora per il movimento. Colui che in nome del partito serve una fazione o un caudillo è peronista soltanto di nome.4 – Per il peronismo c’è soltanto una classe di uomini: quella degli uomini che lavorano.5 – Nella nuova Argentina il lavoro è un diritto che dà dignità all’uomo, ed è un dovere perché è giusto che produca almeno quanto consuma.6 – Per un peronista non vi può essere niente di meglio di un altro peronista.7 – Nessun peronista deve sentirsi di più di quello che è, né meno di quello che può essere. Quando un peronista comincia a sentirsi superiore a quello che è, sta già trasformandosi in un oligarca.8 – Nell’azione politica, la scala dei valori di ciascun peronista è la seguente: prima la patria, poi il movimento ed infine gli uomini.9 – Per noi la politica non è un fine ma soltanto un mezzo per il bene della patria che è costituito dalla prosperità dei suoi figli e dalla sua grandezza nazionale.10 – Le due braccia del peronismo sono la giustizia sociale e l’assistenza sociale. Con esse diamo al popolo un abbraccio di giustizia e di amore.11 – Il peronismo aspira all’unità nazionale e non alla lotta. Desidera eroi ma non martiri.12 – Nella nuova Argentina gli unici privilegiati sono i bambini.13 – Un governo senza dottrina è come un corpo senz’anima. Perciò il peronismo ha una sua propria dottrina politica, economica e sociale: il giustizialismo.14 – Il giustizialismo è una nuova concezione della vita, semplice, pratica, popolare, profondamente cristiana e profondamente umanista.15 – Il giustizialismo, come dottrina politica, realizza l’equilibrio dell’individuo con quello della comunità.16 – Il giustizialismo, come dottrina economica realizza l’economia sociale, mettendo il capitale al servizio dell’economia e quest’ultima al servizio del benessere sociale.17 – Il giustizialismo, come dottrina sociale, realizza la giustizia sociale che dà a ciascuno il suo diritto in funzione sociale.18 – Vogliamo un’Argentina socialmente giusta, economicamente libera e politicamente sovrana.19 – Costruiamo un governo centralizzato, uno Stato organizzato e un popolo libero.20 – In questo paese ciò che abbiamo di meglio è il popolo.Il secondo mandato presidenziale di Perón terminò anticipatamente per via del golpe del ’55: egli se ne andò spontaneamente in esilio per allontanare il pericolo di una guerra civile. In quel periodo 1952-55 erano venuti a galla i contrasti tra Chiesa e peronismo: la prima cercava un proprio braccio di manovra politica in un partito democristiano a danno del Partito giustizialista, il secondo non tollerava l’ingerenza ecclesiastica negli affari pubblici.
Le dittature post-peroniste avevano dichiarato fuorilegge il Partito giustizialista, revocata la Costituzione del ’49 e riaperto il carcere di Ushuaia (chiuso nel 1947 a causa delle sue pessime condizioni) per detenervi nemici politici, inoltre (cose non fatte nel 1946-55) messo al bando il Partito comunista e reintrodotta la pena capitale.
Nel 1973 si torna alle elezioni e Peron prende il 62% dei voti tornando così alla guida del paese, l’anno seguente però morirà ed i governi che seguiranno saranno nuovamente spazzati via da un altro golpe nelhttps://i0.wp.com/resources2.news.com.au/images/2012/04/02/1226316/890282-falklands.jpg
Soldati argentini catturati dagli inglesi sulle isole Falkland

1976, quello di Jorge Rafael Videla. Le nuove dittature filo-americane termineranno nel 1983 dopo la sconfitta nella guerra delle Falkland-Malvinas e saranno seguite da un periodo (quello degli anni ’90) caratterizzato da una sperimentazione neoliberista nell’economia del paese, anche grazie al Fondo Monetario Internazionale che utilizzerà l’Argentina come laboratorio sperimentale per le dottrine di Milton Friedman e di Friedrich von Hayek. Questo portò al ritorno di una svendita del settore pubblico, alla privazione della moneta sovrana nazionale (il peso argentino venne legato al dollaro con rapporto di 1 a 1) e ad uno spaventoso indebitamento che culminò con il default del 2000. Il popolo scese in piazza e, cacciato il presidente argentino (che fuggì in elicottero), tornò a preferire i partiti peronisti.
Oggi tutti i partiti, sia di destra che di sinistra, hanno preso spunto dal movimento peronista. Benché d’ispirazione fascista, il peronismo non disprezza il comunismo, tant’è che l’attuale presidentessa Cristina Fernández de Kirchner ha aperto il partito Giustizialista all’Internazionalismo socialista.

Alberto Fossadri


https://azioneprometeo.wordpress.com/2012/11/25/il-peronismo-o-giustizialismo/

LupoSciolto°
12-03-16, 20:27
Socialismo siriano

15/07/12

Nel 1954 una coalizione formata dall'allora forte Partito Comunista Siriano (PCS), dall'allora piccolo Partito Baath e dal blocco nazionale giunse al potere.

Da febbraio del 1958 al 1961 la Siria si unisce con l'Egitto di Nasser nella Repubblica Araba Unita (R.A.U.), applicando una riforma agraria che segue il modello egiziano. La borghesia conservatrice tornò al potere, ma nel marzo 1963 i baathisti e i nasseriani lo riconquistarono con l'appoggio del PCS, che aveva subito persecuzioni durante il periodo della R.A.U. L'elemento chiave baathista fu la creazione di un comitato militare nel 1959 che unì alti ufficiali militari e che, nel momento opportuno, gli ha consentito di prendere il potere.

Il governo applica il piano quinquennale 1965-1970 dando la priorità alle nazionalizzazioni e agli aiuti sovietici. Nel 1964 la Costituzione provvisoria assegna la funzione legislativa al Consiglio del Comando Rivoluzionario. Nel 1965 l'industria tessile è nazionalizzata e riorganizzata in 13 imprese di Stato, inaugurando così il processo di nazionalizzazione.

Nel 1966 giunge al potere un gruppo chiamato "neo baathista" con forte inclinazione filo-sovietica, formato dal generale Salah Jadid, il Presidente della Repubblica Nuredin al Attasi e Ibrahim Makhos. Dopo l'espulsione del fondatore Michel Aflak, l'ideologo di riferimento del Baath siriano è Arsuzi Zaki, uno alawita di Alexandrette.

Nel Dicembre del 1970 un ramo considerato di "destra" del Baath, guidato dal generale Hafed Al Assad, prende il potere e incarcera il gruppo precedente che creerà in opposizione il Movimento 23 Febbraio (1966), che si richiama al Baath. Non è così di "destra" visto che si apre alla collaborazione dei comunisti e di altre forze di sinistra, mantiene un forte settore pubblico dell'economia, liquida il latifondismo feudale e nel 1980 firma un trattato di cooperazione con l'URSS. Riteniamo che l'imperialismo manipoli la realtà presentando il Baath siriano come espressione di una setta religiosa minoritaria, gli alawiti. I contadini poveri musulmani, le minoranze religiose storicamente emarginate, gli intellettuali, progressisti e i sindacati sono la base storica del potere siriano ancora oggi dove è cresciuta l'influenza della borghesia nazionale. A dirigere il Baath siriano vi sono stati alatiti, come anche sunniti e cristiani.

Il 7 Marzo del 1972 il Baath crea il Fronte Nazionale Progressista in alleanza con il PCS, l'Unione Socialista Siriana (USA) di Jamal Atasi e Fawzi al-Kayyali, una scissione del Baath chiamata Movimento Socialista Unitario Arabo di Abd al Ghami Qannut e il Partito Unitario Socialista Democratico di Ahmad As'ad. Il Baath è maggioritario e dominante e la Costituzione del 1973 gli consente di essere l'unica forza politica presente nelle università e nelle forze armate.

I sovietici e il campo socialista apportarono un aiuto significativo alla modernizzazione del paese: costruirono il complesso idroelettrico del fiume Eufrate, la diga del fiume Kabir del Nord, la raffineria di Homs, la fabbrica di cementi di Hama, l'industria d'estrazione petrolifera, fabbriche di cotone, di calzature e di concerie ed altre, hanno disteso migliaia di chilometri di ferrovie, come le ferrovie Kamishli-Latakia, Akkari-Tartus, la Hama Maharda e altre ancora. L'Unione dei Contadini (Ittihad al fallahin) controlla la rete di cooperative agricole.

Alla caduta del campo socialista la Siria progressista e laica rimane orfana e realizza modeste riforme pro-capitaliste, come la legge 10 del 1991 sugli investimenti. Dal 2000 al 2007 la parte privata nella produzione di PIL industriale passa dal 52, 3% al 60, 5%. Si liberalizzano il settore bancario e assicurativo. La Costituzione del 2012 rimuove l'articolo 13 del 1973 che prevedeva che "l'economia dello Stato è una economia socialista pianificata che cerca la fine dello sfruttamento". Ciò che resta del socialismo in Siria non è poco: i sindacati degli operai e dei contadini intervengono nelle decisioni economiche delle imprese, l'istruzione e l'assistenza sanitaria sono gratuite e buone, i prezzi sono controllati dallo stato, i prodotti di base sono sovvenzionati, regge la pianificazione economica e lo Stato dirige il commercio estero, il governo afferma di voler rafforzare il settore pubblico dell'industria, operano depositi dello Stato. Ci sono 104 industrie statali tra cui la GECI, industria chimica pubblica, l'Organizzazione generale per il cemento e i materiali di costruzione, la compagnia generale di fertilizzanti di Homs legata alla Geci. Il settore pubblico contribuisce per il 30% del PIL e impiega il 42, 5% della forza lavoro.

Una vittoria controrivoluzionaria privatizzerebbe questi settori, distruggerebbe i diritti sociali e rafforzerebbe la borghesia locale convertendola in agente commerciale degli imperialisti, che trasformeranno il paese in colonia economica come l'Iraq e la Libia.

www.resistenze.org/sito/te/po/si/posicg17-011413.htm (http://www.resistenze.org/sito/te/po/si/posicg17-011413.htm)

Gianky
14-03-16, 09:42
Le tre esperienze citate, spero sia un caso, sembrano ai nostri giorni segnare il passo, anzi mi pare proprio che a parte l'indigenismo latino americano, che si trova comunque in una situazione di forte crisi, le altre due esperienze citate siano oramai quasi defunte, ed il quasi è un eufemismo ottimistico vista la situazione. Il nasserismo, o socialismo nazionalista arabo, è oramai pressoché scomparso travolto da una parte dal fondamentalismo islamico e dall'altro dalle rivoluzioni arancioni di matrice occidentale. Eliminati Gheddafi e Saddam, il socialismo arabo rimane solo in Siria nella situazione che conosciamo tutti. Il peronismo è messo anche lui malissimo, superato nella stessa Argentina dal kirchnerismo e ridotto oramai nell'ufficialità ad essere oramai allineato con il tradizionale schieramento D/S tipico della politica occidentale. E che dire del bolivarismo?

LupoSciolto°
14-03-16, 16:36
Le tre esperienze citate, spero sia un caso, sembrano ai nostri giorni segnare il passo, anzi mi pare proprio che a parte l'indigenismo latino americano, che si trova comunque in una situazione di forte crisi, le altre due esperienze citate siano oramai quasi defunte, ed il quasi è un eufemismo ottimistico vista la situazione.

Cosa intendi per indigenismo? Il modello politico di Morales e del MAS?



Il nasserismo, o socialismo nazionalista arabo, è oramai pressoché scomparso travolto da una parte dal fondamentalismo islamico e dall'altro dalle rivoluzioni arancioni di matrice occidentale.

Su questo punto ti devo dare ragione. Ma non è defunto certo ieri il nasserismo.


Eliminati Gheddafi e Saddam, il socialismo arabo rimane solo in Siria nella situazione che conosciamo tutti.

Infatti è dovere degli anticapitalisti sostenere l'ultimo avamposto laico e socialista rimasto: la Siria baathista.



Il peronismo è messo anche lui malissimo, superato nella stessa Argentina dal kirchnerismo e ridotto oramai nell'ufficialità ad essere oramai allineato con il tradizionale schieramento D/S tipico della politica occidentale. E che dire del bolivarismo?

Il peronismo è un movimento con mille sfaccettature. Si va dai parafascisti, ai liberali finendo con i cattolici e gli eredi dei monteneros (di tendenza guevarista).

Diciamo che il peronismo ha conosciuto una seconda giovinezza grazie a Nestor Kirchner e a sua moglie Cristina. L'impero statunitense, però, ha deciso di mettere fine a questa coraggiosa esperienza.

Gianky
14-03-16, 16:47
Cosa intendi per indigenismo? Il modello politico di Morales e del MAS?



https://forum.termometropolitico.it/647336-socialismo-e-indigenismo.html

Kavalerists
19-03-16, 15:22
John W. Cooke e il peronismo rivoluzionario | Fondo Magazine di Miro Renzaglia (http://www.mirorenzaglia.org/2010/02/john-w-cooke-e-il-peronismo-rivoluzionario/)

John W. Cooke e il peronismo rivoluzionario (http://www.mirorenzaglia.org/2010/02/john-w-cooke-e-il-peronismo-rivoluzionario/)

By miro (http://www.mirorenzaglia.org/author/miro/)
– 15 feb '10Posted in: Storia (http://www.mirorenzaglia.org/category/storia/)
Romano Guatta Caldini

http://www.mirorenzaglia.org/wp-content/uploads/2010/02/peron.cooke_fondo-magazine.jpg (http://www.mirorenzaglia.org/wp-content/uploads/2010/02/peron.cooke_fondo-magazine.jpg)L’operato di John William Cooke, punto d’incontro fra peronismo e castrismo, ha rappresentato, senza dubbio alcuno, la migliore commistione fra l’esperienza socialista nazionale di Peron e le spinte rivoluzionarie cubane. Una tradizione, quella dell’antimperialismo latino americano, che ha visto fra i suoi protagonisti eminenti figure di militanti politici del peronismo rivoluzionario, fra questi ricordiamo: Rodolfo Walsh, Ricardo Masetti e l’ex falangista spagnolo, poi militante peronista, Emilio Javier Iglesias. Questi ultimi sono stati i fautori di un interessante incontro ideologico, una sorta di mutuo soccorso inter-nazionalista visto in chiave antimperialista.
Del resto, che peronismo e castrismo avessero, per certi versi, una radice comune, lo aveva già fatto notare, a suo tempo, Saverio Paletta su Diorama: «Mentre l’ideologia politica del fascismo italiano e del nazionalsocialismo tedesco è sorta nel contesto di due paesi di grandi tradizioni storico-politiche, con tutto ciò che ne è derivato in termini di confronto, di suggestioni e di possibili radici, lo stesso non può ovviamente dirsi per esperienze quali, ad esempio, il castrismo, certe forme di socialismo nazionale africano o la maggior parte di quelle dittature di sviluppo sorte nel dopoguerra in seguito al processo di decolonizzazione e che A. James Gregor tende a considerare come eredi, in certo qual modo, del fascismo storico» – . In tal senso, al pari di Maurice Bardèche e delle sue intuizioni sul nasserismo, Gregor aveva individuato nel castrismo, ma anche in certe forme di volontarismo guevariano, il logico approdo di una teoria che aveva mosso i suoi primi passi nell’Europa degli anni trenta e quaranta.
Per ciò che concerne il rapporto fra peronismo e rivoluzione cubana, sintomatica dello stretto legame fra i due movimenti è la dichiarazione di Peron relativa alla fratellanza ideologica delle due rivoluzioni: «La Revolucion cubana tiene nuestro mismo signo» – dirà il Generale in merito alla lotta contro il comune nemico nord-americano. Oppure: «L’evolversi della situazione cubana può trovare il suo riscontro con la Grande Patria latino-americana se questa, prescindendo dalle vecchie formule marxiste, rialzerà di nuovo la bandiera del nazionalismo rivoluzionario tercerista del castrismo iniziale. La fine dell’impero comunista anticipa la crisi di quello capitalista. Ogni popolo deve lottare per la propria emancipazione nazionale e, al tempo stesso, stabilire relazioni solidaristiche con le altre nazioni oppresse dall’imperialismo, dall’ingiustizia e dalla reazione» – ha ricordato Nando De Angelis nel suo Peròn e la rivoluzione cubana. Ma significativa più di tutte è la nota auto-biografica di Cooke: « Sono tre mesi che vivo all’Avana (…) Questa è la Mecca rivoluzionaria e tutti vengono a bere alla sorgente».
Dal canto suo, Fidel Castro invitò Peron a stabilirsi a Cuba durante l’esilio e intermediario fra i due fu proprio John William Cooke. Designato dallo stesso Peron, come suo erede, Cooke aveva iniziato la sua militanza nell’Unión Universitaria Intransigente. Dal ’55 in poi, il compito di Cooke fu quello di preparare la resistenza peronista all’imminente golpe militare. Arrestato e confinato nella prigione di Río Gallegos, nonostante l’isolamento, Cooke divenne, oltre che l’ideologo di riferimento dei gruppi armati, anche l’organizzatore della fusione fra i movimenti studenteschi e quelli operai. Dopo una fuga rocambolesca dal centro detentivo, Cooke fece la spola fra l’Uruguay e il Cile, infine, aggregatosi a un gruppo di argentini, si trasferì a Cuba per seguire i moti insurrezionalisti guidati dal connazionale, Ernesto Guevara. La foto di Cooke nella Sierra Maestra, mitra in mano e camicia da miliziano, diverrà un’icona per tutti i guerriglieri peronisti.
Durante il soggiorno cubano, Cooke gettò le basi per la costruzione di un ampio fronte di liberazione nazionale che, irradiandosi dall’isola caraibica, avrebbe dovuto colpire i centri nevralgici della struttura politico-militare argentina. Ed è proprio in quest’ottica che vanno collocati i legami con i dirigenti Montoneros: Fernando Abal Medina e Norma Arrostito, entrambi, all’epoca, presenti nell’isola. Con i due connazionali, nel ’67, Cooke partecipa alla OLAS (Organización Latinoamericana de Solidaridad): organizzazione di tutti i movimenti anti-imperialisti latino americani. Tra gli esponenti argentini intervenuti ricordiamo: Alcira de la Peña in rappresentanza del Partito Comunista, Ismael Viñas del Movimiento di Liberazione Nazionale, Abel Latendorf dell’Avanguardia Popolare e Carlos Laforgue della Gioventù Peronista. In questa sede, diverranno espliciti i riferimenti alla guerra di guerriglia teorizzata da Guevara. A farsi carico della lotta di liberazione nazionale, per quanto riguardava l’Argentina, fu il peronista Jorge Ricardo Masetti che, fedele ai principi fochisti, abbandonò Cuba e fece ritorno in patria, organizzando la guerriglia ai confini della Bolivia e coordinando le forze rivoluzionarie della sinistra peronista presenti in zona: dall’Ejército Guerrillero del Pueblo alle FAP (Fuerzas Armadas Peronistas).
Per comprendere gli stati d’animo e le circostanze che portarono molti giovani peronisti ad abbracciare la lotta armata, è utile la testimonianza del giornalista italo-argentino ed ex-mlitante Montonero, Miguel Bonasso: «In Argentina l’oligarchia dominante si è legata al capitale multinazionale (…) per cui, lo sfruttamento nel mio paese si identificava con la presenza prima inglese e poi statunitense. Il nazionalismo, quindi, è sempre stato sinonimo di liberazione e i due termini, se presi separatamente, non avrebbero avuto senso. Il fenomeno peronista costituiva un’unione variegata: i delusi del Partito Comunista, i settori cattolici più radicali, i militanti che avevano conosciuto il Che, i sottoproletari delle villas miseria, le baraccopoli di Buenos Aires, ma anche una parte consistente della piccola borghesia. Dal 1975 iniziò l’adesione operaia in massa, unendosi al movimento studentesco che lottava soprattutto contro l’eccessiva invadenza statunitense. Il peronismo, dunque, è nato come movimento politico di massa. Più tardi, il ricorso alla lotta armata, non è stata una scelta, ma l’unica forma di resistenza possibile. »Non a caso, riguardo la natura antimperialista del nazionalismo argentino, lo stesso Cooke, nel suo «Apuntes para la militancia», scriveva: «Tutta la nostra lotta deve partire dall’auto-consapevolezza di vivere in un paese semi-coloniale, paese che è, a sua volta, membro di un continente anch’esso semi-coloniale. (…) Il nazionalismo è possibile solo se inteso come una politica conseguente all’anti-imperialismo».
Movimento fondamentalmente anti-dogmatico, il peronismo, al pari del fascismo, si presentava come un fenomeno di mobilitazione di massa ma, a differenza del comunismo sovietico e del capitalismo nord-americano, la massa non era un ente amorfo e passivo nè era soggiogato alle politiche predatorie padronali. Citando sempre Cooke, il Peronismo era stato: «un’esperienza di vita, il punto più alto dell’auto-coscienza della classe operaia, come dei settori meno abbienti della società. » Con simili premesse, era quasi inevitabile che Cooke venisse tacciato di cripto-comunismo, ma non erano di certo le etichette a preoccupare l’ideologo. Ben più preoccupante era la divisione interna al fronte peronista, infatti, settori consistenti del peronismo rivoluzionario vennero fagocitati dalla spirale settaria di movimenti e gruppuscoli d’ispirazione più o meno trotskista: come avvene, ad esempio, nel caso del Partido Revolucionario de los Trabajadores di Mario Roberto Santucho. Sta di fatto che, se andiamo a misurare l’incidenza di tali gruppi, rispetto ai movimenti di dichiarata fede peronista, vediamo che i secondi hanno raggiunto successi di gran lunga superiori rispetto ai primi, anche in termini di seguito e consenso popolare.
Naturalmente, durante gli anni della lotta armata, il numero di desaparecidos crebbe in modo esponenziale. A cadere nelle mani dei militari, anche Alicia Eguren; poetessa, dirigente peronista, nonché compagna di Cooke. Alicia era stata una stretta collaboratrice, sia di Guevara che del Comandante Segundo (Ricardo Masetti) ; con loro, come anche con il marito, aveva partecipato alla fondazione cubana del Fronte Antimperialista per il Socialismo. Quando il Che decise di estendere la lotta nel continente sud-americano, Alicia e Cooke furono protagonisti attivi, nei piani guevariani per la lotta di liberazione in Bolivia. Masetti e Guevara trovarono la morte in combattimento, mentre Cooke terminerò la sua parabola esistenziale e politica il 19 settembre del ’68, a causa di un cancro.
Fra i testi fondamentali, per avvicinarsi al pensiero di Cooke, ricordiamo: «Apuntes para la militancia » e «Peronismo y Revolucion». Certo, rivoluzione è un termine che torna spesso negli scritti dell’ideologo e forse non è un caso, soprattutto a fronte degli insegnamenti di Evita: «El peronismo será revolucionario o no será nada!».

LupoSciolto°
21-03-16, 23:00
IL SOCIALISMO DI VELASCO ALVARADO


Juan Francisco Velasco Alvarado (Piura (http://it.wikipedia.org/wiki/Piura), 16 giugno (http://it.wikipedia.org/wiki/16_giugno) 1910 (http://it.wikipedia.org/wiki/1910) – Lima (http://it.wikipedia.org/wiki/Lima), 24 dicembre (http://it.wikipedia.org/wiki/24_dicembre)1977 (http://it.wikipedia.org/wiki/1977)) è stato un generale (http://it.wikipedia.org/wiki/Generale) e politico (http://it.wikipedia.org/wiki/Politico) peruviano (http://it.wikipedia.org/wiki/Per%C3%B9).
Guidò il Perù dal 3 ottobre 1968 (http://it.wikipedia.org/wiki/1968) al 30 agosto 1975 (http://it.wikipedia.org/wiki/1975) con il titolo di "Presidente del governo rivoluzionario".


Infanzia e carriera militare[modifica (http://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Juan_Velasco_Alvarado&veaction=edit&vesection=1) | modifica sorgente (http://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Juan_Velasco_Alvarado&action=edit&section=1)]

Figlio di Manuel Velasco Gallo, assistente medico, e di Clara Luz Alvarado Zevallos, aveva altri dieci fratelli. Frequentò la scuola primaria (http://it.wikipedia.org/wiki/Scuola_primaria) e la secondaria (http://it.wikipedia.org/wiki/Scuola_secondaria)rispettivamente al Centro Escolar N° 21 e al Colegio San Miguel, entrambi nella sua città natale; quando non andava a scuola lavorava come lustrascarpe (http://it.wikipedia.org/wiki/Lustrascarpe).[1] (http://it.wikipedia.org/wiki/Juan_Velasco_Alvarado#cite_note-masterson-mil-228-229-1)
Nel 1929 (http://it.wikipedia.org/wiki/1929), mentendo sulla sua vera età, s'imbarcò su una nave diretta a Lima (http://it.wikipedia.org/wiki/Lima), dove il 5 aprile si arruolò nell'esercito (http://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Ej%C3%A9rcito_del_Per%C3%BA&action=edit&redlink=1); lì frequentò la scuola militare di Chorrillos, dove fu promosso sottotenente di fanteria, conseguendo il primo posto tra i promossi e ricevendo per questo la spada d'onore.[1] (http://it.wikipedia.org/wiki/Juan_Velasco_Alvarado#cite_note-masterson-mil-228-229-1) Nel 1944 (http://it.wikipedia.org/wiki/1944) andò a studiare alla Scuola Superiore di Guerra, dove due anni più tardi divenne professore di Fanteria, Tattica e Stato maggiore. Nel 1952 (http://it.wikipedia.org/wiki/1952) con il grado di tenente colonnello tornò alla scuola militare di Chorrillos per dirigerla; in seguito occupò una carica simile alla scuola di fanteria, fino a diventare capo della IV Divisione del Centro d'istruzione militare del Perù (1955 (http://it.wikipedia.org/wiki/1955)-1958 (http://it.wikipedia.org/wiki/1958)).
Promosso generale di brigata (http://it.wikipedia.org/wiki/Generale_di_brigata) sotto il governo di Manuel Prado Ugarteche (http://it.wikipedia.org/wiki/Manuel_Prado_Ugarteche) nel1959 (http://it.wikipedia.org/wiki/1959), prestò servizio tre anni dopo all'ambasciata peruviana a Parigi (http://it.wikipedia.org/wiki/Parigi), e nel 1965 (http://it.wikipedia.org/wiki/1965)divenne generale di divisione (http://it.wikipedia.org/wiki/Generale_di_divisione). Nel gennaio del 1968 (http://it.wikipedia.org/wiki/1968) assunse il Comando generale dell'esercito e la presidenza del Comando Congiunto delle Forze Armate del Perù, quest'ultima carica istituita dal governo Ugarteche.
Governo[modifica (http://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Juan_Velasco_Alvarado&veaction=edit&vesection=2) | modifica sorgente (http://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Juan_Velasco_Alvarado&action=edit&section=2)]

Politica interna[modifica (http://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Juan_Velasco_Alvarado&veaction=edit&vesection=3) | modifica sorgente (http://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Juan_Velasco_Alvarado&action=edit&section=3)]

In qualità di comandante generale dell'esercito, guidò la giunta militare che il 3 ottobre 1968 depose il presidente Fernando Belaúnde Terry (http://it.wikipedia.org/wiki/Fernando_Bela%C3%BAnde_Terry). Pochi giorni dopo espropriò la International Petroleum Company, compagnia petrolifera statunitense che lavorava nel paese; il 9 ottobre, giorno in cui avvenne l'esproprio, fu dichiarato da allora e fino alla fine del suo governo festa con il nome di "giorno della dignità nazionale".

http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/d/d6/Vizita_pre%C5%9Fedintelui_Consiliului_de_Stat_al_R .S.R._%C5%9Fi_a_Elenei_Ceau%C5%9Fescu_%C3%AEn_Repu blica_Peru._Cei_doi_pre%C5%9Fedin%C5%A3i_%C3%AEmpr eun%C4%83_cu_so%C5%A3iile.jpg/220px-Vizita_pre%C5%9Fedintelui_Consiliului_de_Stat_al_R .S.R._%C5%9Fi_a_Elenei_Ceau%C5%9Fescu_%C3%AEn_Repu blica_Peru._Cei_doi_pre%C5%9Fedin%C5%A3i_%C3%AEmpr eun%C4%83_cu_so%C5%A3iile.jpg (http://it.wikipedia.org/wiki/File:Vizita_pre%C5%9Fedintelui_Consiliului_de_Stat _al_R.S.R._%C5%9Fi_a_Elenei_Ceau%C5%9Fescu_%C3%AEn _Republica_Peru._Cei_doi_pre%C5%9Fedin%C5%A3i_%C3% AEmpreun%C4%83_cu_so%C5%A3iile.jpg)

http://bits.wikimedia.org/static-1.24wmf15/skins/common/images/magnify-clip.png (http://it.wikipedia.org/wiki/File:Vizita_pre%C5%9Fedintelui_Consiliului_de_Stat _al_R.S.R._%C5%9Fi_a_Elenei_Ceau%C5%9Fescu_%C3%AEn _Republica_Peru._Cei_doi_pre%C5%9Fedin%C5%A3i_%C3% AEmpreun%C4%83_cu_so%C5%A3iile.jpg)
Un momento della visita di stato del Presidente della Romania Nicolae Ceaușescu (http://it.wikipedia.org/wiki/Nicolae_Ceau%C8%99escu)in Perù nel settembre 1973. I due presidenti sono affiancati dalle rispettive mogli


Velasco formò un governo composto da ministri sia militari che civili, il quale nazionalizzò l'intero settore petrolifero. Impose forti restrizioni alla libertà di stampa (http://it.wikipedia.org/wiki/Libert%C3%A0_di_stampa)confiscando diversi quotidiani e televisori, promulgò una riforma agraria con l'obiettivo di fermare lo strapotere deilatifondisti (http://it.wikipedia.org/wiki/Latifondo). In seguito tentò di nazionalizzare i settori chiave dell'economia (http://it.wikipedia.org/wiki/Economia) tramite misure protezioniste (http://it.wikipedia.org/wiki/Protezionismo) e interventiste (http://it.wikipedia.org/wiki/Interventismo_(economia)). Allo scopo di organizzare e meglio controllare la mobilità sociale (http://it.wikipedia.org/wiki/Mobilit%C3%A0_(sociologia)) fu creato il Sistema Nazionale d'Appoggio per la Mobilità Sociale (http://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Sistema_Nazionale_d%27Appoggio_per _la_Mobilit%C3%A0_Sociale&action=edit&redlink=1) (SINAMOS).
In ambito internazionale, il governo di Velasco si fece promotore del non allineamento (http://it.wikipedia.org/wiki/Movimento_dei_paesi_non_allineati), seguendo lo slogan (http://it.wikipedia.org/wiki/Slogan) "né con il capitalismo (http://it.wikipedia.org/wiki/Capitalismo) né con ilcomunismo (http://it.wikipedia.org/wiki/Comunismo)". Nei fatti però la rottura con gli Stati Uniti (http://it.wikipedia.org/wiki/Stati_Uniti) lo portò ad allearsi con i paesi comunisti (http://it.wikipedia.org/wiki/Blocco_orientale).
A seguito della statalizzazione (http://it.wikipedia.org/wiki/Statalizzazione) dell'attività peschiera, fu istituito il Ministero della pesca. Grazie a ciò fu migliorata l'alimentazione del popolo, in special modo degli abitanti delle zone andine (http://it.wikipedia.org/wiki/Ande), che fino ad allora non avevano mai potuto avere pesce fresco e che invece ora arrivava loro grazie a camion termici mandati dallo Stato. Per distribuire gli alimenti prodotti dalle cooperative agricole create dal governo, fu istituito il Ministero dell'alimentazione, il quale promulgò leggi restrittive sull'importazione dei prodotti alimentari.
Nel 1972 il governo promosse una riforma dell'istruzione che prevedeva tra l'altro l'insegnamento bilingue (http://it.wikipedia.org/wiki/Bilinguismo) per coloro che parlavano le lingue indigene, che costituivano circa metà della popolazione. Nel 1975 il quechua (http://it.wikipedia.org/wiki/Lingue_quechua) divenne lingua ufficiale (http://it.wikipedia.org/wiki/Lingua_ufficiale) accanto allo spagnolo (http://it.wikipedia.org/wiki/Lingua_spagnola); in tal modo, il Perù fu il primo degli stati dell'America Latina (http://it.wikipedia.org/wiki/America_Latina) ad ufficializzare una lingua indigena. Tuttavia, questa legge non fu mai applicata e cessò di essere valida quando entrò in vigore la costituzione del 1979, secondo la quale il quechua e l'aymara (http://it.wikipedia.org/wiki/Lingua_aymara) sono ufficiali solo dove sono prevalenti, come previsto dalla legge, legge che però non è stata mai emanata.[2] (http://it.wikipedia.org/wiki/Juan_Velasco_Alvarado#cite_note-2)
Politica estera[modifica (http://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Juan_Velasco_Alvarado&veaction=edit&vesection=4) | modifica sorgente (http://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Juan_Velasco_Alvarado&action=edit&section=4)]


http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/b/b5/Salvador_Allende%2C_Velasco_Alvarado_y_Clodomiro_A lmeyda.jpg/220px-Salvador_Allende%2C_Velasco_Alvarado_y_Clodomiro_A lmeyda.jpg (http://it.wikipedia.org/wiki/File:Salvador_Allende,_Velasco_Alvarado_y_Clodomir o_Almeyda.jpg)

http://bits.wikimedia.org/static-1.24wmf15/skins/common/images/magnify-clip.png (http://it.wikipedia.org/wiki/File:Salvador_Allende,_Velasco_Alvarado_y_Clodomir o_Almeyda.jpg)
Salvador Allende (http://it.wikipedia.org/wiki/Salvador_Allende), Velasco Alvarado e Clodomiro Almeyda (http://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Clodomiro_Almeyda&action=edit&redlink=1)


Oltre alle riforme economiche e sociali, tra gli obiettivi della politica di Velasco c'era anche la riconquista dei territori perduti a favore delCile (http://it.wikipedia.org/wiki/Cile) nella guerra del Pacifico (http://it.wikipedia.org/wiki/Guerra_del_Pacifico_(1879-1884)).[3] (http://it.wikipedia.org/wiki/Juan_Velasco_Alvarado#cite_note-PCOLSorpresa-3)
È stato calcolato che dal 1970 al 1975 il Perù spese fino a 2 miliardi di dollari (http://it.wikipedia.org/wiki/Dollaro_statunitense) in armamenti sovietici.[4] (http://it.wikipedia.org/wiki/Juan_Velasco_Alvarado#cite_note-utexas-4) Secondo diverse fonti il governo peruviano avrebbe acquistato tra i 600 e i 1200 carri armati (http://it.wikipedia.org/wiki/Carro_armato) T-55 (http://it.wikipedia.org/wiki/T-55), APC (http://it.wikipedia.org/wiki/Veicolo_trasporto_truppe), dai 60 ai 90 cacciabombardieri (http://it.wikipedia.org/wiki/Cacciabombardiere)Sukhoi Su-22 (http://it.wikipedia.org/wiki/Sukhoi_Su-17), 500 000 fucili d'assalto, e prese perfino in considerazione l'acquisto della portaerei (http://it.wikipedia.org/wiki/Portaerei) britannica HMS Bulwark (http://it.wikipedia.org/wiki/HMS_Bulwark_(R08)).[4] (http://it.wikipedia.org/wiki/Juan_Velasco_Alvarado#cite_note-utexas-4)
L'ingente quantitativo di armi acquistato dal Perù spinsero nel 1976 l'ex segretario di Stato americano (http://it.wikipedia.org/wiki/Segretario_di_Stato_degli_Stati_Uniti_d%27America) Henry Kissinger (http://it.wikipedia.org/wiki/Henry_Kissinger) e il dittatore cilenoAugusto Pinochet (http://it.wikipedia.org/wiki/Augusto_Pinochet) a tenere una riunione.[4] (http://it.wikipedia.org/wiki/Juan_Velasco_Alvarado#cite_note-utexas-4) I piani militari di Velasco consistevano nell'invadere il Cile per via aerea, marina e terrestre.[4] (http://it.wikipedia.org/wiki/Juan_Velasco_Alvarado#cite_note-utexas-4) Al tempo il Cile era sull'orlo del fallimento finanziario e nel 1999 Pinochet rivelò addirittura che se nel 1975 il Perù avesse attaccato il Cile, le forze peruviane avrebbero potuto penetrare in profondità in territorio cileno arrivando a Copiapó (http://it.wikipedia.org/wiki/Copiap%C3%B3), città situata a metà strada da Santiago (http://it.wikipedia.org/wiki/Santiago_del_Cile).[3] (http://it.wikipedia.org/wiki/Juan_Velasco_Alvarado#cite_note-PCOLSorpresa-3)Per difendersi le forze armate cilene avevano preso in esame di scatenare una guerra preventiva (http://it.wikipedia.org/wiki/Guerra_preventiva), ipotesi a cui Fernando Matthei (http://it.wikipedia.org/wiki/Fernando_Matthei), generale della forza aerea cilena, si opponeva rispondendo che: "Posso assicurare che i peruviani annienterebbero la forza aerea cilena nei primi cinque minuti di guerra".[3] (http://it.wikipedia.org/wiki/Juan_Velasco_Alvarado#cite_note-PCOLSorpresa-3)
Alcuni analisti ritengono che il timore da parte degli ufficiali cileni e statunitensi di un'invasione peruviana fosse in gran parte ingiustificato, sebbene fosse per loro logico da pensare tenendo conto che Pinochet era salito al potere grazie a un colpo di Stato contro Salvador Allende (http://it.wikipedia.org/wiki/Salvador_Allende), presidente democraticamente eletto. Stando alle fonti, i presunti piani d'invasione potrebbero essere stati percepiti dal governo cileno come una sorta di contrattacco da parte delle forze di sinistra.[5] (http://it.wikipedia.org/wiki/Juan_Velasco_Alvarado#cite_note-5)
Deposizione e ultimi anni[modifica (http://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Juan_Velasco_Alvarado&veaction=edit&vesection=5) | modifica sorgente (http://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Juan_Velasco_Alvarado&action=edit&section=5)]

Il 30 agosto 1975 (http://it.wikipedia.org/wiki/1975), il generale Francisco Morales Bermúdez (http://it.wikipedia.org/wiki/Francisco_Morales_Berm%C3%BAdez), allora Presidente del Consiglio dei ministri (http://it.wikipedia.org/wiki/Presidente_del_Consiglio_dei_ministri) e che si diceva sarebbe succeduto a Velasco, partì dalla città di Tacna (http://it.wikipedia.org/wiki/Tacna) alla guida di un colpo di Stato che depose Velasco; il golpe, dal nome della città in cui ebbe inizio, è passato alla storia con il nome di Tacnazo. Per la realizzazione del golpe il generale prese a pretesto la difficile situazione economica e la salute del presidente, al quale il 10 marzo del 1973 era stata amputata la gamba destra a seguito di una gangrena (http://it.wikipedia.org/wiki/Gangrena)degenerata in un aneurisma dell'aorta addominale (http://it.wikipedia.org/wiki/Aneurisma_dell%27aorta_addominale) che lo aveva condotto quasi alla morte.

http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/c/cf/Tumba_Velasco_Alvarado.jpg/220px-Tumba_Velasco_Alvarado.jpg (http://it.wikipedia.org/wiki/File:Tumba_Velasco_Alvarado.jpg)

http://bits.wikimedia.org/static-1.24wmf15/skins/common/images/magnify-clip.png (http://it.wikipedia.org/wiki/File:Tumba_Velasco_Alvarado.jpg)
La tomba di Velasco Alvarado, situata nel Cementerio del Ángel (http://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Cementerio_del_%C3%81ngel&action=edit&redlink=1) aLima (http://it.wikipedia.org/wiki/Lima)


Velasco visse gli ultimi due anni della sua vita in una sorta di reclusione volontaria. Morì all'ospedale militare di Lima il 24 dicembre 1977; al suo funerale (http://it.wikipedia.org/wiki/Rito_funebre)parteciparono molte persone e terminò in una forma di protesta contro il governo di allora. I suoi resti riposano alCementerio del Ángel (http://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Cementerio_del_%C3%81ngel&action=edit&redlink=1) di Lima. Nel 1980 (http://it.wikipedia.org/wiki/1980) la sua tomba fu oggetto di una delle prime azioni terroristiche di Sendero Luminoso (http://it.wikipedia.org/wiki/Sendero_Luminoso): fu infatti fatta esplodere con la dinamite (http://it.wikipedia.org/wiki/Dinamite).
Eredità[modifica (http://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Juan_Velasco_Alvarado&veaction=edit&vesection=6) | modifica sorgente (http://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Juan_Velasco_Alvarado&action=edit&section=6)]

Quella di Velasco restò per il riformismo militare peruviano un'importante figura a cui fare riferimento: alcuni suoi luogotenenti infatti, ispirandosi all'opera di Velasco, fondarono il Partito Socialista Rivoluzionario. Due mesi dopo dalla sua fondazione però i principali esponenti del partito furono costretti a fuggire in Panamá (http://it.wikipedia.org/wiki/Panam%C3%A1) e inMessico (http://it.wikipedia.org/wiki/Messico); fu permesso loro di tornare solo alle elezioni per l'assemblea costituente (http://it.wikipedia.org/wiki/Assemblea_costituente), alle quali ottennero il 7% dei voti. Il PSR fece poi parte della Sinistra Unita (http://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Sinistra_Unita_(Per%C3%B9)&action=edit&redlink=1), alleanza fra le formazioni politiche peruviane di stampo socialista che si ponevano a sinistra dell'APRA (http://it.wikipedia.org/wiki/Alleanza_Popolare_Rivoluzionaria_Americana).

FONTE: Juan Velasco Alvarado - Wikipedia (http://it.wikipedia.org/wiki/Juan_Velasco_Alvarado)

Kavalerists
21-03-16, 23:50
IL SOCIALISMO DI VELASCO ALVARADO


Juan Francisco Velasco Alvarado (Piura (http://it.wikipedia.org/wiki/Piura), 16 giugno (http://it.wikipedia.org/wiki/16_giugno) 1910 (http://it.wikipedia.org/wiki/1910) – Lima (http://it.wikipedia.org/wiki/Lima), 24 dicembre (http://it.wikipedia.org/wiki/24_dicembre)1977 (http://it.wikipedia.org/wiki/1977)) è stato un generale (http://it.wikipedia.org/wiki/Generale) e politico (http://it.wikipedia.org/wiki/Politico) peruviano (http://it.wikipedia.org/wiki/Per%C3%B9).
Guidò il Perù dal 3 ottobre 1968 (http://it.wikipedia.org/wiki/1968) al 30 agosto 1975 (http://it.wikipedia.org/wiki/1975) con il titolo di "Presidente del governo rivoluzionario".

Figura sicuramente da conoscere meglio e rivalutare.

Italicvs
22-03-16, 13:01
Sempre nel Perù ci sarebbe la figura un po' controversa di Humala Ollanta e del Partito Nazionalista Peruviano che dovrebbe inserirsi in pieno nel filone della Terza Via. Che ne pensate?

LupoSciolto°
22-03-16, 19:06
Sempre nel Perù ci sarebbe la figura un po' controversa di Humala Ollanta e del Partito Nazionalista Peruviano che dovrebbe inserirsi in pieno nel filone della Terza Via. Che ne pensate?

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Italicvs
22-03-16, 21:56
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Berjia
04-04-16, 20:15
ll LIBRO VERDE di Gheddafi

Muammar Al Gheddafi non è solo il rivoluzionario che ha conquistato l’unità, l’autonomia e la prosperità della Libia e del suo popolo. Come altri rivoluzionari , ha prodotto una teoria originale anticapitalistica - filosofica e politica- dello Stato, della democrazia ,dell’economia e della società, altra e diversa da quella marxista e liberal-borghese (3^ teoria universale).Le sue idee sono sintetizzate nel”Libro Verde”qui descritto in una sua versione del 1980. Conferenze internazionali periodiche hanno discusso ed aggiornato questa teoria e queste idee.

1.Un pò di storia misconosciuta

La Libia è diventata formalmente “indipendente” nel 1951, a seguito delle lotte anticoloniali di molti popoli del mondo e dell’Africa. Per 22 anni (dal 1911) aveva subito una disumana e cruenta colonizzazione italiana e mussoliniana , fatta di barbare atrocità contro il popolo libico (di cui dobbiamo vergognarci). Dal 1943 al 1951 ha subito l’occupazione militare franco-britannica (vincitori della 2^ guerra mondiale), che – dopo il 1951 - avevano affidato ad un loro “suddito” – il re Idris Al Senussi - il governo del Paese.
Ma nel 1969- con un colpo di Stato militare- Muammar Al Gheddafi ha deposto un sovrano screditato ed ha proclamato la Repubblica , conquistando e rafforzando il sostegno del popolo libico. In tutti questi anni il suo prestigio e la politica socialista del governo libico ha prodotto benessere, dignità ,unità ed autonomia in un popolo “tribale”, colonizzato e diviso. Conquiste sociali enormi – che non hanno esempi in tutta l’Africa- sono state realizzate : lavoro ,casa, istruzione, salute, trasporti,ecc. Queste conquiste hanno richiamato da altri Paesi masse di africani diseredati, accolti in Libia, anche se non con gli stessi diritti dei libici. Gheddafi non ha mai assunto cariche istituzionali, mantenendo un ruolo di “guida (e garanzia) della Rivoluzione”, sia in senso ideale e teorico che in senso pratico e concreto.
Non è vero –come scrive l’Atlante De Agostini – che Gheddafi abbia “abolito elezioni e partiti politici”, egli ha costruito invece un Paese di “democrazia popolare diretta” basato sulle idee – da lui stesso avanzate- della “3^ teoria universale” e del “Libro verde”. Sono idee alternative a quelle neoliberiste e capitaliste.
Con la riforma costituzionale del 1977, il Paese ha assunto i caratteri e la denominazione di “Jamaharia araba libica popolare socialista”, una identità “invisa” agli imperialisti occidentali per più di un motivo :il carattere popolare e socialista, la matrice araba, il modello sociale vincente (e non solo in Africa). Tra 2700 rappresentanti -eletti nei congressi popolari di base- vengono scelti i membri collegiali dei vari livelli territoriali, fino al congresso generale del popolo, da cui promanano solo 5 Ministri (!!).
Una teoria ideale, politica, economica e sociale – universale, anticapitalistica ed anticolonialista - altra e diversa da quella marxista e comunista pre-esistente, che ha avuto un seguito importante in Africa e nel mondo arabo: non a caso Gheddafi fu eletto segretario della Lega araba. Le elezioni popolari esistono esono altre dalle truffe partitiche e oligarchiche che conosciamo in occidente. La teoria sociale libica critica sia il pluripartitismo borghese- capitalista (vanificazione del potere popolare) sia il monopartitismo sovietico o cinese(fonte di degenerazione burocratica e di svuotamento del potere popolare).Una lezione che ci riguarda da vicino, stante il monopolio partitocratico e mediatico dell’Europa e dell’Italia.
Grande attenzione la 3^ Teoria universale dedica alle comunicazioni di massa , come strumento diretto del potere popolare (non delegato). Altra lezione che ci riguarda direttamente, in Italia e in Europa.In un convegno internazionale del 1994 – invitato a riferire- ho espresso le mie proposte sul “Diritto AComunicare”, riprese poi in una intervista riportata dal quotidiano nazionale libico.Dunque una teoria/prassi che si potrà anche criticare, ma solo dopo averla conosciuta e valutata seriamente.
Naturalmente la propaganda capitalistica, le difficoltà di lingua, l’ostilità- permanente, ingiustificata ed unilaterale- dell’occidente imperialista contro Gheddafi, hanno impedito ai popoli europei di conoscere alcunchè della storia della Libia o di Gheddafi, meno che mai delle sue teorie politiche e sociali.
Ciò è tanto più grave per noi italiani che dipendiamo dalla Libia per gas e petrolio e per affari commerciali consistenti ; elementi che ci hanno portato a siglare unaccordo di cooperazione e di pace , oggi violato unilateralmente dal governo italiano, che partecipa all’aggressione militare contro la Libia di Gheddafi.
Siamo arrivati al punto di criminalizzare il legittimo governo libico – pro-Gheddafi - accusandolo di usare le armi contro gruppi (“patrioti “ ?) che usano la Nato e le armi per rovesciarlo.Strani “patrioti”! : nati dal nulla, armati e foraggiati da imperialisti stranieri, chiedono loro di bombardare e uccidere i loro concittadini per sconfiggere.... Gheddafi e il governo libico legittimo !!.
Gli imperialisti sono anche vigliacchi e opportunisti, disprezzano i popoli del mondo (anche i propri), per cui pensano che i leader rivoluzionari- come Gheddafi e Fidel Castro- o quelli che difendono gli interessi del loro popolo – come Milosevic e Saddam Hussein- siano della loro stessa pasta. Come nel tentativo di aggressione fallita contro Cuba e Fidel Castro (baia dei porci), si illudevano oggi che- a fronte dello strapotere delle armi USA-Nato, Gheddafi fuggisse, abbandonando il suo popolo. Questa notizia falsa hanno diffuso nei primi giorni dell’aggressione. Ma la cosa è andata diversamente, come vediamo, Gheddafi sta resistendo alla Nato ed ai “patrioti”, grazie all’appoggio diffuso e convinto del popolo libico.
Abbiamo approfittato dell’aggressione armata e delle bombe – che moltiplicano le morti dei civili- per rapinare le somme di danaro e le partecipazioni versate o acquisite dal governo libico in Occidente.Peraltro Gheddafi ha subito innumerevoli attentati,sempre falliti : nel 1986 aerei USA- con la copertura di U.K e dell’Italia- hanno bombardato proditoriamente la sua residenza, uccidendogli la piccola figlia.Un atto di brigantaggio e di terrorismo internazionale, come quello dell’aggressione di oggi (2011).
E’ impossibile per noi italiani conoscere la versione del governo libico sui fatti di oggi e di ieri.Il recente discorso di Gheddafi (2009) all’Università di Roma è introvabile, anche su Internet. Un coro sgangherato e strumentale reclamizza solo le sue presunte “nefandezze “ gheddafiane” Pochissimi dicono che si tratta di una neo-colonizzazione imperialista di rapina delle risorse energetiche e di eversione del modello socialista libico. Una neo-colonizzazione che usa perfino i vessilli monarchici del 1950.
Ma i nostri “soloni” dicono che Gheddafi - cioè il governo libico di cui egli non fa parte- ha oggi “tradito” la sua rivoluzione e il suo popolo, ma non ci dicono nè come nè quando ciò sia accaduto realmente. Lo accusano di essersi “legato all’occidente ed alle sue logiche”(!?), che essi sostengono qui in Europa.
Ma non forniscono mai dati di interesse sociale : quali diritti e conquiste sociali ha perduto in questi anni il popolo libico o gli immigrati dall’Africa ? Quali sono le idee e le conquiste tradite ?
Le aperture della Libia all’occidente imperialista ,e viceversa, sono dettate da interessi intuitivi e logici : da un lato il bisogno della Libia di stabilire accordi di pace e di non invasione (oggi traditi dagli imperialisti); dall’altro la necessità dell’Occidente di avere petrolio e gas e di fare affari ed investimenti nel Paese libico. Un rapporto messo in crisi da altri imperialisti concorrenti –USA, UK,Francia- che, approfittando delle sommosse popolari in Nord Africa ,vogliono colonizzare e rapinare la Libia con la forza delle armi.

2. Gheddafi e il “ Libro verde”

Il libro verde descrive una teoria politica socialista (anticapitalistica) innovativa, diversa da quella sovietica, basata sulla esperienza rivoluzionaria e di governo popolare arabo e sui valori “naturali ed universali” di equità individuale, di pace, di giustizia sociale e di partecipazione (democrazia diretta).
Altro che “dittatura di un folle”!! Il “libro verde” è articolato in tre parti , elaborate in tempi successivi .
A)- La soluzione del problema della democrazia ;
B)- La soluzione del problema economico;
C)- La base sociale della 3^ teoria universale.

A)- Democrazia :
Vengono criticate alla radice le forme di governo finora sperimentate, siano esse espressioni di un individuo, di un gruppo, di un partito o di una classe : forme mascherate di dittatura (falsa democrazia).Criticato anche il Parlamento -pseudo-rappresentanza popolare- mentre la vera democrazia consiste nella diretta partecipazione popolare senza intermediari.L’autorità e il potere deve essere esercitato direttamente dal popolo, non da eletti con i sistemi che conosciamo. Una volta eletto, il rappresentante esercita il potere a suo arbitrio, isolando la masse popolari dalle relative decisioni. Dove il Parlamento è formato da un solo partito, diviene lo strumento di quel partito, non del popolo. Lo stesso accade nei Parlamenti formati da più partiti. In altre parole , il popolo o rimane vittima del suo voto , o rimane sedotto, apatico rispetto alle scelte che lo riguardano. Il voto è basato su una propaganda fuorviante ed oligarchica (non è il caso dell’Italia ?).
Anche il/i partito/i, moderno strumento di governo dittatoriale, non è democratico, ma espressione degli interessi comuni e specifici di quelli che lo sostengono. Nella comunità il partito rappresenta sempre una minoranza. Lo scopo di formare un partito è quello di creare uno strumento di dominio sul popolo, cioè sui “non membri” del partito. L’esistenza di più partiti non risolve il problema, anzi lo complica , perchè intensifica la lotta di potere tra di loro, a tutto svantaggio degli interessi popolari.
Questa lotta è politicamente, socialmente ed economicamente distruttiva della società. Il partito rappresenta un segmento di popolo, ma la sovranità popolare è indivisibile. Il sistema partitico è l’equivalente moderno dei sistemi tribali o settari. Inaccettabile anche il concetto di classe, analogo a quello di partito, di setta o di tribù. Così ,ad es. ,la classe lavoratrice svilupperà una società separata che include tutte le contraddizioni della società precedente e tenterà di conseguire il governo di tutta la società ,senza mutazioni. Invece la base materiale di una società è mutevole nel tempo, per cui essa produce inevitabilmente società multi-classe.
Anche i plebisciti- o i referendum- sono una frode antidemocratica. La prassi del SI/NO nasconde la impossibilità di risolvere sul serio il problema della democrazia e del consenso.
La soluzione sta nelle conferenze popolari e nei comitati del popolo(democrazia diretta). In esse il popolo esercita direttamente il suo potere e la sua autorità, senza intermediari di sorta. Il meccanismo funziona dal livello di base (locale) fino a quello nazionale (generale). Ciascuna conferenza popolare di base elegge il suo segretariato. I segretariati di tutte le conferenze di base formano le conferenze popolari non-basiche. Le conferenze popolari di base eleggono i loro comitati amministrativi del popolo. Tutte le Istituzioni, a vari livelli, sono gestite dai comitati del popolo in connessione alle conferenze popolari che ne dettano la politica e ne controllano l’esecuzione. Si arriva così al congresso generale del popolo, i cui membri sono espressione delle Conferenze popolari e dei comitati del popolo (non di un Parlamento eletto).
La legge della società è l’altro problema da risolvere, insieme a quello della rappresentanza di governo.Tale legge deve essere basata sulla tradizioni del Paese o sulla religione. La Costituzione non può considerarsi espressione di una legge naturale, ma di una legge positiva, prodotto dei governi del Paese.
Inoltre la legge fondamentale (naturale) di una società non deve assoggettarsi a modificazioni storiche. E’ il governo che deve assoggettarsi alla legge naturale (eredità umana) e non viceversa. La religioni includono le tradizioni popolari, cioè la vita naturale del popolo e vanno rispettate.
Ma chi ha il diritto di supervisionare la società o di segnalare deviazioni di leggi ? Nessuna persona o gruppo ha questo diritto, esso appartiene a tutta la società e solo ad essa. Mediante i suoi strumenti di rappresentanza e di governo , la società garantisce l‘auto-supervisione delle sue leggi.
Come può una società re-indirizzare il suo corso, quando intervengano deviazioni dalle sue leggi ?
Tali deviazioni vanno corrette - non con la forza o la violenza- ma mediante sostituzioni e correzioni nell’ambito degli organismi decisionali e di rappresentanza popolare indicati.
La stampa e i mass media debbono essere mezzi di espressione per la società, quindi non debbono appartenere a singole persone, gruppi, multinazionali, ecc. La stampa democratica è allora quella gestita dai comitati del popolo, in rapporto a tutti i gruppi della società. Se un ordine professionale pubblica un giornale, questo deve riguardare solo questioni inerenti quella professione (es. medico-sanitaria).

B)- economia
Qui si criticano , in modo radicale , tutte le formestoriche di lavoro salariato, sia nella versione liberista e capitalistica che in quella socialista sovietica e di matrice marxista. Descritti i guasti e le ingiustizie “ineliminabili” associati ai due sistemi in lizza , Gheddafi- coerentemente con i principi della 1^ parte- proponel’azzeramento del lavoro salariato sotto qualsiasi forma, proponendo una disciplina del lavoro e della produzione nella quale i “produttori componenti” sianopartner equivalenti e di pari dignità, che si dividono in parti uguali i frutti del loro lavoro. Una produzione che non deve creare accumulazione o surplus, rispetto ai bisogni concreti della società di appartenenza, per non generare profitti e sfruttamento.
Esemplifica il caso della produzione industriale e di quella agricola. Nel primo caso i “ produttori componenti” sono tre : materie prime, mezzi di produzione (macchinari e tecnologie), produttori (lavoratori).Nel secondo caso, sono due- terra e agricoltori- oppure tre – se si aggiungono i mezzi di produzione.In ogni caso il prodotto e i benefici della produzione vanno divisi in parti uguali (dividendo per 3 o per 2 ).
Passa poi ad esaminare i bisogni umani- personali e collettivi – affermando che non c’è libertà se il bisogno di uno viene gestito o controllato da altri (sfruttamento), siano essi soggetti privati o pubblici (lo Stato).Espone poi 4 esigenze primarie individuali : l’abitazione, il reddito, i mezzi di trasporto, la terra.
La casa deve essere proprietà di chi vi abita ; debbono essere vietati affitti e speculazioni abitative.
Il reddito non deve dipendere dal salario, ma dalla quota di produzione assunta come “partner”.
La mobilità è un diritto individuale, perciò i mezzi di trasporto non possono essere proprietà di Enti privati o pubblici che li concedono in cambio di tariffe imposte.
La terra non deve essere proprietà di alcuno : deve essere usata direttamente da chi la coltiva e da chi cura il bestiame, ma senza ricorrere a lavoratori salariati (auto-impiego). Vengono poi descritti le assurdità, i privilegi, lo sfruttamento, le ingiustizie conseguenti alla proprietà privata o statuale della terra.
Anche l’utilizzo di servitori domestici - a pagamento o non- è una forma di sfruttamento da vietare.
In sostanza, esigenze e bisogni regolati dal diritto naturale, più che da leggi e procedure imposte.

C)- base sociale della 3^ teoria universale
Il fattore sociale- fattore nazionale- è la forza dinamica della storia umana. Il legame sociale che unisce le comunità umane – dalla famiglia,mediante la tribù fino alla nazione –è la base del movimento della storia.Il nazionalismo è allora è la base da cui emerge la nazione e della sua sopravvivenza. Quindi l’unità nazionale è la base della sopravvivenza nazionale (avviso per la Lega di Bossi e per gli aggressori di oggi).
Solo il fattore religioso è rivale del fattore sociale che influenza l’unità di un gruppo. Una nazione dovrebbe avere una sua religione (unica).
Per l’individuo la famiglia è più importante dello Stato, che è un sistema artificiale politico, economico e talvolta militare. La famiglia è come una pianta con fusto, rami, foglie e fiori. La società fiorente è quella in cui l’individuo cresce naturalmente nella famiglia e la famiglia nella società (consonanza umana e sociale).
La tribù è una famiglia cresciuta con la procreazione allargata, allo stesso modo che la nazione è una tribù allargata. I legami sociali, la coesione,l’unità,l’intimità e l’amore sono più forti a livello di famiglia che di tribù, più forti nella tribù che nella nazione, più forti nella nazione che a livello mondiale. E allora necessario salvaguardare e rispettare queste entità dentro la nazione e tra le nazioni. La tribù è anche l’ombrello naturale per la sicurezza sociale : nata su fattori di sangue si estende verso una unità sociale e fisica.
La Nazione è un ombrello politico per gli individui (cittadini), un ombrello più ampio di quello tribale. La legalità nazionale è essenziale, ma al tempo stesso, una minaccia per l’umanità (nazionalismo aggressivo).La nazione si caratterizza per le sue origini, per la sua storia,per le sue tradizioni. La nazione è anche una struttura sociale il cui legame è il nazionalismo, ma è anche una struttura politica che non sempre è consonante con le strutture sociali. Qunado questa affinità/consonanza di interrompe, nascono rivolte sociali.
Gli Stati che sono composti da più nazionalità per motivi vari- religiosi,economici, militari,ideologici- saranno attraversati da conflitti nazionali finchè ciascuna nazione non avrà raggiunto la sua indipendenza, perchè il fattore sociale prevale inevitabilmente su quello politico.
Un lungo capitolo del libro verde è dedicato alla DONNA, essere umano che deve avere gli stessi diritti dell’uomo. In più, come soggetto di procreazione, deve avere- in famiglia, nel lavoro e nella società- un trattamento consono al suo ruolo materno e di stretto rapporto umano con la prole. Nè le “bambinaie” possono sostituire il ruolo materno, così come sono contrari al diritto naturale gli interventi anti-concezionali imposti da motivi di costrizione o di disagio. Le società moderne guardano alla donna come ad una merce : l’est come un bene da comprare e vendere, l’ovest non ne riconosce la sua femminilità. Comunque non deve esserci nessuna differenza di diritti umani tra uomo e donna o tra bambino ed adulto.
Altri temi trattati riguardano le minoranze -che le maggioranze non debbono coartare - i negri – destinati a diventare maggioranza nel mondo. Alla educazione e alla scuola- che non deve essere coercitiva secondo schemi imposti da individui o dallo Stato – ma libera scelta in base ad un offerta ricca e varia.
Seguono altre considerazioni che riguardano l’arte e la musica e lo sport – concepito come pratica sportiva libera e pubblica,accessibile a tutti i cittadini di ogni età.

Questi in sintesi i contenuti del “libro verde” che possiamo condividere o non, ma che meritano considerazione e rispetto, perchè abbiamo poco da insegnare su materie e valori di questo tipo. Sarebbe anche utile e giusto conoscere e valutare quante e quali di questi principi hanno trovato (o non hanno trovato)
realizzazione concreta nella Libia di Gheddafi, ieri come oggi. Alcuni sostengono che dopo una fase positiva ed evolutiva per il popolo di quel Paese, il governo libico e le sue rappresentanze popolari hanno tradito i valori iniziali e degradato lo stato sociale e il benessere dei cittadini o dei migranti ospiti. Ci portino le prove di quanto affermano e ci dicano quando e come ciò sarebbe accaduto. Non saranno certo gli aggressori bugiardi della Nato e i loro complici a spiegarci come stanno le cose, nè in Libia nè altrove.
Noi sappiamo bene che in questi anni , nei Paesi capitalistici, le condizioni di vita di cittadini, lavoratori, giovani, pensionati , sono notevolmente peggiorate, senza che si intravvedano soluzioni accettabili.Dopo il crollo dell’URSS e lo sfacelo del capitalismo, le “ricette” di Gheddafi vanno valutate e rispettate.

Roma 22 aprile 2011

Il libro verde di Gheddafi (http://www.forumdac.it/ricerca-articoli-per-categoria/6-politica-internazionale/349-il-libro-verde-di-gheddafi.html)

Gianky
04-05-16, 19:29
Bolivarismo 7 gennaio 2016. -- Continenti (http://spondasud.it/temi/continenti)
http://spondasud.it/wp-content/uploads/2016/01/cc8ed075-dc40-40b3-8026-30953397194d.jpg


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(Maddalena Celano) – Bolivar desiderò attuare con tenacia l’idea di unità latinoamericana. Altri, come Miranda e Picornell originariamente avevano incoraggiato un progetto di unità continentale, ma non furono in grado di articolare i primi passi. Bolivar, nello stesso percorso pionieristico, riuscì a realizzare ciò in parte, attraverso la realizzazione della Gran Colombia. Ha anche proposto una formula specifica per la fattibilità del singolo progetto: una confederazione di Stati latino-americani. Dal momento che i precedenti tentativi di unificare le nazioni si sono basati sulla conquista e la sottomissione, come l’ esempio egizio, quella assiro, quello persiano o greco-romano e altre varianti di imperi in Africa e Asia;
in contrasto con queste esperienze, Bolívar si proiettò verso l’idea di nazioni confederate costituite da popoli della stessa origine, lingua, costumi o tradizione storica comune, sulla base di accordi volontari e autonomi. Il progetto di Bolívar era costruire una confederazione di repubbliche, di rispettare la parità e l’autonomia degli Stati, con la finalità di garantire alle nuove nazioni limiti ai vicereami e ai governatori. Il piano di creare una confederazione di repubbliche è chiaramente espresso in uno dei suoi proclami e nei documenti del Congresso di Panama, dal 1822 al 1826.
Il combattente infaticabile venezuelano torna a ripensare l’unità nel manifesto di Cartagena del 1812. Nel novembre 1814, arringa i soldati: “Per noi la Patria è l’America”.
Costretto all’esilio, dopo il trionfo di Boves e la controrivoluzione in Venezuela, Bolivar riuscì a pensare alla sua Carta de Jamaica (1815).
Il “pensiero bolivariano” prevede l’organizzazione del Nuovo Mondo su basi solidaristiche, di omogeneità giuridica tra nazioni e comuni. Un regime democratico e repubblicano, caratterizzato dall’ assenza d’antagonismo e identità d’aspirazioni. Scrive:
Io desidero più di tutti gli altri vedere formarsi in America la più grande nazione del mondo meno per la sua estensione e ricchezza che per la sua libertà e gloria. È un’idea grandiosa pretendere di formare di tutto il nuovo mondo una sola nazione con un solo vincolo che leghi le parti tra loro. Poiché hanno una sola origine, lingua, costumi e religione, dovrebbe di conseguenza avere un solo governo che confederi i differenti Stati che la formano; di più non è possibile perché situazioni diverse, interessi opposti, caratteri diversi dividono l’America.
Che bello sarebbe che l’istmo di Panama fosse per noi ciò che quello di Corinto era per i greci…
Io dirò a voi ciò che può metterci in grado di espellere gli spagnoli e di fondare un governo libero: è l’unione, certamente, ma quest’unione non avverrà per prodigi divini, ma per effetto di sforzi ben precisi. L’America si trova in questa situazione perché e stata abbandonata da tutte le nazioni, senza relazioni diplomatiche, né aiuti militari[1] (http://spondasud.it/2016/01/le-radici-anti-schiaviste-nel-bolivarismo-10531#_ftn1).
Nella “Carta di Jamaica” (testo da lui scritto nel 1815) si fonde l’uomo di stato, il militare, il diplomatico e l’apostolo della libertà. Questo è uno dei documenti più celebri tra quelli che riguardano il Libertador.
Bolivar polarizza, intorno al suo genio politico e al suo prestigio,
le aspirazioni d’indipendenza in tutti i popoli del continente.
Egli cerca, non solo di costituire un gruppo di nazioni libere e indipendenti, ma anche di allacciarle una all’altra con vincoli di solidarietà.
Per lui, l’America Latina deve divenire una vera famiglia unita per diritto e democrazia. L’idea che Bolivar ha è:
…stessa razza, stessa religione, lingua, pericoli e speranze comuni, uguale destino nella storia, identica concezione del mondo, della vita e la coscienza di formare una stessa famiglia di nazioni.[2] (http://spondasud.it/2016/01/le-radici-anti-schiaviste-nel-bolivarismo-10531#_ftn2)
La ricerca dell’unità americana è presente sin dall’inizio della sua epopea militare e politica. Egli pensa che l’America rappresenti in piccolo l’intera umanità; un’umanità diversa e nuova:
…I popoli americani sono il prodotto di una razza mista; essi non sono né indios, né europei, ma un ibrido prodotto dall’incrocio fra le legittime popolazioni del continente e gli usurpatori spagnoli. L’unica strategia possibile è l’unità. L’America latina dalla “disgrazia” della conquista e della colonizzazione può trarre vantaggio nel consolidare il progetto democratico[3] (http://spondasud.it/2016/01/le-radici-anti-schiaviste-nel-bolivarismo-10531#_ftn3).
Essendo le varie province in lotta per l’indipendenza e le loro popolazioni eguagliate dallo stesso “destino storico” diviene indispensabile associarle in un progetto comune di riscatto ed emancipazione.
Infatti quando si dice che Hugo Chavez abbia ripreso la figura del Libertador de America, Simon Bolívar, non si intende solo che ne ha rinnovato il mito agli occhi del suo popolo ma, soprattutto, che cercò di riprenderne i progetti e gli ideali. Nel luglio del 2010, il presidente venezuelano ordina la riesumazione del corpo di quest’uomo morto da duecento anni. Non solo, ma assiste e commenta in diretta su YouTube i vari passaggi della cerimonia. L’azione di Chávez non risponde però a un’ideologia ben definita e coerente: Chavez promosse la sua visione di “socialismo democratico” come modello da esportare in America Latina in un’ottica di consolidamento dell’indipendenza regionale dalle influenze esterne.
Il Chavismo, infatti, ha rilanciato l’ideale di panamericanismo attraverso un rafforzamento del ruolo dello stato e della politica come soluzione ai problemi economici e sociali di questi paesi. Proprio in tale ottica è sorta l’ALBA (Alleanza Bolivariana per le Americhe), un progetto di cooperazione politica, sociale ed economica bolivariana tra i paesi del Sud America sorto nel 2004 per volontà di Chavez e Fidel Castro in contrapposizione alle iniziative di integrazione regionale liberiste come il Mercosur o l’Alca.[4] (http://spondasud.it/2016/01/le-radici-anti-schiaviste-nel-bolivarismo-10531#_ftn4) L’Alba che conta otto paesi membri – Antigua & Barbuda, Bolivia, Cuba, Dominica, Ecuador, Nicaragua, Venezuela, e St. Vincent & Grenadines – e numerosi partner nella cooperazione energetica, ha scompaginato gli equilibri regionali proponendo un’integrazione politica ed economica soprattutto grazie alle risorse petrolifere venezuelane. Altri progetti di recente fondazione sono l’UNASUR (Unione delle Nazioni Sudamericane), una piattaforma di integrazione economica regionale sul modello dell’Unione Europea istituito nel 2008 e operativo nel 2011, e il CELAC (Comunità degli Stati Latinoamericani e Caraibici), sorto nel 2011 anche questo per volontà di Chavez e del gruppo bolivarista, con lo scopo di contenere l’influenza nordamericana nello spazio meridionale del Continente e sostituire politicamente l’OSA (Organizzazione degli Stati Americani). I progetti di integrazione regionale di stampo bolivariano e il conseguente peso geopolitico acquisito grazie al petrolio, le alleanze politiche con Correa in Ecuador e Morales in Bolivia, la special partnership con i Castro e Cuba[5] (http://spondasud.it/2016/01/le-radici-anti-schiaviste-nel-bolivarismo-10531#_ftn5).
Il progetto bolivariano iniziò a rivestire un carattere sociale, dopo la visita di Simon Bolívar alla prima repubblica di schiavi nel mondo, Haiti, che in realtà era diventata la prima repubblica indipendente di schiavi in America Latina. Bolívar parlò ad Haiti, comprendendo che non si può conquistare l’indipendenza e l’unità del continente, se non combattendo per la libertà degli schiavi neri. Le sue prime sconfitte furono il risultato della mancanza di partecipazione popolare e, in molti casi, la mancanza di supporto da parte di schiavi. Anne Alexandre Sabès, detto Pétion, il presidente haitiano, non solo gli suggerì l’idea di liberare gli schiavi, ma fornì a Bolivar un aiuto incondizionato attraverso la fornitura di militari, di armi, di navi e uomini per riavviare la campagna che si è conclusa con la liberazione del Venezuela. A quel tempo, Bolìvar affermò senza mezzi termini: “Pétion è l’autore della nostra indipendenza”, notando che ogni nazione europea, tranne gli Stati Uniti, fornì aiuto efficace all’indipendenza dell’America Latina, e che il successo fu ampiamente raggiunto con l’aiuto di Haiti.
In patria, Bolívar non ha mai dimenticato la promessa fatta a Pétion, dichiarando nel 1816 e nel 1817 la liberazione degli schiavi in un paese dominato prevalentemente da schiavitù impiegata nelle piantagioni di cacao. Di conseguenza, cominciò la lotta di liberazione nazionale per l’eguaglianza sociale. La guerra d’indipendenza ha cominciato ad acquisire un carattere popolare e la struttura di classe dell’esercito andò in crisi per via di un massivo arruolamento di neri e mulatti (non visti di buon occhio dalla casta militare tradizionale). Uno dei uno dei personaggi più influenti fu Manuel Piar, un mulatto figlio illegittimo della nobile Maria Isabel Gomez. Nato a Curaçao nel 1774, emigrò ad Haiti presso Piar, diventando uno dei latino-americani autore della più importante esperienza rivoluzionaria del tempo. Tornò in Venezuela per partecipare al processo di indipendenza. Temporaneamente sconfitto, tornò ad Haiti nel 1816, dove si unì alla spedizione di Bolívar, finanziata da Pétion. Invase il Venezuela a est, liberando la Guyana orientale con una divisione di 800 neri, per lo più haitiani.
Con queste misure egualitarie, Piar riuscì ad integrare nell’esercito patriottico vasti settori indigeni e neri, un fatto riconosciuto dal generale spagnolo Morillo. Ma Piar commise l’errore di provocare una crisi durante la guerra contro il nemico spagnolo, avviando una campagna diffamatoria contro Marillo e Bolívar.
Bolívar vide un pericolo in Piar perciò l’accusò di disobbedienza, pertanto venne giustiziato.
Negli ultimi anni della sua vita, Bolìvar si rese conto di aver commesso un errore ordinando l’esecuzione di Piar. Nelle lettere a Paez e Pedro Mendez Briceno, il Libertador scrisse: “Mi dispiace per la morte di Piar, Padilla e altri morti per la stessa causa (…)”.
Bolivar nel 1817 delineò i primi segni di una campagna continentale, liberando le Ande. In una lettera a Pedro Briceño e, attraverso di lui, ai suoi soldati, dichiarò, una volta raggiunta l’indipendenza del Venezuela:
Non vorresti volare a rompere le catene degli altri fratelli che soffrono la tirannia del nemico?[6] (http://spondasud.it/2016/01/le-radici-anti-schiaviste-nel-bolivarismo-10531#_ftn6)
Continuò la sua marcia trionfale per sconfiggere gli spagnoli a Pichincha (24/05/1822) liberando Quito e Guayaquil e aggiunse un nuovo paese alla Grande Colombia. I suoi riferimenti alla Colombia derivano dal vecchio termine “Colombeia”, la parola usata da Miranda per riferirsi al continente conquistato da Colombo. “Colombeia” divenne così il simbolo dell’unità del continente.
Così l’America Latina realizzò rapidamente la necessità storica di porre fine ai rapporti servili di produzione e una rivisitazione del sistema dei salari. Il 5 luglio 1820 si ordinò che tutte le forme di schiavitù venissero abolite, e che lo stipendio dei lavoratori venisse corrisposto interamente in contanti. Inoltre si cercò di applicare un concetto di giustizia sociale basato sulla redistribuzione delle terre ai nativi ed ai contadini poveri.

[1] (http://spondasud.it/2016/01/le-radici-anti-schiaviste-nel-bolivarismo-10531#_ftnref1) Tratto da: “La Rivoluzione Bolivariana” – ed. La Città del Sole, Napoli
A cura della delegazione italiana comunista per il XVI F.M.G.S. di Caracas 2005, dal sito: Simon Bolivar e l'America Latina (http://www.resistenze.org/sito/te/cu/st/cust5l08.htm)
[2] (http://spondasud.it/2016/01/le-radici-anti-schiaviste-nel-bolivarismo-10531#_ftnref2) Tratto da: “La Rivoluzione Bolivariana” – ed. La Città del Sole, Napoli
A cura della delegazione italiana comunista per il XVI F.M.G.S. di Caracas 2005, dal sito: Simon Bolivar e l'America Latina (http://www.resistenze.org/sito/te/cu/st/cust5l08.htm)
[3] (http://spondasud.it/2016/01/le-radici-anti-schiaviste-nel-bolivarismo-10531#_ftnref3) Tratto da: “La Rivoluzione Bolivariana” – ed. La Città del Sole, Napoli
A cura della delegazione italiana comunista per il XVI F.M.G.S. di Caracas 2005, dal sito: Simon Bolivar e l'America Latina (http://www.resistenze.org/sito/te/cu/st/cust5l08.htm)
[4] (http://spondasud.it/2016/01/le-radici-anti-schiaviste-nel-bolivarismo-10531#_ftnref4) Chavez, Venezuela e il sogno bolivariano - Background | ISPI (http://www.ispionline.it/it/articoli/articolo/usa-americhe/chavez-venezuela-e-il-sogno-bolivariano-background)
[5] (http://spondasud.it/2016/01/le-radici-anti-schiaviste-nel-bolivarismo-10531#_ftnref5) Chavez, Venezuela e il sogno bolivariano - Background | ISPI (http://www.ispionline.it/it/articoli/articolo/usa-americhe/chavez-venezuela-e-il-sogno-bolivariano-background)
[6] (http://spondasud.it/2016/01/le-radici-anti-schiaviste-nel-bolivarismo-10531#_ftnref6) https://www.google.it/#q=bolivar+simon++rompere+le+catene+degli+altri+fr atelli+che+soffrono+la+tirannia+del+nemico%3F&start=20


Le radici anti-schiaviste nel Bolivarismo - Spondasud | Spondasud (http://spondasud.it/2016/01/le-radici-anti-schiaviste-nel-bolivarismo-10531)

Gianky
04-05-16, 19:35
Ciudad Caribia, l’utopia chavista http://www.comitatobolivariano.info/images/M_images/pdf_button.png (http://www.comitatobolivariano.info/index.php?view=article&catid=37%3Asocieta&id=2145%3Aciudad-caribia-lutopianchavista&format=pdf&option=com_content&Itemid=37)
http://www.comitatobolivariano.info/images/M_images/printButton.png (http://www.comitatobolivariano.info/index.php?view=article&catid=37%3Asocieta&id=2145%3Aciudad-caribia-lutopianchavista&tmpl=component&print=1&layout=default&page=&option=com_content&Itemid=37)
http://www.comitatobolivariano.info/images/M_images/emailButton.png (http://www.comitatobolivariano.info/index.php?option=com_mailto&tmpl=component&link=aHR0cDovL3d3dy5jb21pdGF0b2JvbGl2YXJpYW5vLmluZ m8vaW5kZXgucGhwP29wdGlvbj1jb21fY29udGVudCZ2aWV3PWF ydGljbGUmaWQ9MjE0NTpjaXVkYWQtY2FyaWJpYS1sdXRvcGlhb mNoYXZpc3RhJmNhdGlkPTM3OnNvY2lldGEmSXRlbWlkPTM3)




di Geraldina Colotti – il manifesto
Venezuela. Nello stato Vargas, tra le montagne e il mare una città eco-socialista
8gen2016.- L’autobus lascia l’autostrada e sale tra le curve per più di 2 chilometri, fin quasi a 1.000 metri di altezza. In una zona montagnosa dello Stato Vargas, tra Caracas e il Litorale Centrale, si trova Ciudad Caribia, «la prima città socialista» del Venezuela. Due ragazze si fermano, curiose, alcuni bambini corrono verso i nuovi venuti. Dalle case intorno, arriva musica llanera. Una donna ci tende la mano e si presenta: Xiomara Alfaro, prima cittadina, o meglio «autorità unica di questo Distretto motorio». Così viene definito il circuito che racchiude le «città nuove», le città inventate dal chavismo per coniugare dignità e utopia.
Sotto un porticato, c’è la ricostruzione in miniatura di Ciudad Caribia, i progetti realizzati e quelli ancora da costruire. «Prima, qui non c’era nulla — spiega Alfaro — solo vento, nuvole e animali. Tutto è cominciato nel 2007, da un’idea di Hugo Chavez, che ha voluto sperimentare una scommessa: costruire una comune eco-socialista, libera dalla violenza di genere e dalla sopraffazione, basata sui principi umanisti della rivoluzione bolivariana». Grazie al lavoro comunitario di operai, ingegneri e architetti, nel 2011 le prime famiglie hanno potuto trasferirsi: inizialmente erano 602, oggi abitano qui 7.000 persone. Quando la città sarà completa, dovrebbe ospitare 20.000 famiglie, circa 100.000 persone.
«I primi ad arrivare — racconta Xiomara — sono stati gli alluvionati del Vargas. Nel 2010, il fango si portò via case e vite, oltre 100.000 persone furono trasferite nei rifugi. Oggi più nessuna di loro è senza casa, ma allora la questione dell’abitare emerse nella sua drammaticità, mostrando l’estrema vulnerabilità delle persone che vivevano nelle baracche, prive di condizioni minime di sicurezza e conseguenti regole di vita». Oggi, intorno vi sono le case costruite dalla Gran Mision Vivienda Venezuela (Gmv), un gigantesco progetto di case popolari ammobiliate consegnate dal governo chavista con un contributo per fasce di reddito, pari a zero per chi è privo di risorse. Alla fine del 2015, è stata assegnata la milionesima abitazione popolare. Ora, le destre maggioritarie alle ultime elezioni parlamentari, dicono di voler trasformare le case in proprietà individuali che chiunque può vendersi o affittare: un modo demagogico di attaccare la «proprietà collettiva. A Ciudad Caribia vi sono un Centro diagnostico integrato (Cdi), promosso dai medici cubani; due scuole elementari, un asilo nido e un liceo; una radio comunitaria; e anche una stazione di polizia, una Casa Penale, un tribunale per piccoli reati e una Casa di mediazione e soluzione dei conflitti.
«Da noi — dice ancora Xiomara — vengono persone che non avevano mai avuto un’opportunità, che hanno vissuto situazioni di marginalità e violenza, donne provate da una vita dura, che qui imparano a vivere in pace e a sviluppare la parte migliore di sé. La popolazione va da zero ai trent’anni ed è in maggioranza femminile. I ragazzi vengono educati in base alla pedagogia libertaria di Paulo Freire, basata sull’inclusione, il rispetto delle differenze e della comunità. Gli educatori vengono selezionati in base alla motivazione e alla preparazione. Centrale è una formazione di genere, che metta al centro la relazione di rispetto per le donne e per la loro libertà». I reati? «Liti, diverbi, che cerchiamo di ricomporre con il dialogo e nella Casa di mediazione. Anche droga. I problemi ci sono, e non scompariranno per incanto. La gente che sta qui non viene dai quartieri alti. E non pensiamo di aver costruito un paradiso. Sono percorsi lenti, ma poi i risultati perdurano. Il socialismo in cui crediamo è basato sul consenso».
Da un balcone, un ragazzino con la maglietta rossa ci saluta a pugno chiuso. E’ uno dei piccoli campioni di judo — ci spiega Gregorio Antonio, un istruttore che prima viveva nelle baracche e ora si dedica a «fabbricare» atleti, per aumentare «la generazione d’oro» che negli ultimi anni ha fatto onore alle grandi risorse investite dal governo nello sport e nella cultura: oltre il 60% delle entrate del Venezuela è dedicato ai progetti sociali. A Ciudad Caribia c’è anche un sistema d’orchestra, in linea con quello che ha reso il «sistema Abreu» famoso in tutto il mondo.
In un paese che custodisce le più grandi riserve di petrolio al mondo ma che è ancora troppo dipendente dalla rendita che ne deriva, Ciudad Caribia «punta sull’autonomia produttiva». Spiega Xiomara Alfaro: «Abbiamo studiato le potenzialità della zona, è una zona montagnosa con un buon potenziale turistico, agricolo, anche industriale, stiamo promuovendo i saperi locali. Tutto il progetto è volto all’ecologico, allo sviluppo delle energie alternative e regolato in base all’economia comunale. Abbiamo un mercato locale e un Pdval, un centro di distribuzione dei prodotti».
Il Venezuela ha un quadro di leggi che da spazio al mutualismo, al «potere popolare» e allo sviluppo delle comuni, basate sui consigli comunali che decidono la ripartizione e l’impiego delle risorse. «I consigli comunali — spiega ancora Xiomara — discutono con l’Autorità unica e con le diverse equipe, che hanno una funzione di accompagnamento e non di comando. L’obiettivo è che le comunità imparino a governare le politiche pubbliche, che discutano e risolvano i problemi insieme, che imparino a riconoscersi e a mettere le energie al servizio dello sviluppo collettivo. Di volta in volta si decide la distribuzione degli incarichi per i vari settori. Abbiamo 8 consigli comunali e 8 poligonali per la distribuzione degli alimenti».
A Ciudad Caribia — dice Margarita, che torna dall’università — «siamo chavisti al 98,7% perché la rivoluzione ci ha dato dignità e possibilità. Tuttavia, non vi sono preclusioni, anche chi è d’opposizione può venire: a condizione di non voler imporre le proprie idee con la violenza, e di rispettare lo spazio altrui. La prima sfida che abbiamo dovuto affrontare, qui, è stata quella di imparare a convivere».
Alle ultime elezioni parlamentari, anche fra i 2.500 votanti di Ciudad Caribia c’è stato chi ha scelto le destre, che hanno ottenuto un’ampia maggioranza e promettono di cancellare tutti i progetti sociali sviluppati dal chavismo in quasi 17 anni. Che ne sarà di Ciudad Caribia?
Xiomara Alfaro è preoccupata ma non ha dubbi: «La rivoluzione — afferma — non è a rischio. Un popolo che prima aveva fame e non sapeva leggere, non lascerà che tutto si spenga. Quando le parti si ribaltano, bisogna assumere la sfida con più forza. Ora la parola è al parlamento comunale». Margarita fa un gesto circolare in direzione del ritmo che arriva dalle finestre: «… E alla musica — dice — che può trasformare l’essere umano».

Ciudad Caribia, l?utopia*chavista (http://www.comitatobolivariano.info/index.php?option=com_content&view=article&id=2145:ciudad-caribia-lutopianchavista&catid=37:societa&Itemid=37)

Kavalerists
04-05-16, 22:23
Il peronismo, terza via sudamericanaAzione Culturale (http://www.azioneculturale.eu/2016/04/il-peronismo-terza-via-sudamericana/)

Il peronismo, terza via sudamericana

14 aprile 2016
Alessandro Catto (http://www.azioneculturale.eu/author/ale-cat/) Ideologie (http://www.azioneculturale.eu/category/ideologie/)
http://www.azioneculturale.eu/wp-content/uploads/2016/04/PERÓN.jpg Il 17 ottobre 1945 il generale Juan Domingo Perón venne rilasciato sotto pressione dei lavoratori argentini facenti parte della Confederazione Generale del Lavoro (CJT) dopo la sua incarcerazione avvenuta qualche giorno prima da parte del governo militare del GOU (Gruppo di Ufficiali Uniti). Il “Giorno della Lealtà” venne da allora riproposto ogni anno dal governo peronista per ricordare quel grande momento per la storia del Paese sudamericano che in qualche modo fece da spartiacque per la sua storia nazionale.E’ impossibile discernere il peronismo da quella che fu la storia non solo argentina, ma latinoamericana nel secondo dopoguerra. Perón iniziò a prestare servizio militare all’inizio della decade degli anni Dieci, e nel decennio successivo viaggiò molto per l’Europa (polveriera non ancora ristabilita dai fuochi della Grande Guerra). Il vecchio continente fu di ispirazione per il giovane Juan, visto che gli permise di osservare il diffondersi delle più svariate idee riguardo la conduzione politica di paesi e masse.Rientrato a Buenos Aires negli anni Trenta, fece parte del gruppo di militari del GOU che nel 1943 deposero il presidente Ramón Castillo (anch’esso arrivato al potere nel ’41 con un colpo di stato), e lì lavorò alla direzione della Segreteria del Lavoro. Proprio durante i suoi anni come segretario, Perón elaborò le basi di quella che sarebbe stata la sua dottrina politica, molto pragmatica e versatile durante i suoi primi due governi, che si posizionava a metà tra i due grandi blocchi ideologici del dopoguerra: quello comunista sovietico, e quello capitalista americano.Una tercera posición (terza posizione) che rivendicava la sua autonomia tra le due ideologie: la prima troppo collettivista tanto da sacrificare tutte le qualità e i bisogni del singolo a favore della società, rendendo la persona incapace di esprimere il suo potenziale; la seconda estremamente individualista e cieca alle reazioni della società di fronte a questo concentrarsi sul singolo.Quello che cercava Perón era un equilibrio tra queste due visioni del mondo, rivendicando anche un’ unicità nello scacchiere internazionale. Una dottrina basata sulla giustizia sociale (da non confondere con l’odierno senso del termine) che non si limitava solo alle relazioni tra persone ma anche alla gestione dell’economia: il capitale non veniva demonizzato, né quello nazionale, né quello estero, ma doveva essere coordinato a fin che il maggior numero di persone potessero ottenerne i benefici.La formula ricercata non era semplicemente l’arricchimento individuale dei lavoratori, ma l’insistenza su quell’equilibrio che, quanto maggiore era il benessere individuale, potesse portare a una maggiore ricchezza per la Nazione. “Per loro [i lavoratori] abbiamo proibito lo sfruttamento dell’uomo per l’uomo, abbiamo creato e realizzato i Diritti dei Lavoratori, abbiamo stabilito che la proprietà privata ha una funzione sociale da compiere, che il capitale deve restare al servizio dell’economia nazionale e tenere come obiettivo il benessere sociale”.Questa, in sintesi, la ricetta con la quale si poteva consolidare una società abitata da persone mediamente felici, oltre che libere di esprimere se stesse contribuendo allo sviluppo nazionale. Una dottrina populista, sicuramente molto attenta ai problemi dei lavoratori argentini, zoccolo duro dell’elettorato peronista, che durante i primi due governi di Perón (1946-1955) videro crescere di molto il loro benessere, visto che durante la segreteria del lavoro guadagnavano meno di quanto imposto dal costo della vita.Con Perón e la cooperazione con la CJT i lavoratori argentini entrarono formalmente della società di massa e dei consumi, poterono iniziare a comprare beni materiali che anni prima sarebbero stati impossibili per loro, senza contare che la concessione delle ferie pagate fece crescere il mercato turistico nazionale a livelli insperati (Mar del Plata, nel Sud della provincia di Buenos Aires, si sviluppò turisticamente proprio in questo periodo).Non solo cambiamenti nei beni di consumo durevole, ma anche in quelli alimentari caratterizzarono questi anni. Il consumo di carne pro capite aumentò del doppio, costringendo il governo a chiedere ai suoi cittadini di variare le proprie abitudini, in quanto la produzione nazionale non era quasi più in grado di soddisfare la richiesta.Comunque, l’applicazione delle politiche sociali portò l’Argentina a un benessere diffuso che in Italia raggiungemmo solo dieci anni dopo, all’inizio del grande boom economico degli anni Sessanta. Il lavoratore era, in sostanza, al centro della dottrina peronista.Per Perón, “se il lavoratore è quello che costruisce e realizza, bisogna rispettarlo e dignificarlo, e, inoltre, accudirlo, alimentarlo, e accompagnarlo, perché è, in sintesi, la grandezza della Nazione”. Il lavoro è quindi un diritto fondamentale che collabora e definisce la dignità di una persona, ed è giusto che quindi esso produca, per lo meno, quanto è necessario per vivere.Lo statista argentino venne deposto da un colpo di stato nel 1955, dopo 9 anni. Tornò di nuovo al governo nel 1973, ormai vecchio e stanco, morendo l’anno successivo, ma la sua influenza a livello internazionale non venne mai meno. Molti sono i leader latini che fecero propria la lezione del Generale, ultimo tra tutti il defunto presidente del Venezuela Hugo Chavez, che si può considerare il vero erede spirituale di Perón sia per storia personale che per ideologia (il socialismo bolivariano ha molti punti in comune con quello che fu il justicialismo argentino). Senza dimenticare l’inconfonbile stile di direzione politica.

Gianky
09-05-16, 21:14
Chávez e il socialismo del XXI secoloPubblicato il 26 agosto 2007 · in America Latina (http://www.carmillaonline.com/categorie/osservatorio_america_latina/) ·

di Raúl Isaías Baduel (traduzione di Irene Caporale)
http://www.carmillaonline.com/archives/MuchachasChavistas2.jpg[Mentre continuano a ritmo quasi quotidiano le diffamazioni del presidente del Venezuela Hugo Chávez, e mentre Il Corriere della Sera giunge a dedicare un’intera pagina all’ “idea balorda” di spostare di mezz’ora l’ora ufficiale venezuelana, dimostrando la più crassa ignoranza (condivisa dalla totalità dei nostri media) (1), conviene interrogarsi su cosa sia quel “socialismo del XXI secolo” di cui parla Chávez. Proponiamo a questo fine il discorso pronunciato dal generale Raúl Isaías Baduel, già ministro della difesa e capo delle forze armate, il 18 luglio 2007, alla fine del suo mandato. Alcuni giornali lo hanno menzionato, interpretandolo — convinti come sono che Chávez intenda imporre un modello castrista — nel senso che Baduel avesse intenzione di prendere le distanze dal suo presidente. In realtà Chávez la pensa esattamente alla stessa maniera, come dimostra la sua intervista alla giornalista uruguaiana Raquel Daruech, visibile qui (http://www.venezuelaenvideos.com/titulos/pt02v18.htm).

Rimando a una nota finale altre considerazioni. In realtà, la polemica di Baduel era rivolta alle ali del futuro PSUV (Partito socialista unito del Venezuela: NON “PARTITO UNICO”, bensì tentativo di riunire il frastagliato arcipelago politico che appoggia Chávez alle elezioni) che professano un marxismo troppo dogmatico.
Non meraviglino i frequenti richiami religiosi, tipici dello stesso presidente. Caracas ha ospitato, due settimane fa, il congresso continentale della Teologia della Liberazione (http://www.aporrealos.org/ideologia/n99637.html).
Altre considerazioni in una nota in coda.] (V.E.)
Discorso del Generale Raúl Isaías Baduel, capo dell’esercito
Ministro del Potere Popolare per la Difesa alla fine del mandato. 18 Luglio 2007
Voglio iniziare ringraziando dal profondo dell’animo innanzitutto Dio Onnipotente ed Eterno, per avermi concesso il privilegio di servirlo da questa mia posizione, con la protezione della sua potentissima mano, e a tutte le persone che col loro appoggio, lavoro, dedizione e reciprocità mi hanno aiutato a terminare felicemente la gestione del mio incarico nel Ministero.
Ringrazio il Signor Presidente della fiducia che mi ha dato nell’assegnarmi questa responsabilità: a lei vanno tutta la mia amicizia e il mio affetto.
Meritano una speciale menzione i miei diretti compagni d’armi, che hanno costruito attorno a me un gruppo davvero importante, senza il quale il successo del nostro lavoro quotidiano sarebbe stato impossibile: a loro la mia eterna gratitudine ed amicizia, qualunque sia la trincea che si occuperà.
Oggi, per volontà dell’Altissimo, alla quale mi dono mansuetamente, mi sostituisce il Generale Capo Gustavo Rangel Briceño, compagno e amico, del quale conosco, tra le altre virtù, i saldi principi religiosi, che gli saranno di solido supporto durante il suo incarico. A lei i miei migliori auguri, e che Dio la guidi ed illumini in tutte le decisioni.
Ho avuto l’onore di esercitare l’incarico di Ministro del Potere Popolare per la Difesa, posizione che obbliga chiunque lo occupi, per principio e per legge, a mostrare il proprio pensiero sull’esercizio della direzione degli uomini e sulla strategia politica dello Stato, con la mente al futuro, affinché il cittadino della nostra Nazione, che oggi vive un inedito periodo di transizione politica, conosca la professionalità delle sue azioni, e di conseguenza possa finalmente riposarsi e rilassarsi, come gli è dovuto, al vedere la predisposizione del capo militare per il carattere istituzionale dello Stato venezuelano, conservando la disciplina, l’ubbidienza e la subordinazione, pilastri fondamentali della nostra istituzione, con l’aiuto dell’esempio e della perseveranza dei valori degli appartenenti ad essa..
Quando dico che ci troviamo in un periodo di transizione politica, che sta attraversando la nostra Nazione nel campo politico e sociale mi riferisco, tra altre cose, al processo di costruzione di un nuovo modello politico, economico e sociale che abbiamo chiamato Socialismo del XXI Secolo.
Il termine Socialismo purtroppo non ha un significato uniforme e omogeneo per tutti, e di qui vengono l’incertezza e l’inquietudine generate in alcuni settori della vita nazionale non appena è menzionato. La convocazione del Signor Presidente Hugo Chávez per la costruzione del Socialismo del XXI Secolo implica la necessità imperiosa e urgente di formalizzare un modello teorico proprio e autoctono del Socialismo che si accordi con il nostro contesto storico, sociale, culturale e politico. Bisogna ammettere che questo modello, fino ad oggi, non esiste ancora né è mai stato formulato, e reputo che, finché sarà così, persisterà l’incertezza in alcuni dei nostri gruppi sociali.
Come ho già detto altrove, dobbiamo sì “inventarci” il Socialismo del XXI Secolo, ma non in maniera disordinata e caotica, bensì avvalendoci degli strumenti e dei riferimenti che ci da’ la scienza.
Nella puntata di Aló Presidente del 27 Marzo 2005, il Signor Presidente Chávez indicò che “il Socialismo del Venezuela si costruirà in accordo con le idee originali di Karl Marx e Friedrich Engels”. Ribadendo quanto detto in un’altra occasione, se la base per il Socialismo del XXI Secolo è una teoria scientifica al pari di quelle di Marx ed Engels, quello che ci costruiremo sopra non deve essere da meno, per non rischiare che la struttura costruita sia come una capanna costruita sulle fondamenta di un grattacielo.
Ultimamente alcuni teorici, che desiderano dare il loro apporto alla costruzione di un modello socialista venezuelano, hanno parlato largamente di quanto poco conveniente sarebbe ripetere gli errori commessi dai cosiddetti paesi del “socialismo reale”, tra i quali l’ex Unione Sovietica. Ritengo comunque che gli errori che questi teorici segnalano rimangano esclusivamente legati alle falle dell’ordine politico del modello sovietico, come per esempio la relazione tra il partito rivoluzionario e lo Stato e quella tra il partito rivoluzionario e il popolo, o nel pericolo di commettere gli errori del Partito Comunista dell’Unione Sovietica che si è presto trasformato in un’organizzazione che ha sostituito e spiazzato la società, e che ha finito per essere manipolata dal Comitato Centrale del partito.
Nell’ordine politico, il nostro modello di socialismo deve essere profondamente democratico. Deve chiarire, una volta per tutte, che un regime di origine socialista non è incompatibile con un sistema politico profondamente democratico, con contrappesi e divisioni di potere. È da questo punto di vista, credo, che dovremmo allontanarci dalla ortodossia marxista, che ritiene che la divisione dei poteri nella democrazia sia solo uno strumento della dominazione borghese. Come ha già detto il nostro Presidente Hugo Chávez in un’intervista concessa a Manuel Cabieses, direttore della rivista Punto Final, “uno dei fattori determinanti nella linea politica del Socialismo del XXI Secolo deve essere la democrazia partecipativa e protagonista. Il Potere Popolare. Bisogna concentrare tutto sul popolo, il partito deve essere subordinato al popolo, non il contrario”.
Di certo non sono solo gli errori politici a dover essere considerati. Non dobbiamo dimenticare una cosa fondamentale: il socialismo è, in senso stretto, un sistema di produzione economica, tanto quanto il capitalismo, che deve sostituire, è anche esso un sistema di produzione economica. Anche nei paesi dove il socialismo era reale sono stati commessi errori di tipo economico. Bisogna stare in guardia anche nei confronti di questi errori, per non ripeterli. Gli errori economici di questi paesi del socialismo reale, come l’URSS, includono l’insufficiente ge-nerazione di ricchezza, considerato che nonostante l’aver raggiunto un’industrializzazione molto rapida, l’avere un’economia pianificata centralmente e i piani quinquennali, l’economia sovietica non poté essere redditizia, non poté generare la ricchezza necessaria per mantenere il suo popolo in maniera confortevole. Uno dei più grandi paradossi dell’economia sovietica si riflette nel fatto che questa nazione arrivò a dipendere dall’importazione del grano, proveniente proprio dal suo acerrimo nemico durante la Guerra Fredda, gli Stati Uniti D’America, per poter alimentare il suo popolo; come esempio di ciò abbiamo il fatto che nel 1979 il governo nordamericano inviò all’Unione Sovietica 25 milioni di tonnellate di mais e grano. L’URRS non poté fare il passo definitivo in avanti per raggiungere i livelli di efficacia, nella generazione della ricchezza, dei suoi competitori capitalisti, nonostante avesse fatto grandi progressi nei campi del sociale, dell’istruzione, dello sport, della salute, dell’arte, ecc… Di certo non vogliamo ripetere anche noi questi errori.
Non possiamo permettere che il nostro sistema si trasformi in un Capitalismo di Stato, dove lo Stato sia l’unico padrone dei grandi mezzi di produzione. Si può rischiare di commettere l’errore di chiamarsi socialista e in realtà praticare un capitalismo di Stato. Durante un periodo conosciuto come comunismo di guerra, l’URRS, nonostante si chiamasse ancora Repubblica Socialista, praticò il Capitalismo di Stato per mano dello stesso Lenin. In quei tempi, dal 1921 al 1927, tappa storica conosciuta come la “Nuova Politica Economica”, tali azioni furono giustificate con il comunismo di guerra, e portarono alla rivolta di Kronstadt e ad altri accadimenti che quasi superarono quelli della Rivoluzione d’Ottobre. Questo periodo di comuni-smo di guerra che si estese dal 1917 al 1921, fu caratterizzato soprattutto dall’insuccesso nell’agricoltura e nell’attività industriale. La politica di nazionalizzazione totale delle imprese agricole, industriali e commerciali creò, tra il governo e il popolo, gravi malintesi e un’insoddisfazione generale che sfociarono nell’anarchia, nella fame e nella ribellione anticomunista. I prezzi subirono un rialzo verticale, mentre la produzione calava vor-ticosamente, la moneta si svalutava e smetteva di essere un normale mezzo di scambio. La produzione agricola era ridotta ad una terzo di quello che era stata nel 1913, quella industriale al 13% e il traffico ferroviario al 12%. Nel 1921 5 milioni di persone morivano di fame, in Unione Sovietica.
Il comunismo di guerra ci ha insegnato che non si possono installare cambi radicali nel sistema economico; non si può decidere l’abolizione a tutti i costi della proprietà privata e la socializzazione brutale dei mezzi di produzione senza che ciò si ripercuota negativamente nella produzione di beni e servizi e senza che allo stesso tempo si generi uno scontento generale nel popolo. Lenin coniò il termine “Capitalismo di Stato” per riferirsi a ciò che egli considerava essere una fase di transizione ideale tra il capitalismo e il socialismo. Questo significò, per un periodo di 7 anni, la convivenza del capitalismo e del socialismo. Si permise la proprietà privata di piccoli o medi mezzi di produzione, ma indubbiamente lo Stato riservò quelli grandi per sé. La banca rimase nazionalizzata, ma il commercio fu messo in mano ai privati e si permise la vendita di prodotti ai prezzi fissati dal mercato.
Uno dei maggiori fascini del socialismo classico è sempre stato l’immagine sottintesa di una divi-sione più equa delle ricchezze, rispetto all’ordine capitalista, dove le disuguaglianze sono all’ordine del giorno. Non dobbiamo dimenticarci, però, di qualcosa che spesso riteniamo ovvia, forse perché estremamente evidente: le ricchezze, prima di essere divise, devono essere generate. Non si può distribuire qualcosa che non esiste, questa formula ancora non è stata inventata. Il modello di socialismo che costruiremo deve essere tale da mostrarci il cammino socialista verso un’iniziale produzione e generazione delle risorse, e poi la possibilità di una di-stribuzione equa delle stesse tra quelli che le hanno generate, o come direbbe Marx “ad ognuno secondo le sue capacità, e ad ognuno secondo le sue necessità”. Per far sì che il modello socialista che ci prefiggiamo abbia successo, questo deve far trovare a noi venezuelani il modo di essere più produttivi.
In passato, durante la IV Repubblica, i governi impiegavano la ricchezza eccessiva generata dal boom del petrolio per finanziare qualsiasi tipo di aiuti economici e sussidi. Numerosi venezuelani arrivarono a dipendere letteralmente da questi aiuti ufficiali. Invece di insegnare al popolo a produrre ricchezza grazie al lavoro e allo sforzo, gli si insegnò a chiedere aiuto al governo di turno. Quando il boom del petrolio terminò, lo Stato si trovò immediatamente senza fondi per il sostentamento dell’economia nazionale. Fu allora che il Paese entrò in crisi, la peggiore di tutta la storia del Venezuela. Il nostro modello di socialismo deve evitare la ripetizione di questi errori. Dobbiamo imparare dagli errori compiuti negli ultimi quattro decenni ed evitare di ripeterli.
Visto che la convocazione del nostro Presidente a costruire ed inventare il Socialismo del XXI Secolo è stata accompagnata da alcune linee direttrici, come il fatto che il nostro modello debba essere profondamente cristiano e basato sulle idee di Giustizia Sociale di Cristo Redentore, credo sia pertinente citare un passaggio del Vangelo che bene illustra quello che Nostro Signore Gesù pensava a proposito della produzione e distribuzione della ricchezza. È la famosa parabola dei talenti che si trova nel Vangelo secondo Matteo, capitolo 25, versetti dal 14 al 30. Dice Gesù:
“Avverrà come di un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, a ciascuno secondo la sua capacità, e partì. Colui che aveva ricevuto cinque talenti, andò subito a impiegarli e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò, e volle regolare i conti con loro.”
Qui Gesù Cristo va apertamente contro il concetto assolutista della proprietà che a quei tempi era fonte di privazione per molti e che tuttora alcuni continuano a sostenere: ognuno può fare con le sue proprietà quello che vuole; questo, secondo nostro Signore Gesù, è contraddetto immediatamente dall’obbligazione di doverne rendere conto, secondo l’uso dei beni morali, intellettuali e materiali. E la resa dei conti implica un castigo molto duro. Il Vangelo continua dicendo: “Colui che aveva ricevuto cinque talenti, ne presentò altri cinque, dicendo: Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque. Bene, servo buono e fedele, gli disse il suo padrone, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone Presentatosi poi colui che aveva ricevuto due talenti, disse: Signore, mi hai consegnato due talenti; vedi, ne ho guadagnati altri due. Bene, servo buono e fedele, gli rispose il padrone, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone.”
Le esigenze erano calcolate secondo le capacità di ognuno. Ad ognuno venne assegnato un numero equo di talenti. Ad ognuno secondo i beni che aveva ricevuto. Non si poteva pretendere lo stesso rendiconto di colui che aveva ricevuto 5 da quello che aveva ricevuto 2. Gli obblighi degli esseri umani non sono equiparabili, le nostre responsabilità, seppure della stessa natura, non sono uguali per tutti. A chi verrà dato molto, verrà chiesto molto in cambio.
Infine Gesù condanna, in questo Vangelo, in maniera molto chiara, l’accumulo delle ricchezze: “Venuto infine colui che aveva ricevuto un solo talento, disse: Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso; per paura andai a nascondere il talento sotterra: ecco qui il tuo. Il padrone gli rispose: Servo malvagio e infingardo, sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha sarà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha. E il servo fannullone gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti.”
A colui che venne dato poco, venne chiesto poco. Se però egli non compie neanche quel poco, lo aspettano “le tenebre”. L’inferno è, nel Vangelo, il castigo inesorabile per coloro che, pur avendo le possibilità, non producono; per coloro che nonostante abbiano l’attitudine, non la usano; per coloro che, essendo poveri perché gli è stato dato poco, non utilizzano il poco che hanno per il bene di tutti.
Per poter raggiungere la meta del generare la ricchezza in maniera differente dal modello capitalista, il nostro socialismo deve “fare popolo”, giacché, come disse il maestro Simón Rodríguez: “Non ci può essere repubblica senza popolo”. Per fare il popolo Simón Rodríguez suggeriva l’implementazione di ciò che chiamava, in modo alquanto visionario, “Educazione Sociale”. Affermava il maestro Simón Rodríguez nel 1828:
“I costumi formati dall’Educazione Sociale producono un’autorità pubblica, non un’autorità personale; un’autorità sostenuta dalla volontà di tutti, non di uno solo, convertita in Autorità o in altro modo, l’autorità si forma nell’educazione, perché educare è creare volontà. Si sviluppa nei costumi, che sono effetti necessari dell’educazione, e ritorna all’educazione per la tendenza degli effetti a riprodurre l’autorità. E’ una circolazione dello spirito di Unione tra soci, come lo è quella del sangue nel corpo di ogni individuo associato, ma la circolazione inizia con la vita”.
Il nostro modello socialista deve chiudere con la brutta abitudine del passato di insegnare al popolo solo diritti e nessun dovere. Il nostro modello Socialista deve insegnare al popolo quello che deve fare per ottenere ciò che non ha. Il nostro modello Socialista deve insegnare al popolo che le cose non appaiono per magia, ma che si deve ottenerle con lo sforzo ed il lavoro. Questo è il compito della vera educazione sociale: deve permettere di formare il repubblicano di cui abbiamo bisogno per ottenere tutto il potenziale del quale è capace questa terra venezuelana di grazia, tanto amata, tanto benedetta e protetta da Dio.
In questo senso, la Forza Armata può essere di grande aiuto alla costruzione del modello, giacché nell’istituzione armata l’equazione è sempre stata quella inversa, visto che abbiamo appreso e messo in pratica l’insegnamento che i nostri doveri sono di primissima importanza. Il compimento dei doveri è uno dei maggiori motivi di ponderatezza nella vita del soldato. Potremmo addirittura affermare che negli ultimi anni, e con l’approvazione popolare della Costituzione del 1999, i nostri doveri e responsabilità sono aumentati, in quanto oltre a quelli tradizionali inerenti alla sicurezza e difesa della nazione e alla cooperazione nel mantenimento dell’ordine nazionale, si è aggiunta la partecipazione attiva delle Forze Armate allo sviluppo della Nazione. Abbiamo portato a compimento quest’ultima missione in maniera fedele e definitiva, ed è un onore per l’istituzione armata il fatto di essere stata considerata per portarla a termine; tuttavia, riteniamo necessario un affinamento degli strumenti legali che la regolano, e speriamo che venga permesso alla FAN di poter partecipare a queste migliorie con maggior efficienza amministrativa, operativa e finanziaria.
Il popolo venezuelano ha dato ai militari un compito chiaro nell’articolo 328 della Costituzione della Repubblica Bolivariana del Venezuela; il popolo venezuelano ci ha dato, parlando in termini militari, “una finalità”, “un motivo”, che si traduce nel garantire l’indipendenza e la sovranità della nazione, e nell’assicurare l’integrità dello spazio geografico. Il popolo venezuelano ci ha dato anche un “come”, attraverso l’esercizio di tre missioni fondamentali: la difesa militare, la cooperazione nel mantenimento dell’ordine interno e la partecipazione attiva allo sviluppo nazionale.
Sono tre missioni che devono essere in perfetto equilibrio dinamico, e da esse si evince che il popolo venezuelano ci ha assegnato il compito di custodire le armi della Repubblica per difendere i suoi interessi ed amministrare la violenza legale e legittima dello Stato. Tuttavia, più che amministratori della violenza, dobbiamo diffondere e mantenere la pace, generare il conforto e costruire il giusto sentiero verso lo sviluppo del popolo stesso.
Invoco le parole pronunciate dal Papa Giovanni Paolo II il Grande, il Pellegrino della Pace, di felice e incancellabile memoria: “In un clima dilatato di concordia e rispetto della giustizia può maturare un’autentica cultura della pace, capace di estendersi alla comunità internazionale” (Discorso pronunciato al Corpo Diplomatico, Gennaio 1997).
E navigando nelle pagine del II Concilio Vaticano, nella Gaudium et Spest (allegria e speranza), cito: “La pace non è la mera assenza di guerra, né si riduce al solo equilibrio della forza avversaria, bensì è il frutto dell’ordine piantato nella società umana dal suo divino fondatore e che gli uomini assetati di una giustizia perfetta dovranno portare a termine”.
La Forza Armata Nazionale deve essere uno strumento di potere per la democrazia politica, la pace e lo sviluppo, la cui attuazione sta nella sfida lanciata dalla volontà nazionale e la leadership, con mire alla rivendicazione delle istituzioni e dei procedimenti a favore del collettivo nazionale.
Da ora in poi si impone, a questo umile soldato della fanteria paracadutista, un tempo di riflessione.
Questi sono i sette principi che vigono nel codice di Bushido, la guida morale della maggioranza dei Samurai. Siate fedeli ad essi e il vostro onore crescerà. Rompete il codice e il vostro nome sarà infamato dalle generazioni a venire:
1. Gi — Onore e giustizia. Sii onorevole nelle trattative con tutti. Credi nella giustizia
2. Yu — Valore eroico. Alzati al di sopra della massa di gente che teme l’azione. Nascondersi come la tartaruga nel suo guscio non è vivere. Il coraggio eroico non è cieco. È intelligente e forte. Sostituisci la paura con il rispetto e la precauzione.
3. Jin — Compassione. Sviluppa un potere che verrà usato per il bene di tutti. Aiuta i tuoi simili quando ti si presenta la possibilità. Se non si presenta, vai a cercarla.
4. Rei — Cortesia. Un Samurai è cortese anche con i suoi avversari. Riceve rispetto non solo per la sua fierezza, ma anche per il suo modo di trattare gli altri. L’autentica forza interiore del Samurai si vede nei tempi difficili.
5. Meyo — Onore. Le decisioni che prendi e il modo in cui le porti a termine sono un riflesso di ciò che sei in realtà. Non puoi nascondere te stesso.
6. Makoto — Sincerità Assoluta. Quando un samurai dice che farà qualcosa, è come se fosse già fatta. Il semplice fatto di parlare ha messo in funzione l’azione. Parlare e fare sono la stessa cosa.
7. Chugo — Dovere e Lealtà — Le parole di un uomo sono come le sue impronte: può seguirle ovunque egli voglia andare.
Che Yahvé, Elhoim degli Eserciti, Supremo creatore di tutte le cose, benedica e protegga per sempre la Repubblica Bolivariana del Venezuela.
1) Venerdì della settimana scorsa, nella trasmissione di Radio Rai Due Trame, il conduttore Favetto ha ironizzato su Chávez che vorrebbe “adeguare il tempo ai suoi desideri, come tutti i dittatori”. Riecheggiava, ahimè, parole in libertà di Massimo Cacciari (http://www.senzasoste.it/ultime/ch-vez-e-cacciari-quando-anche-per-i-filosofi-arriva-let-della-pen.html). Il giorno prima, il conduttore con gravi deficit di cultura de Il cammello di Radio Due aveva detto, all’incirca: “Avete sentito di Chávez? Vuole spostare di mezz’ora l’ora legale! Per cui qua sono le 19,30, là le 20!” (!!!!!!! Testuale, lo giuro!).
Mezzi cretini a parte, la risposta migliore è venuta dal blog (http://www.gennarocarotenuto.it/dblog/articolo.asp?articolo=1261) raccomandabile di Gennaro Carotenuto. Riassumo. Sono numerosi i paesi situati ai tropici che spostano di mezz’ora il tempo assegnato loro dai cartografi britannici dell’Ottocento. Non si tratta di “ora legale”, che là non può esistere: le giornate sono più o meno uguali. Si tratta invece di sfruttare al meglio la luce. E non per fare lavorare di più, come insinua Il Corriere della Sera. Uno degli articoli della nuova costituzione venezuelana che meno garbano al suo vicedirettore, l’ex picista Pierluigi Battista, è quello che fissa la settimana lavorativa in 36 ore (http://www.aporrealos.org/actualidad/n99690.html). Per tutti e ovunque. Dio ci guardi dagli ex, dai post e dai pentiti del “socialismo reale”. Hanno conservato la mentalità di prima (insinuare, calunniare, mentire, stravolgere, specie nei riguardi del “nemico a sinistra”) al servizio di una diversa ideologia.
LA NOTA IN CODA
Certo il “socialismo del XXI secolo” proposto dal Venezuela è ancora tutto da definire. Chávez propone varie forme di proprietà: statale (materie prime, comunicazioni), privata, mista, cooperativa (specie nelle campagne), comunale. “Pazzo” com’è, sostiene la subordinazione della Banca Centrale al potere politico. Grande eresia, si strilla in Occidente. Niente affatto, si risponde dall’altra parte dell’Oceano. Guai a lasciare la finanza rendersi autonoma. Lo avevano intuito i sandinisti negli anni ’80, in Nicaragua, e Marx ne Le guerre civili in Francia, scritto più di un secolo prima. La finanza ha l’eterna tendenza a rendersi indipendente dall’economia concreta, e a trascurare le ricadute sociali della sua dinamica. Lo sanno bene, o l’intuiscono, i cittadini europei, soggetti alle scelte di una BCE svincolata da forme democratiche di controllo.
Il progetto di “economia mista” avanzato da Chávez non è comunque di natura autoritaria, tanto che ha l’appoggio di alcuni gruppi libertari venezuelani (vedi qui (http://iniciativa-comunista.over-blog.com/) e qui (http://www.freewebs.com/propuestalibertariapsuv/)). Non è nemmeno particolarmente ambizioso. Intende dare priorità all’emancipazione dalla miseria, piaga tradizionale latinoamericana, e all’innalzamento del tenore di vita dei mestizos, componente maggioritaria della popolazione del Venezuela, fino a dieci anni fa totalmente esclusi dalla vita democratica (al punto che molti di essi, per non parlare degli indios veri e propri, non erano iscritti né nelle liste elettorali né all’anagrafe).
Il “modello cubano”, difficile da esportare, non c’entra nulla; tanto è vero che, per quanto Chávez renda spesso omaggio a Fidel Castro, in nome della resistenza cinquantennale di Cuba all’Impero, oggi è il Venezuela che inietta risorse nell’economia cubana, e non il contrario. L’alleggerimento della logica dell’ “emergenza” a Cuba, e l’ampliamento, per quanto molto parziale, delle libertà sull’isola, a Chávez devono molto.
Poi ci sarebbe da dire dell’Argentina, del Nicaragua, dell’Ecuador, della Bolivia ecc. Il Venezuela persegue un progetto di “commercio equo e solidale” (diciamolo in termini europei) totalmente diverso dall’ingerenza indubbia, anche se contrapposta al più ingerente dei nemici, che fu praticata dall’ex URSS e dagli stessi cubani. E ha un’idea di pace molto coerente. Le parole del generale Baduel, vecchio compagno di Chávez, già danno l’idea di militari diversi da come ce li figuriamo, specie in rapporto all’America Latina. Quanto alla solidarietà tra Venezuela e Iran, letta frettolosamente dal povero Pierluigi Battista e da altri come alleanza tra “Stati canaglia”, può assai meglio essere vista come un superamento dello “scontro tra civiltà” che l’Occidente — e, di converso, gli integralisti musulmani disseminati per il mondo a partire dalla “democratica” Arabia Saudita — persegue forsennatamente, spinto da pulsioni suicide. Nel primo incontro tra Chávez e Mahmoud Ahmadinejad, il presidente venezuelano richiamò ripetutamente, nel suo discorso, “Cristo redentore”. Non fu fischiato, bensì applaudito. Senza che ciò implichi che il Venezuela sia uno Stato confessionale, naturalmente.
Ma torniamo al “socialismo del XXI secolo”. Chávez, indubbiamente senza saperlo, pare richiamarsi a Hilferding (autore de Il capitale finanziario), scomunicato da Lenin e da allora detestato dai comunisti. Non si ispira a Cuba: semmai, in parte, il suo modello ancora imperfetto ricorda quello che i sandinisti intendevano costruire negli anni Ottanta, senza riuscirvi a causa della sanguinosissima rappresaglia scatenata dagli Usa. Però le vere radici del pensiero di Chávez vanno ricercate altrove. Nelle sue radici di indio, compartite da Morales e Correa. Di qui il suo insistere sulla base comunale della proprietà (quando, negato il rinnovo della concessione a RCTV, ha dato vita alla televisione “comunalista” TVES, questa è stata immediatamente definita da un’opposizione indecente “la tv dei negri”: non si era abituati alla comparsa di gente dalla pelle scura sullo schermo).
Ciò apparenta Chávez alla rivolta di Marcos, e a tante altre rivolte che stanno avendo luogo in America Latina. Sono gli indios e i meticci che, un tempo esclusi da tutto, riprendono la parola, a Caracas come a La Paz come a Oaxaca. Il modello sociale di cui sono portatori non è il comunismo né la socialdemocrazia, ma qualcos’altro: il comunitarismo tradizionale dei loro insediamenti, fondati sull’autogoverno (2). Difficile da sopprimere, una volta scoperchiato, dopo secoli, il vaso di Pandora. La rivoluzione messicana, durata un ventennio e vittoriosa, ebbe proprio questa origine.
Ci sono lezioni da apprendere, per il movimento no-global (chiamiamolo così) italiano? Non sta a me dirlo. Mi basta sapere che Chávez, in ogni pubblica apparizione, è acclamato in tutto il mondo, mentre il brasiliano Lula (commerciante dell’anti-ecologico etanolo, combustibile fatto con mais strappato alle bocche degli affamati) è accolto con freddezza. Per non parlare del pietoso presidente spurio del Messico, il neoliberale e filo-Usa Calderón, che non osa nemmeno uscire dalla propria tana, dopo un’elezione scandalosamente truffaldina. Dovunque appaia lo accolgono pernacchie.
L’auspicio è che, prima o poi, i portabandiera (di destra e di sinistra) dell’ideologia neoliberale, fonte di guerra e matrice di precariato e miseria, siano spernacchiati dappertutto, come meritano.
(V.E.)
(2) Karl Marx vide nel mir, la proprietà collettiva contadina, l’embrione della futura rivoluzione russa. Idea fatta propria dagli SR, i “socialisti rivoluzionari”, e avversata da Lenin, che liquidò, teoricamente e materialmente, gli SR dell’ala sinistra (ce n’era anche una di destra, bellicista) come “forza reazionaria”.

Chávez e il socialismo del XXI secolo - Carmilla on line ® (http://www.carmillaonline.com/2007/08/26/chvez-e-il-socialismo-del-xxi/)

Gianky
09-05-16, 21:22
L’esplosione del Potere Popolare https://i0.wp.com/www.correodelorinoco.gob.ve/wp-content/uploads/2013/10/Comunas.jpgdi Geraldina Colotti
Per inquadrare il tema – potere popolare e governo partecipato dei comuni – occorre partire da una elementare considerazione di fondo: che l’esperimento socialista bolivariano si mette in moto a seguito di un cambiamento strutturale nelle relazioni societarie e di potere. Una premessa utile per evitare equivoci o paragoni inopinati con la situazione italiana ove anche il comune più “virtuoso” e “partecipato” deve fare i conti con gli indirizzi e i colori del governo centrale. Andare al governo, d’altronde, non significa prendere il potere. Tuttavia, siamo un paese di forti tradizioni comunali, e il territorio è oggi il luogo dove s’incontrano e si scontrano tensioni e progetti, vecchie e nuove articolazioni produttive e sociali. Guardare alle esperienze partecipate del Venezuela, che hanno portato a sintesi le indicazioni più avanzate emerse dai forum sociali mondiali – prima di tutto quello di Porto Alegre, in Brasile – consente anche di riflettere su limiti e meriti delle esperienze che, durante l’ultimo governo di centro-sinistra, in Italia, hanno cercato di proporre un modello “partecipato” di gestione comunale, articolandolo tra conflitto e consenso, fra contro-potere locale e indicazioni generali. Significa riflettere, soprattutto, sul ruolo dei movimenti e delle organizzazioni popolari nell’amministrazione e nel governo dei territori quando si inaridiscono la luce prospettica e il contropotere reale. Significa riflettere, insomma, sull’articolazione tra locale e globale: sul nesso che c’è – a partire dalla critica del capitalismo e del suo modello di sviluppo – tra la fontana, gli ulivi, il caporalato o le fabbriche di morte del nostro territorio, e quel che accade nei sud più lontani, perché il costo (e i costi) di lavoro e non lavoro si decidono a livello globale. Potremmo dire che, pur nelle sue “complesse ingenuità”, l’esperimento bolivariano sta tentando di ripartire dai punti di frattura determinatasi nel Novecento tra municipalismo e centralismo, riprendendone i momenti più alti e fecondi: dalla Spagna libertaria al comunismo sovietico, alla Jugoslavia dei tempi migliori.
https://i1.wp.com/www.mpetromin.gob.ve/portalmenpet/temas/portal/images/encabezado/LOGO-juventud.pngLa partecipazione sociale e politica delle comunità organizzate, in Venezuela, si sperimenta dai primi agglomerati urbani degli anni ’30. Da forme organizzative nate per risolvere problemi contingenti, si trasformano in organizzazioni popolari che hanno la capacità di mobilitare le comunità facendo pressione sui governi per far cambiare leggi considerate ingiuste. Durante i governi nati dal Patto di Punto Fijo, seguiti alla cacciata del dittatore Marco Pérez Jimenez, accompagnano, con alterne vicende, la scena politica, andando spesso oltre le rivendicazioni territoriali. Quando i progetti assistenzialistici dei governi di Accion Democratica (Ad, il centro-sinistra di allora) riescono a cooptare le organizzazioni popolari per garantire la governabilità e depotenziare l’influenza delle forze rivoluzionarie escluse dal Patto di Punto Fijo, la loro spinta rifluisce: lo stato permea le organizzazioni comunitarie, che diventano cinghie di trasmissione di Ad e strumenti di consenso per le elite. Quando, invece, l’esperienza le spinge a trascendere la natura puramente rivendicativa e contingente, esse accompagnano le lotte di resistenza e propongono embrioni di trasformazione politica della società venezuelana.
https://i0.wp.com/img.webme.com/pic/c/colectivoalexisvive/comuna_logo.pngLe organizzazioni comunitarie, sia contadine che urbane, che occupavano le terre e le case, i collettivi, le cooperative, le radio comunitarie (allora illegali), hanno appoggiato e sostenuto le ribellioni civico-militari del 4 febbraio e del 27 novembre del 1992, e poi il progetto di Chavez.
Dopo la vittoria di Chavez alle elezioni del 1998, l’approvazione dell’Assemblea costituente prefigura l’articolazione di un doppio movimento, dal basso e dall’alto per modificare dall’interno l’architrave del vecchio stato borghese che non è stato sepolto da una rivoluzione di stampo novecentesco.
La nuova Costituzione, approvata nel 1999, contiene almeno 70 articoli che promuovono la partecipazione cittadina in diversi settori del paese e molti fanno riferimento alla partecipazione popolare. Si individua il quadro che porterà all’istituzione dei Consigli comunali: l’articolo 62 si riferisce alla partecipazione popolare nella gestione pubblica. L’articolo 70 stabilisce le forme di partecipazione in campo economico, sociale e politico. L’articolo 182 riguarda la creazione del Consiglio locale di pianificazione pubblica. Il presidente Chavez, prima e dopo essere eletto, ha sempre messo l’accento sull’importanza della partecipazione popolare nella gestione della cosa pubblica.
https://kinkallaucv.files.wordpress.com/2013/08/poder-popular-comuna.jpg?w=223&h=186Il 7 aprile del 2006, il Parlamento promulga la legge dei Consigli comunali. L’articolo 30 crea la Commissione nazionale presidenziale del Potere popolare, designata dal presidente della Repubblica, e così si stabilisce un legame diretto con lo Stato. La legge definisce i Consigli comunali come “istanze di partecipazione, articolazione e integrazione tra le diverse organizzazioni comunitarie, gruppi sociali, cittadine e cittadini, che consentono al popolo organizzato di esercitare direttamente la gestione delle politiche pubbliche e i progetti orientati a rispondere alle necessità e alle aspirazioni delle comunità nella costruzione di una società di equità e giustizia sociale”.
Prima di questa legge, organizzazioni analoghe facevano riferimento alla Legge dei Consigli locali di pianificazione pubblica. Ora, i Consigli comunali possono maneggiare fondi pubblici per realizzare progetti comunitari attraverso l’Unità di gestione finanziaria, composta da 5 abitanti della comunità, eletti dall’assemblea per amministrare le risorse in forma di cooperativa, denominata dalla legge Banca comunale. Le risorse vengono trasferite dalle varie istanze di governo: dal centro, dalle governaciones, dai comuni.
In Venezuela, le organizzazioni popolari crescono in modo esponenziale. Per farsi un’idea della consistenza di organizzazioni sociali e comitati, basta scorrere un elenco ufficiale del 2009: si contavano 3.600 banche comunali, 6.740 comitati di Terra urbana, 27.872 Consigli comunali, 485 media comunitari, 7.800 comitati per la salute, 6.600 Tavoli tecnici per l’acqua…. Lo sforzo del governo bolivariano, del Partito socialista unito (Psuv) e di quelle strutture, come il Partito comunista, che hanno mantenuto un’influenza nelle organizzazioni popolari – attraverso cooperative e comitati – fin dalla IV repubblica, è stato ed è quello di trasformare la cosiddetta “società civile” (come si dice in Italia) in “società politica” partecipe e consapevole.
https://miscomunasfla.files.wordpress.com/2014/05/comuna-o-nada1.jpg?w=600Nel 2010, la Ley organica del Poder Popular stabilirà il quadro dei diritti, delle finalità e delle relazioni del Potere popolare con gli altri poteri della Repubblica. Le istanze del Potere popolare per l’esercizio di autogoverno, sono: il consiglio comunale, la comuna, la città comunale, i sistemi di aggregazione comunali.
Il Consiglio comunale è definito “un’istanza di partecipazione, articolazione e integrazione tra i cittadini, le cittadine e le diverse organizzazioni comunitarie, movimenti sociali e popolari, che consentono al popolo organizzato di esercitare il governo comunitario e la gestione diretta delle politiche pubbliche e i progetti orientati a rispondere alle necessità, potenzialità e aspirazioni delle comunità, nella costruzione del nuovo modello di società socialista di uguaglianza, equità e giustizia sociale”. La comuna, regolata da un’apposita e concomitante legge e dal ministero delle Comunas, è: “uno spazio socialista che come entità locale è definita dall’integrazione di comunità contigue con una memoria storica condivisa, tratti culturali, usi e costumi che si riconoscono nel territorio che occupano e nelle attività produttive che servono al loro sostentamento e sul quale esercitano principi di sovranità e partecipazione protagonista come espressione del Potere popolare, in concordanza con un regime di produzione sociale e con il modello di sviluppo endogeno e sostenibile contemplato dal Piano di sviluppo economico e sociale della Nazione”. La città comunale si costituisce per iniziativa popolare mediante l’aggregazione di varie comunas in un ambito territoriale determinato. I sistemi di aggregazione comunale sono quelli che sorgono per iniziativa popolare tra consigli comunali e tra le comunas.
Tutti i portavoce di tutte le istanze del Potere popolare, elette per votazione popolare, sono revocabili a metà mandato, come stabilisce la legge. Il testo stabilisce che verrà applicato alle comunità indigene in base ai loro usi, costumi e tradizioni.
https://i2.wp.com/www.mpcomunas.gob.ve/wp-content/uploads/2015/02/Registro-de-Comunas1.jpgDiversi articoli della legge definiscono le competenze finanziarie, giuridiche e amministrative del Potere popolare, nonché l’esenzione da tasse e tributi nazionali “a tutte le istanze e alle organizzazioni di base”. Centrale, la funzione di Controllo sociale, stabilita dall’articolo 19, che consente alle organizzazioni del Potere popolare il controllo dal basso della gestione del Potere pubblico.
Una funzione che collettivi e comitati hanno esercitato spesso durante la guerra economica, che si è fatta più intensa dopo l’elezione di Nicolas Maduro e che ancora persiste.
“Sono qui, con il popolo organizzato e con Elías Jaua, vicepresidente di una nuova area di governo. Stiamo creando la quinta rivoluzione, quella dell’ecosocialismo. La rivoluzione delle Comunas, la rivoluzione del socialismo territoriale”. Con queste parole, il 16 settembre del 2014, Maduro si è rivolto al Consiglio presidenziale del Governo comunale in cui ha accolto le proposte elaborate dalle Comunas. All’inizio di quel settembre, Maduro aveva annunciato la necessità di costruire “cinque rivoluzioni nella rivoluzione”, e di creare una struttura di interlocuzione diretta tra il governo e le organizzazioni del Potere popolare.
https://i1.wp.com/www.correodelorinoco.gob.ve/wp-content/uploads/2011/03/Consejo.jpegIl quinto obiettivo era per l’appunto “la rivoluzione del socialismo territoriale”, teso a consolidare “il modo di vita comunale”. Oggi sono 1509 le comunas registrate. Dopo la vittoria delle destre all’Assemblea, Maduro ha contrapposto un’altra volta il “popolo legislatore” e il suo organo di autogoverno – il Parlamento comunale, che richiama il soviet bolscevico – alle modalità di gestione delle élite: per una nuova articolazione tra Potere popolare e Potere esecutivo. “Dobbiamo rifare lo Stato, uno dei compiti principali analizzati da Lenin in Stato e rivoluzione. – aveva detto Maduro a settembre del 2014 – Senza una rivoluzione dello Stato continueremo ad assorbire il veleno inoculato dalle antiche classi dominanti, dal capitalismo e dalla borghesia. I problemi di inefficienza, di indolenza, di burocratismo e di corruzione – aveva aggiunto – hanno a che vedere con questi mali dello Stato borghese che sono rimasti intatti. E così capita che quando mettiamo un compagno che è un ottimo militante di base in un posto di governo, egli finisce per soccombere alle tentazioni del potere corrotto borghese, del capitalismo. Crede di essere in una nuvola, si dimentica che è popolo. Quindi dobbiamo andare verso uno Stato di tipo nuovo, dare il potere al popolo organizzato: non solo il potere politico, ma economico, educativo, sociale, solo così si costruisce la vera democrazia. E il presidente deve essere il recettore delle proposte provenienti dalle comunità”.

https://albainformazione.com/2016/04/14/15952/

Gianky
15-05-16, 09:32
Vorrei tornare su queste parole del presidente Maduro:
“Dobbiamo rifare lo Stato, uno dei compiti principali analizzati da Lenin in Stato e rivoluzione. – aveva detto Maduro a settembre del 2014 – Senza una rivoluzione dello Stato continueremo ad assorbire il veleno inoculato dalle antiche classi dominanti, dal capitalismo e dalla borghesia. I problemi di inefficienza, di indolenza, di burocratismo e di corruzione – aveva aggiunto – hanno a che vedere con questi mali dello Stato borghese che sono rimasti intatti. E così capita che quando mettiamo un compagno che è un ottimo militante di base in un posto di governo, egli finisce per soccombere alle tentazioni del potere corrotto borghese, del capitalismo. Crede di essere in una nuvola, si dimentica che è popolo. Quindi dobbiamo andare verso uno Stato di tipo nuovo, dare il potere al popolo organizzato: non solo il potere politico, ma economico, educativo, sociale, solo così si costruisce la vera democrazia. E il presidente deve essere il recettore delle proposte provenienti dalle comunità”.

Queste parole direi che illustrano molto bene il problema del Socialismo del XXI°, socialismo che Chavez ebbe modo di enunciare in maniera teorica, ideale e che cominciò, ma solo cominciò, a mettere in pratica durante la sua presidenza, il problema cioè di costruire un Socialismo senza ricorrere ai metodi bolscevichi o giacobini, ma cercando comunque di muoversi nell'ambito di una democrazia borghese, almeno all'inizio, e cercare di cambiare pian piano questa democrazia borghese in una democrazia socialista. Stiamo vedendo tutti come questo sia difficilissimo, a volte sono portato a credere che sia anche impossibile, il nemico è fortissimo, sia a livello interno che a livello internazionale, è un nemico che può distruggere l'economia di una nazione e attraverso questo passaggio può riuscire ad alienare le simpatie popolari per i governi socialisti. Lo abbiamo visto in Venezuela, lo abbiamo visto in questi giorni in Brasile, ecco dunque l'eterno dilemma: governare con gli strumenti della democrazia borghese o andare fino in fondo con la Rivoluzione e farlo in termini bolscevichi e staliniani? La mia simpatia va al primo metodo, ed il bolivarismo prima di Chavez e poi di Maduro stava e sta ancora cercando di muoversi in questa direzione, ma le difficoltà sono tante, tantissime e la tentazione di farla finita e di andare allo scontro definitivo coi capitalisti e con gli yankee è forte. Come quindi cercare di costruire il Socialismo adesso, nel XXI° secolo? Questo è il dilemma, io non sarei così pessimista come tanti che oramai pronunciano la fatidica frase: o rivoluzione totale o sconfitta, secondo me esistono ancora margini di manovra anche se il sentiero si fa sempre più stretto.

Gianky
17-05-16, 08:45
IV Incontro italiano della Rete di Solidarietà con la Rivoluzione BolivarianaTavolo di lavoro sul femminismo rivoluzionario e il potere popolare
“Caracas ChiAma”
¡Sin Mujeres no hay Revolución!
Lecce 15, 16, 17 aprile 2016

La Rete “Caracas ChiAma”, in occasione del Quarto Incontro Italiano di Solidarietà con la Rivoluzione Bolivariana, ha dedicato uno dei suoi tavoli di lavoro al tema “femminismo rivoluzionario e potere popolare”, per esaminare il rapporto tra questione di genere e conflitto sociale attraverso il confronto tra i movimenti femministi e LGBTQI dell’America Latina e quelli del nostro paese. Il tavolo ha avuto una straordinaria partecipazione di donne e uomini, riuscendo a coinvolgere diverse realtà locali, come la Casa delle Donne, associazione Lea, progetto Libera, Aamad, Donne in nero, Forum de las Mujeres Latinoamericanas venute appositamente per confrontarsi con la rete.
Presenti anche la giornalista Geraldina Colotti, Adelmo Cervi, Maddalena Celano dell’Università Roma 3, e femministe dell’ex OPG. Ha coordinato la scrittrice e attivista Isabella Lorusso, agevolata da Ada Donno, della Casa delle Donne, già relatrice durante i lavori della mattina, e Clara Statello, per la Rete nazionale Noi Saremo Tutto, promotrice del tavolo.
I lavori sono stati dedicati alla memoria di Berta Caceres, alle donne che combattono in Novorossja, contro il regime nazista ucraino, e in Kurdistan e Siria contro l’Isis, e a Milagro Sala, prigioniera politica del regime di Macri in Argentina.
Attraverso il confronto delle esperienze emerse dai vari interventi, si è delineata una tavola dei problemi: in Italia, a causa della sconfitta delle lotte sociali nel punto più alto del conflitto, col passaggio dal ‘900 al nuovo millennio si è avuta una rottura, che ha causato una frammentazione in varie istanze e aspetti della questione di genere, trattata come una questione separata dalla libertà per tutte e tutti, dal superamento di tutte le forme di subalternità e marginalità sociale.
Questo mentre in America Latina, con le lotte che hanno portato alla vittoria dei governi progressisti, veniva posta la questione del potere, inteso come poter fare, come potere del popolo di autoderminarsi decidendo della propria organizzazione politica, sociale e economica, di essere il soggetto della propria storia, proprio riconiugando la questione della liberazione di tutte e tutti con la libertà della donna a ogni livello sociale.
Le presenza delle donne e dei movimenti di genere ha caratterizzato e determinato le trasformazioni radicali emancipative dell’America Latina: nella resistenza ai regimi fascisti, nelle lotte indigene e ambientaliste, nelle rivoluzioni e nella costruzione del potere popolare. Le donne si sono liberate partecipando alla liberazione della società, diventando soggetto (storico e sessuato) di processi radicali che liberano la società dalla subalternità dalla sfera produttiva (dall’oppressione di classe e etnica) sino alla sfera riproduttiva (dall’oppressione di genere).
I diritti civili avanzano assieme ai diritti sociali, nella costituzione di società più giuste e umane, che dalle differenti sensibilità di genere vengono arricchite. La questione di genere si interseca con la questione di classe nella sua vocazione di liberazione della società dalla subalternità ad ogni livello. Il conflitto di genere è un conflitto sociale e ha una portata rivoluzionaria.
Per questa ragione senza la partecipazione delle donne la società non si libera, senza le donne non c’è rivoluzione! Si pensi a Cuba. Prima della rivoluzione le donne vivevano una condizione di emancipazione limitata e limitante. Si trattava di un femminismo liberale che garantiva l’uguaglianza sulla base all’appartenenza al gruppo etnico-sociale dominante.
Con la rivoluzione, la liberazione è diventata una condizione di tutte le donne, con l’uguaglianza sociale, l’uguaglianza di genere è diventata effettiva per tutte, permettendo anche alle donne delle classi subalterne di uscire dalla marginalità, di rompere gli schemi patriarcali che riservavano alla donna le attività domestiche, escludendola dai processi sociali. Il lavoro della Federazione delle Donne Cubane, promuovendo la partecipazione alle attività sociali e politiche, ha permesso la fuoriuscita dalla subalternità. Ha promosso una battaglia culturale all’analfabetismo. L’integrazione è stata raggiunta grazie a un mix di politiche sociali e culturali. Adesso Cuba, grazie al Cenesex, conduce una lotta all’omofobia, sensibilizza verso i differenti orientamenti sessuali, nella direzione di superare le ultime eredità machiste della società pre-rivoluzionaria. Quella di Cuba è una rivoluzione nella rivoluzione. Nel Venezuela bolivariano l’uguaglianza di genere è alla base del potere popolare.
Non può esistere uguaglianza sociale senza uguaglianza di genere e senza il riconoscimento delle differenti identità sessuali. Un’uguaglianza di ruoli all’interno dei processi di trasformazione sociale, basata sul riconoscimento della donna come “motore e asse delle trasformazioni sociali”, che si declina sia nella sfera privata che pubblica, come riconoscimento della donna della libertà di autodeterminarsi, di scegliere il proprio ruolo sociale. Libertà che il governo bolivariano garantisce grazie al lavoro di istituzioni come il Ministero del Potere Popolare per la donna e l’uguaglianza di genere o l’Istituto Nazionale della donna, che promuovono l’integrazione sociali e l’attività politica delle donne, con le missioni per le donne in condizione di miseria, come la Missione Madres del Barrio, con politiche previdenziali che tutelano il lavoro domestico e sociale, per la creazione di asili, mense, etc.
In paesi come l’Ecuador, la liberazione della donna si fonda sul principio del buen vivir, un paradigma di progresso differente da quello liberale/capitalista, per cui solo se aumenta il benessere della base, cresce il benessere dell’intera società, benessere per tutte e tutti. L’uguaglianza di genere converge con l’idea di progresso: il riconoscimento delle differenti identità e sensibilità sessuali e dei diritti civili è un avanzamento per tutta la società.
Nel continente latino americano i movimenti femministi e di genere avanzano, agendo sui cambiamenti della società, determinando rapporti sociali che superano la subalternità di classe e genere, contaminandosi con la cultura indigena. Un femminismo intersezionale, in cui il conflitto di genere si interseca con quello etnico e di classe, e si risolve superando il conflitto sociale. Al modello latinoamericano si ispirano anche altri popoli in lotta, come i Curdi. Così come a Cuba, i movimenti e le forze armate delle donne dell’YPJ sono integrati nei consigli comunali e amministrativi, partecipano al potere decisionale. Paesi come Cuba, Venezuela, Nicaragua, Bolivia, Ecuador e Uruguay, non si sono limitati a integrare la donna nelle attività produttive e politiche, ma hanno promosso la produttività e la partecipazione politica integrando le organizzazioni femminili e femministe all’interno delle istituzioni.
In Italia invece, nonostante le conquiste ereditate dalle lotte dei movimenti femministi degli anni ’70, donne, omosessuali, trans soffrono di una sempre maggiore marginalità e esclusione. Con l’esclusione delle masse popolari dai processi di trasformazione sociale, i movimenti femministi e di genere si ritrovano fuori dal conflitto sociale, non riuscendo perciò a intervenire sui cambiamenti reali. La subalternità del patriarcato si riproduce senza ostacoli, il conflitto di genere viene disinnescato.
Assieme all’ineguaglianza sociale, dovuta all’arretramento dei diritti sociali, si riproducono i ruoli patriarcali, cresce l’omofobia e il sessismo medievale contro omosessuali e donne. In questo clima trovano spazio manifestazioni come il Family Day, dove esponenti di gruppi cattolici tradizionalisti sfilano con i fascisti, per negare i diritti degli omosessuali e la libertà delle donne di scegliere del loro corpo e ruolo sociale. Una tendenza di senso opposto, incompatibile e inconciliabile con i principi del socialismo umanista bolivariano, che invece si costruisce sul riconoscimento delle differenti soggettività sessuate, centro di processi di trasformazione radicale.
Un umanesimo che non nega le differenze, ma che delle differenze si nutre, nel suo percorso di costruzione di una società più equa, più giusta e determinata dalla masse. D’altro canto ormai, l’ingerenza del Vaticano sulla politica interna, in materia di diritti civili e etica, non trova più l’opposizione di quei movimenti di piazza, che raccoglievano le aspirazioni di laicità dello stato e difendevano diritti come aborto (di fatto attualmente negato dall’obiezione di coscienza), fecondazione assistita, ricerca sulle staminali, etc. Il campo viene lasciato al bigottismo fascistizzante dei gruppi più reazionari, che oppongono alla disgregazione della società capitalista il modello di famiglia patriarcale. L’oppressione di genere si riproduce in quella di classe.
Nel mondo del lavoro, le donne soffrono una condizione di subalternità, causata dalla maggiore precarietà, salari più bassi, negazione di diritti come la maternità, sino alle molestie sessuali dei superiori e all’assunzione condizionata dall’aspetto fisico, spesso requisito per determinate mansioni. Così, nelle classi più marginalizzate, le donne vivono una condizione vera e propria di schiavitù, come tra le donne migranti sottoposte a tratta. A questo proposito nel dibattito è emersa l’esperienza del progetto “Libera” di Lecce, che promuove l’integrazione di persone vittime di tratta, caporalato e sfruttamento sessuale.
Dopo anni di lavoro sul territorio, la commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Lecce, ha riconosciuto lo status di rifugiata a una donna nigeriana vittima di tratta a scopo di sfruttamento sessuale in carico al progetto “Libera”, costretta a fuggire dalla Nigeria con la sua compagna.
Il riconoscimento dello stato di rifugiato politico per gli individui perseguitati per l’orientamento sessuale, da parte della commissione territoriale, crea un precedente per i casi analoghi. Si esprime solidarietà al progetto Libera che dopo 16 anni di lavoro chiude e ci si unisce alla lotta di chi vuole continuare questa esperienza di accoglienza, solidarietà e integrazione nei confronti di donne che fuggono dalla violenza e dalla guerra.
La guerra, l’aggressione di un popolo da parte delle potenze imperialiste, così come colpi di stato e destabilizzazioni, sono strumenti per imporre con la violenza una condizione di oppressione e subalternità, per schiacciare e privare della libertà i popoli. Le donne ne vivono doppiamente l’orrore: direttamente, nella misura in cui stupro e violenze di genere vengono usati come arma di guerra, indirettamente perché la condizione di oppressione grava maggiormente sui soggetti sociali più deboli e marginalizzati.
Per questa ragione, come donne della Rete “Caracas ChiAma” riteniamo che contro la guerra imperialista sia necessaria l’unione delle donne, una presa di posizione chiara dei movimenti femministi e di genere, in quanto soggetti progressisti che si pongono la questione della liberazione di tutte e tutti. Dal tavolo è emersa la necessità di porre al centro della solidarietà con il Venezuela la questione della donna e del suo rapporto con le trasformazioni sociali e il potere popolare, e di sviluppare una riflessione condivisa, dando continuità ai lavori della tre giorni.
Per questa ragione si propone:
– mantenere i contatti con le associazioni, le compagne e i compagni intervenuti al tavolo;
– creare un forum delle donne, all’interno della Rete “Caracas ChiAma”;
– una riflessione sul tema del femminismo rivoluzionario attraverso un ciclo di iniziative di avvicinamento al Quinto Incontro della Rete.


https://albainformazione.com/

LupoSciolto°
10-09-16, 19:08
Kavalerists Gianky Logomaco

COSA NE PENSATE DI QUESTO PERSONAGGIO?

Eden Pastora: La rivoluzione con la “livella”Posted on 16 luglio 2011 (http://www3.varesenews.it/blog/nicaragua/?p=18)

http://3.bp.blogspot.com/-1xWdFO00NDU/TiEXEiISaUI/AAAAAAAAAMU/JqhDhVuTy28/s320/conpastora.jpg (http://3.bp.blogspot.com/-1xWdFO00NDU/TiEXEiISaUI/AAAAAAAAAMU/JqhDhVuTy28/s1600/conpastora.jpg)Alle spalle della sua scrivania c’è una delle foto più famose degli anni Settanta. Eden Pastora, il mitico “comandante Zero”, alza le braccia al cielo
un piccolo mitra e nella mano sinistra un moschetto. L’immagine del rivoluzionario vincente.
Una foto che era il risultato della più importante azione politica e militare del Fronte sandinista prima dell’insurrezione finale del 19 luglio 1979. Un anno prima, il 22 agosto del 1978, Eden Pastora, e pochi altri uomini travestiti da Guardia nazionale, era entrato nella sede dell’assemblea nazionale prendendo in ostaggio tutti i parlamentari del Nicaragua. Somoza era stato costretto a scendere a patti garantendo la scarcerazione di decine di militanti del Fronte (tra cui Daniel Ortega e Tomas Borge) e un salvacondotto per Cuba per quanti avevano condotto l’azione.
http://3.bp.blogspot.com/-YtiaRyo_JBE/TiEXF1LGjQI/AAAAAAAAAMc/AAO4XlNQ5FY/s320/pastora.jpg (http://3.bp.blogspot.com/-YtiaRyo_JBE/TiEXF1LGjQI/AAAAAAAAAMc/AAO4XlNQ5FY/s1600/pastora.jpg)
Una foto che passerà alla storia non solo in Nicaragua.
Oggi Eden Pastora si occupa del “suo” Rio San Juan in qualità di responsabile dei lavori al delta del fiume.
È un 75enne in splendida forma. Capelli bianchi, fisico asciutto, è padre di 21 figli e altrettanti nipoti. La più piccola gironzola intorno al suo nonno e lui si scioglie, tira fuori il cellulare per farci vedere le foto della piccola.
«Conosco bene l’Italia. Ci sono stato tante volte e la mia famiglia ha origini siciliane e si chiamava Pastori. Quando nel Settecento emigrarono in Nicaragua il cognome venne spagnolizzato».
La sua storia ha dell’incredibile ed è anche piena di elementi a prima vista contraddittori. Con la vittoria del Fronte Sandinista acquisì ruoli di responsabilità, senza però entrare nella cerchia ristretta della direzione che comprendeva nove comandanti e Sergio Ramirez. Fu vice ministro dell’Interno e della Difesa e leader della milizia popolare. Fu lui il comandante partito con una brigada di 13mila uomini a fronteggiare le prime azioni della Contra al confine con l’Honduras già pochi mesi dopo la vittoria.
Dopo fasi alterne, oggi il “comandante Zero” non ha dubbi sulle scelte politiche da fare per il suo paese.
http://1.bp.blogspot.com/-DSESgVl8z74/TiEXCpbINBI/AAAAAAAAAMQ/dtimFw2trg8/s320/pastorapp.jpg (http://1.bp.blogspot.com/-DSESgVl8z74/TiEXCpbINBI/AAAAAAAAAMQ/dtimFw2trg8/s1600/pastorapp.jpg)
A novembre ci saranno le elezioni presidenziali. Con chi si schiererà lei?
«Io sto con la rivoluzione popolare sandinista e il leader è uno solo: Daniel Ortega. Lui sta proseguendo il cammino rivoluzionario in libertà e democrazia. Mi basta una sola ragione tra le cento che potrei avere per votare Ortega. Lui è l’unico che può garantire i 39 programmi sociali. Se non ce la farà lui, la controrivoluzione antisandinista smantellerà tutto. Del resto lo abbiamo già visto vent’anni fa cosa sanno fare. Hanno privatizzato 400 imprese tra cui 46 strategiche. Sono riusciti a smantellare tutta la rete ferroviaria perché era in odore sandinista. Il brillante risultato che hanno ottenuto è stato quello di produrre oltre 500mila sfollati senza lavoro in Costa Rica».
Molti però oggi criticano Ortega. Qual’è il bilancio dei suoi cinque anni di governo?
«Abbiamo meno poveri e meno povertà. A me basterebbe il progetto Amor che intende tirare via i bambini dagli incroci delle strade per dire che Ortega ha lavorato bene. Daniel ha insegnato all’ambasciatore americano a rispettarci».
Ma se lei ha questo legame con Ortega perché nel 1982 lasciò il Fronte Sandinista?
«Non ho mai abbandonato il Fronte, sono loro che mi hanno abbandonato. Sono loro che hanno tradito gli ideali volendo abbracciare il marxismo leninismo. Nel 1981 mi staccai e la storia mi diede ragione. Il popolo punì il Fronte con la sconfitta del 1990».
Si, ma intanto lei con l’Arde aprì un fronte sud della Contra per combattere contro…
«Non fu Contra. Ero un dissidente, e iniziai una battaglia politica, ma non feci mai la guerra. Furono i comandanti del Fronte a mettere in pericolo lo stato rivoluzionario».
http://4.bp.blogspot.com/-nPxkrMVLSkA/TiEXBkXBIdI/AAAAAAAAAMM/rxCXsGvgNMo/s320/pastora79.jpg (http://4.bp.blogspot.com/-nPxkrMVLSkA/TiEXBkXBIdI/AAAAAAAAAMM/rxCXsGvgNMo/s1600/pastora79.jpg)
Ma si sarebbe potuta evitare quella guerra sporca con molte decine di migliaia di morti?
«No, perché tutte le rivoluzioni hanno una controrivoluzione. Potevamo renderla meno sanguinosa, dolorosa e violenta. L’imperialismo non è monolitico e ha sempre delle crepe. Noi non siamo stati capaci di entrare lì dentro. Dovevamo contrastare politicamente Reagan, ma non fu possibile perché chi aveva il vero potere era Sergio Ramirez e i nove comandanti. Ortega era sempre in giro per il mondo a difendere la rivoluzione e in Nicaragua decideva Ramirez che giocava a fare il più radicale e il più antimperialista. Josè Martì diceva che “in politica la realtà non si vede” e questo vale anche nel nostro Paese».
Come mai lei con tutta la popolarità e la lotta militare fatta non entrò nella direzione politica del Fronte?
«Perché non ero comunista! Ero marxista e interpretavo il pensiero Sandinista che è la concretizzazione del materialismo storico. I comandanti volevano saltare tutte le tappe e questo è antimarxismo».
I diversi ministri come i due Cardenal, D’Escoto e altri non potevano spingere in una direzione diversa?
«Occorre dire che allora c’erano situazioni davvero difficili e dobbiamo tenere conto di quattro elementi: 1) il radicalismo allora era di moda; 2) la guerra radicalizza; 3) la minaccia dell’imperialismo radicalizza; 4) la disciplina verticale faceva si che i comandanti fossero vissuti e visti come degli dei. Ricordo una volta che alcuni “compagneros”, sempre con Il capitale di Marx sotto braccio mi dissero che non ero abbastanza in linea. Così mi fecero entrare in una ferramenta a comprare una livella per tenerla sulla mia scrivania. Se non ci fosse stato un grande dramma, direi che era davvero una commedia».
Oggi quali sono i suoi sogni?
«Che vinca Daniel e si possa proseguire l’azione rivoluzionaria. Su un piano personale invece sogno di terminare il mio lavoro di dragaggio del rio San Juan perché quella è una pratica concreta di sovranità nazionale. Quando recupereremo tutto il fiume e incorporeremo quel territorio dentro il nostro Nicaragua avremo fatto qualcosa di importante per la nazione».
L’intervista al “comandante Zero” potrebbe continuare per ore, ma ci sono diverse persone che lo stanno aspettando, e questo giornalista italiano non era previsto, ma il ricordo di tanti luoghi che gli sono rimasti nel cuore nei diversi viaggi in Italia lo ha sciolto. Sorride ed è ironico quando inizia a parlare di politica. Distingue bene le varie correnti del marxismo e si ferma a fare battute sull’allora partito comunista italiano antisovietico. “I nostri comandanti interpretavano a modo loro il centralismo democratico”.
L’ingresso della sua nipotina piena di allegria e sorrisi per il nonno mette fine alla nostra chiacchierata. Tra tre giorni si terrà l’imponente manifestazione per i 32 anni della rivoluzione. In Nicaragua oltre il 40% degli elettori non erano ancora nati quando Ortega governò la prima volta. Lui lo sa e non può bastare la retorica per vincere. Ma lo sa anche Eden Pastora che, dopo essersi presentato contro Daniel nel 2006, stavolta lo appoggia senza alcun dubbio.


Eden Pastora: La rivoluzione con la ?livella? | Nicaragua (http://www3.varesenews.it/blog/nicaragua/?p=18)

Logomaco
10-09-16, 19:41
Non conoscevo il personaggio. In generale, il bolivarismo/sandinismo/socialismo sudamericano/del XXI secolo e cose varie mi pare in fase calante

Kavalerists
10-09-16, 19:42
@Kavalerists (https://forum.termometropolitico.it/member.php?u=7467) @Gianky (https://forum.termometropolitico.it/member.php?u=987) @Logomaco (https://forum.termometropolitico.it/member.php?u=613)

COSA NE PENSATE DI QUESTO PERSONAGGIO?

Eden Pastora: La rivoluzione con la “livella”

Posted on 16 luglio 2011 (http://www3.varesenews.it/blog/nicaragua/?p=18)

http://3.bp.blogspot.com/-1xWdFO00NDU/TiEXEiISaUI/AAAAAAAAAMU/JqhDhVuTy28/s320/conpastora.jpg (http://3.bp.blogspot.com/-1xWdFO00NDU/TiEXEiISaUI/AAAAAAAAAMU/JqhDhVuTy28/s1600/conpastora.jpg)Alle spalle della sua scrivania c’è una delle foto più famose degli anni Settanta. Eden Pastora, il mitico “comandante Zero”, alza le braccia al cielo
un piccolo mitra e nella mano sinistra un moschetto. L’immagine del rivoluzionario vincente.

http://3.bp.blogspot.com/-YtiaRyo_JBE/TiEXF1LGjQI/AAAAAAAAAMc/AAO4XlNQ5FY/s320/pastora.jpg (http://3.bp.blogspot.com/-YtiaRyo_JBE/TiEXF1LGjQI/AAAAAAAAAMc/AAO4XlNQ5FY/s1600/pastora.jpg)
Una foto che passerà alla storia non solo in Nicaragua.

Cosa ne devo pensare? Tutto il bene possibile. Quella foto la ho avuta anche in avatar, quindi...
Un grande personaggio, un vero rivoluzionario, un uomo che non ha esitato un solo attimo a rivoltarsi contro e combattere gli errori che una parte della dirigenza sandinista, dogmatica e scadente nell'analisi della realtà, stava commettendo, e che portarono ad un secondo fronte al sud del paese e alla sconfitta elettorale di fronte al pupazzo yanquis, V.Chamorro. Per fortuna anni dopo la situazione fra Ortega e Pastora fu ricomposta, e ancora adesso il FS tiene saldamente le redini del paese, e sembrerebbe che proprio il Nicaragua sia la nazione più stabile tra tutte quelle dell'America Latina con governi socialisti.

Jerome
10-09-16, 19:45
Rispetto molto le figure storiche dei peronisti argentini: Juan ed Evita Peron, Nestor e Cristina Kirchner.

Kavalerists
10-09-16, 20:09
OT x Lars:
diciamo meglio, cioè che il Paradiso sarebbe il poter sempre scegliere le persone con cui frequentare e con cui averci a che fare. :)

Jerome
10-09-16, 20:25
OT x Lars:
diciamo meglio, cioè che il Paradiso sarebbe il poter sempre scegliere le persone con cui frequentare e con cui averci a che fare. :)

Aah, ti riferisci alla frase di Sartre...

LupoSciolto°
11-09-16, 16:52
Cosa ne devo pensare? Tutto il bene possibile. Quella foto la ho avuta anche in avatar, quindi...
Un grande personaggio, un vero rivoluzionario, un uomo che non ha esitato un solo attimo a rivoltarsi contro e combattere gli errori che una parte della dirigenza sandinista, dogmatica e scadente nell'analisi della realtà, stava commettendo, e che portarono ad un secondo fronte al sud del paese e alla sconfitta elettorale di fronte al pupazzo yanquis, V.Chamorro. Per fortuna anni dopo la situazione fra Ortega e Pastora fu ricomposta, e ancora adesso il FS tiene saldamente le redini del paese, e sembrerebbe che proprio il Nicaragua sia la nazione più stabile tra tutte quelle dell'America Latina con governi socialisti.

Pienamente d'accordo e, personalmente, ho vissuto un periodo di "venerazione" per Eden Pastora (infatti il mio vecchio nickname era tercerista). Ora, però, mi pongo delle domande: perché è venuto a patti con la CIA e i contras? Non avrebbe dovuto, almeno per spirito di "coerenza", condurre la propria battaglia in solitudine?

Gianky
12-09-16, 13:33
@Kavalerists (https://forum.termometropolitico.it/member.php?u=7467) @Gianky (https://forum.termometropolitico.it/member.php?u=987) @Logomaco (https://forum.termometropolitico.it/member.php?u=613)

COSA NE PENSATE DI QUESTO PERSONAGGIO?

Eden Pastora: La rivoluzione con la “livella”

Posted on 16 luglio 2011 (http://www3.varesenews.it/blog/nicaragua/?p=18)

http://3.bp.blogspot.com/-1xWdFO00NDU/TiEXEiISaUI/AAAAAAAAAMU/JqhDhVuTy28/s320/conpastora.jpg (http://3.bp.blogspot.com/-1xWdFO00NDU/TiEXEiISaUI/AAAAAAAAAMU/JqhDhVuTy28/s1600/conpastora.jpg)Alle spalle della sua scrivania c’è una delle foto più famose degli anni Settanta. Eden Pastora, il mitico “comandante Zero”, alza le braccia al cielo
un piccolo mitra e nella mano sinistra un moschetto. L’immagine del rivoluzionario vincente.
Una foto che era il risultato della più importante azione politica e militare del Fronte sandinista prima dell’insurrezione finale del 19 luglio 1979. Un anno prima, il 22 agosto del 1978, Eden Pastora, e pochi altri uomini travestiti da Guardia nazionale, era entrato nella sede dell’assemblea nazionale prendendo in ostaggio tutti i parlamentari del Nicaragua. Somoza era stato costretto a scendere a patti garantendo la scarcerazione di decine di militanti del Fronte (tra cui Daniel Ortega e Tomas Borge) e un salvacondotto per Cuba per quanti avevano condotto l’azione.
http://3.bp.blogspot.com/-YtiaRyo_JBE/TiEXF1LGjQI/AAAAAAAAAMc/AAO4XlNQ5FY/s320/pastora.jpg (http://3.bp.blogspot.com/-YtiaRyo_JBE/TiEXF1LGjQI/AAAAAAAAAMc/AAO4XlNQ5FY/s1600/pastora.jpg)
Una foto che passerà alla storia non solo in Nicaragua.
Oggi Eden Pastora si occupa del “suo” Rio San Juan in qualità di responsabile dei lavori al delta del fiume.
È un 75enne in splendida forma. Capelli bianchi, fisico asciutto, è padre di 21 figli e altrettanti nipoti. La più piccola gironzola intorno al suo nonno e lui si scioglie, tira fuori il cellulare per farci vedere le foto della piccola.
«Conosco bene l’Italia. Ci sono stato tante volte e la mia famiglia ha origini siciliane e si chiamava Pastori. Quando nel Settecento emigrarono in Nicaragua il cognome venne spagnolizzato».
La sua storia ha dell’incredibile ed è anche piena di elementi a prima vista contraddittori. Con la vittoria del Fronte Sandinista acquisì ruoli di responsabilità, senza però entrare nella cerchia ristretta della direzione che comprendeva nove comandanti e Sergio Ramirez. Fu vice ministro dell’Interno e della Difesa e leader della milizia popolare. Fu lui il comandante partito con una brigada di 13mila uomini a fronteggiare le prime azioni della Contra al confine con l’Honduras già pochi mesi dopo la vittoria.
Dopo fasi alterne, oggi il “comandante Zero” non ha dubbi sulle scelte politiche da fare per il suo paese.
http://1.bp.blogspot.com/-DSESgVl8z74/TiEXCpbINBI/AAAAAAAAAMQ/dtimFw2trg8/s320/pastorapp.jpg (http://1.bp.blogspot.com/-DSESgVl8z74/TiEXCpbINBI/AAAAAAAAAMQ/dtimFw2trg8/s1600/pastorapp.jpg)
A novembre ci saranno le elezioni presidenziali. Con chi si schiererà lei?
«Io sto con la rivoluzione popolare sandinista e il leader è uno solo: Daniel Ortega. Lui sta proseguendo il cammino rivoluzionario in libertà e democrazia. Mi basta una sola ragione tra le cento che potrei avere per votare Ortega. Lui è l’unico che può garantire i 39 programmi sociali. Se non ce la farà lui, la controrivoluzione antisandinista smantellerà tutto. Del resto lo abbiamo già visto vent’anni fa cosa sanno fare. Hanno privatizzato 400 imprese tra cui 46 strategiche. Sono riusciti a smantellare tutta la rete ferroviaria perché era in odore sandinista. Il brillante risultato che hanno ottenuto è stato quello di produrre oltre 500mila sfollati senza lavoro in Costa Rica».
Molti però oggi criticano Ortega. Qual’è il bilancio dei suoi cinque anni di governo?
«Abbiamo meno poveri e meno povertà. A me basterebbe il progetto Amor che intende tirare via i bambini dagli incroci delle strade per dire che Ortega ha lavorato bene. Daniel ha insegnato all’ambasciatore americano a rispettarci».
Ma se lei ha questo legame con Ortega perché nel 1982 lasciò il Fronte Sandinista?
«Non ho mai abbandonato il Fronte, sono loro che mi hanno abbandonato. Sono loro che hanno tradito gli ideali volendo abbracciare il marxismo leninismo. Nel 1981 mi staccai e la storia mi diede ragione. Il popolo punì il Fronte con la sconfitta del 1990».
Si, ma intanto lei con l’Arde aprì un fronte sud della Contra per combattere contro…
«Non fu Contra. Ero un dissidente, e iniziai una battaglia politica, ma non feci mai la guerra. Furono i comandanti del Fronte a mettere in pericolo lo stato rivoluzionario».
http://4.bp.blogspot.com/-nPxkrMVLSkA/TiEXBkXBIdI/AAAAAAAAAMM/rxCXsGvgNMo/s320/pastora79.jpg (http://4.bp.blogspot.com/-nPxkrMVLSkA/TiEXBkXBIdI/AAAAAAAAAMM/rxCXsGvgNMo/s1600/pastora79.jpg)
Ma si sarebbe potuta evitare quella guerra sporca con molte decine di migliaia di morti?
«No, perché tutte le rivoluzioni hanno una controrivoluzione. Potevamo renderla meno sanguinosa, dolorosa e violenta. L’imperialismo non è monolitico e ha sempre delle crepe. Noi non siamo stati capaci di entrare lì dentro. Dovevamo contrastare politicamente Reagan, ma non fu possibile perché chi aveva il vero potere era Sergio Ramirez e i nove comandanti. Ortega era sempre in giro per il mondo a difendere la rivoluzione e in Nicaragua decideva Ramirez che giocava a fare il più radicale e il più antimperialista. Josè Martì diceva che “in politica la realtà non si vede” e questo vale anche nel nostro Paese».
Come mai lei con tutta la popolarità e la lotta militare fatta non entrò nella direzione politica del Fronte?
«Perché non ero comunista! Ero marxista e interpretavo il pensiero Sandinista che è la concretizzazione del materialismo storico. I comandanti volevano saltare tutte le tappe e questo è antimarxismo».
I diversi ministri come i due Cardenal, D’Escoto e altri non potevano spingere in una direzione diversa?
«Occorre dire che allora c’erano situazioni davvero difficili e dobbiamo tenere conto di quattro elementi: 1) il radicalismo allora era di moda; 2) la guerra radicalizza; 3) la minaccia dell’imperialismo radicalizza; 4) la disciplina verticale faceva si che i comandanti fossero vissuti e visti come degli dei. Ricordo una volta che alcuni “compagneros”, sempre con Il capitale di Marx sotto braccio mi dissero che non ero abbastanza in linea. Così mi fecero entrare in una ferramenta a comprare una livella per tenerla sulla mia scrivania. Se non ci fosse stato un grande dramma, direi che era davvero una commedia».
Oggi quali sono i suoi sogni?
«Che vinca Daniel e si possa proseguire l’azione rivoluzionaria. Su un piano personale invece sogno di terminare il mio lavoro di dragaggio del rio San Juan perché quella è una pratica concreta di sovranità nazionale. Quando recupereremo tutto il fiume e incorporeremo quel territorio dentro il nostro Nicaragua avremo fatto qualcosa di importante per la nazione».
L’intervista al “comandante Zero” potrebbe continuare per ore, ma ci sono diverse persone che lo stanno aspettando, e questo giornalista italiano non era previsto, ma il ricordo di tanti luoghi che gli sono rimasti nel cuore nei diversi viaggi in Italia lo ha sciolto. Sorride ed è ironico quando inizia a parlare di politica. Distingue bene le varie correnti del marxismo e si ferma a fare battute sull’allora partito comunista italiano antisovietico. “I nostri comandanti interpretavano a modo loro il centralismo democratico”.
L’ingresso della sua nipotina piena di allegria e sorrisi per il nonno mette fine alla nostra chiacchierata. Tra tre giorni si terrà l’imponente manifestazione per i 32 anni della rivoluzione. In Nicaragua oltre il 40% degli elettori non erano ancora nati quando Ortega governò la prima volta. Lui lo sa e non può bastare la retorica per vincere. Ma lo sa anche Eden Pastora che, dopo essersi presentato contro Daniel nel 2006, stavolta lo appoggia senza alcun dubbio.


Eden Pastora: La rivoluzione con la ?livella? | Nicaragua (http://www3.varesenews.it/blog/nicaragua/?p=18)

Son contento che Pastora abbia ricucito con il FSLN e con Ortega, direi che hanno fatto errore da ambo le parti nel passato ma adesso l'importante è che vadano avanti assieme ed è importante che il FSLN vinca le elezioni di autunno.

LupoSciolto°
12-09-16, 16:39
Son contento che Pastora abbia ricucito con il FSLN e con Ortega, direi che hanno fatto errore da ambo le parti nel passato ma adesso l'importante è che vadano avanti assieme ed è importante che il FSLN vinca le elezioni di autunno.

Concordo. Ah, ben ritrovato! :encouragement:

LupoSciolto°
13-10-16, 12:02
ECCO GLI OLIGARCHI CAPITALISTI ARGENTINI CHE TEMEVANO IL PERONISMO. NOTARE IL TENTATIVO DI PARAGONARLO NON SOLO AL SOCIALISMO CILENO MA, ADDIRITTURA, AL COMUNISMO.

Peron sulle orme di Salvador Allende
Concludo oggi le mie considerazioni a proposito della ispirazione chiaramente di estrema sinistra che sta rivelando il governo di Peron. José Ber Gelbard, ministro dell’Economia dell’effimero governo Campora, ha presentato al parlamento venti progetti di legge, buona parte dei quali sono già stati approvati, e altri sono in attesa di essere approvati dal parlamento stesso. Ciascuno di questi progetti è più di sinistra dell’altro. La loro applicazione, fatta insieme, metterà l’Argentina in una situazione molto simile a quella del Cile di Allende. Ben inteso, con il seguito di crisi economiche che la sociaiizzazione porta con sé, in Cile come in ogni altro paese. Per mancanza di spazio, non commento questi progetti. D’altra parte, parlano da soli a chiunque conosca un poco la materia su cui vertono. Mi limito, quindi, a fare una rassegna molto sommaria di diversi tra essi. La solidarietà del governo Peron con questa legislazione di malaugurio, già approvata o in via di approvazione, creatrice di ingiustizie e di miseria, si manifesta attraverso due fatti inoppugnabili. José Ber Gelbard continua a essere ministro anche con Perori. E, parlando al parlamento argentino il 30 agosto scorso, il vecchio capo ha esortato i suoi componenti ad approvare il più rapidamente possibbile tutte le leggi presentate dal governo durante il periodo presidenziale di Campora. Legge sulla nazionalizzazione dei depositi bancari. È stata approvata dal parlamento il 1° agosto scorso ed è già stata regolamentata dal Banco Central. In questo modo le banche private sono diventate semplici agenti della banca ufficiale, e ricevono una provvigione per i servizi che svolgono. Possono soltanto fare prestiti a chi, e nel modo in cui il Banco Central le autorizzi. Le operazioni speciali sono soggette, in ogni caso, alla consultazione del Banco Central. Legge sull’imposta di rendita potenziale della terra. Il parlamento l’ha approvata l'11 settembre scorso. Istituisce un catasto di tutti gli immobili rurali, nel quale dovrà essere indicato il valore di ciascuno. Ogni proprietario dovrà presentare una dichiarazione giurata circa il valore della sua proprietà. Se dichiarerà un valore inferiore al reale si esporrà a un esproprio, se, al contrario, dichiarerà un troppo alto, sarà rovinato da una imposta annuale che giunge fino al 4% del valore della terra. Argentina la rendita normale di una proprietà agricola non è molto superiore. Così, se vi è un errore qualsiasi nella dichiarazione, il proprietario sarà rovinato con estrema facilità. Prorroga degli affitti urbani. Sono sospesi gli sfratti dei locatari di immobili urbani. Così il proprietario urbano si trova assolutamente disarmato di fronte all’inquilino. Proroga delle esecuzioni ipotecarie. E stato approvato dal Senato un progetto di legge che sospende fino al 31 luglio 1974 gli atti esecutivi di ipoteche, anche di quelle che derivino da una sentenza già passata in giudicato. Censimento della proprietà urbana. Il giorno 23 agosto è stato convertito in legge un progetto che ordina al governo di iniziare entro 90 giorni e di terminare entro 180 un Censimento delle Proprietà urbane, dal quale constino numero di inquilini per unità abitazionale; l’età e lo Stato Civile di ciascuno; la data di costruzione dell’edificio; il numero di servizi disponibili, ecc. Allo stesso modo saranno censite le residenze disabitate, chiarendo se sono o no in vendita. Si capisce facilmente che questo censimento prepara la ridistribuzione coatta delle abitazioni, secondo il più genuino stile comunista. Legge sul monopolio del commercio della carne. La Camera dei deputati ha approvato il progetto di riforma dello statuto della Junta Nacional de Carnes, mediante il quale lo Stato è autorizzato ad avocare a sé il monopolio del commercio della carne, e a nominare commissari governativi nelle cooperative di macellai. Manca ora l’approvazione del Senato. Con il decreto n. 597-73 del 20 agosto scorso il governo ha fatto cessare l’attività della tradizionale Corporazione dei matarifes, cioè dei piccoli magazzini frigoriferi e mattatoi che servivano per l’approvvigionamento dei macellai di Buenos Aires e della Grande Buenos Aires. Questi piccoli magazzini frigoriferi sono stati sostituiti dai grandi magazzini frigoriferi e da due enti statali, FERCAM e CIFEN. Contemporaneamente, il 21 agosto, il governo ha decretato la nomina di un commissario governativo all’Associazione dei Produttori di Carne (CAP), proprietaria di diversi magazzini frigoriferi, che forniscono carne per il consumo interno e anche per l‘esportazione. La CAP appartiene ai produttori del settore agricolo e dell’allevamento. Queste misure, aggiunte alla fissazione dei prezzi massimi, già in vigore per le vendite di bestiame, conferiscono aiio Stato un crescente monopolio del commercio della carne. Fallimento del gruppo DELTEC. La Corte Suprema ha confermato la sentenza di un giudice di sinistra che decretava il fallimento del magazzino frigorifero Swift. Inoltre, ha esteso il fallimento ad altre compagnie appartenenti al gruppo internazionale DELTEC. Tra queste imprese si trovano la Provita S.A., il complesso Avicpla Ibri S.A. e altre. Il 5 settembre il governo ha deciso di nominare un commissario in tutte queste imprese e di metterle nell’"area sociale", - per usare la terminologia utilizzata da Unidad Popular in Cile. Tali aziende non erano però, in condizioni tali da esigere il fallimento. Monopolio del commercio dei cereali. Il 25 agosto il Senato ha dato la sua approvazione a un progetto di legge che autorizza lo stato a monopolizzare tutto il commercio dei cereali. Se la legge sarà approvata anche dalla Camera, soltanto lo Stato potrà comprare cereali, immagazzinarli, venderli o esportarli, Nessuna azienda privata, nazionale o straniera, potrà svolgere tale commercio. Potranno essere autorizzate soltanto delle cooperative. Ente Nazionale Aziende. È stato approvato dal Senato anche il progetto di legge relativo all’Ente Nazionale Aziende. Questo ente sara destinato ad amministrare tutte le aziende che appartengono o verranno ad appartenere allo Stato, funzione analoga a quella che ebbe la CORFO nel Cile di Allende. Si tratta di uno strumento burocratico necessario per manovrare l'ampia gamma di aziende trasferite nell'"area sociale", come ad esempio la Swift. Altri progetti di legge presentati dal governo, in attesa di essere approvati dal parlamento: - Legge sulle terre non lavorate. Autorizza lo Stato a dare terre private in affitto coattivo. Il prezzo dell'affitto è fissato dallo Stato e può valere anche per vent'anni. - Legge di istituzione della Confederazione della piccola industria. Permette di centralizzare e controllare le piccole industrie, e di provocare la fusione di aziende, quando siano state giudicate superflue, o in ragione di una migliore conduzione. Favorirà la cogestione e la partecipazione dei lavoratori agli utili delle imprese. - Legge sulle imprese straniere. Stabilisce un regime grandemente ristretto per le imprese straniere e ne dispone, a lungo termine, la graduale statalizzazione. Il lettore immagini un povero paese sottoposto simultaneamente alla pressione e alla distorsione di tutte queste leggi ferree: la fine sarà una catastrofe come quella del Cile ...
(Pubblicato sulla Folha de S. Paolo, 11-11-1973. Critianità, gennaio-febbraio 1974)Peron sulle orme di Salvador Allende (http://www.atfp.it/biblioteca/articoli-di-plinio-correa-de-oliveira/49-articoli-folha-san-paulo/671-peron-sulle-orme-di-salvador-allende.html)

Kavalerists
21-10-16, 16:28
Il testamento di Muammar Gheddafi http://www.lantidiplomatico.it/resizer/resiz/public/285615-620x330.jpg/700x350c50.jpg





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http://www.lantidiplomatico.it/img/wa.png (whatsapp://send?text=http://www.lantidiplomatico.it/dettnews-il_testamento_di_muammar_gheddafi/82_17549/)
Il mio figliuolo africano, Obama, vuole uccidermi, togliere la libertà al nostro paese, prendere le nostre case gratuite, la nostra medicina gratuita, la nostra istruzione gratuita, il nostro cibo gratuito e sostituirli con il saccheggio in stile statunitense, chiamato "capitalismo", ma tutti noi del Terzo Mondo sappiamo cosa significa: significa che le corporazioni governano i paesi, governano il mondo, e la gente soffre, quindi non mi rimangono alternative, devo resistere

da resistenze.org (http://www.resistenze.org/sito/te/po/lb/polbbd12-008760.htm)
In nome di Allah, il Benevolo, il Misericordioso ...

Per 40 anni, o magari di più, non ricordo, ho fatto tutto il possibile per dare alla gente case, ospedali, scuole, e quando aveva fame, gli ho dato da mangiare convertendo anche il deserto di Bengasi in terra coltivata.

Ho resistito agli attacchi di quel cowboy di nome Reagan, anche quando uccise mia figlia, orfana adottata, mentre in realtà cercando di uccidere me, tolse la vita a quella povera ragazza innocente.

Successivamente aiutai i miei fratelli e le mie sorelle d’Africa soccorrendo economicamente l'Unione africana, ho fatto tutto quello che potevo per aiutare la gente a capire il concetto di vera democrazia in cui i comitati popolari guidavano il nostro paese; ma non era mai abbastanza, qualcuno me lo disse, tra loro persino alcuni che possedevano case con dieci camere, nuovi vestiti e mobili, non erano mai soddisfatti, così egoisti che volevano di più, dicendo agli statunitensi e ad altri visitatori, che avevano bisogno di "democrazia" e "libertà", senza rendersi conto che era un sistema crudele, dove il cane più grande mangia gli altri.

Ma quelle parole piacevano, e non si resero mai conto che negli Stati Uniti, non c’erano medicine gratuite, né ospedali gratuiti, nessun alloggio gratuito, senza l’istruzione gratuita o pasti gratuiti, tranne quando le persone devono chiedere l'elemosina formando lunghe file per ottenere un zuppa; no, non era importante quello che facevo, per alcuni non era mai abbastanza.

Altri invece, sapevano che ero il figlio di Gamal Abdel Nasser, l'unico vero leader arabo e musulmano che abbiamo avuto dai tempi di Saladino, che rivendicò il Canale di Suez per il suo popolo come io rivendicai la Libia per il mio; sono stati i suoi passi quelli che ho provato a seguire per mantenere il mio popolo libero dalla dominazione coloniale , dai ladri che volevano derubarci.

Adesso la maggiore forza nella storia militare mi attacca; il mio figliuolo africano, Obama, vuole uccidermi, togliere la libertà al nostro paese, prendere le nostre case gratuite, la nostra medicina gratuita, la nostra istruzione gratuita, il nostro cibo gratuito e sostituirli con il saccheggio in stile statunitense, chiamato "capitalismo", ma tutti noi del Terzo Mondo sappiamo cosa significa: significa che le corporazioni governano i paesi, governano il mondo, e la gente soffre, quindi non mi rimangono alternative, devo resistere.

E se Allah vuole, morirò seguendo la sua via, la via che ha arricchito il nostro paese con terra coltivabile, cibo e salute e ci ha permesso di aiutare anche i nostri fratelli e sorelle africani ed arabi a lavorare con noi nella Jamahiriya libica.

Non voglio morire, ma se succede, per salvare questo paese, il mio popolo e tutte le migliaia che sono i miei figli, così sia.

Che questo testamento sia la mia voce di fronte al mondo: che ho combattuto contro gli attacchi dei crociati della NATO, che ho combattuto contro la crudeltà, contro il tradimento, che ho combattuto l'Occidente e le sue ambizioni coloniali, e che sono rimasto con i miei fratelli africani, i miei veri fratelli arabi e musulmani, come un faro di luce, quando gli altri stavano costruendo castelli.

Ho vissuto in una casa modesta ed in una tenda. Non ho mai dimenticato la mia gioventù a Sirte, non spesi follemente il nostro tesoro nazionale, e, come Saladino, il nostro grande leader musulmano che riscattò Gerusalemme all'Islam, presi poco per me ....

In Occidente, alcuni mi hanno chiamato "pazzo", "demente", però conoscono la verità, ma continuano a mentire ; sanno che il nostro paese è indipendente e libero, che non è in mani coloniali, che la mia visione, il mio percorso è, ed è stato chiaro per il mio popolo : lotterò fino al mio ultimo respiro per mantenerci liberi, che Allah Onnipotente ci aiuti a rimanere fedeli e liberi.


Colonnello Muammar Gheddafi, 5 aprile 2011

Il testamento di Muammar Gheddafi - World Affairs - L'Antidiplomatico (http://www.lantidiplomatico.it/dettnews-il_testamento_di_muammar_gheddafi/82_17549/)

Kavalerists
07-01-17, 22:48
Peron, giustizialismo
e socialismo nazionaledi Luca Bagatin
05 settembre 2014CULTURA
http://www.opinione.it/media/449328/10-peron-i.jpg
Juan Domingo Peron (1895 – 1974) - Presidente della Repubblica Argentina dal 1946 al 1955 - fu personaggio senza dubbio emblematico nel panorama geopolitico della Guerra Fredda ed il suo pensiero giustizialista, ovvero socialista nazionale, fu ed è tutt'ora un pensiero di scottante attualità, specie dopo l'avvento della globalizzazione e della conseguente crisi economico-sociale che attanaglia il mondo ormai da parecchi anni. Iniziamo con il dire subito che Juan Peron non fu un populista nel senso spregiativo del termine. Egli fu uno dei pochi politici nella Storia ad essere dalla parte del popolo ed a servirlo, offrendo allo stesso una prospettiva umanitaria.
Eletto democraticamente, alla guida dei descamisados, ovvero dei più poveri dei poveri argentini, e sostenuto dalla moglie Eva Duarte (1919 - 1952), soprannominata affettuosamente dal popolo Evita - la quale si occuperà per tutta la sua pur breve vita di diritti delle donne e degli anziani - l'allora Colonnello Peron divenne Presidente della Repubblica Argentina e fondò, poco tempo dopo, il Partito Giustizialista, ovvero un partito socialista, nazionale e cristiano, ma di matrice anticlericale, come egli stesso amava definirlo. La dottrina sulla quale Peron fondava la sua politica era una chiara ed inequivocabile terza posizione: alternativa al capitalismo borghese ed al marxismo comunista.
Ovvero alternativa ai due imperialismi: quello statunitense e quello sovietico. Il suo governo – che mai accettò aiuti, prestiti o investimenti stranieri - fu caratterizzato sin da subito da politiche in favore del popolo, dell'alfabetizzazione dello stesso e dello sviluppo del lavoro e riuscì, attraverso la nazionalizzazione delle imprese pubbliche, in pochi anni, a ripianare la totalità del debito pubblico che i governi dittatoriali precedenti avevano accumulato, ottenendo una bilancia dei pagamenti in attivo e riuscendo ad accumulare un'ampia riserva aurea. Sotto il profilo della laicità, inoltre, il governo Peron fu avanzatissimo per l'epoca, al punto che introdusse la legge sul divorzio, soppresse l'educazione religiosa nelle scuole e legalizzò la prostituzione e ciò gli costò peraltro la scomunica da parte del Papa dei cattolici Pio XII.
Nel settembre 1955, un'alleanza fra clero, militari e servizi segreti statunitensi, ad ogni modo, bloccò ogni nuova riforma peronista: un Colpo di Stato guidato dal generale Pedro Eugenio Aramburu, infatti, destituì il Presidente Juan Peron da ogni carica e lo costrinse all'esilio. Un esulio che durò sino al 1973. In Argentina, peraltro, il Partito Giustizialista fu dichiarato illegale e per quasi vent'anni l'Argentina ed il suo popolo subirono un lungo susseguirsi di dittature militari e di violenze, oltre che di pesantissime crisi economiche e di ruberie di Stato, che non permisero più al Paese di risollevarsi come aveva fatto, invece, durante il decennio peronista. Juan Domingo Peron, ad ogni modo, nel suo esilio di Madrid, scriverà, nel 1967, una sorta di testamento politico, di documento storico e di esortazione al popolo ed ai popoli e lo intitolerà, emblematicamente, “L'ora dei popoli”. In tale testo, che anticiperà il suo ritorno trionfale in patria nel 1973, oltre a denunciare i suoi nemici in patria, denuncerà il pericolo dell'imperialismo yankee, ovvero statunitense, e l'avanzare dell'imperialismo sovietico e comunista. Inoltre, fu forse il primo a denunciare le manovre speculative dei governi USA relative al dollaro, fra cui il fenomeno dei signoraggio, e del Fondo Monetario Internazionale che, peraltro, sono tutt'oggi all'origine della crisi economica che stiamo subendo e fu il primo che, durante il suo mandato di governo, propose l'unificazione dell'America Latina, ovvero la fondazione degli Stati Uniti Latino-Americani.
Peron nel suo “L'ora dei popoli”, a proposito del giustizialismo e delle sue prospettive scrive infatti: Il giustizialismo si fonda su tre grandi premesse: 1) La necessità di promuovere una riforma che il mondo dei nostri giorni, con la sua inarrestabile evoluzione, stava segnalando come un imperativo ineludibile. 2) La necessità di una integrazione latino-americana per creare, grazie ad un mercato ampliato, senza frontiere interne, le condizioni più favorevoli al nostro sviluppo; per migliorare il tenore di vita dei nostri 200 milioni di abitanti; per creare le basi dei futuri Stati Uniti Latino-Americani, posto che spetta all'America Latina nelle questioni mondiali. 3) L'opportunità di realizzare un'integrazione storica che permetta di consolidare quella liberazione per la quale lottano oggi quasi tutti i popoli sottomessi. La lotta in favore dei popoli sottomessi, infatti, fu la costante del pensiero e dell'azione di Juan Peron. La sua terza posizione, infatti, coincideva con quel Terzo Mondo sfruttato e depredato da Stati Uniti ed Unione Sovietica ed in tal proposito scriveva, anche riferendosi alla dittatura antiperonista che stava in quegli anni martoriando l'Argentina: I governi usurpatori di quelle dittature che pretendono di affermare la propria esistenza con la protezione straniera non possono durare.
I governi militari e imposti dal Pentagono e dal Fondo Monetario Internazionale, incorreranno nella stessa sorte in Vietnam come in America Latina, in quanto nulla di stabile può essere fondato sull'infamia. Socialismo nazionale, integrazione storica del Terzo Mondo e dell'America Latina, sovranità popolare, tutti aspetti che gli imperialismi non potevano e non possono tollerare. Juan Domingo Peron, nonostante il ritorno trionfale in patria nel 1973 e la sua successiva rielazione, lasciando presto il governo nelle mani della seconda moglia Isabelita - che certo non aveva il piglio e l'anima sociale di Evita - non riuscì, causa anche la sua morte avvenuta nel 1974, ad impedire l'avvento di nuovi golpe militari che soffocarono ogni possibile riforma in Argentina. Oggi, nel 2014, forse, avremmo necessità di un nuovo Juan Domingo Peron. L'avrebbe l'America Latina, ancora non unificata ed ancora attraversata da una grave crisi socio-economica. E l'avrebbe l'Europa, unita solo dall'economia e dal continuo sfruttamento monetario e tartassatorio che noi cittadini subiamo ogni giorno, peraltro soggetti alle scelte di politica internazionale dei soliti USA e del solito Fondo Monetario Internazionale.
Una terza posizione di carattere umanitario, socialista libertario e nazionale sarebbe utile all'uscita della crisi. Ma, per ora, possiamo solo guardare agli esempi del passato. Agli esempi di personalità che, da Simon Bolivar a Giuseppe Mazzini, dai coniugi Garibaldi (Anita e Giuseppe), passando per i coniugi Peron (Evita e Juan) e per il socialismo libertario di Hugo Chavez, hanno offerto al mondo prospettive diverse e alternative. Prospettive oltre le divisioni e le ideologie di destra e/o di sinistra, bensì sempre dalla parte dei popoli e degli oppressi.

Peron, giustizialismo e socialismo nazionale (http://www.opinione.it/cultura/2014/09/05/bagatin_cultura-05-09.aspx)

LupoSciolto°
02-07-17, 12:46
SUKARNO

https://www.globalsecurity.org/military/world/indonesia/images/sukarno.jpg

Sukarno (Surabaya, 6 giugno 1901 – Giacarta, 21 giugno 1970) è stato un politico indonesiano, è stato il primo presidente dell'Indonesia. Aiutò la nazione ad ottenere l'indipendenza dai Paesi Bassi e fu presidente dal 1945 al 1967, assistendo in quel ruolo all'alterno successo nella turbolenta transizione all'indipendenza. Sukarno fu costretto ad abbandonare il potere da uno dei suoi generali, Suharto, cui venne concesso il titolo formale di Presidente nel marzo 1967.
Il nome di Sukarno viene talvolta scritto come Soekarno, e gli indonesiani lo ricordano anche come Bung Karno. Come molte persone dell'isola di Giava, aveva solo un nome.

Figlio di un nobile dell'isola di Giava e della sua moglie Balinese della reggenza Buleleng, Sukarno nacque a Surabaya (anche se diverse fonti dicono che nacque a Blitar, nella parte orientale di Giava) nelle Indie Orientali Olandesi (l'odierna Indonesia). Venne ammesso da bambino in una scuola neerlandese. Quando suo padre lo mandò a Surabaya nel 1916 per frequentare le scuole secondarie, vi incontrò Tjokroaminoto, un futuro nazionalista. Nel 1921 iniziò a studiare alla Technische Hoogeschool di Bandung.
Sukarno parlava correntemente diverse lingue, in particolare il neerlandese. Come egli ebbe a ricordare, quando era studente a Surabaya, si siedeva spesso dietro lo schermo dei cinema leggendo i sottotitoli in neerlandese al contrario, perché non poteva permettersi di pagare il prezzo del biglietto.

La lotta per l'indipendenza
Sukarno divenne un capo del movimento indonesiano per l'indipendenza, Partai Nasional Indonesia quando questo venne fondato nel 1927. Egli portò avanti anche la sua convinzione che il Giappone avrebbe cominciato una guerra contro le potenze imperialiste occidentali e che Giava poteva ottenere la sua indipendenza con l'aiuto giapponese. Venne arrestato nel 1929 dalle autorità coloniali olandesi e condannato a due anni di prigione. Quando venne rilasciato era diventato un eroe popolare. Negli anni '30 venne arrestato ancora diverse volte e stava scontando una condanna su un isola quando il Giappone prese il potere a Giacarta nel 1942.

L'occupazione giapponese
Sia a Sumatra che a Giava c'erano forze che aiutarono i giapponesi contro gli olandesi, ma non collaborarono nel fornire il carburante per l'aviazione che era così essenziale allo sforzo bellico giapponese. Bisognosi dell'appoggio locale per rifornire i cargo, i giapponesi riportarono Sukarno a Giacarta.
Anche se Sukarno si rifiutò sempre di parlare delle sue azioni nel corso della guerra, si deve notare che al suo ritorno e grazie all'uso della radio giapponese e di reti di altoparlanti installate su tutta Giava, i giapponesi ricevettero il loro carburante oltre a delle Romusha (unità di lavoratori volontari) e a delle Peta e Heiho (truppe di volontari di Giava) che alla metà del 1945 ammontavano a circa due milioni, e si preparavano a sconfiggere qualsiasi forza Alleata inviata a riconquistare Giava.
Il 10 novembre 1943 Sukarno venne decorato dall'Imperatore del Giappone a Tokio. Divenne anche capo del Badan Penyelidik Usaha Persiapan Kemerdekaan Indonesia (BPUPKI), il comitato organizzato dai giapponesi, attraverso il quale venne in seguito ottenuta l'indipendenza indonesiana.

I primi tempi dell'indipendenza, la Panca Sila [modifica]

Dopo la sconfitta giapponese, Sukarno e Mohammad Hatta dichiararono la Repubblica di Indonesia il 17 agosto 1945.
La visione di Sukarno per la costituzione indonesiana del 1945 comprendeva la Panca Sila (in sanscrito: cinque pilastri). La filosofia politica di Sukarno era guidata (in ordine sparso) da elementi di marxismo, democrazia e islam. Questi vengono riflessi nella Panca Sila, nell'ordine con cui li abbracciò in un discorso del 1 giugno 1945:
Nazionalismo (unità nazionale)
Internazionalismo (una nazione sovrana tra pari)
Democrazia rappresentativa (tutti i gruppi più significativi sono rappresentati)
Giustizia sociale (influenzata dal marxismo)
Fede in Dio
Il parlamento indonesiano, fondato sulle basi di questa costituzione originale (e successivamente rivista), si dimostrò ingovernabile. Ciò era dovuto alle differenze inconciliabili tra le varie fazioni sociali, politiche, religiose ed etniche.
Nel caos che seguì, tra le varie fazioni e i tentativi neerlandesi di ristabilire il controllo coloniale, le truppe dei Paesi Bassi catturarono Sukarno nel dicembre 1948, ma furono costrette a rilasciarlo dopo il cessate il fuoco. Egli fece ritorno a Giacarta il 28 dicembre 1949.
Ci furono ulteriori tentativi di colpo di stato contro Sukarno nel 1956.
Nel tentativo di ripristinare l'ordine, Sukarno fondò quella che chiamò democrazia guidata, nella quale detenne un sempre maggior potere esecutivo, mantenendo al tempo stesso un parlamento multipartitico.

"Democrazia guidata" e autocrazia crescente

Durante quest'ultima parte della sua presidenza, Sukarno si trovò ad affidarsi sempre più all'esercito e all'appoggio del PKI - il Partito Comunista Indonesiano.
Il 30 novembre 1957, ci fu un attacco condotto con delle granate contro Sukarno, mentre stava visitando una scuola a Giacarta. Sei bambini rimasero uccisi, ma Sukarno non subì alcuna grave ferita. In dicembre ordinò la nazionalizzazione di 246 imprese neerlandesi. In febbraio iniziò la repressione dei ribelli del PRRI (Pemerintah Revolusioner Republik Indonesia) a Bukittingi.
Nel corso degli anni seguenti stabilì il controllo governativo sui media e sulle case editrici, e purghe contro i residenti cinesi. Il 5 luglio 1959 ripristinò la costituzione del 1945, dissolse il parlamento, piegandolo ai suoi voleri e assumendo il pieno potere personale in qualità di primo ministro. Chiamò questo sistema di governo per decreto Manifesto Politik o Manipol. Mandò al confino i suoi avversari.
Negli anni '50 aumentò i legami con la Repubblica Popolare Cinese ed ammise più comunisti nel suo governo. Iniziò anche ad accettare quantità sempre maggiori di aiuti militari sovietici.
Nel marzo 1960 Sukarno dissolse l'Assemblea eletta e la sostituì con una nominata, ed in agosto ruppe le relazioni diplomatiche con i Paesi Bassi a causa della Nuova Guinea Olandese (Papua Occidentale). Dopo che la Papua Occidentale si dichiarò indipendente nel dicembre del 1961, Sukarno ordinò delle incursini nell'Irian Occidentale (Nuova Guinea Olandese). Ci fu un ulteriore tentativo di assassinio quando visitò Sulawesi nel 1962. L'Irian Occidentale venne portato sotto l'autorità indonesiana nel maggio 1963 in base a quanto previsto dal Piano Bunker. Nel luglio dello stesso anno Sukarno si fece proclamare Presidente a vita.
Sukarno si oppose anche alla Federazione Malese appoggiata dai britannici, sostenendo che era un piano neocoloniale per portare avanti gli interessi del Regno Unito. Nonostante le sue aperture politiche, lo Stato di Malesia venne proclamatao nel settembre 1963. Questo portò al confronto Indonesiano-Malese (Konfrontasi) e alla fine del restante appoggio militare statunitense all'Indonesia. Sukarno ritirò l'Indonesia dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite nel 1965 e la Malesia ne prese il posto. Sukarno divenne anche sempre più ammalato e collassò in pubblico il 9 agosto 1965. Gli venne diagnosticato in segreto un male ai reni.

Rimozione dal potere

La mattina del 1 ottobre 1965, alcune delle guardie personali di Sukarno lo rapirono e assassinarono sei generali anti-comunisti. Un sopravvissuto, che non venne preso di mira nel sospetto colpo di stato, era il Tenente-Generale Suharto.
La crisi creò una spaccatura nel Partito Comunista e una purga a livello nazionale dei sospetti comunisti, gran parte dei quali erano contadini. Gli omicidi si concentrarono a Sumatra, Giava Est e Bali. All'epoca in cui andarono a cessare, nel 1966, si stima che mezzo milione di indonesiani era stato massacrato da soldati, polizia e vigilantes pro-Suharto. Anche i cinesi etnici vennero presi di mira, principalmente per motivi economici e razziali. Un rapporto ufficiale della CIA chiamò la purga "uno dei peggiori omicidi di massa del XX secolo."2
La presa sul potere di Sukarno venne indebolita nella crisi, e alla fine, il ten. gen. Suharto, filo-occidentale, costrinse Sukarno a cedere il potere esecutivo, l'11 marzo 1966.
Ci sono molte speculazioni su chi innescò la crisi che portò alla rimozione di Sukarno. Mentre la versione ufficiale sostiene che il Partito Comunista Indonesiano (PKI) ordinò l'uccisione dei sei generali, altri incolpano Sukarno, e alcuni credono che Suharto orchestrò gli assassinii per eliminare i potenziali rivali alla presidenza.
Esiste anche una versione secondo cui Sukarno venne rovesciato dagli Stati Uniti a causa del suo percepito comunismo e dei legami con Cina e Unione Sovietica.
Sukarno venne spogliato della carica presidenziale dal parlamento provvisorio indonesiano il 12 marzo 1967 e rimase agli arresti domiciliari fino alla sua morte, avvenuta a 69 anni, nel 1970 a Giacarta.
Megawati Sukarnoputri, ex presidente indonesiana, è sua figlia.

LupoSciolto°
22-08-17, 20:27
Unità, libertà, socialismo: il Baath di Michel ‘Aflaq

http://www.sirialibano.com/wp-content/uploads/2013/01/0021.jpg

(di Carlotta Stegagno*). Dici Siria e pensi al Baath, il partito formalmente al potere da mezzo secolo. Ma quali sono le origini e i fondamenti ideologici di uno dei movimenti politici più controversi della storia contemporanea araba?

Il Baath, termine arabo traducibile con rinascita o resurrezione, delle origini, quello che ha in ‘Aflaq il suo ideologo, è altra cosa rispetto al neo-Baath, che sale al potere con il colpo di stato interno al partito nel 1966, dopo la fine dell’unione tra la Siria e l’Egitto nel 1961, e che ha in Hafez al Asad e Salah Jadid i suoi leader.

Questa nuova versione del Baath è caratterizzata da una forte presenza del partito in tutti i settori della società, grazie alla creazione di un potente sistema di intelligence, da una politica economica di stampo fortemente socialista, e, sul piano internazionale, dall’abbandono dell’afflato panarabo e dall’adozione di una linea dura contro Israele nonché dall’avvicinamento all’Unione Sovietica.

Il partito Baath nasce negli anni Quaranta del secolo scorso a Damasco per opera di Michel ‘Aflaq e Salah al Bitar, due insegnanti damasceni che si erano conosciuti a Parigi quando entrambi frequentavano le aule universitarie della Sorbona. Gli anni parigini sono quelli della formazione culturale: Nietzsche e il romanticismo tedesco, Marx e la frequentazione di circoli politici studenteschi sono gli ingredienti che porteranno ‘Aflaq alla formulazione di una delle concezioni politiche più originali di tutto il mondo arabo.

Tornato in patria negli anni Trenta, ‘Aflaq si dedica all’insegnamento in una delle scuole superiori più politicizzate della capitale siriana: il liceo Tahjiz. Questo era stato, infatti, l’avanguardia del movimento nazionalista durante gli anni del mandato francese. Egli inizia a raccogliere intorno a sé un gruppo di studenti interessati alla discussione dei temi politici più attuali. Il primo nucleo del Baath nasce nei caffè di Damasco dove ogni venerdì un gruppo di giovani studenti si riunisce intorno ad ‘Aflaq per discorrere di politica e di attualità. Timido e schivo per natura, poco propizio a ricoprire cariche pubbliche, il fondatore del Baath ha una grande influenza sui giovani della capitale che vedono in lui un mentore e sono affascinati dalle sue arti oratorie.

Il partito nasce ufficialmente nel 1947, anno in cui si tiene il suo primo congresso e in cui viene promulgata la Costituzione del partito. La sua ideologia politica è sintetizzabile in uno dei suoi slogan più famosi: unità, libertà, socialismo.

Unità – L’unità è il tema centrale del pensiero politico di ‘Aflaq. Egli, partendo dalla tradizione nazionalista panaraba, che vedeva nell’unità un concetto astratto e un ideale a cui tendere in un futuro imprecisato, la trasforma in un obiettivo politico concreto, da realizzare attraverso i mezzi della lotta e della rivoluzione. La creazione della Repubblica Araba Unita, data dalla fusione degli stati di Egitto e di Siria, tra il 1958 e il 1961, a cui si sarebbero dovuti aggiungere in futuro altri stati arabi, rappresenta infatti il capolavoro politico di ‘Aflaq e l’acme della sua carriera politica.

Secondo il fondatore del Baath, l’unione di tutti i popoli arabi in un’unica nazione deve essere raggiunta attraverso il rafforzamento dei suoi legami storici, culturali e linguistici; gli arabi devono diventare consapevoli di appartenere a una grande nazione e, per citare un altro degli slogan più famosi del partito, a una sola nazione araba portatrice di una missione immortale, ovvero quella di ripartire dal passato per rinascere e intraprendere un cammino di sviluppo, e ottenere così il ruolo che le spetta nel panorama politico internazionale.

La cultura araba, secondo ‘Aflaq, si è sviluppata attraverso una serie di rinascite successive avvenute nel corso dei secoli, attraverso un percorso fatto di lotte, conquiste ed espansioni territoriali. Solo facendo riferimento al loro passato gli arabi possono trovare la forza per riscattare se stessi dalla condizione di arretratezza in cui versano a causa del dominio delle potenze imperialistiche occidentali. In questo contesto ‘Aflaq attribuisce all’Islam un ruolo funzionale: la religione è uno dei fattori identitari del popolo arabo, al pari della lingua e della storia comune.

Per il fondatore del Baath i confini della futura nazione araba si dovranno estendere dalla catena montuosa del Tauro in Turchia e dai monti Zagros in Iran fino al Golfo di Bassora in Iraq e al Golfo Persico, comprendendo anche le montagne dell’Etiopia, il deserto del Sahara, l’Oceano Atlantico e la riva sud del Mar Mediterraneo.

Libertà – La Costituzione baatista del 1947 definisce il Baath un partito rivoluzionario, che deve raggiungere gli obiettivi della liberazione del popolo arabo e dell’instaurazione del socialismo attraverso i mezzi della lotta e della rivoluzione: «(..) fare affidamento solo su una lenta evoluzione ed essere soddisfatti di una riforma parziale e superficiale significa mettere a rischio gli obiettivi stessi del partito e condurli al fallimento e alla perdita (..).» (art. 6 della Costituzione).

La liberazione del popolo arabo deve avvenire in due momenti successivi: il conflitto contro l’imperialismo straniero per l’assoluta e completa liberazione della nazione araba e la battaglia per raggiungere l’unità di tutti gli arabi in un unico stato.

Una volta raggiunti questi obiettivi politici concreti, il popolo arabo deve intraprendere un percorso forse ancora più difficile, ovvero la rigenerazione e il rinnovamento dei valori, del carattere e della forma della società araba. Da buon insegnante quale era, ‘Aflaq assegna, all’interno del testo costituzionale e non solo, grande importanza all’istruzione: «La politica educativa del partito ambisce alla creazione di una nuova generazione di arabi che credono nell’unità della nazione e nell’eternità della sua missione. Questa politica, basata su un ragionamento scientifico, sarà libera dai ceppi della superstizione e delle tradizioni reazionarie, sarà imbevuta dello spirito dell’ottimismo, della lotta e della solidarietà tra tutti i cittadini per portare avanti una rivoluzione araba totale e per il progresso umano» (art. 43). Una volta compiuta questa rigenerazione spirituale, la nazione araba sarà in grado di condurre una vita degna, in sintonia con i principi di giustizia e di uguaglianza, e di svolgere il ruolo che le spetta nel panorama politico mondiale.

Socialismo – Nell’articolo 4 della Costituzione si stabilisce che: «Il Baath è un partito socialista (…), il socialismo è una necessità che emana dalle profondità dello stesso nazionalismo arabo. Esso costituisce, infatti, un ordine sociale ideale che permette al popolo arabo di realizzare le sue possibilità e rende il suo genio in grado di fiorire. Il socialismo potrà garantire il costante progresso della nazione dal punto di vista morale e materiale e la nascita di un sentimento di fratellanza tra i suoi membri».

Essendosi allontanato dal comunismo dopo la lettura del testo di Gide “Ritorno dall’Urss” e ancor più dopo il riconoscimento dello stato di Israele da parte dell’Unione Sovietica nel 1948, ‘Aflaq arriva alla formulazione di un socialismo che può essere definito “arabo” in quanto ritagliato sui bisogni e le aspirazioni del popolo arabo.

Si tratta di una forma morbida di socialismo, che mette l’individuo al centro del sistema economico rifiutando la concezione materialistica della storia e riconoscendo la proprietà privata e i diritti di eredità. Secondo ‘Alfaq, l’obiettivo finale del socialismo deve essere la liberazione del talento e delle abilità degli individui, in modo da renderli in grado di dirigere il proprio destino e ottenere così il miglioramento degli standard di vita sia dei singoli sia della nazione araba nella sua interezza.

Dal punto di vista strettamente pratico è di nuovo la Costituzione del 1947 che specifica il contenuto del socialismo baathista: la ricchezza economica (art. 26), i servizi pubblici, le risorse naturali e le grandi industrie sono di proprietà della nazione; lo stato si riserva il diritto di controllarli direttamente e di abolire le compagnie private e le concessioni straniere (art. 29). La proprietà immobiliare (art. 33), industriale (art. 31), agricola (art. 28) e i diritti di eredità sono ammessi, ma limitati in base all’interesse nazionale (art. 34).

I problemi economici che attanagliano la nazione araba non potranno essere risolti se non alla luce dei principi socialisti, richiesti fortemente dal Baath: la nazionalizzazione delle compagnie straniere e la loro messa sotto il controllo dello stato e la distribuzione delle terre di proprietà dei grandi proprietari terrieri tra i piccoli contadini. I limiti posti al sistema economico sono orientati a impedire l’uso sbagliato della ricchezza nazionale e lo sfruttamento dei lavoratori.

Con il colpo di stato interno al Baath del 1966, ‘Aflaq viene estromesso dalla politica siriana. Troverà rifugio in Iraq, dove, nel 1963, l’ala irachena del partito aveva raggiunto il potere. Gli ultimi anni della sua vita li trascorre in un isolamento sempre più accentuato, nonostante sia nominato Segretario Generale del Partito, ‘Aflaq non ha più nessuna reale influenza politica: i suoi concetti di unità, libertà e socialismo, non saranno messi in pratica né dal Baath di Saddam Hussein né dal neo-Baath siriano.

La fine del nasserismo, le sconfitte arabe contro Israele, a cui fanno seguito gli accordi di Camp David, il problema dei profughi palestinesi e il settembre nero in Giordania, portano gli stati arabi ad abbandonare definitivamente le concezioni unitarie del passato, e il sogno di ‘Aflaq di una unica nazione araba dal golfo Persico all’Atlantico si spegne lentamente. Il fondatore del Baath muore a Parigi il 10 giugno del 1989, in seguito ad un arresto cardiaco.

Unità, libertà, socialismo: il Baath di Michel 'Aflaq - SiriaLibano (http://www.sirialibano.com/siria-2/unita-liberta-socialismo-il-pensiero-politico-di-michel-aflaq.html)

LupoSciolto°
22-08-17, 20:29
Questa è una raccolta di frasi e citazioni di Michel Aflaq su vari temi concernenti la nazione araba. Fonte: On Socialism - Michel Aflak (Aflaq) (http://albaath.online.fr/English/Aflaq-03-on%20socialism.htm)

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Sul socialismo



Colui che pensa che il socialismo sia una religione della pietà commette un grave errore. Non siamo eremita che si rifugiano nella misericordia di dare pace ad una coscienza turbata dalla miseria e dalla sofferenza, cosicché diventiamo grandi ai nostri occhi e dormiamo senza problemi. Difendere le masse defraudate non significa far loro elemosina ma chiedere i loro diritti. Noi non siamo solo interessati nell’alleviare la loro miseria ma anche nell’incrementare il loro livello di vita.
(La ricchezza della vita, 1936)

Noi crediamo che ogni rialzo dei prezzi che non ha una una vera ragione per alzarsi sia un trattamento superficiale destinato al fallimento. Il problema dell’alto costo della vita nel nostro paese è profondo, relativo alle fondamenta del nostro sistema sociale ed economico corrotto. È direttamente connesso con l’esistenza di una classe affarista e sfruttatrice, che fa soffrire il popolo. È il risultato di un sistema economico egoistico, che è libero da ogni supervisione o controllo da parte di uno Stato conscio e rigoroso che rappresenta pienamente il popolo.
Il problema dell’alto costo della vita non potrà essere risolto se non alla luce dei princìpi socialisti ardentemente e fedelmente innalzati dal nostro Partito. Non sarà risolto se non attraverso la nazionalizzazione delle compagnie straniere e la loro messa sotto controllo statale, salvando così il popolo dallo sfruttamento dei loro interessi vitali, come l’acqua, l’elettricità e le comunicazioni, e tramite la distribuzione tra i piccoli contadini delle terre demaniali, salvandoli dal feudalesimo che succhia il loro sangue e i loro sforzi e fa loro condurre una vita scarna e affamata, per la loro sofferenza continua al caldo estivo e al freddo invernale. Non sarà risolto se non forzando i grandi feudatari ed i capitalisti a rendere giusto il lavoro, a limitare l’oppressione creata dalla proprietà e dal capitalismo e garantendo ai contadini e ai lavoratori i loro diritti naturali in una vita umana e degna.
(La nostra opinione rispetto al presente governo, “Al-Ba’ath”, 27 gennaio 1947)

La classe dominante nella nazione Araba è, per struttura, educazione e interessi, incapace di fare, per non dire che odia farlo - realizzare la completa liberazione nazionale l’unità dei frammenti delle terre arabe, per questo incapace di realizzare l’unità nei cuori degli arabi.
(C’è un compito popolare per la nazione Araba, “Al-Ba’ath”, 2 marzo 1947)

L’interesse nazionale, la sopravvivenza della nazione Araba ed il suo progresso insieme alle nazioni in via di sviluppo, dipendono tutte dalla realizzazione del socialismo, che significa permettere ad ogni arabo, senza distinzione o discriminazione, diventare un’entità produttiva tangibile e non un’illusione.
(La sopravvivenza della nazione Araba e il suo progresso sono nel socialismo, “Al-Ba’ath”, 7 ottobre 1950)

Noi rappresentiamo la libertà, il socialismo e l’unità. Questo è l’interesse della nazione Araba, e come nazione intendo il più grande numero di persone e non quelle minoranze sfigurate e deviate che hanno negato la propria identità, la minoranza schiavizzata dal proprio egoismo e dai propri interessi privati, che non sarà parte della nazione ancora per molto.
(La nazione Araba è la volontà della vita, aprile 1950)

Noi, che non ci facciamo ingannare dall’apparenza, sappiamo che dietro l’opinione di ciascuno esistono fattori psicologici e morali così come fattori creati dagli interessi. Nella maggior parte dei casi, la contraddizione tra gli altri e noi non risiede nel pensiero, ma è una contraddizione tra interessi personali e distacco dal profitto personale. Coloro che pensano che la nazione Araba non sia sufficientemente matura per razionalizzare la sua causa come invece hanno fatto altre nazioni, e coloro che pensano che la nostra ragione abbia fatto il suo tempo non esprimono le opinioni della nazione, ma esprimono quelle del loro egoismo.
(Il movimento ideologico completo, 1950)

Il raggiungimento del socialismo nella nostra vita è una condizione fondamentale per la sopravvivenza della nazione araba e per il suo progresso. Se non diffondiamo il socialismo e se non ci sforziamo di realizzare la giustizia sociale per ogni individuo, e se il popolo arabo non sarà messo in marcia non sarà protetto dal regresso e dalla cospirazione.
(Gli inganni della reazione e l’allerta del popolo, “Al-Ba’ath”, 15 giugno 1956)

Il marxismo è una teoria socialista. È la prima e la più importante teoria scientifica ... e non è giusto vedere il marxismo come fanatismo. Dobbiamo essere obiettivamente aperti ad esso, e, anche nelle nostre differenze, dobbiamo argomentare proponendo tesi contro tesi e soluzioni contro soluzioni. Dobbiamo essere in grado di vedere sia la verità che gli errori, dovunque siano... La nostra posizione odierna verso il marxismo e il comunismo non è più negativa. Nel passato non fummo imitatori, e nemmeno oggi lo siamo, ma bisogna accogliere ciò che è benefico per noi e per la nostra lotta.
(Un discorso ai ranghi, “La regione siriana”, 18 gennaio 1960)

Il socialismo non significa estremismo, demagogia e esagerazioni insolenti. Non serve a calunniare gli altri. Il socialismo è un’analisi realistica ed una posizione pratica, la sua argomentazione oggettiva non deve essere affettata da desideri personali, ambizioni e influenze transitorie ma deve essere governata da uno spirito scientifico, abnegazione e onestà.
(Ibid)

Noi siamo parte della classe lavoratrice. I veri socialisti si considerano parte della classe lavoratrice. Il governo socialista è guidato dalla classe lavoratrice, presta attenzione a cosa essa può dare e la forgia all’interno della vita della nazione e nelle battaglie del destino, osservando i propri errori attraverso la pratica, o i dettagli della propria azione. Questo è il salto richiesto dalla rivoluzione, dall’intera rivoluzione Araba e in ogni regione Araba, perché la miopia, in passato, è stata un ostacolo.
(Il ruolo della classe lavoratrice nella costruzione della rivoluzione Araba, novembre 1969)


Sul Sionismo e l'imperialismo

L’interesse della patria Araba non potrà mai affiancarsi al blocco occidentale o a qualcuno dei suoi membri. Perciò, la politica dei arabi dovrà essere una politica di neutralità tra i due blocchi, invece di legarsi ai nemici degli arabi con trattati. È imperativo impedire in ogni modo di legarsi ad un campo.
(La nostra politica estera, “Al-Ba’ath”, 12 gennaio 1948)

L’imperialismo, oggigiorno, ci impone una nuova e crudele battaglia per quale sta preparando ogni mezzo d’aggressione in suo possesso prima della crisi di Suez, questo fin da quando si rese conto della fermezza della coscienza rivoluzionaria araba e del fatto che le capacità popolari in alcune regioni arabe si sono bene organizzate. Ciò significa che questa battaglia è degli Arabi, prima anche che degli imperialisti. Il legittimo e naturale risveglio degli Arabi verso la strada della liberazione e del progresso forma, già di per sé, un grande pericolo per gli interessi dell’imperialismo e per la sua esistenza, non solo nella patria Araba ma nel mondo intero.
(La nostra battaglia con l’imperialismo è inevitabile, “Al-Ba’ath”, 24 gennaio 1956)

I popoli dei paesi imperialisti stanno diventando, giorno dopo giorni, sempre meno entusiasti di queste guerre imperialiste. Stanno allontanandosi in modo crescente da queste guerre, cosicché la battaglia sarà combattuta solo dalle persone realmente interessate ad essa. Questi capitalisti, avventurieri e mercenari che traggono profitto dalle guerre, quando raggiungeranno il loro stadio finale arriveranno alla loro fine, perché le guerre imperialiste non dipendono solo dagli imperialisti ma anche dalla capacità di questi ultimi di muovere i loro popoli verso queste guerre.
(Il ruolo della battaglia algerina nella nostra lotta, 1956)

I popoli liberi riconosceranno la nostra causa e la sosterranno solo quando capiranno che non è limitata ai desideri dei re e agli interessi delle classi privilegiate. Capiranno che dietro a questa lotta si cela un popolo che combatte l’imperialismo mondiale e scuota le sue fondamenta, e così non saranno più spaventati dall’affrontare i problemi con schiettezza e guardare in faccia il nemico interno con lo stesso coraggio e la stessa determinazione che se guardassero in faccia l’imperialismo stesso.
(Il consenso del popolo è [l’arma] più forte, 16 novembre 1956)

Questa avanzata nazionalista, caratterizzata dalla lotta contro l’imperialismo e dalla volontà di liberarsi da esso, è ancora insufficiente e inadeguata. Sarà arricchita e resa fertile dalle rivoluzioni sociale e ideologica.
(Un nuovo livello per la nostra lotta, 12 ottobre 1957)

Il pensiero di Michel Aflaq (http://marxismo-leninismo.forumfree.it/?t=67907374)

Jerome
28-05-18, 18:30
https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/b/bc/Juan_Domingo_Per%C3%B3n_1973.jpg/220px-Juan_Domingo_Per%C3%B3n_1973.jpg

* Il giustizialismo è una forma di socialismo, un socialismo nazionale, che risponde alle necessità e alle condizioni di vita dell'Argentina. È naturale che questo socialismo abbia entusiasmato le masse popolari e che in conseguenza di ciò si manifestino le rivendicazioni sociali. Esso ha creato un sistema sociale di fatto totalmente nuovo e totalmente differente dall'antico liberalismo «democratico» che ha dominato il paese e che si era posto, senza alcuna vergogna, al servizio dell'imperialismo yankee.
* [Sul fascismo italiano] Lì si stava facendo un esperimento. Era il primo socialismo nazionale che appariva nel mondo. Non voglio esaminare i mezzi di esecuzione che potevano essere difettosi.
* Ma l'importante era questo: un mondo già diviso in imperialismi e un terzo dissidente che dice: No, né con gli uni né con gli altri, siamo socialisti, ma socialisti nazionali. Era una terza posizione tra il socialismo sovietico e il capitalismo yankee.
* Penso che i paesi latinoamericani si stiano avviando verso la loro liberazione. Beninteso, questa liberazione sarà lunga e difficile, perché interessa la totalità dei paesi sudamericani. Infatti non è pensabile che vi sia un uomo libero in un paese schiavo, né un paese libero in un continente schiavo. In Argentina, in dieci anni di governo giustizialista, siamo vissuti liberi in una nazione sovrana. Nessuno poteva intromettersi nelle nostre faccende interne senza fare i conti non noi. Ma in dieci anni la sinarchia internazionale, ossia l’insieme delle forze imperialiste che dominano attualmente il mondo, ha avuto ragione di noi.

Manifesto del Partito Giustizialista (Le venti verità peroniste)


* Le due braccia del peronismo sono la giustizia sociale e l'assistenza sociale. Con esse diamo al popolo un abbraccio di giustizia e di amore.

* Per il peronismo c'è soltanto una classe di uomini: quella degli uomini che lavorano.

* Nell'azione politica, la scala dei valori di ciascun peronista è la seguente: prima la patria, poi il movimento ed infine gli uomini.

* La vera democrazia è quella in cui il governo compie la volontà del popolo e difende un solo interesse: quello del popolo.

* Il peronismo è essenzialmente popolare. Ogni fazione politica è antipopolare e pertanto non è peronista.

* Il peronista lavora per il movimento. Colui che in nome del partito serve una fazione o un caudillo è peronista soltanto di nome.

* Il giustizialismo, come dottrina politica, realizza l'equilibrio dell'individuo con quello della comunità.

* Il giustizialismo, come dottrina economica realizza l'economia sociale, mettendo il capitale al servizio dell'economia e quest'ultima al servizio del benessere sociale.

* Il giustizialismo, come dottrina sociale, realizza la giustizia sociale che dà a ciascuno il suo diritto in funzione sociale.

* Vogliamo un'Argentina socialmente giusta, economicamente libera e politicamente sovrana.

* Il giustizialismo è una nuova concezione della vita, semplice, pratica, popolare, profondamente cristiana e profondamente umanista.

* Per un giustizialista non c'è niente di meglio di un altro giustizialista.

* Nella nuova Argentina i soli privilegiati sono i bambini.

* In questa terra ciò che abbiamo di meglio è il popolo.

* Il peronismo anela all'unità nazionale, non alla lotta. Vuole eroi ma non martiri.

Gen. Juan Domingo Perón (1895-1974), 28° e 40° Presidente della Repubblica Argentina
https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/2/2c/Juan_Peron_Signature.svg/130px-Juan_Peron_Signature.svg.png

LupoSciolto°
09-06-18, 13:11
Il gollismo di sinistra


Il gollismo di sinistra (di centro-sinistra) era corrente la più progressista, espressione del Union démocratique du travail (UDT), che rimetteva parzialmente in causa il capitalismo per proporre una terza via; alcuni esponenti furono: Louis Vallon, René Capitant, Jean Charbonnel, Gilbert Grandval, Philippe Dechartre e Jean-Pierre Chevènement (vedi anche fr:Gaullisme de gauche).
Il gollismo di sinistra voleva proporre una terza via con l'associazione del capitale e del lavoro (la cosiddetta partecipazione) nella quale i dipendenti erano integrati nelle decisioni aziendali (secondo un sistema di cogestione) o secondo la teoria del pancapitalismo[20] di Marcel Loichot che prevedeva di rimettere progressivamente, attraverso la pratica di una grande distribuzione d'azioni, il capitale delle imprese nelle mani dei loro dipendenti, così permettendo loro di entrare nel consiglio d'amministrazione e di partecipare alle decisioni. La partecipazione era una delle due riforme proposte nel referendum sulla riforma del Senato e la regionalizzazione (1969), perduto dal generale de Gaulle. Raggruppati all'interno dell'Union démocratique du travail (UDT), i rappresentanti di questa corrente, a l'eccezione di Philippe Dechartre, si sono progressivamente avvicinati alla sinistra tradizionale a seguito dell'esclusione di Jacques Chaban-Delmas e della «destrizzazione» del gollismo, giudicato ormai troppo liberale.

Unione Democratica del Lavoro


L'Unione Democratica del Lavoro (fr. Union démocratique du travail , UDT) è stato un partito politico francese. Venne fondato nel 1959. Raccoglieva i cosiddetti "gollisti di sinistra" durante la V Repubblica francese.

Raccoglieva, in origine, i militanti dell'indipendenza dell'Algeria, più progressisti in ambito economico e sociale rispetto al prevalente partito politico gollista, l'Unione per la Nuova Repubblica (UNR). Molti erano sostenitori dell'Associazione del Capitale e del lavoro, guidata da Louis Vallon e René Capitan, già membri il primo del "Partito Socialista di Francia" ed il secondo dell'"Unione Democratica e Socialista della Resistenza", entrambe formazioni politiche socialdemocratiche e socioliberali.

L'UDT si associò all'UNR per le elezioni del 1962 e si fuse definitivamente con questo nel 1967, dando vita all'Unione dei Democratici per la Repubblica.

https://it.wikipedia.org/wiki/Unione_Democratica_del_Lavoro

LupoSciolto°
21-08-18, 18:03
Iran, Golpe del 1953: Una lezione storica su come USA e Regno Unito "portano la democrazia"

https://www.lantidiplomatico.it/resizer/resiz/public/5b7aeb4fe9180fc7338b4567.jpg/700x350c50.jpg

Nell'agosto del 1953 la CIA e l'MI6 rovesciarono il governo democratico dell'Iran, che pose le basi per comprendere le attuali relazioni bilaterali tra Washington e Teheran.


65 anni fa, il 19 agosto 1953, il popolo iraniano "ha ricevuto una dura lezione sulle regole del gioco" che avrebbe segnato il loro rapporto con gli Stati Uniti e il Regno Unito, scrive l'editorialista John Wight.

Il 19 Agosto 1953, il primo ministro Mohammad Mossadeq, democraticamente eletto, è stato estromesso nel quadro dell'operazione Ajax, pianificato, organizzato e scatenata dalla CIA e MI6(servizi segreti rispettivamente di USA e Gran Bretagna) in risposta alla sua decisione di nazionalizzare il petrolio iraniano e reindirizzare i ricavi verso lo sviluppo del paese.

L'autore ricorda che il più grande beneficiario della industria petrolifera dell'Iran era stato fino a quel momento la Anglo-Iranian Oil Company (AIOC), la società di proprietà dello Stato britannico fondata nel 1908.

"Per anni di controllo britannico del petrolio iraniano, Teheran ha ricevuto una percentuale irrisoria" nell'ambito di "un accordo unilaterale bastato su una palese arroganza coloniale", osserva Wight.

Quell'accordo ingiusto ha causato il risveglio della coscienza nazionale del popolo iraniano, che portò Mohammad Mossadeq ad essere nominato primo ministro dal Majlis, il parlamento del paese e approvato in quella posizione dallo Scià, anche se con riluttanza.

Al suo arrivo al potere, Mossadeq si impadronì delle risorse britanniche e portò avanti il ??suo piano di nazionalizzazione delle riserve petrolifere.

"Lunghi anni di negoziati con i paesi stranieri non hanno avuto successo ... Con i proventi del petrolio, potrebbe soddisfare tutte le nostre esigenze e combattere la povertà, le malattie e l'arretratezza del nostro popolo", disse all'epoca Mossadegh.

"Mossadeq e la corrente nazionalista rappresentata erano un anatema per le ambizioni dello Scià di potere assoluto" che sono state "incoraggiati dagli inglesi per proteggere i loro interessi petroliferi, spingendo crescenti tensioni con il paese che si avvicinava ad un bivio della sua storia", spiega lo scrittore.

La risposta occidentale

La prima cosa che gli inglesi fecero fu rendere impossibile all'Iran vendere il suo greggio appena nazionalizzato sul mercato mondiale.

Tuttavia, il potere coloniale mancava la forza e la capacità necessaria per regolare i conti da solo, così Londra ricorse a Washington, che si era affermata come "il primo fra pari delle potenze imperiali occidentali," utilizzando come pericolo lo spauraccio comunista e, in particolare, la crescente popolarità e l'influenza nel paese partito Tudeh (di ispirazione comunista), scrive Wight.

"Con Washington in preda alla febbre antisovietica e anticomunista, il piano ebbe successo per rovesciare Mossadeq, l'Operazione AJAX fu lanciata con la CIA che assunse il ruolo di protagonista" sottolinea Wight.


Il momento chiave del colpo di stato fu la corruzione di alti ufficiali dell'esercito e della polizia, insieme a giornalisti, religiosi e membri del parlamento iraniano che, da parte loro, lanciarono una campagna di diffamazione contro Mossadeq destinata a infiammare la religiosità radicale.

Secondo i documenti declassificati della CIA, in un primo momento, il 15 agosto, il colpo di stato sembrava essere fallito. "Le forze di sicurezza di Mossadeq fecero decine di arresti e costretto lo Scià, che ha anche partecipato alla cospirazione, a fuggire dal paese", ricorda l'autore.

"L'eredità della sfida"

Tuttavia, le dimostrazioni di massa organizzate con denaro straniero finirono il 19 agosto 1953 con l'arresto di Mossadeq insieme a migliaia di suoi sostenitori, restituendo lo Scià dell'esilio per diventare un dittatore onnipotente e stretto alleato di Washington. Il suo governo violento e corrotto sarebbe durato fino al 1979, quando una nuova rivoluzione lo espulse dal paese per sempre.

Secondo il parere Wight, il colpo di stato orchestrato dalla CIA per rovesciare il governo democratico ha messo in evidenza la sofferenza subita dal Medio Oriente di fronte all'egemonia statunitense e rafforzato il ruolo di Mossadeq nella storia con il suo coraggio nel combattere paesi immensamente più forti per il bene del suo popolo.

"È un orgoglioso retaggio di sfide che sopravvive nel rifiuto del popolo iraniano di sottomettersi ai dettami di Washington fino ad oggi", conclude Wight.

Fonte: RT - Foto AFPNotizia del: 21/08/2018

https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-iran_golpe_del_1953_una_lezione_storica_su_come_us a_e_regno_unito_portano_la_democrazia/82_25141/

LupoSciolto°
21-08-18, 18:06
Mohammad Mossadeq

https://it.wikipedia.org/wiki/Mohammad_Mossadeq

LupoSciolto°
18-10-18, 17:00
Ieri è iniziata la nuova stagione di Atlantide su La7. Il tema era quello di Evita Peròn e del populismo argentino (veramente si chiama justicialismo, ma stendiamo un velo pietoso). Ecco uno stralcio

I descamisados di Peron, i più poveri che hanno creato il mito di Evita (http://www.la7.it/atlantide/video/i-descamisados-di-peron-i-pi%C3%B9-poveri-che-hanno-creato-il-mito-di-evita-18-10-2018-253193)

LupoSciolto°
01-11-18, 17:53
Il socialismo arabo doveva sparire


Il socialismo arabo si è rivelato un modello vincente ovunque è stato applicato. I paesi che lo hanno adottato hanno sempre sperimentato un sviluppo tale da permettere agli stessi di emanciparsi dalle potenze occidentali, e forse proprio per tale ragione sono stati vittime di grandi conflitti. Vediamo di capire cos'è il socialismo arabo e perché da tanto fastidio.

Con il termine socialismo arabo intendiamo la fusione del panarabismo e del nazionalismo arabo, alle idee socialiste. Tale ideologia può a tutti gli effetti essere considerata come una risposta che leader e intellettuali arabi hanno trovato per uscire dalla condizione di povertà e di privata identità in cui il mondo arabo si è trovato con la fine della prima guerra mondiale, dunque con gli accordi di Sykes-Picot e con il collasso dell’impero ottomano.

https://www.ilmediterraneo.org/wp-content/uploads/2018/03/socialismo-arabo.jpg

Due sono i punti centrali di questo nuovo indirizzo. Il primo consiste nell’incremento della presenza dello Stato nell’economia, attraverso le nazionalizzazioni delle grandi compagnie presenti nel territorio nazionale e spesso di proprietà straniera, le quali operando nei redditizi settori che coinvolgono le materie prime, una volta nazionalizzate hanno garantito ingenti profitti allo Stato, ricchezze che sono state redistribuite alla popolazione seguendo l’ideale socialista. Il secondo aspetto consiste nell’ottenimento della maggiore indipendenza possibile dalle potenze occidentali, non soltanto dal punto di vista economico, ma anche da quello militare attraverso l’espulsione delle basi straniere e la rimozione di qualsiasi accordo che leda la sovranità statale, in accordo con i principi del nazionalismo. Il socialismo arabo nella sua concreta applicazione istituzionale si è espresso, nel secondo dopoguerra, diviso in due principali filoni: il Ba’thismo e il Nasserismo. Il primo nacque ufficialmente nel 1940 a Damasco in Siria, ispirandosi al giacobinismo rivoluzionario francese, con il motto: “unità, libertà e socialismo”. Questo si basò sulle teorie di Zaki al-Arsuzi, Michel Aflaq e Salah al-Din al-Bitar ovvero sulla volontà di costruire una rinascita araba simile a quella che in Europa si ebbe con il Rinascimento e con l’Illuminismo. Secondo tale teoria i paesi arabi dovevano trasformare la società dotandola di uno Stato laico (posto che tra i suoi sostenitori vi erano inevitabilmente musulmani e cristiani di lingua araba) ma non ateo, tollerante rispetto ad ogni religione e portatore di politiche economiche socialiste. A differenza del marxismo la proprietà privata doveva essere tollerata, il fine non era l’uguaglianza economica ma il progresso economico e sociale. Oltretutto il movimento Ba’thista identificava come nemico da abbattere qualsiasi forma di fondamentalismo islamico. Trovò espressione politica nel partito Ba’th, scisso in due correnti, quella siriana che ebbe come suo leader il Presidente della Siria Hafez al-Assad dal 1971, tutt’ora presente sotto la guida del figlio Bashar al-Assad, e quella irachena che identificava come suo leader, sin dal 1979, il Presidente dell’Iraq Saddam Hussein. Quest’ultimo costruì un sistema dittatoriale, considerato di destra, basato sul controllo ferreo del territorio attraverso il rafforzamento dell’apparato militare e sulla repressione delle minoranze etniche come gli sciiti e i curdi. Assad invece costruì un modello di Stato dove al partito Bat’h era affidato un ruolo di guida nella società, il presidente della repubblica corrispondeva con il segretario del partito dominante e il suo mandato era confermato con un referendum a suffragio universale, inoltre il presidente doveva promulgare le leggi approvate dal consiglio del popolo. Per tutte queste ragioni il partito di Assad a differenza di quello di Hussein era considerato di sinistra. In ogni caso entrambi adottarono come primi provvedimenti l’abolizione della sharia e l’adozione di un sistema legislativo di tipo occidentale. La seconda declinazione del socialismo arabo è invece identificabile nel “nasserismo”, termine nato dal nome del leader egiziano Gamal Ab del-Nasser, presidente dell’Egitto dal 1956 al 1970. In accordo con i principi sopra descritti, Nasser agì nel tentativo di attuare alleanze tra paesi arabi, infatti dal 1 febbraio del 1958 fino al 1961, per sua iniziativa, furono federate nella RAU (Repubblica Araba Unita) l’Egitto e la Siria. Il presidente egiziano fu anche un alfiere dell’interventismo statale, basti pensare che la nazionalizzazione del Canale di Suez , precedentemente posseduto da compagnie francesi e inglesi, operata nel 26 luglio del 1956, ebbe effetti talmente dirompenti da far esplodere la Crisi di Suez. Furono oltretutto nazionalizzate le grandi imprese operanti in settori strategici e le banche, la proprietà terriera fu frammentata e i grandi patrimoni privati furono espropriati. Con i proventi derivanti da tali politiche Nasser introdusse uno stato sociale comprensivo di assistenza sanitaria e istruzione gratuita, affiancato da riforme che rafforzavano i diritti delle donne, stabilivano un salario minimo e la riduzione dell’orario di lavoro. Nonostante l’Egitto abbia trovato più volte nell’Unione Sovietica un alleato geopolitico, nell’idea di socialismo nasseriana il comunismo venne messo al bando in quanto il materialismo e l’ateismo propri di questa ideologia erano considerati incompatibili con le tradizioni e le basi religiose della società araba. Il nasserismo proprio come il baathismo condannava il sionismo , considerato come un estensione del colonialismo occidentale nei territori arabi. Elemento innovativo del nasserismo fu la “Teoria dei tre cerchi” elaborata nel 1954, nella quale il leader egiziano identificava come missione dell’Egitto la costruzione di una teoria economica e sociale frutto della sintesi tra i “tre cerchi” ovvero arabismo, africanismo e islamismo che garantisse la non prevalenza di nessuno dei tre.

Anche il leader libico Mu’ammar Gheddafi tentò di costruire ed applicare in Libia un modello simile, ma con due elementi di distacco. Il primo era rappresentato dal rifiuto della laicità come principio base dello Stato, in quanto la teoria gheddafiana nasce da una reinterpretazione del corano in senso socialista. La seconda sostanziale differenza, almeno fino agli anni duemila, era che Gheddafi ridusse ai minimi termini l’iniziativa privata nell’economia, ciò era legato al fatto che la tradizione beduina, posta a fondamento delle teorie di Gheddafi, si caratterizzava dalla preferenza per la comunione dei beni. Il socialismo arabo si è rivelato un modello vincente ovunque è stato applicato. I paesi che lo hanno adottato hanno sempre sperimentato un sviluppo tale da permettere agli stessi di emanciparsi dalle potenze occidentali, e forse proprio per tale ragione sono stati vittime di grandi conflitti. È evidente che gli stati arabi impostati su laicismo e socialismo a qualcuno non vanno bene. Quello siriano rimane oggi l’unico governo socialista arabo sopravvissuto alla storia. Fino a qualche anno fa la Siria era un perfetto esempio di integrazione, armonia e sviluppo tra le diverse confessioni religiose e culturali, oggi è invece devastata dal più tragico conflitto del terzo millennio.

https://www.ilmediterraneo.org/11/03/2018/il-socialismo-arabo-doveva-sparire/?fbclid=IwAR2q59mMwpX2uJNTsCFe3LIztTPrFORSPr6x_11O jNuayzJNyP9UObGdlaA

LupoSciolto°
13-03-19, 21:16
Chiaramente questo video non piacerà ai comunisti ma giova ricordare, ai fini della nostra modestissima ricerca storica, che anche nell'Italia del dopoguerra qualcuno propose una "terza via" al di là del capitalismo americano e del bolscevismo. Parlo del Movimento Comunità di Adriano Olivetti, di ispirazione fabiana e social-partecipativa. Certo, il progetto non ottenne successo

http://www.storiaolivetti.it/upload/13_AA_Comunita%20Fabbrica-10feb1958_7007.jpg

Qui i video


https://www.youtube.com/watch?v=aT7xXMRcZUc

Kavalerists
13-03-19, 21:31
Chiaramente questo video non piacerà ai comunisti ma giova ricordare, ai fini della nostra modestissima ricerca storica, che anche nell'Italia del dopoguerra qualcuno propose una "terza via" al di là del capitalismo americano e del bolscevismo. Parlo del Movimento Comunità di Adriano Olivetti, di ispirazione fabiana e social-partecipativa. Certo, il progetto non ottenne successo

http://www.storiaolivetti.it/upload/13_AA_Comunita%20Fabbrica-10feb1958_7007.jpg

Qui i video


https://www.youtube.com/watch?v=aT7xXMRcZUc

Purtroppo quello del post Ww2 non era più tempo di "terze vie", ma di precise scelte di campo, volenti o nolenti.
Eppure è un'idea che andrebbe approfondita...
E per chi volesse farsene un'opinione su una migliore conoscenza...
https://www.ibs.it/search/?ts=as&query=adriano+olivetti&query_seo=adriano+olivetti&qs=true

Spirdu
13-03-19, 22:37
Mi pare una concezione molto vicina al modello giapponese di fabbrica e di "familiarizzazione" della sfera produttiva. Ovviamente non abolisce il capitalismo (come tutti i tentativi di renderlo umano).

Poi la Olivetti sarebbe stata affondata dalla manina "invisibile" del mostro yankee.

LupoSciolto°
14-03-19, 17:01
Mi pare una concezione molto vicina al modello giapponese di fabbrica e di "familiarizzazione" della sfera produttiva. Ovviamente non abolisce il capitalismo (come tutti i tentativi di renderlo umano).

Poi la Olivetti sarebbe stata affondata dalla manina "invisibile" del mostro yankee.

Nì. Olivetti era più vicino alla "mitbestimmung" tedesca e alla socialdemocrazia scandinava, magari condita con un po' di paternalismo nostrano. E' vero quello che scrivi: non può esistere un capitalismo "etico" lasciato e se stesso. A meno che non ci sia uno stato forte e un sistema monopartitico in grado di far rispettare le leggi agli imprenditori e capace di neutralizzare la partitaglia al soldo di USA-Confindustria. Simili esperienze le abbiamo già analizzate: nasserismo, peronismo (eccezione per l'ultima fase), Giamahiria libica e ba'thismo siriano. Ognuna di esse con le sue peculiarità storiche, politiche e territoriali.

Spirdu
15-03-19, 17:43
Nì. Olivetti era più vicino alla "mitbestimmung" tedesca e alla socialdemocrazia scandinava, magari condita con un po' di paternalismo nostrano. E' vero quello che scrivi: non può esistere un capitalismo "etico" lasciato e se stesso. A meno che non ci sia uno stato forte e un sistema monopartitico in grado di far rispettare le leggi agli imprenditori e capace di neutralizzare la partitaglia al soldo di USA-Confindustria. Simili esperienze le abbiamo già analizzate: nasserismo, peronismo (eccezione per l'ultima fase), Giamahiria libica e ba'thismo siriano. Ognuna di esse con le sue peculiarità storiche, politiche e territoriali.

Però mi pare che Germania e Scandinavia abbiano fatto un largo uso del neocorporativismo proprio per cercare di arginare i conflitti (che poi si "risolvono" inevitabilmente a favore del capitale).

LupoSciolto°
15-03-19, 19:44
Però mi pare che Germania e Scandinavia abbiano fatto un largo uso del neocorporativismo proprio per cercare di arginare i conflitti (che poi si "risolvono" inevitabilmente a favore del capitale).

A volte sì, a volte no. A breve posterò un articolo sul tema.

LupoSciolto°
15-04-21, 06:09
Ci siamo lasciati sfuggire questa notizia...

Nicaragua: muore il Comandante Zero, mito della Rivoluzione sandinista


Edén Pastora si è spento a 83 anni, forse per il Coronavirus. Dopo aver condotto i guerriglieri alla vittoria contro la dittatura di Anastasio Somoza, ruppe con Daniel Ortega passando a guidare la rivolta dal Costa Rica


https://www.repubblica.it/esteri/2020/06/17/news/nicaragua_muore_pastora_gome_z_guerrigliero_ideali sta-259483124/

Kavalerists
15-04-21, 06:27
E il premio "Articolo di merda" per il mese di aprile 2021 va a Repubblica.

LupoSciolto°
15-04-21, 06:30
E il premio "Articolo di merda" per il mese di aprile 2021 va a Repubblica.

Vabbè , ma cosa vuoi aspettarti da quel fogliaccio? :D

Kavalerists
24-04-21, 10:06
In tema di bolivarismo:

Pedro Castillo Terrones, un Chávez in Perù?

https://cdn.lantidiplomatico.it/resizer/resiz/public/Peru_Elections_00116.jpg/720x410c50.jpg

di Jose Amesty* - Kaosenlared

In molti dei popoli latinoamericani, abbiamo sentito il clamore per l'emergere di un "Chávez" nella loro nazione. Questo è il sogno di molti cittadini che vogliono un governante che si prenda cura dei loro bisogni e problemi.
L’accesso al ballottaggio del maestro Pedro Castillo Terrones, con possibilità di vittoria, eccita sia peruviani che latinoamericani, che vedranno finalmente riaffiorare il Perù bolivariano, un popolo a lungo insoddisfatto della politica e dello status quo economico del paese, dall’instabilità istituzionale. Un paese dove la politica ha raggiunto preoccupanti abissi di discredito.

Castillo Terrones, descritto da alcuni, come un politico con un discorso radicale, statalista, ma moralmente conservatore. Pedro Castillo, della regione settentrionale di Cajamarca, dove è nato ed è un insegnante rurale, con il classico sombrero bianco a tesa larga di quella regione andina.

Certo, prima dovremo aspettare il secondo turno delle elezioni presidenziali e che vinca, il suo primo compito è sconfiggere Keiko Fujimori, e secondo, sperare che Castillo non ci deluda.

Cominciamo dalla vittoria, perché sebbene Castillo e Peru Libre, il suo partito, siano stati i più votati, non hanno alle spalle un vero movimento politico. La sua vittoria non è stata il risultato di anni di organizzazione, come nel caso di altri movimenti di sinistra in America Latina; la maggior parte degli elettori che hanno scelto Castillo lo ha fatto nelle ultime due settimane. La maggior parte degli elettori di Peru Libre non si identifica completamente con il partito e il loro sostegno potrebbe dissiparsi.

Oltre ad arrivare al primo posto nella corsa presidenziale, Perù Libre ha anche sbancato i sondaggi del Congresso, ottenendo 37 dei 130 seggi nella legislatura, secondo le proiezioni al momento in cui questo articolo viene scritto. Molti di questi nuovi membri del Congresso saranno peruviani normali senza esperienza politica e che probabilmente non si sarebbero mai aspettati di vincere.

Proviamo a confrontare, vedere somiglianze e differenze, e lasciare le impostazioni alla discrezione dei lettori, tra il processo di Chávez e il processo di Castillo, sebbene i confronti siano odiosi.

continua...

https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-pedro_castillo_terrones_un_chvez_in_per/39602_40902/