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LupoSciolto°
12-03-16, 18:59
Thread dedicata al confronto con le forze nazionali, nazionalitarie e sovraniste.

Indipendenza, Comunismo E Comunità, Patria Socialista, Socialismo Patriottico, Fronte Sovranista Italiano ma anche l'ex "Sinistra Nazionale".

E' inoltre prevista la possibilità di dibattito storico su personaggi non marxisti (Strasser, Niekisch, Stanis Ruinas, Thiriart), purché non venga effettuata apologia di fascismo.

Kavalerists
12-03-16, 20:17
Patria Socialista quale? perchè ce ne sono molti di gruppi/blog con nomi simili o uguali.

LupoSciolto°
12-03-16, 20:32
Patria Socialista quale? perchè ce ne sono molti di gruppi/blog con nomi simili o uguali.

Quelli di Roma. Comunisti ma di ispirazione "fiumana" e "ardita".

Patria Socialista (http://www.patriasocialista.it/)

LupoSciolto°
12-03-16, 20:39
L’attualità del “Pensiero Nazionale” di Stanis Ruinas al tempo del turbocapitalismo
Fa scalpore, nell’Italia normalizzata da Monti e poteri finanziari, scoprire che esistono ancora i comunisti. Quelli veri: brutti, cattivi e violenti. Non i democratici bersaniani, pronti all’inciucio con il professore bocconiano; e neanche gli scoloriti vendoliani. I comunisti che, fedeli alla propria tradizione, hanno messo in pratica la filosofia del partito armato. E pazienza se adesso hanno i capelli bianchi e stonano cantando l’Internazionale ai funerali di Prospero Gallinari. L’odierno stupore dei moderati fa il paio con le indignate lamentele di poco più di un mese fa, quando i giornali scoprirono con orrore che al funerale di Pino Rauti era pieno di fascisti non propriopolitically correct.
Fascisti e brigatisti, Rauti e Gallinari. Difficile immaginare due realtà così diverse fra loro, quasi antitetiche. Eppure ci fu un tempo, molto più tragico e violento di oggi, in cui i due mondi si parlavano, cercavano intese e punti di contatto. Erano gli anni della guerra civile, periodi di scontri fratricidi e reciproche violenze che non si sono mai più cicatrizzate. Mentre da Radio Londra si ascoltavano voci italiane che incitavano il popolo ad abbandonare il fascismo morente, a disertare, a unirsi alle file dei partigiani; dall’altra parte c’era chi lanciava un appello al proletariato e alla classe operaia, invitandoli a stringersi intorno alla bandiera della Rsi, in funzione antinglese e anticapitalista. «Il nemico comune è il capitalismo; e il capitalismo è la peggiore dittatura. Churchill e Roosevelt non sono dittatori nel significato corrente della parola; ma il sistema che essi rappresentano, il capitalismo, anzi il supercapitalismo, è la più opprimente e mostruosa delle dittature».
Sono parole di Stanis Ruinas, di cui oggi ricorre il ventinovesimo anniversario della scomparsa, avvenuta a Roma, nell’indifferenza generale, il 21 gennaio del 1984. Il giornalista e intellettuale sardo (vero nome Giovanni Antonio De Rosas) nel Dopoguerra animerà uno dei più originali ed anomali percorsi politici compiuti da un gruppo, non piccolo, di giovani usciti dall’esperienza della Rsi. «Fascisti-comunisti» venivano chiamati, oppure «comun-fascisti», «camicie nere di Togliatti» e «fascisti rossi». Oggi, per usare il felice neologismo che ha dato il titolo al romanzo di Antonio Pennacchi, diremmo fasciocomunisti.
Un manipolo di intellettuali, giornalisti e militanti che si riunì intorno al quindicinale Pensiero Nazionale, che arrivò a fiancheggiare il Pci e a caldeggiare l’ingresso di molti ex fascisti nelle file comuniste, trovando l’appoggio (e anche finanziamenti) di alcuni illustri dirigenti del partito di Togliatti, come Pajetta, Longo e il futuro segretario Enrico Berlinguer. A metà degli Anni Cinquanta, esaurita l’esperienza filo-comunista, la redazione di Pensiero Nazionale si avvicinò alle idee diEnrico Mattei in tema di politica economica, energetica ed estera e sul piano culturale si aprì verso tutto ciò che costituiva un fenomeno di rottura con il conformismo dell’Italia democristiana, come pure della più ottusa ortodossia comunista.
Ma facciamo un passo indietro, per comprendere meglio la parabola di Stanis Ruinas. Nato a Usini, in provincia di Sassari, nel 1899, Giovanni Antonio De Rosas cresce con ideali mazziniani ed è quindi repubblicano, antiborghese e anticapitalista. Comincia a collaborare a giornali e varie testate con lo pseudonimo di Stanis Ruinas, sposando fin da subito le idee del fascismo “sansepolcrista”, cioè socialista, antimonarchico, contrario all’ingerenza del Vaticano. Nell’arco del Ventennio collabora a L’Impero, Il Popolo d’Italia, Il Resto del Carlino e dirige il Popolo Apuano e ilCorriere Emiliano. Nel periodo del massimo consenso mussoliniano le sue idee intransigenti lo fanno un po’ cadere in disgrazia agli occhi del regime: Ruinas viene sospeso e poi radiato dal Pnf «per indisciplina e scarsa fede» e sottoposto a vigilanza speciale, fino alla riconciliazione avvenuta alla vigilia della Seconda guerra mondiale grazie al libro Viaggio per le città di Mussolini del 1939.
Nella guerra contro le forze «plutocratiche» e «trustistiche» inglesi e statunitensi, e ancor più con la nascita della Repubblica sociale italiana, Stanis Ruinas vede finalmente incarnarsi il fascismo delle origini e la possibilità di realizzare quella rivoluzione per la quale si è sempre battuto. La socializzazione e la ricerca di un accordo con gli antifascisti per impedire la guerra civile diventano i cardini attorno ai quali ruota la sua azione giornalistica e politica. Ma l’evolversi della situazione, con la Rsi nelle mani dei tedeschi e comunque condizionata da mille equilibrismi, frustrerà le sue aspettative; anche se Ruinas respingerà sempre l’accusa secondo cui il fascismo repubblicano sarebbe stato l’espressione estrema della reazione capitalista. Anzi, nel Dopoguerra ribalterà l’accusa sui comunisti italiani, colpevoli di collusione con la borghesia per aver scelto di partecipare al governo Bonomi e di aver accettato l’alleanza con l’Inghilterra e gli Usa. «A costo di passare per un ingenuo – scriverà – confesso di non comprendere come uomini che si autoproclamano rivoluzionari, socialisti, comunisti, anarchici, e che per i loro ideali hanno sofferto la galera e l’esilio, possano plaudire all’Inghilterra plutocratica e all’America trustistica, che in nome della democrazia e della libertà democratica devastano l’Europa».
Nel maggio del ’45 Ruinas viene arrestato per un mese e processato, ma poi assolto. Finirà di nuovo in carcere cinque anni dopo e ci resterà per 40 giorni, prima di essere prosciolto per mancanza di prove. L’accusa? «Istigazione alla rivolta armata contro i poteri costituiti». In alcuni articoli, infatti, aveva invitato il Pci a rifarsi con la forza per l’estromissione dal governo De Gasperi e, davvero incredibile, a prendere le armi assieme agli ex militanti di Salò.
La rivista Pensiero Nazionale viene fondata nel ’47 e anche se avrà sempre una diffusione limitata (non più di 15 mila copie) riesce comunque ad essere presente in tutti i capoluoghi di provincia e ad animare il dibattito politico. All’inizio degli Anni Cinquanta i gruppi che fanno capo al quindicinale si costituiscono in movimento politico, raccogliendo circa 20 mila iscritti; ma l’iniziativa non dà risultati significativi, anche perché il Pci ostacola la nascita di un partito indipendente della Sinistra Nazionale, che pure avrebbe dovuto essere alleato e contiguo. In seguito, come detto, Ruinas e i suoi collaboratori (tra cui figurano il linguista Tullio De Mauro, l’ ex diva degli Anni Quaranta Elsa De Giorgi, i pittori Giulio Turcato e Tonino Caputo, lo scrittore e critico cinematografico Alessandro Damiani, giovani reduci della Decima Mas, come Lando Dell’Amico,Giampaolo Testa ed Alvise Gigante) si avvicinano alle posizioni di Mattei e negli Anni Sessanta assumono posizioni filo-arabe, terzomondiste e favorevoli ad una più stretta collaborazione con i Paesi dell’altra sponda del Mediterraneo.
Con l’Msi, che raccoglie gran parte degli “ex camerati” di Stanis Ruinas, il giornalista sardo avrà sempre un rapporto conflittuale. Il direttore di Pensiero Nazionale considera chiuso il capitolo del Ventennio, respinge le posizioni nostalgiche e “bolla” il partito neofascista come un movimento conservatore e atlantista, usato dalla Dc per irregimentare la gioventù in funzione anticomunista. Nella sua polemica contro i dirigenti missini (in particolare Michelini e poi Almirante), Ruinas risparmia però i militanti più giovani e in buona fede, tra i quali non mancano fra l’altro coloro che in larga parte condividono le idee di Pensiero Nazionale e dei “fascisti rossi”. Si pensi a Giorgio Pini, Roberto Mieville, Beppe Niccolai, Giano Accame… E in seguito all’ala rautiana e ad esperienze editoriali come La voce della fogna e Linea.
Il quindicinale di Ruinas continua a uscire fino al 1977, quando ormai ridotto ai minimi termini cessa le pubblicazioni. Il suo vulcanico direttore muore sette anni più tardi, il 21 gennaio del 1984. Negli ultimi tempi la sua originale parabola politica, e quella dei “fasciocomunisti”, è stata riscoperta grazie importanti libri storici come Fascisti rossi di Paolo Buchignani (Mondadori) e La sinistra fascista di Giuseppe Parlato (Il Mulino). Attualmente esiste un piccolo movimento che definisce Sinistra Nazionale e si rifà in parte alle idee di Stanis Ruinas anche il quotidiano Rinascita, diretto da Ugo Gaudenzi.
Di Giorgio Ballario

L?attualità del ?Pensiero Nazionale? di Stanis Ruinas al tempo del turbocapitalismo | Barbadillo (http://www.barbadillo.it/1917-lattualita-del-pensiero-nazionale-di-stanis-ruinas-al-tempo-del-turbocapitalismo-2/)

Lèon Kochnitzky
12-03-16, 22:44
Ottima cosa.
Rilancio la mia proposta "romantica" che accenai tempo fa, di trasformare (col tempo e la volontà) questo spazio in un laboratorio che rilanci una nuova proposta anticapitalista, sociale, sovranista e repubblicana. Le menti ci sono, le persone anche. Visto che l'area cui fate riferimento sembra ormai assente o spezzettata, perche' non immaginare la nascita di nuovi punti di riferimento, se non politici, almeno culturali?

E' il caso di aprire una nuova discussione?

Gianky
13-03-16, 11:14
Quelli di Roma. Comunisti ma di ispirazione "fiumana" e "ardita".

Patria Socialista (http://www.patriasocialista.it/)

Pensavo non esistessero più, meglio così

LupoSciolto°
14-03-16, 16:38
Ottima cosa.
Rilancio la mia proposta "romantica" che accenai tempo fa, di trasformare (col tempo e la volontà) questo spazio in un laboratorio che rilanci una nuova proposta anticapitalista, sociale, sovranista e repubblicana. Le menti ci sono, le persone anche. Visto che l'area cui fate riferimento sembra ormai assente o spezzettata, perche' non immaginare la nascita di nuovi punti di riferimento, se non politici, almeno culturali?

E' il caso di aprire una nuova discussione?

Se lo ritieni necessario fallo pure. Saremo tutti lieti di partecipare:encouragement:

LupoSciolto°
14-03-16, 16:40
DUE DIVERSE INTERPRETAZIONI DEL PENSIERO E DELL'OPERATO DI JEAN THRIART




Il pensiero di J. Thiriart*****


Rene Pellissier
Thiriart il Lenin della rivoluzione europea
Co-fondatore del Comité d'Action et de Défense des Belges d'Afrique (CADBA), costituito nel Luglio 1960 immediatamente dopo le violenze di Léopoldville e di Thysville, di cui furono vittime i Belgi del Congo, e co-fondatore del Mouvement d'Action Civique che successe al CADBA, il belga Jean Thiriart nel Dicembre 1960 lanciò l'organizzazione Jeune Europe che per diversi mesi sarà il principale sostegno logistico e base di retrovia dell'OAS-Metro. Fino a qui, sembrerebbe, niente di più che l'itinerario, tutto sommato classico, di un uomo della destra più estrema. Tuttavia, i partigiani europei devono molto a Thiriart - e quello che gli devono non permette certo di classificarlo di "estrema destra"! Gli devono la denuncia della "impostura chiamata Occidente" (è il titolo di un editoriale di Jean Thiriart nel mensile La Nation Européen, no.3, 15 Marzo/15 Aprile 1966) (1) e la denuncia dei sinistri pagliacci che sono i suoi difensori, da Henri Massis a Ronald Reagan; la designazione degli Stati Uniti come nemico principale dell'Europa (Thiriart vi aggiunse, dal 1966, il Sionismo - la rivista Conscience Européenne che si rifaceva a Thiriart, titolava il suo numero 7 dell'Aprile 1984: "Imperialismo americano, sionismo: un solo nemico per la Nazione Europea"). Gli devono l'idea di un'Europa indipendente ed unita, da Dublino a Bucarest, poi da Dublino a Vladivostok (2) e l'idea di un'alleanza con i nazionalisti arabi e i rivoluzionari del Terzo Mondo. Gli devono infine l'abbozzo, con l'organizzazione Jeaune Europe, di un Partito Rivoluzionario europeo, che s'inspira ai principi leninisti, e la versione modernizzata di un socialismo che vuole essere nazionale (Nazione europea), comunitario e "prussiano". I trascorsi di Thiriart e le influenze ideologiche che ha subito, non fanno di lui, a priori, un uomo d'estrema destra. Nato a Liegi in una famiglia liberale che aveva forti simpatie per la sinistra, Thiriart milita dapprima nella Jeaune Garde socialista e nell'Unione Socialista antifascista. Poi, durante la guerra, collabora al Fichte Bund, organizzazione d'ispirazione nazionalbolscevica, diretta ad Amburgo dal dottor Kessemaier. Nello stesso tempo è membro dell'AGRA (Amici del Grande Reich Tedesco) che raggruppava, in Belgio, gli elementi d'estrema sinistra favorevoli alla collaborazione europea, e all'annessione al Reich. Negli anni '40, il corpus dottrinale thiriartiano è già in opera. Da quest'epoca, lo si può qualificare come rivoluzionario ed europeo. Solo particolari circostanze politiche (indipendenza del Congo, secessione katanghese, questione algerina, problema rhodesiano, etc...) portano, negli anni dal 1960 al 1965, Thiriart a sposare, provvisoriamente, le tesi dell'estrema destra. Si impegna in effetti nella lotta per il Congo belga (poi il Katanga di Moise Chombé), per l'Algeria francese e la Rhodesia, perché gli sembra che all'Europa, economicamente e strategicamente, sia necessario il controllo dell'Africa: Thiriart è un fermo sostenitore dell'Eurafrica. Inoltre, Thiriart porta il sostegno di Jeune Europe all'OAS, perché una Francia-OAS gli pare l'ideale trampolino per l'auspicata Rivoluzione europea. Ma dal 1964/65, Thiriart si separa dall'estrema destra, della quale respinge in blocco il piccolo-nazionalismo, l'anticomunismo intransigente, la sottomissione agli interessi capitalisti, l'atlantismo, il pro-sionismo e, particolarmente tra i Francesi, il razzismo antiarabo e lo spirito di crociata contro l'Islam. Essendo fallita l'esperienza dell'OAS (divisa, pusillanime, senza ideologia rivoluzionaria o coerente progetto politico), Thiriart rivolge le sue speranze prima sul gollismo (1966), tenta poi d'ottenere l'appoggio cinese (tramite Ceausescu incontra Chu-en-Lai a Bucarest) ed infine l'appoggio arabo. Il suo impegno rivoluzionario e il suo pragmatismo lo portano, dopo aver combattuto per il Congo belga e l'Algeria francese, ad auspicare l'alleanza Europa-Terzo Mondo (3). Thiriart non si è tuttavia rinnegato, il suo progetto rimane lo stesso: l'indipendenza e l'unità dell'Europa. La sua lucidità gli permette di distinguere nelle guerre coloniali come nelle lotte politiche che vi sono succedute, lo stesso nemico dell'Europa: gli Stati Uniti che un tempo armavano e appoggiavano le rivolte contro le colonie europee per sostituirsi ai colonizzatori europei e che, oggi, sostengono massicciamente il sionismo la cui agitazione bellicista ed "antirazzista" in Europa (razzista in Israele, il sionismo è antirazzista nel resto del mondo) minaccia la sopravvivenza stessa dell'Europa. Nel 1969, deluso dal relativo fallimento di Jeaune Europe e dalla timidezza degli appoggi esterni, Jean Thiriart rinuncia provvisoriamente alla lotta. Ma negli anni '70-'80, la sua influenza, il più delle volte indiretta, si fa sentire sull'ala radicale (neo-fascista) dei movimenti d'estrema destra, dove l'ideale europeo fa la sua strada; sui gruppo nazionalrivoluzionari e socialisti europei che s'ispirano allo stesso tempo a Evola, Thiriart ed al maoismo (4) (si tratta in particolare dell'Organizzazione Lotta di Popolo in Italia, Francia e Spagna, e, in larga misura, dei suoi corrispondenti tedeschi dell'Aktion Neue Rechte, poi di Sache des Volkes, cfr. Orion no.62); ed infine, sulla Nouvelle Droite (a partire dalla svolta ideologica operata dagli anni '70-'80 dalla giovane generazione del GRECE, attorno a Guillaume Faye). Nel 1981 Thiriart rompe il silenzio che osservava dal 1969 e annuncia la pubblicazione di un libro: L'Impero eurosovietico da Vladivostok a Dublino. Ormai preconizza l'unificazione dell'Europa da parte dell'Armata Rossa e sotto la guida di un Partito Comunista (euro-)sovietico preventivamente sbarazzato dallo sciovinismo pan-russo e dal dogmatismo marxista (5). Oggi Thiriart si definisce un nazionalbolscevico europeo. Ma non ha fatto che precisare ed aggiustare alla situazione politica attuale i temi che difendeva negli anni '60. Nello stesso tempo, sotto l'impulso di Luc Michel, hanno visto la luce un Parti Communautaire National-Européen, e una rivista, Conscience Européenne, che riprendono l'essenziale delle idee di Thiriart. Se si vuole, Thiriart è stato il Lenin della Rivoluzione Europa, ma un Lenin che aspetta sempre il suo Ottobre 1917. Con l'organizzazione Jeune Europe, ha tentato di creare un Partito rivoluzionario europeo e di suscitare un movimento di liberazione su scala continentale nell'epoca in cui l'ordine di Yalta era contestato tanto ad Ovest da De Gaulle, che all'Est da Ceausescu e dai diversi nazionalcomunismi. Ma questo tentativo non è potuto riuscire per mancanza di seri aiuti esterni e di un terreno favorevole all'interno (ossia una crisi politica ed economica che avrebbe potuto rendere le masse disponibili per un'azione rivoluzionaria a vasto raggio). Non è certo che questo appoggio e questo terreno manchino ancora per molto! E' importante seguire, ininterrottamente, la via tracciata da Jean Thiriart. Cioè diffondere i concetti thiriartiani e formare, sul modello di Jeune Europe, i quadri dell'Europa rivoluzionaria di domani.
Note
1) Il tema antioccidentale sarà ripreso, circa 15 anni più tardi, dalla Nuovelle Droite, nella rivista Eléments (no.34, "Pour en finir avec la civilisation occidentale", Aprile/Maggio 1980). 2) L'idea della Grande Europa, da Dublino a Vladivostok, apparve timidamente negli scritti di Jean Thiriart all'inizio degli anni '60. Il neo-destrista Pierre Vial, difende chiaramente quest'idea nell'articolo intitolato "Objectif Sakhaline", in Eléments no.39, estate 1981. 3) L'alleanza Europa-Terzo Mondo è oggetto di un libro di Alain de Benoist, Oltre l'Occidente. Europa-Terzo Mondo: la nuova alleanza, La Roccia di Erec. 4) Per molti militanti nazionalrivoluzionari, la Libia del Colonnello Gheddafi, così come la Rivoluzione Islamica, hanno rimpiazzato, oggi, la Cina popolare come modello. 5) Negli anni '60, Thiriart teorizzava la formazione di Brigate Europee che, dopo essersi addestrate in teatri d'operazione esterni (Vicino Oriente, America Latina), ritornerebbero a portare sul suolo europeo, quando si verificassero circostanze politiche, una guerra di liberazione. La direzione politica di quest'operazione sarebbe spettata al Partito Rivoluzionario Europeo, prefigurato da Jeune Europe. Negli anni '80, nello spirito di Thiriart, l'Armata Rossa e il PCUS, hanno rimpiazzato le Brigate Europee e Jeune Europe.
fonte: Le Partisan Européen, 9 Gennaio 1937; tratto dal volume La Grande Nazione, SEB, Milano 1993; visto su La Nazione Eurasia FONTE: http://xoomer.virgilio.it/controvoce/doc-pellissier-thir.htm

LupoSciolto°
14-03-16, 16:41
LE RADICI DEL COMUNITARISMO DI THIRIART

Al di là della disinvoltura con cui Thiriart condusse la propria azione (del resto era un grande estimatore di Machiavelli), bisogna tener presente che l’ elaborazione politica da lui compiuta trovava le sue radici nelle idee sviluppate durante la Seconda guerra mondiale da alcune figure del collaborazionismo francofono. Emblematico il caso dello scrittore Drieu La Rochelle (1893 – 1945), che già nel 1942 aveva parlato di un Impero Europeo in via di riunificazione sotto il vessillo croceuncinato:“Trecento milioni di uomini cantano in un solo campo. Un solo stendardo rosso sta sulla cima delle Alpi”Era stato lo stesso Drieu ad enunciare per primo l’ idea eurasista di un grande blocco estendentesi da Lisbona a Vladivostok. Quando il conflitto si andava avviando verso una concluzione catastrofica per gli eserciti dell’ Asse, l’ intellettuale francese vide nell’ Armata Rossa l’ unico strumento storico in grado di sostituirli nella costruzione dell’ unità continentale. Fra le sue ultime, allucinate righe (marzo 1944), si poteva leggere:“Saluto con gioia l’ avvento della Russia e del comunismo. Sarà atroce, atrocemente devastante per la nostra generazione che perirà tutta di morte lenta o improvvisa, ma è meglio questo che il ritorno del vecchiume, del ciarpame anglosassone, della ripresa borghese, della democrazia rabberciata”E già qualche mese prima (settembre 1943) aveva avuto modo di chiarire:“Del resto, il mio odio per la democrazia mi fa desiderare il trionfo del comunismo. In mancanza del fascismo solo il comunismo può mettere veramente l’ Uomo con le spalle al muro costringendolo ad ammettere di nuovo, come non avveniva più dal medioevo, che ha dei Padroni. Stalin più che Hitler è l’ espressione della legge suprema”.Dopo la sconfitta del fascismo e del nazismo, l’ autocrazia sovietica veniva individuata come unica alternativa alla democrazia e all’ individualismo prodotti della décadence , perché i Russi avevano una “forma” ed il marxismo non era altro che “una febbre di crescenza in un corpo sano”:“Scompariranno così tutte le assurdità del Rinascimento, della Riforma, della Rivoluzione americana e francese. Si torna all’ Asia: ne abbiamo bisogno” (aprile 1943)Il mito dell’ Europa imperiale, il complementare “orrore” per la democrazia, la positiva valutazione della Russia sovietica per lottare contro le potenze atlantiche nascono quindi come patrimonio teorico di ambienti ben individuabili e catalogabili. Thiriart non farà che riprendere queste idee aggiornandole ed adattandole all’ epoca del secondo dopoguerra.http://www.comunismoecomunita.org/wp-content/uploads/2014/09/Euro-Soviet-Empire-300x296.jpg (http://www.comunismoecomunita.org/wp-content/uploads/2014/09/Euro-Soviet-Empire.jpg)

3. ECONOMIA E SOCIETA’ NEL COMUNITARISMO DI THIRIART

E’ in un simile quadro, allora, che dovranno essere collocati anche gli spunti economici e sociali del Comunitarismo di matrice thiriartiana. Fu in seguito all’ eliminazione dell’ “estrema destra razzista” esasperatamente anticomunista dalla Jeune Europe, avvenuta tra il 1964 ed il 1965, che all’ interno del gruppo divennero dominanti due orientamenti: da una parte un radicale anti-americanismo, dall’ altro il Comunitarismo inteso come teoria economico-sociale che “superava” il marxismo (L’ analyse négative de Marx est correcte.Son plan positif est enfantin, normatif, vertuiste).Per la verità già nel Manifesto fondativo della Jeune Europe veniva abbozzato un discorso di “alternativa” al Sistema, proclamando la “superiorità del lavoratore sul capitalista e dell’ uomo sul formicaio”, auspicando una “comunità dinamica” che vedesse “la partecipazione nel lavoro di tutti gli uomini che la compongono”. Alla democrazia parlamentare veniva contrapposta una rappresentanza organica riunita in un “Senato della Nazione Europea formato dalle più alte personalità nel campo della scienza, del lavoro, delle arti, delle lettere” ed in una “Camera sindacale che rappresenti gli interessi di tutti i produttori dell’ Europa liberata dalla tirannia finanziaria e politica straniera”.Si trattava, in sostanza, di un trasferimento sul piano continentale del corporativismo di matrice fascista. Nel 1965, Thiriart definiva il Comunitarismo come un “socialismo nazional-europeo” e profetizzava che “in mezzo secolo il comunismo giungerà, malgrado o di buon grado, al comunitarismo”. Una ventina d’ anni più tardi, egli precisava che il comunitarismo era un “comunismo europeo de-marxistizzato”. Di qui derivò il suo sempre maggiore interesse ed avvicinamento a quei regimi che evolvevano nel senso del “nazional-comunismo”, ossia la Jugoslavia di Tito e la Romania di Nicolae Ceausescu.Ma è necessario guardare oltre la cortina fumogena di termini usati spesso ambiguamente.Per capirci qualcosa, si rivela significativa la lettura di un documento steso da Thiriart negli anni Ottanta, intitolato Approche du Communitarisme.Esso delinea un contraddittorio modello in cui convivono elementi di ascendenza socialista, con altri liberisti:“Il faut donc responsabiliser les entreprises collectives. Actuellement toutes les pagailles son couvert par l’ anonymat de ‘majorités non responsables’ et payéès par l’ Etat. Le Communauitarisme tendra à encourager les sociétés coopératives, mais simultanément il les considérera comme des entités responsables d’ elles-memes (autogestion)”In che modo potranno stare assieme libera concorrenza e “forme cooperative” nel Comunitarismo? Non viene specificato, ma resta fermo per Thiriart che la ricerca del profitto rimarrà l’ elemento essenziale in quanto“pour le commun des mortels la motivation la plus efficace demeure l’ intéret. On peut le deplorer sur le plan éthique, mas c’ est une réalitè”Egli vede un fattore positivo nell’ economia di mercato, perché la libera impresa e la concorrenza generano “selezione”. La gerarchia sociale sussisterà, basandosi “essenzialmente sul lavoro”. Anzi, già negli anni Sessanta, nell’ opuscolo La grande nazione. 65 Tesi sull’ Europa, Thiriart aveva chiarito che il suo Comunitarismo in concreto era “un massimo di proprietà privata nei limiti seguenti: non sfruttamento del lavoro altrui, non ingerenza nella politica per ipertrofia di potenza economica; non collaborazione con interessi estranei all’ Europa”. Solo la grande proprietà privata delle industrie strategiche, che può mettere in pericolo la sovranità politica, va eliminata. Per questo i settori dell’ energia, degli armamenti, delle comunicazioni) dovranno essere nazionalizzati e strettamente controllati dallo Stato:“Par exemple, une centrale hydro-életrique exige (…) la nationalisation. Par contre, la production et la répartition des produits agricoles et avicoles exige l’ économie libre (…) Le marxisme dogmatique veut tout nationaliser, le libéralisme veut tout laisser faire, Le Communautarisme veut conserver le control politique absolou tout en laissant subsister le maximum de liberté économique possibile”Queste teorie trovano un loro inquadramento logico se si considera che l’ interesse di Thiriart è interamente rivolto alla creazione di una economia di potenza (économie de puissance ) nella quale la “libera impresa” è un elemento molto positivo (est un facteur trés positif ), mentre semmai dovranno esser castrate politicamente le oligarchie del denaro (les oligarchies d’ argent), poiché il capitalismo ha interessi contrastanti con quelli della Nazione. Come si vede, anche in questo caso riemergono elementi tipici di certe correnti fasciste e nazionalsocialiste degli anni Trenta – Quaranta del Novecento. Alla stessa temperie culturale richiamano alcune considerazioni circa la natura dell’ Uomo Europeo che ricercherebbe lo sviluppo dell’ Essere, contrapposto all’ Uomo Americano interessato unicamente all’ incremento dell’ Avere… E se nell’ antichità i Persiani e i Cartaginesi, esempio di coloro che sono protesi solo verso quest’ ultima dimensione, furono distrutti, così nella nostra epoca- suggerisce Thiriart- gli americani saranno destinati a confrontarsi con la Nazione Europea. Si arriva per questa strada ad un altro aspetto essenziale del Comunitarismo thiriartiano: esso ipotizza un modello autarchico sempre su scala continentale in vista dello scontro finale con gli Stati Uniti:“Le Nationalisme économique consiste nottament à veiller à ce que l’ Europe soit totalement autonome en matière d’ armament et totalement autonome dans le domaine du ravitaillement en matiéres premières”Gli Stati Uniti hanno potuto approfittare del fatto che “i capitalisti europei sono meno dinamici, meno giovani dei loro cugini americani”. La Nazione Europea ed il Comunitarismo, così come concepiti da Thiriart, dovrebbero essere i due fattori in grado di colmare lo svantaggio della disparità di forze.

4. IL COMUNITARISMO ITALIANO E THIRIART

Chi in Italia, tra la fine degli anni Novanta e gli inizi del nuovo secolo, ha tentato di dare forma politica al Comunitarismo, ha dovuto fare i conti con la pesante eredità dell’ esperienza thiriartiana. Da essa, dopo una fase di studio e approfondimento (ottobre 1999 – ottobre 2000), sono state prese le distanze. E’ apparsa, infatti, sempre più evidente dall’ analisi degli scritti dell’ uomo politico belga e dalle scelte dei suoi epigoni, la strumentalizzazione del termine “comunitarismo” per giustificare una visione che ha al suo centro l’ evocazione della guerra tra opposti imperialismi (americano ed europeo) per il dominio del mondo, senza peraltro proporre alcun modello economico – sociale realmente alternativo a quello capitalistico. A ciò va aggiunta- come dato negativo- la riproposizione, a livello organizzativo, di una struttura di tipo leninista, di cui peraltro vengono enfatizzati gli aspetti gerarchici e leaderistici. Ma, al termine di questo saggio, si può avanzare una spiegazione della vicenda di Thiriart, dei suoi precursori e dei suoi seguaci anche di tipo psico-sociologico, sintetizzabile nella definizione “incontro degli estremi”. Si nota infatti una prossimità caratteriale tra “fascisti” e “stalinisti”. Essi sono entrambi “autoritari” e “attivi”. Il modo di concepire l’ atto politico è lo stesso, va oltre le divergenze ideologiche. Il temperamento “autoritario/attivo” sfocia nel totalitarismo. D’ altra parte, vi è convergenza di temperamento tra liberali e gauchistes, data dalla prossimità di queste correnti nella fede verso la democrazia ed il cosmopolitismo (sia che si presenti sotto forma di liberoscambismo, sia che si presenti sotto forma di internazionalismo). I passaggi tra queste due correnti sono frequenti allo stesso modo, se non di più. La maggior parte dei leaders gauchistes della fine degli anni sessanta del Novecento sono oggi buoni borghesi integrati nel sistema.

BIBLIOGRAFIA Moreno Marchi, I duri di Parigi. L’ ideologia, le riviste, i libri, Settimo Sigillo, 1997Luc Michel, Da Jeune Europe alle Brigate Rosse, Società Editrice Barbarossa, 1992Claudio Mutti, Drieu un solo stendardo rosso…, in Rinascita, 1 febbraio 2004Jean Thiriart, La grande nazione. 65 Tesi sull’ Europa, Società Editrice Barbarossa, 1993Jean Thiriart, Europa. Un impero di 400 milioni di uomini, Volpe, 2003Jean Thiriart – Luc Michel, Le socialisme communautaire, PCN

FONTE: IL COMUNITARISMO DI JEAN THIRIART - Comunismo e Comunità (http://www.comunismoecomunita.org/?p=4682)

LupoSciolto°
15-03-16, 15:59
UNA LUNGA INTERVISTA A LUC MICHEL, LEADER DEL PARTITO COMUNITARISTA NAZIONAL-EUROPEO. UN RINGRAZIAMENTO A SOCIALISMO PATRIOTTICO PER I SOTTOTITOLI.



https://www.youtube.com/watch?v=TUbPFPl4UiU

LupoSciolto°
15-03-16, 17:13
Partito dei Lavoratori (Turchia)

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.


Il Partito dei Lavoratori turco (in Turco (https://it.wikipedia.org/wiki/Lingua_turca): İşçi Partisi) è un partito politico (https://it.wikipedia.org/wiki/Partito_politico) in Turchia (https://it.wikipedia.org/wiki/Turchia), guidato da Doğu Perinçek (https://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Do%C4%9Fu_Perin%C3%A7ek&action=edit&redlink=1). L' İP è erede del Partito Rivoluzionario dei Lavoratori e dei Contadini di Turchia (https://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Partito_Rivoluzionario_dei_Lavorat ori_e_dei_Contadini_di_Turchia&action=edit&redlink=1) (TİİKP) e del Partito Socialista di Turchia (https://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Partito_Socialista_di_Turchia&action=edit&redlink=1) (SP), entrambi vietati dal governo turco in epoche diverse. Nel febbraio del 2015 IP ha cambiato nome in Partito Patriottico (in Turco: Vatan Partisi), accentuando l'ancoraggio ai principi del Kemalismo.

https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/0/08/Ippartyoffice251.jpg/220px-Ippartyoffice251.jpg (https://it.wikipedia.org/wiki/File:Ippartyoffice251.jpg)

Ufficio dell'İP a Üsküdar (https://it.wikipedia.org/wiki/%C3%9Csk%C3%BCdar).


L' İP unisce una retorica rivoluzionaria a elementi di patriottismo turco, dal momento che sostiene gli ideali del Kemalismo (https://it.wikipedia.org/wiki/Kemalismo). Tradizionalmente İP si rifà al maoismo (https://it.wikipedia.org/wiki/Maoismo) e lo coniuga con la tradizione di Mustafa Kemal Atatürk (https://it.wikipedia.org/wiki/Mustafa_Kemal_Atat%C3%BCrk), considerato un "rivoluzionario borghese democratico di sinistra". La strategia di İP è quella della "Rivoluzione Democratica Nazionale".
In merito alla questione curda İP ritiene che una soluzione basata sulla fratellanza fra le etnie deve escludere a priori ogni iniziativa dell'imperialismo nel Medio Oriente. Secondo İP, il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (https://it.wikipedia.org/wiki/Partito_dei_Lavoratori_del_Kurdistan) (PKK) guidato da Abdullah Öcalan (https://it.wikipedia.org/wiki/Abdullah_%C3%96calan) è sotto controllo del governo USA fin dalla prima Guerra del Golfo. Per İP è possibile e necessario unire il popolo turco con il popolo curdo all'interno dei confini di uno stato nazionale unitario di stampo "anti-imperialista". Il separatismo etnico è diventato, secondo İP, uno strumento dell'imperialismo USA per distruggere i mercati nazionali nel terzo mondo ed evitare il sorgere di potenze ad esso concorrenti. Per İP la chiave di volta del problema è quella di demolire le strutture feudali che permangono nelle province turche a maggioranza curda.
L'İP condivide con i nazionalisti turchi questioni come quella cipriota (https://it.wikipedia.org/wiki/Cipro) e quella armena (https://it.wikipedia.org/wiki/Armenia). Il presidente dell' İP è stato condannato inSvizzera (https://it.wikipedia.org/wiki/Svizzera) per aver pubblicamente negato il genocidio armeno, definito "menzogna degli imperialisti". İP ha peraltro pubblicato numerosi libri sorti da ricerche negli archivi sovietici di Mosca che avvalorano le tesi negazioniste del genocidio armeno.
L' İP pubblica un settimanale di attualità politica Aydınlık (diventato quotidiano nel 2011), una rivista mensile di teoria marxistaTeori e il mensile di divulgazione scientifico-razionalista Bilim ve Ütopya. Controlla le trasmissioni di un canale TV chiamatoUlusal Kanal ed è proprietario della casa editrice Kaynak Yayınları.
Il movimento studentesco dell' İP si chiama Öncü Gençlik (Avanguardia giovanile), il movimento destinato invece agli apprendisti "Emekçi Gençlik" (Gioventù Operaia). L'organizzazione femminile dell' İP si chiama Öncü Kadin (Donna Avanguardista).




FONTE: https://it.wikipedia.org/wiki/Partito_dei_Lavoratori_(Turchia)


IL PRIMO SIMBOLO

https://utkureyhan.files.wordpress.com/2013/08/ip-logo-kare-2.jpg

IL SIMBOLO ATTUALE

http://www.gazete2023.com/images/haberler/2018/02/vatan_partisi_nden_hdp_derhal_kapatilsin_cagrisi_h 73000_e6f44.jpg

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15-03-16, 17:20
PARTITO CARLISTA

Il Partito Carlista ( PC ) è un partito politico spagnolo che afferma di essere il continuatore dell'organizzazione storica del Carlismo. Tra il 1970 e il 1972 la "Comunione Tradizionalista", diretta da Javier de Bourbon-Parma , tenne ad Arbonne ( Iparralde ) i tre Congressi del Popolo Carlista. In queste assemblee venne abbandonata la denominazione "Comunione Tradizionalista" , ufficializzata nel 1930, e restaurata quella di "Partito Carlista, " che fu il nome primordiale dell'organizzazione. Il rifondato Partito Carlista è definito come democratico, socialista e contraddistinto da posizioni federali chiaramente di sinistra. Questa linea ideologica rappresentò il culmine di un processo di rinnovamento iniziato nel 1950 dal settore studentesco (AET) e operaio (MOT) carlista. Particolarmente forte è stata l'influenza del cattolicesimo progressista e del Concilio Vaticano II . I critici di questi Congressi affermarono che si stava consumando una rottura con la tradizione politica del carlismo, mentre i suoi sostenitori dissero che si trattava di una necessaria attualizzazione in accordo con i profondi cambiamenti strutturali della società spagnola, che in poco tempo avrebbe sperimentato un alto grado di sviluppo industriale e urbano.
Attualmente il partito si colloca nella sinistra alternativa, sostenendo il socialismo auto-gestionario come progetto di società e il confederalismo plurinazionale come modello di stato. Per quanto riguarda l'istituzione del capo dello Stato si è dichiarato "accidentalista" nel pieno rispetto della volontà popolare. Rigetta il regime politico nato nel 1978 e pone la necessità di una rottura democratica attraverso un processo costituzionale diretto verso la mobilitazione sociale e il pluralismo nazionale.


Il Segretario Generale-Federale del Partito Carlista è, dal novembre 2009, Jesus Maria Aragona. Il suo ramo giovanile è costituito dai giovani carlisti. L'organo ufficiale a livello statale è la rivista El federal , che ha iniziato le pubblicazioni nel 1999 come sostituzione dello storico bollettino IM-Informazioni Mensili . Vengono organizzate annualmente, ai primi di maggio, alcune giornate in Montejurra , nella città di Navarra di Estella. Il suo principale organo decisionale è il Congresso Federale , che si tiene una volta ogni quattro anni. Dentro il Congresso l'indirizzo è affidato a un Consiglio federale composto dai rappresentanti carlisti di diverse province dello Stato spagnolo: Euskalherriko Karlista Alderdia , Partito Carlista della Catalogna, Partito Carlista della città di Valencia, Partito Carlista d'Aragona , etc. Dal 2000 esiste un'iniziativa editoriale legata al partito, la Biblioteca Popolare Carlista, che ha pubblicato circa 27 libri.

Fonte: https://es.wikipedia.org/wiki/Partido_Carlista_(1971) TRADOTTA ALLA BUONA:encouragement:


http://partidocarlista.com/wp-content/uploads/2014/01/P.-Carlista-Lema-1979.jpg

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15-03-16, 17:27
Partito Nazionalista Sociale Siriano

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Il Partito Nazionalista Sociale Siriano o SSNP (in arabo (https://it.wikipedia.org/wiki/Lingua_araba): الحزب السوري القومي الاجتماعي‎, al-Ḥizb al-Sūrī al-Qawmī al-Ijtimāʿī, traducibile anche come Partito Patriottico Sociale Siriano), è un partito politico (https://it.wikipedia.org/wiki/Partito_politico) laico, socialista (https://it.wikipedia.org/wiki/Socialismo) e nazionalista (https://it.wikipedia.org/wiki/Nazionalismo) attivo inLibano (https://it.wikipedia.org/wiki/Libano), Siria (https://it.wikipedia.org/wiki/Siria), Giordania (https://it.wikipedia.org/wiki/Giordania), Iraq (https://it.wikipedia.org/wiki/Iraq) e Palestina (https://it.wikipedia.org/wiki/Palestina).
Fondato nel 1932 dal libanese (https://it.wikipedia.org/wiki/Libano) Antun Saade (https://it.wikipedia.org/wiki/Antun_Saade) a Beirut (https://it.wikipedia.org/wiki/Beirut), esso preconizza la creazione della cosiddetta Grande Siria (https://it.wikipedia.org/wiki/Grande_Siria), cioè di uno Stato nazionale siriano la cui estensione comprenda la Mezzaluna Fertile (https://it.wikipedia.org/wiki/Mezzaluna_Fertile), includendo i territori della attuale Siria, Libano, Iraq (https://it.wikipedia.org/wiki/Iraq),Giordania (https://it.wikipedia.org/wiki/Giordania), Territori palestinesi (https://it.wikipedia.org/wiki/Territori_palestinesi), Cipro (https://it.wikipedia.org/wiki/Cipro), Kuwait (https://it.wikipedia.org/wiki/Kuwait), Sinai (https://it.wikipedia.org/wiki/Penisola_del_Sinai), la Cilicia (https://it.wikipedia.org/wiki/Cilicia) in Turchia (https://it.wikipedia.org/wiki/Turchia) e lo Shaṭṭ al-ʿArab (https://it.wikipedia.org/wiki/Shatt_al-Arab) (ivi compresa la parte iraniana (https://it.wikipedia.org/wiki/Iran)). È la più grande formazione politica della Siria dopo il Baʿth (https://it.wikipedia.org/wiki/Ba%27th), con più di 100.000 membri, e ha giocato un ruolo fondamentale nella politica libanese sin dalla sua fondazione, essendo notoriamente responsabile di due tentativi di colpo di Stato: il primo nel giugno del 1949 e il secondo il 31 dicembre 1961. Ha avuto una funzione di rilievo contro l'occupante israeliano (https://it.wikipedia.org/wiki/Israeliano) sin dal 1982 (https://it.wikipedia.org/wiki/1982). Ha cominciato ad assumere le dimensioni di un partito maggiore negli anni Cinquanta, ma venne reso illegale nel 1955, senza perdere però la sua organizzazione.
Nel 1985, un membro del partito, Sana'a Mehaidli (https://it.wikipedia.org/wiki/Sana%27a_Mehaidli), si fece esplodere con la sua auto piena di esplosivi in prossimità di un convoglio israeliano (https://it.wikipedia.org/wiki/Israele) a Jezzin (https://it.wikipedia.org/wiki/Jezzin), nel Sud del Libano (https://it.wikipedia.org/wiki/Libano). Uccise due soldati israeliani, diventando la prima donna kamikaze (https://it.wikipedia.org/wiki/Kamikaze) dei giorni nostri.[6] (https://it.wikipedia.org/wiki/Partito_Nazionalista_Sociale_Siriano#cite_note-6)[7] (https://it.wikipedia.org/wiki/Partito_Nazionalista_Sociale_Siriano#cite_note-7)[8] (https://it.wikipedia.org/wiki/Partito_Nazionalista_Sociale_Siriano#cite_note-8)[9] (https://it.wikipedia.org/wiki/Partito_Nazionalista_Sociale_Siriano#cite_note-9) È conosciuta come "La Sposa del Sud".[10] (https://it.wikipedia.org/wiki/Partito_Nazionalista_Sociale_Siriano#cite_note-10)
Nel 2005 è stato di nuovo legalizzato e si è unito al Fronte Nazionale Progressista guidato dal Baʿth (https://it.wikipedia.org/wiki/Ba%27th). Il Partito ritiene che esistano solo quattro nazioni arabe: la Siria, l'Arabia (https://it.wikipedia.org/wiki/Arabia), l'Egitto (https://it.wikipedia.org/wiki/Egitto) e il Maghreb (https://it.wikipedia.org/wiki/Maghreb). Al pari di altri partiti politici libanesi, il PNSS ha una sua milizia armata e ha preso parte ai combattimenti nella guerra tra Israele e Libano nel 1982 (https://it.wikipedia.org/wiki/Guerra_del_Libano_(1982)) e nella guerra civile libanese (https://it.wikipedia.org/wiki/Guerra_civile_libanese).
Attualmente fa parte dell'Alleanza dell'8 marzo.

Fonte: https://it.wikipedia.org/wiki/Partito_Nazionalista_Sociale_Siriano


DIFFERENZE TRA PNSS E NAZISMO TEDESCO


At the core of National Socialism was the Nationalism advocated by the historian Heinrich von Treitschke. A basic theme was Social Darwinism: individuals and nations are both subject to a continuous struggle for life. In this struggle, race is the center of life and all other elements are rated with reference to it. National Socialism claimed that keeping the blood and the race pure is a nation's noblest task. It proclaimed the Germanic race as the new ‘icorpus mysticum’ on which the salvation of the Aryan race and consequently that of the world depended. Accordingly, Nazist policies "figured solely as an expedient intended to improve the Germanic race genetically and to protect it against racial interbreeding which according to the National Socialists, always entails the doctrine of the higher race."

By contrast, Saadeh excluded the notion of race as a criteria of nationality. In one of his most vigorous statements against the national socialist conception of the N.S.D.A.P, he declared: "The alleged purity of the race or the blood of any nation is a groundless myth. It is found only in savage groups, and even there it is rare." For the same reason, Saadeh reproached both Count Gobineau and Chamberlain, the forefathers of National Socialism, and Pascal Mancini who unconsciously lapsed into the use of the catchword race in defining the concept of the nation.

In National Socialism, the national idea lost any pretense of scientific objectivity. This is because there is no correlation between race and national frontiers. More importantly, when seen from a purely social perspective, the nation is not a single race in the scientific sense, but a multiracial society fused together in multitudes. This fusion is a process by which two or more races combine to produce a new whole which is significantly different from each of its parent races, but includes elements from all of them, produced through the stimulation of contact and subsequent internal development.

Another significant difference between National Socialism and Social Nationalism relates to the concept of national history. In National Socialism purity of blood speaks louder than reason, and race is the center of all human history. Ernest Kriek, a National Socialist philosopher at Heidelberg, asserted the contrast as follows: "There has arisen ... blood against formal reason; race against purposeful rationality; honour against profit; unity against individualistic disintegration; martial virtue against bourgeois security; the folk against the individual and the mass."

In Mein Kampf Hitler stated the basic postulates of the race theory as follows: First, a struggle for the survival of the fittest sets the pace for social progress. This struggle occurs within the race, thus giving rise to a natural elite; it also occurs between races and the cultures that express the inherent natures of different races. Second, hybridization by the intermixture of two races results in the degeneration of the higher race. Third, that all high civilizations or important cultures are the creation of one race, or at most of a few. One particular race singled out is the 'culture-creating Aryan' which, according to Hitler, achieved its superior moral qualities through dutifulness and idealism (honour) rather than intelligence. In this organic conception of life, all history "must be rewritten and reinterpreted in terms of the struggle between the races and their characteristic ideas, or more specifically, as a struggle between the Aryan or culture-creating race and all the lower breeds of mankind."

On the contrary, Saadeh regarded racial fusion as one of the driving forces of human history. Although he distinguished between higher and lower civilizations he never lost sight of the common sense approach to the question of race relations. This distinction itself was maintained on the ground of racial hybridization. Higher civilization was thus seen as the product not of racial purity, as the national socialists would have us believe, but of the group's on-going inter-racial mixture, and vice versa in relation to lower civilizations. Moreover, whereas in national socialism the nation, in both its existence and history, is seen in a purely racial sense, in social nationalism, it is based on human as well as geographical factors. "There can be no people," wrote Saadeh, "where there is no land, no society where there is no physical environment, and no history where there is no society."In short, National Socialism and Social Nationalism operate on two separate intellectual planes: the former connects between race and nation and the later discounts any such connection. While they may be similar in certain limited ways, it must be recognized that, from both a theoretical and practical perspective, a certain correlation exists between all ideologies no matter how far apart they may be. More obvious, at any rate, is the difference between the intrinsic elements of an idea and its extrinsic parts which can become the great enemy of the intrinsic. It is within this context that comparative analysis should take place, not only between National Socialism and Social Nationalism but also between any two ideas.

FONTE: http://www.ssnp.com/new/ssnp/en/ssnp_001.htm


http://syrianleaders.com/files/1713/7698/2860/SL-167-100.JPG

LupoSciolto°
15-03-16, 17:49
Zjuganov racconta la "sua" Russia (http://www.agenziastampaitalia.it/speciali-asi/speciale/24545-zjuganov-racconta-la-sua-russia)Scritto da Andrea FaisCategoria: Speciale (http://www.agenziastampaitalia.it/speciali-asi/speciale)
Pubblicato: Martedì, 03 Marzo 2015 04:11


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http://www.agenziastampaitalia.it/images/miarussia.jpg(ASI) Appena uscito per i tipi di Anteo Edizioni, La mia Russia. Ideologia del patriottismo russo è già arrivato a Mosca, in mano al diretto interessato.
Gennadij Zjuganov è un dirigente politico di lungo corso, arcinoto in patria ma poco conosciuto in un'Europa dove, molte volte, l'immagine sociale del vastissimo Paese orientale viene riduttivamente identificata con la vicenda personale di Vladimir Putin. Prima che l'attuale presidente balzasse agli onori delle cronache, infatti, la Russia trascorse uno dei periodi più bui della sua storia moderna. Molti analisti scorsero negli anni Novanta una nuova epoca dei torbidi, la drammatica e caotica fase di transizione cominciata con la fine della Dinastia Rjurik e terminata con l'inizio della Dinastia Romanov, a cavallo tra XVI e XVII secolo.
L'anarchia liberista portò alla disintegrazione quel che restava dell'URSS, sotto l'attenta egida di un manipolo di oligarchi-liquidatori gravitanti nell'orbita di Boris Eltsin che, dopo aver cannoneggiato il Parlamento prossimo a sfiduciarlo nell'ottobre 1993, si presentò a Bill Clinton come il demiurgo della "nuova democrazia" russa. A mantenere in vita le speranze delle categorie sociali più colpite dalla shock-therapy del liquidatore Anatolj Chubais, c'era proprio Zjuganov.
I contenuti di quest'opera propongono per la prima volta in lingua italiana un insieme di scritti, analisi e riflessioni elaborati in quegli anni dal leader del Partito Comunista della Federazione Russa, ancor oggi seconda forza politica alla Duma di Stato, dopo il partito di governo Russia Unita.
La mia Russia è un compendio indispensabile per conoscere il pensiero dell'autore nella sua originalità e nella particolarità di una linea politica che, senza rinnegare le radici leniniste, ha inglobato tutta una serie di istanze patriottiche e strategiche, finalizzate a riscoprire l'autenticità del pensiero tradizionale russo e a "ricucire gli strappi del 1917". La revisione storica del passato, nella sua eroicità e nella sua tragicità, pone il lettore di fronte a dilemmi di importanza capitale per il futuro della Russia, risolvibili, secondo l'autore, soltanto recuperando la tesi fondante dell'Unione come forma statale essenziale per la salvezza della nazione. Zjuganov delinea l'idea patriottica russa attraverso le tappe che ne hanno scandito la formazione storica nel corso dei secoli. Nonostante alcune particolarità ideologiche inedite, anche l'Unione Sovietica avrebbe dunque riprodotto l'antico confronto tra forze ostili, indifferenti alle sorti nazionali o ammaliate dal modello occidentale, e lo spirito russo autentico, radicato nell'idea sociale (sobornost') comune ai popoli slavi [cfr. Alekseij Chomjakov], ma anche a quelli uralo-altaici [cfr. Lev Gumilëv].
Per larghi tratti ispirato dall'opera dell'intellettuale nazionalista sovietico Sergeij Semanov, autore di un controverso saggio dal titolo "Valori Relativi e Valori Eterni", pubblicato nel 1970 dal mensile del KomsomolMolodaja Gvardija, Zjuganov ha tenuto unito quel vasto e disseminato fronte di personalità politiche, scientifiche e culturali del panorama sovietico che, sotto la sbrigativa etichetta di "partito russo", chiedevano una riforma sistemica capace di restituire, a tutti i livelli, l'impulso e la dinamicità perduti negli anni della stagnazione. Deluso dalla perestrojka, Zjuganov aveva intuito con largo anticipo i pericoli nascosti dietro la glasnost' e la Dottrina Sinatra. L'accordo di Beloveža, che nel dicembre 1991 mise la parola fine su quanto rimaneva dell'Unione, avrebbe confermato i timori politici di Zjuganov e del "partito russo".
La mia Russia è dunque un testo essenziale per capire la storia recente del Paese, le sue caratteristiche storico-sociali e le sue direttrici geopolitiche, mantenendo, a quasi venti anni di distanza dalla pubblicazione originale dei suoi contenuti, una sorprendente attualità in alcuni dei suoi passaggi salienti.
La mia Russia. Ideologia del patriottismo russo
Gennadij Zjuganov
Anteo Edizioni, 2015 € 20,00

Fonte: http://www.agenziastampaitalia.it/speciali-asi/speciale/24545-zjuganov-racconta-la-sua-russia

LupoSciolto°
21-03-16, 17:32
Partito Radicale Serbo











https://upload.wikimedia.org/wikipedia/it/thumb/3/3b/SRS_logo.gif/200px-SRS_logo.gif (https://it.wikipedia.org/wiki/File:SRS_logo.gif)I








SRS è nato nel 1991 (https://it.wikipedia.org/wiki/1991), dopo la fine del regime comunista (https://it.wikipedia.org/wiki/Comunismo), dalla fusione tra una frazione del Partito Radicale Popolare guidata da Tomislav Nikolić (https://it.wikipedia.org/wiki/Tomislav_Nikoli%C4%87) e dal Movimento Cetnico Serbo di Vojislav Šešelj (https://it.wikipedia.org/wiki/Vojislav_%C5%A0e%C5%A1elj), a sua volta nato da una scissione delMovimento del Rinnovamento Serbo (https://it.wikipedia.org/wiki/Movimento_del_Rinnovamento_Serbo). Il termine Cetnico (https://it.wikipedia.org/wiki/Cetnici) richiama i membri delle organizzazioni serbe che, nel XIX secolo (https://it.wikipedia.org/wiki/XIX_secolo), si impegnavano per l'indipendenza (https://it.wikipedia.org/wiki/Indipendentismo) della Serbia dall'Impero Ottomano (https://it.wikipedia.org/wiki/Impero_Ottomano). Da qui è facile comprendere il carattere indipendentista e nazionalista (https://it.wikipedia.org/wiki/Nazionalismo) del MSC e, di conseguenza, di SRS. SRS, infatti, si contraddistinse subito nella difesa dell'idea della Grande Serbia, con il relativo totale controllo sulle regioni del Kosovo (https://it.wikipedia.org/wiki/Kosovo), della Voivodina (https://it.wikipedia.org/wiki/Voivodina),il mantenimento della federazione con il Montenegro (https://it.wikipedia.org/wiki/Montenegro), l'annessione della Republika Srpska (https://it.wikipedia.org/wiki/Republika_Srpska) e delle regioni della ex-Repubblica Serba di Krajina (https://it.wikipedia.org/wiki/Repubblica_Serba_di_Krajina).





Storia

Dal 1991 al 2000

Alle elezioni politiche del 1992,ottenne il 22,6% ed elesse 73 deputati. Tra il 1991 ed il 1993 (https://it.wikipedia.org/wiki/1993), SRS ed il suo leader Vojislav Šešelj (https://it.wikipedia.org/wiki/Vojislav_%C5%A0e%C5%A1elj) sostennero il presidente Slobodan Milošević (https://it.wikipedia.org/wiki/Slobodan_Milo%C5%A1evi%C4%87), del Partito Socialista di Serbia (https://it.wikipedia.org/wiki/Partito_Socialista_di_Serbia) (SPS), nella guerra che portò alla divisione della ex-Jugoslavia (https://it.wikipedia.org/wiki/Repubblica_Socialista_Federale_di_Jugoslavia). Šešelj, per l'attività durante la guerra, è stato accusato dal tribunale penale internazionale per crimini contro l'umanità.
Alle politiche anticipate del 1993, SRS calò ulteriormente al 13,8% e dimezzò i propri seggi (39). Tra il 1993 ed il 1998, SRS fu all'opposizione del governo di Milošević, perché non condivise il mancato sostegno alla Republika Srpska (https://it.wikipedia.org/wiki/Republika_Srpska) e al suo presidente Radovan Karadžić (https://it.wikipedia.org/wiki/Radovan_Karad%C5%BEi%C4%87) durante il conflitto in Bosnia ed Erzegovina (https://it.wikipedia.org/wiki/Bosnia_ed_Erzegovina). Alle politiche del 1997, grazie alla propria intransigente opposizione, SRS salì al 28,1% dei voti ed elesse ben 81 deputati. Tra il 1998 ed il 2000 SRS e SPS tornarono ad allearsi, difendendo la sovranità della Serbia sul Kosovo (https://it.wikipedia.org/wiki/Kosovo) e opponendosi all'aggressione della NATO (https://it.wikipedia.org/wiki/NATO) contro laRepubblica Federale di Jugoslavia (https://it.wikipedia.org/wiki/Repubblica_Federale_di_Jugoslavia).
Dal 2000 al 2007

Le proteste di piazza dell'Opposizione Democratica di Serbia (https://it.wikipedia.org/wiki/Opposizione_Democratica_di_Serbia) portarono, nel 2000, alla caduta del governo di Milošević. Alle elezioni politiche dello stesso anno SRS perse il 20% dei voti, crollò all'8,6% ed elesse 23 deputati. SRS passò, così, all'opposizione di un governo formato, tra gli altri, dal Partito Democratico (https://it.wikipedia.org/wiki/Partito_Democratico_(Serbia)) (DS) e dal Partito Democratico di Serbia (https://it.wikipedia.org/wiki/Partito_Democratico_di_Serbia) (DSS).
Alle politiche del 2003 (https://it.wikipedia.org/wiki/2003), accentuando i toni nazionalisti e l'attenzione ai temi sociali, approfittando, inoltre, della spaccatura tra DS e DSS, SRS ottenne il 27,6% dei voti, eleggendo 82 deputati e divenendo il primo partito serbo. Il risultato fu dovuto anche al travaso dei voti da SPS a SRS. I socialisti, infatti, privati ormai di Milošević, scesero ulteriormente dal 13,8% al 7,6% dei consensi.
Alle elezioni presidenziali del 2004, il candidato di SRS, Tomislav Nikolić (https://it.wikipedia.org/wiki/Tomislav_Nikoli%C4%87), si piazzò al primo posto con il 30% dei voti. Al ballottaggio, però, venne superato dal candidato del DS, Boris Tadić (https://it.wikipedia.org/wiki/Boris_Tadi%C4%87), che vinse con il 54% dei suffragi. Al primo turno il candidato dei socialisti ottenne appena il 3,5% dei voti, ad ulteriore conferma del fatto che SRS è divenuto ormai il partito di riferimento dei nazionalisti serbi.
Alle politiche del 2007, i radicali salgono al 28,7% dei consensi, con un incremento dello 0,9%. Ciò nonostante SRS perse un seggio (81 in totale). Il variegato fronte "democratico" (DS (https://it.wikipedia.org/wiki/Partito_Democratico_(Serbia)), DSS (https://it.wikipedia.org/wiki/Partito_Democratico_di_Serbia), G17 Plus (https://it.wikipedia.org/wiki/G17_Plus), LDP (https://it.wikipedia.org/wiki/Partito_Liberal-Democratico_(Serbia)), GSS (https://it.wikipedia.org/wiki/Alleanza_Civica_di_Serbia), LSV (https://it.wikipedia.org/wiki/Lega_dei_Socialdemocratici_di_Voivodina), SDU (https://it.wikipedia.org/wiki/Unione_Socialdemocratica_(Serbia))) ha potuto contare su un incremento di 8 seggi, grazie al calo del Partito Socialista di Serbia (https://it.wikipedia.org/wiki/Partito_Socialista_di_Serbia). Ad avvantaggiarsi è stato soprattutto il Partito Democratico (https://it.wikipedia.org/wiki/Partito_Democratico_(Serbia)), che è salito al 22,9% (+10,3%).

Dalla scissione di SNS ad oggi

Alle politiche anticipate del 2008, SRS è salito al 29,5% dei consensi, ma è sceso a 78 seggi.
Il 21 luglio 2008 (https://it.wikipedia.org/wiki/2008), le forze speciali del nuovo governo europeista (formato da DS, SPS, G17 e altri) catturarono Radovan Karadžić (https://it.wikipedia.org/wiki/Radovan_Karad%C5%BEi%C4%87), ex-presidente della Republika Srpska (https://it.wikipedia.org/wiki/Republika_Srpska). Il 29 luglio, dopo la sua estradizione al tribunale dell'Aja, i leader radicali organizzarono un grande meeting con quasi 100.000 manifestanti, protestando contro l'arresto del leader serbo-bosniaco.
Nel settembre 2008, i radicali hanno subito una scissione ad opera del vicepresidente del partito Tomislav Nikolić (https://it.wikipedia.org/wiki/Tomislav_Nikoli%C4%87), che dopo essersi scontrato con Vojislav Šešelj (https://it.wikipedia.org/wiki/Vojislav_%C5%A0e%C5%A1elj) (riguardo all'entrata della Serbia nell'UE) ha deciso insieme a 20 deputati di lasciare SRS, dando vita al Partito Progressista Serbo (https://it.wikipedia.org/wiki/Partito_Progressista_Serbo) (SNS), di ispirazione nazional-conservatrice ma favorevole all'entrata della Serbia nell'UE.
Dopo l'uscita di Nikolić, il presidente Seselj (https://it.wikipedia.org/wiki/Seselj) ha nominato Dragan Todorović vicepresidente vicario.
Il 26 maggio 2011 fu arrestato anche il generale serbo Ratko Mladić (https://it.wikipedia.org/wiki/Ratko_Mladi%C4%87), SRS anche questa volta ha protestato vivamente e ha causato per diverse settimane il blocco del parlamento e organizzando proteste con lo slogan La Serbia non è Tadic!.
Alle elezioni parlamentari del 2012 (https://it.wikipedia.org/wiki/Elezioni_parlamentari_in_Serbia_del_2012) SRS a causa della scissione di Nikolić, ha avuto un tracollo elettorale ottenendo solo il 4,6% e perdendo tutti i suoi parlamentari, trovandosi così per la prima volta fuori dall'Assemblea Nazionale dal 1992 (https://it.wikipedia.org/wiki/1992). Anche la candidata di SRS alle elezioni presidenziali (https://it.wikipedia.org/wiki/Elezioni_presidenziali_in_Serbia_del_2012) Jadranka Šešelj (https://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Jadranka_%C5%A0e%C5%A1elj&action=edit&redlink=1), moglie di Vojislav Šešelj (https://it.wikipedia.org/wiki/Vojislav_%C5%A0e%C5%A1elj), ha ricevuto solo il 3,8% e non è passata così al primo turno.
Alle elezioni parlamentari anticipate del 2014 (https://it.wikipedia.org/wiki/Elezioni_parlamentari_in_Serbia_del_2014) SRS ha deciso di creare un cartello elettorale con le organizzazioni ultra-nazionaliste Onore Serbo e Movimento Nazionale Serbo "Naši". SRS ha ricevuto l'appoggio del geopolitico russo Aleksandr Dugin (https://it.wikipedia.org/wiki/Aleksandr_Dugin) e del Movimento Internazionale Eurasiatista (https://it.wikipedia.org/wiki/Movimento_Internazionale_Eurasiatista). Nonostante ciò ha ottenuto solo il 2,0% dei voti, rimanendo così extraparlamentare.


OVVIAMENTE NON CONDIVIDIAMO TUTTE LE POSIZIONI ESPRESSE E SOSTENUTE DA QUESTO PARTITO

LupoSciolto°
21-03-16, 17:37
32 County Sovereignty Movement


Il 32 County Sovereignty Movement (irlandese (https://it.wikipedia.org/wiki/Lingua_irlandese): Gluaiseacht Ceannasachta na Dhá Chontae is Tríocha) spesso abbreviato in 32CSM o 32csm, è un'organizzazione politica repubblicana irlandese (https://it.wikipedia.org/wiki/Irlanda).
Gli obbiettivi del 32 County Sovereignty Movement sono:


"Restaurare la sovranità nazionale irlandese";
"Cercare di raggiungere l'unità e l'accordo tra il popolo irlandese sulla questione del ripristino della sovranità nazionale e promuovere gli ideali rivoluzionari del movimento repubblicano e, a tal fine, partecipare allo stesso movimento come rifiuto di ogni forma di colonialismo e imperialismo";
"Chiedere l'immediato e incondizionato rilascio di tutti i prigionieri repubblicani irlandesi in tutto il mondo."[1] (https://it.wikipedia.org/wiki/32_County_Sovereignty_Movement#cite_note-1)

Molti dei membri fondatori del 32CSM sono stati membri dello Sinn Féin (https://it.wikipedia.org/wiki/Sinn_F%C3%A9in) ed erano parte di un sottogruppo dello Sinn Féin chiamato 32 County Sovereignty Committee.
Il 32CSM è spesso indicato come "ala politica" della Real IRA (https://it.wikipedia.org/wiki/Real_IRA)[2] (https://it.wikipedia.org/wiki/32_County_Sovereignty_Movement#cite_note-rIRA-2)[3] (https://it.wikipedia.org/wiki/32_County_Sovereignty_Movement#cite_note-rIRA2-3).
StoriaL'organizzazione è stata fondata il 7 dicembre 1997 (https://it.wikipedia.org/wiki/1997) durante un incontro nella contea di Fingal (https://it.wikipedia.org/wiki/Fingal_(Irlanda)), a Dublino (https://it.wikipedia.org/wiki/Dublino), da attivisti repubblicani che si trovavano in forte disaccordo con la politica adottata dallo Sinn Féin e da altri politici repubblicani nel processo di pace, che avrebbe portato, l'anno seguente, al cosiddetto Belfast Agreement (conosciuto anche come Accordo del Venerdì Santo (https://it.wikipedia.org/wiki/Accordo_del_Venerd%C3%AC_Santo)). La stessa rottura del movimento repubblicano ha portato alla formazione di quell'organizzazione paramilitare conosciuta come Real IRA in seguito alla scissione di alcuni elementi dissidenti dalla Provisional IRA (https://it.wikipedia.org/wiki/Provisional_IRA); le due scissioni sono avvenute pressoché nello stesso tempo. Il 32CSM viene spesso considerato l'"ala politica" della Real IRA[2] (https://it.wikipedia.org/wiki/32_County_Sovereignty_Movement#cite_note-rIRA-2)[3] (https://it.wikipedia.org/wiki/32_County_Sovereignty_Movement#cite_note-rIRA2-3), anche se i membri rifiutano questa definizione.
La maggior parte dei suoi fondatori sono stati membri dello Sinn Féin; alcuni sono stati espulsi dal partito e altri non erano stati in grado di mantenere con esso un buon rapporto per la linea politica adottata dalla leadership. Bernadette Sands McKevitt, sorella di Bobby Sands (https://it.wikipedia.org/wiki/Bobby_Sands) e moglie di Michael McKevitt, era un importante membro del partito fino alla scissione nel movimento.
Il nome fa riferimento alle 32 contee d'Irlanda (https://it.wikipedia.org/wiki/Contee_d%27Irlanda), che sono state create dal Regno Unito (https://it.wikipedia.org/wiki/Regno_Unito) e rivendicate dalla Repubblica d'Irlanda (https://it.wikipedia.org/wiki/Irlanda) proclamata nel 1919 (https://it.wikipedia.org/wiki/1919). A causa della divisione dell'Irlanda nel 1920-22, 26 contee sono andate a formare il Libero Stato d'Irlanda (divenuta successivamente la Repubblica d'Irlanda (https://it.wikipedia.org/wiki/Repubblica_d%27Irlanda)), mentre le altre 6 sono andate a costituire l'Irlanda del Nord (https://it.wikipedia.org/wiki/Irlanda_del_Nord), ancora oggi parte integrante del Regno Unito (https://it.wikipedia.org/wiki/Regno_Unito).
Nel novembre 2005 (https://it.wikipedia.org/wiki/2005) il 32CSM ha lanciato un'iniziativa politica del titolo Irish Democracy, A Framework For Unity (Democrazia Irlandese, un quadro per l'Unità).
ProtesteIl 32CSM ha protestato contro l'internamento sia nella Repubblica d'Irlanda (https://it.wikipedia.org/wiki/Repubblica_d%27Irlanda) sia in Irlanda del Nord (https://it.wikipedia.org/wiki/Irlanda_del_Nord).

Il 32CSM è stata oggetto di proteste da parte delle famiglie delle vittime dell'attentato di Omagh del 1998 (https://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Attentato_di_Omagh_del_1998&action=edit&redlink=1), compiuto dalla Real IRA (https://it.wikipedia.org/wiki/Real_IRA)[4] (https://it.wikipedia.org/wiki/32_County_Sovereignty_Movement#cite_note-4).Altre proteste sono quelle contro l'ex capo del Democratic Unionist Party (https://it.wikipedia.org/wiki/Democratic_Unionist_Party) (DUP) Ian Paisley (https://it.wikipedia.org/wiki/Ian_Paisley); contro l'ex primo ministro inglese John Major (https://it.wikipedia.org/wiki/John_Major)a Cobh (https://it.wikipedia.org/wiki/Cobh), nella contea di Cork (https://it.wikipedia.org/wiki/Cork_(contea)), contro la visita del capo del Police Service of Northern Ireland (https://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Police_Service_of_Northern_Ireland&action=edit&redlink=1) Sir Hugh Orde, contro l'occupazione israeliana della palestina (https://it.wikipedia.org/wiki/Palestina) e contro quella anglo-americana dell'Iraq (https://it.wikipedia.org/wiki/Iraq).
Gary Donnely, membro importante del 32CSM, si è recentemente presentato alle elezioni nel Foyle West Ward (come candidato indipendente), e ha ricevuto un totale di 612 voti. Il 32CSM ha un seguito molto limitato sia in Irlanda del Nord, sia nella Repubblica.
LegalitàNegli Stati Uniti d'America (https://it.wikipedia.org/wiki/Stati_Uniti_d%27America), questo gruppo è considerato tra le organizzazioni terroristiche straniere (le cosiddette Foreign Terrorist Organization - FTO), nonché un tutt'uno con la più famosa Real IRA (https://it.wikipedia.org/wiki/Real_IRA), già compresa nel FTO.[5] (https://it.wikipedia.org/wiki/32_County_Sovereignty_Movement#cite_note-5) In una conferenza del 2001, il portavoce del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti d'America (https://it.wikipedia.org/wiki/Dipartimento_di_Stato_degli_Stati_Uniti_d%27Americ a) ha affermato che "prove fornite da entrambi i governi del Regno Unito (https://it.wikipedia.org/wiki/Regno_Unito) e dell'Irlanda (https://it.wikipedia.org/wiki/Irlanda) e altri materiali reperibili dimostrano chiaramente che chi ha creato la Real IRA (https://it.wikipedia.org/wiki/Real_IRA) formò anche queste due entità legali per curare l'aspetto pubblico della RIRA (https://it.wikipedia.org/wiki/RIRA). Queste organizzazioni corrispondenti dunque si impegnano nella propaganda e nella raccolta di fondi per conto della RIRA e in collaborazione con essa".[6] (https://it.wikipedia.org/wiki/32_County_Sovereignty_Movement#cite_note-6)



http://4.bp.blogspot.com/-2Ophy7pkC2g/Tr22OsmB7JI/AAAAAAAABmg/-KQu1ZfLuzE/s1600/32.png

Gianky
22-03-16, 09:42
Zjuganov racconta la "sua" Russia (http://www.agenziastampaitalia.it/speciali-asi/speciale/24545-zjuganov-racconta-la-sua-russia)

Scritto da Andrea FaisCategoria: Speciale (http://www.agenziastampaitalia.it/speciali-asi/speciale)
Pubblicato: Martedì, 03 Marzo 2015 04:11


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http://www.agenziastampaitalia.it/images/miarussia.jpg(ASI) Appena uscito per i tipi di Anteo Edizioni, La mia Russia. Ideologia del patriottismo russo è già arrivato a Mosca, in mano al diretto interessato.
Gennadij Zjuganov è un dirigente politico di lungo corso, arcinoto in patria ma poco conosciuto in un'Europa dove, molte volte, l'immagine sociale del vastissimo Paese orientale viene riduttivamente identificata con la vicenda personale di Vladimir Putin. Prima che l'attuale presidente balzasse agli onori delle cronache, infatti, la Russia trascorse uno dei periodi più bui della sua storia moderna. Molti analisti scorsero negli anni Novanta una nuova epoca dei torbidi, la drammatica e caotica fase di transizione cominciata con la fine della Dinastia Rjurik e terminata con l'inizio della Dinastia Romanov, a cavallo tra XVI e XVII secolo.
L'anarchia liberista portò alla disintegrazione quel che restava dell'URSS, sotto l'attenta egida di un manipolo di oligarchi-liquidatori gravitanti nell'orbita di Boris Eltsin che, dopo aver cannoneggiato il Parlamento prossimo a sfiduciarlo nell'ottobre 1993, si presentò a Bill Clinton come il demiurgo della "nuova democrazia" russa. A mantenere in vita le speranze delle categorie sociali più colpite dalla shock-therapy del liquidatore Anatolj Chubais, c'era proprio Zjuganov.
I contenuti di quest'opera propongono per la prima volta in lingua italiana un insieme di scritti, analisi e riflessioni elaborati in quegli anni dal leader del Partito Comunista della Federazione Russa, ancor oggi seconda forza politica alla Duma di Stato, dopo il partito di governo Russia Unita.
La mia Russia è un compendio indispensabile per conoscere il pensiero dell'autore nella sua originalità e nella particolarità di una linea politica che, senza rinnegare le radici leniniste, ha inglobato tutta una serie di istanze patriottiche e strategiche, finalizzate a riscoprire l'autenticità del pensiero tradizionale russo e a "ricucire gli strappi del 1917". La revisione storica del passato, nella sua eroicità e nella sua tragicità, pone il lettore di fronte a dilemmi di importanza capitale per il futuro della Russia, risolvibili, secondo l'autore, soltanto recuperando la tesi fondante dell'Unione come forma statale essenziale per la salvezza della nazione. Zjuganov delinea l'idea patriottica russa attraverso le tappe che ne hanno scandito la formazione storica nel corso dei secoli. Nonostante alcune particolarità ideologiche inedite, anche l'Unione Sovietica avrebbe dunque riprodotto l'antico confronto tra forze ostili, indifferenti alle sorti nazionali o ammaliate dal modello occidentale, e lo spirito russo autentico, radicato nell'idea sociale (sobornost') comune ai popoli slavi [cfr. Alekseij Chomjakov], ma anche a quelli uralo-altaici [cfr. Lev Gumilëv].
Per larghi tratti ispirato dall'opera dell'intellettuale nazionalista sovietico Sergeij Semanov, autore di un controverso saggio dal titolo "Valori Relativi e Valori Eterni", pubblicato nel 1970 dal mensile del KomsomolMolodaja Gvardija, Zjuganov ha tenuto unito quel vasto e disseminato fronte di personalità politiche, scientifiche e culturali del panorama sovietico che, sotto la sbrigativa etichetta di "partito russo", chiedevano una riforma sistemica capace di restituire, a tutti i livelli, l'impulso e la dinamicità perduti negli anni della stagnazione. Deluso dalla perestrojka, Zjuganov aveva intuito con largo anticipo i pericoli nascosti dietro la glasnost' e la Dottrina Sinatra. L'accordo di Beloveža, che nel dicembre 1991 mise la parola fine su quanto rimaneva dell'Unione, avrebbe confermato i timori politici di Zjuganov e del "partito russo".
La mia Russia è dunque un testo essenziale per capire la storia recente del Paese, le sue caratteristiche storico-sociali e le sue direttrici geopolitiche, mantenendo, a quasi venti anni di distanza dalla pubblicazione originale dei suoi contenuti, una sorprendente attualità in alcuni dei suoi passaggi salienti.
La mia Russia. Ideologia del patriottismo russo
Gennadij Zjuganov
Anteo Edizioni, 2015 € 20,00

Fonte: Zjuganov racconta la "sua" Russia | Agenzia Stampa Italia (http://www.agenziastampaitalia.it/speciali-asi/speciale/24545-zjuganov-racconta-la-sua-russia)

Se fossi russo voterei senz'altro il partito di Zjuganov, a quando un partito comunista patriottico italiano?

LupoSciolto°
22-03-16, 16:23
Se fossi russo voterei senz'altro il partito di Zjuganov, a quando un partito comunista patriottico italiano?

Qualcuno ti potrebbe dire: c'è già :D

Scherzi a parte, ci vorranno almeno cento anni:snob:

LupoSciolto°
22-03-16, 19:04
Ollanta Humala. Il fasciocomunista peruviano


di Giorgio Ballario - 19/04/2011

Fonte: mirorenzaglia [scheda fonte] (http://ariannaeditrice.it/scheda_fonte.php?id=93)


(http://www.mirorenzaglia.org/2011/04/ollanta-humala-il-fasciocomunista-peruviano/)
(http://www.mirorenzaglia.org/category/internazionale/)
http://www.mirorenzaglia.org/wp-content/uploads/2011/04/ollanta2.jpeg (http://www.mirorenzaglia.org/wp-content/uploads/2011/04/ollanta2.jpeg)Manca oltre un mese e mezzo al ballottaggio del 5 giugno, ma la sfida per diventare presidente del Perù si fa ogni giorno più calda. I due candidati usciti dal primo turno elettorale – Ollanta Humala di “Gana Perù” e Keiko Fujimori di “Fuerza 2011”, rispettivamente con il 31,7 e il 23,5 per cento – stanno affilando le armi in vista del rush finale e soprattutto provano a raggiungere un’intesa con le altre forze politiche rimaste fuori dal ballottaggio.
Finora nulla di ufficiale, ma il populista “di sinistra” (quando si parla di categorie politiche europee, in Sudamerica le virgolette sono d’obbligo) Humala avrebbe incassato l’appoggio dell’ex presidente centrista Alejandro Toledo e persino una certa simpatia del Premio Nobel Mario Vargas Llosa, che pure aveva descritto l’alternativa fra lui e la figlia di Fujimori come «una scelta fra l’Aids e il cancro».
Da parte sua la populista “di destra” ha già sondato il terreno con l’ex sindaco diLima Castañeda e sta tentando un abboccamento con “El Gringo” Kuczynski, l’ex candidato liberista e i filo-americano, espressione delle classi agiate della capitale e della costa. Tutto ciò mentre su Facebook una pagina che invitava le forze armate al colpo di Stato contro Humala raggiungeva in poche ore le duemila adesioni, prima di venir bloccata. A quanto pare, ogni Paese ha i suoi Asor Rosa…
Il guerriero che tutto vede
In attesa delle prossime mosse della lunga campagna elettorale, è http://www.mirorenzaglia.org/wp-content/uploads/2011/04/antauro1.jpg (http://www.mirorenzaglia.org/wp-content/uploads/2011/04/antauro1.jpg)interessante conoscere meglio Ollanta Humala, il favorito, l’uomo che già quattro anni fa andò al ballottaggio in testa e invece venne clamorosamente battuto in “zona Cesarini” da Alan Garcia. La stampa internazionale lo presenta come il candidato di sinistra, socialista e populista, una specie di Chàvez peruviano, insomma, anche se negli ultimi mesi Ollanta ha di gran lunga attenuato le posizioni più radicali e ha preso le distanze dallo scomodo “caudillo” venezuelano.
Nella coalizione che lo sostiene hanno trovato posto minuscoli partiti socialisti e comunisti, ma la formazione politica e culturale di Ollanta (che nella lingua incaica significa “il guerriero che tutto vede”) è tutt’altro che di sinistra, e tanto meno marxista. Il suo movimento, il Partito Nazionalista Peruviano, affonda le radici nella dottrina etnocacerista, una strana (per noi) ideologia che prende il nome dal generale Càceres, presidente della repubblica nell’Ottocento ed eroe della guerra con il Cile. Fondatore e ideologo dell’etnocacerismo è il padre di Ollanta, Isaac Humala, un avvocato con il pallino della politica che ha imposto ai figli tutti nomi di derivazione incaica (ma la madre, Elena Tasso, è di origine italiana). Fondatore dell’Istituto di Studi Etnopolitici, negli scorsi decenni Humala senior ha elaborato una dottrina nazionalista e socialista basata sul riscatto etnico della popolazione di origine india, che in Perù è maggioranza ma a livello politico, economico e sociale non conta quasi nulla.
L’etnocacerismo
http://www.mirorenzaglia.org/wp-content/uploads/2011/04/antauro2_fondo-magazne.jpg (http://www.mirorenzaglia.org/wp-content/uploads/2011/04/antauro2_fondo-magazne.jpg)In Perù molti osservatori hanno apertamente accusato gli etnocaceristi di razzismo e persino di nazismo. Sul finire degli anni Novanta i militanti del partito erano soprattutto reduci della guerricciola di confine con l’Ecuador, avviata nel 1995 dall’allora presidente Fujimori per vecchie questioni di frontiera. Veterani che agitavano la bandiera del nazionalismo peruviano e cavalcavano lo spettro di una “vittoria mutilata”, addossando al “Chino” le colpe per la grave crisi economica e morale in cui era precipitato il Paese andino dopo aver sconfitto, con le buone e molto di più con le cattive, la minaccia del terrorismo maoista di Sendero Luminoso. Ollanta Humala, ufficiale dell’esercito, aveva combattuto entrambe le guerre: quella subdola e scivolosa contro il terrorismo e quella ufficiale contro l’Ecuador. Così come il fratello Antauro, pure lui ufficiale, ancor più radicale nella lotta politica.
Il 29 ottobre del 2000, mentre il regime di Fujimori è scosso dagli scandali giudiziari e la popolarità del “Chino” è in picchiata, i due fratelli Humala, alla testa di una settantina di reduci, assaltano in armi una caserma nella cittadina mineraria di Locumba, denunciando l’illegalità del governo e chiedendo le dimissioni del presidente. Gli etnocaceristi contestano la corruzione imperante, anche ai vertici delle forze armate, e invocano più dignità per i militari e i reduci della guerra. La sollevazione dura un mese, poi gli insorti si arrendono. Poco dopo, grazie anche alla destituzione di Fujimori, i fratelli Humala fruiranno di un’amnistia, anche se verranno per sempre messi ai margini dell’esercito.
Ollanta si dedica agli studi universitari e alla politica, il fratello Antauro invece persegue strade più radicali. Cinque anni dopo, sotto la presidenza Toledo, Antauro Humala ritenta la via del colpo di mano: con un gruppo armato assalta un commissariato ad Andahuaylas, chiedendo le dimissioni del successore di Fijimori e la reintroduzione della vecchia costituzione del 1979. Questa volta le cose finiscono male: nello scontro a fuoco restano uccisi quattro poliziotti e due militanti etnocaceristi e quando Antauro si arrende viene arrestato, processato e condannato a 25 anni di carcere.
La carriera politica
http://www.mirorenzaglia.org/wp-content/uploads/2011/04/emblema.jpg (http://www.mirorenzaglia.org/wp-content/uploads/2011/04/emblema.jpg)I fatti di Andahuaylas peseranno come un macigno sulla carriera politica di Ollanta, che pure aveva preso le distanze dalle pozioni estremiste del fratello. Ritiratosi dall’esercito con il grado di tenente colonnello, nel 2005 Humala fonda il Partito Nazionalista e l’anno successivo si presenta alle elezioni presidenziali: raggiunge il ballottaggio ma l’appoggio di Chàvez (che lo indica ufficialmente come suo amico e futuro alleato) e la presenza nella coalizione di alcune formazioni di estrema sinistra gli costano il voto della classe media, che preferisce il discusso candidato dell’Apra (centrosinistra), Alan Garcia.
Nei cinque anni che l’hanno separato dalle elezioni presidenziali del 2011l, Ollanta ha lavorato soprattutto per rinforzare il partito sul territorio e per rimodellare la sua immagine di “estremista”, prendendo le distanze dall’etnocacerismo di famiglia. Secondo il sociologo Gonzalo Portocarrero, «l’ideologia razzista e autoritaria di Isaac Humala e dell’etnocacerismo, nella versione più “light” di Ollanta risulta accettabile per molti».
Il programma di Ollanta
Nei mesi che hanno preceduto le presidenziali, le posizioni di Humala si sonohttp://www.mirorenzaglia.org/wp-content/uploads/2011/04/Ollanta4.jpeg (http://www.mirorenzaglia.org/wp-content/uploads/2011/04/Ollanta4.jpeg) via via moderate, anche in virtù dei consigli di alcuni “spin doctor” vicini all’ex presidente brasiliano Lula. Ed è probabile che nelle prossime settimane l’ex tenente colonnello debba smussare ancor di più i suoi angoli, in vista di un apparentamento con i moderati di Toledo.
Restano comunque i punti fissi del programma politico del Pnp: nazionalismo; socialismo andino (che rispetta le forme comunitarie tradizionali, i diritti, le proprietà comunali e il patrimonio culturale delle popolazioni di origine india); continuità con l’ideale della Grande Patria latinoamericana di Bolìvar e San Martìn; riferimento alla storia patria, in particolare all’esperienza imperiale degli Incas. E ancora: giustizia sociale, opposizione alla globalizzazione al neoliberismo (i cui principi sono stati inseriti nella Costituzione del 1993 voluta da Fujimori) e modifica del Trattato sul Libero Commercio con gli Usa, interventismo pubblico in economia (aumento del salario minimo, tassa sui profitti del settore minerario, acqua potabile per tutti, servizio sanitario gratuito e incentivi all’agricoltura), estensione dei diritti sindacali.
Un programma che può apparire “di sinistra”, se messo a confronto con la politica della destra neo-liberista; ma che in realtà appartiene a tutti gli effetti al patrimonio ideologico “tercerista” sudamericano, che spesso ha avuto proprio nei militari alcuni fra i suoi più convinti interpreti: da Peròn allo stesso Chàvez, dal messicano Càrdenas al peruviano Velasco, che non a caso figura nel pantheon ideale del Pnp di Ollanta Humala.
Buona parte della sinistra ha appoggiato Humala (non l’Apra, che al primo turno si è avvicinata addirittura al candidato filo-americano Kuczynski), ma il candidato nazionalista persegue la sua strategia di concertazione e coinvolgimento della società peruviana al di fuori degli schemi classici. Nei giorni scorsi ha trovato terreno fertile anche nella Chiesa: è stato ricevuto da Juan Luis Cipriani, potente cardinale primate, che secondo la stampa gli ha strappato un paio di promesse poco digeribili per i progressisti: niente aborto e niente legge sulle coppie di fatto.


Tante altre notizie su www.ariannaeditrice.it (http://www.ariannaeditrice.it/)

Kavalerists
22-03-16, 19:24
Ollanta Humala. Il fasciocomunista peruviano


di Giorgio Ballario - 19/04/2011

Fonte: mirorenzaglia [scheda fonte] (http://ariannaeditrice.it/scheda_fonte.php?id=93)


(http://www.mirorenzaglia.org/2011/04/ollanta-humala-il-fasciocomunista-peruviano/)


(http://www.mirorenzaglia.org/category/internazionale/)
http://www.mirorenzaglia.org/wp-content/uploads/2011/04/ollanta2.jpeg (http://www.mirorenzaglia.org/wp-content/uploads/2011/04/ollanta2.jpeg)Manca oltre un mese e mezzo al ballottaggio del 5 giugno, ma la sfida per diventare presidente del Perù si fa ogni giorno più calda. I due candidati usciti dal primo turno elettorale – Ollanta Humala di “Gana Perù” e Keiko Fujimori di “Fuerza 2011”, rispettivamente con il 31,7 e il 23,5 per cento – stanno affilando le armi in vista del rush finale e soprattutto provano a raggiungere un’intesa con le altre forze politiche rimaste fuori dal ballottaggio.
Finora nulla di ufficiale, ma il populista “di sinistra” (quando si parla di categorie politiche europee, in Sudamerica le virgolette sono d’obbligo) Humala avrebbe incassato l’appoggio dell’ex presidente centrista Alejandro Toledo e persino una certa simpatia del Premio Nobel Mario Vargas Llosa, che pure aveva descritto l’alternativa fra lui e la figlia di Fujimori come «una scelta fra l’Aids e il cancro».
Da parte sua la populista “di destra” ha già sondato il terreno con l’ex sindaco diLima Castañeda e sta tentando un abboccamento con “El Gringo” Kuczynski, l’ex candidato liberista e i filo-americano, espressione delle classi agiate della capitale e della costa. Tutto ciò mentre su Facebook una pagina che invitava le forze armate al colpo di Stato contro Humala raggiungeva in poche ore le duemila adesioni, prima di venir bloccata. A quanto pare, ogni Paese ha i suoi Asor Rosa…
Il guerriero che tutto vede
In attesa delle prossime mosse della lunga campagna elettorale, è http://www.mirorenzaglia.org/wp-content/uploads/2011/04/antauro1.jpg (http://www.mirorenzaglia.org/wp-content/uploads/2011/04/antauro1.jpg)interessante conoscere meglio Ollanta Humala, il favorito, l’uomo che già quattro anni fa andò al ballottaggio in testa e invece venne clamorosamente battuto in “zona Cesarini” da Alan Garcia. La stampa internazionale lo presenta come il candidato di sinistra, socialista e populista, una specie di Chàvez peruviano, insomma, anche se negli ultimi mesi Ollanta ha di gran lunga attenuato le posizioni più radicali e ha preso le distanze dallo scomodo “caudillo” venezuelano.
Nella coalizione che lo sostiene hanno trovato posto minuscoli partiti socialisti e comunisti, ma la formazione politica e culturale di Ollanta (che nella lingua incaica significa “il guerriero che tutto vede”) è tutt’altro che di sinistra, e tanto meno marxista. Il suo movimento, il Partito Nazionalista Peruviano, affonda le radici nella dottrina etnocacerista, una strana (per noi) ideologia che prende il nome dal generale Càceres, presidente della repubblica nell’Ottocento ed eroe della guerra con il Cile. Fondatore e ideologo dell’etnocacerismo è il padre di Ollanta, Isaac Humala, un avvocato con il pallino della politica che ha imposto ai figli tutti nomi di derivazione incaica (ma la madre, Elena Tasso, è di origine italiana). Fondatore dell’Istituto di Studi Etnopolitici, negli scorsi decenni Humala senior ha elaborato una dottrina nazionalista e socialista basata sul riscatto etnico della popolazione di origine india, che in Perù è maggioranza ma a livello politico, economico e sociale non conta quasi nulla.
L’etnocacerismo
http://www.mirorenzaglia.org/wp-content/uploads/2011/04/antauro2_fondo-magazne.jpg (http://www.mirorenzaglia.org/wp-content/uploads/2011/04/antauro2_fondo-magazne.jpg)In Perù molti osservatori hanno apertamente accusato gli etnocaceristi di razzismo e persino di nazismo. Sul finire degli anni Novanta i militanti del partito erano soprattutto reduci della guerricciola di confine con l’Ecuador, avviata nel 1995 dall’allora presidente Fujimori per vecchie questioni di frontiera. Veterani che agitavano la bandiera del nazionalismo peruviano e cavalcavano lo spettro di una “vittoria mutilata”, addossando al “Chino” le colpe per la grave crisi economica e morale in cui era precipitato il Paese andino dopo aver sconfitto, con le buone e molto di più con le cattive, la minaccia del terrorismo maoista di Sendero Luminoso. Ollanta Humala, ufficiale dell’esercito, aveva combattuto entrambe le guerre: quella subdola e scivolosa contro il terrorismo e quella ufficiale contro l’Ecuador. Così come il fratello Antauro, pure lui ufficiale, ancor più radicale nella lotta politica.
Il 29 ottobre del 2000, mentre il regime di Fujimori è scosso dagli scandali giudiziari e la popolarità del “Chino” è in picchiata, i due fratelli Humala, alla testa di una settantina di reduci, assaltano in armi una caserma nella cittadina mineraria di Locumba, denunciando l’illegalità del governo e chiedendo le dimissioni del presidente. Gli etnocaceristi contestano la corruzione imperante, anche ai vertici delle forze armate, e invocano più dignità per i militari e i reduci della guerra. La sollevazione dura un mese, poi gli insorti si arrendono. Poco dopo, grazie anche alla destituzione di Fujimori, i fratelli Humala fruiranno di un’amnistia, anche se verranno per sempre messi ai margini dell’esercito.
Ollanta si dedica agli studi universitari e alla politica, il fratello Antauro invece persegue strade più radicali. Cinque anni dopo, sotto la presidenza Toledo, Antauro Humala ritenta la via del colpo di mano: con un gruppo armato assalta un commissariato ad Andahuaylas, chiedendo le dimissioni del successore di Fijimori e la reintroduzione della vecchia costituzione del 1979. Questa volta le cose finiscono male: nello scontro a fuoco restano uccisi quattro poliziotti e due militanti etnocaceristi e quando Antauro si arrende viene arrestato, processato e condannato a 25 anni di carcere.
La carriera politica
http://www.mirorenzaglia.org/wp-content/uploads/2011/04/emblema.jpg (http://www.mirorenzaglia.org/wp-content/uploads/2011/04/emblema.jpg)I fatti di Andahuaylas peseranno come un macigno sulla carriera politica di Ollanta, che pure aveva preso le distanze dalle pozioni estremiste del fratello. Ritiratosi dall’esercito con il grado di tenente colonnello, nel 2005 Humala fonda il Partito Nazionalista e l’anno successivo si presenta alle elezioni presidenziali: raggiunge il ballottaggio ma l’appoggio di Chàvez (che lo indica ufficialmente come suo amico e futuro alleato) e la presenza nella coalizione di alcune formazioni di estrema sinistra gli costano il voto della classe media, che preferisce il discusso candidato dell’Apra (centrosinistra), Alan Garcia.
Nei cinque anni che l’hanno separato dalle elezioni presidenziali del 2011l, Ollanta ha lavorato soprattutto per rinforzare il partito sul territorio e per rimodellare la sua immagine di “estremista”, prendendo le distanze dall’etnocacerismo di famiglia. Secondo il sociologo Gonzalo Portocarrero, «l’ideologia razzista e autoritaria di Isaac Humala e dell’etnocacerismo, nella versione più “light” di Ollanta risulta accettabile per molti».
Il programma di Ollanta
Nei mesi che hanno preceduto le presidenziali, le posizioni di Humala si sonohttp://www.mirorenzaglia.org/wp-content/uploads/2011/04/Ollanta4.jpeg (http://www.mirorenzaglia.org/wp-content/uploads/2011/04/Ollanta4.jpeg) via via moderate, anche in virtù dei consigli di alcuni “spin doctor” vicini all’ex presidente brasiliano Lula. Ed è probabile che nelle prossime settimane l’ex tenente colonnello debba smussare ancor di più i suoi angoli, in vista di un apparentamento con i moderati di Toledo.
Restano comunque i punti fissi del programma politico del Pnp: 1 -nazionalismo; socialismo andino (che rispetta le forme comunitarie tradizionali, i diritti, le proprietà comunali e il patrimonio culturale delle popolazioni di origine india); continuità con l’ideale della Grande Patria latinoamericana di Bolìvar e San Martìn; riferimento alla storia patria, in particolare all’esperienza imperiale degli Incas. E ancora: giustizia sociale, opposizione alla globalizzazione al neoliberismo (i cui principi sono stati inseriti nella Costituzione del 1993 voluta da Fujimori) e modifica del Trattato sul Libero Commercio con gli Usa, interventismo pubblico in economia (aumento del salario minimo, tassa sui profitti del settore minerario, acqua potabile per tutti, servizio sanitario gratuito e incentivi all’agricoltura), estensione dei diritti sindacali.
Un programma che può apparire “di sinistra”, se messo a confronto con la politica della destra neo-liberista; ma che in realtà appartiene a tutti gli effetti al patrimonio ideologico “tercerista” sudamericano, che spesso ha avuto proprio nei militari alcuni fra i suoi più convinti interpreti: da Peròn allo stesso Chàvez, dal messicano Càrdenas al peruviano Velasco, che non a caso figura nel pantheon ideale del Pnp di Ollanta Humala.
Buona parte della sinistra ha appoggiato Humala (non l’Apra, che al primo turno si è avvicinata addirittura al candidato filo-americano Kuczynski), ma il candidato nazionalista persegue la sua strategia di concertazione e coinvolgimento della società peruviana al di fuori degli schemi classici. Nei giorni scorsi ha trovato terreno fertile anche nella Chiesa: 2 - è stato ricevuto da Juan Luis Cipriani, potente cardinale primate, che secondo la stampa gli ha strappato un paio di promesse poco digeribili per i progressisti: niente aborto e niente legge sulle coppie di fatto.

Tante altre notizie su www.ariannaeditrice.it (http://www.ariannaeditrice.it/)

Interessante... articolo molto interessante, devo dire che ne sapevo davvero poco sul tizio.
Non è di sinistra per la sinistra ufficiale? E chi se ne frega! E' "solo" tercerista, in stile sudamericano? Ottimo!
Io credo che questo: 1-
sia molto più importante di questo: 2-
E se i progressisti non digeriscono ce ne faremo una ragione...:rolleyes:

italicum
23-03-16, 17:12
Tutti i nodi del criminale processo mondialista stanno per arrivare al pettine

:face4:RESISTENZA NAZIONALE: Ennesima conferma: un futuro di disoccupazione e povertà! (http://resistenza-nazionale.blogspot.it/2016/03/ennesima-conferma-un-futuro-di.html)

Cosa ne pensate della focalizzazione sul mondialismo criminale da parte di Resistenza Nazionale? Ci sono altri che focalizzano questo concetto?

LupoSciolto°
23-03-16, 19:07
Tutti i nodi del criminale processo mondialista stanno per arrivare al pettine

:face4:RESISTENZA NAZIONALE: Ennesima conferma: un futuro di disoccupazione e povertà! (http://resistenza-nazionale.blogspot.it/2016/03/ennesima-conferma-un-futuro-di.html)

Cosa ne pensate della focalizzazione sul mondialismo criminale da parte di Resistenza Nazionale? Ci sono altri che focalizzano questo concetto?

Ho spostato il tuo messaggio in questa thread perché, proprio qui, avevo intenzione di intraprendere un dibattito sugli Autonomi Nazionali, sul neostrasserismo e sulla "sinistra nazionale". Non prendertela se ho agito in questo modo, ma credo che sia doveroso inserire le iniziative di RN in questo spazio.:encouragement:

Ho letto l'appello di Resistenza Nazionale e lo trovo pienamente condivisibile. In termini "marxiani" , quanto descritto, è frutto della caduta tendenziale del saggio di profitto ma anche della finanziarizzazione dei mercati.


L'unico modo per uscire da questo tunnel è superare il capitalismo stesso.

Pensare di riformarlo, nei fatti, significherebbe sperare che i padroni del vapore rinuncino ai loro privilegi.


Credo che Resistenza Nazionale abbia delle buone idee, ottime strategie comunicative/organizzative e sia mossa da uno spirito antiplutocratico ormai assente, o quasi, in altre formazioni della destra radicale.


A proposito: RN ritiene di appartenere alla destra radicale? Qual è il suo rapporto con il fascismo storico e con il neofascismo? Collabora con altre formazioni politiche di quell'area?


Sulla questione mondialismo: bisogna avere le idee ben chiare. Cos'è il mondialismo? Per me è il risultato inevitabile di un sistema capitalistico globale e finanziario. Capitalismo che viola le sovranità nazionali, mercifica l'esistente, distrugge i vincoli comunitari, annulla le lingue in nome dell'idioma "unico" (l'inglese) e impone un pensiero anch'esso "unico" (quello liberale-liberista). Se , però, con "mondialismo" intendiamo il piano Kalergi o certe teorizzazioni di Freda, non convengo assolutamente. Esiste un problema legato all'immigrazione. E' innegabile. Ma non è il meticciato la causa dello sfruttamento sociale o dell'assenza di sovranità nazionale.

LupoSciolto°
23-03-16, 19:09
Kavalerists, Gianky e ad altri amici e compagni: intervenite in questa discussione!

Kavalerists
23-03-16, 21:22
Tutti i nodi del criminale processo mondialista stanno per arrivare al pettine

:face4:RESISTENZA NAZIONALE: Ennesima conferma: un futuro di disoccupazione e povertà! (http://resistenza-nazionale.blogspot.it/2016/03/ennesima-conferma-un-futuro-di.html)

Cosa ne pensate della focalizzazione sul mondialismo criminale da parte di Resistenza Nazionale? Ci sono altri che focalizzano questo concetto?
Personalmente ho la massima stima di RN, organizzazione che ha sempre messo in primo piano le analisi sugli effetti deleteri della globalizzazione, di cui l'immigrazione selvaggia è solo una delle tante manifestazioni/effetti, sui livelli dell'occupazione, dignità del lavoro e qualità della vita dei lavoratori, un movimento che decisamente ha sempre considerato maggiormente importanti queste problematiche, oserei dire più concrete, piuttosto che le questioni riguardanti la geopolitica o la politica estera..
A tal proposito vorrei chiedere a @italicum (https://forum.termometropolitico.it/member.php?u=3826) se conosce e cosa ne pensa dell' O.S.R.E. (http://rebellion-sre.fr/) che mi sembrano un'organizzazione interessante nel panorama socialnazionale e rivoluzionario europeo, e forse, se non mi sbaglio, abbastanza vicina alle posizioni di RN.

https://1.bp.blogspot.com/-4k7HA7OlE4o/VtgVjTGgILI/AAAAAAAAB_o/Z7air4jrbss/s400/allied.jpg

http://rebellion-sre.fr/wp-content/uploads/AutocRichesPatrie.jpg

Kavalerists
23-03-16, 21:30
Credo che Resistenza Nazionale abbia delle buone idee, ottime strategie comunicative/organizzative e sia mossa da uno spirito antiplutocratico ormai assente, o quasi, in altre formazioni della destra radicale.


A proposito: RN ritiene di appartenere alla destra radicale? Qual è il suo rapporto con il fascismo storico e con il neofascismo? Collabora con altre formazioni politiche di quell'area?


Sulla questione mondialismo: bisogna avere le idee ben chiare. Cos'è il mondialismo? Per me è il risultato inevitabile di un sistema capitalistico globale e finanziario. Capitalismo che viola le sovranità nazionali, mercifica l'esistente, distrugge i vincoli comunitari, annulla le lingue in nome dell'idioma "unico" (l'inglese) e impone un pensiero anch'esso "unico" (quello liberale-liberista). Se , però, con "mondialismo" intendiamo il piano Kalergi o certe teorizzazioni di Freda, non convengo assolutamente. Esiste un problema legato all'immigrazione. E' innegabile. Ma non è il meticciato la causa dello sfruttamento sociale o dell'assenza di sovranità nazionale.

Personalmente non riesco a considerare RN una formazione di DR, per quello che si intende generalmente con questa definizione ( tipo Forza Nuova, Fiamma Tricolore o addirittura il Nuovo MSI di Saya:facepalmi:... la stessa CasaPound è già abbastanza sui generis a mio modo di vedere ). Troppo forte la spinta sociale, antiplutocratica e antielitarie, e zero menate con clericalismi e tradizionalismi vari, mi sembra.
Lupo, concordo, bisogna avere le idee chiare, è per questo che affermo che il meticciato non è la causa ma la conseguenza dell'assenza di sovranità nazionale.

Kavalerists
23-03-16, 21:56
Trovato questo sul web.
Descrizione interessante e abbastanza veritiera, anche se risalente al 2010.
Quindi più corretto sarebbe cosa ERA...Bisognerebbe chiedersi cosa è oggi, cosa resta del Movimento Antagonista Sinistra Nazionale, a parte il valido quotidiano Rinascita, e ovviamente l'idea di una Sinistra Nazionale, che comunque è altro rispetto alle sorti di un singolo movimento che ad essa si richiama.

"Sinistra Nazionale: cos'è?Così ci descrive WIKIPEDIA, anche se non esaustivamente:
Sinistra Nazionale è un movimento politico erede in parte del Nazi-maoismo degli anni '60 e in parte dell' area che negli anni '70 veniva definita "Nuova Destra" di Alain de Benoist, facente parte dell' area della destra sociale. Riferimenti più remoti di questa ideologia si possono ritrovare nel Sansepolcrismo, in Nicola Bombacci, in "Pensiero Nazionale" di Stanis Ruinas e nell'ultimo fascismo socialisteggiante della "Repubblica Sociale Italiana". Tra i fondatori del "Movimento Antagonista - Sinistra Nazionale" nel 1994 Luigi Costa di Pieve di Cento (BO) e Flavio Laghi di Forlì. Si considerano gli eredi delle lotte di Beppe Niccolai.
Ideologia
Critica nei confronti del comunismo sovietico in quanto avrebbe fraudolentemente tradito le speranze del proletariato e della rivoluzione d'ottobre facendo solamente passare il popolo da un padrone all' altro, un padrone rivelatosi peggiore, lo Stato o che dir si voglia i burocrati.
Sulla base di questo sostengono che il vero socialismo sia quello che Benito Mussolini (da socialista quale, secondo loro, era sempre rimasto) intendeva costruire in Italia prendendo il potere da anticomunista e trasformando un po' alla volta il sistema economico e sociale italiano in comunista, secondo la strategia temporeggiatrice del fabianesimo. Dalle colonne di Pensiero Nazionale Ruinas più volte mandò messaggi in cui esprimeva ai comunisti la sua incapacità di comprenderli: « A costo di passare per un ingenuo, confesso di non comprendere come agli uomini che si autoproclamano rivoluzionari - socialisti, comunisti, anarchici - e che per i loro ideali hanno sofferto la galera e l' esilio, possano plaudire all' Inghilterra plutocratica e all' America trustistica che in nome della democrazia hanno devastato l' Europa »

Quest'area politica ha come scopo la lotta al "Nuovo Ordine Mondiale", l'Europa unita "da Lisbona a Vladivostok", la socializzazione dell'economia e dello Stato, regolati dal corporativismo e dalla meritocrazia ed inseriti in un'ottica di fiscalità monetaria e credito sociale. In molte cose si differenzia dallo stereotipo classico del "fascismo", a differenza del quale la Sinistra Nazionale è:


Comunitarista
Anticlericale
Socialista
Nazionalista
Anticapitalista
Opposta a qualunque forma di "Stato di polizia"

E' antisionista, ma non su basi razziali bensì sociologiche e socioeconomiche. Sinistra Nazionale rivendica come propria la matrice socialista e democratica del Fascismo e ne sconfessa quella dittatoriale reazionaria e conservatrice, a cui fanno riferimento i partiti tipicamente di destra. Alcuni elementi della Sinistra Nazionale ma non tutti ambiscono ad un'unità di azione con l' estrema sinistra comunista.
Il Movimento aveva un mensile "Aurora" ed un sito: Aurora. Alcuni simpatizzanti si sono convertiti all'islam, sono filopalestinesi e professano l'antiamericanismo. In generale sono poco critici nei confronti di Cuba e tra i loro riferimenti politici e culturali si trovano accostati Che Guevara e Rudolf Hess, svastica e falce e martello. In campo storico internazionale ha come referenti ideologici il British Union of Fascists di Oswald Mosley, le SA di Ernst Röhm e Gregor Strasser, l' ala di sinistra della Francia di Vichy di Pierre Drieu La Rochelle, Jacques Doriot, e del belga Léon Degrelle, l' economista e poeta americano Ezra Pound.
Vedono invece in Adolf Hitler il peggior nemico del fascismo, colui il quale è stato la causa della sua sconfitta, secondo essi Adolf "Rothschild" Hitler è stato il miglior agente segreto che il capitalismo internazionale abbia mai avuto.
Criticano la storiografia ufficiale (che essi chiamano "vulgata") ma sostengono di indagare per scoprire la verità tramite il revisionismo, sulla seconda guerra mondiale e sui campi di concentramento tedeschi, ponendo l' accento sui crimini di guerra Alleati e partigiani.
Non riconoscono nella Spagna franchista uno stato fascista, e di conseguenza neanche nelle dittature sudamericane. Attualmente il referente del movimento è il giovane casertano Ernesto Ferrante insieme agli ex dirigenti napoletani di Lotta di Popolo Nando de Angelis ed Aldo Guarino.Vicino alla sinistra nazionale è anche il sito d'informazione http://www.rinascita.eu/ Vanta rapporti di collaborazione con il Partito Bolscevico Nazionale russo e con il Movimento Internazionale Eurasiatista di Aleksandr Gel'evič Dugin."

Sinistra Nazionale: cos'è? - Virgilio Forum (http://forum.virgilio.it/politica-economia/crisi-economica/sinistra-nazionale-cose)



(http://forum.virgilio.it/politica-economia/crisi-economica/sinistra-nazionale-cose)

LupoSciolto°
23-03-16, 22:45
Qua ci sono da fare un paio di precisazioni. Ma chi scrive 'ste cose?

Kavalerists
23-03-16, 23:55
Qua ci sono da fare un paio di precisazioni. Ma chi scrive 'ste cose?
Se ti riferisci al mio post era la pagina di wikipedia, in effetti la ricordo anche io così ( non so chi l'abbia scritta ma credo qualuno del M.A.S.N. ).
Adesso non esiste più e al suo posto c'è questa:
https://it.wikipedia.org/wiki/Nazionalismo_di_sinistra

(https://it.wikipedia.org/wiki/Nazionalismo_di_sinistra)

italicum
24-03-16, 10:41
Ho spostato il tuo messaggio in questa thread perché, proprio qui, avevo intenzione di intraprendere un dibattito sugli Autonomi Nazionali, sul neostrasserismo e sulla "sinistra nazionale". Non prendertela se ho agito in questo modo, ma credo che sia doveroso inserire le iniziative di RN in questo spazio.:encouragement:

Ho letto l'appello di Resistenza Nazionale e lo trovo pienamente condivisibile. In termini "marxiani" , quanto descritto, è frutto della caduta tendenziale del saggio di profitto ma anche della finanziarizzazione dei mercati.


L'unico modo per uscire da questo tunnel è superare il capitalismo stesso.

Pensare di riformarlo, nei fatti, significherebbe sperare che i padroni del vapore rinuncino ai loro privilegi.


Credo che Resistenza Nazionale abbia delle buone idee, ottime strategie comunicative/organizzative e sia mossa da uno spirito antiplutocratico ormai assente, o quasi, in altre formazioni della destra radicale.


A proposito: RN ritiene di appartenere alla destra radicale? Qual è il suo rapporto con il fascismo storico e con il neofascismo? Collabora con altre formazioni politiche di quell'area?


Sulla questione mondialismo: bisogna avere le idee ben chiare. Cos'è il mondialismo? Per me è il risultato inevitabile di un sistema capitalistico globale e finanziario. Capitalismo che viola le sovranità nazionali, mercifica l'esistente, distrugge i vincoli comunitari, annulla le lingue in nome dell'idioma "unico" (l'inglese) e impone un pensiero anch'esso "unico" (quello liberale-liberista). Se , però, con "mondialismo" intendiamo il piano Kalergi o certe teorizzazioni di Freda, non convengo assolutamente. Esiste un problema legato all'immigrazione. E' innegabile. Ma non è il meticciato la causa dello sfruttamento sociale o dell'assenza di sovranità nazionale.

Per quel che ne so, la questione 'fascismo' non ha rilevanza in ambito RN-AN (da quel che mi era stato detto RN viene considerato più come 'concetto' che come gruppo vero e proprio, nel senso che non esistono tessere e gerarchie e l'unico scopo del blog è quello di fare 'informazione di opposizione' e politica 'di strada', a livello del cittadino), poiché ci si concentra principalmente sul presente e sul futuro.

Per quanto riguarda il mondialismo, è un qualcosa di più ampio della globalizzazione capitalista di per se e penso che sia proprio per questa sua natura (criminale) più vasta che sia stato possibile attrarre settori sinistrorsi (ricordarsi che gli stessi 'no global' rifiutavano questa etichetta data loro dai giornali, preferendo, come disse lo stesso Bertinotti, quella di 'New Global').
RN -con cui su sto tema concordo totalmente- avversa la globalizzazione in toto, senza se e senza ma, in tutti i suoi aspetti, sia quelli più propriamente capitalistici che per quelli 'progressisti' (principalmente il multiculturalismo, uno dei nemici più subdoli e insidiosi e, secondo me, uno dei grimaldelli per imporre nei fatti le visioni criminali e liberticide delle oligarchie).

italicum
24-03-16, 10:48
Personalmente non riesco a considerare RN una formazione di DR, per quello che si intende generalmente con questa definizione ( tipo Forza Nuova, Fiamma Tricolore o addirittura il Nuovo MSI di Saya:facepalmi:... la stessa CasaPound è già abbastanza sui generis a mio modo di vedere ). Troppo forte la spinta sociale, antiplutocratica e antielitarie, e zero menate con clericalismi e tradizionalismi vari, mi sembra.
Lupo, concordo, bisogna avere le idee chiare, è per questo che affermo che il meticciato non è la causa ma la conseguenza dell'assenza di sovranità nazionale.



Concordo sulla prima parte, un po' meno sulla seconda. Da quel che ricordo gli attivisti di RN si autodefinivano (e si autodefiniscono) 'antimondialisti' e stop e fanno spesso riferimento alle opere e alle parole di De Benoist, ma anche di Preve, la cui opera 'Nuovi signori, nuovi sudditi' è un pilastro di primaria importanza.

Multiculturalismo e 'meticciato' sono pilastri del Nuovo Ordine Mondiale, su questo non dovrebbero esserci dubbi. E infatti è proprio De Benoist a definire l'immigrazione come 'strumento del padronato', quindi da rifiutarsi totalmente.

italicum
24-03-16, 10:54
Personalmente ho la massima stima di RN, organizzazione che ha sempre messo in primo piano le analisi sugli effetti deleteri della globalizzazione, di cui l'immigrazione selvaggia è solo una delle tante manifestazioni/effetti, sui livelli dell'occupazione, dignità del lavoro e qualità della vita dei lavoratori, un movimento che decisamente ha sempre considerato maggiormente importanti queste problematiche, oserei dire più concrete, piuttosto che le questioni riguardanti la geopolitica o la politica estera..
A tal proposito vorrei chiedere a @italicum (https://forum.termometropolitico.it/member.php?u=3826) se conosce e cosa ne pensa dell' O.S.R.E. (http://rebellion-sre.fr/) che mi sembrano un'organizzazione interessante nel panorama socialnazionale e rivoluzionario europeo, e forse, se non mi sbaglio, abbastanza vicina alle posizioni di RN.





Ogni tanto vado a farmi un giro sul sito di OSRE e lo trovo interessante.....ed è vero,molte tematiche affrontate coincidono con quelle di RN (si veda per il TTIP, ad esempio).
Però RN era parte integrante dell'ACN/AKN, un tentativo di unificare, o perlomeno di dare un indirizzo comune, a certe tendenze nazionali antikap presenti nei diversi paesi europei e che aveva ricevuto supporto da Italia, Olanda, Germania, Grecia, Portogallo e Serbia e da qualche autonomo francese, ma non mi ricordo che OSRE ne facesse parte.

Gianky
24-03-16, 14:12
@Kavalerists (https://forum.termometropolitico.it/member.php?u=7467), @Gianky (https://forum.termometropolitico.it/member.php?u=987) e ad altri amici e compagni: intervenite in questa discussione!

Ritengo l'indigenismo, o socialismo latino indio, di cui fanno parte a pieno titolo anche Humala e il suo movimento, rappresenta non solo un tentativo di riscatto dei nativi latino americani ma deve essere visto anche come un momento di speranza specie per noi europei che siamo veramente ridotti male. Coniugare nazionalismo o meglio patriottismo e giustizia sociale come stanno cercando di fare in Venezuela (anche se siamo messi maluccio.....), Ecuador, Nicaragua, Chiapas, Bolvia e Perù, deve essere di prone e di stimolo anche per questa Europa vecchia, malata e decadente.

Gianky
24-03-16, 14:15
Devo ammettere di non essere troppo entusiasta di movimenti come RN o similari europei, certo ci sono cose buone ed interessanti che vale la pena di approfondire e che vedremo di approfondire.

Kavalerists
24-03-16, 15:14
Multiculturalismo e 'meticciato' sono pilastri del Nuovo Ordine Mondiale, su questo non dovrebbero esserci dubbi. E infatti è proprio De Benoist a definire l'immigrazione come 'strumento del padronato', quindi da rifiutarsi totalmente.
Ah, ma io li rifiuto eccome, multiculturalismo, meticciato e immigrazione incontrollata... mi importa ma molto relativamente stabilire se siano causa o consegueza...

Italicvs
24-03-16, 18:51
@Kavalerists (https://forum.termometropolitico.it/member.php?u=7467), @Gianky (https://forum.termometropolitico.it/member.php?u=987) e ad altri amici e compagni: intervenite in questa discussione!Che dire? Siamo alle solite, con la scusa del fascismo in Italia è impossibile coniugare il nazionalismo di liberazione (nazionalitarismo) con il socialismo pena essere bollati come infiltrati, ambigui o addirittura reazionari. Tuttavia mi preme specificare che un conto è parlare di nazionalitarismo o patriottismo un altro parlare di tribalismo e/o etnicismo, un conto la Patria, la Sovranità e perchè no anche l'Identità un altro è parlare di razze e "blut und boden" concetti per noi estranei che sia chiaro.

Kavalerists
24-03-16, 21:07
Che dire? Siamo alle solite, con la scusa del fascismo in Italia è impossibile coniugare il nazionalismo di liberazione (nazionalitarismo) con il socialismo pena essere bollati come infiltrati, ambigui o addirittura reazionari. Tuttavia mi preme specificare che un conto è parlare di nazionalitarismo o patriottismo un altro parlare di tribalismo e/o etnicismo, un conto la Patria, la Sovranità e perchè no anche l'Identità un altro è parlare di razze e "blut und boden" concetti per noi estranei che sia chiaro.
Assolutamente.:encouragement:
Tra l'altro come diceva "uno":rolleyes:, il razzismo è roba per biondi...
:D

Italicvs
24-03-16, 21:55
Assolutamente.:encouragement:
Tra l'altro come diceva "uno":rolleyes:, il razzismo è roba per biondi...
:DIo sono biondo ma tranquillo non sono razzista. :D

LupoSciolto°
25-03-16, 11:45
Concordo sulla prima parte, un po' meno sulla seconda. Da quel che ricordo gli attivisti di RN si autodefinivano (e si autodefiniscono) 'antimondialisti' e stop e fanno spesso riferimento alle opere e alle parole di De Benoist, ma anche di Preve, la cui opera 'Nuovi signori, nuovi sudditi' è un pilastro di primaria importanza.

Multiculturalismo e 'meticciato' sono pilastri del Nuovo Ordine Mondiale, su questo non dovrebbero esserci dubbi. E infatti è proprio De Benoist a definire l'immigrazione come 'strumento del padronato', quindi da rifiutarsi totalmente.

Ho capito. Quindi gli autonomi nazionali si riconoscono anche nel Preve-pensiero?

Gianky
25-03-16, 12:21
Io ritengo che gli autonomi nazionalisti viaggino nel vecchio ambito fascista, per cui sinceramente non mi interessano, intendiamoci il dialogo è sempre bene accetto (figurarsi se io sono antifascista a 75 anni dalla fine del fascismo), dialogo anche costruttivo e perché no anche di azione eventualmente concordata, ma io sono una cosa separata e diversa da loro (sennò sarei rimasto fascista, seppur sui generis come lo fui in passato)

italicum
26-03-16, 20:40
Io sono biondo ma tranquillo non sono razzista. :D

Che poi anche se lo fossi sono fatti tuoi, fortunatamente ognuno è ancora libero di pensare come vuole e, per adesso, non ci sono Stasi in vista o polizie del pensiero, di qualunque parte siano.
Non c'è crimine peggiore del ricatto conformista! Nel tempo presente ho l’impressione che gli uomini liberi siano un drappello particolarmente esiguo....

italicum
26-03-16, 20:41
Io ritengo che gli autonomi nazionalisti viaggino nel vecchio ambito fascista, per cui sinceramente non mi interessano, intendiamoci il dialogo è sempre bene accetto (figurarsi se io sono antifascista a 75 anni dalla fine del fascismo), dialogo anche costruttivo e perché no anche di azione eventualmente concordata, ma io sono una cosa separata e diversa da loro (sennò sarei rimasto fascista, seppur sui generis come lo fui in passato)

Beh, nel thread sull'olio tunisino tu hai chiaramente esposto tesi mondialiste, quindi direi che certamente difficilmente puoi essere considerato un 'nazionalista'.....

italicum
26-03-16, 20:49
Ho capito. Quindi gli autonomi nazionali si riconoscono anche nel Preve-pensiero?

Magari non tutto, ma per buona parte di (uno di loro mi ha fatto conoscere 'Nuovi signori e nuovi sudditi'), assieme a idee di De Benoist, fratelli Strasser, Drumont, Sorel e molto altro, senza barriere e senza dogmi.

Il bello, da quel che ho capito, è la negazione di una matrice ideologica unica e assoluta, in favore di apporti diversi e tra i più svariati (da cui ho conosciuto chi era Barry Horne, le imprese della Sea Shepherd -che loro hanno incontrato ad Imperia e per cui hanno volantinato-, l'ALF, ecc).

Gianky
26-03-16, 22:03
Beh, nel thread sull'olio tunisino tu hai chiaramente esposto tesi mondialiste, quindi direi che certamente difficilmente puoi essere considerato un 'nazionalista'.....

Infatti non sono nazionalista.

italicum
27-03-16, 18:24
Infatti non sono nazionalista.

Ma certo, non penso vi fossero dubbi. Strano solo che un mondialista frequenti questo forum......

Gianky
27-03-16, 20:25
Ma certo, non penso vi fossero dubbi. Strano solo che un mondialista frequenti questo forum......
Ma che mondialista d'Egitto! Non farmi ridere

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Gianky
28-03-16, 08:53
Beh, nel thread sull'olio tunisino tu hai chiaramente esposto tesi mondialiste, quindi direi che certamente difficilmente puoi essere considerato un 'nazionalista'.....

Per pura curiosità mi piacerebbe sapere dove avrei esposto tesi mondialiste, non è che mi scambi per qualcun altro?:confused:

LupoSciolto°
28-03-16, 12:04
Per favore, evitiamo polemiche tra di noi. E' vero che esistono delle differenze d'opinione, ma non credo che Gianky possa essere definito "mondialista".

Non conosco quella che , al momento, è la sua idea di patria. Forse è l'Eurasia o forse egli sostiene un'Europa "debenoistiana" di piccole patrie. Sul discorso concernente l'olio tunisino, invece, non ho avuto modo di leggere i suoi post.

LupoSciolto°
28-03-16, 12:05
Magari non tutto, ma per buona parte di (uno di loro mi ha fatto conoscere 'Nuovi signori e nuovi sudditi'), assieme a idee di De Benoist, fratelli Strasser, Drumont, Sorel e molto altro, senza barriere e senza dogmi.

Il bello, da quel che ho capito, è la negazione di una matrice ideologica unica e assoluta, in favore di apporti diversi e tra i più svariati (da cui ho conosciuto chi era Barry Horne, le imprese della Sea Shepherd -che loro hanno incontrato ad Imperia e per cui hanno volantinato-, l'ALF, ecc).

Ho notato una marcata attenzione da parte degli Autonomi Nazionalisti nei confronti dell'ambientalismo e dell'animalismo. Tu sei vegano?

Gianky
28-03-16, 14:08
Per favore, evitiamo polemiche tra di noi. E' vero che esistono delle differenze d'opinione, ma non credo che Gianky possa essere definito "mondialista".

Non conosco quella che , al momento, è la sua idea di patria. Forse è l'Eurasia o forse egli sostiene un'Europa "debenoistiana" di piccole patrie. Sul discorso concernente l'olio tunisino, invece, non ho avuto modo di leggere i suoi post.
Hai azzeccato entrambe le definizioni. Riguardo alla famosa discussione sull'olio tunisino piacerebbe saperla anche a me. [emoji6]

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italicum
28-03-16, 15:21
Hai azzeccato entrambe le definizioni. Riguardo alla famosa discussione sull'olio tunisino piacerebbe saperla anche a me. [emoji6]

Inviato dal mio GT-I9505 utilizzando Tapatalk

Eccomi, te lo ricordo io: thread in merito a quella porcata (votata dagli infami del PD, fortemente voluta dai neoliberisti della EU) riguardante l'importazione coatta di vagonate di olio tunisino:

Post di Gianky:"A me basta che mettano chiaro l'etichetta sulle bottiglie,poi ognuno è liberissimo di prendersi un olio d'oliva a 3 euro al litro. Ioposso anche prenderlo per oliare le serrature, ma voglio che ci sia l'etichettacon l'origine in bella vista."
https://forum.termometropolitico.it/695148-olio-tunisino-senza-dazi-l-ok-della-ue-coldiretti-un-errore-3.html
(https://forum.termometropolitico.it/695148-olio-tunisino-senza-dazi-l-ok-della-ue-coldiretti-un-errore-3.html)
E mia risposta:

"azzo, e tu saresti un antiglobalista? Va bene qualsiasiporcata, l'importante è che ci siano 2 righe sull'etichetta.
E poi il giorno chetutti i produttori italiani saranno spazzati via da queste forme insulse di'competizione' liberista o saranno costretti per sopravvivere a mischiare aloro volta gli olii (dando vita a prodotti totalmente manipolati, adulterati econtraffatti) allora saremo tutti contenti, specie i globalisti coi soldi chespeculano sulle nostre vite e sui nostri bisogni...."

Ergo, evitiamo le paturnie in stile amati75, nel thread sull'olio tunisino hai espresso una posizione di puro fiancheggiamento dei voleri delle oligarchie neoliberiste mondialiste e chiaramente antinazionale, checchè tu ne pensa e dica.

italicum
28-03-16, 15:26
Per favore, evitiamo polemiche tra di noi. E' vero che esistono delle differenze d'opinione, ma non credo che Gianky possa essere definito "mondialista".

Non conosco quella che , al momento, è la sua idea di patria. Forse è l'Eurasia o forse egli sostiene un'Europa "debenoistiana" di piccole patrie. Sul discorso concernente l'olio tunisino, invece, non ho avuto modo di leggere i suoi post.

Ho riportato il suo post con link, giusto per chiarire. Un minimo di coerenza dovrebbe esserci, altrimenti è inutile postare frasette ad effetto come "Io ritengo che gli autonomi nazionalisti viaggino nel vecchio ambito fascista" quando poi, nel momento in cui si parla di economia e liberoscambismo -dove non ci dovrebbero essere dubbi, assolutamente- ci si accoda con leggerezza e superficialità a posizioni smaccatamente neoliberiste.

italicum
28-03-16, 15:29
Ho notato una marcata attenzione da parte degli Autonomi Nazionalisti nei confronti dell'ambientalismo e dell'animalismo. Tu sei vegano?

Vegano no, ma sto riducendo più che posso l'utilizzo di carni.

Sinistra Anti-PD
28-03-16, 19:52
Vegano no, ma sto riducendo più che posso l'utilizzo di carni.

Perché?

Gianky
28-03-16, 20:42
Ho riportato il suo post con link, giusto per chiarire. Un minimo di coerenza dovrebbe esserci, altrimenti è inutile postare frasette ad effetto come "Io ritengo che gli autonomi nazionalisti viaggino nel vecchio ambito fascista" quando poi, nel momento in cui si parla di economia e liberoscambismo -dove non ci dovrebbero essere dubbi, assolutamente- ci si accoda con leggerezza e superficialità a posizioni smaccatamente neoliberiste.

Ossignore per una etichetta la fai così lunga e tiri di mezzo i massimi sistemi, rilassati e prenditi meno sul serio.

Gianky
28-03-16, 20:44
Eccomi, te lo ricordo io: thread in merito a quella porcata (votata dagli infami del PD, fortemente voluta dai neoliberisti della EU) riguardante l'importazione coatta di vagonate di olio tunisino:

Post di Gianky:"A me basta che mettano chiaro l'etichetta sulle bottiglie,poi ognuno è liberissimo di prendersi un olio d'oliva a 3 euro al litro. Ioposso anche prenderlo per oliare le serrature, ma voglio che ci sia l'etichettacon l'origine in bella vista."
https://forum.termometropolitico.it/695148-olio-tunisino-senza-dazi-l-ok-della-ue-coldiretti-un-errore-3.html
(https://forum.termometropolitico.it/695148-olio-tunisino-senza-dazi-l-ok-della-ue-coldiretti-un-errore-3.html)
E mia risposta:

"azzo, e tu saresti un antiglobalista? Va bene qualsiasiporcata, l'importante è che ci siano 2 righe sull'etichetta.
E poi il giorno chetutti i produttori italiani saranno spazzati via da queste forme insulse di'competizione' liberista o saranno costretti per sopravvivere a mischiare aloro volta gli olii (dando vita a prodotti totalmente manipolati, adulterati econtraffatti) allora saremo tutti contenti, specie i globalisti coi soldi chespeculano sulle nostre vite e sui nostri bisogni...."

Ergo, evitiamo le paturnie in stile amati75, nel thread sull'olio tunisino hai espresso una posizione di puro fiancheggiamento dei voleri delle oligarchie neoliberiste mondialiste e chiaramente antinazionale, checchè tu ne pensa e dica.


Minkia, che anziché essere un rossobruno io sia un raymondinista infiltrato?:D

italicum
28-03-16, 23:19
Ossignore per una etichetta la fai così lunga e tiri di mezzo i massimi sistemi, rilassati e prenditi meno sul serio.

complimenti, applausi, per te probabilmente sarà solo un'etichetta ma per altri, circa 1/3 dei produttori ITALIANI, è questione di poter avere un futuro oppure no. Ma a te tanto chettifrega, tanto c'hai sicuramente il culetto parato e puoi giocare a fare l'antifascista chiccoso sui forum.

Comunque una cosa si è capita: i tuoi post sono una beffa, tanto, come ci dici, l'importante è rilassarsi e prendersi poco sul serio.

italicum
28-03-16, 23:21
Minkia, che anziché essere un rossobruno io sia un raymondinista infiltrato?:D

'minkia':facepalmi:......questo c'avrà 16 anni se va bene:face4:

Kavalerists
28-03-16, 23:29
complimenti, applausi, per te probabilmente sarà solo un'etichetta ma per altri, circa 1/3 dei produttori ITALIANI, è questione di poter avere un futuro oppure no. Ma a te tanto chettifrega, tanto c'hai sicuramente il culetto parato e puoi giocare a fare l'antifascista chiccoso sui forum.

Comunque una cosa si è capita: i tuoi post sono una beffa, tanto, come ci dici, l'importante è rilassarsi e prendersi poco sul serio.


'minkia':facepalmi:......questo c'avrà 16 anni se va bene:face4:
Boni, state boni...chiaritevi con calma.
Italicum, Gianky non è affatto un antifascista, dogmatico e pretesco alla raymondino, poi ognuno sul fascismo la vede liberamente come vuole.
Quanto al "culo parato" e all'età, credo che l'età di Gianky sia 16 anni...ma probabilmente con le due cifre messe al contrario:)... e vorrei pur vedere che a quell'età non ce l'avesse almeno un pò il "culo parato"...:D

Gianky
29-03-16, 08:18
'minkia':facepalmi:......questo c'avrà 16 anni se va bene:face4:

Anche raymondino mi rompe sempre le palle con questa minKia, dice che son troppo vecchio per usarla, tu dici che son troppo giovane, la cosa è che essendo un vecchio gentiluomo ho un po' di pudore a scriverla come si dovrebbe. Antifascista io?:facepalmi:

Avanguardia
29-03-16, 10:01
Io sono un universalista, sogno l' Impero anche mondiale sotto il segno del Littorio! Non sono un nazionalista, al limite potrei essere sardista.
Venendo al problema dell' olio tunisino, l' impero universale comporta paradossalmente economie localistiche di autoconsumo, autarchiche quanto più possibile, per cui se la penisola italiana è in grado di produrre da se l' olio d' oliva non è il caso di importarlo, la regione tunisina può produrre l' olio per se ed esportare le eccedenze in zone dove quell' olio non può essere auto-prodotto.

italicum
29-03-16, 11:43
Anche raymondino mi rompe sempre le palle con questa minKia, dice che son troppo vecchio per usarla, tu dici che son troppo giovane, la cosa è che essendo un vecchio gentiluomo ho un po' di pudore a scriverla come si dovrebbe. Antifascista io?:facepalmi:

Sarai pure, a tuo dire, un 'gentiluomo', ma sulla questione dell'olio tunisino hai sbagliato e anche alla grande. Il non riconoscerlo e, anzi, il sminuire il tutto con una frasetta quale "ossignore per un etichetta..." ha solo evidenziato la superficialità con cui tratti certe tematiche, che nella VITA REALE hanno delle conseguenze per molti nostri concittadini. Contento tu....

Quanto a raymondino, mi sa che su tematiche come l'olio tunisino e gli autonomi nazionalisti (dei 'fascisti' per te) la pensate allo stesso modo.

Kavalerists
29-03-16, 14:22
Gianky e Italicum, però adesso dateci un taglio comunque, sia perchè siete andati troppo sul personale e sia perchè siete abbondantemente OT col contenuto del thread. Grazie.

Gianky
29-03-16, 15:34
Gianky e Italicum, però adesso dateci un taglio comunque, sia perchè siete andati troppo sul personale e sia perchè siete abbondantemente OT col contenuto del thread. Grazie.

Agli ordini anche se io proprio non ho scritto nulla se non ribattere a certe affermazioni del buon Italicum, comunque, obbedisco!;)

LupoSciolto°
29-03-16, 17:37
Esatto: evitiamo battibecchi personali e rimaniamo in tema. Questa sezione, come quella sul comunismo novecentesco e quella dedicata agli stati "terzisti", si pone lo scopo di approfondire le varie forme di pensiero nazionale e anticapitalista.

Berjia
04-04-16, 19:42
Kavalerists , italicum

Sapreste indicarmi alcuni siti/blog di orientamento "strasseriano" (quindi NON hitleriano) in lingua italiana, inglese, francese o spagnola?

Vi ringrazio già da ora.

Kavalerists
04-04-16, 20:45
@Berjia


(http://elfrentenegro.blogspot.it/)https://causarevolucionaria.wordpress.com/tag/anticapitalismo/

El Frente Negro (http://elfrentenegro.blogspot.it/)

Rébellion - La revue de l'OSRE (http://rebellion-sre.fr/)NAZ-BOL: Otto Strasser, "Die Schwarze Front" e la via tedesca al socialismo, di Luigi Carlo Schiavone (http://naz-bol.blogspot.it/2010/01/otto-strasser-die-schwarze-front-e-la.html)

(http://www.counter-currents.com/2011/05/otto-strassers-new-europe-part-one/)Otto Strasser's "New Europe," Part 1 | Counter-Currents Publishing (http://www.counter-currents.com/2011/05/otto-strassers-new-europe-part-one/)

Hitler and I, by Otto Strasser (http://mailstar.net/otto-strasser-hitler.html)

https://archive.org/stream/OttoStrasserSocial-nationalism/Strasserism_djvu.txt

"Die Schwarze Front": i fratelli Otto e Gregor Strasser e la corrente socialista rivoluzionaria e antimperialista del nazionalsocialismo fatta fuori dal regime nazista ~ Informazione Consapevole (http://informazioneconsapevole.blogspot.it/2015/06/die-schwarze-front-i-fratelli-strasser.html)

Berjia
04-04-16, 20:51
La RSE pare molto valida.

Kavalerists
04-04-16, 20:58
La RSE pare molto valida.

I francesi dell'OSRE vuoi dire? Sì, li stima molto anche Alain de Benoist, e in uno degli ultimi capitoli del suo libro "Sull'orlo del baratro. Il fallimento annunciato del sistema denaro." dedica a questa organizzazione molte parole di elogio.

Berjia
04-04-16, 21:51
I francesi dell'OSRE vuoi dire? Sì, li stima molto anche Alain de Benoist, e in uno degli ultimi capitoli del suo libro "Sull'orlo del baratro. Il fallimento annunciato del sistema denaro." dedica a questa organizzazione molte parole di elogio.

Ovviamente niente di simile in Italia:culpability:

Kavalerists
04-04-16, 22:09
Ovviamente niente di simile in Italia:culpability:
No davvero, purtroppo.:(

Berjia
05-04-16, 15:29
Proverò a contattare i compagni di OSRE. Pare che abbiano molti punti di contatto con noi e non disdegnano le analisi di Preve.

Kavalerists
04-05-16, 22:05
Nicola Bombacci, ricordo di un rivoluzionario 27 aprile 2016 (http://www.azioneculturale.eu/2016/04/) Alessandro Catto (http://www.azioneculturale.eu/author/ale-cat/) Ideologie (http://www.azioneculturale.eu/category/ideologie/)
http://www.azioneculturale.eu/wp-content/uploads/2016/04/Bombacci-e-Lenin.jpg Quando fu fucilato il 28 aprile 1945, sul documento che attestava la condanna a morte di Nicola Bombacci fu scritto dal tribunale partigiano “Supertraditore”. Ma fu effettivamente il romagnolo un traditore? Nonostante le numerose accuse infamanti, ad oggi Bombacci resta invece un fiero esempio di avanguardia politica e ideale.
Dirigente di spicco del Partito Socialista Italiano e in seguito tra i fondatori del Partito Comunista d’Italia, Nicola Bombacci rappresentò sempre l’ala rivoluzionaria del PSI preferendo all’immobilità del partito la dinamicità dei soviet di Lenin, di cui fu sempre grande ammiratore. Nemico degli squadristi nel biennio rosso, il “kaiser di Modena” caratterizzò la sua azione politica in nome della rivoluzione rossa intrattenendo rapporti con l’URSS e partecipando al II congresso dell’Internazionale Comunista.
In poco tempo ebbe a trovarsi in minoranza rispetto alle due principali correnti del partito, quella ordinovista di Antonio Gramsci e quella astensionista, venendo cacciato dai centri direttivi nel ’23 (l’accusa era quella di aver teorizzato una possibile rivoluzione guidata da fascisti e comunisti) per poi essere subito reintegrato durante il periodo degli arresti sotto il governo fascista. Rappresentante della delegazione italiana alla morte di Lenin, Bombacci iniziò a lavorare all’ambasciata russa a Roma ed è in questo periodo che fonda la rivista “l’Italo-Russa”, di lì a poco i rapporti col partito iniziano a deteriorarsi finché non verrà definitivamente espulso nel 1927 per “indegnità politica”.
Dopo il periodo di inattività politica, Bombacci si riavvicina a Mussolini (ex compagno di partito e amico dal 1906) che appoggia la fondazione di una nuova rivista : “La Verità”. Questa, seppur vicina alle posizione del regime, rappresenta la voce di quegli esponenti socialisti vicini al fascismo e si opporrà alla linea di Farinacci e Starace.
Bombacci potrà scriverci fino alla caduta del Fascismo per poi aderire, dopo l’8 settembre, alla Repubblica Sociale Italiana. L’adesione all’RSI è considerata dai comunisti la più grande infamia da attribuire all’ex compagno, ma la presa di posizione del politico romagnolo risulta a ben vedere una scelta comprensibile all’interno di un pensiero realmente rivoluzionario, posizione sottolineata dal suo discorso alle camicie nere del 15 marzo 1945.
« Compagni! Guardatemi in faccia, compagni! Voi ora vi chiederete se io sia lo stesso agitatore socialista, il fondatore del Partito comunista, l’amico di Lenin che sono stato un tempo. Sissignori, sono sempre lo stesso! Io non ho mai rinnegato gli ideali per i quali ho lottato e per i quali lotterò sempre!»
Sotto il governo di Salò, Bombacci divenne uno dei più fidati consiglieri di Mussolini e convinto propugnatore delle teorie di riforma sociale, e venne inoltre accreditato come padre della socializzazione. Partecipò al congresso di Verona e diede un enorme contributo alla causa repubblicana senza mai rinnegare le sue origini; il trionfo del lavoro e la tutela del proletariato sono sempre state le istanze a lui più care, come dimostrato dai numerosi comizi agli operai tenuti durante la guerra civile e il nobile intento di realizzare quella rivoluzione impossibile.
Non rinnegò la sua fede neanche in punto di morte quando prima di essere fucilato gridò “Viva l’Italia! Viva il Socialismo!” La pecora nera fu appesa il 29 aprile a Piazzale Loreto accanto a Benito Mussolini, suo ex compagno, amico e nemico. Fu Nicola Bombacci un traditore? O a tradire sono stati i “puri” che hanno ucciso il rivoluzionario e ne hanno fatto scempio?

Nicola Bombacci, ricordo di un rivoluzionarioAzione Culturale (http://www.azioneculturale.eu/2016/04/nicola-bombacci-ricordo-di-un-rivoluzionario/)

Lèon Kochnitzky
04-05-16, 22:08
m'incazzo che non ristampano la biografia, su bombacci che pubblicò mondadori secoli fa.

italicum
05-05-16, 12:38
Ovviamente niente di simile in Italia:culpability:

Si qualcosa c'è, ed è anche antecedente ad OSRE, visto che il primo gruppo risale al 2007, seguendo l'esempio della NSA olandese e degli AN tedeschi e cechi.

In Italia gli unici a supportare l'ACN/AKN (il primo ed unico tentativo di 'internazionalizzare' l'anticapitalismo/antimondialismo a livello europeo seguendo il concetto di network), di cui sono stati anche fondatori, e tra i primi a cercare di puntare l'attenzione su tematiche 'scomode' o occupate dai 'rossi', come il TTIP (manifestazione a metà gennaio 2015, quando ancora quasi nessuno in Italia parlava di TTIP, con volantini già dal giugno 2014), la lotta alla Tav, alla precarietà, ecc.

RESISTENZA NAZIONALE (http://resistenza-nazionale.blogspot.it/)

LupoSciolto°
05-05-16, 18:44
Si qualcosa c'è, ed è anche antecedente ad OSRE, visto che il primo gruppo risale al 2007, seguendo l'esempio della NSA olandese e degli AN tedeschi e cechi.

In Italia gli unici a supportare l'ACN/AKN (il primo ed unico tentativo di 'internazionalizzare' l'anticapitalismo/antimondialismo a livello europeo seguendo il concetto di network), di cui sono stati anche fondatori, e tra i primi a cercare di puntare l'attenzione su tematiche 'scomode' o occupate dai 'rossi', come il TTIP (manifestazione a metà gennaio 2015, quando ancora quasi nessuno in Italia parlava di TTIP, con volantini già dal giugno 2014), la lotta alla Tav, alla precarietà, ecc.

RESISTENZA NAZIONALE (http://resistenza-nazionale.blogspot.it/)

Capisco.

Mi sembra che da parte di ACN/AKN ci sia una certa "sinofobia". Intendiamoci: la Cina non è per me un paese socialista né un modello da imitare. Però bisogna riconoscere almeno il suo ruolo geostrategico.

Una domanda: quali sono i 5 punti del movimento?

LupoSciolto°
05-05-16, 18:47
Su Bombacci, personalmente, continuo a nutrire moltee riserve. Senz'altro fu un uomo in buona fede che credette in un riscatto "socialista" da parte dell'ultimo Mussolini. Ma, a conti fatti, per me quella che scelse fu la parte "sbagliata". Certo, la legge sulla socializzazione (o meglio: COGESTIONE) poteva essere mantenuta anche nell'Italia repubblicana. Eppure il CLN la cancellò.

LupoSciolto°
05-05-16, 18:51
A proposito: perché i fascisti parlano di "socializzazione" quando, nella realtà, né Mussolini né altri gerarchi volevano l'abolizione della proprietà privata? Per me la socializzazione propriamente detta , comporta l'abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione e la parallela gestione operaia.

Invece nel Manifesto di Verona si legge: " La proprietà privata, frutto del lavoro e del risparmio individuale, integrazione della personalità umana, è garantita dallo Stato."

Kavalerists
05-05-16, 19:06
A proposito: perché i fascisti parlano di "socializzazione" quando, nella realtà, né Mussolini né altri gerarchi volevano l'abolizione della proprietà privata? Per me la socializzazione propriamente detta , comporta l'abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione e la parallela gestione operaia.

Invece nel Manifesto di Verona si legge: " La proprietà privata, frutto del lavoro e del risparmio individuale, integrazione della personalità umana, è garantita dallo Stato."

Il Fascismo non è mai stato contro la proprietà privata, ma contrario all'utilizzo della stessa come mezzo di profitto esclusivamente individuale e a discapito dell'interesse collettivo/nazionale ( di Mussolini erano le testuali parole " la proprietà è sacrosanta finchè non diviene un insulto alla miseria" ). Si parlava quindi di socializzazione, appunto, non di esproprio. L'autogestione operaia, cui tu evidentemente ti riferisci, è un'altra cosa.

LupoSciolto°
05-05-16, 19:16
Il Fascismo non è mai stato contro la proprietà privata, ma contrario all'utilizzo della stessa come mezzo di profitto esclusivamente individuale e a discapito dell'interesse collettivo/nazionale ( di Mussolini erano le testuali parole " la proprietà è sacrosanta finchè non diviene un insulto alla miseria" ). Si parlava quindi di socializzazione, appunto, non di esproprio. L'autogestione operaia, cui tu evidentemente ti riferisci, è un'altra cosa.

Capisco. Però le parole hanno un significato preciso.

Vado su google, digito "socializzazione" e leggo:

"L'instaurazione di un regime economico socialista; part., la trasformazione, da privata in pubblica, della proprietà dei mezzi di produzione e di gestione delle imprese (nell'uso comune, talvolta in luogo di nazionalizzazione o distatalizzazione ).

Cosa un po' diversa dalla Carta di Verona che, a mio avviso, può essere interpretata come una forma di "cogestione" all'interno di un ordinamento corporativo.

Anche "autogestione" sembra essere sinonimo di socializzazione

"Forma di organizzazione e di direzione dell'impresa caratterizzata dalla proprietà dei mezzi di produzione e dalla piena partecipazione dei lavoratori ai processi decisionali.
L'autogestione non è da confondere con la cogestione (v.), in cui la gestione dell'impresa è affidata congiuntamente ai lavoratori e ai rappresentanti del capitale. "

Kavalerists
05-05-16, 19:45
Capisco. Però le parole hanno un significato preciso.

Vado su google, digito "socializzazione" e leggo:

"L'instaurazione di un regime economico socialista; part., la trasformazione, da privata in pubblica, della proprietà dei mezzi di produzione e di gestione delle imprese (nell'uso comune, talvolta in luogo di nazionalizzazione o distatalizzazione ).

Cosa un po' diversa dalla Carta di Verona che, a mio avviso, può essere interpretata come una forma di "cogestione" all'interno di un ordinamento corporativo.

Anche "autogestione" sembra essere sinonimo di socializzazione

"Forma di organizzazione e di direzione dell'impresa caratterizzata dalla proprietà dei mezzi di produzione e dalla piena partecipazione dei lavoratori ai processi decisionali.
L'autogestione non è da confondere con la cogestione (v.), in cui la gestione dell'impresa è affidata congiuntamente ai lavoratori e ai rappresentanti del capitale. "

Google può dire ciò che vuole, ma io non credo che nella RSI, e in quello che era il momento storico e la situazione politica in cui si trovava ad esistere la RSI, Bombacci e gli altri che misero mano alla scrittura della legge sulla socializzazione avessero in mente di passare al socialismo tout court, come era stato drasticamente inteso in Russia, con l'abolizione totale della proprietà privata, né che in quel momento potessero farlo. Credo essi avessero in mente un sistema "misto", chiamalo pure cogestione se vuoi, che comunque nelle intenzione doveva essere una forma di passaggio e di graduale trasformazione ( pragmatismo e gradualità sono tipici della mentalità politica fascista ) verso una forma più spinta di autogestione del lavoro e della produzione da parte dei lavoratori, ma non si può dire, col senno di poi col quale stiamo ragionando ora, se fosse considerata in prospettiva l'abolizione totale della proprietà privata, se non forse in una prospettiva di lungo periodo.
In ogni caso, rispetto alla situazione nel resto dell'Europa, anche e soprattutto nelle democrazie, essa avrebbe rappresentato se attuata un passaggio ad una fase più avanzata verso il socialismo, anche se un socialismo diverso da quello bolscevico sovietico.

italicum
05-05-16, 21:09
Capisco.

Mi sembra che da parte di ACN/AKN ci sia una certa "sinofobia". Intendiamoci: la Cina non è per me un paese socialista né un modello da imitare. Però bisogna riconoscere almeno il suo ruolo geostrategico.

Una domanda: quali sono i 5 punti del movimento?

La Cina è zeppa di multi americane ormai da anni ed è la punta di diamante della globalizzazione che sta affondando le classi non privilegiate europee. E' nel WTO e punta accanitamente allo status di 'economia di mercato'. E' un paese imperialista, anche se per ora riesce a cammuffarsi bene. E', al pari degli USA, un nemico per i non privilegiati nazionali. Senza se e senza ma.

I 5 punti in italiano (tra l'altro, so che sono stati scritti da un italiano di RN e del network 'Stop capitalismo' dopo l'incontro internazionale di Milano di dicembre 2011 e approvati dagli altri gruppi europei presenti (olandesi, tedeschi, svizzeri e in seguito da greci, francesi, portoghesi e serbi):

https://acnakn.wordpress.com/italian/

italicum
05-05-16, 21:10
Il Fascismo non è mai stato contro la proprietà privata, ma contrario all'utilizzo della stessa come mezzo di profitto esclusivamente individuale e a discapito dell'interesse collettivo/nazionale ( di Mussolini erano le testuali parole " la proprietà è sacrosanta finchè non diviene un insulto alla miseria" ). Si parlava quindi di socializzazione, appunto, non di esproprio. L'autogestione operaia, cui tu evidentemente ti riferisci, è un'altra cosa.

"la proprietà è sacrosanta finchè non diviene un insulto alla miseria"....approvo in toto!

LupoSciolto°
05-05-16, 21:12
Google può dire ciò che vuole, ma io non credo che nella RSI, e in quello che era il momento storico e la situazione politica in cui si trovava ad esistere la RSI, Bombacci e gli altri che misero mano alla scrittura della legge sulla socializzazione avessero in mente di passare al socialismo tout court, come era stato drasticamente inteso in Russia, con l'abolizione totale della proprietà privata, né che in quel momento potessero farlo. Credo essi avessero in mente un sistema "misto", chiamalo pure cogestione se vuoi, che comunque nelle intenzione doveva essere una forma di passaggio e di graduale trasformazione ( pragmatismo e gradualità sono tipici della mentalità politica fascista ) verso una forma più spinta di autogestione del lavoro e della produzione da parte dei lavoratori, ma non si può dire, col senno di poi col quale stiamo ragionando ora, se fosse considerata in prospettiva l'abolizione totale della proprietà privata, se non forse in una prospettiva di lungo periodo.
In ogni caso, rispetto alla situazione nel resto dell'Europa, anche e soprattutto nelle democrazie, essa avrebbe rappresentato se attuata un passaggio ad una fase più avanzata verso il socialismo, anche se un socialismo diverso da quello bolscevico sovietico.

Non so se si trattò di propaganda tardo-fascista per ingraziarsi le simpatie delle massi lavoratrici (anche se soggetti come Bombacci ci credevano davvero!), però la legge sulla c.d. "socializzazione" poteva essere mantenuta dal CLN. Avrebbe potuto scriverla pure Nixon o Sharon. Chissenefrega! Era comunque uno strumento che rendeva i lavoratori maggiormente partecipi. La cogestione, perché di questo si trattava, la ritengo un passo importante nell'emancipazione del lavoro. In quanto comunista e anticapitalista, però, credo che l'obiettivo vero e proprio sia l'abolizione della proprietà privata dei mezzi dei produzione. Uniche eccezioni le aziende a gestione familiare o le attività commerciali e artigiane.

PS: voglio ricordare che i più accaniti avversari del processo "socializzatore" erano i crucchi. Per loro si trattava di "deriva bolscevica" e un ostacolo alla produzione bellica.

LupoSciolto°
05-05-16, 21:16
La Cina è zeppa di multi americane ormai da anni ed è la punta di diamante della globalizzazione che sta affondando le classi non privilegiate europee. E' nel WTO e punta accanitamente allo status di 'economia di mercato'. E' un paese imperialista, anche se per ora riesce a cammuffarsi bene. E', al pari degli USA, un nemico per i non privilegiati nazionali. Senza se e senza ma.

Capisco cosa intendi e in gran parte condivido. Però è tristemente necessaria ANCHE la sua presenza in un mondo multipolare. Senza multipolarismo...USraele ha carta bianca per fare tutto ciò che vuole.


I 5 punti in italiano (tra l'altro, so che sono stati scritti da un italiano di RN e del network 'Stop capitalismo' dopo l'incontro internazionale di Milano di dicembre 2011 e approvati dagli altri gruppi europei presenti (olandesi, tedeschi, svizzeri e in seguito da greci, francesi, portoghesi e serbi):

https://acnakn.wordpress.com/italian (https://acnakn.wordpress.com/italian/)/

Ti ringrazio per il link

Gianky
05-05-16, 21:16
La socializzazione intesa nella Carta di Verona mi trova concorde, nel Socialismo che sogno io la proprietà privata è contemplata.

LupoSciolto°
08-05-16, 18:27
Dean M.

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N-A: home page - Nazional-Anarchismo: dalla Resistenza alla Rivoluzione! (http://nazionalanarchismo.jimdo.com/)

Lèon Kochnitzky
08-05-16, 19:56
@Dean M. (https://forum.termometropolitico.it/member.php?u=14367)

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N-A: home page - Nazional-Anarchismo: dalla Resistenza alla Rivoluzione! (http://nazionalanarchismo.jimdo.com/)

ciao lupo, conosco il fenomeno e sembrano interessanti, ma ovviamente marginali. Il punto è che il mio concetto di legame alla comunità non ha niente di nazionalistico (altrmenti entrerebbe in conflitto con l'individualismo). L'amore della patria è un riflesso dell'amore di se stessi: amando te stesso non puoi esimerti dall'amare il gruppo a cui appartieni. Senza per questo ritenerlo superiore agli altri o desiderare la sua espansione (come già immagina l'imperialismo eurasiatista in ottica anti-usa).

Avanguardia
08-05-16, 20:32
Nella Repubblica Sociale Italiana, oltre alla cogestione riassunta nella socializzazione, si diede impulso alla diffusione del modello delle cooperative in settori come commercio, agricoltura e piccole industrie; poi si stabiliva la nazionalizzazione di vari settori.

LupoSciolto°
09-05-16, 10:25
Nella Repubblica Sociale Italiana, oltre alla cogestione riassunta nella socializzazione, si diede impulso alla diffusione del modello delle cooperative in settori come commercio, agricoltura e piccole industrie; poi si stabiliva la nazionalizzazione di vari settori.

Più che cooperative...direi corporazioni. Comunque è un dato assodato che i tedeschi vedevano di cattivo occhio la legge sulla socializzazione e, sicuramente, orribili soggetti come Valerio Junio Borghese l'avrebbero osteggiata (http://fncrsi.altervista.org/Il_principe_nero.htm).

Ci sono dei richiami a questa forma organizzativa perfino negli art 45 e 46 della Costituzione repubblicana. Ovviamente TUTTO è RIMASTO LETTERA MORTA!

PS: Condivido quasi nulla delle idee esposte dalla FNCRSI. Ma, come già sottolineato, è l'unica formazione fascista in grado di condannare i miti della "destra radicale".

LupoSciolto°
09-05-16, 10:31
ECCO:

Articolo 45

La Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata. La legge ne promuove e favorisce l'incremento con i mezzi più idonei e ne assicura, con gli opportuni controlli, il carattere e le finalità.
La legge provvede alla tutela e allo sviluppo dell'artigianato.


Articolo 46

Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro e in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende.

E COME SE NON BASTASSE....



Articolo 42

(...)
La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d'interesse generale.
La legge stabilisce le norme ed i limiti della successione legittima e testamentaria e i diritti dello Stato sulle eredità.


OVVIAMENTE , OGGI COME IERI, SI SOCIALIZZANO LE PERDITE E SI PRIVATIZZANO I PROFITTI! ANCHE I SOCIALDEMOCRATICI TEDESCHI (SPD) SONO RIUSCITI A FARE PIU' DI NOI.

LupoSciolto°
09-05-16, 10:40
ciao lupo, conosco il fenomeno e sembrano interessanti, ma ovviamente marginali. Il punto è che il mio concetto di legame alla comunità non ha niente di nazionalistico (altrmenti entrerebbe in conflitto con l'individualismo). L'amore della patria è un riflesso dell'amore di se stessi: amando te stesso non puoi esimerti dall'amare il gruppo a cui appartieni. Senza per questo ritenerlo superiore agli altri o desiderare la sua espansione (come già immagina l'imperialismo eurasiatista in ottica anti-usa).

Capisco. Comunque su quel sito c'è anche un articolo riguardante l'impresa di Fiume.

LupoSciolto°
23-07-16, 17:38
NUOVO ARTICOLO SUL FENOMENO DEL CARLISMO


Tradizione, socialismo e anticapitalismo, la lezione del Partito Carlista spagnolo11 maggio 2016 (http://www.azioneculturale.eu/2016/05/) Ideologie (http://www.azioneculturale.eu/category/ideologie/)
http://www.azioneculturale.eu/wp-content/uploads/2016/05/carlistas-requete-644x362.jpgAnche quest’anno, ha avuto luogo la tradizionale manifestazione del Partido Carlista a Montejurra, montagna della Navarra, nel nord della Spagna. Ma cos’è il carlismo e che cosa può dirci oggi uno dei più antichi partiti politici del mondo? Il nome deriva dai sostenitori dell’Infante Carlos nella crisi politica apertasi nel 1833, e rivelatasi da subito ben più che una semplice disputa dinastica. Dalla parte di Isabella II, di soli tre anni, stavano i liberali, appoggiati da Inghilterra e Francia, il cui intento era di espropriare e privatizzare i beni della Chiesa e delle comunità locali per fare cassa e ripagare i debiti contratti con i Rothschild per finanziare le guerre contro gli indipendentisti latinoamericani.I carlisti, invece, raccoglievano il consenso delle masse rurali e delle elites locali, specialmente in Paesi Baschi, Catalogna e Navarra, desiderose di difendere la propria fede, la propria cultura e le proprie autonomie locali (fueros). Al grido di “Dios, Rey, Patria y Fueros”, i miliziani carlisti (requetés) dal basco (boina) rosso e dalla bandiera con la Croce di Borgogna, combatterono e persero ben tre guerre, tra 1833 e 1876. Nei decenni a venire, la Comunión Tradicionalista (partito carlista fondato nel 1869) restò una forza politica di rilievo, che contribuì in maniera importante allo sviluppo dei nazionalismi locali. A livello ideologico, la preminenza del sovrano cedette gradualmente il passo al tradizionalismo cattolico, grazie all’apporto di teorici come Vázquezde Mella.Negli anni ’30, di fronte alla politica anticlericale della Repubblica Spagnola e all’avanzata delle formazioni comuniste e anarchiche, i carlisti appoggiarono l’insurrezione del 18 luglio 1936, al comando del Generale Mola, combattendo contro i repubblicani, inclusi i nazionalisti baschi. Tuttavia, il decreto d’unificazione (aprile 1937), imposto da Franco a tutte le forze nazionaliste, fu rifiutato, al pari del nuovo regime autoritario e centralista, che contraddiceva le tradizionali posizioni carliste. Fu così che il carlismo perse anche l’unica guerra, in cui figurava tra i vincitori.Il pretendente in carica, Javier I, sconfessò i suoi seguaci che aderirono al franchismo, e fu esiliato dalla Spagna. Durante l’esilio, suo figlio Carlos Hugo avviò un percorso di evoluzione politica, a partire dal Concilio Vaticano II e dall’opposizione alla dittatura su base democratica. Il nuovo Partido Carlista (1970) conservava il legittimismo monarchico, l’ispirazione cattolica, il patriottismo e la difesa delle autonomie, ma inquadrandoli in un progetto politico socialista, di tipo confederale e autogestito. Criticando il comunismo sovietico, la dirigenza carlista visitò invece le vie alternative al socialismo in Cina, Cuba e Jugoslavia.Nello stesso periodo, i Gruppi d’Azione Carlisti, alleati con l’ETA, iniziarono a condurre azioni contro la dittatura franchista, mentre ogni anno, a Montejurra, la via crucis in ricordo di una storica vittoria carlista (1873) costituiva uno spazio di opposizione al regime, con decine di migliaia di carlisti. Alla morte di Franco (1975) i carlisti erano pronti a giocare un ruolo cruciale nella transizione alla democrazia. L’anno seguente, però, in una clima di continua repressione da parte del governo postfranchista contro le opposizioni, la manifestazione di Montejurra vide scatenarsi la repressione governativa contro il Partido Carlista.In nome dell’anticomunismo, i carlisti di destra, guidati da Sixto Henrique, fratello minore di Carlos Hugo, insieme a mercenari neofascisti (italiani, argentini, portoghesi, francesi), con l’appoggio del governo e del nuovo Re, Juan Carlos, pretesero di “riconquistare Montejurra” ai “marxisti” sparando sulla folla e causando due morti e decine di feriti. Questo crimine di Stato e la legalizzazione del Partito solo dopo le prime elezioni del 1977 infersero un duro colpo ai suoi consensi, a tutto vantaggio di altre formazioni politiche, più politicamente corrette, come il PSOE. Dopo l’esperimento di Izquierda Unida nel 1986, in occasione della campagna per l’uscita dalla NATO, il carlismo è rimasta una realtà politica minoritaria, ma tuttora viva e vegeta.Ho avuto l’onore di presenziare la settimana scorsa alla manifestazione di Montejurra, segnata dal 40° anniversario della strage del 1976. Il venerdì, alla presenza della principessa Maria Teresa di Borbone-Parma, zia dell’attuale pretendente al trono, Carlos Javier, è stato reso omaggio ai due caduti, Ricardo García Pellejero e Aniano Jiménez Santos. Ha fatto seguito una conferenza sulle responsabilità del governo spagnolo, presso la Casa della Cultura di Estella. Il giorno successivo, dopo la Santa Messa presso il monastero di Iratxe, c’è stato un comizio politico, tenuto dal segretario del Partito, Jesús María Aragón, con l’emozionante testimonianza di alcuni sopravvissuti agli eventi di quarant’anni prima.Aragón ha attaccato il modello ipertrofico dello Stato moderno, sorretto sullo sfruttamento dei più deboli, contrapponendo invece «una confederazione di repubbliche sociali e del lavoro, dei gruppi sociali intermedi e della sussidiarietà», per una Spagna e un’Europa formate da una federazione di Stati democratici, socialisti e autogestiti. Nell’imminenza delle prossime elezioni, ha dato indicazione di sostenere i candidati che portano avanti le battaglie del Partido Carlista, e in particolare l’attuale lotta contro il TTIP. Altezze Reali e anticapitalismo, autogestione e Cristo Re: potrebbe sembrare una grande contraddizione, ma in realtà il Partito Carlista, con la sua stessa esistenza, dimostra la continuità ideale tra i “ribelli primitivi” (per citare Hobsbawm), ossia le comunità tradizionali minacciate dal liberal-capitalismo incipiente, e le masse postmoderne di oggi, in lotta contro il turbo-capitalismo ormai marcio.Il carlismo mostra come l’esito necessario di un popolo che voglia difendere le proprie tradizioni e le proprie autonomie sociali ed economiche, in un mondo sempre più globalizzato, passi attraverso il socialismo rivoluzionario. Così come ricorda che nessuna lotta sociale ha davvero futuro se prescinde dalle proprie radici etnoculturali, religiose e identitarie.(di Andrea Virga (https://www.facebook.com/andrea.virga.it?fref=ts))

Fonte: Tradizione, socialismo e anticapitalismo, la lezione del Partito Carlista spagnolo - Azione Culturale (http://www.azioneculturale.eu/2016/05/tradizione-socialismo-e-anticapitalismo-la-lezione-del-partito-carlista-spagnolo/)

LupoSciolto°
23-07-16, 17:42
Il percorso ideologico di Otto Strasser
Otto Strasser nasce il 10 settembre 1897 in una famiglia di funzionari bavaresi. Suo fratello Gregor (che sarà uno dei capi del partito nazista ed un serio concorrente di Hitler) è maggiore di cinque anni. L’uno e l’altro beneficiano di solidi antecedenti familiari: il padre Peter, che si interessa di economia politica e di storia, pubblica sotto lo pseudonimo di Paaul Weger un opuscolo intitolato Das neue Wesen, nel quale si pronuncia per un socialismo cristiano e sociale. Secondo Paul Strasser, fratello di Gregor e Otto, “in questo opuscolo si trova già abbozzato l’insieme del programma culturale e politico di Gregor e Otto, cioè un socialismo cristiano sociale, che è indicato come la soluzione alle contraddizioni e alle mancanze nate dalla malattia liberale, capitalista e internazionale dei nostri tempi.” Quando scoppia la Grande Guerra, Otto Strasser interrompe i suoi studi di diritto e di economia per arruolarsi il 2 agosto 1914 (è il più giovane volontario di Baviera). Il suo brillante comportamento al fronte gli varrà la Croce di Ferro di prima classe e la proposta per l’ Ordine Militare di Max-Joseph. Prima della smobilitazione nell’aprile/maggio 1919, partecipa con il fratello Gregor, nel Corpo Franco von Epp, all’assalto contro la Repubblica sovietica di Baviera. Ritornato alla vita civile Otto riprende i suoi studi a Berlino nel 1919 e fonda la “Associazione universitaria dei veterani socialdemocratici”.

Nel 1920, alla testa di tre “centurie proletarie” resiste nel quartiere operaio berlinese di Steglitz al putsch Kapp (putsch d’estrema destra). Lascia poco dopo la SPD (Partito social-democratico) quando questa rifiuta di rispettare l’accordo di Bielefeld concluso con gli operai della Ruhr (questo accordo prevedeva il non-intervento dell’esercito nella Ruhr, la repressione degli elementi contro-rivoluzionari e l’allontanamento di questi dall’apparato dello Stato, nonché la nazionalizzazione delle grandi imprese), spostandosi dunque a sinistra dell’SPD. Tornato in Baviera, Otto Strasser incontra Hitler e il generale Ludendorff presso il fratello, che lo invita a legarsi al nazionalsocialismo, ma Otto rifiuta. Corrispondente della stampa svizzera e olandese, Otto si occupa, il 12 ottobre 1920, del congresso dell’USPD (Partito social-democratico indipendente) ad Halle, dove incontra Zinovev. Scrive su “Das Gewissen”, la rivista di Moeller van den Bruck e Heinrich von Gleichen, un lungo articolo sul suo incontro con Zinovev. E’ così che fa la conoscenza di Moeller van den Bruck che lo farà avvicinare alle proprie idee. Otto Strasser entrerà poco dopo nel ministero per gli approvvigionamenti, prima di lavorare, a partire dalla primavera del 1923, in un consorzio di alcolici. Tra il 1920 e il 1925 si attua nello spirito di Strasser una lenta maturazione ideologica data da esperienze personali (esperienza del fronte e della guerra civile, incontro con Zinovev e Moeller, esperienza della burocrazia e del capitalismo privato) e di diverse influenze ideologiche. Dopo il mancato putsch del 1923, l’imprigionamento di Hitler e l’interdizione del NSDAP che l’hanno seguito, Gregor Strasser si è ritrovato nel 1924 con il generale Ludendorff e il politico völkisch von Graefe alla testa del ricostituito partito nazista. Appena uscito di prigione Hitler riorganizza il NSDAP (febbraio 1925) e incarica Gregor Strasser della direzione del partito nel Nord della Germania. Otto allora raggiunge il fratello che l’ha chiamato. Otto sarà l’ideologo, Gregor l’organizzatore del nazismo in Germania settentrionale. Nel 1925 è fondato un “Comitato di lavoro dei distretti settentrionali e occidentali tedeschi del NSDAP” sotto la direzione di Gregor Strasser; questi distretti manifestano così la loro volontà d’autonomia (e di democrazia interna) nei confronti di Monaco. Inoltre il NSDAP settentrionale prende un orientamento nettamente gauchiste sotto l’influenza di Otto Strasser e di Jospeh Goebbels che espongono le loro idee in un quindicinale destinato ai quadri del partito, il “National-sozialistische Briefe”. Dall’ottobre 1925 Otto dà al NSDAP del Nord un programma radicale. Hitler reagisce dichiarando inalterabili i venticinque punti del programma nazista del 1920 e concentrando nelle sue mani tutti i poteri decisionali del Partito. Richiama Goebbels nel 1926, convince Gregor Strasser proponendogli il posto di capo della propaganda, poi quello di capo dell’organizzazione del Partito, espelle infine un certo numero di gauchistes (segnatamente i Gauleiter della Slesia, Pomerania e Sassonia). Otto Strasser, isolato e in totale opposizione con la politica sempre più apertamente conservatrice e capitalista di Hitler, si decide finalmente a lasciare il NSDAP il 4 luglio 1930. Fonda subito la KGRNS, “Comunità di lotta nazional-socialista rivoluzionaria”. Ma poco dopo la scissione strasseriana, due avvenimenti portarono alla marginalizzazione della KGRNS: anzitutto la “dichiarazione-programma per la liberazione nazionale e sociale del popolo tedesco” adottata dal Partito Comunista tedesco. Questo programma esercita sugli elementi nazionalisti anti-hitleriani una considerevole attrazione che li distoglierà dallo strasserismo ( peraltro già nell’autunno 1930 una prima crisi “nazional-bolscevica” aveva provocato l’uscita dalla KGRNS verso il Partito Comunista di tre responsabili: Korn, Rehm e Lorf); in seguito, anche il successo elettorale del Partito Nazista alle elezioni legislative del 14 settembre convinse molti naziona-socialisti della fondata validità della strategia hitleriana. La KGRNS è inoltre minata da dissensi interni che oppongono gli elementi più radicali (nazional-bolscevichi) alla direzione più moderata (Otto Strasser, Herbert Blank e il maggiore Buchrucker). Otto Strasser cerca di far uscire la KGRNS dall’isolamento avvicinando nel 1931 le SA del Nord della Germania che, sotto la guida di Walter Stennes, sono entrate in aperta ribellione contro Hitler (ma questo riavvicinamento, condotto sotto gli auspici del capitano Ehrhardt, le cui inclinazioni reazionarie sono conosciute, provoca l’uscita dei nazional-bolscevichi dalla KGRNS). Nell’ottobre 1931 Otto Strasser fonda il “Fronte Nero”, destinato a raggruppare attorno alla KGRNS un certo numero di organizzazioni vicine, quali il gruppo paramilitare “Wehrwolf”, i “Gruppi Oberland”, le ex-SA di Stennes, una parte del Movimento Contadino, il circolo costituito attorno alla rivista “Die Tat” etc. Nel 1933, decimata dalla repressione hitleriana, la KGRNS si sposta in Austria poi, nel 1934, in Cecoslovacchia. In Germania, gruppi strasseriani clandestini sopravvivono fino al 1937, data in cui vengono smantellati e i loro membri imprigionati o deportati (uno di questi, Karl-Ernst Naske, dirige oggi gli “Strasser-Archiv”). Le idee di Otto Strasser traspaiono dai programmi che ha elaborato, gli articoli, i libri e gli opuscoli che i suoi amici e lui stesso hanno scritto. Tra questi testi, i più importanti sono il programma del 1925, destinato a completare il programma del 1920 del Partito Nazista, la proclamazione del 4 luglio 1930 (“I socialisti lasciano il NSDAP”), le “Quattordici tesi della Rivoluzione tedesca”, adottate al primo congresso della KGRNS nell’ottobre 1930, il manifesto del “Fronte Nero” adottato al secondo congresso della KGRNS nell’ottobre 1931, e il libro Costruzione del socialismo tedesco, la cui prima edizione è del 1932. Da questi testi si trae un’ideologia coerente, composta di tre elementi strettamente legati tra loro: il nazionalismo, l'”idealismo völkisch” e il “socialismo tedesco”. 1) Il nazionalismo. Otto Strasser propone la costituzione di uno Stato pan-tedesco (federale e democratico) “da Memel a Strasburgo, da Eupen a Vienna” e la liberazione della nazione tedesca dal Trattato di Versailles e dal Piano Young. Auspica una guerra di liberazione contro l’Occidente (“Salutiamo la Nuova Guerra”), l’alleanza con l’Unione Sovietica ed una solidarietà internazionale anti-imperialista tra tutte le Nazioni oppresse. Otto Strasser se la prende vigorosamente anche con gli ebrei, la Massoneria e L’Ultramontanismo (questa denuncia delle “potenze internazionali” sembra ispirarsi ai violenti pamphlets del gruppo Ludendorff). Ma le posizioni di Otto Strasser si evolvono. Durante il suo esilio in Cecoslovacchia appaiono due nuovi punti: un certo filosemitismo (Otto Strasser propone che sia conferito al popolo ebraico uno statuto protettore delle minoranze nazionali in Europa e sostiene il progetto sionista – Patrick Moreau pensa che questo filosemitismo sia puramente tattico: Strasser cerca l’appoggio delle potenti organizzazioni anti-naziste americane) e un progetto di federalismo europeo che permetterebbe di evitare una nuova guerra. L’anti-occidentalismo e il filo-sovietismo di Strasser sfumano. 2) Al materialismo borghese e marxista Otto Strasser oppone un “idealismo völkisch” a fondamento religioso. Alla base di questo “idealismo völkisch” si trova il Volk concepito come un organismo di origine divina dalle caratteristiche fisiche (razziali), spirituali e mentali. La “Rivoluzione tedesca” deve, secondo Strasser, ri-creare le “forme” appropriate alla natura del popolo nel campo politico o economico così come in quello culturale. Queste forme sarebbero, in campo economico, il feudo (Erblehen); nel campo politico, l’auto-amministrazione del popolo tramite gli “Stande”, cioè degli stati – stato operaio, stato contadino etc – e nel campo “culturale, una religiosità tedesca. Principale espressione dell’ “idealismo völkisch”, un principio d’amore in seno al Volk – riconoscendo ognuno negli altri le proprie caratteristiche razziali e culturali – che deve marcare ogni atto dell’individuo e dello Stato. Questo idealismo völkisch comporta il rifiuto da parte di Otto Strasser dell’idea di lotta di classe in seno al Volk a profitto d’una “rivoluzione popolare” degli operai-contadini senza classi medie (solo una piccola minoranza di oppressori saranno eliminati), la condanna dello scontro politico tra tedeschi: Otto Strasser propone un Fronte unito della base dei partiti estremisti e dei sindacati contro le loro gerarchie e contro il sistema. Questo idealismo völkisch sottintende lo spirito di “socialismo tedesco” decantato da Strasser e ispira il programma socialista strasseriano. Questo programma comporta i seguenti punti: parziale nazionalizzazione delle terre e dei mezzi di produzione, partecipazione operaia, il piano, l’autarchia e il monopolio dello Stato sul commercio esterno. Il “socialismo tedesco” pretende di opporsi al liberalismo come al marxismo. L’opinione di strasser sul marxismo è pertanto sfumata: “Il marxismo non aveva per Strasser alcun carattere “ebraico” specifico come per Hitler, non era l’ “invenzione dell’ebreo Marx”, ma l’elaborazione di un metodo d’analisi delle contraddizioni sociali ed economiche della sua epoca (il periodo del capitalismo selvaggio) messo a punto da un filosofo dotato. Strasser riconosceva al pensiero marxista come all’analisi dell’imperialismo di Lenin, una verità oggettiva certa. Si allontanava dalla Weltanschauung marxista a livello di implicazioni filosofiche ed utopiche. Il marxismo era il prodotto dell’era del liberalismo e testimoniava nel suo metodo analitico e nelle sue stesse strutture una mentalità la cui tradizione liberale risaliva al contratto sociale di Rousseau. L’errore di Marx e dei marxisti-leninisti stava, secondo Strasser, nel fatto che questi credevano di poter spiegare lo sviluppo storico tramite i concetti di rapporto di produzione e di lotta di classe allorquando questi apparivano validi limitatamente al periodo del capitalismo. La dittatura del proletariato, l’internazionalismo, il comunismo utopico non erano più conformi ad una Germania nella quale era cominciato un processo di totale trasformazione delle strutture spirituali, sociali ed economiche, che portava alla sostituzione del capitalismo con il socialismo, della lotta di classe con le comunità di popolo e dell’internazionalismo con il nazionalismo. La teoria economica marxista rimaneva uno strumento necessario alla comprensione della storia. Il marxismo filosofico e il bolscevismo di partito, perdono significato nello stesso momento in cui il liberalismo entra in agonia”. 3) Il “socialismo tedesco” rifiuta il modello proletario così come il modello borghese e propone di conciliare le responsabilità, l’indipendenza e la creatività personali con il sentimento dell’appartenenza comunitaria ad una società di lavoratori di classi medie e, più particolarmente, di contadini. “Strasser, come Junger, sogna un nuovo “Lavoratore”, ma di un tipo particolare, il tipo “contadino”, che sia operaio-contadino, intellettuale-contadino, soldato-contadino, altrettante facce di uno sconvolgimento sociale realizzato con la dislocazione della società industriale, lo smantellamento delle fabbriche, la riduzione delle popolazioni urbane e il trasferimento forzato dei cittadini verso il lavoro rigeneratore della terra. Per rendere in immagini contemporanee la volontà di rottura sociale della tendenza Strasser, si può pensare oggi alla Rivoluzione Culturale cinese o all’azione dei Khmer rossi in Cambogia”. Otto Strasser vuole riorganizzare la società tedesca attorno al tipo contadino. Per fare questo, preconizza la spartizione delle terre, la colonizzazione delle regioni agricole dell’Est poco popolato e la dispersione dei grandi complessi industriali in piccole unità in tutto il paese – nascerebbe così un tipo misto operaio-contadino. Patrick Moreau non esita a qualificare Otto Strasser come “conservatore agrario estremista”. Le conseguenze di questa riorganizzazione della Germania (e della socializzazione dell’economia che deve accompagnarla) sarebbero: una considerevole riduzione della produzione dei beni di consumo per il fatto dell’ “adozione di un modo di vita spartano, in cui il consumo è ridotto alla soddisfazione quasi autarchica, a livello locale, dei bisogni primi”, e “l’istituzione nazionale, poi internazionale, di una sorta di economia di baratto”. Il socialismo tedesco rifiuta infine la burocrazia e il e il capitalismo privato (Strasser conosce i misfatti dei due sistemi) e propone la nazionalizzazione dei mezzi di produzione e della terra che saranno in seguito ri-distribuite a degli imprenditori sotto forma di feudi. Questa soluzione unirebbe, secondo Strasser, i vantaggi del possesso individuale e della proprietà collettiva.
Thierry Mudry
https://europapatrianostra.wordpress.com/2009/04/19/il-percorso-ideologico-di-otto-strasser/

PUR NON CONDIVIDENDO LE SUE POSIZIONI "CORPORATIVISTE", MI E' SEMBRATO OPPORTUNO INSERIRLO IN QUESTA SEZIONE.

LupoSciolto°
23-07-16, 17:43
ERNST NIEKISCH

UN RIVOLUZIONARIO TEDESCO(1889-1967)

Ernst Niekisch è la figura più rappresentativa del complesso e multiforme panorama che offre il movimento nazional-bolscevico tedesco degli anni 1918-1933. In lui si incarnano con chiarezza le caratteristiche - e le contraddizioni - evocate dal termine nazional-bolscevico e che rispondono molto più ad uno stato d'animo, ad una disposizione attivista, che ad una ideologia dai contorni precisi o ad una unità organizzativa, poiché questo movimento era composto da una infinità di piccoli circoli, gruppi, riviste ecc. senza che ci fosse mai stato un partito che si fosse qualificato nazional-bolscevico. E’ curioso constatare come nessuno di questi gruppi o persone usò questo appellativo (se escludiamo la rivista di Karl Otto Paetel, "Die Sozialistische Nation") bensì che l’aggettivo fu impiegato in modo dispregiativo, non scevro di sensazionalismo, dalla stampa e dai partiti sostenitori della Repubblica di Weimar, dei quali tutti i nazional-bolscevichi furono feroci nemici non essendoci sotto questo punto di vista differenze fra gruppi d’origine comunista che assimilarono l’idea nazionale ed i gruppi nazionalisti disposti a perseguire scambi economici radicali e l’alleanza con l'URSS per distruggere l'odiato sistema nato dal Diktat di Versailles. Ernst Niekisch nacque il 23 maggio 1889 a Trebnitz (Slesia). Era figlio di un limatore che si trasferì a Nordlingen im Reis (Baviera-Svevia) nel 1891. Niekisch frequenta gli studi di magistero, che termina nel 1907, esercitando poi a Ries e Augsburg. Non era frequente nella Germania guglielmina - quello Stato in cui si era realizzata la vittoria del borghese sul soldato secondo Carl Schmitt - che il figlio di un operaio studiasse, per cui Niekisch dovette soffrire le burle e l’ostilità dei suoi compagni di scuola. Già in quel periodo era avido di sapere ("Una vita da nullità è insopportabile", dirà) e divorato da un interiore fuoco rivoluzionario; legge Hauptmann, Ibsen, Nietzsche, Schopenhauer, Kant, Hegel e Macchiavelli, alla cui influenza si aggiungerà quella di Marx, a partire dal 1915. Arruolato nell’esercito nel 1914, seri problemi alla vista gli impediscono di giungere al fronte, per cui eserciterà, sino al febbraio del 1917, funzioni di istruttore di reclute ad Augsburg. Nell’ottobre del 1917 entra nel Partito Socialdemocratico (SPD) e si sente fortemente attratto dalla rivoluzione bolscevica. E' di quell’epoca il suo primo scritto politico, oggi perso, intitolato significativamente Licht aus dem osten (Luce dall’Est), nel quale già formulava ciò che sarà una costante della sua azione politica: l’idea della "Ostorientierung". La diffusione di questo foglio sarà sabotata dallo stesso SPD al cui periodico di Augsburg "Schwabischen Volkszeitung" collaborava Niekisch. Il 7 novembre 1918 Eisner, a Monaco, proclama la Repubblica. Niekisch fonda il Consiglio degli Operai e Soldati di Augsburg e ne diviene il presidente, dopo esserlo già stato del Consiglio Centrale degli Operai, Contadini e Soldati di Monaco nel febbraio e nel marzo del 1919. Egli è l’unico membro del Comitato Centrale che vota contro la proclamazione della prima Repubblica sovietica in Baviera, poiché considera che questa, in ragione del suo carattere agrario, sia la provincia tedesca meno idonea a realizzare l’esperimento. Malgrado ciò, con l’entrata dei Freikorps a Monaco, Niekisch viene arrestato il 5 maggio - giorno in cui passa dal SPD al Partito Socialdemocratico Indipendente (USPD). lI 22 giugno viene condannato a due anni di fortezza per la sua attività nel Consiglio degli Operai e Soldati, per quanto non abbia avuto nulla a che vedere con i crimini della Repubblica sovietica bavarese. Niekisch sconta integralmente la sua pena, e nonostante l’elezione al parlamento bavarese nelle liste della USPD non sarà liberato fino all’agosto del 1921. Frattanto, si ritrova nel SPD per effetto della riunificazione dello stesso con la USPD (la scissione si era determinata durante la guerra mondiale). Niekisch non è assolutamente d’accordo con la politica condiscendente dell’SPD - per temperamento era incapace di sopportare le mezze tinte o i compromessi - ed a questa situazione di sdegno si aggiungevano le minacce contro di lui e la sua famiglia (si era sposato nel 1915 ed aveva un figlio); così rinuncia al suo mandato parlamentare e si trasferisce a Berlino, dove entra nella direzione della segreteria giovanile del grande sindacato dei tessili, un lavoro burocratico che non troverà di suo gradimento. I suoi rapporti con L'SPD si deteriorano progressivamente, per il fatto che Niekisch si oppone al pagamento dei danni di guerra alla Francia e al Belgio e appoggia la resistenza nazionale quando la Francia occupa il bacino della Ruhr, nel gennaio del 1923. Dal 1924 si oppone anche al Piano Dawes, che regola il pagamento dei danni di guerra imposto alla Germania a Versailles. Niekisch attaccò frontalmente la posizione dell’SPD di accettazione del Piano Dawes in una conferenza di sindacalisti e socialdemocratici scontrandosi con Franz Hilferding, principale rappresentante della linea ufficiale.
NeI 1925 Niekisch, che è redattore capo della rivista socialista Firn (Il nevaio), pubblica i due primi lavori giunti fino a noi: Der Weg der deutschen Arbeiterschaft zum Staat e Grundfragen deutscher Aussenpolitik. Entrambe le opere testimoniano una influenza di Lassalle molto maggiore di quella di Marx/Engels, un aspetto che fa somigliare queste prime prese di posizione di Niekisch a quelle assunte nell’immediato dopoguerra dai comunisti di Amburgo, che si separarono dal Partito Comunista Tedesco (KPD) per fondare il Partito Comunista Operaio Tedesco (KAPD), guidato da Laufenberg e Wolffheim, che era un accanito partigiano della lotta di liberazione contro Versailles (questo partito, che giunse a disporre di una base abbastanza ampia, occupa un posto importante nella storia del nazionalbolscevismo). Nei suoi scritti del 1925, Niekisch propone che l'SPD si faccia portavoce dello spirito di resistenza del popolo tedesco contro l'imperialismo capitalista delle potenze dell’Intesa, ed allo stesso tempo sostiene che la liberazione sociale delle masse proletarie ha come presupposto inevitabile la liberazione nazionale. Queste idee, unite alla sua opposizione alla politica estera filofrancese dell’SPD ed alla sua lotta contro il Piano Dawes, gli attirano la sfiducia dei vertici socialdemocratici. Il celebre Eduard Bernstein lo attaccherà per suoi atteggiamenti nazionalistici sulla rivista "Glocke". In realtà, Niekisch non fu mai marxista nel senso ortodosso della parola: concedeva al marxismo valore di critica sociale, ma non di WeItanschauung, ed immaginava lo Stato socialista al di sopra di qualsiasi interesse di classe, come esecutore testamentario di Weimar e Königsberg (cioè di Goethe e Kant). Si comprende facilmente come questo genere di idee non fossero gradite all'imborghesita direzione dell’SPD... Ma Niekisch non era isolato in seno al movimento socialista, poiché manteneva stretti rapporti con il Circolo Hofgeismar della Gioventù Socialista, che ne rappresentava l’ala nazionalista fortemente influenzata dalla Rivoluzione conservatrice. Niekisch scrisse spesso su "Rundbrief", la rivista di questo circolo, dal quale usciranno fedeli collaboratori quando avrà inizio l’epoca di "Widerstand": fra essi Benedikt Qbermayr, che lavorerà con Darré nel Reichsmährstand. Poco a poco l’SPD comincia a disfarsi di Niekisch: per le pressioni del suo primo presidente, Niekisch fu escluso dal suo posto nel sindacato dei tessili, e nel luglio del 1925 anticipò con le dimissioni dall'SPD il provvedimento di espulsione avviato contro di lui, ed il cui risultato non dava adito a dubbi. Inizia ora il periodo che riserverà a Niekisch un posto nella storia delle idee rivoluzionarie del XX secolo: considerando molto problematico lo schema "destra-centro-sinistra", egli si sforza di raggruppare le migliori forze della destra e della sinistra (conformemente alla celebre immagine del ferro di cavallo, in cui gli estremi si trovano più vicini fra loro di quanto non lo siano con il centro) per la lotta contro un nemico che definisce chiaramente: all’esterno l’Occidente liberale ed il Trattato di Versailles; all’interno il liberalismo di Weimar. Nel luglio del 1926 pubblica il primo numero della rivista Widerstand ("Resistenza"), e riesce ad attirare frazioni importanti - per numero ed attivismo - dell’antico Freikorps "Bund Oberland" mentre aderisce all'Altsozialdemokratische Partei (ASP) della Sassonia, cercando di utilizzarlo come piattaforma per i suoi programmi di unificazione delle forze rivoluzionarie. Per questa ragione si trasferisce a Dresda, dove dirige il periodico dell’ASP ("Der Volkstaat"), conducendo una dura lotta contro la politica filo-occidentale di Stresemann, opponendo al trattato di Locarno, con il quale la Germania riconosceva come definitive le sue frontiere occidentali ed il suo impegno a pagare i danni di guerra, lo spirito del trattato di Rapallo (1922), con il quale la Russia sovietica e la Germania sconfitta - i due paria d'Europa - strinsero le loro relazioni solidarizzando contro le potenze vincitrici. L'esperienza con l’ASP termina quando questo partito è sconfitto nelle elezioni del 1928, e ridotto ad entità insignificante. Questo insuccesso non significa assolutamente che Niekisch abbandoni la lotta scoraggiato. Al contrario, è in questo periodo che scriverà le sue opere fondamentali: Gedanken über deutsche Politik, Politik und idee (entrambe del 1929), Entscheidung (1930: il suo capolavoro), Der Politische Raum deutschen Widerstandes (1931) e Politik deutschen Widerstandes (1932). Parallelamente a questa attività pubblicistica, continua a pubblicare la rivista "Widerstand", fonda la casa editrice che porta lo stesso nome nel 1928 e viaggia in tutti gli angoli della Germania come conferenziere. Il solo elenco delle personalità con le quali ha rapporti è impressionante (dal maggio 1929 si trasferisce definitivamente a Berlino): il filosofo Alfred Baeumler gli presenta Ernst e Georg Jünger, con i quali avvia una stretta collaborazione; mantiene rapporti con la sinistra del NSDAP. il conte Ernst zu Reventlow, Gregor Strasser (che gli offrirà di diventare redattore capo dei "Voelkischer Beobachter") e Goebbels, che è uno dei più convinti ammiratori del suo libro Entscheidung (Decisione). E’ pure determinante la sua amicizia con Carl Schmitt. Nell'ottobre del 1929, Niekisch è l’animatore dell’azione giovanile contro il Piano Young (un altro piano di "riparazioni"), pubblicando sul periodico "Die Kommenden", il 28 febbraio del 1930, un ardente appello contro questo piano, sottoscritto da quasi tutte le associazioni giovanili tedesche - fra le quali la Lega degli Studenti Nazionalsocialisti e la Gioventù Hitleriana -, e che fu appoggiato da manifestazioni di massa. I simpatizzanti della sua rivista furono organizzati in "Circoli Widerstand" che celebrarono tre congressi nazionali negli anni 1930-1932. Nell'autunno del '32 Niekisch va in URSS, partecipando ad un viaggio organizzato dalla ARPLAN (Associazione per lo studio del Piano Quinquennale sovietico, fondata dal professor Friedrich Lenz, altra figura di spicco del nazional-bolscevismo). Questi dati biografici erano indispensabili per presentare un uomo come Niekisch, che è praticamente uno sconosciuto; e per poter comprendere le sue idee, idee che, d'altra parte, egli non espose mai sistematicamente - era un rivoluzionario ed uno scrittore da battaglia -, ne tenteremo una ricostruzione. Dal 1919 Niekisch era un attento lettore di Spengler (cosa che non deve sorprendere in un socialista di quell' epoca, nella quale esisteva a livello intellettuale e politico una compenetrazione tra destra e sinistra, quasi una osmosi, impensabile nelle attuali circostanze), del quale assimilerà soprattutto la famosa opposizione fra "Kultur" e "Zivilisation". Ma la sua concezione politica fu notevolmente segnata dalla lettura di un articolo di Dostoevskij che ebbe una grande influenza nella Rivoluzione conservatrice tramite il Thomas Mann delle Considerazioni di un apolitico, e di Moeller van den Bruck con Germania, potenza protestante (dal Diario di uno scrittore, maggio/giugno 1877, cap. III). Il termine "protestante" non ha nessuna connotazione religiosa, ma allude al fatto che la Germania, da Arminio ad oggi, ha sempre "protestato" contro le pretese romane di dominio universale, riprese dalla Chiesa cattolica e dalle idee della Rivoluzione francese, prolungandosi, come segnalerà Thomas Mann, sino agli obiettivi dell' Intesa che lottò contro la Germania nella Prima Guerra Mondiale. Da questo momento, l’odio verso il mondo romano diventa un aspetto essenziale del pensiero di Niekisch, e le idee espresse in questo articolo di Dostoevskij rafforzano le sue concezioni. Niekisch fa risalire la decadenza del germanesimo ai tempi in cui Carlomagno compì il massacro della nobiltà sassone ed obbligò i sopravvissuti a convertirsi al cristianesimo: cristianesimo che per i popoli germanici fu un veleno mortale, il cui scopo è stato quello di addomesticare il germanesimo eroico al fine di renderlo maturo per la schiavitù romana. Niekisch non esita a proclamare che tutti i popoli che dovevano difendere la propria libertà contro l’imperialismo occidentale erano obbligati a rompere con il cristianesimo per sopravvivere. Il disprezzo per il cattolicesimo si univa in Niekisch all’esaltazione del protestantesimo tedesco, non in quanto confessione religiosa (Niekisch censurava aspramente il protestantesimo ufficiale, che accusava di riconciliarsi con Roma nella comune lotta antirivoluzionaria), ma in quanto presa di coscienza orgogliosa dell’essere tedesco e attitudine aristocratica opposta agli stati d’animo delle masse cattoliche: una posizione molto simile a quella di Rosenberg, visto che difendevano entrambi la libertà di coscienza contro l’oscurantismo dogmatico (Niekisch commentò sulla sua rivista lo scritto di Rosenberg "il mito del XX secolo").Questa attitudine ostile dell'imperialismo romano verso la Germania è continuata attraverso i secoli, poiché "ebrei", gesuiti e massoni sono da secoli coloro che hanno voluto schiavizzare ed addomesticare i barbari germanici. L’accordo del mondo intero contro la Germania che si manifesta soprattutto quando questa si è dotata di uno Stato forte, si rivelò con particolare chiarezza durante la Prima Guerra Mondiale, dopo la quale le potenze vincitrici imposero alla Germania la democrazia (vista da Niekisch come un fenomeno di infiltrazione straniera) per distruggerla definitivamente. Il Primato del politico sull' economico fu sempre un principio fondamentale del pensiero di Niekisch. Fortemente influenzato da Carl Schmitt, e partendo da questa base, Niekisch doveva vedere come nemico irriducibile il liberalismo borghese, che valorizza soprattutto i principi economici e considera l'uomo soltanto isolatamente, come unità alla ricerca del suo esclusivo profitto. l'individualismo borghese (con i conseguenti Stato liberale di diritto, libertà individuali, considerazioni dello Stato come un male) e materialismo nel pensiero di Niekisch appaiono come caratteristiche essenziali della democrazia borghese. Nello stesso tempo, Niekisch sviluppa una critica non originale, ma efficace e sincera, del sistema capitalista come sistema il cui motore è l’utile privato e non il soddisfacimento delle necessità individuali e collettive; e che, per di più, genera continuamente disoccupazione. In questo modo la borghesia viene qualificata come nemico interno che collabora con gli Stati occidentali borghesi all’oppressione della Germania. Il sistema di Weimar (incarnato da democratici, socialisti e clericali) rappresentava l’opposto dello spirito e della volontà statale dei tedeschi, ed era il nemico contro il quale si doveva organizzare la “Resistenza". Quello di "Resistenza" è un'altro concetto fondamentale dell'opera di Niekisch. La rivista dallo stesso nome recava, oltre al sottotitolo (prima "Blätter für sozialistische und nationalrevolutionäre Politik", quindi "Zeitschrift für nationalrevolutionäre Politik") una significativa frase di Clausewitz: "La resistenza è un'attività mediante la quale devono essere distrutte tante forze del nemico da indurlo a rinunciare ai suoi propositi". Se Niekisch considerava possibile questa attitudine di resistenza è perché credeva che la situazione di decadenza della Germania fosse passeggera, non irreversibile; e per quanto a volte sottolineasse che il suo pessimismo era “illimitato", si devono considerare le sue dichiarazioni in questo senso come semplici espedienti retorici, poiché la sua continua attività rivoluzionaria è la prova migliore che in nessun momento cedette al pessimismo ed allo sconforto. Abbiamo visto qual era il nemico contro cui dover organizzare la resistenza: “La democrazia parlamentare ed il liberalismo, il modo di vivere francese e l’americanismo". Con la stessa esattezza Niekisch definisce gli obiettivi della resistenza: l’indipendenza e la libertà della Germania, la più alta valorizzazione dello Stato, il recupero di tutti i tedeschi che si trovavano sorto il dominio straniero. Coerente col suo rifiuto dei valori economici, Niekisch non contrappone a questo nemico una forma migliore di distribuzione dei beni materiali, né il conseguimento di una società del benessere: ciò che Niekisch cercava era il superamento del mondo borghese, i cui beni si devono “detestare asceticamente". Il programma di "Resistenza" dell’aprile del 1930 non lascia dubbi da questo punto di vista: nello stesso si chiede il rifiuto deciso di tutti i beni che l’Europa vagheggia (punto 7a), il ritiro dall'economia internazionale (punto 7b), la riduzione della popolazione urbana e la ricostituzione delle possibilità di vita contadina (7c-d), la volontà di povertà ed un modo di vita semplice che deve opporsi orgogliosamente alla vita raffinata delle potenze imperialiste occidentali (7f) e, finalmente, la rinuncia al principio della proprietà privata nel senso del diritto romano, poiché “agli occhi dell’opposizione nazionale, la proprietà non ha senso né diritto al di fuori del servizio al popolo ed allo Stato”. Per realizzare i suoi obiettivi, che Uwe Sauermann definisce con precisione identici a quelli dei nazionalisti, anche se le strade e gli strumenti per conseguirli sono nuovi, Niekisch cerca le forze rivoluzionarie adeguate. Non può sorprendere che un uomo proveniente dalla sinistra come lui si diriga in primo luogo al movimento operaio. Niekisch constata che l’abuso che la borghesia ha fatto del concetto "nazionale", impiegato come copertura dei suoi interessi economici e di classe, ha provocato nel lavoratore l’identificazione fra "nazionale" e "socialreazionario", fatto che ha portato il proletariato a separarsi troppo dai legami nazionali per crearsi un proprio Stato. E per quanto questo atteggiamento dell’insieme del movimento operaio sia parzialmente giustificato, non sfugge a Niekisch il fatto che il lavoratore in quanto tale è solo appena diverso da un "borghese frustrato” senz’altra aspirazione che quella di conseguire un benessere economico ed un modo di vivere identico a quello della borghesia. Questa era una conseguenza necessaria al fatto che il marxismo è un ideologia borghese, nata nello stesso terreno del liberalismo e tale da condividere con questo una valorizzazione della vita in termini esclusivamente economici.La responsabilità di questa situazione ricade in gran parte sulla socialdemocrazia che "è soltanto liberalismo popolarizzato e che ha spinto il lavoratore nel suo egoismo di classe, cercando di farne un borghese". Questa attitudine del SPD è quella che ha portato, dopo il 1918, non alla realizzazione della indispensabile rivoluzione nazionale e sociale, bensì "alla ricerca di cariche per i suoi dirigenti” ed alla conversione in una opposizione all'interno del sistema capitalista, anziché in un partito rivoluzionario: L’SPD è un partito liberale e capitalista che impiega una terminologia socialrivoluzionaria per ingannare i lavoratori. Questa analisi è quella che porta Niekisch a dire che tutte le forme di socialismo basate su considerazioni umanitarie sono "tendenze corruttrici che dissolvono la sostanza della volontà guerriera del popolo tedesco". Influenzata molto dal “decisionismo" di Cari Schmitt, l’attitudine di Niekisch verso il KPD è molto più sfumata. Prima di tutto, ed in opposizione al SPD, fermamente basato su concezioni borghesi, il comunismo si regge “su istinti elementari". Del KPD Niekisch apprezza in modo particolare la “struttura autocratica”, la “approvazione a voce alta della dittatura”. Queste caratteristiche renderebbero possibile utilizzare il comunismo come “mezzo” ed il percorrere insieme una parte della strada. Niekisch accolse con speranza il "Programma di Liberazione Nazionale e Sociale" del KPD (24 agosto 1930) in cui si dichiarava la lotta totale contro le riparazioni di guerra e l’ordine dì Versailles, ma quando ciò si rivelò solo una tattica - diretta a frenare i crescenti successi del NSDAP-, cosi come lo era stata la "linea Schlagater" nei 1923, Niekisch denunciò la malafede dei comunisti sul problema nazionale e li qualificò come incapaci di realizzare il compito al quale lui aspirava poiché erano "solo socialrivoluzionari" e per di più poco rivoluzionari. Il ruolo dirigente nel partito rivoluzionario avrebbe quindi dovuto essere ricoperto da un "nazionalista" di nuovo stampo, senza legami con il vecchio nazionalismo (è significativo che Niekisch considerasse il partito tradizionale dei nazionalisti, il DNVP, incapace di conseguire la resurrezione tedesca perché orientato verso l'epoca guglielmina, definitivamente scomparsa). Il nuovo nazionalismo doveva essere socialrivoluzionario, non condizionato, disposto a distruggere tutto quanto potesse ostacolare l’indipendenza tedesca, ed il nuovo nazionalista, fra i cui compiti c’era quello di utilizzare l’operaio comunista rivoluzionario, doveva avere la caratteristica fondamentale di volersi sacrificare e voler servire. Secondo una bella immagine di Niekisch, il comunismo non sarebbe altro che “il fumo che inevitabilmente sale dove un mondo comincia a bruciare”.Si è vista l’immagine offerta da Niekisch della secolare decadenza tedesca, ma nel passato tedesco non tutto è oscuro; c’è un modello al quale Niekisch guarderà costantemente: la vecchia Prussia o, come egli dice, l'idea di Potsdam, una Prussia che con l'apporto di sangue slavo possa essere l’antidoto contro la Germania romanizzata.E così che esigerà, fin dai primi numeri di "Widerstand", la resurrezione di "una Germania prussiana, disciplinata e barbara, più preoccupata del potere che delle cose dello spirito". Cosa significa esattamente la Prussia per Niekisch? O.E. Schüddekopf lo ha indicato esattamente quando dice che nella "idea di Potsdam" Niekisch vedeva tutte le premesse del suo nazional-bolscevismo: "Lo Stato totale, l’economia pianificata, l’alleanza con la Russia, una condizione spirituale antiromana, la difesa contro l'Ovest, contro l'Occidente, l'incondizionato Stato guerriero, la povertà...". Nell'idea prussiana di sovranità Niekisch riconosce l'idea di cui hanno bisogno i tedeschi: quella dello "Stato totale", necessario in quanto la Germania, minacciata dall'ostilità dei vicini per la sua condizione geografica, ha bisogno di diventare uno Stato militare. Questo Stato totale deve essere lo strumento di lotta cui deve essere tutto subordinato - l'economia come la cultura e la scienza - affinchè il popolo tedesco possa ottenere la sua libertà. E’ evidente, per Niekisch - ed in questo occorre ricercare una delle ragioni più profonde del suo nazional-bolscevismo -, che lo Stato non può dipendere da un’economia capitalista in cui offerta e domanda determinino il mercato; al contrario, l’economia deve essere subordinata allo Stato ed alle sue necessità. Per qualche tempo, Niekisch ebbe fiducia in determinati settori della Reichswehr (pronunciò molte delle sue conferenze in questo ambiente militare) per realizzare l’"idea di Potsdam”, ma agli inizi del 1933 si allontanò dalla concezione di una "dittatura della Reichswehr" perché essa non gli appariva sufficientemente "pura" e "prussiana" tanto da farsi portatrice della "dittatura nazionale", e ciò era dovuto, sicuramente, ai suoi legami con le potenze economiche. Un'altro degli aspetti chiave del pensiero di Niekisch è il primato riconosciuto alla politica estera (l'unica vera politica per Spengler) su quella interna. Le sue concezioni al riguardo sono marcatamente influenzate da Macchiavelli (del quale Niekisch era grande ammiratore, tanto da firmare alcuni suoi articoli con lo pseudonimo di Niccolò) e dal suo amico Karl Haushofer. Del primo, Niekisch conserverà sempre la Realpolitik, la sua convinzione che la vera essenza della politica è sempre la lotta fra Stati per il potere e la supremazia, dal secondo apprenderà a pensare secondo dimensioni geopolitiche, considerando che nella situazione di allora - ed a maggior ragione in quella attuale - hanno un peso nella politica mondiale solamente gli Stati costruiti su grandi spazi, e siccome nel 1930 l'Europa centrale di per sè non avrebbe potuto essere altro che una colonia americana, sottomessa non solo allo sfruttamento economico, ma "alla banalità, alla nullità, al deserto, alla vacuità della spiritualità americana", Niekisch propone un grande stato "da Vladivostok sino a Vlessingen", cioè un blocco germano-slavo dominato dallo spirito prussiano con l'imperio dell'unico collettivismo che possa sopportare l'orgoglio umano: quello militare. Accettando con decisione il concetto di "popoli proletari" (come avrebbero fatto i fascisti di sinistra), il nazionalismo di Niekisch era un nazionalismo di liberazione, privo di sciovinismo, i cui obbiettivi dovevano essere la distruzione dell'ordine europeo sorto da Versailles e la liquidazione della Società delle Nazioni, strumento delle potenze vincitrici. Agli inizi del suo pensiero, Niekisch sognava un "gioco in comune" della Germania con i due Paesi che avevano saputo respingere la "struttura intellettuale" occidentale: la Russia bolscevica e l'Italia fascista (è un'altra coincidenza, tra le molte, fra il pensiero di Niekisch e quello di Ramiro Ledesma). Nel suo programma dell'aprile del 1930, Niekisch chiedeva "relazioni pubbliche o segrete con tutti i popoli che soffrono, come il popolo tedesco, sotto l'oppressione delle potenze imperialiste occidentali". Fra questi popoli annoverava l'URSS ed i popoli coloniali dell'Asia e dell'Africa. Più avanti vedremo la sua evoluzione in relazione al Fascismo, mentre ci occuperemo dell'immagine che Niekisch aveva della Russia sovietica. Prima di tutto dobbiamo dire che quest' immagine non era esclusiva di Niekisch, ma che era patrimonio comune di quasi tutti gli esponenti della Rivoluzione Conservatrice e del nazional-bolscevismo, a partire da Moeller van den Bruck, e lo saranno anche i più lucidi fascisti di sinistra: Ramiro Ledesma Ramos e Drieu la Rochelle. Perchè, in effetti, Niekisch considerava la rivoluzione russa del 1917 prima di tutto come una rivoluzione nazionale, più che come una rivoluzione sociale. La Russia, che si trovava in pericolo di morte a causa dell'infiltrazione dei valori occidentali estranei alla sua essenza, "incendiò di nuovo Mosca" per farla finita con i suoi invasori, impiegando il marxismo come combustibile. Con parole dello stesso Niekisch: "Questo fu il senso della Rivoluzione bolscevica: la Russia, in pericolo di morte, ricorse all'idea di Potsdam, la portò sino alle estreme conseguenze, quasi oltre ogni misura, e creò questo Stato assolutista di guerrieri che sottomette la stessa vita quotidiana alla disciplina militare, i cui cittadini sanno sopportare la fame quando c'è da battersi, la cui vita è tutta carica, fino all'esplosione, di volontà di resistenza". Kerenski era stato solo una testa di legno dell' Occidente che voleva introdurre la democrazia borghese in Russia (Kerenski era, chiaramente, l’uomo nel quale avevano fiducia le potenze dell’Intesa perché la Russia continuasse al loro fianco la guerra contro la Germania); la rivoluzione bolscevica era stata diretta contro gli Stati imperialisti dell’Occidente e contro la borghesia interna favorevole allo straniero ed antinazionale. Coerente con questa interpretazione, Niekisch definirà il leninismo come "ciò che rimane del marxismo quando un uomo di Stato geniale lo utilizza per finalità di politica nazionale", e citerà con frequenza la celebre frase di Lenin che sarebbe diventata il leit-motiv di tutti i nazional-bolscevichi: "Fate della causa del popolo la causa della Nazione e la causa della Nazione diventerà la causa del popolo". Nelle lotte per il potere che ebbero luogo ai vertici sovietici dopo la morte di Lenin, le simpatie di Niekisch erano dirette a Stalin, e la sua ostilità verso Trotzskij (atteggiamento condiviso, fra molti altri, anche da Ernst Jünger e dagli Strasser). Trotzskij ed i suoi seguaci, incarnavano, agli occhi di Niekisch, le forze occidentali, il veleno dell’Ovest, le forze di una decomposizione ostile a un ordine nazionale in Russia. Per questo motivo Niekisch accolse con soddisfazione la vittoria di Stalin e dette al suo regime la qualifica di "organizzazione della difesa nazionale che libera gli istinti virili e combattenti". Il Primo Piano Quinquennale, in corso quando Niekisch scriveva, era "Un prodigioso sforzo morale e nazionale destinato a conseguire l’autarchia". Era quindi l’aspetto politico-militare della pianificazione ciò che affascinava Niekisch, gli aspetti socio-economici (come nel caso della sua valutazione del KDP) lo interessavano appena. Fu in questo modo che poté coniare la formula: "collettivismo + pianificazione = militarizzazione del popolo". Quanto Niekisch apprezzava della Russia è esattamente il contrario di quanto ha attratto gli intellettuali marxisti degenerati: “La violenta volontà di produzione per rendere forte e difendere lo Stato, l’imbarbarimento cosciente dell’esistenza... l’attitudine guerriera, autocratica, dell’élite dirigente che governa dittatorialmente, l’esercizio per praticare l’ascesi di un popolo...”. Era logico che Niekisch vedesse nell’Unione Sovietica il compagno ideale di un’alleanza con la Germania, poiché incarnava i valori antioccidentali cui Niekisch aspirava. Inoltre, occorre tener presente che in quell’epoca l’URSS era uno Stato isolato, visto con sospetto dai paesi occidentali ed escluso da ogni tipo di alleanza, per non dire circondato da Stati ostili che erano praticamente satelliti della Francia e dell’Inghilterra (Stati baltici, Polonia, Romania); a questo bisogna poi aggiungere che fino a ben oltre gli inizi degli anni ‘30, l’URSS non faceva parte della Società delle Nazioni né aveva rapporti diplomatici con gli USA. Niekisch riteneva che un'alleanza Russia-Germania fosse necessaria anche per la prima, poiché "la Russia deve temere l'Asia", e solo un blocco dall'Atlantico al Pacifico poteva contenere "la marea gialla", allo stesso modo in cui solo con la collaborazione tedesca la Russia avrebbe potuto sfruttare le immense risorse della Siberia. Abbiamo visto per quali ragioni la Russia appariva a Niekisch come un modello. Ma per la Germania non si trattava di copiare l'idea bolscevica, di accettarla in quanto tale. La Germania - e su questo punto Niekisch condivide l'opinione di tutti i nazionalisti - deve cercare le sue proprie idee e forme, e se la Russia veniva portata ad esempio, la ragione era che aveva organizzato uno Stato seguendo la "legge di Potsdam" che avrebbe dovuto ispirare anche la Germania. Organizzando uno Stato assolutamente antioccidentale, la Germania non avrebbe imitato la Russia, ma avrebbe recuperato la propria specificità, alienata nel corso di tutti quegli anni di sottomissione allo straniero e che si era incarnata nello Stato russo. Per quanto gli accordi con la Polonia e la Francia sondati dalla Russia saranno osservati con inquietudine da Niekisch, che difenderà appassionatamente l'Unione Sovietica contro le minacce di intervento e contro le campagne condotte a sue discapito dalle confessioni religiose. Inoltre, per Niekisch "una partecipazione della Germania alla crociata contro la Russia significherebbe... un suicidio". Questo sarà il rimprovero più importante - e convincente - di Niekisch al nazionalsocialismo, e con ciò giungiamo ad un punto che non cessa di provocare una certa perplessità: l'atteggiamento di Niekisch verso il nazionalsocialismo. Questa perplessità non è solo nostra; durante l'epoca che studiamo, Niekisch era visto dai suoi contemporanei più o meno come un "nazi". Certamente, la rivista paracomunista "Aufbruch" lo accomunava a Hitler nel 1932; più specifica, la rivista sovietica "Moskauer Rundschau" (30 novembre 1930), qualificava il suo "Entscheidung" come "l'opera di un romantico che ha ripreso da Nietzsche la sua scala di valori". Per dei critici moderni come Armin Mohler "molto di quanto Niekisch aveva chiesto per anni sarà realizzato da Hitler", e Faye segnala che la polemica contro i nazionalsocialisti, per il linguaggio che usa "lo colloca nel campo degli stessi". Cosa fu dunque ciò che portò Niekisch ad opporsi al nazionalsocialismo? Da un'ottica retrospettiva, Niekisch considera il NSDAP fino al 1923 come un "movimento nazional-rivoluzionario genuinamente tedesco", ma dalla rifondazione del Partito, nel 1925, pronuncia un'altro giudizio, nello stesso modo in cui modificherà il suo precedente giudizio sul fascismo italiano. Troviamo l'essenziale delle critiche di Niekisch al nazionalsocialismo in un opuscolo del 1932: "Hitler - ein deutsches Verhängnis" (Hitler, una fatalità tedesca) che apparve illustrato con impressionanti disegni di un artista di valore: A. Paul Weber. Dupeux segnala con esattezza che queste critiche non sono fatte dal punto di vista dell'umanitarismo e della democrazia, com'è usuale ai nostri giorni, e Sauermann lo qualifica come un "avversario in fondo essenzialmente rassomigliante". Niekisch considerava "cattolico", "romano" e "fascista" il fatto di dirigersi alle masse e giunse ad esprimere "l'assurdo" (Dupeux) che: "che è nazista, presto sarà cattolico". In questa critica occorre vedere, per cercare di comprenderla, la manifestazione di un atteggiamento molto comune fra tutti gli autori della Rivoluzione conservatrice, che disprezzavano come "demagogia" qualsiasi lavoro fra le masse, ed occorre ricordare, anche, che Niekisch non fu mai un tattico né un "politico pratico". Allo stesso tempo occorre mettere in relazione la sfiducia verso il nazionalsocialismo con le origini austriache e bavaresi dello stesso, poiché abbiamo già visto che Niekisch guardava con diffidenza ai tedeschi del sud e dell'ovest, come influenzati dalla romanizzazione. D'altra parte, Niekisch rimprovera al nazionalsocialismo la sua "democraticità" alla Rousseau e la sua fede nel popolo. Per Niekisch l'essenziale è lo Stato: egli sviluppò sempre un vero "culto dello Stato", perfino nella sua epoca socialdemocratica, per cui risulta per lo meno grottesco qualificarlo come un "sindacalista anarchico" (sic). Niekisch commise gravi errori nella sua valutazione del nazionalsocialismo, come il prendere sul serio il "giuramento di legalità" pronunciato da Hitler nel corso del processo al tenente Scheringer, senza sospettare che si trattava di mera tattica (con parole di Lenin, un rivoluzionario deve saper utilizzare tutte le risorse, legali ed illegali, servirsi di tutti i mezzi secondo la situazione, e questo Hitler lo realizzò alla perfezione), e ritenere che Hitler si trovasse molto lontano dal potere...nel gennaio del 1933. Questi errori possono spiegarsi facilmente, come ha fatto Sauermann, con il fatto che Niekisch giudicava il NSDAP più basandosi sulla propaganda elettorale che sullo studio della vera essenza di questo movimento. Tuttavia, il rimprovero fondamentale concerne la politica estera. Per Niekisch, la disponibilità - espressa nel "Mein Kampf" - di Hitler ad un'intesa con Italia ed Inghilterra e l'ostilità verso la Russia erano gli errori fondamentali del nazionalsocialismo, poiché questo orientamento avrebbe fatto della Germania un "gendarme dell'Occidente". Questa critica è molto più coerente delle anteriori. L'assurda fiducia di Hitler di poter giungere ad un accordo con l'Inghilterra gli avrebbe fatto commettere gravi errori (Dunkerque, per citarne uno); sulla sua alleanza con l'Italia, determinata dal sentimento e non dagli interessi - ciò che è funesto in politica - egli stesso si sarebbe espresso ripetutamente e con amarezza. Per quanto riguarda l'URSS, fra i collaboratori di Hitler Goebbels fu sempre del parere che si dovesse giungere ad un intesa, e perfino ad un'alleanza con essa, e ciò non solo nel periodo della sua collaborazione con gli Strasser, ma sino alla fine del III Reich, come ha dimostrato inequivocabilmente il suo ultimo addetto stampa Wilfred von Owen nel suo diario ("Finale furioso. Con Goebbels sino alla fine"), edito per la prima volta - in tedesco - a Buenos Aires (1950) e proibito in Germania sino al 1974, data in cui fu pubblicato dalla prestigiosa Grabert-Verlag di Tübingen, alla faccia degli antisovietici e filo-occidentali di professione. La denuncia, sostenuta da Niekisch, di qualsiasi crociata contro la Russia, assunse toni profetici quando evocò in un' immagine angosciosa "le ombre del momento in cui le forze...della Germania diretta verso l'Est, sperperate, eccessivamente tese, esploderanno...Resterà un popolo esausto, senza speranza, e l'ordine di Versailles sarà più forte che mai". Indubbiamente Ernst Niekisch esercitò, negli anni dal 1926 al 1933, una influenza reale nella politica tedesca, mediante la diffusione e l'accettazione dei suoi scritti negli ambienti nazional-rivoluzionari che lottavano contro il sistema di Weimar. Questa influenza non deve essere valutata, certamente in termini quantitativi: l'attività di Niekisch non si orientò mai verso la conquista delle masse, né il carattere delle sue idee era il più adeguato a questo fine. Per fornire alcune cifre, diremo che la sua rivista "Widerstand" aveva una tiratura che oscillava fra le 3.000 e le 4.500 copie, fatto che è lungi dall'essere disprezzabile per l'epoca, ed in più trattandosi di una rivista ben presentata e di alto livello intellettuale; i circoli "Resistenza" raggruppavano circa 5.000 simpatizzanti, dei quali circa 500 erano politicamente attivi. Non è molto a paragone dei grandi partiti di massa, ma l'influenza delle idee di Niekisch dev'essere valutata considerando le sue conferenze, il giro delle sue amicizie (di cui abbiamo già parlato), i suoi rapporti con gli ambienti militari, la sua attività editoriale, e soprattutto, la speciale atmosfera della Germania in quegli anni, in cui le idee trasmesse da "Widerstand" trovavano un ambiente molto ricettivo nelle Leghe paramilitari, nel Movimento Giovanile, fra le innumerevoli riviste affini ed anche in grandi raggruppamenti come il NSDAP, lo Stahlhelm, ed un certo settore di militanti del KPD (come si sa, il passaggio di militanti del KPD nel NSDAP, e viceversa, fu un fenomeno molto comune negli ultimi anni della Repubblica di Weimar, anche se gli storici moderni ammettono che vi fu una percentuale maggiore di rivoluzionari che percorsero il primo tipo di tragitto, ancor prima dell'arrivo di Hitler al potere). Queste brevi osservazioni possono a ragione far ritenere che l'influenza di Niekisch fu molto più ampia di quanto potrebbe far pensare il numero dei suoi simpatizzanti. Il 9 marzo del 1933 Niekisch è arrestato da un gruppo di SA ed il suo domicilio perquisito. Viene posto in libertà immediatamente, ma la rivista "Entscheidung", fondata nell'autunno del 1932, viene sospesa. "Widerstand", al contrario, continuerà ad apparire sino al dicembre del 1934, e la casa editrice dallo stesso nome pubblica libri sino al 1936 inoltrato. Dal 1934 Niekisch viaggia per quasi tutti i paesi d'Europa, nei quali sembra abbia avuto contatti con i circoli dell'emigrazione. Nel 1935, nel corso di una visita a Roma, viene ricevuto da Mussolini. Non si può fare a meno di commuoversi nell'immaginare questo incontro, disteso e cordiale, fra due grandi uomini che avevano iniziato la loro carriera politica nelle file del socialismo rivoluzionario. Alla domanda di Mussolini su che cosa aveva contro Hitler, Niekisch rispose:"Faccio mie le vostre parole sui popoli proletari". Mussolini rispose."E' quanto dico sempre a Hitler". (Va ricordato che questi scrisse una lettera a Mussolini - il 6 marzo 1940 - in cui gli spiegava il suo accordo con la Russia, perché "ciò che ha portato il nazionalsocialismo all'ostilità contro il comunismo è solo la posizione - unilaterale - giudaico-internazionale, e non, al contrario, l'ideologia dello Stato stalinista-russo-nazionalista". Durante la guerra, Hitler esprimerà ripetutamente la sua ammirazione per Stalin, in contrasto con l'assoluto disprezzo che provava per Roosevelt e Churchill). Nel marzo del 1937 Niekisch è arrestato con 70 dei suoi militanti (un gran numero di membri dei circoli "Resistenza" aveva cessato la propria attività, significativamente, nel constatare che Hitler stava portando avanti realmente la demolizione del Diktat di Versailles che anch'essi avevano tanto combattuto). Nel gennaio del 1939 è processato davanti al Tribunale Popolare, accusato di alto tradimento ed infrazione sulla legge sulla fondazione di nuovi partiti, e condannato all'ergastolo. Sembra che le accuse che più pesarono contro di lui furono i manoscritti trovati nella sua casa, nei quali criticava Hitler ed altri dirigenti del III Reich. Fu incarcerato nella prigione di Brandenburg sino al 27 aprile del 1945, giorno in cui viene liberato dalle truppe sovietiche, quasi completamente cieco e semiparalitico. Nell'estate del 1945 entra nel KPD che, dopo la fusione nella zona sovietica con l'SPD, nel 1946 si denominerà Partito Socialista Unificato di Germania (SED) e viene eletto al Congresso Popolare come delegato della Lega Culturale. Da questo posto difende una via tedesca al socialismo e si oppone dal 1948 alle tendenze di una divisione permanete della Germania. Nel 1947 viene nominato professore all'Università Humboldt di Berlino, e nel 1949 è direttore dell' "Istituto di Ricerche sull'Imperialismo"; in quell'anno pubblica uno studio sul problema delle élites in Ortega y Gasset. Niekisch non era, ovviamente, un "collaborazionista" servile: dal 1950 si rende conto che i russi non vogliono un "via tedesca" al socialismo, ma solo avere un satellite docile (come gli americani nella Germania federale). Coerentemente con il suo modo di essere, fa apertamente le sue critiche e lentamente cade in disgrazia; nel 1951 il suo corso è sospeso e l'Istituto chiuso. Nel 1952 ha luogo la sua scomunica definitiva, effettuata dall'organo ufficiale del Comitato Centrale del SED a proposito del suo libro del 1952 "Europäische Bilanz". Niekisch è accusato di "...giungere a erronee conclusioni pessimistiche perché, malgrado l'occasionale impiego della terminologia marxista, non impiega il metodo marxista...la sua concezione della storia è essenzialmente idealista...". Il colpo finale è dato dagli avvenimenti del 17 giugno del 1953 a Berlino, che Niekisch considera come una legittima rivolta popolare. La conseguente repressione distrugge le sue ultime speranze nella Germania democratica e lo induce a ritirarsi dalla politica. Da questo momento Niekisch, vecchio e malato, si dedica a scrivere le sue memorie cercando di dare al suo antico atteggiamento di "Resistenza" un significato di opposizione a Hitler, nel tentativo di cancellare le orme della sua opposizione al liberalismo. In ciò fu aiutato dalla ristretta cerchia dei vecchi amici sopravvissuti. Il più influente fra loro fu il suo antico luogotenente, Josef Drexel, vecchio membro del Bund Oberland e divenuto, nel secondo dopoguerra, magnate della stampa in Franconia. Questo tentativo può spiegarsi, oltre che con il già menzionato stato di salute di Niekisch, con la sua richiesta di ottenere dalla Repubblica Federale (viveva a Berlino Ovest) una pensione per i suoi anni di carcere. Questa pensione gli fu sempre negata, attraverso una interminabile serie di processi. I tribunali basarono il rifiuto su due punti: Niekisch aveva fatto parte di una setta nazionalsocialista (sic) ed aveva collaborato in seguito al consolidamento di un'altro totalitarismo: quello della Germania democratica. Cosa bisogna pensare di questi tentativi di rendere innocuo Niekisch si deduce da quanto fin qui esposto. La storiografia più recente li ha smentiti del tutto. Il 23 maggio del 1967, praticamente dimenticato, Niekisch moriva a Berlino. Malgrado sia quasi impossibile trovare le sue opere anteriori al 1933, in parte perché non ripubblicate ed in parte perché scomparse dalle biblioteche, A. Mohler ha segnalato che Niekisch torna farsi virulento, e fotocopie dei suoi scritti circolano di mano in mano fra i giovani tedeschi disillusi dal neo-marxismo (Marcuse, Suola di Frankfurt). La critica storica gli riconosce sempre maggiore importanza. DI quest'uomo, che si oppone a tutti i regimi presenti nella Germania del XX secolo, bisogna dire che mai operò mosso dall'opportunismo. I suoi cambi di orientamento furono sempre il prodotto della sua incessante ricerca di uno Stato che potesse garantire la liberazione della Germania e dello strumento idoneo a raggiungere questo obiettivo. Le sue sofferenze - reali - meritano il rispetto dovuto a quanti mantengono coerentemente le proprie idee. Niekisch avrebbe potuto seguire una carriera burocratica nell'SPD, accettare lo splendido posto offertogli da Gregor Strasser, esiliarsi nel 1933, tacere nella Germania democratica...Ma sempre fu fedele al suo ideale ed operò come credeva di dover fare senza tener conto delle conseguenze personali che avrebbero potuto derivargli. La sua collaborazione con il SED è comprensibile, ed ancor più il modo in cui si concluse. Oggi che l'Europa è sottomessa agli pseudovalori dell'Occidente americanizzato, le sue idee e la sua lotta continuano ad avere un valore esemplare. E' quanto compresero i nazional-rivoluzionari di "Sache del Volches" quando, nel 1976, apposero una targa sulla vecchia casa di Niekisch, con la frase: "O siamo un popolo rivoluzionario o cessiamo definitivamente di essere un popolo libero".
Josè Cuadrado CostaArticolo tratto dai numeri 56 e 57 di Orion

Per l'approfondimento dell'argomento si consigliano:
- AA.VV., Nazionalcomunismo. Prospettive per un blocco eurasiatico. Ed. Barbarossa 1996
- Origini n°2, L'opposizione nazionalrivoluzionaria al Terzo Reich 1988
- E. Niekisch, Est & Ovest. Considerazioni in ordine sparso. Ed. Barbarossa 2000
- E. Niekisch, Il regno dei demoni. Panorama del Terzo Reich. Feltrinelli Editore 1959
- A. Mohler, La Rivoluzione Conservatrice. Ed. Akropolis 1990

http://xoomer.virgilio.it/controvoce/idee-niekisch.htm
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frontefrontef

Kavalerists
23-07-16, 23:19
Bellissimo e veramente completo l'articolo su Ernst Niekisch.

p.s.: “Fate della Nazione la causa del popolo e la causa del popolo sarà quella della Nazione.”...ah, quel brutto rossobruno di Lenin... :rolleyes:

LupoSciolto°
21-10-16, 11:17
L’Intellettuale Dissidente incontra Kemi Seba


di Lorenzo Vitelli - 25 novembre 2013 http://www.lintellettualedissidente.it/wp-content/themes/ID/images/facebook.svg (http://www.facebook.com/share.php?u=http%3A%2F%2Fwww.lintellettualedisside nte.it%2Fars-disputandi%2Flintellettuale-dissidente-incontra-kemi-seba%2F&title=L%E2%80%99Intellettuale%20Dissidente%20incon tra%20Kemi%20Seba) http://www.lintellettualedissidente.it/wp-content/themes/ID/images/twitter.svg (http://twitter.com/intent/tweet?status=L%E2%80%99Intellettuale%20Dissidente% 20incontra%20Kemi%20Seba+http%3A%2F%2Fwww.lintelle ttualedissidente.it%2FndtHa+@IntDissidente) http://www.lintellettualedissidente.it/wp-content/themes/ID/images/google+.svg (https://plus.google.com/share?url=http%3A%2F%2Fwww.lintellettualedissident e.it%2Fars-disputandi%2Flintellettuale-dissidente-incontra-kemi-seba%2F)


Kemi Seba è un attivista e predicatore nero francese, anti-sionista e anti-imperialista. Nasce a Strasburgo nel 1981 e comincia le sue prime esperienze politiche all’età di 18 anni quando frequenta la Nation of Islam, presidiata, a quel tempo, da Karim D. Muhammad. Ha fondato in questi ultimi anni diversi movimenti, tra cui Tribu Ka, organizzazione interdetta per accuse di “razzismo”, dal governo Chirac nel 2006. Vive tuttora in Senegal dove lavora per l’Afrikan Mosaique ed è Ministro francofono del New Black Panther Party.
1- Il mondo moderno è un sistema pieno di contraddizioni, e in che modo il fenomeno imperialista e neocolonialista Occidentale, in nome dei “diritti umani”, sta distruggendo l’identità sociale e culturale dei paesi africani e del Medioriente?Il mondo moderno non è poi così contraddittorio quando si conosce il modo di operare dell’oligarchia. Io direi d’altronde che quest’ultima si regge su due tipi di discorsi, quello della virtù, della fratellanza, dell’unità, mentre il suo ruolo è quello di asfissiarci, ucciderci, dividerci. L’Imperialismo nasce e sussiste nel nostro malfunzionamento, e per portarsi a termine, deve distruggere le matrici dei popoli. La nozione di patria, la nozione di famiglia, la nozione di unione uomo-donna, la nozione di procreazione. Più vi sarà degenerazione tra i ceti di bassa condizione più aumenteranno il loro profitto le classi alte.La conservazione della propria identità è l’ultimo bastione di resistenza al mondialismo.2- I vostri movimenti “Tribu Ka”, “génération Kemi Seba”, MDI, movimento di idee panafricane che difendono l’identità afro-discendente, sono tutti stati dissolti dopo l’accusa di razzismo. Cosa ne pensate del concetto di “razzismo” e del concetto di “razza”?Faccio notare che non sono stato condannato giuridicamente perché attaccavo i Bianchi gli Arabi o altri, ma proprio perché condannavo l’oligarchia. Fintanto che restavo, ai tempi del mio debutto, nella mia adolescenziale collera nera, rigettando ogni dialogo con i non-Neri, non disturbavo nessuno.
A partire dal momento in cui il mio discorso si è affinato nella forma, e intensificato nel contenuto geopolitico, e che miravo sempre più le élites nelle mie analisi e nelle mie azioni territoriali, lo Stato francese si è innervosito. E ovviamente il sistema ha tentato di bloccarmi facendomi passare per un fascista nero, un Hitler nero. Senza dubbio interdicendomi tre organizzazioni, pensavano di fermare la mia lotta panafricana dissidente, ma non hanno tenuto conto della mia resistenza. Per quanto riguarda la razza, personalmente non ci credo. Delle persone di qualsiasi colore possono avere un genotipo simile. Ma la Storia ha fatto si che il fenotipo abbia dell’importanza. Che lo si voglia o meno, il fenotipo è una caratteristica importante che segna le differenza tra i popoli. Non credo di più alla nozione di popolo che non alla nozione di razza. Quando vi parlo del popolo svedese voi saprete che non assomiglia a quello della Nigeria, che sia fisicamente (fenotipo), culturalmente, spiritualmente. E’ in queste differenze che io credo. Più in generale, come insegna l’Onorevole Ministro Louis Farrakhan, i primi popoli avevano un aspetto comune, avevano la pelle scura, e formavano in realtà uno solo ed unico popolo.
Per tornare alla nozione di razza, la cosa più intrigante è che i primi ad avere “razzializzato” l’Umanità e commesso innumerevoli crimini barbari su quest’ultima (da prendere in considerazione l’oligarchia talmudica), desiderano, nel momento in cui l’Umanità domanda loro di rendere il conto, abolire in apparenza le differenze, nel suo progetto sistematico di “babilonizzazione” generalizzata. Tutto ciò dovrebbe far riflette coloro che credono ingenuamente alla United Colors of Benethon. Io vedo più il progetto mondialista dei Bengourion…3 – L’Occidente, per sfruttare la manodopera degli immigrati, ci ha inculcato l’idea umanista e cosmopolita di una società tollerante e multiculturale. Ma non è forse proprio questo multiculturalismo che, paradossalmente, sta distruggendo qualsiasi differenza etnica? Cosa vuol dire essere “etno-differenzialisti”?Quelli che conoscono un minimo i fatti della guerra planetaria che viviamo oggi sanno che le élite hanno prodotto un concetto vestito del mantello dell’amore e della pace mentre il contenuto è genocidario. Personalmente, lo nomino l’”Imperialismo della virtù”. Ci parlano dei diritti dell’Uomo, ma vogliono sopratutto che l’Uomo cammini dritto nella trappola che questi demoni dal volto umano gli tendono. E’ quindi evidente che il multiculturalismo genera una società multi-conflittuale. Certi popoli non hanno granché da vedere culturalmente, e se è evidente che la condivisione arricchisce, non possiamo neanche negare che la coabitazione forzata distrugge. Lo penso dal più profondo del mio cuore, ne ho fatto l’esperienza, la società multi-conflittuale, ne sono il frutto.Per quanto riguarda l’etno-differenzialismo, è un termine che non mi appartiene, è stato teorizzato dalla “nuova destra”, o GRECIA. L’ho utilizzato perché si avvicinava da quello che ho imparato formandomi politicamente negli anni 90′ in grembo alla Nation of Islam. Ho optato per questo termine per definire la mio visione della diversità perché il mondo francese è talmente chiuso nei confronti dei concetti stranieri che se non si rientra nelle caselle che lui stesso ha tracciato, si passa per dei folli. La nuova destra crede alla differenza dei popoli, ma i suoi scopi a lungo termine non sono i miei e non lo sono mai stati, ecco perché non uso più questa terminologia.4 – In che modo l’afrocentrismo può essere una soluzione per sollevare l’Africa dalla sua condizione coloniale?Se seguite la mia riflessione, che ha evidentemente evoluto in 14 anni (ho cominciato questa attività politica nel 1999), saprete che non credo più nell’afrocentricità da più di 7 anni. Mi sono reso conto con il tempo che questa corrente, malgrado le buone intenzioni di certi fratelli che ci si trovano, non era che una pallida copia dell’eurocentrismo. La mia visione porta molto più su quello che ho concettualizzato oggi, la Supra-negritudine, corrente di pensiero che si articola su 3 assi per il mio popolo, l’autodeterminazione, l’anti-vittimizzazione, e la virilità popolare. Ne parlo in maniera più dettagliata nel mio saggio “Supra-négritude”, che apparirà nell’edizione Fiat Lux di qui a qualche settimana.5- Quali sono gli uomini del passato che hanno ispirato la vostra lotta?Adolescente, ero un drogato del filosofo Nietzsche (sopratutto i suoi scritti “Anticristo” e “Così parlò Zarathustra”). Vivevo al ritmo delle punchlines del rapper 2Pac, ero affascinato dalla collera politica nera del dottor Khallid Muhammad, la poesia del fratello guineano Léon Gontran Damas, il lato iconoclasta del particolarissimo nazionalista olandese Pim Fortuyn, l’intrepidità del primo ministro congolese Patrice Lumumba, la classe dissidente dell’indomabile Winnie Mandela. Molta gente di orizzonte differente mi ha segnato. Ma ce ne sono due più di qualsiasi altro che sino ad oggi, hanno avuto un impatto su di me. Riservo i loro nomi per l’uscita del mio libro.6- Quali consigli potete dare in un periodo di crisi socio-economica, ma sopratutto esistenziale e identitaria, ai giovani migranti in Occidente e ai giovani africani?Di informarsi bene sulla destinazione che pensano essere un paradiso terrestre. Perché si potrebbe benissimo dare che sia un inferno su terra.

FONTE: http://www.lintellettualedissidente.it/ars-disputandi/lintellettuale-dissidente-incontra-kemi-seba/

PUBBLICO L'ARTICOLO PUR NON CONDIVIDENDO IL PENSIERO DELLA NATION OF ISLAM

LupoSciolto°
17-01-17, 17:56
https://youtu.be/bYYwR-S6mNM

Una delle pochissime testimonianze audio/video di Otto Strasser

Kavalerists
18-01-17, 23:46
I socialisti del Risorgimento

Breve approfondimento sul patriottismo nazionale e socialista degli uomini che hanno contribuito, in secondo piano, all'Unità d'Italia.

di - 27 gennaio 2014 http://www.lintellettualedissidente.it/wp-content/themes/ID/images/facebook.svg (http://www.facebook.com/share.php?u=http%3A%2F%2Fwww.lintellettualedisside nte.it%2Fhomines%2Fsocialisti-del-risorgimento%2F&title=I%20socialisti%20del%20Risorgimento) http://www.lintellettualedissidente.it/wp-content/themes/ID/images/twitter.svg (http://twitter.com/intent/tweet?status=I%20socialisti%20del%20Risorgimento+h ttp%3A%2F%2Fwww.lintellettualedissidente.it%2FWuXE d+@IntDissidente) http://www.lintellettualedissidente.it/wp-content/themes/ID/images/google+.svg (https://plus.google.com/share?url=http%3A%2F%2Fwww.lintellettualedissident e.it%2Fhomines%2Fsocialisti-del-risorgimento%2F)

Carlo Pisacane Il Pisacane,…spiegherà che << Bisognava poter essere socialisti e patrioti insieme, combattendo tanto il comunismo autoritario che l’anarchismo individualista>>, ed ancora: <<Noi Italiani siamo stati, e saremo in avvenire, i maestri di guerra del mondo. Da Romolo e Scipione noi portammo l’arte della guerra alla più grande perfezione (…) Suscitiamo in noi l’antica baldanza.>> Il ricordo di Roma che unisce, fu al Pisacane sempre costantemente presente: <<è giusto, mentre tutti gridano contro la guerra, rammentare che senza la guerra la civiltà non sarebbesi sparsa sul mondo romano.>>. Ai suoi antichi commilitoni diceva: <<Camerati, la guerra che noi combatteremo, sarà guerra del nostro risorgimento, quindi non già dell’epoca della nostra decadenza dobbiamo cercare l’ispirazione, ma bensì da quella della nostra grandezza.>> (v. del Pisacane, I Saggi storici-politici-militari sull’Italia, e Scritti vari). Il socialismo del Pisacane era talmente nazionalista, che egli non reputa di dovere ammettere nell’esercito nazionale i democratici stranieri. Scrive Mori (La Questione romana, 1861-1865, Firenze 1963) che la preoccupazione del Pisacane, come pure del Mazzini, era <<dare vita ad una dottrina sociale che sgorgasse dall’ESSERE nazionale (il maiuscolo è di Pisacane), che desse vita, cioè, all’iniziativa italiana, che svegliasse dal letargo il nostro popolo, la nostra nazione e le desse coscienza della sua missione sociale e nazionale, italiana ed europea. Quindi, comunque venisse accentuata quella componente sociale o socialista, la democrazia nostra volle essere e fu nazionale, italiana, non cosmopolita. I più decisi di questo atteggiamento (…), i più contrari ad una libertà e a una democrazia avuta in dono d’oltremonte, furono proprio Mazzini e Pisacane.>> Coloro che fecero il Risorgimento, i combattenti e l’élite spirituale avevano nettamente chiaro di realizzare un’Italia Unita, repubblicana, nazionale – socialista. L’opzione Savoia fu imposta da sopravvenute circostanze, accettata con riserve dai patrioti (riserve –alla luce di non pochi fatti- giustificate), ma senza mai mettere in discussione l’Unità dello Stato, alla quale dovettero piegarsi –più o meno obtorto collo, sotto l’incalzare dei moti repubblicani dal ’48 in poi, e delle imprese garibaldine- anche il Cavour e lo stesso Savoia i quali, in origine, pensavano ad una Unità territorialmente tronca, perché –per volontà di Napoleone III, gran protettore di Pio IX- non si doveva andare oltre l’Emilia – Romagna. In ciò, i Savoia colsero con più intelligenza dei Borbone l’opportunità offerta loro dalla Storia, trasformando in missione della loro Casa, nel ’48 e le ’59, un casus non preveduto né cercato, se non nel decennio delle prime due guerre. L’animus internazionalista contro l’Italia, vide uniti reazionari cattolici e marxisti (situazione che sarà ben nota a Togliatti, polemico in tal senso verso il movimento Giustizia e Libertà.) Furono decisamente antitaliani Marx, Blanqui e Proudhon: Gli articoli contro il risorgimento italiano e contro Garibaldi, all’epoca della visita di questi in Inghilterra, da parte di Marx furono numerosi; Blanqui fu nemico di Mazzini, perché in lui <<vedeva più nazionalismo che democrazia>>. Proudhon, anarchico, scrisse contro l’Italia, esaltando il potere temporale, rampognando Napoleone III che aveva favorito l’unità d’Italia. I clerico – reazionari, borbonizzanti o austriacanti che fossero, nel loro essere antiunitari si muovevano (come oggi si muovono) sulla stessa linea del marxismo (presentemente, i leader della Lega Nord provengono quasi tutti dalla sinistra extraparlamentare, nel mentre neoborbonici ed austriacanti sono equamente suddivisi in quanto a provenienza politica, anche se prevale l’appartenenza ad una pseudo destra estrema: Franco Cardini ha origine politiche a sinistra, come Bettiza. Massimo Introvigne ed il suo CESNUR, con i sodali di Alleanza Cattolica, svolgono tuttora compiti di indagine politica per conto del soglio pontificio cattolico.) Abbiamo parlato del Pisacane, il quale nelle sue opere cita spessissimo gli intellettuali della Repubblica Partenopea, cui faceva riferimento, e dai quali trasse non poche idee sulla sua concezione di socialità.

Gian Domenico Romagnosi Anche il Romagnosi, grande esempio di patriota ed Iniziato, aveva in animo <<una metafisica politico-sociale che aveva al tempo stesso carattere nazionale e di socialità e dove, tra le righe di tante sottili ed erudite disquisizioni, chiamava più che allo studio, alla lotta la gioventù italiana>> (così il Berti nei suoi scritti). Il Romagnosi, scrive il Cattaneo (Scritti storici e geografici) scorgeva le origini della sua metafisica della storia nei “collegi braminici dell’India”. Egli intravvedeva la possibilità pratica di una monarchia nazionale rappresentativa, che potesse favorire il risorgimento d’Italia.

Carlo Cattaneo Per il Cattaneo, a torto considerato “federalista” (nel senso moderno di proto secessionismo), l’anelito unitario e la coscienza dell’ENTE (ontologicamente) ITALIA sono ben fermi. Per lui, <<Nazione è come dire comune nascimento di pensieri: e i pensieri ci nascono nella lingua materna; ond’è che nazione e lingua vanno del pari. E si consideri che a definire se un’associazione d’uomini sia naturale o artificiale, ogni altro criterio, fuor di quello della lingua, sarebbe dubbioso, e per difetto d’accettabile arbitrato lascerebbe durar perpetue le controversie; essendo disputabili i confini veri che separano l’una dall’altra contrada, oscure e favoleggiate le origini e le genealogie dei popoli, sofisticabili gli oracoli della storia. Solo non può negarsi né porsi in dubitazione il fatto, che alcuno sia nato, e parli e pensi in un determinato idioma. Questa, a dir vero, è la nota caratteristica e il plasma dei concetti; questa l’impronta nativa e non cancellabile dell’ingegno; questa la forma in cui ci è dato d’essere alla nostra volta generatori e creatori d’idee; questa, in una parola, la patria dell’anima.>> Nel 1858, descrive “L’Italia alla vigilia della Riscossa”; egli insiste: << La fisionomia dell’Italia è spiccata a contorni gagliardi, e non manco rilevate e spigliate sono le sue membra; nelle quali lo spirito risponde alla forma. Imperocché le divisioni etnogeografiche, se non s’assettano in tutto alle geografiche, non ne svariano però gran fatto; e quel che è più, tanto le une quanto le altre trapassano per gradi da luogo a luogo e da vernacolo a vernacolo con legamenti e articolazioni, le quali, come provano la varietà delle parti, così attestano l’unità del tutto>>. Quale fosse l’intendimento del Cattaneo circa il proposto federalismo (ben altro da quel che scelleratamente oggi si propone) lo spiega il medesimo Cattaneo. Infatti, nel maggio-giugno del 1848 egli scrive ad un imprecisato: <<Amico, D’accordo a quanto mi ragionate della Sicilia, rispondo sempre con le parole di Torquato Tasso: Italia e Roma. E’ manifesto che la Sicilia, volendo fare da sé, non può aspirare a miglior sorte di Malta e delle Isole Joniche – Vae soli! Quando poi non voglia restar sola, né soggiacere nuovamente a Napoli, deve aggiogarsi all’universa Italia in Roma. L’Italia non potrebbe essere una col pontefice re, perocché si è fatto esperimento che non può essere nostro capitano chi vuole essere sacerdote e padre dei nostri nemici…>>. Nella medesima lettera il Cattaneo si sofferma poi sulle ragioni del federalismo da lui proposto per l’Italia, di organizzarla cioè in Repubblica federale, riaffermando però recisamente la necessità e la vocazione unitaria della Nazione, essendo il federalismo soltanto funzionale ad un ordinario decentramento amministrativo dello Stato, come un tempo le province romane nei confronti del governo imperiale o del Senato repubblicano: << …E’ per tal fatto che le aule dei principi fastidite dai più generosi, rimasero sempre in balìa dei peggiori. Perloché, da Falaride a Nerone, dal teschio di Boezio alla tazza di Alboino, dalla quaresima dei Visconti ai patiboli d’Emma Liona. Alla paura di Tagliacozzo, alla ignavia di Mortara, il principato fra noi fu sempre codardo e crudele. …la Sicilia, che logorò invano sette progenie di principi, come spera ella ancor salvamento dal mutar famiglia, perché s’abbraccia ella ancora all’ossario della costituzione normanna?… Laonde, chi non vuole la repubblica come termine supremo, l’adotti come necessario transito dal diritto patrimoniale al diritto nazionale… .La cattedra del pontefice, dopo un intervallo di repubblica, potrà forse divenir trono di re. L’Italia sarà giunta all’unità regia per la via della libertà. E un intervallo di libertà è pur necessario per conquistare l’indipendenza; alla quale sotto bandiera di principe mal s’arriva, perché i principi d’Italia, non altrimenti dal pontefice, tremano di rimanersi in faccia al popolo senza patrocinio d’armi straniere. Dunque Italia e Roma>>.

Pietro Stanislao Mancini Il 22 gennaio 1851, presso la regia Università di Torino, Pietro Stanislao Mancini –docente di diritto internazionale e marittimo- dichiara che il diritto internazionale dovrebbe essere rifondato sul principio di nazionalità (Pietro Stanislao Mancini, Della nazionalità come fondamento del diritto delle genti). Per il Mancini, la Nazione era costituita dalla cellula elementare delle parentele familiari; a questa primordialità citologica, dovevano essere aggiunti gli elementi distintivi della stessa nazionalità: <<la regione, la razza, la lingua, le costumanze, la storia le leggi, le religioni>> (v.Mancini, cit.), elementi per i quali deve formarsi la coscienza nazionale. Per il Mancini è valido il concetto classico – pagano secondo cui l’ambiente geografico interagisce con l’elemento etnico e culturale informandone il carattere degli individui che popolano lo stesso ambiente, per cui <<La RAZZA, espressione di una identità di origine e di sangue, è un altro importante elemento costitutivo della Nazione. E’ sotto questo rapporto appunto che la Nazione ritrae più della Famiglia>> (Mancini, cit). Ma c’è un altro elemento ancora da tenere presente per il principio di “nazione”, cioè il linguaggio per cui <<…Nelle lingue si riflette pure la filiazione delle razze; … . Questo è indubitato, che l’unità del linguaggio manifesta l’unità della natura morale di una Nazione, e crea le sue idee dominanti>> (Mancini, cit.) Dunque, insiste il Mancini, è assolutamente necessaria <<LA COSCIENZA DELLA NAZIONALITA’, il sentimento che ella acquista di sé medesima e che la rende capace di costituirsi al di dentro e di manifestarsi al di fuori… .Le cose dette fin qui mostrano ormai a discoperto in che consista una NAZIONALITA’, e quali ne siano gli elementi costitutivi, e ci porgono ragione di riconoscere in essa una società naturale di uomini, da unità di territorio, di origine, di costumi e di lingua conformati a comunanza di vita e di coscienza sociale>> (Mancini cit., pp. 27-39.)

Carlo Bianco Carlo BIANCO, conte di Saint-Jorioz, intransigente repubblicano, pubblica nel 1830, a Malta, il trattato Della guerra nazionale d’insurrezione per bande, applicata all’Italia, in cui propugna –prendendo a prestito la resistenza spagnola a Napoleone – una lotta “dura e senza Paura” a tutti quei principotti vili>> che si erano piegati ai <<protocolli di Vienna, di Parigi, di Lubiana, di Troppavia e di Verona>> nei quali era stata proclamata la terribile condanna dell’Italia a mai più risorgere. Il Bianco ritiene che le città siano nidi di corruzione, e vuole servirsi per le sue guerriglie di liberazione nazionale dei nuclei più sani della popolazione: egli si propone di organizzare nuclei di contadini-combattenti, sull’esempio dell’antica romanità e di Sparta; ritiene che debbano essere migliorate le condizioni di vita materiale di questi neo-combattenti, ai quali bisogna assegnare <<congrue porzioni di terra>>, esattamente come in Roma si assegnavano terre ai milites delle legioni. Pensiero romano-italico, quello del Bianco, per il quale l’unità e la libertà d’Italia sono lo scopo, nel mentre –come pure per il Pisacane- il nazionalismo socialista, o socialismo nazionale, è lo strumento politico-ideologico. Dal Machiavelli, il Bianco trae l’epigrafe per il suo Trattato (Machiavelli: Lettere familiari, LXVIII): “Liberate diuturna cura Italiam./ Extirpate has immanes bella, quae hominis/praeter faciem et vocem nihil habent”. Conseguentemente l’Italia è lodata come il Paese <<dalla natura destinato ad essere la sedia dell’impero del mondo>>. E’ profeticamente magica l’apostrofe del Bianco, secondo la quale << (…) ai soli popoli classici è concesso di riprodursi col loro proprio genio, e per via d’una recondita essenza, propria della terra degli eroi e del sapere; ben che lo straniero per sua convenienza gli privi dei loro mezzi, conoscenze e virtù, ed estenda il vizio, l’ignoranza e la miseria. Si domanda continuamente che cosa sia la fenice d’Arabia; ella è l’Italia, che sempre rinasce dalle sue ceneri! Sì! E tocca pure oggi a questa fenice di rigenerarsi, svellendo il male dalla sua radice, se vuole la sua intiera rovina prevenire… .Sventoli una volta lo stendardo italiano! Risorga l’europea fenice! Spieghi nuovamente l’aquila del Campidoglio le sue ali dal ferro straniero fin oggi a vergogna nostra tarpate!>> Per il Bianco non ci sono alternative a ROMA capitale dell’Italia unita, che egli vuole rinsanguare con la vitalità delle più coraggiose popolazioni montanare di tutta la nazione; egli, dunque, non reputa <<…di cadere in isbaglio nel predire che pel buon regime del governo italiano ben ordinato, e con quella capitale, saranno le meravigliose gesta degli avi nostri per rinnovellarsi, e come fenice dal suo rogo la sfolgoreggiante gloria dell’antica Roma eccelsamente risorgere, mentre gli eletti rappresentanti del popolo italiano, per prudenza, energia, saviezza e dottrina superiori a chiunque, nell’unico, mirabile, stupendo tempio del vaticano congregati, faranno restar di meraviglia sospeso il mondo, e sarà per tal modo il più magnifico edifizio in oggi esistente, in ampia e venerabil aula del più luminoso parlamento del mondo gloriosamente trasmutato>> (Bianco, op.cit. pp.44-75) Si deve allo stesso Carlo Bianco la rifondazione della setta degli Apofasimeni, che C. Gentile (Giuseppe Mazzini Uomo Universale, Foggia 1982) definisce come dotata di <<carattere fierissimo di romanità>>. E Giano Accame, nel suo Socialismo Tricolore rammenta che la memoria romana della setta si aveva nella sua stessa organizzazione <<nei gradi di centurione, tribuno legionario, proconsole e console assegnati ai capibanda; nella profusione di aquile e fasci littori e bastoni consolari d’avorio da usare come distintivi; nelle divisioni in manipoli, coorti e legioni>>.

Benedetto Musolino Al calabrese di Pizzo Calabro Benedetto MUSOLINO si deve, nel 1832, la fondazione della setta carbonara dei “Figliuoli della Giovane Italia” (nessun legame con la mazziniana Giovane Italia). Il Musolino si era formato nell’ambiente culturale del mondo latomistico calabrese, ricco dei fermenti e del sapere di Telesio, Campanella come della sapienza di Bruno e di Romagnosi. Il Musolino apparteneva alla piccola nobiltà calabrese e la sua famiglia era di sentimenti patriottici italiani (il padre ed il fratello erano stati assassinati dai borbonici). Il Settembrini, che fu uno dei primi affiliati alla setta, ne ricorda il programma politico unitario ausonico: <<Lo scopo era nientemeno che cacciare d’Italia non pure tutti i principi, e gli Austriaci, e il Papa, ma i Francesi di Corsica e gl’Inglesi di Malta, e formare una gran repubblica militare. Capo supremo un Dittatore sedente in Roma, dieci consoli governare le dieci regioni, in cui si divideva l’Italia>> (Settembrini, Ricordanze della mia vita). Il Musolino, fu uno dei primi e maggiori esponenti del socialismo nazionale, imbevuto della Tradizione classico-pagana. Fu eletto deputato al Parlamento Napoletano nel 1848 e, dopo il “golpe” borbonico del 15 maggio, capeggiò la rivolta calabrese. Fu, per questo, condannato a morte dal tribunale borbonico; postosi in salvo, partecipò alla difesa della Repubblica Romana nel ’49. Alla caduta di questa si recò all’estero. Partecipò alla spedizione dei Mille, a capo del contingente di Camicie Rosse calabresi sbarcato nel reggino. Dopo il 1861, fu deputato della Sinistra, accettando la Monarchia ma senza mai rinunciare alle sue idee comunitariste. Da questi rapidi accenni riesce davvero difficile non sorridere (amaramente) di fronte alle forzature di coloro che vogliono vedere una antitesi –nel risorgimento- fra federalisti e unitaristi, atteso che nemmeno i più convinti fra i federalisti avevano dubbi sull’Unità e sulla capitale dello Stato; il dubbio, semmai, era su quale forma amministrativa dare alla Nazione Unita. Stupisce, dunque, continuamente, la stupidità neoguelfa e neo cartaginese degli attuali “celto – padani” (che pure non disdegnano le prebende parlamentari nella bistrattata Roma), che accoppiano volgarità a crassa ignoranza, come nel caso dei loro incongruenti riferimenti al Cattaneo. Nessun federalista del XIX secolo ha mai messo in discussione –ripetiamo- il fato Unitario della nazione italiana. Ma è indubbiamente comodo, profittando del misconoscimento dei fatti interessanti la storia patria – da parte di moltissimi nel popolo di oggi (e dei politici nostrani, invero quasi totalmente ignoranti) – contrabbandare la verità. E rimane il fatto che -periodicamente- l’Italia deve difendersi dai suoi nemici di sempre (cattolicesimo neo-temporalista e la pletora dei nemici interni, eredi di quelle stirpi che furono già sottomesse all’Italia urbica, mai sazi del loro odio anti italiano ed antiromano) Ma il fato unitario si muterà nella coscienza della stirpe. Una coscienza che rimarrà intatta almeno fino a tutto il 1918. Ad una nuova, futura, élite italiana, a nuovi eroi competerà di riportare l’Italia nel solco del Padre Romolo, a quella Tradizione “fas” che è stata Fortuna e Provvidenza delle origini italiche.

I socialisti del Risorgimento (http://www.lintellettualedissidente.it/homines/socialisti-del-risorgimento/)

LupoSciolto°
27-01-17, 16:26
IL CASO:L'APPELLO DI TOGLIATTI AI «FRATELLI IN CAMICIA NERA» NEL 1936 PER UN'ALLEANZA IN FUNZIONE ANTICAPITALISTA
Informazione Consapevole (https://www.blogger.com/profile/11623655057195629400) (https://informazioneconsapevole.blogspot.it/2015/06/il-casolappello-di-togliatti-ai.html)


https://lh4.googleusercontent.com/proxy/1jF0pa5c5clh_MHKyFWttcrUpA_X5u_SmKZU-htpe2vVLIXNpXB-EXyd6RuJgzEJgZOehTC2OpPuHkZOHOktqUfIO1Yn5Mct1OzV7C jHzn5YqcerSp4dRl3y9w=s0-d

Di Cesare Medail

Che nel primo dopoguerra il Partito comunista intendesse dialogare con i cosiddetti «fascisti di sinistra», avviando un processo di riconciliazione con gli stessi giovani di Salò, non è certo una novità per gli storici di quel periodo. Nel ' 45 toccò a Giancarlo Pajetta, l' intransigente «ragazzo rosso», scrivere su L' Unità che era giunto il momento di «riconquistare alla patria quei giovani disorientati e delusi dal regime»; ancora più esplicito, Ugo Pecchioli parlò di «necessaria chiarificazione con i coetanei che avevano scelto la Rsi perché frastornati dalla propaganda»; lo stesso Ingrao affermava su Pattuglia, rivista della Fgci, di non ritenere più utile guardare al passato degli ex fascisti, essendo molto meglio «guardare all' oggi». Se tutto ciò è abbastanza noto, molto meno palese è il processo che ha portato i comunisti italiani alle aperture del dopoguerra: non furono, infatti, svolte improvvise ma frutto di una riflessione strategica che risale a Gramsci e a Togliatti. È merito del mensile di storia contemporanea Millenovecento (terzo numero) avere ricostruito, in un saggio di Alessandro Marucci, la «lunga marcia» del Pci verso la riconciliazione con il popolo in camicia nera, anche perché dalla ricostruzione affiorano gli obiettivi reali della strategia. L' Internazionale aveva definito il fascismo «reazione capitalista», ma già al Congresso di Lione del ' 26, Gramsci vi aveva intravisto una «base sociale» che si andava dilatando grazie a ceti di recente formazione, come la nuova borghesia agraria e la piccola borghesia urbana. Riflessione decisiva, che Togliatti avrebbe sviluppato nelle famose Lezioni sul fascismo (Mosca 1935), in parte volte a capire la «fabbrica del consenso fascista» e il coinvolgimento delle masse nella vita del regime (bisogna arrivare a De Felice perché qualcuno ristudi a fondo quei meccanismi). Il fascismo, insomma, era per Togliatti «un regime reazionario di massa»: parola chiave, quest' ultima, di ogni strategia comunista. Se di masse si trattava, ancorché fasciste, un' iniziativa politica nei loro confronti era inderogabile. Ecco allora puntuale, su Lo Stato operaio, un editoriale intitolato «Largo ai giovani» (slogan fascista), dove i comunisti salutavano nei giovani littori un certo «anticapitalismo, per quanto vago e contraddittorio», segno di una nuova coscienza che andava maturando nella società italiana. Un mese dopo, nell' agosto 1936, sullo stesso foglio Togliatti lanciava esplicitamente un appello ai «fratelli in camicia nera», intitolato «Per la salvezza dell' Italia riconciliazione del popolo italiano!». La svolta del Pci non avveniva, dunque, di fronte a un regime in crisi ma durante la guerra d' Etiopia, negli anni del massimo consenso: Togliatti si rivolgeva anche ai lavoratori cattolici e a tutte le forze liberali e democratiche, richiamandosi al Risorgimento e trasferendo il mito nazionale nel corpus ideologico del partito. Pochi anni dopo, da Radio Milano Libertà si rivolgeva ai «fascisti in buone fede», ai quali chiedeva di impegnarsi per un' azione comune che avrebbe risparmiato al Paese la distruzione. Come sarebbe apparso ancora più evidente dopo la guerra nel dialogo con i «fascisti di sinistra» e gli ex repubblichini, il discorso ruotava attorno alle idee di patria e di nazione, ben lungi dalla tradizione leninista. Ma proprio qui sta la chiave per capire lo scopo della nuova strategia. Assumendo la difesa aperta dei valori patriottici, Togliatti mirava a trasformare il vecchio partito d' avanguardia, internazionalista, classista e tutto sommato elitario, in un partito di massa, capace di ricongiungersi alla specifica tradizione nazionale, recuperando le masse fasciste e immaginando alleanze sempre più ampie. Detto e fatto. Cinismo del «Migliore» o lungimiranza? Forse una miscela di entrambi, dove comunque l' ingegneria strategica liquida l' intransigenza. Forse per sempre.

FONTE:Archivio Corriere della Sera (http://archiviostorico.corriere.it/2003/gennaio/03/nel_Togliatti_guardava_fratelli_camicia_co_0_03010 31563.shtml?refresh_ce-cp)

ESTRATTO DEL TESTO


La causa dei nostri mali e delle nostre miserie è nel fatto che l’Italia è dominata da un pugno di grandi capitalisti, parassiti del lavoro della Nazione, i quali non indietreggiano di fronte all’affamamento del popolo, pur di assicurarsi sempre più alti guadagni, e spingono il paese alla guerra, per estendere il campo delle loro speculazioni ed aumentare i loro profitti. Questo pugno di grandi capitalisti parassiti hanno fatto affari d’oro con la guerra abissina; ma adesso cacciano gli operai dalle fabbriche, vogliono far pagare al popolo italiano le spese della guerra e della colonizzazione, e minacciano di trascinarci in una guerra più grande. Solo la unione fraterna del popolo italiano, raggiunta attraverso alla riconciliazione tra fascisti e non fascisti, potrà abbattere la potenza dei pescicani nel nostro paese e potrà strappare le promesse che per molti anni sono state fatte alle masse popolari e che non sono state mantenute. (…) I comunisti fanno proprio il programma fascista del 1919, che è un programma di pace, di libertà, di difesa degli interessi dei lavoratori [...]
FASCISTI DELLA VECCHIA GUARDIA! GIOVANI FASCISTI!
Noi proclamiamo che siamo disposti a combattere assieme a voi. LAVORATORE FASCISTA, noi ti diamo la mano perché con te vogliamo costruire l’Italia del lavoro e della pace, e ti diamo la mano perché noi siamo, come te, figli del popolo, siamo tuoi fratelli, abbiamo gli stessi interessi e gli stessi nemici, ti diamo la mano perché l’ora che viviamo è grave, e se non ci uniamo subito saremo trascinati tutti nella rovina [...] ti diamo una mano perché vogliamo farla finita con la fame e con l’oppressione. È l’ora di prendere il manganello contro i capitalisti che ci hanno divisi, perché ci restituiscano quanto ci hanno tolto


FONTE: https://informazioneconsapevole.blogspot.it/2015/06/il-casolappello-di-togliatti-ai.html

LupoSciolto°
27-01-17, 22:27
SICURAMENTE i maligni diranno che questa è propaganda rossobruna e fasciocomunista (però, se avete un minimo di onestà, lo dovreste far presente all'ANPI). In realtà si trattò di una mossa tattica molto intelligente. NON fondere il Partito Comunista con il PNF, cosa impossibile e improponibile, ma dialogare con i fascisti proletari e "sociali", per condurre una lotta contro i capitalisti. Poi, ovviamente, ognuno per la propria strada.

LupoSciolto°
19-02-17, 21:54
Ugo Spirito nacque ad Arezzo il 9 settembre 1896 dall’ingegnere Prospero e da Rosa Leone. Iscrittosi a giurisprudenza, fu allievo del socialista Enrico Ferri, da cui trasse la sua formazione positivista. Nel 1918, anno della laurea, avrà il primo incontro, nel corso di una lezione all’università di Roma, con il suo futuro mentore, Giovanni Gentile. Nel 1920, dopo aver conseguito anche la laurea in filosofia, venne chiamato da Gentile a collaborare a “Il giornale critico della filosofia italiana” di cui divenne successivamente direttore. Nel 1922 conobbe Benedetto Croce, con cui entrò successivamente in polemica. Nel 1923 fondò con Carmelo Licitra e Arnoldo Volpicelli “Nuova politica liberale”, rivista che cambiò successivamente il nome in “Educazione politica” prima e “Educazione Fascista” poi. Nel 1924 fu chiamato da Giuseppe Bottai a collaborare per “Critica Fascista”. In questi anni pubblicò, inoltre, “Il pragmatismo della filosofia contemporanea”(1921), “Storia del diritto penale italiano” (1925), “Nuovo diritto penale” (1929), “Scienza e filosofia” (1933).
Chiamato a vivere il periodo magico del neo-idealismo sorto all’indomani del primo dopoguerra, Spirito aderì giovanissimo all’attualismo gentiliano, corrente di pensiero dalla quale si distaccò nel corso degli anni Trenta, senza però rinnegare alcuni dei suoi principi di fondo. Dopo essere stato considerato un “divulgatore entusiasta ed un apologeta instancabile dell’attualismo” col suo “Scienza e filosofia”, infatti, delineò quella che è considerata, non a torto, una posizione originale ed autonoma rispetto al pensiero gentiliano, collocandosi, con Guido Calogero, sul fronte della cosiddetta “sinistra attualistica”. Spirito mantenne nella sua analisi il principio gentiliano del “fare” (dell’atto) col chiaro intento di “demetafisicizzarlo” legandolo all’agire fattuale degli uomini che si ha nell’ambito del concreto orizzonte mondano. Spirito, impegnandosi nell’ambito della problematica gnoseologica, giunse a risultati differenti da Gentile e Croce, distanziandosi anche dalla tesi sostenuta dal suo amico Calogero, che sviluppò questo programma in senso etico. Spirito, infatti, grazie ai suoi studi riuscì ad affermare una serie di precetti, tra cui la non inferiorità della conoscenza scientifica rispetto alla conoscenza filosofica; l’impossibilità di sopprimere la scienza nella filosofia e la necessità di stabilire tra loro un’organica collaborazione. Questa sua concezione, che egli stesso definì “attualismo costruttore”, insomma, aveva come scopo di fare “sul serio scienza che sia filosofia e filosofia che sia scienza” in un costante nesso dialettico.
Nel 1937, con la pubblicazione edita da Sansoni di “Vita come ricerca”, Spirito lanciò le tesi del “problematicismo” con le quali capovolse progressivamente le posizioni dell’attualismo, consumando la rottura definitiva con Gentile, il quale si scagliò duramente contro questa opera. Il disgelo avverrà solo nel 1941, in seguito alla pubblicazione del volume del filosofo aretino “Vita come arte” che Gentile commenterà all’interno di una conferenza promossa dal ministero dell’Educazione facendo riferimento ad uno “Spirito non più mio”.
Gli anni Trenta, però, sono anche gli anni di gestazione della teoria della “corporazione proprietaria”. Dopo aver riunito, nel 1930, nel libro “Il Corporativismo” i tre testi precedentemente redatti sull’argomento, “Dall’economia liberale al corporativismo”, “I fondamenti dell’economia corporativa” e “Capitalismo e Corporativismo”, partecipò nel maggio 1932 al secondo Convegno di Studi sindacali e corporativi, tenutosi a Ferrara. Qui, dopo aver criticato il dualismo di classe presente nel capitalismo, Ugo Spirito lanciò la sua innovativa teoria. Ne “La corporazione proprietaria”, anche detta “corporazione comunista” il filosofo paventò la possibilità che la proprietà dei i mezzi di produzione fosse affidata non più ai privati bensì alla corporazione stessa. Tale teoria si contrapponeva all’ “anarchia produttiva” e al “dirigismo statale” permettendo che la grande società anonima si trasformasse in corporazione; favorendo la fusione tra capitale e lavoro, Spirito, inoltre, propugnava il superamento dell’antagonismo fra datori di lavoro e lavoratori che da realizzarsi grazie al passaggio del capitale dagli azionisti ai lavoratori, che divenivano così proprietari della parte loro spettante. Questa teoria, che prevedeva la risoluzione del sindacalismo nel corporativismo integrale e che rendeva inutile la presenza delle associazioni di categoria, favorendo la piena identificazione fra individuo e Stato, affermando così il superiore valore etico della rivoluzione fascista, fu duramente avversata sia dalla “destra” fascista, rappresentante dell’industria e della borghesia conservatrice e nazionalista, che la tacciò di “bolscevismo” e la bollò come teoria “eretica”, sia dalla sinistra sindacale che, dopo aver accusato Spirito d’essere dotato di scarsa sensibilità sociale, passò al vaglio la sua tesi evidenziandone i tratti utopici. A queste critiche seguì una polemica di carattere accademico fra il filosofo e il quadriumviro De Vecchi. Con la redazione del codice civile del 1942, inoltre, s’affermò una concezione borghese ed individualistica della proprietà privata contro la quale lo stesso Mussolini espresse una certa insoddisfazione. Nonostante ciò, i rapporti tra il filosofo ed il regime continuarono ad essere solidi.
Ma nell’animo di Ugo Spirito la volontà di ravvivare gli studi corporativi non si spense; egli, infatti, nonostante tutto, proseguì nella sua opera. Nel 1941 redasse a tal proposito il volume “Guerra rivoluzionaria”, nel quale tracciò un quadro senza compiacenze dei rapporti di forze esistenti fra gli Alleati e l’Asse, e non nascose un certo rammarico per la mancata alleanza delle tre potenze totalitarie: Italia, Germania e Urss contro le demoplutocrazie internazionali. Un volume, quest’ultimo, la cui stampa sarà bloccata dallo stesso Mussolini perché considerato troppo filo-tedesco. In questo periodo, inoltre, si consumò anche il suo allontanamento da Bottai, a causa della conversione al cattolicesimo di quest’ultimo, portando Spirito a individuare in Camillo Pellizzi, presidente dell’Istituto Nazionale di Cultura fascista, il suo nuovo referente politico e culturale.
Nel giugno del 1944 il fervore giustizialista seguito al crollo del regime vide Ugo Spirito al centro di un processo d’epurazione che gli costerà la sospensione dall’insegnamento; prosciolto dall’accusa di apologia del fascismo, riuscirà a ritornare alle sue mansioni di docente.
Nel 1948, quindi, pubblicò “Il problematicismo” seguito, nel 1953, da “Vita come amore. Tramonto della civiltà cristiana”, opera con cui si evidenzia il distacco definitivo del problematicismo dal cristianesimo in generale e dal cattolicesimo in particolare, generando ampie discussioni e polemiche.
Nel 1956 compì un delicato viaggio in Unione Sovietica, dove avrà un colloquio molto interessante con Kruscev. I suoi viaggi nei paesi del socialismo reale però non si fermano qui. Nel 1961 si recò in Cina dove soggiornerà per un periodo abbastanza lungo nel quale riuscirà ad incontrare le più alte cariche del Paese, tra cui lo stesso Mao, che lo colpirà favorevolmente aldilà di ogni più rosea aspettativa.
Di questi due viaggi è, inoltre, interessante riportare quanto affermato dal filosofo in “Memorie di un incosciente”, edito nel 1977: “Negli occhi di Kruscev e in quelli di Mao ho visto la luce del vero comunismo. Era il comunismo trionfante, con la sicurezza del trionfo. Quel comunismo fu il solo comunismo che il mondo ha visto, e che non vedrà mai più. È lo spettacolo di una conquista assoluta che non potrà più ripetersi. Si tratta di un miliardo di uomini che hanno creduto alla nascita della verità. Aver visto quella realtà è uno dei tanto privilegi che la fortuna mi ha riservato”.
Il 1967 è l’anno della polemica con Papa Paolo VI. Il 2 dicembre di quell’anno, infatti, Spirito riceve dal segretariato pro non credentibus il messaggio del Papa per la celebrazione di una “Giornata della Pace”, seguito da una lettera di accompagnamento in cui il filosofo viene inserito tra “coloro che non riconoscono la dimensione religiosa dell’esistenza e della Storia”. Irritato, Spirito rispose affermando di non accettare la qualifica di “non credente”, figlia a suo dire di “regole procedurali arbitrarie e temerarie” ed aggiungendo, inoltre, che le sue opere non erano mai state poste all’indice. Nel 1972 partecipò, quindi, all’inaugurazione dell’Istituto degli Studi Corporativi a Roma; nel 1975, in qualità di presidente della Fondazione Giovanni Gentile promosse, giovandosi della collaborazione della Scuola Normale Superiore di Pisa e dell’Istituto dell’Enciclopedia Italiana, un importante convegno internazionale sul pensiero di Giovanni Gentile. Pubblicò nello stesso anno il libro “Cattolicesimo e comunismo”.
Negli anni finali della sua esistenza, al pari dei grandi saggi del passato, la sua casa divenne meta e cenacolo di giovani intelligenze giunte lì per ascoltare dalla diretta voce del Maestro gli insegnamenti dettati da un’esperienza di vita, oltre che intellettuale, intensa. Una voce che cesserà d’essere udita il 28 aprile del 1979, quando la morte sopraggiunse improvvisa ad interrompere l’esistenza di una delle figure indubbiamente più interessanti ed ecclettiche del recente passato italiano.

FONTE: Ugo Spirito, il padre della "Corporazione Proprietaria" (http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=12636)

LupoSciolto°
21-02-17, 19:09
INTERESSANTE INTERVISTA IN LINGUA SPAGNOLA ALLA RIVISTA "REBELLION".

Entrevista a la revista Rébellion en espanol20 février 2017 (http://rebellion-sre.fr/entrevista-a-revista-rebellion-espanol/) Multilingual portal (http://rebellion-sre.fr/category/multilingual-portal/)
http://rebellion-sre.fr/wp-content/uploads/12047139_611174752353596_4796510624828800651_n-300x200.jpgRébellion es una revista bimensual socialista revolucionaria, publicada en Toulouse, ciudad ubicada en el suroeste de Francia. Después de algunos años de existencia, decidimos traducir ciertos de nuestros textos en español. Nos parece tan necesario en cuanto a que estamos a favor de la fundación de una Europa auténticamente socialista y liberada de la práctica e ideología mundialistas. Es tiempo de que los pueblos europeos se alíen en un mismo combate en contra de la hegemonía del capital. Queremos dirigirnos, más allá de Europa, a todos los hispanohablantes y, en particular, a aquellos del continente latinoamericano. En efecto, el área latinoamericano, después de múltiples tentativas históricas de liberación con respecto al imperio talasocrático estadounidense, ve, desde hace algunos años, aparecer una nueva configuración política. Pensamos, sobretodo, en el impulso dado por la Venezuela de Hugo Chávez a un grupo de decisiones dispuestas a asociar los diversos pueblos de su continente, a la formación de un área geopolítico independiente de los Estado Unidos. La amplitud del fenómeno no deja ninguna duda sobre la importancia de esta orientación bolivariana. Europa y América latina deben andar de la mano por el camino socialista revolucionario, fiel a su propia naturaleza. Es, entonces, urgente establecer una red entre los individuos, asociaciones, organizaciones que vayan en la misma dirección. Esperamos que nuestra iniciativa pueda encontrar algún eco en el mundo, entre los pueblos que levantan la cabeza en el seno del caos engendrado por el sistema capitalista. No dudéis en contactarnos. http://rebellion-sre.fr/wp-content/uploads/750072408.gif El equipo de QUE FAIRE ? (que hacer ? ) ha decidido dar la palabra al equipo de la revista Rébellion (Rebelión). Este grupo dinámico, afincado en Tolosa (Francia), trabaja desde hace años en el desarrollo de una publicación con una línea editorial radical a la par que abierta, anticonformista y constructiva. Terouga, especialista de las relaciones internacionales de QUE FAIRE ?, publica regularmente sus análisis geopolíticos en esta revista. La redacción de Rébellion ha publicado un libro sobre su historique http://www.alexipharmaque.net/ (http://www.alexipharmaque.net/)QUE FAIRE : en cuanto a Internet, ¿Cómo es que se les ha ocurrido la idea del lanzamiento de la revista?Nosotros no dejamos de lado Internet, pues nos permite difundir nuestras ideas; la prueba es la existencia de nuestro blog que recibe miles de visitas al mes, y va cada vez más en aumento desde que difundimos ciertos de nuestros textos en español. Tenemos el proyecto de traducir nuestros textos en otras lenguas también.Sin embargo, debemos considerar la otra cara de la moneda. La asiduidad de Internet sumerge al lector en el mundo virtual, satisfaciendo a la mayoría de internautas, pero aislándolos socialmente. Como todos sabemos, este medio no es más que una herramienta, muy útil por cierto, pero no debemos mitificarlo. La lectura de Internet (la pantalla de nuestro ordenador) es muy superficial, más rápida, pero, algunas veces, es muy cansado si hablamos del plano físico.Pero fundamentalmente, la producción y difusión de una revista bimestral crea una comunidad militante, facilitando así, la adhesión de un núcleo de activistas. No puede existir una propuesta revolucionaria sin un órgano de prensa que la difunda. La difusión crea contactos directos, activos, más exigentes sobre el plan humano que sobre el universo de lo virtual. Los periódicos pueden ser transmitidos directamente como las discusiones, las conferencias, las manifestaciones, etc. Esto no es despreciable y constituye una garantía seria en relación con la propuesta que ya ha dado comienzo.QUE FAIRE : ¿Cuáles son las etapas del desarrollo de la revista?Al principio, no era más que un boletín confidencial dirigido a personas que creían que podríamos estar interesados en una actuación original. Al cabo de algunos meses (verano del 2003, 1° número), entendimos que era necesario ampliar nuestra audiencia al constatar que este primer número había conseguido tener un gran eco. Después de la consolidación de nuestra conducta, pensamos que sería útil proponer la creación de « cercles Rébellion » (grupos de la revista Rebelión) con el fin de impulsar una actitud aún más militante para los lectores que se sentían muy próximos a nuestras ideas. Queremos dejar claro que no nos limitamos a dar informaciones y discursos a nuestros lectores. Algunos de los lectores han elegido una vía más militante para ampliar nuestra audiencia. No se trataba de poner el arado delante de los bueyes y lanzarles de golpe una nueva formación política de tipo grupusculario. Hubo una cierta maduración en la propuesta; las posiciones que « Rébellion » ha tomado se han afinado con el paso del tiempo. Estamos alejados de todo inmediatismo, por eso, la revista crea un embrión de órgano de lucha, una dinámica que demanda ser profundizada pacientemente, porque una comunidad de espíritu y de acción se ha cristalizado alrededor del título de la publicación. Considerábamos desde el inicio el modelo de un crecimiento concéntrico alrededor del eje de la revista. Sabíamos que este proceso sería lento, pero con el tiempo, parece que la línea general de Rébellion adquirió un cierto respeto por parte de gente seria, poseedora de un espíritu crítico real.QUE FAIRE : ¿Qué es lo que reclaman del « socialismo revolucionario europeo »?El SRE, que es la abreviación que utilizamos para designar al « socialismo revolucionario europeo », por supuesto, no es nuestra invención. A Blanqui se le calificó como socialista revolucionario a lo largo de todo el siglo XIX, este término permitió que se hiciese la diferenciación con las diversas formas del socialismo reformista. Es muy simple decir que la idea de revolución marca la ruptura, gracias al socialismo, con la dominación del capital. Revolución no es igual a subversión, pues esta última se aprovecha de aspectos que el caos genera por el capital. Existe en toda propuesta revolucionaria auténtica, la voluntad de fundar nuevamente el vínculo social, de reestablecer una base coherente para las relaciones sociales; eso nunca debe olvidarse. No podemos reproducir aquí todos nuestros análisis, pero nos gustaría remitir a los lectores al número 25 de nuestra revista (Orientaciones NB I y II) y a la editorial del número 26, en particular. Estos textos han sido nuevamente publicados en el libro que acaba de salir a la venta y de la cual hablaremos más adelante. Citaremos, sin embargo, parte de uno de los pasajes del número 26:« El socialismo es un término bastante general, coincidiendo con posiciones que defienden la primacía del bien general sobre el interés egoísta … de tal o cual particular. Insistimos, entonces, sobre el acento revolucionario que le queremos imprimir para distinguirlo de sus variantes reformistas. En cuanto a la cuestión de vínculo social, nosotros planteamos la cuestión de relación social: los individuos están entregados a la contingencia de relaciones de clases, de su pertenencia a ellas, en una práctica ligada al trabajo, largamente dominada por la obligación del salariado (todo es mercancía, desde la fuerza del trabajo hasta los productos del mismo). Proponemos, entonces, la orientación comunista, pues es la merecedora del rompimiento con el modo de producción dominante, que es la dominación de la economía sobre la práctica directa de los individuos […] En fin, decimos que ‘la lucha de clases es nacional, no en su contenido, pero si en su forma’. Esto no significa quedarse dentro del marco limitado de la Nación, ya que no pensamos que vuelva a existir una identidad europea, aunque se quiera, no podría hacerse fuera de una voluntad socialista revolucionaria europea. ».Si pudiésemos hacer una analogía contemporánea, pensamos en el proyecto continental bolivariano actualizado por Hugo Chávez, que intenta construirlo con las otras fuerzas revolucionarias de América latina, todo aquello articulado en un marco patriótico y conducido por objetivos auténticamente socialistas. Debemos insistir sobre el hecho que Europa haya visto nacer el modo de producción capitalista. Había, paralelamente, pensado en el antídoto a esto con el movimiento obrero. Actualmente, Europa es potencialmente un área geoeconómico potente; debe su inexistencia política a la traición consciente de su burguesía dominante que está al servicio del mundialismo y del proyecto unipolar estadounidense. En el mundo multipolar que esperamos, Europa podría oponerse a este último y tener relaciones de cooperación muy eficientes con los continentes pobres y promover otro modelo social. Justamente, sobre este punto, el socialismo no podría ser la copia exportada de la industrialización ni del productivismo occidental, con los que deberíamos romper. Cada área geopolítica debería poder pensar y aplicar una forma de socialismo adaptada a sus necesidades materiales y a sus tradiciones culturales y espirituales. Europa, con respecto a la multiplicidad de sus ventajas debería estar a la cabeza de este combate. Es lo que intentamos expresar mediante el SRE y su eslogan: « ¡Liberemos Europa de la OTAN y del capitalismo! »QUE FAIRE : Ciertos pensadores profesionales les acusan de tener vínculos con la extrema derecha, ¿Qué piensan sobre ello?Ante todo, desde que la revista existe, ha quedado bastante claro que seguimos una línea independiente con respecto a cualquier otra formación política. Mantenemos vínculos con organizaciones y asociaciones que poseen la inteligencia de comprender que es necesario combatir el mundialismo y el capitalismo. Esto da lugar a tener múltiples contactos en cuanto a horizontes, algunas veces, diferentes. Ustedes saben, por otra parte, que rechazamos fundirnos en el modelo derecha/izquierda combinado de sus extremos. Por ello, no estamos a las órdenes de sociólogos, historiadores, periodistas y políticos pagados por la burguesía, que repite la jerarquización grotesca que le permite preservar su dominación. Ahora, si tanto uno u otro se halla dentro de sus principios o valores de derecha o de izquierda, nosotros no somos sectarios, pero por nuestra parte, desde hace mucho tiempo eso dejo de interesarnos. Además, se debería estar de acuerdo sobre el sentido de las palabras y la intención en su uso. Decimos, constantemente, que esperamos que se desenpolve un texto de Marx, por ejemplo, uno en el que se autoproclama ser de izquierda. En este caso, la espera será larga…Es evidente que aquellos que afirman que tenemos vínculos con la extrema derecha tienen la intención de manchar nuestra reputación, porque explicamos, bastante bien, quienes son y cuál es su función dentro del sistema, y eso, quieren, a toda costa, esconderlo. Para algunos de ellos, que no tienen el coraje de mandar al diablo todo el sistema ideológico del capital y que en el fondo, no están mal favorecidos dentro de la relación social capitalista, continuarán sus críticas infundadas para conservar la imagen de una renta de situación simbólica en el corazón de las instituciones. Hay, por consiguiente, muchas cosas que decir a su respecto.Primeramente, en su visión del mundo simplificado, el dúo izquierda/derecha coincide con el bien/mal. Y ellos son la encarnación del bien, privados, la mayor parte del tiempo, de toda referencia metafísica o espiritual; han adoptado una religiosidad sentimental sustitutiva que les señalan como un destino terrestre y prosaico, el combate contra una entidad imaginaria que renace incesantemente: la derecha alimenta maliciosamente su sentido de la extrema derecha. Inversamente, dentro de la derecha y la extrema derecha. De manera opuesta a la derecha y, sobretodo, en la extrema derecha, algunos se sienten investidos de la misión de envejecer en una herencia pasada e imaginaria, que estaría constantemente puesta en peligro por la resurgida figura del bolchevique desenfrenado. Es allí, evidentemente, en donde la pareja bien/mal está afectada inversamente. A pesar de todo, la relación no es absolutamente especularia, porque la relación social capitalista se transforma constantemente y, algunas veces, a gran velocidad. Hemos mencionado, continuamente, que la izquierda del siglo XIX, liberal, conductora de la idea de progreso, se ha convertido, en nuestros días, en una ideología de derecha. Se debe recordar que en el siglo XIX, y después, los que se decían socialistas eran portadores de la idea de progreso, y que para ellos el único progreso es social… Es cierto que tenían razón, pero con las diferentes metamorfosis del capital y la dominación tecno-científica sobre el mundo se han encontrado, poco a poco, por el lado de la conservación del capital, que había sabido sobrepasar, algunas veces utilizando la violencia, cualquier crítica práctica de su dominación. La derecha, durante todo el siglo XX, fue esencialmente una fuerza de conservación de la relación social capitalista, aunque ha podido obtener importantes concesiones de la burguesía, con la lucha de clases proletarias. Pero cuando hacemos balance de hecatombes guerreras imperialistas del siglo pasado, debemos reconocer que su recuento es más que moderado y que se trataba de permanecer modesto…En consecuencia, no es inoportuno interesarse, algunas veces, por pensadores que se mantuvieron siendo conservadores, en el sentido real del término. Ellos, que creían que existían buenos valores humanos que defender. La crítica del mundo moderno ha venido, a menudo, de manera pertinente por este lado: crítica de la industria, del maquinismo, interés por la ecología, por la riqueza de la multiplicidad cultural, etc. ¡Si manifestásemos algún interés por estos autores, nos cubren inmediatamente de oprobio! Sin entrar en referencias lejanas, tomaremos un ejemplo contemporáneo. Nosotros defendemos un antiracismo diferencialista, y somos sospechosos de racismo escondido. ¡Pero qué es entonces, si no es la posición antropológica de… Claude Lévi-Strauss! ¡¿Acaso no fue acusado, después de publicar Raza y cultura y La mirada alejada, de ser parte de la extrema derecha?! Entonces la etnología no dejaba de constatar, que la homogenización debido a contactos entre culturas – que se acelera con la actual mundialización – amenazaba la integridad de cada una de ellas y, por tanto, la pluralidad en el mundo. Es un proceso de entropía social que denunciaba; y nosotros hablamos, constantemente, de esta entropía capitalista. Estaría, entonces, prohibido por los perros guardianes de la ideología mundialista, el hablar serenamente de la relación naturaleza/cultura, innato/adquirido, si no es por machacar un catequismo occidental, a base de existencialismo ateo y solipsista, negador de la realidad del enriquecimiento etnocultural. « Cada cultura selecciona aptitudes genéticas que, por retroacción, influyen sobre la cultura que había, en principio, contribuido a su reenforzamiento. » Escrito, magistralmente, por Lévi-Strauss.Podemos así, alinear decenas de referencias escritas, deformadas, interpretadas de manera malintencionada por escribanos, más o menos universitarios. ¡Es cierto que no hacen más que eso, pues son pagados para este fin! Recordemos un último ejemplo de este tipo: los trabajos de Louis Dupeux sobre el nacional bolchevismo, al que hemos hecho referencia en algunas oportunidades; estuvimos horrorizados a lo largo de la lectura de su tesis sobre este tópico donde, al lado de la riqueza de información sobre el periodo histórico, se injertó el prisma deformante de la interpretación obsesiva, según la cual es necesario expulsar las propuestas del NB, las simpatías inconfesables por el nazismo. Para cualquiera que haya estudiado un poco la vida y la práctica de Karl Otto Paetel y Niekisch, así como también su formación socialista y su hostilidad declarada para con el nazismo, declaración que sorprende e irrita. Cierto es, que en un mundo lleno de instituciones universitarias, hace falta dar pruebas de honestidad si deseamos hacer carrera y que es de mal gusto evocar de manera positiva la nación, concepto que tenía una importancia revolucionaria para los NB.Una última precisión: por nuestras experiencias militantes y nuestros orígenes diversos, hemos frecuentado diferentes medios políticos sin que ello nos satisfaga, es por esta razón que defendemos nuestra posición y publicamos nuestra revista. Algunos de nosotros hemos intentado, anteriormente, ver también aquello que ocurría en la extrema izquierda, en cuanto al sentido de la corriente del nacionalismo revolucionario, para combatir el mundialismo. Encontramos allí ciertas personas respetables así como, otros bastante sospechosos. Ya que su pregunta trata sobre aquello que algunos llaman « la extrema derecha ». Es muy diversificada y, además, sus efectivos son sobrestimados: su existencia es fantasiosa, sobretodo para aquellos que la necesitan para existir. Ni de la extrema derecha ni de la izquierda puede haber una solución al desastre que representa la dominación del capital. Asimismo, son medios que están infiltrados por la policía y, son impulsados por algunos sectores de la burguesía y de sus servicios especiales…Todo lector honesto tiene, pues, que referirse a aquello que escribimos y no a lo que otros imaginan por él y le dicen lo que tiene que pensar de nosotros. El pensamiento único reposa en el poder de representación inherente al lenguaje y los sofistas lo saben utilizar. Las palabras no representan siempre ideas precisas determinadas como han mostrado ciertos filósofos nominalistas, su uso es, algunas veces, despertar pasiones, emociones. Este poder del lenguaje es, casi siempre, utilizado en la política. Es así, que las acusaciones de las que ustedes hablan, son una ilustración. En una época de carencia de lectura y reflexión, es facilmente factible impresionar a los espíritus maleables y, de crear así, una presión social sobre aquellos que tendrían la veleidad de alejarse del rango. A poco que, como dijimos al inicio de nuestra respuesta, su revuelta contra el sistema sea relativa, el consenso a su respecto se mantendrá por lo esencial. En cuanto aquellos que osan transgredir los dogmas de la secta dominante, constituyen una mancha para el cuerpo social. Como su proximidad es contaminante, es necesario ponerles un cordón sanitario. Todas estas expresiones pertenecen al campo léxico de la contaminación, es decir, que es necesario expulsarlos para purgar la sociedad. Los análisis de René Girard sobre la violencia y lo sagrado serían, en este sentido, completamente aplicables en el contexto ideológico de nuestra época.QUE FAIRE : Al igual que nosotros, ustedes han sido seducidos por los análisis de Alain Soral, ¿Comparten la decepción que hemos sentido nosotros?Hemos seguido la evolución de Alain Soral, un marxista harto de las sucesivas traiciones de la izquierda con lo que debía estar en el corazón de su combate. La idea de una reconciliación entre los hombres de derecha e izquierda, de inmigrantes y franceses de pura cepa alrededor del combate contra el mundialismo y por la soberanía nacional, era atractiva mientras se interpretaba una marcha valiente, ya que nuestro hombre se reunía así, en el clan de los parias. Junto a él, compartimos la idea de destruir las falsas jerarquizaciones. Pero, no estamos totalmente convencidos de la pertinencia de la fórmula « derecha de los valores, izquierda del trabajo », puede ser esquemático, pero en la política podemos comprender que sea, algunas veces, útil el esquematizar. Hemos esperado que todo pueda ir en el buen sentido, pero tenemos, siempre, que precisar que somos independientes, aunque tengamos relaciones cordiales con su asociación. Hemos sido escépticos, desde el principio, con su idea de acercarse al Frente Nacional (FN), en el seno del que pensaba poner otro punto de vista más social y revolucionario. La FN que se ha beneficiado, durante mucho tiempo, de un voto y de un cierto apoyo del medio proletario, no ha tenido jamás en cuenta sus orientaciones políticas de fondo. Hubo tiempo de hacer esta mutación que había podido sorprender a más de uno y se ha quedado, a pesar de todo, dependiendo de su ideología reaccionaria que ha puesto, parcialmente, una desestabilización (¿voluntariamente?) para con el poder dominante. Hemos hecho saber a Alain Soral, desde el principio de la existencia de Igualdad y Reconciliación (E.R), nuestras profundas dudas sobre el impacto de su marcha en el sentido del FN y nuestra reticencia con respecto de su estrategia. A pesar de todo, nos hemos abstenido de hacer cualquier tipo de comentario sobre la cuestión, ya que no era nuestro deber inmiscuirnos en todo aquello. Con el tiempo, se ha comprobado que nuestro análisis estaba hecho en profundidad. Pertenece, a Alain Soral, el sacar conclusiones de su experiencia; ha intentado hacer lo que le parecía bien, y eso, no puede ser totalmente negativo para él. No somos de aquellos que después de haberle adulado y de haberse acercado a su asociación E.R van a seguir criticándole…En cuanto a su participación en las elecciones europeas, en la lista iniciada por Dieudonné, es necesario, en principio, saber si va a concretarse. Si ésto fuese el caso, nos preguntamos si la sola palabra de orden del antisionismo es suficiente. Es cierto que antes de sus declaraciones, Alain Soral, pretendió introducir la cuestión social en el debate, lo que es interesante. Pero ¿y después? ¿Cuál es el objetivo, a largo plazo, de Dieudonné y de aquellos que se unen en esta propuesta? Todo ésto nos parece un poco confuso, y además, las elecciones de cualquier índole nos interesa muy poco. En cuanto a la cuestión de la relación sionismo/capital, remitimos a los lectores a nuestra editorial del n°34 en particular (que está puesto en línea en nuestro blog).QUE FAIRE : ¿Cuál es el futuro de Rébellion? ¿Será un movimiento político, una asociación u otra cosa?Como decía Maquiavelo, el curso de la historia depende de la virtud de aquellos que actúan y de la fortuna sobre la que no tenemos prisa. Por tanto, podemos decir, que en un principio la revista era la emanación de una asociación llamada « Por el renacimiento del socialismo europeo » y que, a partir de ello, viene la expresión « La organización socialista revolucionaria europea », que tiene vocación, a largo plazo, de ser un movimiento político, cuya labor es el de participar en la toma de consciencia, por parte del proletariado, de su condición y medios para remediarlo, con el fin de sobrepasar las condiciones de existencia que el capital nos impone. Es evidentemente que es una labor gigantesca, pero hemos decidido combatir al enemigo, en la medida que nuestras modestas fuerzas nos lo permitan. Pensamos que la propuesta no será inútil.QUE FAIRE : Su equipo ha publicado un libro sobre la revista de las ediciones Alexipharmaque, ¿Podrían hablarnos más sobre ello?El libro « Rebelión, la alternativa socialista revolucionaria », que cuenta con 278 páginas y ha sido firmada por Louis Alexandre/Jean Galié, constituye un momento importante dentro del esfuerzo de estructuración de nuestro movimiento. Hay, evidentemente, un objetivo que es el de darnos a conocer al público, utilizando el medio de la difusión mediante las librerías y la red de la venta por Internet. En este libro, el lector podrá encontrar un pertinente prólogo, que Alain de Benoist nos ha hecho el favor de escribir, seguido de una elección de textos, pensados según rúbricas introducidas, redactados bajo nuestro cuidado, textos extraídos de nuestra publicación desde que ésta apareció; el conjunto es un surtido de cosas inéditas. Este libro dará un panorama de nuestra posición y de nuestra evolución durante años, puesto que cuantiosos números de Rébellion se han agotado desde hace mucho tiempo. De esta manera, el lector podrá disponer de lo esencial de nuestra producción y del testimonio de nuestros esfuerzos para avanzar en la aclaración de nuestras ideas, de nuestras rectificaciones, aclaraciones de tal o cual cuestión. Si esta publicación pudiese evitar que digamos tonterías sobre nosotros, será ya un éxito. En todo caso, existe, en lo sucesivo, un compendio de nuestros análisis a la que cualquiera podrá referirse.Esperamos, igualmente, que por este medio engendremos una dinámica en el sentido de que se pueda investir a los que quieran, realmente, llegar a otras relaciones sociales. Esta entrevista, que agradecemos sinceramente, contribuirá a que esta publicación pueda llegar al público, que aún es capaz de pensar por sí mismo.
Entrevista a la revista Rébellion en espanol (http://rebellion-sre.fr/entrevista-a-revista-rebellion-espanol/)

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26-03-17, 15:39
Aleksandr Dugin a Milano: La sfida eurasiatica della Russia


Il 4 luglio si è tenuto a Milano un’incontro organizzato dall’Associazione culturale Lombardia Russia dal titolo “La sfida eurasiatica della Russia”. Relatore d’eccezione: il sociologo, politologo russo, presidente del movimento per l’Eurasia, professor Aleksandr Dugin.

La manifestazione è iniziata con un intervento da parte dell’onorevole della Lega Nord Claudio D’Amico, che, oltre alla sua carriera politica vanta anche una decennale esperienza come osservatore dell’OSCE. Con questo incarico D’Amico ha presenziato in Ucraina, sia alle scorse elezioni parlamentari, vinte con tutti i canoni della legittimità dal partito del ex presidente Viktor Yanukovich, che in Crimea durante il referendum che ha sancito l’indipendenza della penisola. È proprio su questa sua esperienza che si è maggiormente soffermato, ribadendo il modo assolutamente pacifico, nonostante i toni da guerra fredda della stampa nostrana, che prontamente ha parlato d’invasione da parte della Russia (le truppe russe erano già presenti in Crimea in seguito a dei precisi accordi col governo ucraino), attraverso il quale il popolo della Crimea, legittimamente in base al previsto diritto dell’autodeterminazione dei popoli, con uno straordinario plebiscito ha espresso la sua volontà di ritornare tra le braccia della Russia, la sua Madre patria.

L'intervista al Professor Dugin è stata effettuata da Gianluca Savoini, Presidente dell'Associazione Culturale Lombardia Russia, il quale ha tenuto a ribadire la vicinanza dell'Associazione alle idee identitarie della Russia. “Basta con la campagna di disinformazione che non fa neppure gli interessi della gente ucraina - ha detto il Presidente dell’Associazione -. E’ evidente che l’Europa vera non è quella attuale, burocratica e simboleggiata dalla bandiera della Ue, ma l’Europa dei popoli che vogliono riconquistare democrazia e sovranità nazionale”.

Il professor Dugin ha quindi iniziato la sua dissertazione partendo dalla spiegazione del concetto di Eurasia non tanto nella sua dimensione geopolitica o geografica ma soprattutto nella sua dimensione filosofica: “Il concetto di Eurasia è oggettivo, possiede una sua realtà interiore. È una proposta di civilizzazione alternativa a quella occidentale contemporanea americano-centrica incentrata su: individualismo, mondialismo, diritti umani..”. Questa è la sfida eurasiatica: riproporre il “vecchio mondo” in contrasto al “nuovo mondo”, contrapporre ad una modernità assolutizzata e senza radici una modernità con le sue radici, come quella del “vecchio mondo” russo e europeo.

Dugin ha inoltre specificato che: “L’Occidente non è Europa, l’Occidente è il concetto dell’individualismo che ha trovato la sua manifestazione più completa nella società americana. L’Europa colonizzata culturalmente, geopoliticamente, strategicamente dagli Stati Uniti ha perso la sua identità e le sue radici. L’Europa non è più Europa, l’Europa post-moderna è anti-Europa”. L’Eurasia rappresenta quindi l’idea opposta a quella dell’individualismo e del liberalismo americano occidentale.

Punto focale di questa prospettiva sono le tradizioni, le radici della civiltà. La tradizione è un qualcosa di vivente, non è una realtà data e fissata per sempre, le radici possono crescere come una forma di vita. La vita delle tradizioni rappresenta la forma più alta del concetto di Eurasia.

La vita è sempre pluralistica, ricca di forme diverse, non è lineare, unipolare ma sempre multipolare; questa idea, espressa dal concetto di Eurasia, si contrappone all’idea di civilizzazione unipolare, lineare, occidentale, moderna e post-moderna rappresentata dagli Stati Uniti e dai suoi valori che pretendono d’imporre a tutto il mondo: diritti umani, individualismo, libertà individuale, mercato, democrazia.

Dugin ha smontato il supposto universalismo di tutti questi concetti. Se ad esempio ragioniamo sulla presunta universalità dei cosiddetti “diritti umani”, vediamo quanto siano razzisti proprio perché elaborati su misura dell’uomo occidentale moderno; al contrario, ci sono società che concepiscono l’uomo non individualmente ma collettivamente, etnicamente, culturalmente, come quella cinese, russa.. Tutte le civiltà possiedono la loro visione dell’uomo. L’uomo non è universale, ma è differente, pluralistico. L’idea di un individuo puro, senza legami con i valori pubblici, sociali, famigliari, spirituali è un concetto totalmente vuoto, un concetto nichilista che gli americani vogliono imporre con la forza a tutta l’umanità.

L’uomo americano è totalmente individualista, diverso dall’uomo europeo che invece possiede delle radici precise con diversi livelli di appartenenza alla società, alla religione, alla cultura, alla tradizione.

Il significato del termine “idiota” sta proprio in questo, non è peggiorativo. L’Occidente è l’impero degli “idioti” nel suo significato etimologico, dove tutto viene privatizzato. L’uomo privatizza se stesso attraverso l’individualismo puro, la sua umanità sparisce. Quando l’individuo è così desacralizzato perde il suo contenuto di valori di tradizioni, perde le sue radici. Per Heidegger il liberalismo è “idiotismo planetario”.

Mondialismo e il globalismo si basano sull’individuo vuoto. La globalizzazione, di fatto, vuole trasformare tutte le società in un unico universale omogeneo. La sfida dell’Eurasia va contro questo concetto, vuole essere l’affermazione della diversità antropologica. L’eurasismo ci invita ad accettare tutte le società, tutte le forme di cultura, la pluralità dell’uomo. In quest’ottica possiamo parlare di convivenza pacifica di tutte le civiltà: se comprendiamo positivamente questo concetto, allora diventa assurdo parlare di “scontro di civiltà” come sostiene invece, nel suo celebre scritto, Huntington proprio perché, nella sua visione di tipo razzista-anglosassone, la civiltà si basa, sul conflitto sull’assoggettamento dei popoli barbari e selvaggi.

Anche la “libertà individuale” non è un concetto assoluto, se gli americani la considerano un indice di sviluppo, così non è tra i russi i cinesi e i musulmani, questi ultimi, ad esempio, vogliono essere “sottomessi” al loro Dio.

Nemmeno il “mercato” può essere assunto a valore assoluto, come nemmeno lo stesso concetto di democrazia.

Secondo Dugin appare evidente come oggi, in Occidente, la democrazia sia ormai diventata il potere della minoranza sulla maggioranza. In Russia la democrazia è ancora una scelta che indica il volere della maggioranza rispetto alla minoranza, ed è questa la ragione per cui i russi, a “casa loro”, non vogliono, ad esempio, gay pride o i matrimoni tra gay. Se poi in America i gay si vogliono sposare tra di loro, nel loro Paese possono fare ciò desiderano, i russi né vi si oppongono né aspirano ad imporre il loro punto di vista. Questo atteggiamento da parte dei russi non può essere definito come razzismo, al contrario, il razzismo è da parte degli americani quando vogliono imporre la loro posizione.



Dugin ha poi continuato parlando della sua nuova “Quarta teoria politica”. La modernità politica classica prevede tre forme generali: liberalismo, comunismo, nazional-fascismo. Oggi il liberalismo è risultato vincitore sulle altre due forme. Non essere d’accordo col liberalismo, non significa però dover far ritorno al comunismo o al fascismo, due forme che hanno perso le loro battaglie storiche; è partendo da questo assunto che Dugin cerca d’individuare una quarta forma fuori dalla modernità. Ma cosa significa fuori dalla modernità? Ci si può ispirare alla pre-modernità: nella tradizione, nella religione, nel sacro. Proprio perché la modernità è desacralizzante. Tuttavia, limitarsi ad opporre la pre-modernità alla modernità, non è sufficiente, ci si deve ispirare anche alla post-modernità, in particolare, alla critica che la post-modernità rivolge all’universalismo e al totalitarismo della modernità. Riassumendo: la quarta teoria politica è un’ispirazione presa dalla pre-modernità nel sacro e nella tradizione per giungere all’atteggiamento critico della post-modernità. L’importante è superare la modernità e tutti i suoi concetti erronei.



Dugin ha poi declinato tutto questo discorso all’attualità concreta: “In Ucraina assistiamo ad un conflitto tra l’universalismo liberal-americano incarnato nel governo di Kiev e la società tradizionale eurasiatica russo-ortodossa anti-occidentale, però non anti-europea, ma pro-europea proprio perché l’Europa non è Occidente ma è un’entità tradizionale radicata nella sua dimensione continentale terrestre. In Ucraina si scontrano due forze la tradizione contro la modernità e la post-modernità”. Dugin ha sottolineato come l’eurasismo sia “esplicitamente” l’ideologia dominante della Novorossia, dei suoi dirigenti e di coloro che lottano contro la giunta ultraoccidentale di Kiev che uccide vecchi, donne e bambini.. la lotta contro queste forze appare oggi come una “guerra santa euroasiatica”. Proprio per questo l’Euro-maidan di Kiev, secondo Dugin, dovrebbe essere ribattezzata America-maidan.



L’Ucraina è tenuta in ostaggio dall’ultranazionalismo, che non è vero nazionalismo perché il nazionalismo autentico vuole una nazione forte e omogenea, e questa era l’Ucraina, prima di Maidan: un grande Paese con una popolazione prevalentemente tranquilla, dove non esisteva nessun irredentismo filorusso. I capi di America-maidan hanno montato una protesta contro una minaccia inesistente, contro i russi, che, fuori dall’Ucraina non avevano nessuna intenzione di entrare nel paese. I russi dell’Ucraina volevano solo conservare la loro autonomia culturale, non politica, nemmeno aspiravano ad una federazione: volevano solo la loro lingua! Gli ultranazionalisti di Kiev, soffocando questo sacrosanto desiderio identitario hanno determinato la fine dell’Ucraina come paese unitario. Hanno distrutto tutto senza nessuna minaccia reale da parte dei russi, tutto ciò ci mostra quanto l’ultranazionalismo ucraino sia soprattutto una manipolazione geopolitica anti-russa da parte dell’Occidente. Il risultato di questa manipolazione sta nel fatto, che ora gli ucraini odiano i russi senza una vera ragione.

Ma, per gli ucraini, sarebbe meglio avere i russi come amici, in Russia nessuno vuole distruggerli, sarebbe assurdo! Molti russi hanno nelle vene sangue ucraino, come molti ucraini hanno nelle vene sangue russo; entrambi sono parte dello stesso popolo slavo.

Dugin ha concluso il suo intenso intervento con un ammonimento: “Noi (i russi) siamo amici del popolo ucraino non i suoi nemici. Noi siamo i nemici dei mondialisti dei globalisti liberali-americani che hanno distrutto il popolo ucraino”.

LupoSciolto°
26-03-17, 15:42
Kavalerists , Dean M.

Cosa ne pensate? A me sembra una forma di para-fascismo ripulito e corretto. Condivisibili le opinioni sul conflitto ucraino, ma non è credibile chi solidarizza con la Lega e non fa nessun accenno, se non alla lontana, alla lotta contro il capitale.

Lèon Kochnitzky
26-03-17, 16:04
Kavalerists , Dean M.

Cosa ne pensate? A me sembra una forma di para-fascismo ripulito e corretto. Condivisibili le opinioni sul conflitto ucraino, ma non è credibile chi solidarizza con la Lega e non fa nessun accenno, se non alla lontana, alla lotta contro il capitale.

Beh è risaputo che nel pantheon dughiniano ci sono diversi "fascisti" o presunti tali, da Evola a Mishima e Thiriat.
Dughin era un rossobruno, quindi vicino alla sinistra fascista o sbaglio?
Personalmente (come ho potuto spiegare nell'altro thread la mia "svolta") non ho nulla a che spartire con tesi del genere. E non solo per l'assenza al richiamo anticapitalista e della lotta di classe, ma perché il nazionalismo portato avanti dai teorici rossobruni non è il patriottismo socialista dei latinoamericani o quello risorgimentale caro all'impresa fiumana. E' la teoria nazibolscevica della terza roma, o roba del genere

Kavalerists
26-03-17, 18:28
Concordo con tutte le affermazioni di Dugin che definirei di analisi, su cos'è il concetto di Eurasia, la differenza tra Europa e Ue e tra Europa e Occidente americanocentrico, sull'individualismo e il liberalismo, il recupero della tradizione ( se la si intende come recupero delle radici europei di ogni singolo popolo in contrasto con l'americanismo imposto ), le teorie dei "diritti", la necessaria e naturale differenze tra i popoli , le loro istituzioni, e la falsità di tutti i concetti presunti universalistici o spacciati come tali. E ovviamente su Ucraina e Crimea.
Non concordo, ed è cosa che mi ha sempre separato da eurasiatisti, nazionalbolscevichi ed affini, sulle soluzioni.
A parte la totale assenza di qualsiasi riferimento alla lotta al capitalismo, alla giustizia sociale, o la "vicinanza" alla LN ( Salvini si spaccerebbe per amico di chiunque pur di raccattare qualche voto in più ), se ad esempio il recupero della tradizione e principale collante della futura società "eurasiatica" deve essere il "sacro", beh allora non mi interessa.
Perchè una cosa è filtrare e selezionare gli "input" della modernità, un altra cosa è voler aggrapparsi di nuovo a certi passatismi/tradizionalismi che vorrebbero la chiesa, ortodossa o cattolica, come centro di vita della società.
Come non mi interessano concetti di Impero, Mosca terza Roma ecc, perchè non ho alcuna intenzione di passare da Wahington/Tela Aviv a Mosca o Mosca/Pechino...

LupoSciolto°
26-03-17, 18:49
Concordo con tutte le affermazioni di Dugin che definirei di analisi, su cos'è il concetto di Eurasia, la differenza tra Europa e Ue e tra Europa e Occidente americanocentrico, sull'individualismo e il liberalismo, il recupero della tradizione ( se la si intende come recupero delle radici europei di ogni singolo popolo in contrasto con l'americanismo imposto ), le teorie dei "diritti", la necessaria e naturale differenze tra i popoli , le loro istituzioni, e la falsità di tutti i concetti presunti universalistici o spacciati come tali. E ovviamente su Ucraina e Crimea.
Non concordo, ed è cosa che mi ha sempre separato da eurasiatisti, nazionalbolscevichi ed affini, sulle soluzioni.
A parte la totale assenza di qualsiasi riferimento alla lotta al capitalismo, alla giustizia sociale, o la "vicinanza" alla LN ( Salvini si spaccerebbe per amico di chiunque pur di raccattare qualche voto in più ), se ad esempio il recupero della tradizione e principale collante della futura società "eurasiatica" deve essere il "sacro", beh allora non mi interessa.
Perchè una cosa è filtrare e selezionare gli "input" della modernità, un altra cosa è voler aggrapparsi di nuovo a certi passatismi/tradizionalismi che vorrebbero la chiesa, ortodossa o cattolica, come centro di vita della società.
Come non mi interessano concetti di Impero, Mosca terza Roma ecc, perchè non ho alcuna intenzione di passare da Wahington/Tela Aviv a Mosca o Mosca/Pechino...

Perfetto, hai sintetizzato tutti i validi motivi di disaccordo che ci separano dall'ormai imborghesito Dugin.

LupoSciolto°
26-03-17, 18:53
Beh è risaputo che nel pantheon dughiniano ci sono diversi "fascisti" o presunti tali, da Evola a Mishima e Thiriat.
Dughin era un rossobruno, quindi vicino alla sinistra fascista o sbaglio?
Personalmente (come ho potuto spiegare nell'altro thread la mia "svolta") non ho nulla a che spartire con tesi del genere. E non solo per l'assenza al richiamo anticapitalista e della lotta di classe, ma perché il nazionalismo portato avanti dai teorici rossobruni non è il patriottismo socialista dei latinoamericani o quello risorgimentale caro all'impresa fiumana. E' la teoria nazibolscevica della terza roma, o roba del genere

Dugin ha una concezione hegeliana dello stato, è nemico di ogni forma di società popperianamente aperta ed è fortemente influenzato da pensatori "spiritualisti" come Evola e Guénon (qualcuno dice pure Aleister Crowley). Fascista? Forse. Ma è un fascismo di stampo panslavista, non dimentichiamo la sua avversione verso la figura di Hitler, e fortemente sincretico. Io, nonostante alcuni roboanti proclami, non ci trovo nulla di rivoluzionario.

Lèon Kochnitzky
26-03-17, 19:41
Dugin ha una concezione hegeliana dello stato, è nemico di ogni forma di società popperianamente aperta ed è fortemente influenzato da pensatori "spiritualisti" come Evola e Guénon (qualcuno dice pure Aleister Crowley). Fascista? Forse. Ma è un fascismo di stampo panslavista, non dimentichiamo la sua avversione verso la figura di Hitler, e fortemente sincretico. Io, nonostante alcuni roboanti proclami, non ci trovo nulla di rivoluzionario.

Il fascismo è sempre quello. Che sia panslavista, tedesco, italiano o francese è fascismo. Che poi ci siano delle variabili, ok, come è stato per il socialismo. Ma quello è.
nel momento in cui aneli ad uno stato totalitario che intenda formare il cittadino secondo dei valori morali della forza e del sacrificio sei fascista.
Nel comunismo lo stato esiste in funzione della lotta di classe (dei proletari sui borghesi) e non dovrebbe avere come obbiettivo quello di "educare" i cittadini a valori spartani, anche se poi è successo in alcuni socialismi reali, ma quello di eliminare le disparità e la proprietà privata
Perciò non si potrebbe certo dire che Dughin sia socialista.

LupoSciolto°
26-03-17, 19:46
Il fascismo è sempre quello. Che sia panslavista, tedesco, italiano o francese è fascismo. Che poi ci siano delle variabili, ok, come è stato per il socialismo. Ma quello è.
nel momento in cui aneli ad uno stato totalitario che intenda formare il cittadino secondo dei valori morali della forza e del sacrificio sei fascista.
Nel comunismo lo stato esiste in funzione della lotta di classe (dei proletari sui borghesi) e non dovrebbe avere come obbiettivo quello di "educare" i cittadini a valori spartani, anche se poi è successo in alcuni socialismi reali, ma quello di eliminare le disparità e la proprietà privata
Perciò non si potrebbe certo dire che Dughin sia socialista.

Il fascismo è nazionalista in senso palingenetico, colonialista/imperialista, elitista e corporativo. Non so se Dugin apprezzi o faccia propri tutti i punti sopra elencati, ma è molto vicino all'idea mussoliniana. L'unica differenza è che lui, al contrario dei naziskin russi, non dimentica come Hitler e i suoi alleati consideravano gli slavi. Di socialista, come giustamente hai scritto, non ha nulla.

Jerome
26-03-17, 19:56
Dugin è l'ideologo del gruppo di Limonov

LupoSciolto°
26-03-17, 20:16
Dugin è l'ideologo del gruppo di Limonov

Prima ancora stava con il KPRF. Per quanto riguarda lo scrittore...direi di stendere un velo pietoso. Il programma politico del suo NBP era semplicemente ridicolo.

Jerome
26-03-17, 20:39
Prima ancora stava con il KPRF. Per quanto riguarda lo scrittore...direi di stendere un velo pietoso. Il programma politico del suo NBP era semplicemente ridicolo.

Perché ha pure un programma?

LupoSciolto°
26-03-17, 21:15
Perché ha pure un programma?

Sì, aveva una specie di programma. Ovviamente ridicolo e inapplicabile. Poi , però, ha preferito moderarsi e passare con l'atlantista Kasparov. Alla fin della fiera...mi tocca ribadirlo: l'unico partito nazionalcomunista serio è il KPRF.

Gianky
07-04-17, 21:12
Ma gli attacchi, legittimi per l'amor di dio, a Dugin ed all'eruasiatismo in generale mi lasciano abbastanza l'amaro in bocca. Pazienza

Gianky
07-04-17, 21:13
Dugin è l'ideologo del gruppo di Limonov

Ma quando mai? Si sono separati anni fa.

LupoSciolto°
08-04-17, 17:33
Ma gli attacchi, legittimi per l'amor di dio, a Dugin ed all'eruasiatismo in generale mi lasciano abbastanza l'amaro in bocca. Pazienza

Beh tieni conto che la nostra è anche un'analisi di carattere marxista. E di marxista (o marxiano) non c'è praticamente nulla nel Dugin-pensiero. Riguardo la geopolitica: per noi è uno strumento importantissimo per comprendere determinate dinamiche. Non l'abbiamo mai negato. Però in Dugin diventa una disciplina fine a se stessa.

LupoSciolto°
17-04-17, 19:04
Le National-Bolchevisme (http://www.pcn-ncp.com/Le_National-Bolchevisme.htm)

Probabilmente già inserito, ora non ricordo, un valido vademecum per i c.d. "nazional-bolscevichi". La fonte è il PCN

Gianky
18-04-17, 13:20
Le National-Bolchevisme (http://www.pcn-ncp.com/Le_National-Bolchevisme.htm)

Probabilmente già inserito, ora non ricordo, un valido vademecum per i c.d. "nazional-bolscevichi". La fonte è il PCN

Esiste ancora il PCN?

Gianky
18-04-17, 13:20
Le National-Bolchevisme (http://www.pcn-ncp.com/Le_National-Bolchevisme.htm)

Probabilmente già inserito, ora non ricordo, un valido vademecum per i c.d. "nazional-bolscevichi". La fonte è il PCN

Esiste ancora il PCN?

LupoSciolto°
18-04-17, 14:39
Esiste ancora il PCN?

Sì. Ricordo che un paio di anni fa Socialismo Patriottico intervistò Luc Michel. Il PCN non è un partito grosso né medio, i militanti sono pochi, ma ha il merito di ergersi in piedi tra l'indifferenza totale dei media.

Kavalerists
19-04-17, 18:33
Si può anche non condividere tutto ma trovo interessante alcune riflessioni e sottolineature dell'autore.

Mazzini, padre della sinistra che non fu

Il patriota genovese teorizzò una sinistra realista, che si coniugasse con patria e famiglia, religione e proprietà. E, con quasi due secoli d’anticipo, previde e criticò la sinistra arcobaleno “dei diritti”. Oggi, mentre la sinistra ovunque si decompone, leggere Mazzini fa pensare amaramente a ciò che poteva essere ma non fu.

di Luca Gritti - 19 aprile 2017

Carlo Marx aveva un fratello buono e si chiamava Giuseppe Mazzini. I due fratelli, separati alla nascita, partirono da una comune matrice ma poi approdarono ad esiti diversi. Entrambi vollero denunciare le storture dell’Europa uscita dal Congresso di Vienna, la spartizione di un continente in poche famiglie, le disuguaglianze sociali e le condizioni di masse di diseredati. Ma Carlo, fratello teutonico, che crebbe in Germania, nella culla del protestantesimo e dell’hegelismo, perseguì quest’obiettivo con il severo livore del predicatore, l’inquietante utopismo dell’idealista e il freddo calcolo dell’economista; il fratello Giuseppe, cresciuto in Italia, invece si batté per la giustizia sociale con la passionalità del patriota, il realismo del cattolico e il senso delle priorità dell’umanista.

Il fratello tedesco denunciò con estrema lucidità le storture del capitalismo, ma poi vagheggiò la costruzione di un mondo assurdo e disumano, in cui fossero abolite la proprietà, la patria, la famiglia e la religione; il fratello italiano invece coniugò tradizione e rivoluzione, patria e democrazia, e volle perseguire un mondo più giusto ma senza pretendere di cambiare l’uomo o di trasformarlo in qualcosa d’altro, di indefinito ed inquietante. Nonostante questo, ad aver maggiore fortuna fu Carlo, che divenne lo spettro che si aggirava per l’Europa, la bestia nera dei suoi governanti, lo stupefacente dei popoli, che li portò alla rivolta e alla lotta armata, e le cui idee poi nel secolo successivo segnarono le rivoluzioni di mezzo mondo, anche oltre i confini europei, dalla Russia alla Cina finendo con il Sudamerica.

Giuseppe invece, dopo la grande fama riscossa in vita, da morto fu utile solo per il suo repubblicanesimo a coloro che volevano far fuori la monarchia in Italia. Di tutta l’opera di Mazzini rimase solo l’elogio della repubblica e l’invettiva contro il Re, che fu sventolata come un feticcio fino al Referendum del 2 giugno 1946. In quel periodo il nome di Mazzini era ancora sulla bocca di molti, la sua figura studiata da specialisti e politici di rilievo, come Gaetano Salvemini che gli dedicò un’opera maestosa. Ma dalla costituzione della Repubblica, il nome di Mazzini fu progressivamente abbandonato, venne ritenuto forse autore obsoleto od inservibile per le battaglie del presente. A smentire questa credenza, c’è oggi la ripubblicazione, per i Tascabili Feltrinelli, di un’opera importantissima del patriota genovese, Pensieri sulla democrazia in Europa. Si tratta di un’antologia di sette articoli, pubblicati da Mazzini in inglese nel corso del suo esilio forzato in Inghilterra, in cui l’esule italiano fa il punto sulla situazione delle varie correnti del pensiero democratico sparse per l’Europa (oggi si direbbe: sulla situazione della sinistra europa), per poi proporre una sua sintesi, efficace ed originale, per compattare e unire tutte le forze antagoniste agli imperi dell’Europa continentale.

È un’opera importante per due motivi: la prima è che Mazzini con questi articoli si colloca di diritto tra gli scrittori politici più importanti del suo tempo, facendo i conti con tutti i grandi autori a lui più prossimi, da Tocqueville a tutte le ali della sinistra, i sansimoniani, i fourieristi, i comunisti; la seconda è che in quest’opera Mazzini smette di definirsi semplicemente repubblicano e incomincia a delineare un profilo più preciso della sua prospettiva sociale, attingendo dal parlamentarismo inglese, di cui aveva potuto di persona osservare i pregi, ma coniugandolo con una grande attenzione alla questione sociale. Mazzini in questi articoli parla più volte di una unione di forze “democratiche”, contro la conformazione elitista dell’Europa a lui contemporanea. In un certo senso, Mazzini è il primo padre della grande storia della sinistra italiana, che sta giungendo al suo mesto epilogo proprio in questi giorni. Non è per mescolare la grande storia alla piccola cronaca, ma forse è utile vedere Mazzini come genitore putativo ed inascoltato della sinistra italiana, una volta di più nei giorni della sua ingloriosa dipartita: forse il fallimento della sinistra sta in qualche misura anche nel fatto di aver misconosciuto un autore come il genovese.

In questi articoli Mazzini critica, con grande maestria ed acuta puntualità, tutte le storture delle proposte democratiche a lui contemporanee. Critica il comunismo, di cui prevede con impressionante visionarietà il carattere necessariamente “tirannico”, liquidando con facilità il vecchio alibi, in voga oggi, per cui il socialismo reale sarebbe stato “una buona idea applicata male”:

È chiaro che il sistema dell’uguaglianza assoluta nella distribuzione del prodotto è ingiusta, irrealizzabile, e porta inevitabilmente a ciò che essa pretende di sopprimere. Distrugge ogni stima dell’ingegno, della virtù, dell’attività, della dedizione del lavoratore; ogni stima nella qualità del lavoro.[…] La tesi della distribuzione secondo i bisogni non è meno irrealizzabile.[…] A ciascuno secondo i propri bisogni voi dite; ma cosa costituisce un bisogno? Ciò che ogni individuo dichiarerà?[…] O sarà il Potere competente a incaricarsi di definire il bisogno? Potete immaginare una tirannica dittatura più temibile?

È una profezia di una lucidità incredibile, che fa pensare al comunismo ma anche ad alcune proposte attuali, che partono da una volontà sacrosanta di ridurre gli sprechi e gli scarti dell’iperconsumo ma poi vagheggiano entità verticistiche che stabiliscano quanto e come consumare, riecheggiando pretese sinistre e giacobine; ma ancora, Mazzini in questi articoli rivendica la validità, anche per un uomo democratico e di sinistra, di istituzioni che una stupida retorica ha liquidato come “reazionarie”, ma che sono in realtà entità naturali, costitutive di ogni società umana. Scrive a proposito di famiglia, patria e proprietà:

Io non amo la famiglia egoista che fonda il benessere dei suoi membri sull’antagonismo, o sull’indifferenza per il benessere altrui[…], ma chi non amerà la famiglia che, prendendo la sua parte nell’educazione del mondo, considerandosi come il germe, come il primo frutto della nazione, sussurra, tra il bacio della madre e la carezza del padre, la prima lezione di cittadinanza del bambino? Io aborro la nazione che usurpa e monopolizza, che concepisce la propria grandezza e la propria forza solo sull’inferiorità e povertà degli altri; ma chi non saluterebbe con entusiasmo e amore quel popolo che, comprendendo la propria missione nel mondo, fondasse la propria sicurezza sul progresso di tutto ciò che lo circonda[…]? Sicuramente non vedo con favore la proprietà dell’uomo ozioso[…]; ma ritengo che la proprietà, come segno e frutto del lavoro, sia buona e utile; vedo in essa il simbolo rappresentativo dell’individualità umana nel mondo materiale[…]”.

Ma la cosa forse più attuale di Mazzini, la cosa che forse riguarda di più il nostro mondo di oggi, che vive grandi disuguaglianze ma anche grandi oasi di benessere ed opulenza, è la critica di quella che oggi si chiama la “sinistra dei diritti”.
Mazzini contesta l’idea, in fondo utilitaristica (e borghese, nel senso peggiore di questo termine) che il fine ultimo della lotta per la democrazia debba essere ottenere la maggior quantità di diritti civili per ciascuno. Mazzini ripete più volte che la libertà non è un fine, ma un mezzo; ma che dopo aver dato la libertà ai cittadini occorre anche creare un orizzonte condiviso in cui vivere, dei fini comuni verso cui tendere. I diritti civili hanno senso solo se affiancati ad una seria consapevolezza sociale, altrimenti la politica si riduce solo a concessione esasperata di diritti ad individui che badano solo alla loro parte, che ritengono di avere diritti senza doveri, onori senza oneri. Scrive Mazzini, precorrendo con sorprendente preveggenza l’odierna retorica dei diritti e della libertà:

Se da questa alta sfera […] voi fate scendere la Democrazia sull’augusta arena delle tendenze individuali, dandole come mezzo i diritti individuali, come fine una mera teoria della libertà;[…] voi convertite la natura onnicomprensiva, onnisantificante della Democrazia in qualcosa di reazionario ed ostile, voi distruggete l’organicità del suo pensiero, i suoi istinti meramente sociali, i suoi desideri di educazione generale […],a beneficio di non so quale sistema anarchico[…] in cui l’uomo[…] cadrà gradatamente negli abissi dell’egoismo.

In un’epoca come la nostra, in cui la sinistra si è decomposta perché, accanto alle battaglie giuste per i diritti individuali, non ha saputo proporre nessun modello serio di società, di comunanza di valori, prospettive ed intenti, quanto sarebbe stato utile avere presente Mazzini? Ma ancora di più: osserviamo che Mazzini, nel suo percorso politico ed esistenziale, incarna perfettamente quello che è sempre stato il paradosso della sinistra italiana, che nacque nel Risorgimento ma poi attraversò tutto il novecento, passando da Gramsci a Turati, da Togliatti a Berlinguer, ma perfino dagli ultimi e più fiacchi Bersani e Vendola.

Da un lato, infatti, l’uomo di sinistra vuole una sinistra democratica, e quindi trasversale, popolare, che si faccia capire anche al popolano e all’operaio; dall’altro però un certo intellettualismo, di marca illuministica, ed ultimamente un certo snobismo colto, lo porta sempre a rivendicare la sua diversità e la sua estraneità rispetto al popolo, ai sentimenti diffusi, alla maggioranza. Da un lato si vuole una rivoluzione trasversale e di massa; dall’altro si rifiuta la massa per approdare ad una riflessione amara, solitaria e minoritaria. È la schizofrenia della sinistra esemplificata da Nanni Moretti, per cui “siamo diversi, ma uguali agli altri”; siamo come tutti, però ci piace sentirci un po’ migliori, inaccessibili e distanti. Il partito della Nazione resta partito della Fazione, della setta, della nicchia sofisticata.

In realtà Mazzini non ebbe mai nessun vezzo snob, né alcun paternalismo intellettuale, però, per un gioco del destino, finì i suoi giorni in esilio, le sue istanze restarono minoritarie ed inascoltate: Garibaldi consegnò il Sud Italia al Re e allo stato liberale, e la creazione della repubblica democratica e del suffragio universale fu posticipata di un secolo. L’Unità sorse a sinistra ma si compì a destra. Però guardando Mazzini vediamo il modello di un uomo di una rettezza e di una coerenza straordinari, che giganteggia rispetto ai politici, prima livorosi e cinici, ed ultimamente ipocriti e debosciati, che monopolizzarono la sinistra italiana dopo di lui. Chissà che il suo messaggio, obliato in passato, non possa essere finalmente udito in futuro.

Mazzini, padre della sinistra che non fu | L' intellettuale dissidente (http://www.lintellettualedissidente.it/filosofia/mazzini-padre-della-sinistra-che-non-fu/)

LupoSciolto°
20-04-17, 19:38
Sono in parte d'accordo, anche se l'analisi riguardante Marx la trovo un po' sbrigativa e ingenerosa. Senz'altro alcune intuizioni del padre del repubblicanesimo andrebbero studiate.

Kavalerists
20-04-17, 20:21
Sono in parte d'accordo, anche se l'analisi riguardante Marx la trovo un po' sbrigativa e ingenerosa. Senz'altro alcune intuizioni del padre del repubblicanesimo andrebbero studiate.
Son daccordo, un pò troppo sparate a sentenza.
Comunque riconosce l'estrema lucidità e precisione con cui l'analisi marxiana denuncia le storture del capitalismo e ne mette in luce meccanismi e funzionamento, poi sulle soluzioni proposte dallo stesso ci saranno sempre discussioni infinite.

LupoSciolto°
30-06-17, 21:09
Requiem for a National Bolshevist


https://openrevolt16.files.wordpress.com/2011/10/karlotto.jpg

Of all the friends I had among German refugees in New York I had known Karl Otto Paetel for the longest time. I had met him first in the late 1920s when we were students at the University of Berlin. But although we were both in Professor Peterson’s class on the German romantics, that was not where we would or could have become acquainted. Professor Petersen was a zealous nationalist who used his lectures to praise war, and Karl Otto believed in the Gothic revival as part of Germany’s rebellion against the humiliating Treaty of Versailles—as a means to liberate her from Western, rationalistic capitalism. I, by contrast, loved romantic poetry and would have liked to find the link between that artistic expression of human yearnings and Marxism. But such connections, even if found, never provided a basis for conversation between us. In fact, we never discussed anything seriously because we knew that, even where we seemed to agree, we did so for different reasons.

However, it had pleased the university administration to assign, to all student political clubs, bulletin boards in one and the same big niche of the lobby. Each society had a right to hang its emblem there so that beneath it one could meet for lunch, to exchange news, or just to show the flag. Sometimes we had heated discussions there, and it was an extremely unwise decision to force socialists, republicans, communists, nationalists, nazis, and zionists into such close contact. By sheer luck, we never had a brawl in the lobby during my time.

Anyway, it was there that I first saw Karl Otto, a lanky figure of somewhat military bearing, fair-haired and blue-eyed as one would imagine a Nazi student should look, but with a slightly quixotic air—an impression which might simply have suggested itself because he was heavily gesticulating in front of a man in a storm trooper uniform. Not being far away, I could hear that they were debating Nazi doctrine, and someone whispered into my other ear: “Watch that one, he is a dissident Nazi.” It was good news that the Nazis were splitting, but the information was slightly incorrect. Karl Otto never considered himself a Nazi. Of the six possible combinations of the words national, social, and revolution he had formed the label to which he stuck to the end of his life: He was a “social-revolutionary nationalist.” He considered Hitler a petty-bourgeois demagogue who, moreover, had betrayed whatever anticapitalistic tenets had been in his program, and who had substituted anti-Semitism and anticommunism for socialism so that he could hobnob with the capitalists. The true German revolution, by contrast, Karl held, could only be “socialist” and it could be victorious only in alliance with the Russian revolution.

This latter idea interested Boris Goldenberg, a brilliant Russian Jew who loved political adventure and who had just joined the Communist party. He also had a soft spot for national revolutionaries and later was to get himself involved in a Caribbean liberation movement. At that time he directed the propaganda work of the Communist Student Group, and Karl Otto had just the right idea for him: a German revolution with the Red Army’s backing, an ideological fight between the mysterious East and the all-too-civilized West, a sort of cultural revolution that was coming to the aid of a Bismarckian scheme to overthrow the system of Versailles. These were ideas which then were circulating among students. They could have been voiced by Naphta in Thomas Mann’s Magic Mountain, and they had actually been voiced by Moeller van den Bruck, the translator of Dostoevsky who had introduced the term “Third Reich” into political literature. They were not foreign to Count Brockdorff-Rantzau, the German ambassador to Moscow, or to a host of ideologists who called themselves “national bolshevists.” Even Lenin had occasionally toyed with the idea of exploiting German nationalism, and Radek had written editorials for Nazi papers.

Some such national revolutionaries actually came over to the communists. The most famous case was one Lieutenant Scheringer who had started a small Nazi coup on his own, was sent to confinement in a fortress (a privilege for political prisoners who were not workers), there had met some of our student friends, and suddenly shook the world with a manifesto proclaiming his conversion to Leninism. There were quite a few defections from Hitler in the early 1930s and, each time, Boris and Karl Otto thought they were splitting the Nazi party down the middle. Alas, most of the commotion went the other way; in his former comrades’ eyes Karl Otto was not just a lost soul but a traitor.

Above all, national bolshevist views had also occurred to the German youth movement, a romantic reaction to capitalism, urbanism, materialism, and rationalism. Karl Otto came from the youth movement and was able to mouth its confused ideologies. Boris saw to it that Karl Otto could address student meetings where he denounced the establishment Nazis and predicted the national and social revolution of the Germans under the Red Army’s benevolent auspices. He showed that one could be patriotic and yet collaborate with the Communists, or at least look favorably to the Russians. He rejected anti-Semitism; he was an authentic German who despised Hitler. We went to Karl Otto’s meetings, not because we liked what he said but because Boris felt he needed support and protection. After all, it took courage to attack Hitler in front of two hundred storm troopers. By dint of facing the same danger and marching together, some of our crowd became good friends with Karl Otto. Although we considered his ideas rather fuzzy, or hardly understood him, we respected him as an honest, decent, upright man. But he always kept his distance in this company, for he wished to continue being accepted as a person of the right. Even while praising the Red Army he made it clear that he would never be a man of the left; his views were elitist and he could not accept our proletarian theories. Later he told me that his deepest desire had been to be recognized by us as a “revolutionary,” for very few people on the right could be so classified; but even to achieve that he would not part with his Prussian values, his ideals of a military order and of the barracks socialism that Spengler was then preaching.

This persistence was hard to understand in Karl Otto, for as a person he was most unmilitary and un-Prussian; he had an innate aversion to work, discipline, order. His room looked like an antique shop or, rather, like a secondhand bookstore. In fact he was bookish to a fault; even when he had to run for his life, he still carried a carton of books with him. He lived mostly on cigarettes and wine and shared what little he had with comrades from the old youth movement. They had a common language and quaint reminiscences. Some had never adjusted to civilian life nor grown up to fill their place in society; others were desperadoes. He was different from them in one respect, however, which matters in this particular setting. He did not love nature, not a bit, although this was incumbent upon a youth leader. He was a bohemian, or even, if that is possible for a Prussian socialist, a libertarian. He was always interested in liberation movements around the
world (though of course not women’s liberation); later on, in New York, he would support Castro, Ho Chi Minh, and Nasser, and even translate Beat literature into German.

But I am anticipating. When Hitler came to power, Karl Otto had to flee; soon a kangaroo court sentenced him to death–fortunately in absentia. (With a mixture of irony and glee, he often told his friends that a Nazi book on race included his photo: the prototype of the Nordic race.) He sought asylum in Sweden, but the socialist government of that country told him ever so politely that it could not afford to antagonize Hitler just for the sake of one “dissident Nazi.” He made his way to Prague and later to Paris, where he was cut off from his own true comrades and brothers-in-arms, the national revolutionaries, the youth movement, the romantics, the mystics. Of necessity he was drawn to us more closely. His companions had to be Jews, communists, socialists. Boris was in Paris, and a girl of our crowd became Karl Otto’s companion for a while; but it was rare that someone turned up in our meetings whom Karl Otto would spontaneously call
“comrade.”

The French government had even less understanding than the Swedish for the fact that there could be Germans, and patriotic ones at that, who were against Hitler. The first months of the war we were both in French internment camps; we got to America after the defeat of France.

But in America Karl Otto had to undergo his deepest change. For most refugees there was no problem when war came to America; in fact we had prayed for that moment to come. Every anti-Fascist, every democrat had to lend his hand to the war effort. But Karl Otto was no democrat and no liberal. He felt no obligation to defend either Western capitalism or Russian bolshevism. He was a German patriot who feared another Versailles after the war. Yet he worked in an intelligence office in New York. He felt that after the war there might still be a German revolution, and certain events seemed to point in his direction: Marshal Paulus with two hundred thousand men capitulated at Stalingrad and formed a committee to establish that friendship which Karl Otto had preached all his life. But on the day of Stalingrad he came to me and asked anxiously: Is it not time now to make peace? I replied: With whom? The answer came on July 20, 1944, when the flower of German nobility and officers rebelled against Hitler, lost ignominiously, and were executed en masse. Karl Otto felt that they had saved Germany’s honor, though they could not save Germany. From that moment on, our relations grew tense again. We were looking forward to victory; he, to defeat.

One should have thought that the situation in Germany after the war would be hospitable to people of Karl Otto’s persuasion. Why did this people in ruins not rebel? Why was there no fertile soil for the propaganda of national revolution? Karl Otto was one of the first refugees to go back to Germany—and return deeply disappointed. His Germany was dead; patriotism had become meaningless. He found friends but no hope. He was of course indignant about the division of Germany, and for the sake of German unity he opposed NATO, the founding of the Federal Republic, the cold war, American policy. Although he had never been a pacifist, he now preached neutralist philosophy. Mistakenly perhaps, he campaigned for Stevenson, Kennedy, McCarthy, and McGovern. At his death, he had traveled far from his original commitments, though he had not given up any of his basic philosophical attitudes. A book dedicated to him on his sixtieth birthday was entitled Upright Between the Stools.

Karl Otto published books on the German youth movement and on the ideology of national bolshevism. His life epitomizes the strange kinship between the romantic effusions of the German youth movement and the tough policies of Third World dictators. Military or intellectual elites presume to make “revolutionary” history behind their peoples’ backs, to introduce “socialism” without democracy but in the name of nationalism. They are liberationist without being liberal, egalitarian without being humanitarian, and highly rational in the execution of their plans without, however, believing in Reason. The cultural revolution which they propose to carry out does not bring culture to their nations; on the contrary, it is nourished by the anti-cultural, anti-intellectual ideologies that were first developed in the murky grounds of Richard Wagner’s Niflheim, and have come down to us via the proto-fascist movements of the first quarter of this century.

Karl Otto was too decent and too noble to draw from his ideology the conclusions which the plebeians found so attractive. He was alienated from his own nation and never managed to join any other. He had left the positions from which he had started out, but he remained true to himself— till his death in 1976.

https://openrevolt.info/2011/10/21/requiem-for-a-national-bolshevist/

LupoSciolto°
30-06-17, 21:11
Non conosco bene il soggetto e, nel dettaglio, le sue idee. Credo che sia arrivato il momento di pubblicare qualche suo testo o articolo in lingua italiana. Personaggio "sui generis", senza ombra di dubbio.

LupoSciolto°
30-06-17, 21:15
Kavalerists RibelleInEsilio

L'Organizzazione Lotta di Popolo, fondata nel 1969 da Enzo Maria Dantini e Ugo Gaudenzi, può essere considerata una formazione nazional-bolscevica o , comunque, anticapitalista e patriottica? So che esisteva, come nei partiti maoisti, una "linea nera" e una "rossa". Quali erano le loro proposte e quale il loro modus operandi? OLP esprimeva nostalgismo di marca fascista o, invece, effettuava analisi e ricerche sul maoismo e sulle lotte di liberazione nazionale?

LupoSciolto°
01-07-17, 17:50
I padri del “nazional-comunismo” tedesco: Heinrich Laufenberg e Fritz Wolffheim

Il termine “Nazional-Bolscevico” porta molte ambiguità, derivanti dall’affiancamento di due nozioni completamente opposte, in apparenza, che servono a definire esperienze politiche spesso molto diverse. Le diverse interpretazioni del fenomeno, lungi dal portare a una chiara definizione ha portato, al contrario, a molte confusioni. Nel caso di Heinrich Laufenberg e Fritz Wolffheim, il nome di “Nazional-Bolscevismo“, li mette in contiguità con i loro avversari, per screditarli. I due interessati, da parte loro, non l’accettarono mai, perché non riflette il vero significato del loro approccio, che è molto più simile al comunismo nazionale e vedremo che la differenza è importante.


https://aurorasito.files.wordpress.com/2011/03/1914_bild_11_speziell_0900_0700_sv.jpg?w=196&h=300


La nascita del nazional-comunismo

I due compagni si incontrano nel 1912, ciascuno di loro aveva un lungo percorso di attivista nelle lotte del movimento socialista dell’anteguerra. Laufenberg era considerato uno dei maggiori conoscitori del movimento operaio tedesco. Impegnato tra le fila socialiste rivoluzionarie, rifiutò la linea riformista e parlamentare delle organizzazioni di sinistra del tempo. Svolse un ruolo attivo nella formazione dei gruppi rivoluzionari radicali nel nord della Germania, soprattutto Amburgo, dove aveva molti sostenitori. La crescente minaccia di una guerra europea, lo portò a collaborare con un giornalista recentemente tornato dagli Stati Uniti, Fritz Wolffheim. Questi seguì per diversi anni l’evoluzione del sindacalismo americano. Tornò profondamente colpito dal suo metodo di operare e si convinse dell’obsolescenza delle vecchie forme delle organizzazioni dei lavoratori (in particolare della ripartizione dei compiti, puramente arbitrario, tra sindacato e partito d’avanguardia). I due uomini s’impegnarono decisamente contro la guerra, rifiutando di aderire alla “Union Sacrée” che portò, in Germania come in Francia, la sinistra ad aderire alla grande follia della prima guerra civile europea. Se il loro attivismo contro la guerra li spinse a chiedere l’immediata cessazione delle ostilità e una giusta pace tra i belligeranti, furono ostili a qualsiasi forma di appello al sabotaggio della difesa nazionale, che per loro avrebbe fato solo il gioco del proprio imperialismo contro l’imperialismo avversario “nazionale“. Si noti che nessuno dei due compagni rifiutò di essere mobilitato e di andare a combattere sul fronte. Il periodo della guerra vedrà maturare in loro l’idea che la nazione è un “tutto“, vale a dire, una comunità legata da cultura, lingua, ma anche dall’economia. Heinrich Laufenberg e Fritz Wolffheim distinsero due funzioni dell’economia: la prima è la funzione di sfruttamento da parte di una minoranza della maggioranza, e la seconda è la funzione vitale per l’esistenza della totalità, vale a dire la nazione. Il ruolo dei socialisti rivoluzionari è quello di superare lo sfruttamento capitalistico, per far si che la comunità nazionale possa prosperare. Nel caso della Germania, ritennero che l’unità nazionale, guidata con la forza dalla borghesia, fu un fallimento, per aver omesso di sollevare un condiviso senso della comunità. E’ quindi compito della classe operaia realizzare l’unità tedesca attorno al principio del socialismo.
Nel contesto della guerra, il proletariato, che ha un mandato nazionale, potrebbe essere costretto ad accettare d’essere arruolato in un esercito “nazionale“, nonostante il carattere borghese dello Stato. Il proletariato, essendo la nazione, deve difendere i suoi interessi. Ma la subordinazione militare non è una subordinazione politica, perché gli obiettivi del proletariato sono totalmente diversi da quelli del Capitale. Il popolo è il nemico delle guerre imperialiste: “quando il proprio ambito economico è protetto dalla difesa dei suoi confini, il proletariato deve prendere posizione senza riserve a favore della pace“. E’ in opposizione alla guerra che si forgia il nuovo approccio al socialismo di Wolffheim e Laufenberg. Troverà il suo campo di applicazione proprio negli sconvolgimenti che colpirono la Germania dopo l’armistizio del 1918. Questa nuova idea, quella dei consigli operai, a cui si avvicinarono nel 1917. Sarà al centro della loro politica. I Consigli permettendo la partecipazione diretta dei cittadini nelle decisioni che li riguardano, possono superare il gioco parlamentare e respingere le organizzazioni burocratiche del tipo dei partiti e dei sindacati classici. Per gli “amburghesi“, il centro della rivoluzione è nella fabbrica. La forma burocratica del partito deve essere superata, e diventa una semplice struttura di propaganda per l’idea consiglista. Quest’approccio era in totale opposizione al modello bolscevico. Proponeva un decentramento verso la base e la democrazia diretta, sia nella lotta che nella società socialista del futuro. “Se, nell’età dell’imperialismo, le masse sono oggetto del potere esecutivo, scrisse Wolffheim, nel mondo socialista esse saranno il potere esecutivo stesso”. Parteciparono alla fondazione della sinistra radicale, una tendenza che riuniva i gruppi rivoluzionari della Germania del Nord. Wolffheim, in qualità di rappresentante del gruppo, incontrò gli spartakisti di Berlino, per preparare l’insurrezione del 1918. Intervenne affinché essa non finisse in una catastrofe generale, provocando il caos in Germania, e sottolineò la necessità che il fronte non crollasse. Si oppose nettamente alla parola d’ordine della diserzione in massa, lanciata da alcuni leader spartakisti.

La rivoluzione ad Amburgo

Il 6 novembre 1918 scoppiò la rivoluzione ad Amburgo e Wolffheim, allora mobilitatosi sul posto, giocò un ruolo di primo piano. I soldati ammutinati, incoraggiati dalla sinistra radicale, proclamarono per la prima volta, in Germania, la Repubblica socialista. Wolffheim partecipò alla formazione del “Consiglio degli operai e dei soldati”, che garantirono il controllo della città. Di ritorno dal fronte, Laufenberg venne proclamato presidente del consiglio, avendo così coscienza che il “destino intero della rivoluzione europea è nelle mani della classe operaia tedesca.”
Per lui, il compito immediato dei rivoluzionari era quello di consolidare le conquiste fatte, di renderle irreversibili e di evitare la guerra civile. Predicò la riconciliazione delle classi sotto gli auspici della rivoluzione socialista trionfante e sollecitò il rapido ritorno della pace. La socializzazione delle società passa, secondo Wolffheim e Laufenberg, per l’azione progressiva della maturazione della coscienza di classe. Come scriveva Louis Dupeux, “rifiuta l’idea che la dittatura del proletariato sia installata in un solo paese, né soprattutto solo una volta”, da cui la futura rottura con il modello sovietico. Passo dopo passo, il socialismo reale viene costruito con misure concrete. I Consigli amburghesi moltiplicano le misure sociali (riduzione dell’orario di lavoro, salari più alti, migliori condizioni di vita …) che essi impongono con la forza ai padroni. Non hanno mai esitato a collettivizzare le fabbriche dei padroni recalcitranti. La sinistra radicale invase anche le sedi dei sindacati e distribuì i fondi di tali organizzazioni riformiste ai disoccupati. Ma l’approccio di Amburgo fu anche pragmatico. Tentarono di inquadrare le altre classi sociali, come le classi medie, che le conseguenze della guerra spingevano oggettivamente verso la classe operaia. Fu quindi possibile superare le antiche divisioni, per realizzare l’unione delle classi oppresse, e quindi la nazione, attorno alla rivoluzione. Il concetto di nazione proletaria in lotta contro l’imperialismo, fu poi sviluppato dai due di Amburgo. Inglobava tutta la classe operaia, escludendo l’alta borghesia, nell’unità nazionale. “I Consigli di fabbrica stanno diventando, scriveva Wolffheim, elemento del congresso nazionale, dell’organizzazione nazionale, della fusione nazionale, perché sono l’elemento base, la cellula originaria del socialismo“.
Allo stesso modo, i contatti che Laufenberg e Wolffheim presero con i circoli di ufficiali, non furono un tradimento delle proprie convinzioni socialiste. Cercarono di mettere gli ufficiali al servizio della rivoluzione. Specialmente quando il diktat di Versailles contestò l’integrità della nazione stessa. La classe operaia tedesca si trovava sotto la minaccia dell’annientamento totale da parte del capitalismo anglo-sassone. Così, naturalmente, respinsero il trattato e richiesero l’istituzione di una “wermarcht del popolo“, che riprendesse la lotta contro l’imperialismo, a fianco dell’Armata Rossa sovietica. E’ in questo contesto, che furono effettuati i contatti con i nazionalisti. Suscitarono un certo interesse tra i giovani ufficiali, che dovettero affrontare l’incomprensione della casta dei vertici militari, lasciarono passare una possibilità per la Germania, a causa della loro vecchia natura reazionaria e anticomunista. Un capo völkish particolarmente stupido non ricevette nemmeno Wolffheim, perché aveva origini ebraiche… “La nazione borghese sta morendo e la nazione cresce – scriveva Laufenberg – L’idea nazionale ha cessato di essere uno strumento di potere nelle mani della borghesia contro il proletariato e si è rivolta contro di essa. La grande dialettica della storia fa dell’idea nazionale un mezzo del potere del proletariato contro la borghesia“. La loro posizione apertamente patriottica dovette procurargli l’odio degli spartakisti e degli agenti del Comintern, così come le accuse di deriva “nazional-bolscevica“. I socialdemocratici, divenuti progressivamente la maggioranza nei consigli di Amburgo, costrinsero Laufenberg a dimettersi. Assai rapidamente la reazione trionfò, i moderati cedettero la città all’esercito regolare che liquidò la Rivoluzione.

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LupoSciolto°
01-07-17, 17:52
La controversia nazional-bolscevica

Dopo la fondazione del KPD (Partito Comunista di Germania), Laufenberg e Wolffheim si affiliarono brevemente. Ma la campagna contro di loro e il loro posizionamento Nazional-Bolscevico portò alla loro espulsione dal partito, seguiti dalla tendenza di “sinistra“. L’operazione di epurazione del KPD fu effettuata a cura dell’agente del Comintern in Germania, Karl Radek. Porterà all’espulsione di più della metà dei 107.000 membri del partito in disaccordo con la linea di Mosca. Laufenberg e Wolffheim, quindi, fecero appello all’istituzione di un nuovo partito comunista. Parteciparono, nell’aprile 1920, al congresso di fondazione del KAPD (Partito Comunista dei Lavoratori di Germania). “Il KAPD non è la nascita di un partito bis, – scrisse D. Authier nella sua raccolta dei testi consiglisti del tempo – ma l’auto-organizzazione proletaria dei radicali che finalmente si stavano creando un organismo autonomo. L’atmosfera è particolarmente “calda”, i partecipanti hanno l’impressione di vivere un momento storico: lasciare il PC Spartakista è una netta rottura con la social-democrazia“.
Molto rapidamente, il clima nel KAPD si deteriorò, il KPD fece pressione sull’organizzazione affinché liquidasse la tendenza amburghese. Lenin sale sulla cattedra, in questo caso: in un passo dal suo libro “Estremismo: malattia infantile del Comunismo” (dove regola i conti ideologici con le tendenze di ultra-sinistra), denuncia, senza conoscerle bene, le tesi dei due di Amburgo. Espulsi dal KAPD, saranno i primi a denunciare il “capitalismo di stato” sovietico e la deriva totalitaria imposta dal regime di Lenin. Poi iniziarono gli anni di oscuri, fondarono una moltitudine di piccoli circoli rivoluzionari, il più importante, il Bund der Kommunisten, non raccolse che qualche centinaio di seguaci. Laufenberg, malato, si ritirò nella sua attività letteraria e morì nel 1932. Niekisch redasse in suo onore un accorato elogio funebre, rivendicandolo quale precursore del nazional-bolscevismo. Fece di lui il primo nazional-comunista tedesco e si pose alle sue orme. Wolffheim troverà un’eco inattesa nella giovane generazione nazional-rivoluzionaria degli anni ’30. Contribuì alla diffusione delle idee consigliste nelle riviste Das Junge Volk e Kommenden, poi dirette da K.O. Paetel. Ebbe, quindi, una notevole influenza sul movimento giovanile Bundisch, partecipando al suo orientamento anticapitalista e alla ricerca di un nuovo legame comunitario all’interno della nazione tedesca. Ma l’ascesa del nazismo gli sarà fatale, arrestato a causa della sua origine ebraica, morì in un campo di concentramento. Tragica fine di un uomo che aveva dedicato la vita a servire il suo popolo. Ironia della storia, il KPD seguirà dal 1923 una linea patriottica, con l’obiettivo dichiarato di raggruppare nel comunismo la classe media e alcuni gruppi nazionalisti (con diversi successi notevoli). Il fautore di questa linea apertamente “nazional-bolscevica“, non fu altri che Karl Radek, l’ufficiale dell’Internazionale che ha guidato la campagna contro gli amburghesi.

L’Autonomia operaia oggi

La critica radicale del capitalismo, condotta dai consigli operai, mantiene ancora la attualità, il sistema che l’ha schiacciata nel 1919, domina ancora. Lo sviluppo del liberalismo e la sua estensione a tutto il mondo, ora minaccia il futuro stesso dell’umanità. Come Laufenberg e Wolffheim, vogliamo vedere apparire l’autonomia dei lavoratori, la rivolta proletaria liberatasi dalla morsa dei sindacati e delle illusioni dei partiti del sistema. Non vogliamo più vedere la nostra ribellione incanalata, teleguidata e svenduta sull’altare della pace sociale dai co-gestori della nostra miseria. Di fronte agli attacchi del capitale contro le nostre condizioni di vita, ci appelliamo alla ripresa della lotta. Il deterioramento della situazione della classe operaia, va di pari passo con l’impoverimento delle classi medie, la resistenza diventa una questione di sopravvivenza. Ancora una volta, non perderemo che le battaglie che non condurremo. Qui e ora, più che mai, coloro che vivono sono coloro che lottano.

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Laufenberg, a sinistra, presidente del Consiglio degli operai e dei soldati di Amburgo, e Wilhelm Heise

Bibliografia:
Jean-Pierre Faye, Langages totalitaires, Edition Hermann
Louis Dupeux, Le National-bolchevisme, Stratégie communiste et dynamique conservatrice, Edition H. Champion. L’analisi più completa sul tema.
D. Authier e G. Dauve, Les communistes de gauche dans la révolution allemande – Les Nuits Rouges. Recueil de textes sur les conseils dont la «révolution à Hambourg» de Laufenberg et «Organisations d’entreprises ou syndicats» de Wolffheim. Edition de Minuit
Pierre Broué, Rivoluzione in Germania, Einaudi
Alain Thieme, La Jeunesse «Bündisch» en Allemagne, Collection Jeune Europe
Christophe Bourseiller, Histoire générale de l’ultra-gauche, Denoël impacts. L’ultimo pubblicato su questo argomento.
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora

https://aurorasito.wordpress.com/2011/03/16/i-padri-del-nazional-comunismo-tedesco-heinrich-laufenberg-e-fritz-wolffheim/

Kavalerists
01-07-17, 23:57
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“la nazione borghese sta morendo e la nazione cresce – scriveva laufenberg – l’idea nazionale ha cessato di essere uno strumento di potere nelle mani della borghesia contro il proletariato e si è rivolta contro di essa. La grande dialettica della storia fa dell’idea nazionale un mezzo del potere del proletariato contro la borghesia“. la loro posizione apertamente patriottica dovette procurargli l’odio degli spartakisti e degli agenti del comintern, così come le accuse di deriva “nazional-bolscevica“. I socialdemocratici, divenuti progressivamente la maggioranza nei consigli di amburgo, costrinsero laufenberg a dimettersi. Assai rapidamente la reazione trionfò, i moderati cedettero la città all’esercito regolare che liquidò la rivoluzione.

cvd

LupoSciolto°
02-07-17, 18:05
La truffa socialdemocratica e l'internazionalismo infantile degli spartachisti , frenarono la crescita di questo valido progetto. Un po' quello che accade oggi con la sinistra "senza aggettivi" e la sinistra anarcoide-trotskista. Però, se leggi attentamente l'articolo, anche la KPD assunse un atteggiamento fortemente patriottico, seppur in un secondo tempo. Assisteremo ad una svolta simile da parte di qualche autentico partito comunista?

Kavalerists
02-07-17, 21:21
La truffa socialdemocratica e l'internazionalismo infantile degli spartachisti , frenarono la crescita di questo valido progetto. Un po' quello che accade oggi con la sinistra "senza aggettivi" e la sinistra anarcoide-trotskista. Però, se leggi attentamente l'articolo, anche la KPD assunse un atteggiamento fortemente patriottico, seppur in un secondo tempo. Assisteremo ad una svolta simile da parte di qualche autentico partito comunista?

"Internazionalismo degli imbecilli" era e tale è rimasto, non è cambiato di una virgola.

Sì, se aprono in Italia una sezione del Partito Comunista della Federazione Russa...

LupoSciolto°
28-07-17, 11:03
ANCORA SU KARL OTTO PAETEL

«Siamo socialisti.
Ciò significa che in ottica rivoluzionaria promuoviamo:
La nazionalizzazione della proprietà terriera.
La divisione del latifondo.
Ogni proprietà terriera sarà in futuro territorio della Nazione;
Il trasferimento della proprietà di tutte le grandi e piccole realtà industriali, delle banche, dei grandi magazzini, delle risorse minerarie, delle miniere, dei mezzi di trasporto al popolo;
La pianificazione dell’economia statale con monopolio del commercio estero;
Gli armamenti nelle mani della comunità: fondazione dell’esercito popolare.
Tutte le teorie su “partecipazione agli utili” e direzione privata d’azienda che garantiscano anche solo parzialmente la proprietà privata dei mezzi di produzione o la produttività del terreno, sono manovre diversive semifasciste
[…]La legge fondamentale del vero socialismo nazionalista resta: l’economia nelle mani della Nazione. Questo vale sia per le aziende industriali, che per la richiesta della proprietà, ma soprattutto anche come costituzione dell’autarchia e del monopolio del commercio estero»
K.O.Paetel, Manifesto nazionalbolscevico, 1933

Karl Otto Paetel (nato il 23 novembre 1906 a Berlino, morto il 4 maggio 1975 a New York), tedesco, era giornalista e pubblicista, nonché importante rappresentante del nazionalbolscevismo.

Vita
Karl O. Paetel iniziò nel 1927 un praticantato presso il giornale Deutsches Tageblatt e ne diventò redattore. Dal 1928 al 1930 studiò storia, germanistica e filosofia alla Berliner Universität e alla facoltà di politica.

Paetel apparteneva alla Bündische Jungend (movimento giovanile) e diventò un autorevole precursore del nazionalismo rivoluzionario e del nazionalbolscevismo. Era in stretto contatto con il movimento socialista giovanile e pubblicò le riviste Politische Zeitschriftenschau e Das Junge Volk, schierandosi sia contro la democrazia della Repubblica di Weimar che contro il NSDAP.

Il 1 gennaio 1930 pubblicò “Il manifesto del nazionalbolscevismo”. In seguito a ciò Ernst Jünger lo assunse come caporedattore della rivista giovanile rivoluzionaria Die Kommenden. Nel dicembre 1939 fondò il “gruppo dei nazionalisti socialrivoluzionari”. Nel 1931 seguì la pubblicazione della rivista Sozialistische Nation.

Nel 1933 ricevette il divieto di scrivere, a cui non volle attenersi, andando incontro a numerose incarcerazioni. Arrestato in seguito alla Heimtückegesetz (legge della perfidia???), nel 1935 fuggì a Praga, dove collaborò al Neue Weltbühne. Successivamente arrivò a Parigi passando per la Svezia.

Tornò diverse volte, illegalemente, in Germania. Nel 1936 fondò i Blätter der Sozialistischen Nation. Legato ai gruppi giovanili illegali, si infiltrò nella Hitler-Jugend (Gioventù Hitleriana). A Parigi, nel 1937, incontrò i nazionalrivoluzionari Ernst Niekisch e Harro Schulze-Boysen. Fino al 1940 giocò un ruolo decisivo per i giovani esiliati e forniva scritti nazionalrivoluzionari ai gruppi giovanili in Germania. Pochi mesi prima dell’inizio della guerra organizzò una conferenza di 14 giorni, a Parigi, con i capi d’opposizione della HJ. La cerchia dei partecipanti si definì Gruppe Sozialistische Nation (gruppo della nazione socialista) e cooperò alla fusione della Graue Kreis con la Schwarze HJ. Molti partecipanti fra i 17 e i 22 anni erano studenti e maturandi. Appartenevano soprattutto al Deutsches Jungvolk, alla HJ e al NS-Studentenverband. Tema centrale fu “l’esistenza di gruppi giovanili ribelli”. Si riportò di gruppi con nomi del tipo Die Geusen, Der Orden, Die Geachten, Die Kolonne X, e fu menzionato anche il nome Edelweiß.

Dopo la fuga dall’internamento della polizia francese, nel maggio 1940 iniziò la fuga verso il sud della Francia, la Spagna e New York. Lì ricominciò la propria attività di pubblicista e lavorò come corrispondente. Nel 1943 sposò la fidanzata Elisabeth Zerner.

Dopo la guerra pubblicò la rivista Deutsche Gegenwart e scrisse molto su Ernst Jünger. La biografia “Ernst Jünger: la trasformazione di un poeta e patriota tedesco” apparve nel 1949.

Paetel diventò cittadino americano, fondò e diresse una club di stampa tedesco e si impegnò come guida del “Deutsches Forum” per una visione differenziata della storia nazista. Sempre orientato al nazionalbolscevismo, pubblicò nel 1965 “Tentazione o possibilità? La storia del nazionalbolscevismo tedesco”.


Gruppo dei nazionalisti sicialrivoluzionari

Il gruppo dei nazionalisti socialrivoluzionari (GSRN) costituiva, nell’ambiente nazionalrivoluszionario della repubblica di Weimar, un gruppo quantitativamente poco significativo ma politicamente rilevante, rappresentato del giornalista berlinese Karl Otto Paetel, che fondò il gruppo nell’estate del 1930.

Nato in seguito alla delusione di fronte alla linea, da loro definito “fascista” e “borghese”, del NSDAP, si sviluppò, soprattutto dopo la rottura di Hitler da Otto Strasser, in alcuni cerchie del movimento giovanile, in particolar modo fra i giovani nazionalisti legati a riviste come Die Kommenden (il cui capo redattore fu Paetel fino alla fine dell’estate del 1930) e Die Tat. Seguì una linea politica sempre più forte, sottolineando in modo maggiore, rispetto ai gruppi di convinzione nazionalrivoluzionaria e nazionalbolscevica, la matrice “bolscevica”.

Il GSRN, nell’estate del 1939, pubblicò un manifesto con il titolo Sozialrevolutionärer Nationalismus (nazionalismo socialrivoluzionario), in cui si rese visibile la loro linea politica. Il gruppo si dichiarò dalla parte della nazione, del popolo e del socialismo come “l’ultimo valore politico” . Questo avrebbe dovuto aver luogo da una parte come “riorganizzazione del pensiero”, ma anche mediante la “nazionalizzazione di tutte le grandi e medie imprese”. Il gruppo si dichiarò esplicitamente parte attiva nella “lotta di classe dei sottomessi”, nell’unione con l’Unione Sovietica e a fianco delle “nazioni e delle classi sottomesse”.

Se l’iniziativa di poter unire i giovani nazionalisti indipendenti con la sinistra e dopo la rottura da Strasser con i nazionalsocialisti delusi da Hitler fosse venuta dal gruppo, le visioni dopo la dichiarazione del KPD del 25 agosto 1930 di appoggiare “la liberazione nazionale e sociale del popolo tedesco”, sarebbero diverse. Paetel parlò di un spalla-a-spalla con il “proletariato rivoluzionario – con il KPD”, per raggiungere una rivoluzione sociale, l’abolizione del trattato di Versailles e di quello di Young e un legame più forte della Germania con l’est.

Dopo le dimissioni dalla redazione della rivista Die Kommenden, Paetel fondò una propria piattaforma per il GSRN: la rivista Die sozialistische Nation. Dal gennaio 1931 al gennaio del 1933 questa rivista fu una delle più importanti pubblicazioni dei nazionalbolscevichi. Degno di nota fu per esempio un sondaggio condotto da Paetel nell’estate del 1931 fra i capi e gli esponenti più importanti dei diritti indipendenti, in cui si chiedeva l’opinione in caso di una guerra d’intervento contro l’Unione Sovietica. Le risposte, che furono praticamente unanimi contro una guerra contro l’Unione Sovietica, furono naturalmente pubblicate e discusse. In occasione delle elezioni del presidente del 1932, Die sozialistische Nation raccomandò l’elezione del candidato comunista Ernts Thälmann. Il giornale assomigliava talvolta a una piattaforma libera: nei numeri in particolare del 1931 infatti si trovano carteggi e discussioni fra Paetel, Gollong, Grosse Uhse ecc. da una parte, e Boris Goldenberg (KPO) o Wolfgang Abendroth (Freie sozialistische Jugend) dall’altra.

Il gruppo cercò, nonostante la talvolta grande vicinanza al KPD, di non venire sopraffatta da quest’ultimo, ma anche di non venire rispedito nel lager nazionalsocialista. Accanto all’organizzazione di dibattiti e la partecipazione alla lotta contro il fascismo, la loro attività era per gran parte di tipo pubblicistico. All’inizio del 1933 Paetel finì di redigere il suo Manifesto nazionalbolschevico, dove parla della fondazione di un partito nazionalbolscevico che avrebbe dovuto candidarsi con Claus Heim e Ernst Niekisch. Il colpo di stato di Hitler pose una fine improvvisa alla pubblicazione della rivista Die sozialistische Nation e alla sopravvivenza dfel GSRN. Paetel si diede ancora da fare per la Zellenbildung (formazione cellulare) nella HJ e nel SA, per poi però fuggire dal Berlino nel 1935.

LupoSciolto°
22-08-17, 19:09
Ramiro Ledesma Ramos: National Bolshevik (Part 1)


https://openrevolt16.files.wordpress.com/2012/10/ramos-part-1.jpg

translated by Fernando Garrayo



Talking nowadays about the National-Syndicalism and about its founder, Ramiro Ledesma Ramos, is at least difficult. It is basically because 37 years after Franco´s death (he died 20th November 1975), the official historians, the media and the most rancorous peoples – whether of the right or the left wings -, without historical rigour, still mistakenly linking, falsely and sometimes intentionally, National-Syndicalism (NS henceforward) with the regime of Franco.

Since 19th April 1937, with the approval of the Decree of Unification with what Franco and Serrano Suñer created that hybrid called FET and of the JONS, resounded at the life of the Spaniards that slogan “For God, Spain and its National-Syndicalist Revolution”, and though indeed, there was a lot of “For God” and a lot of “ITS” Spain, there was not nothing of National-Syndicalist Revolution. The Spanish people lived for almost 40 years wrapped in the National-Syndicalist trappings, but without its essence, the National-Syndicalist spirit and ideology, everything what was presented as such, it was distorted by the elements of the rising regime: technocrats of the Opus Dei, monarchists and reactionary right-wingers, covered all by the Catholic Church and the Army.

Meanwhile, the authentic National-syndicalists were condemned to silence. Manuel Hedilla, 2nd National Chief of FE of the JONS, Ruiz Castillejos, de los Santos, Chamarro, were condemned to death. Félix Gómez and Ángel Alcázar de Velasco, to penal servitude for life. Others, to some years of imprisonment… their crime: to go against the Decree of Unification and the falsification of the NS.

Some National-Syndicalists thought that by going inside the regime of the general Franco they could achieve influence on it. Others, the most decided in the action and in the compromise, opted for the clandestine fight, and the most, accepted the Unification. This attitude was comprehensible in a organisation that was exaggeratedly incremented by elements coming from right-wing and reactionary parties, which pretended to use the NS as political springboard, as well as to turn it in to the truncheon guard of the bourgeoisie´s interests.

It is doubtless that if Ramiro Ledesma had been comprehended when he accussed FE of the JONS of acquiescent with the right wing, if José Antonio Primo de Rivera (founder of Falange, FE) had accepted the criticisms of Ramiro and had not took so long to comprehend them, that the fate of the NS would have been something else. Both died assassinated by the Government of the People´s Front, but both were murdered day after day by the regime of Franco and after this, by all those who, with their blue shirts, their beltings and their hair fixed, made of flashiness, bullying and rightism their found of action, attitude that nothing must envy of what 40 years ago had in Salamanca guys as Dávila, Aznar or Garcerán.

Ramiro Ledesma Ramos, a National- Bolshevik?

If, as I have pointed at former occasions, the National-bolshevism (hereafter NB) is the harmonic union between the most radical conceptions of the national and the social, evidently we can assert that Ramiro Ledesma was a National-Bolshevik. “There are here two words: one, the national idea, the Homeland as historical enterprise and as guarantee of historical existence of all the Spaniards; the other, the social idea, the socialist economy, as guarantee of the bread and economic welfare of all the people” says roundly Ramiro.

Since the beginnings, Ramiro and his Juntas de Ofensiva Nacional Sindicalista (JONS), aspired to attract all the workers to the national cause, as the jonsists wanted “acquire a broad proletarian base”. This inquietude was a faithful reflex of their social extraction: proletarians, peasants and radical cutting intellectuals, vehemently against the bourgeois order. One of the constant fears of Ramiro, one of his most painful worries was that jonsism were confused “with a frivolous and futile task of young gentlemen”.

With the JONS was born in Spain, in words of Ramiro, “a political movement, of national core deep and great social perspectives, rather, socialist ones”. Ramiro has very clear the role of the rights, and he does not hesitate in accuse them as one of the greatest evils that pinch their people, while he does not hesitate either in denouncing the operetta patriotism, “we well know a long time ago what to expect about the rightist patriotism, specially those of the forces more directly clerical and linked to the sacristies. Every day is more evident for us the suspicious that the national weakness of Spain is due, in great part, to “the inoperative patriotism, false and without warm” that till now has ruled, incubated and oriented the right wing”.

In Ramiro, the fate of the community always goes linked to a just distribution of the riches: “The submission of the riches to the national advisabilities, that is to say, to the pushfulness of Spain and the prosperity of the people”. Always there were in the jonsists social and economic consigns. “With we, then the workers; to nationalise the parasitic banking, to nationalise the transports, to cut off the action of the speculating piracy and to exterminate to the great profiteers of products”. The jonsist NS had very clear what had to be the basic aspirations of the community: “The JONS ask and want the nationalisation of the transports, as notorious public service, the control of the financial speculations of the high banking, democratic guarantee of the people´s economy; the regulation of the interest or income produced by the money used in exploitations of national utility; the democratisation of the credit, the benefit of the unions, communal groups and small business; abolition of the forced unemployment, making of the work a right of all the Spaniards, as guarantee against starvation and misery, equality before the State of all the elements that intervene in the production (capital, workers and technicians), and rigorous justice in the responsible for disciplining the national economy organisms; abolition of the abusive privileges and instauration of a hierarchy of the State that reach and be nourished by all the Spanish classes”. These were then the consigns of the JONS. Does anyone doubt of its rotundity and its people´s and revolutionary spirit?

Ramiro, as other National-Bolshevik thinkers of that time, does not hesitate in criticise the fascism when this turns to the right. He says about it: “ …has crushed, in effect, the political institutions of the bourgeoisie and it has given to the proletarians a new moral and a political optimism… but Has it crushed or weaken the great fortresses of the financial capital, the high industrial bourgeoisie and the landowners in benefit the general economy of all the people? And, furthermore, is it actually making possible the elimination of the capitalist system and basing increasingly the regime at the economic interests of the great masses? Without any doubt, with such statements, it is comprehensible and logical that Ramiro were silenced and marginalised by the regime of Franco, inasmuch as it is known by everyone, this was supported to settle on the power, accurately on these great fortresses of the financial capita to which Ramiro refers.

For Ramiro and his JONS, the fascisms of operetta were totally condemnable, “groups without deep dimension, artificial, that import the fascist phenomenon as someone imports any fashion gender”. He shows hard, very hard with these fascist movements of importation when he states that. “Mosley is there out, with his shirts, his fascist party and his mussolinian dreams; as here Primo de Rivera, with a similar team… they have a leader, an aristocrat Duce, millionaire, who spends his money organising the party. Just like that, Mosley, the Englishman, who is Sir, multimillionaire and flamboyant. So is Primo de Rivera, the Spaniard, millionaire and superfine. So is Starhemberg, who is prince and everything else. All of them are soft, doughy, cottony, with good manners, that pretend to implant a Corporate State… They are characterised also for their notorious tendency to disown all people´s angish then they are incubated in privileged social classes and they are linked to all the reactionary forms of the society”.

Ramiro also acquires a revolutionary compromise with the Spanish country. Its words are dialectic bullets against the rural capitalism: “Spanish countrymen: the land is the nation. The peasant who cultivates the land has got the right to its usufruct. The regime of the agrarian property hitherto has been a consented theft and carried out by the Monarchy and its feudal hordes. Countrymen: 147 great landowners have got in their hands more than a million hectares of land. All the land is yours. Demand its nationalization”

These affirmations will affront the sanctimonius minds of the right-wing. A lot of these proposals are totally left by the traditional parties of the left-wing, and even by the most radical leftists.

“Up with the new world! Up with the Spain that we will do!”. These were the jonsist consigns and shouts. They were, without any doubt, new proclamations, shouts of hope, but over all, shouts of revolution. Yes, of revolution, because they were fed-up men of a rotten world, plenty of injustices, of exploited men and exploiters. There was an imperative, popular and revolutionary: to subvert the bourgeois order. And in this task, the JONS fought. Ramiro managed print that spirit between his comrades, who understood the need to distance from the bourgeois vulgarity, to shun from all the old and from all the deciduous.

So the first task of the NS “was to link those two separate ingredients: the national and the social, the Homeland an the Work. That nobody think that the adoption of the term both charming and polemic, of the national-proletarian revolution, were in the founders work of reflexive and cautious tactic, but immediate consequence from living in a deep and endearing manner the history of our time”. These words from Pedro Laín Entralgo newly approximate us to the jonsist aspiration of the social and the national.

The National-Bolsheviks preferred an alliance or rapprochement with the Soviet Russia to an alliance with the occidental democracies, as the Great Britain, fact that differentiate them clearly from the Hitler´s approachs… And in this context, newly we appeal to Pedro Laín Entralgo when he affirms: “As Ramiro Ledesma remarks with dowser sight, the Soviet communism is becoming more and more in a national-communism. Stalin is doing the turn from the world proletarian revolution of Lenin to a national Russian revolution”. These words can seem exaggerated, but Ramiro in some times does similar affirmations: “Russia, with its national-communist regime, with war moral, overarmed, in full experiment of gigantic social subversions, is not yet, of course, the revolutionary country that conspires everyday for the world revolution”. Or when he affirms: “It is the rotund efficacy of the Soviet state, that offers to the Russian people, in a coactive and questionless manner, the possibility of taking august national discipline. Nowadays Stalin guarantee his economic plan brandishing the nationalist Russian fury”.

It is clear that Ramiro was not at all communist, and he himself explain us why: “Against the communism, with its charge of reasons and efficacies, we put on a national idea, that it do not accepts, and that represents for us the beginning of every human enterprise of jaunty range. This national idea contains a culture and some historical values that we recognize as our highest patrimony”.

to be continued…

LupoSciolto°
22-08-17, 19:13
Non so se quanto scritto corrisponda al vero. Dobbiamo comunque ricordare che Ramiro Ledesma Ramos si schierò contro i comunisti e decise di fondere le JONS con la Falange Espanola. In ogni caso, questo può essere considerato materiale deputato al dibattito storico su figure non ben conosciute e (forse) non comprese appieno. Ma ripeto: i dubbi rimangono.

Kavalerists
22-08-17, 21:58
Non so se quanto scritto corrisponda al vero. Dobbiamo comunque ricordare che Ramiro Ledesma Ramos si schierò contro i comunisti e decise di fondere le JONS con la Falange Espanola. In ogni caso, questo può essere considerato materiale deputato al dibattito storico su figure non ben conosciute e (forse) non comprese appieno. Ma ripeto: i dubbi rimangono.
E' tutto vero, basta leggersi "Discorso alla gioventù spagnola" e "Fascismo in Spagna?", quelle espresse nell'articolo sono esattamente le posizioni politiche di RLR, poi possiamo chiamarle nazionalsindacaliste, nazionalbolsceviche, socialiste nazionali, o come meglio crediamo.
Che poi fu contro i comunisti è ovvio, non poteva accettare il loro rifiuto di principio dell'idea nazionale, per quanto poi evidenziasse come lo stesso Stalin stava portando elementi nazionali-russi nella rivoluzione proletaria bolscevica iniziata da Lenin.

LupoSciolto°
29-08-17, 10:53
Kavalerists, però un dubbio rimane: se Ramiro Ledesma Ramos fu sostenitore di un programma socialmente avanzato, anti-borghese e laico, perché si schierò con i falangisti e con Franco? La sola differenza che intercorreva tra lui e i socialisti, se non erro, riguardava il concetto di nazione. Imperial-nazionalista lui, internazionaliste le sinistre. Anche Georges Valois, in Francia, decise a un certo punto di collaborare con i socialcomunisti.

Kavalerists
29-08-17, 17:29
Kavalerists, però un dubbio rimane: se Ramiro Ledesma Ramos fu sostenitore di un programma socialmente avanzato, anti-borghese e laico, perché si schierò con i falangisti e con Franco? La sola differenza che intercorreva tra lui e i socialisti, se non erro, riguardava il concetto di nazione. Imperial-nazionalista lui, internazionaliste le sinistre. Anche Georges Valois, in Francia, decise a un certo punto di collaborare con i socialcomunisti.
E hai detto niente...
Non poteva accettare il concetto classico di internazionalismo della sinistra, e il conflitto di classe doveva risolversi all'interno dell'ambito nazionale, e senza distruzione della nazione e delle sue strutture statali, ma non per questo non era ineteressato al miglioramento ed all' elevazione delle condizioni di lavoro e del livello di vita della classe lavoratrice spagnola.
In fondo è il concetto stesso di "terza via", controllo dello stato sulle scelte economiche e sul capitale nazionale, e ridistribuzione del prodotto a maggiore realizzazione delle istanze popolari e delle classi lavoratrici ( "accorciare la forbice tra ricchi e poveri" avrebbe detto qualcuno, anche se poi fece poco... ). In fondo è come funziona una socialdemocrazia sotto l'aspetto sociale, poi il grado di "democrazia" ( partitismo e parlamentarismo) è relativo ai fini delle realizzazioni.
In più ovviamente, ma era lo spirito dei tempi, avrebbe voluto rimettere la madrepatria Spagna al vertice di un ricostituito "impero" ispanico con i paesi sudamericani, ma ripeto era lo spirito del tempo, oggi sarebbe una cazzata impropronibile come qualsiasi forma di neocolonialismo.
Quanto ad una eventuale successiva collaborazione possibile coi socialcomunisti non lo sapremo mai causa uccisioone nella prigione repubblicana; certo che è personaggi come Hedilla, ultimo leader falangista, accusato di aver attentato alla vita di Franco, si ispiravano agli aspetti più socialisteggianti del pensiero di De Rivera e di Ledesma Ramos.

LupoSciolto°
29-08-17, 19:15
E hai detto niente...
Non poteva accettare il concetto classico di internazionalismo della sinistra, e il conflitto di classe doveva risolversi all'interno dell'ambito nazionale, e senza distruzione della nazione e delle sue strutture statali, ma non per questo non era ineteressato al miglioramento ed all' elevazione delle condizioni di lavoro e del livello di vita della classe lavoratrice spagnola.
In fondo è il concetto stesso di "terza via", controllo dello stato sulle scelte economiche e sul capitale nazionale, e ridistribuzione del prodotto a maggiore realizzazione delle istanze popolari e delle classi lavoratrici ( "accorciare la forbice tra ricchi e poveri" avrebbe detto qualcuno, anche se poi fece poco... ). In fondo è come funziona una socialdemocrazia sotto l'aspetto sociale, poi il grado di "democrazia" ( partitismo e parlamentarismo) è relativo ai fini delle realizzazioni.

Insomma, una sorta di modello socialdemocratico vecchio stampo ma con caratteri marcatamente nazionalisti e "autoritari". A proposito: è vero che Ledesma Ramos ebbe giudizi impietosi (e giustamente aggiungo) sul fascismo italiano? Mi pare di aver letto alcune sue parole critiche verso la svolta reazionaria e padronale di Mussolini.


In più ovviamente, ma era lo spirito dei tempi, avrebbe voluto rimettere la madrepatria Spagna al vertice di un ricostituito "impero" ispanico con i paesi sudamericani, ma ripeto era lo spirito del tempo, oggi sarebbe una cazzata impropronibile come qualsiasi forma di neocolonialismo.
Quanto ad una eventuale successiva collaborazione possibile coi socialcomunisti non lo sapremo mai causa uccisioone nella prigione repubblicana; certo che è personaggi come Hedilla, ultimo leader falangista, accusato di aver attentato alla vita di Franco, si ispiravano agli aspetti più socialisteggianti del pensiero di De Rivera e di Ledesma Ramos.

Hedilla si beccò una condanna a morte commutata, poi, in carcere. Ovviamente le JONS erano sparite e la Falange asservita agli interessi del capitale e della chiesa. Recentemente, un piccolo partito di nome "Falange Autentica" , incredibile ma vero, ha garantito il proprio appoggio alla sinistra spagnola.

Kavalerists
29-08-17, 19:52
Insomma, una sorta di modello socialdemocratico vecchio stampo ma con caratteri marcatamente nazionalisti e "autoritari". A proposito: è vero che Ledesma Ramos ebbe giudizi impietosi (e giustamente aggiungo) sul fascismo italiano? Mi pare di aver letto alcune sue parole critiche verso la svolta reazionaria e padronale di Mussolini.



Hedilla si beccò una condanna a morte commutata, poi, in carcere. Ovviamente le JONS erano sparite e la Falange asservita agli interessi del capitale e della chiesa. Recentemente, un piccolo partito di nome "Falange Autentica" , incredibile ma vero, ha garantito il proprio appoggio alla sinistra spagnola.

Sì, è tutto scritto su "Fascismo in Spagna?", dove critica aspramente il fascismo italiano per le sue mancate realizzazioni in campo sociale a favore della classe lavoratrice, e le sue promesse mancate sull "accorciamento della forbie tra ricchi e poveri".

Conosco sommariamente Falange Autentica ed è un piccolo partito che presenta un programma fondamentalmente di centrodestra con venature socialdemocratiche e nazionaliste, anche con punte di un certo progressismo su alcuni campi tipo l'orientamento sessuale, l'antirazzismo e la libertà di religione, ma anche posizioni più a destra eticamente, essendo contrari all'aborto e all'eutanasia.
Se non faccio confusione nasce da una delle due scissioni della ricostituita FE de la JONS, l'altra è l'ultraderechista F.E.

http://www.falange-autentica.es/quienes-somos/principios

LupoSciolto°
29-08-17, 21:40
partito che presenta un programma fondamentalmente di centrodestra

Centrodestra? :eek:

Kavalerists
30-08-17, 06:27
Centrodestra? :eek:

Beh, se leggi il loro programma di "principios" in effetti è un pò un mix di più cose, ma loro si staccarono da FE, come affermano nel loro comunicato di fondazione, "per la deriva ultraderechista del gruppo". Ora non so dirti se loro si definiscano di destra, sono uno di quei gruppi che, spesso a ragione, probabilmente si definiscono nè di destra nè di sinistra. Però anche per i loro richiami storici, e anche perchè ormai la storiografia politica ha sclerotizzato certe divisioni e categorizzazioni ( facendole diventare un'abitudine mentale, ormai accettata passivamente da quasi tutti ), vengono collocati a Dx. E del resto immagina se osassero posizionarsi a Sx gli urletti scandalizzati dei radical chic attuali. Addirittura, da wikipedia:
"Nelle elezioni municipali del 2007 ha presentato elenchi in più comuni anche se i risultati sono stati più modesti. Ottenne solo due consiglieri in Ardales, che hanno sostenuto il candidato di Izquierda Unida, per farlo eleggere sindaco e quindi non fare eleggere il candidato socialista, il più votato, ma senza la maggioranza assoluta. Questo fatto provocò molto clamore sia nei giorni precedenti il voto d'investitura, sia dopo che si venne a conoscenza del risultato. La situazione ha generato molta polemica all'interno di Izquierda Unida, che minacciò l'espulsione dei membri del consiglio*, mentre è stato accettato con apparente naturalezza nell'ambito di Falange Autentica."
* credo voglia riferirsi ai propri consiglieri, di IU.

LupoSciolto°
30-08-17, 09:00
FA mi ricorda un altro partito spagnolo: quello carlista.

Kavalerists
30-08-17, 20:12
FA mi ricorda un altro partito spagnolo: quello carlista.
Non so, ma FA è dichiaratamente repubblicana.

LupoSciolto°
30-08-17, 20:16
Non so, ma FA è dichiaratamente repubblicana.

Quando si dice "trasversalismo/sincretismo" :encouragement:

LupoSciolto°
29-10-17, 19:01
Intervista Dany Colin : Europa e Africa: unite nella lotta conto il mondialismo ! (versione italiana e francese)


http://rebellion-sre.fr/wp-content/uploads/Pan-africanism-mural-in-Tanzania-740x493-300x200.jpg

Colonialismo, neocolonialismo e schiavismo sono gli aspetti che più hanno caratterizzato le politiche di dominazione attuate dal cosiddetto Primo Mondo, dagli Stati Uniti d’America all’Europa, nei confronti del cosiddetto Terzo e Quarto Mondo. E tali politiche sono all’origine della deportazione di massa di esseri umani dai Paesi del Sud del mondo ai Paesi del Nord del mondo, con tutte le conseguenze di violenza e sradicamento culturale e identitario che ciò comporta e ciò unicamente a vantaggio delle élites economiche e multinazionali che sfruttano da secoli e in varie forme la manodopera straniera a basso costo.
E ciò sia con lo sfruttamento delle risorse in loco, che attraverso lo sfruttamento dell’immigrazione di massa. Ad opporsi a tale sistema di sfruttamento le lotte di emancipazione del popolo Nero, attraverso il movimento denominato « panafricanismo », sviluppatosi nel corso del ‘900 in particolare negli Stati Uniti d’America grazie a personalità quali il sindacalista giamaicano Marcus Garvey (1887 – 1940) ed il saggista ghanese William Du Bois (1868 – 1963). Costoro furono i primi a lottare per l’emancipazione economica, sociale ed umana dei popoli afrodiscendenti negli USA ed in particolare Garvey organizzerà una compagnia marittima – la Black Star Line – al fine di favorire economicamente il ritorno in Africa di tali popoli, che non meritavano affatto di essere sradicati, ma di vivere pacificamente e in piena sovranità e indipendenza nella propria terra d’origine.
Di questo e non solo parla il saggio-brochure « L’Europe et l’Afrique: meme combat contre le mondialisme! » (« L’Europa e l’Africa: stessa lotta contro il mondialismo! »), edito dalla rivista Socialista Rivoluzionaria « Rébellion » (Rébellion - La revue de l&#039;OSRE (http://rebellion-sre.fr)) attraverso le « Editions des livres noirs » e redatto da Dany Colin.
Dany è attivista panafricano di origine congolese, collaboratore delle riviste « Rébellion » (rivista dell’Organizzazione Socialista Rivoluzionaria Europea), « Eléments » (fondata dal filosofo Alain De Benoist) e « Panafrikan » (rivista della Lega Panafricana Umoja), attivista dell’Organizzazione Socialista Rivoluzionaria Europea (OSRE) e dottore di ricerca in filosofia presso l’Università Toulouse II – Jean Jaurès di Tolosa, oltre che cineasta e studioso di cinematografia.
La riflessione che Dany Colin vuole porre al pubblico è, in sostanza, che il razzismo e la xenofobia sono fomentate dalle élites economiche e politiche al fine di dividere le persone ed indebolirle. Un po’ come avviene nelle guerre fra poveri. Bianchi e Neri devono invece unirsi ed allearsi, rispettendo, valorizzando e non abbandonando la propria cultura e spiritualità d’origine e lottare sia contro il fondamentalismo religioso che contro il totalitarismo mondialista, capitalista e liberale.
Dany individua nell’alleanza fra le forze e le persone europee ed africane anti-mondialiste, panafricane, nazionaliste, socialiste rivoluzionarie, populiste, neo-eurasiatiste, protezioniste sotto il profilo economico-culturale, quale l’unica a potersi opporre pragmaticamente ai tentacoli del mondialismo capitalista, che vorrebbe seguitare ad imporre un modello unico economico-sociale neololoniale basato sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo.
L’obiettivo finale – secondo Dany Colin – dovrebbe essere, in sostanza, una Grande Europa federata, sovrana, indipendente e unita ad una Grande Russia multipolare teorizzata dal filosofo russo eurasiatista Aleksandr Dugin e una Grande Africa indipendente, sovrana, federata e in dialogo costante, pacifico ed amichevole con l’Eurasia.
Per poter approfondire meglio le sue proposte e far conoscere ai lettori l’attivismo panafricano, ho avuto la possibilità di intervistare l’amico e compagno di militanza Socialista Rivoluzionaria Dany Colin, segnalando che il suo saggio-brochure è acquistabile, in francese, al seguente link ad un prezzo davvero simbolico: link: Europe-Afrique même combat contre le mondialisme ! de Dany Colin | Rébellion - la revue de l&#039;OSRE (http://rebellion-sre.fr/boutique/europe-afrique-meme-combat-contre-mondialisme-de-dany-colin/)
Luca Bagatin: Tu sei di origine congolese. Se non erro sei nato in Francia da padre francese e madre congolese. Nella tua brochure racconti di avere avuto difficoltà ad essere accettato, da piccolo, a causa del colore della tua pelle. Hai subito dunque in prima persona il fenomeno razzista. Puoi parlarcene ?
Dany Colin: Sono nato a Kamina, Repubblica Democratica del Congo (ex Zaire). Mio padre era un paracadutista francese (di Lorena), negli ultimi anni della sua carriera, nel terzo RPIMA (Reggimento Paracadutisti di Fenteria e Marina) di Carcassonne (città del sud-ovest della Francia), il quale è stato chiamato ad intervenire in quello che a quel tempo era chiamato Zaire, sotto la richiesta del suo Presidente Mobutu Sese Seko. Io sono il frutto della sua unione con una donna congolese la cui famiglia è originaria della regione mineraria del Katanga, regione secessionista ai tempi dell’indipendenza del Congo nel 1960. Sono arrivato in Francia all’inizio – all’età di circa un anno – con mio padre, ma mia madre rimase in Africa per complesse ragioni famigliari e politiche.. Così sono cresciuto in una famiglia bianca borghese, mentre io ero l’unico « meticcio ». Ho subito violenza fisica e morale da un gruppo di ragazzini, la violenza è spesso – e paradossalmente – più forte quando nell’ambiente famigliare c’è un genitore nero. Tuttavia, come ho precisato in una conferenza che ho tenuto quasi un anno fa a Tolosa, anche se la mia classe sociale di appartenenza è stata quella borghese (anche se io mi considero come appartenente alla classe media di una famiglia mantenuta quasi escusicamente dallo stipendio di un uomo, vale a dire mio padre), sin da ragazzino ho compreso quanto i conflitti fra le classi sociali fossero interconnessi con i conflitti fra le razze.
Luca Bagatin: Come e quando hai deciso di diventare un attivista panafricano ?
Dany Colin: Diciamo che posso raccontare ciò in due fasi.
La prima è il mio primo ritorno nella Repubblica Democratica del Congo nel 2011, che si è concluso con una serie di domande relative all’identità nera, la quale è emersa attraverso la mia pelle e la cui esatta provenienza mi è stata a lungo tenuta segreta per vari motivi famigliari che richiederebbero un ampio discorso che non è il caso di fare qui. Fu così che conobbi mia madre ed in parte il resto della mia famiglia congolese, rendendomi conto che i neri ed i meticci d’Europa conoscono poco l’Africa e spesso ne hanno un’immagine di fantasia. Questo mio viaggio in Africa mi ha permesso di osservare che il conflitto Bianchi contro Neri, sostenuto dal razzismo istituzionale francese, vuole semplicemente annullare in realtà conflitti di classe ben più gravi. Quelli ad esempio costituiti dal sottoproletariato congolese contro l’oligarchia congolese ricca. Un’altra rivalità è di natura etnica e riguarda i balubas di Kasai – una provincia situata tra la parte di Kinshasa e la parte di Lubumbashi – la cui lingua è il Tshiluba, la quale fa parte di una certa élite politico-economica, e dall’altra parte i i balubas del Katanga, i quali parlano il Kiluba.
Un altro aspetto che mi ha fatto amare il panafricanismo fu l’intensa storia d’amore che ebbi con una attivista panafricana franco-guineiana ispirata a grandi figure della Rivoluzione Cubana come Che Guevara. Lei mi ha ridato la speranza verso un’Africa e un Congo la cui storia non è stata molto favorevole. Penso ad esempio alla sconfitta subita dal « Che » durante la guerra del Congo del 1965 tentando di far cadere l’assassino di Patrice Lumumba, ovvero Moïse Tshombé.
Questa cara ragazza mi ha permesso di vivere per più di un anno e mezzo a Conakry. Ho così potuto approfondire la vita dei suoi abitanti e scoprire un’altra realtà africana, con i suoi altri conflitti etno-tribali (Soussous, Fulani, Malinke) e socio-culturali. Ma questa volta ho potuto farlo dopo aver approfondito meglio la realtà dell’Africa e con uno sguardo maggiormente politicizzato e radicalizzato. E soprattutto ero tornato nel continente africano in qualità di militante, di formatore della gioventù patriottica di Guinea, dotata di una forte fibra panafricanista assai difficile da trovare fra i nostri attivisti europei della diaspora, troppo spesso impegnati a consumare e a fare festa.
Luca Bagatin: Il panafricanismo è fenomeno poco conosciuto, almeno in Italia. Puoi parlarci della tua militanza panafricanista ? Che ne pensi dell’attivista panafricano Kemi Séba e delle sue battaglie?
Dany Colin: Il mio attivismo panafricanista differisce su alcuni aspetti di una visione più « panégriste », che è piuttosto una concezione afro-discendente d’origine americana del tipo dell’UNIA di Marcus Mosiah Garvey e della Nation of Islam della onorevole Elijah Muhammad, che è stata portata avanti negli Anni ’60 da Malcolm X ed è attualmente rappresentata dal Ministro Louis Farrakhan.
Dal mio punto di vista il panafricanismo deve essere fatto in Africa, sul campo, e necessita di ri-emigrazione di attivisti militanti africani panafricani e altri che non si sentono rappresentati in Europa. Ciò al fine di aiutare gli attivisti indigeni africani ad ottenere la famosa sovranità africana tanto decantata su Facebook, ma mai attuata ! La priorità deve essere data all’istruzione, sin dalla tenera età, alle grandi figure del panafricanismo e dei concetti politici che l’hanno accompagnato (tra cui il socialismo di Ahmed Sékou Touré in Guinea, di Kwamé Nkrumah in Ghana e di Amilcar Cabral in Guinea-Bissau negli anni ’60), oltre che sulla riattualizzazione del pensiero e della dottrina panafricana in chiave moderna. Il socialismo nazionalista di alcuni attivisti si mescola al federalismo con accenti liberal-capitalisti, mentre in altri casi si mescola al tradizionalismo Kamite (chiamato « Afro-centrismo ») di un altro gruppo. Tali divisioni non aiutano. Occorre unificare una dottrina veramente africana e superare le nostre difficoltà di azione rivoluzionaria.

Per quanto riguarda il lavoro di Kemi Séba, conosco il suo attivismo da quando ha iniziato a militare in Francia. Ho seguito il suo percorso sia mediatico che ideologico. Egli ha attraversato l’afro-centrismo creando il Ka Tribe (sciolto nel 2006 da Nicolas Sarkozy, allora Ministro degli Interni in Francia) per poi sposare più precetti della Nation of Islam in rappresentanza della sezione Francese del New Black Panther Party (fondato negli Stati Uniti nel 1989 dal Dr. Khalid Abdul Muhammad). Il suo coraggio, la sua insolenza in risposta alla prepotenza di qualche intellighenzia dominante, i suoi pregiudizi sionisti come attivista africano in Francia e le sue alleanze passate con il movimento « Egalité & Réconciliation » (qualificato ingiustamente dai media mainstream in Francia come di estrema destra) erano senza precedenti e stimolanti dal punto di vista delle dinamiche ideologico-politiche e della critica radicale che ora deve essere nostra.

Luca Bagatin: In Europa molti si lamentano dell’immigrazione che, come dice Alain De Benoist, « E’ un fenomeno capitalista e padronale ». In pochi però comprendono che il fenomeno migratorio è ed è stato incoraggiato proprio dall’Europa e dagli Stati Uniti d’America colonialisti e neocolonialisti e che proprio le lotte panafricane hanno lo scopo di emancipare i popoli africani nella propria terra d’origine. Cosa puoi dirci in merito ?
Dany Colin: L’immigrazione non europea in Europa, tra cui quella degli Anni ’70, non è altro che un effetto in continuità con il colonialismo. Ovvero l’indipendenza africana concessa negli Anni ’60, così come le rivoluzioni del ’68 in Francia e Italia, sono state unicamente nuove ricomposizioni del capitalismo al fine di estendere la sua logica di dominio, come spiegato ad esempio da Pier Paolo Pasolini in quella che egli definisce « società dei consumi ». Pasolini ha descritto il fenomeno italiano come « neofascismo ». Direi che siamo in grado di identificare lo stesso fenomeno in Francia, ma piuttosto possiamo percepirlo come neocolonialismo, ove, ad essere colonizzate, sono le popolazioni di immigrati di origine africana che lavorano in Francia a basso costo, privando così il Paese d’origine della forza produttiva, ma anche i francesi « nativi », puniti per le loro aspirazioni rivoluzionarie. Così abbiamo due frange di proletari e sottoproletari della popolazione francese assoggettati dalla classe dirigente neoliberale, la quale trae profitto dalle due chimere del secolo, ovvero dal razzismo e dall’antirazzismo. Qualsiasi manovra che può reprimere il nostro spirito rivoluzionario, tutto ciò che può nascondere la lotta di classe quale strumento di analisi critica sembra essere, nel nostro mondo ricco fatto di finzione e menzogna, altamente consigliato!
Per quanto riguarda l’emergere di panafricanismo come argine allo sfruttamento dei Neri da parte dell’Occidente, è chiaro che un militante panafricano non può che essere anti-mondialista e dialogare ed allearsi con i nazionalisti europei che criticano l’immigrazione di massa, che è un fenomeno di sradicamento.
Luca Bagatin: Fra i maggiori leaders e politici panafricani che la Storia ha conosciuto ne cito alcuni: Patrice Lumumba (1925 – 1961) Primo Ministro della Repubblica Democratica del Congo; Kwamé Nkrumah (1909 – 1972), primo Presidente del Ghana indipendente; Thomas Sankara (1949 – 1987), Presidente del Burkina Faso; Mu’Ammar Gheddafi (1942 – 2011) Leader della Jamahirya Socialista di Libia. Tutti sostenitori di un’Africa indipendente e sovrana e tutti leaders sostenitori del socialismo africano, laico e democratico e per tutte queste ragioni contrastati e fatti uccidere dall’imperialismo statunitense.
Oggi che cosa rimane della loro opera e del loro messaggio ? Pensi che sia dal loro insegnamento che possa nascere un’Africa finalmente libera ed emancipata ? Oggi, secondo te, è possibile ciò ?
Dany Colin: Se proviamo a pensare dal punto di vista del nemico, diremmo che la colpa di tutti questi grandi personaggi storici che hanno combattuto le lotte di emancipazione dei popoli africani e le cui effigi sono ormai note alla gioventù africana e afrodiscendente attraverso il merchandising e su Facebook (ossia a metà fra il feticismo delle merci e lo spettacolo completo), era quella di avere legami con l’URSS, quindi con un’egemonia comunista che stava crescendo fra i Paesi del Terzo Mondo. La loro visione, tuttavia, era piuttosto di matrice socialista e nazionalista (Patrice Lumumba e Thomas Sankara, per esempio). Kwamé Nkrumah e Mu’Ammar Gheddafi erano più specificamente panafricani, e ciascuno in un modo diverso. Nkrumah si formò negli Stati Uniti ed ereditò uno Stato federalista che si mescolò ad un impegno unificante per l’Africa attraverso il socialismo, volendo abolire i confini africani creati dai coloni europei nella Conferenza Berlino (1884-1885), creando dunque una moneta africana, un esercito africano, un governo africano.
Mu’Ammar Gheddafi è stato l’unico che è riuscito a risolvere le controversie etno-tribali e promuovere il nazionalismo ed il socialismo (Gheddafi non era particolarmente filo-sovietico) attraverso la Jamahiriya libica ed il metodo di democrazia diretta che espone nel suo indispensabile Libro Verde. Inoltre ha lavorato ad un progetto di sovranità monetaria (il dinaro-oro), che ha minacciato di soppiantare il dollaro USA, prima di essere ignominiosamente defenestrato dall’Occidente. Naturalmente tutte queste figure ci lasciano un insegnamento, un patrimonio, ognuno a modo suo e secondo i loro paradigmi e l’epoca nella quale sono vissuti. Detto questo, il panafricano di oggi deve essere in grado di distinguere i benefici e gli errori di quei grandi leader che, nonostante tutte le forze « soprannaturali » che potrebbero averli guidati, rimangono esseri umani. Si tratta di un lavoro psichico necessario per l’attivista, al fine di uscire dalla sua eccessiva propensione all’idolatria passiva che alcuni pseudo-panafricanisti malintenzionati sanno molto bene manipolare a loro profitto.
Luca Bagatin: Nella tua brochure teorizzi un’alleanza fra socialisti rivoluzionari, panafricani e neo-eurasiatisti d’Europa ed Africa. Puoi spiegarci meglio la tua prospettiva ?
Dany Colin: Innanzitutto diciamo che c’è il tentativo strategico del nemico neoliberale di allineare la totalità del pianeta sotto l’egida del materialismo. E tale allineamento si struttura attraverso l’inversione totale dei valori tradizionali che appartengono ai nostri popoli ed alle nostre diverse civiltà. Tale allineamento è paragonabile a ciò che il militante comunista Antonio Gramsci definiva « egemonia culturale ». Ovvero noi abbiamo attualmente a che fare con un centralismo neofascista bancario che ingloba il mondo e lo uniforma in modo da ridurci a degli atomi senza radici e senza altro scopo che quello di consumare all’infinito.
Il nazionalismo, a breve termine, è l’unico in grado di arrestare tale fenomeno totalitario. Un nazionalismo che deve, per quanto riguarda la Francia, attualizzarsi ed allinearsi alle sue differenti dottrine politiche (l’Azione Francese realista, il Solidarismo neo-giacobino…), in particolare in questa fase di globalizzazione, che non dovrebbe durare a lungo.
L’Europa e l’Africa, a partire dalle loro relazioni storiche, dovrebbero negoziare la loro autodeterminazione politica, economica e commerciale e ciò non sarà possibile sino a che l’Europa non si libererà delle sue scorie ultraliberiste e sino a che l’Africa non si strutturerà secondo i paradigmi che le sono propri, recupererà le sue origini e radici mistiche e spirituali e sfrutterà la sua posizione geopolitica di non allineamento fra il Medioriente e l’America Latina.
Tale trasformazione continentale africana potrebbe allinearsi ad un mondo multipolare nella sfera eurasiatica dominata da un Oriente di rinascita spirituale (il Sole si leva sempre ad Est) e così l’Europa, che dovrà staccarsi dall’Atlantismo liberal-capitalista.
Lo scopo finale dovrebbe essere quello di ridefinire nuove alleanze strategiche a lungo termine nel rispetto delle diversità di ciascun popolo.
Luca Bagatin: Sei un cineasta ed uno studioso di cinematografia. Oltre ad aver realizzato dei cortometraggi, nella tua bruchure parli del cinema africano « sovversivo ». Potresti parlarcene ?
Dany Colin: Sono in effetti essenzialmente un cinefilo e la mia prima vocazione è il cinema e particolarmente la realizzazione e la scrittura di soggetti cinematografici.
Ho avuto finora un percorso che mi ha portato a fare un dottorato di ricerca il cui oggetto filosofico è « l’oggetto film ». Il « cinema sovversivo » che rilevo attraverso alcuni autori africani (il senegalese Djibril Diop e Sembène Ousmane Mambéty) si riferisce alla stretta relazione tra cinema e ideologia da un lato, ma anche i collegamenti tra cinema e spiritualità. Penso che l’arte cinematografica che appare nella creazione della cinematografia dei fratelli Lumière, alla fine del XIX secolo, sia fondamentalmente un’invenzione tecno-scientifica. La presente invenzione concorre con la fotografia già discussa tra gli artisti nel modo di oggettivare il mondo che ci circonda rimuovendo per esempio il potere soggettivista del pittore. Inoltre, il suo recupero da parte della classe media attraverso la proliferazione di ritratti (a spese dei paesaggi) simboleggiava l’estensione narcisistica di riproduzione, tra gli altri castigata dal poeta e critico francese Charles Baudelaire. Il film aggiunge alla fotografia movimento, che ha l’effetto di affascinare. Il cinema è un’arte, ma anche un settore, l’apparato capitalistico ha recuperato rapidamente questa arte in un’arte messa al servizio della propaganda politica, il che spiega in parte la profusione di opere in lode del comunismo pre-stalinista con i film di Sergueï Einsenstein russa (Strike (1925)) o Dziga Vertov (l’uomo con una macchina fotografica (1929)), o il film nazionalsocialista tedesco di Leni Riefensthal durante il periodo di Hitler. Situazione schizofrenica del cinema in quanto è espressione di rimpianto per le nostri armonie cosmiche (che rappresenta il cinema Andreï Tarkovsky), ma anche strumento al servizio delle masse consumistiche (rappresentate dal cinema commerciale americano).
Penso che il cinema abbia ancora la capacità di superare questa schizofrenia e di prevalere sul dominio neo-capitalista proiettando nuove immagini sonore che raccolgano al loro interno frammenti di verità sepolte, che lo spettatore deve decifrare con le sue facoltà contemplative. La gestione del cinema da parte del Grande Capitale è compresa dallo scrittore e regista italiano Pier Paolo Pasolini, che, alla fine degli Anni ’60, è stato in grado di identificare l’allineamento dell’Italia e del mondo intero al consumismo. E lo ha fatto realizzando film quali « Teorema » (1968) e « Porcile » (1969).
Il cinema sovversivo oggi, sia africano che non africano, è qualcosa che può ritrovarsi solo all’interno di un sistema audiovisivo anticonformista e opposto rispetto al conformismo globalista dominante. Da lì a liberarsi completamente dal globalismo è oggetto di lavori in corso…
Luca Bagatin
Amore e Libertà (http://www.amoreeliberta.blogspot.it)

LupoSciolto°
29-10-17, 19:01
Intervista Dany Colin : Europa e Africa: unite nella lotta conto il mondialismo ! (versione italiana e francese)


http://rebellion-sre.fr/wp-content/uploads/Pan-africanism-mural-in-Tanzania-740x493-300x200.jpg

Colonialismo, neocolonialismo e schiavismo sono gli aspetti che più hanno caratterizzato le politiche di dominazione attuate dal cosiddetto Primo Mondo, dagli Stati Uniti d’America all’Europa, nei confronti del cosiddetto Terzo e Quarto Mondo. E tali politiche sono all’origine della deportazione di massa di esseri umani dai Paesi del Sud del mondo ai Paesi del Nord del mondo, con tutte le conseguenze di violenza e sradicamento culturale e identitario che ciò comporta e ciò unicamente a vantaggio delle élites economiche e multinazionali che sfruttano da secoli e in varie forme la manodopera straniera a basso costo.
E ciò sia con lo sfruttamento delle risorse in loco, che attraverso lo sfruttamento dell’immigrazione di massa. Ad opporsi a tale sistema di sfruttamento le lotte di emancipazione del popolo Nero, attraverso il movimento denominato « panafricanismo », sviluppatosi nel corso del ‘900 in particolare negli Stati Uniti d’America grazie a personalità quali il sindacalista giamaicano Marcus Garvey (1887 – 1940) ed il saggista ghanese William Du Bois (1868 – 1963). Costoro furono i primi a lottare per l’emancipazione economica, sociale ed umana dei popoli afrodiscendenti negli USA ed in particolare Garvey organizzerà una compagnia marittima – la Black Star Line – al fine di favorire economicamente il ritorno in Africa di tali popoli, che non meritavano affatto di essere sradicati, ma di vivere pacificamente e in piena sovranità e indipendenza nella propria terra d’origine.
Di questo e non solo parla il saggio-brochure « L’Europe et l’Afrique: meme combat contre le mondialisme! » (« L’Europa e l’Africa: stessa lotta contro il mondialismo! »), edito dalla rivista Socialista Rivoluzionaria « Rébellion » (Rébellion - La revue de l&#039;OSRE (http://rebellion-sre.fr)) attraverso le « Editions des livres noirs » e redatto da Dany Colin.
Dany è attivista panafricano di origine congolese, collaboratore delle riviste « Rébellion » (rivista dell’Organizzazione Socialista Rivoluzionaria Europea), « Eléments » (fondata dal filosofo Alain De Benoist) e « Panafrikan » (rivista della Lega Panafricana Umoja), attivista dell’Organizzazione Socialista Rivoluzionaria Europea (OSRE) e dottore di ricerca in filosofia presso l’Università Toulouse II – Jean Jaurès di Tolosa, oltre che cineasta e studioso di cinematografia.
La riflessione che Dany Colin vuole porre al pubblico è, in sostanza, che il razzismo e la xenofobia sono fomentate dalle élites economiche e politiche al fine di dividere le persone ed indebolirle. Un po’ come avviene nelle guerre fra poveri. Bianchi e Neri devono invece unirsi ed allearsi, rispettendo, valorizzando e non abbandonando la propria cultura e spiritualità d’origine e lottare sia contro il fondamentalismo religioso che contro il totalitarismo mondialista, capitalista e liberale.
Dany individua nell’alleanza fra le forze e le persone europee ed africane anti-mondialiste, panafricane, nazionaliste, socialiste rivoluzionarie, populiste, neo-eurasiatiste, protezioniste sotto il profilo economico-culturale, quale l’unica a potersi opporre pragmaticamente ai tentacoli del mondialismo capitalista, che vorrebbe seguitare ad imporre un modello unico economico-sociale neololoniale basato sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo.
L’obiettivo finale – secondo Dany Colin – dovrebbe essere, in sostanza, una Grande Europa federata, sovrana, indipendente e unita ad una Grande Russia multipolare teorizzata dal filosofo russo eurasiatista Aleksandr Dugin e una Grande Africa indipendente, sovrana, federata e in dialogo costante, pacifico ed amichevole con l’Eurasia.
Per poter approfondire meglio le sue proposte e far conoscere ai lettori l’attivismo panafricano, ho avuto la possibilità di intervistare l’amico e compagno di militanza Socialista Rivoluzionaria Dany Colin, segnalando che il suo saggio-brochure è acquistabile, in francese, al seguente link ad un prezzo davvero simbolico: link: Europe-Afrique même combat contre le mondialisme ! de Dany Colin | Rébellion - la revue de l&#039;OSRE (http://rebellion-sre.fr/boutique/europe-afrique-meme-combat-contre-mondialisme-de-dany-colin/)
Luca Bagatin: Tu sei di origine congolese. Se non erro sei nato in Francia da padre francese e madre congolese. Nella tua brochure racconti di avere avuto difficoltà ad essere accettato, da piccolo, a causa del colore della tua pelle. Hai subito dunque in prima persona il fenomeno razzista. Puoi parlarcene ?
Dany Colin: Sono nato a Kamina, Repubblica Democratica del Congo (ex Zaire). Mio padre era un paracadutista francese (di Lorena), negli ultimi anni della sua carriera, nel terzo RPIMA (Reggimento Paracadutisti di Fenteria e Marina) di Carcassonne (città del sud-ovest della Francia), il quale è stato chiamato ad intervenire in quello che a quel tempo era chiamato Zaire, sotto la richiesta del suo Presidente Mobutu Sese Seko. Io sono il frutto della sua unione con una donna congolese la cui famiglia è originaria della regione mineraria del Katanga, regione secessionista ai tempi dell’indipendenza del Congo nel 1960. Sono arrivato in Francia all’inizio – all’età di circa un anno – con mio padre, ma mia madre rimase in Africa per complesse ragioni famigliari e politiche.. Così sono cresciuto in una famiglia bianca borghese, mentre io ero l’unico « meticcio ». Ho subito violenza fisica e morale da un gruppo di ragazzini, la violenza è spesso – e paradossalmente – più forte quando nell’ambiente famigliare c’è un genitore nero. Tuttavia, come ho precisato in una conferenza che ho tenuto quasi un anno fa a Tolosa, anche se la mia classe sociale di appartenenza è stata quella borghese (anche se io mi considero come appartenente alla classe media di una famiglia mantenuta quasi escusicamente dallo stipendio di un uomo, vale a dire mio padre), sin da ragazzino ho compreso quanto i conflitti fra le classi sociali fossero interconnessi con i conflitti fra le razze.
Luca Bagatin: Come e quando hai deciso di diventare un attivista panafricano ?
Dany Colin: Diciamo che posso raccontare ciò in due fasi.
La prima è il mio primo ritorno nella Repubblica Democratica del Congo nel 2011, che si è concluso con una serie di domande relative all’identità nera, la quale è emersa attraverso la mia pelle e la cui esatta provenienza mi è stata a lungo tenuta segreta per vari motivi famigliari che richiederebbero un ampio discorso che non è il caso di fare qui. Fu così che conobbi mia madre ed in parte il resto della mia famiglia congolese, rendendomi conto che i neri ed i meticci d’Europa conoscono poco l’Africa e spesso ne hanno un’immagine di fantasia. Questo mio viaggio in Africa mi ha permesso di osservare che il conflitto Bianchi contro Neri, sostenuto dal razzismo istituzionale francese, vuole semplicemente annullare in realtà conflitti di classe ben più gravi. Quelli ad esempio costituiti dal sottoproletariato congolese contro l’oligarchia congolese ricca. Un’altra rivalità è di natura etnica e riguarda i balubas di Kasai – una provincia situata tra la parte di Kinshasa e la parte di Lubumbashi – la cui lingua è il Tshiluba, la quale fa parte di una certa élite politico-economica, e dall’altra parte i i balubas del Katanga, i quali parlano il Kiluba.
Un altro aspetto che mi ha fatto amare il panafricanismo fu l’intensa storia d’amore che ebbi con una attivista panafricana franco-guineiana ispirata a grandi figure della Rivoluzione Cubana come Che Guevara. Lei mi ha ridato la speranza verso un’Africa e un Congo la cui storia non è stata molto favorevole. Penso ad esempio alla sconfitta subita dal « Che » durante la guerra del Congo del 1965 tentando di far cadere l’assassino di Patrice Lumumba, ovvero Moïse Tshombé.
Questa cara ragazza mi ha permesso di vivere per più di un anno e mezzo a Conakry. Ho così potuto approfondire la vita dei suoi abitanti e scoprire un’altra realtà africana, con i suoi altri conflitti etno-tribali (Soussous, Fulani, Malinke) e socio-culturali. Ma questa volta ho potuto farlo dopo aver approfondito meglio la realtà dell’Africa e con uno sguardo maggiormente politicizzato e radicalizzato. E soprattutto ero tornato nel continente africano in qualità di militante, di formatore della gioventù patriottica di Guinea, dotata di una forte fibra panafricanista assai difficile da trovare fra i nostri attivisti europei della diaspora, troppo spesso impegnati a consumare e a fare festa.
Luca Bagatin: Il panafricanismo è fenomeno poco conosciuto, almeno in Italia. Puoi parlarci della tua militanza panafricanista ? Che ne pensi dell’attivista panafricano Kemi Séba e delle sue battaglie?
Dany Colin: Il mio attivismo panafricanista differisce su alcuni aspetti di una visione più « panégriste », che è piuttosto una concezione afro-discendente d’origine americana del tipo dell’UNIA di Marcus Mosiah Garvey e della Nation of Islam della onorevole Elijah Muhammad, che è stata portata avanti negli Anni ’60 da Malcolm X ed è attualmente rappresentata dal Ministro Louis Farrakhan.
Dal mio punto di vista il panafricanismo deve essere fatto in Africa, sul campo, e necessita di ri-emigrazione di attivisti militanti africani panafricani e altri che non si sentono rappresentati in Europa. Ciò al fine di aiutare gli attivisti indigeni africani ad ottenere la famosa sovranità africana tanto decantata su Facebook, ma mai attuata ! La priorità deve essere data all’istruzione, sin dalla tenera età, alle grandi figure del panafricanismo e dei concetti politici che l’hanno accompagnato (tra cui il socialismo di Ahmed Sékou Touré in Guinea, di Kwamé Nkrumah in Ghana e di Amilcar Cabral in Guinea-Bissau negli anni ’60), oltre che sulla riattualizzazione del pensiero e della dottrina panafricana in chiave moderna. Il socialismo nazionalista di alcuni attivisti si mescola al federalismo con accenti liberal-capitalisti, mentre in altri casi si mescola al tradizionalismo Kamite (chiamato « Afro-centrismo ») di un altro gruppo. Tali divisioni non aiutano. Occorre unificare una dottrina veramente africana e superare le nostre difficoltà di azione rivoluzionaria.

Per quanto riguarda il lavoro di Kemi Séba, conosco il suo attivismo da quando ha iniziato a militare in Francia. Ho seguito il suo percorso sia mediatico che ideologico. Egli ha attraversato l’afro-centrismo creando il Ka Tribe (sciolto nel 2006 da Nicolas Sarkozy, allora Ministro degli Interni in Francia) per poi sposare più precetti della Nation of Islam in rappresentanza della sezione Francese del New Black Panther Party (fondato negli Stati Uniti nel 1989 dal Dr. Khalid Abdul Muhammad). Il suo coraggio, la sua insolenza in risposta alla prepotenza di qualche intellighenzia dominante, i suoi pregiudizi sionisti come attivista africano in Francia e le sue alleanze passate con il movimento « Egalité & Réconciliation » (qualificato ingiustamente dai media mainstream in Francia come di estrema destra) erano senza precedenti e stimolanti dal punto di vista delle dinamiche ideologico-politiche e della critica radicale che ora deve essere nostra.

Luca Bagatin: In Europa molti si lamentano dell’immigrazione che, come dice Alain De Benoist, « E’ un fenomeno capitalista e padronale ». In pochi però comprendono che il fenomeno migratorio è ed è stato incoraggiato proprio dall’Europa e dagli Stati Uniti d’America colonialisti e neocolonialisti e che proprio le lotte panafricane hanno lo scopo di emancipare i popoli africani nella propria terra d’origine. Cosa puoi dirci in merito ?
Dany Colin: L’immigrazione non europea in Europa, tra cui quella degli Anni ’70, non è altro che un effetto in continuità con il colonialismo. Ovvero l’indipendenza africana concessa negli Anni ’60, così come le rivoluzioni del ’68 in Francia e Italia, sono state unicamente nuove ricomposizioni del capitalismo al fine di estendere la sua logica di dominio, come spiegato ad esempio da Pier Paolo Pasolini in quella che egli definisce « società dei consumi ». Pasolini ha descritto il fenomeno italiano come « neofascismo ». Direi che siamo in grado di identificare lo stesso fenomeno in Francia, ma piuttosto possiamo percepirlo come neocolonialismo, ove, ad essere colonizzate, sono le popolazioni di immigrati di origine africana che lavorano in Francia a basso costo, privando così il Paese d’origine della forza produttiva, ma anche i francesi « nativi », puniti per le loro aspirazioni rivoluzionarie. Così abbiamo due frange di proletari e sottoproletari della popolazione francese assoggettati dalla classe dirigente neoliberale, la quale trae profitto dalle due chimere del secolo, ovvero dal razzismo e dall’antirazzismo. Qualsiasi manovra che può reprimere il nostro spirito rivoluzionario, tutto ciò che può nascondere la lotta di classe quale strumento di analisi critica sembra essere, nel nostro mondo ricco fatto di finzione e menzogna, altamente consigliato!
Per quanto riguarda l’emergere di panafricanismo come argine allo sfruttamento dei Neri da parte dell’Occidente, è chiaro che un militante panafricano non può che essere anti-mondialista e dialogare ed allearsi con i nazionalisti europei che criticano l’immigrazione di massa, che è un fenomeno di sradicamento.
Luca Bagatin: Fra i maggiori leaders e politici panafricani che la Storia ha conosciuto ne cito alcuni: Patrice Lumumba (1925 – 1961) Primo Ministro della Repubblica Democratica del Congo; Kwamé Nkrumah (1909 – 1972), primo Presidente del Ghana indipendente; Thomas Sankara (1949 – 1987), Presidente del Burkina Faso; Mu’Ammar Gheddafi (1942 – 2011) Leader della Jamahirya Socialista di Libia. Tutti sostenitori di un’Africa indipendente e sovrana e tutti leaders sostenitori del socialismo africano, laico e democratico e per tutte queste ragioni contrastati e fatti uccidere dall’imperialismo statunitense.
Oggi che cosa rimane della loro opera e del loro messaggio ? Pensi che sia dal loro insegnamento che possa nascere un’Africa finalmente libera ed emancipata ? Oggi, secondo te, è possibile ciò ?
Dany Colin: Se proviamo a pensare dal punto di vista del nemico, diremmo che la colpa di tutti questi grandi personaggi storici che hanno combattuto le lotte di emancipazione dei popoli africani e le cui effigi sono ormai note alla gioventù africana e afrodiscendente attraverso il merchandising e su Facebook (ossia a metà fra il feticismo delle merci e lo spettacolo completo), era quella di avere legami con l’URSS, quindi con un’egemonia comunista che stava crescendo fra i Paesi del Terzo Mondo. La loro visione, tuttavia, era piuttosto di matrice socialista e nazionalista (Patrice Lumumba e Thomas Sankara, per esempio). Kwamé Nkrumah e Mu’Ammar Gheddafi erano più specificamente panafricani, e ciascuno in un modo diverso. Nkrumah si formò negli Stati Uniti ed ereditò uno Stato federalista che si mescolò ad un impegno unificante per l’Africa attraverso il socialismo, volendo abolire i confini africani creati dai coloni europei nella Conferenza Berlino (1884-1885), creando dunque una moneta africana, un esercito africano, un governo africano.
Mu’Ammar Gheddafi è stato l’unico che è riuscito a risolvere le controversie etno-tribali e promuovere il nazionalismo ed il socialismo (Gheddafi non era particolarmente filo-sovietico) attraverso la Jamahiriya libica ed il metodo di democrazia diretta che espone nel suo indispensabile Libro Verde. Inoltre ha lavorato ad un progetto di sovranità monetaria (il dinaro-oro), che ha minacciato di soppiantare il dollaro USA, prima di essere ignominiosamente defenestrato dall’Occidente. Naturalmente tutte queste figure ci lasciano un insegnamento, un patrimonio, ognuno a modo suo e secondo i loro paradigmi e l’epoca nella quale sono vissuti. Detto questo, il panafricano di oggi deve essere in grado di distinguere i benefici e gli errori di quei grandi leader che, nonostante tutte le forze « soprannaturali » che potrebbero averli guidati, rimangono esseri umani. Si tratta di un lavoro psichico necessario per l’attivista, al fine di uscire dalla sua eccessiva propensione all’idolatria passiva che alcuni pseudo-panafricanisti malintenzionati sanno molto bene manipolare a loro profitto.
Luca Bagatin: Nella tua brochure teorizzi un’alleanza fra socialisti rivoluzionari, panafricani e neo-eurasiatisti d’Europa ed Africa. Puoi spiegarci meglio la tua prospettiva ?
Dany Colin: Innanzitutto diciamo che c’è il tentativo strategico del nemico neoliberale di allineare la totalità del pianeta sotto l’egida del materialismo. E tale allineamento si struttura attraverso l’inversione totale dei valori tradizionali che appartengono ai nostri popoli ed alle nostre diverse civiltà. Tale allineamento è paragonabile a ciò che il militante comunista Antonio Gramsci definiva « egemonia culturale ». Ovvero noi abbiamo attualmente a che fare con un centralismo neofascista bancario che ingloba il mondo e lo uniforma in modo da ridurci a degli atomi senza radici e senza altro scopo che quello di consumare all’infinito.
Il nazionalismo, a breve termine, è l’unico in grado di arrestare tale fenomeno totalitario. Un nazionalismo che deve, per quanto riguarda la Francia, attualizzarsi ed allinearsi alle sue differenti dottrine politiche (l’Azione Francese realista, il Solidarismo neo-giacobino…), in particolare in questa fase di globalizzazione, che non dovrebbe durare a lungo.
L’Europa e l’Africa, a partire dalle loro relazioni storiche, dovrebbero negoziare la loro autodeterminazione politica, economica e commerciale e ciò non sarà possibile sino a che l’Europa non si libererà delle sue scorie ultraliberiste e sino a che l’Africa non si strutturerà secondo i paradigmi che le sono propri, recupererà le sue origini e radici mistiche e spirituali e sfrutterà la sua posizione geopolitica di non allineamento fra il Medioriente e l’America Latina.
Tale trasformazione continentale africana potrebbe allinearsi ad un mondo multipolare nella sfera eurasiatica dominata da un Oriente di rinascita spirituale (il Sole si leva sempre ad Est) e così l’Europa, che dovrà staccarsi dall’Atlantismo liberal-capitalista.
Lo scopo finale dovrebbe essere quello di ridefinire nuove alleanze strategiche a lungo termine nel rispetto delle diversità di ciascun popolo.
Luca Bagatin: Sei un cineasta ed uno studioso di cinematografia. Oltre ad aver realizzato dei cortometraggi, nella tua bruchure parli del cinema africano « sovversivo ». Potresti parlarcene ?
Dany Colin: Sono in effetti essenzialmente un cinefilo e la mia prima vocazione è il cinema e particolarmente la realizzazione e la scrittura di soggetti cinematografici.
Ho avuto finora un percorso che mi ha portato a fare un dottorato di ricerca il cui oggetto filosofico è « l’oggetto film ». Il « cinema sovversivo » che rilevo attraverso alcuni autori africani (il senegalese Djibril Diop e Sembène Ousmane Mambéty) si riferisce alla stretta relazione tra cinema e ideologia da un lato, ma anche i collegamenti tra cinema e spiritualità. Penso che l’arte cinematografica che appare nella creazione della cinematografia dei fratelli Lumière, alla fine del XIX secolo, sia fondamentalmente un’invenzione tecno-scientifica. La presente invenzione concorre con la fotografia già discussa tra gli artisti nel modo di oggettivare il mondo che ci circonda rimuovendo per esempio il potere soggettivista del pittore. Inoltre, il suo recupero da parte della classe media attraverso la proliferazione di ritratti (a spese dei paesaggi) simboleggiava l’estensione narcisistica di riproduzione, tra gli altri castigata dal poeta e critico francese Charles Baudelaire. Il film aggiunge alla fotografia movimento, che ha l’effetto di affascinare. Il cinema è un’arte, ma anche un settore, l’apparato capitalistico ha recuperato rapidamente questa arte in un’arte messa al servizio della propaganda politica, il che spiega in parte la profusione di opere in lode del comunismo pre-stalinista con i film di Sergueï Einsenstein russa (Strike (1925)) o Dziga Vertov (l’uomo con una macchina fotografica (1929)), o il film nazionalsocialista tedesco di Leni Riefensthal durante il periodo di Hitler. Situazione schizofrenica del cinema in quanto è espressione di rimpianto per le nostri armonie cosmiche (che rappresenta il cinema Andreï Tarkovsky), ma anche strumento al servizio delle masse consumistiche (rappresentate dal cinema commerciale americano).
Penso che il cinema abbia ancora la capacità di superare questa schizofrenia e di prevalere sul dominio neo-capitalista proiettando nuove immagini sonore che raccolgano al loro interno frammenti di verità sepolte, che lo spettatore deve decifrare con le sue facoltà contemplative. La gestione del cinema da parte del Grande Capitale è compresa dallo scrittore e regista italiano Pier Paolo Pasolini, che, alla fine degli Anni ’60, è stato in grado di identificare l’allineamento dell’Italia e del mondo intero al consumismo. E lo ha fatto realizzando film quali « Teorema » (1968) e « Porcile » (1969).
Il cinema sovversivo oggi, sia africano che non africano, è qualcosa che può ritrovarsi solo all’interno di un sistema audiovisivo anticonformista e opposto rispetto al conformismo globalista dominante. Da lì a liberarsi completamente dal globalismo è oggetto di lavori in corso…
Luca Bagatin
Amore e Libertà (http://www.amoreeliberta.blogspot.it)

LupoSciolto°
29-10-17, 19:03
Per correttezza pubblico anche la versione francese

Entretien de Luca Bagatin avec Dany Colin sur le panafricanisme ( Version française)
L’esclavage, le colonialisme et le néocolonialisme sont les formes de domination les plus fréquemment utilisées par les politiques du soi-disant Premier Monde (l’Europe et sa création états-unienne). Elles ont abouti à la déportation massive d’êtres humains en provenance des pays du Sud à destination des pays du Nord de la planète, avec toutes les conséquences de la violence du déracinement culturel et identitaire qu’une telle entreprise implique. Et tout ceci au bénéfice des oligarchies et des multinationales qui, depuis un certain temps, promeuvent toute forme de travail délocalisé bon marché en intensifiant l’exploitation des ressources des terrains colonisés tout en provoquant l’immigration massive.
Ce système de domination a donné lieu à la création par le peuple Noir de luttes d’émancipations inédites telles que le « panafricanisme » mis au point dans les États-Unis du XIXème siècle via des personnalités telles que le jamaïcain Marcus Garvey (1887-1940) ou l’essayiste américain William Du Bois (1868 – 1963). Ils sont considérés dans certains milieux panafricanistes comme les précurseurs du combat socioéconomique et humain en faveur des populations afro-américaines. Marcus Garvey, lui, crée une compagnie maritime – la Black Star Line – afin de favoriser économiquement le retour en Afrique de ces peuples en voie de ré-enracinement, souhaitant vivre en paix dans la souveraineté et l’indépendance qui leur font tant défaut aux Etats-Unis.
C’est à partir entre autres de cet historique que se développe la brochure/pré-essai «L’Europe et l’Afrique: même combat contre le mondialisme», édité par la nouvelle création du magazine socialiste-révolutionnaire « Rébellion » que sont les « Editions des Livres Noirs », et dont l’auteur est Dany Colin.
Dany Colin est un jeune chercheur français d’origine congolaise, doctorant en philosophie à l’Université Toulouse II-Jean Jaurès (Toulouse), rédacteur régulier au sein de la revue « Rébellion » de l’OSRE (Organisation Socialiste Révolutionnaire Européenne), plus occasionnellement dans la revue Panafrikan (magazine de la Ligue Panafricaine Umoja), et prochainement au sein de la revue «Eléments» (fondée par le philosophe Alain De Benoist). Il est par ailleurs cinéaste de court-métrages consultables en accès libre sur internet (All Day Night (2010); Ciel rouge pour encre noire (2012); Le lien (2012); Au seuil (2014)) et critique de cinéma (rédacteur sur le site de cinéma en ligne Sédition durant environ un an en 2013).
Une des réflexions que Dany Colin partage avec ses lecteurs est que les phénomènes racistes et xénophobes actuels sont essentiellement fomentés par une élite politico-économique afin de contribuer aux divisions sociales en aboutissant ainsi à une guerre entre (sous-)prolétaires. Blancs et Noirs issus de cette classe sociale ont plutôt tout intérêt à s’allier, dans le respect des valeurs de chacun, dans le combat contre à la fois les extrémismes religieux et le totalitarisme globaliste, capitaliste et libéral.
Dany Colin voit dans l’alliance entre les forces politiques européennes et africaines anti-mondialistes (qu’elles soient panafricanistes, nationalistes, socialistes-révolutionnaires, populistes, néo-eurasistes, protectionnistes au sens économico-culturel) une solution d’opposition aux tentacules du capitalisme qui, dans sa pragmatique, impose un modèle socioéconomique unique et néocolonial. Le but ultime – selon l’auteur – semblerait être d’une part la création d’une grande Europe fédérée, souveraine et unie à la Grande Russie multipolaire (ce qui renvoie à la théorie du philosophe néo-eurasiste russe Alexandre Douguine) et d’autre part une Afrique fédéraliste, réellement indépendante, gagnant sa souveraineté dans un dialogue ferme et pacifié avec cette Eurasie.
Afin d’en savoir plus sur ces propositions et de faire connaître aux lecteurs le panafricanisme, j’ai eu la chance d’interviewer cet ami et compagnon du militantisme socialiste-révolutionnaire, en précisant au passage que sa brochure est en vente (en français) à l’adresse suivante (au prix de 5 euros) : Europe-Afrique même combat contre le mondialisme ! de Dany Colin | Rébellion - la revue de l&#039;OSRE (http://rebellion-sre.fr/boutique/europe-afrique-meme-combat-contre-mondialisme-de-dany-colin/)
Luca Bagatin: Vous êtes d’origine congolaise. Si je ne me trompe pas, vous êtes né en France d’un père français et d’une mère congolaise. Dans votre brochure, vous avez eu du mal à être accepté, petit, en raison de la couleur de votre peau. Vous avez donc vécu assez tôt le racisme. Pouvez-vous développer ?
Dany Colin: Je suis né à Kamina, en République Démocratique du Congo (ex-Zaïre). Mon père était un parachutiste français (et lorrain) affecté dans les dernières années de sa carrière au 3ème RPIMA (Régiment Parachutiste d’Infanterie et de Marine) de Carcassonne (ville du sud-ouest de la France) qui fût appelé en intervention dans ce qui s’appelait à l’époque le Zaïre sous la demande de son président Mobutu Sese Seko. Je suis le fruit de son union temporaire avec une femme congolaise dont la famille se trouve dans la région minière du Katanga, région en quasi-sécession à l’époque de l’indépendance du Congo en 1960. Je suis arrivé en France très tôt (à l’âge d’environ un an) avec mon père mais ma mère est restée vivre en Afrique pour des raisons familiales et politiques complexes que je développerai certainement plus tard. Je me suis donc retrouvé au milieu d’une famille blanche de classe moyenne dont j’étais le seul métis (donc noir du point de vue européen).
J’ai essuyé la violence physique et symbolique de la part d’un certain groupe d’enfants, violence qui était souvent (et paradoxalement) plus forte lorsqu’il y avait dans leur entourage familial (recomposition de couple de la mère voire gênes du père) un parent noir. Cependant, comme je le précise dans le déroulé de la conférence que j’ai tenu il y a presque un an à Toulouse, ma prétendue bourgeoisie (alors que je me considérais comme appartenant à la classe moyenne d’une famille qui tenait quasiment sur le salaire d’un seul homme, à savoir mon père) à laquelle j’aurais appartenu et qui m’était souligné par des reproches, des sentiments de honte lors du partage des goûters des pauses récrés entre camarades de classe, me renvoyait également à un conflit de classes que j’ai également saisi très jeune et qui se mêlait automatiquement, pour mon cas de figure, à un conflit de races.

Luca Bagatin: Comment et quand avez-vous décidé de devenir un militant panafricain ?
Dany Colin: Disons que je peux décomposer cela en deux étapes:
La première étant mon premier retour en République Démocratique du Congo en 2011 qui mettait fin à tout un ensemble d’interrogations autour d’une identité noire qui ressortait à travers mon épiderme et dont l’origine exacte m’a été longtemps tenu secrète pour diverses raisons familiales qui demanderaient un autre écrit. Cet épisode marquant de la découverte de ma mère et (d’une partie) du reste de ma famille congolaise a mis fin à une image fantasmatique que les noirs et métis d’Europe qui ne connaissent pas l’Afrique ont très souvent. A ce titre, je préconise voire impose à celles et ceux qui seraient dans cette interrogation et notamment dans le cadre du militantisme panafricaniste de faire cette découverte dans la mesure où un panafricaniste qui ne va pas ou ne veut pas aller en Afrique est tout simplement un non-sens. Cela m’a permis de voir entre autres que la relation que j’entretiens avec ma famille noire est en rapport direct avec un fantasme et des représentations que tu dégages, à savoir l’Enfant Mzungu («Le Blanc, l’Européen» en Swahili) qui revient au pays plein de cet argent qu’il doit distribuer pour le bien-être de sa famille et d’autres prétendus membres de la famille (des oncles ou des tanties sorties de nulle part) ! Cela m’a permis de voir également que la vision du conflit Noir/Blanc prônée par l’antiracisme institutionnel français s’annulent une fois sur place par de sérieux conflits de classes (des congolais sous-prolétaires débrouillards et des congolais enfants d’oligarques très riches que je côtoyais de manière quasi simultanée) et des rivalités ethniques avec d’un côté les balubas du Kasai (province situé entre la partie «Kinshasa» et la partie «Lubumbashi») dont la langue est le tshiluba et faisant partie, d’après les dires du coin, d’une certaine élite politico-économique, puis de l’autre côté les balubas du Katanga qui parlent le kiluba.
La deuxième est une intense histoire d’amour et d’engagement avec une militante panafricaniste franco-guinéenne portée par les grandes figures de la Révolution cubaine (Che Guevara en tête) qui m’a redonné espoir en la difficile et inaccessible Afrique dont l’expérience congolaise m’avait plutôt refroidie (je comprends à ce titre la dépression qu’a subi le Che après s’être rendu en 1965 au Congo pour faire tomber Moïse Tshombé, le commanditaire de l’assassinat ignoble de Patrice Lumumba). Cette chère personne m’a proposé de vivre depuis plus d’un an et demi à Conakry et ses alentours villageois pour y découvrir une autre réalité africaine, avec ses autres conflits ethno-tribaux (soussous, peuhls, malinkés), socioculturels (l’Afrique est un espace tout aussi mondialisée que la France avec ses chinois, libanais, indiens, américains etc.), mais cette fois-ci avec un regard imprégné de quelques années de recherche et de politisation progressive et radicale, c’est-à-dire celle qui modifie complètement ta vision du monde et la composition de tes fréquentations amicales et amoureuses. Et surtout, je suis retourné sur le continent africain en qualité de militant, de formateur de la jeunesse patriote guinéenne à fibre panafricaniste tout autant que formé par cette même jeunesse pleine d’enseignements et de subtilités que l’on peine à trouver chez nos militants de la diaspora souvent trop occupés à consommer et à faire la fête !

Luca Bagatin: Le panafricanisme est un phénomène peu connu, au moins en Italie. Pouvez-vous nous parler de votre militantisme panafricain? Que pensez-vous de l’activiste panafricain Kémi Séba et de ses combats ?
Dany Colin: Mon militantisme panafricaniste (et non panafricain, c’est une distinction que je fais volontairement) se différencie sur certains aspects d’une vision plus «panégriste» qui elle est plutôt une conception afro-diasporique d’origine américaine du type de l’UNIA de Marcus Mosiah Garvey, de la Nation Of Islam de l’Honorable Elijah Muhammad qui a été portée dans les années soixante par un Malcolm X et qui est actuellement représentée par le Ministre Louis Farrakhan. De mon point de vue, le panafricanisme doit se faire en Afrique, sur le terrain, et a besoin de la remigration de la part des militants panafricanistes et autres afro-militants qui ne se sentent pas représentés en Europe pour aider les militants africains autochtones à cette fameuse souveraineté africaine qu’ils appellent sans cesse de leurs vœux sur Facebook mais sans rien en faire ! Une priorité doit être mise sur l’éducation dès le plus jeune âge aux grandes figures aînées du panafricanisme, aux concepts politiques qui les ont accompagné (notamment le socialisme d’un Ahmed Sékou Touré en Guinée, d’un Kwamé Nkrumah au Ghana ou encore d’un Amilcar Cabral en Guinée-Bissau dans les années soixante) mais aussi sur la réactualisation doctrinale d’un panafricanisme qui est à l’heure actuelle pas encore tout à fait clair. Le socialisme nationaliste de certains militants se mêle au fédéralisme aux accents libéraux-capitalistes chez d’autres qui se mêle lui-même au traditionnalisme kamite (ce qu’on appelle «l’afro-centrisme») d’un autre groupe. Et ces problèmes d’unification d’une doctrine proprement africaine, en plus des divergences de réalités de lutte entre afro-descendants vivant en Occident et africains du terrain ajoutées à nos incapacités à l’action révolutionnaire à cause de notre Société du Spectacle (pour citer Guy Debord) rend la tâche difficile, certes, mais nous nous devons de l’exécuter plus que jamais…
Concernant le travail de Kémi Séba, je dirais dans un premier temps que je connais son activisme depuis qu’il a commencé à militer en France. J’ai suivi son parcours mouvementé autant médiatiquement qu’au niveau idéologique. Il est passé par l’afro-centrisme en créant la Tribu Ka (dissoute en 2006 par Nicolas Sarkozy, à l’époque Ministre de l’Intérieur en France), pour ensuite épouser davantage les préceptes de la Nation Of Islam en représentant la branche francophone du New Black Panther Party (fondé aux Etats-Unis en 1989 par le Docteur Khalid Abdul Muhammad, ex-porte-parole de la NOI, suite à ses distances prises avec le mouvement causées par une approche carrément plus street qu’un Kémi Séba d’ailleurs semble préférer à l’approche plus sage d’un Farrakhan), pour enfin s’installer à Dakar (dans une période quasi simultanée à mon retour en RDC) et s’inscrire dans la mouvance panafricaniste. Son courage, son insolence en réponse à l’arrogance d’une certaine intelligenstia dominante, ses partis-pris antisionistes en qualité de militant afro en France et ses alliances passées avec les courants qualifiés d’extrême-droite par les médias mainstream en France (Egalité & Réconciliation notamment) étaient inédits et stimulants du point de vue de la dynamique idéologico-politique et de la critique radicale qui doit être actuellement la nôtre. De plus, la considération assumée que fait Kémi Séba du phénomène mondialiste et son choix de le qualifier ainsi sans en passer par les quatre chemins universitaires pour faire plaisir à la Police d’Etat, rejoint en grande partie mes théories sur la spécificité du «mondialisme» par rapport au «néocolonialisme» ou encore «l’impérialisme», ces deux derniers termes pouvant être encore opérants sur certains aspects mais qu’une récupération trotskiste faussement radicale et complètement au service du Grand Capital rendent complètement obsolètes.
Cependant, je vais émettre des nuances sur la posture de Kémi Séba dans son combat actuel, c’est-à-dire sur le terrain africain, où d’une part, il ne prend pas suffisamment en compte dans son discours les spécificités ethniques et ses rivalités qui ralentissent autant voire même plus l’unité africaine qu’une monnaie appelée Franc CFA (Franc des Colonies Françaises d’Afrique) qui, certes ne devrait plus exister dans ses principes symboliques et économiques (réf. Article Rébellion), mais qui est à mon sens l’arbre français qui cache la forêt mondialiste. Les structures africaines d’aujourd’hui restent, malgré tout l’apparat importé d’un messianisme marxiste patriotique ou discrètement néo-libéral, profondément ancrées dans le modèle de la famille élargie. C’est un fait que l’activiste afro-américain des Black Panthers Stokely Carmichael, exilé en Guinée sous Sékou Touré car traqué par le FBI, avait très bien saisi dans ses dernières années de lutte en précisant dans une de ses interventions que le panafricanisme est l’étape ultime qui nécessite un long cheminement parmi l’ordre de passage qui suit: le clan, la tribu, la famille, la nation, le socialisme. De ce point de vue, appliquer directement le panafricanisme sans prendre en compte ces paramètres implique des sauts de médiations qui demandent une habileté surhumaine. L’autre point de divergence que j’aurais avec Kémi Séba serait sur la stratégie qu’il adopte actuellement avec son conseiller politique Hery Djehuty qui est celle de prôner la prédication comme instrument de création de masses critiques africaines. J’ai l’impression qu’ils ont tous deux saisi un mode de fonctionnement de l’africain nécessiteux qui s’engage corporellement (voire hystériquement) dans les révoltes populaires en défiant souvent (et courageusement) les tirs de balles réelles mais qui souffre régulièrement (hélas!) de suivisme. Ceci étant capté, il ne faudrait pas qu’ils commettent l’erreur fatale de maintenir l’éveil africain qu’ils alimentent à juste titre dans un état somnambulique, c’est-à-dire de réduire leur masse critique à une psychologie de foule passive devant les prédications d’un éclairé en répétant bêtement les maximes du prédicateur et ne s’en tenir qu’à cela sans que ces perroquets potentiels ne puissent produire au final un projet d’émancipation concret…

Luca Bagatin: En Europe, nous nous plaignons beaucoup de l’immigration. Comme le dit Alain De Benoist: « C’est un phénomène capitaliste et patronal ». Mais peu se rendent compte que ce phénomène est et a été encouragé par le néocolonialisme américano-européen et que les luttes panafricanistes qui en découlent sont destinées à l’émancipation des populations africaines au sein de leur pays d’origine. Que pouvez-vous nous dire à ce sujet ?
Dany Colin: L’immigration extra-européenne en Europe, notamment celle des années soixante-dix, est un effet de continuité d’un colonialisme délocalisé, c’est-à-dire que les indépendances africaines des années soixante, tout comme les révolutions de 68 qui ont secoué la France et l’Italie, n’ont été que de nouvelles recompositions du capitalisme qui, pour étendre sa logique de domination, s’appuie sur ce que Pier Paolo Pasolini appelait «la Société de Consommation». Pasolini qualifiait le phénomène italien de «néofascisme». Je dirais que nous pouvons identifier le même phénomène en France mais le percevoir plutôt comme un néocolonialisme dont les colonisés seraient à la fois les populations immigrées d’origine africaine travaillant en France à bas coût en privant leur pays d’origine de force productive, mais également les français «de souche» punis de leurs aspirations révolutionnaires (prises des usines Rhodiacéta par des ouvriers voulant abolir l’Etat et l’argent, ou la face cachée de mai 68 en France). Ainsi, deux franges prolétaires voire sous-prolétaires de la population française sont complètement assujetties par une classe dirigeante néo-libérale qui fait du profit sur deux chimères de notre siècle: le racisme et l’antiracisme. Toute manœuvre qui peut refouler nos êtres profondément révolutionnaires, tout ce qui peut dissimuler la lutte des classes comme outil d’analyse critique est, au sein de notre monde pétri de faux-semblants et de mensonges, vivement conseillée !
Concernant l’émergence du panafricanisme comme production de ce système d’exploitation des peuples Noirs par l’Occident, il est vrai que les confusions que ce courant politique traversent (où même les hommes d’Etat africains les plus soumis à l’appareil néocolonial scandent le panafricanisme sans sourciller !) en sont tout aussi issues, et c’est pour cela qu’un panafricaniste conséquent doit être un anti-mondialiste intransigeant qui doit dialoguer et négocier de manière ferme avec les nationalistes européens excédés par l’immigration massive et par le comportement schizophrène instable de ces français allogènes qui, dans leur déracinement profond et leur dépolitisation manifeste, ne connaissent ni l’historique des luttes dans le pays européen qui les accueille ni le terrain africain qu’ils fantasment un peu trop !
Luca Bagatin: Parmi les principaux dirigeants et politiciens panafricanistes de l’Histoire, nous pouvons trouver : Patrice Lumumba (1925 – 1961) Premier Ministre de la République démocratique du Congo; Kwame Nkrumah (1909 – 1972) Premier président du Ghana indépendant ; Thomas Sankara (1949 – 1987), Président du Burkina Faso; Mouammar Kadhafi (1942 – 2011) Leader de la Jamahiriya socialiste libyenne. Tous partisans d’une Afrique indépendante et souveraine, tous partisans du socialisme africain, laïque et démocratique, et pour toutes ces raisons opposées et tués par l’impérialisme américain. Que reste-t-il de leur travail et de leur message aujourd’hui? Pensez-vous que c’est à partir de leur enseignement qu’une Afrique enfin libre et émancipée peut naître ? Aujourd’hui, qu’est-il encore possible de faire ?
Dany Colin: Si nous essayons de penser du point de vue de l’ennemi, nous dirions que le tort de toutes ces grandes figures historiques des luttes d’émancipation africaines, dont les effigies sont nombreuses à travers les t-shirts, le merchandising et les posts Facebook (donc dans le milieu du fétichisme marchand et du spectacle intégral) de la jeunesse africaine et afro-descendante, ont été pour la plupart d’avoir entretenu des liens avec l’URSS, donc avec une hégémonie communiste qui prenait de l’ampleur au sein des pays du Tiers-Monde, Afrique comprise, même si dans leur vision intérieure ces leaders composaient davantage avec une forme de nationalisme (Patrice Lumumba et Thomas Sankara par exemple), ou dirais-je plutôt (et cela hérissera à coup sûr le poil de la catégorie des bien-pensants) une forme de national-socialisme. Kwamé Nkrumah et Mouammar Kadhafi étaient plus spécifiquement panafricanistes, et chacun d’une manière différente. Nkrumah, formé aux Etats-Unis, a hérité d’une substance fédéraliste qu’il a mêlé à une volonté unificatrice de l’Afrique par le biais d’un socialisme voulant abolir les frontières africaines créées par les colons européens lors de la Conférence de Berlin (1884-1885) en créant une monnaie africaine, une armée africaine, un gouvernement africain. Un parti-pris ayant créé des débats avec le tanzanien Julius Nyerere qui, dans son idée du panafricanisme, préférait le fédéralisme à partir des frontières déjà existantes par souci de pragmatisme. Ces détails sont exposés de manière claire et chronologique dans l’ouvrage Africa Unite ! : Une histoire du panafricanisme de l’historien Amzat Boukari-Yabara (qui est par ailleurs Secrétaire Général de la Ligue Panafricaine Umoja). Mouammar Kadhafi a été le seul à avoir réussi le pari de réunifier les contentieux ethno-tribaux, le nationalisme et un certain socialisme (Kadhafi n’ayant pas été spécialement pro-soviétique) à travers la Jamahiriya libyenne et sa méthode qu’il expose dans son indispensable Livre Vert. De plus, en synthétisant panafricanisme et panarabisme, il est parvenu jusqu’à travailler sur un projet de souveraineté monétaire (le Dinar-Or) qui menaçait de supplanter le Dollar US, avant d’être ignoblement exécuté lors du renversement de son régime à cause de certains incidents de parcours commis en fin de règne (entre autres, son rapprochement avec le président français Nicolas Sarkozy né de l’affaire des «infirmières bulgares» et d’un très certain financement de la campagne du candidat français à la présidentielle par le Guide lui-même !). Bien entendu, toutes ces figures nous lèguent un enseignement, un héritage, chacun à leur manière en fonction de leurs paradigmes et de leurs époques. Ceci dit, il faut que le panafricaniste d’aujourd’hui sache distinguer les bienfaits et les erreurs de ces grands leaders qui demeuraient, malgré toute la force surnaturelle qui a pu les guider, des humains. C’est un travail psychique nécessaire que le militant doit s’imposer de façon à sortir de sa trop grande propension à l’idolâtrie passive que quelques pseudos-panafricanistes mal intentionnés savent très bien manipuler pour leurs seuls profits !
Luca Bagatin: Dans votre brochure, vous théorisez une alliance entre les socialistes révolutionnaires, panafricains et néo-eurasistes en Europe et en Afrique. Pouvez-vous mieux expliquer votre perspective ?
Dany Colin: Il y a tout d’abord le constat inévitable que la stratégie actuelle de l’ennemi se base essentiellement sur sa faculté à aligner la totalité de la planète sous l’égide du matérialisme intégral. Et cet alignement se structure par l’inversion totale des valeurs traditionnelles spécifiques à nos peuples et nos civilisations diverses, procédé qui, si l’on se place du côté de l’eschatologie, est proprement satanique. Cet alignement d’ailleurs est comparable à ce que le militant communiste italien Antonio Gramsci nommait à son époque «hégémonie culturelle», c’est-à-dire que nous avons actuellement affaire à un centralisme néofasciste bancaire (se référer également à l’ouvrage d’Ezra Pound, «Le travail et l’usure») qui englobe le monde et l’uniformise de manière à nous réduire non plus à des masses anonymes, mais à des atomes sans racine et sans autre but que notre propre consomption dans la consommation sans fin. A partir de ce premier point, le nationalisme est le seul rempart immédiat (à court terme) pour endiguer cette machine globaliste et totalitaire. Un nationalisme qui doit trouver, du point de vue de la France, un visage réactualisé et recomposé en fonction de ses doctrines politiques différentes et parfois divergentes (l’Action Française royaliste ; le Solidarisme néo-jacobiniste), surtout après cette déferlante mondialiste en phase finale que nous sommes en train de vivre et qui ne devrait pas tenir bien longtemps. L’Europe et l’Afrique, de par leurs relations historiques aujourd’hui quasi familiales, devront négocier des autodéterminations politiques et économiques (que le débat autour du FCFA et de sa sortie doit alimenter au même titre que l’Euro), des échanges culturels de fait (par l’implantation trop ancienne de la francophonie par exemple pour une certaine partie de l’Afrique), et cela ne pourra pas se faire tant que l’Europe ne se sera pas débarrassée de ses scories républicaines laïcistes ultra-libérales et tant que l’Afrique ne se sera pas structurée selon son propre paradigme qui devra (step by step évidemment !) trouver l’équilibre entre son mysticisme originel (la tradition primordiale africaine et son autorité spirituelle devra être au centre de ses recompositions idéologiques) et sa géopolitique spécifique (au centre des carrefours non-alignés Moyen-Orient-Amérique Latine/Caraïbes). Cette transformation continentale africaine s’engagerait de concert avec un nouveau monde multipolaire qui serait dans la sphère eurasiatique dominée par un Orient de la renaissance spirituelle (le Soleil se lève toujours à l’Est) à laquelle l’Europe d’aujourd’hui engloutie par l’Atlantisme et ses succursales saoudo-sionistes devra s’allier pour se prémunir. Il ne s’agit pas, à travers cette nouvelle vision d’influence douguinienne qui peut paraître pour certain(-e)s trop impériale, de créer un nouveau mondialisme face à un ennemi commun. Il s’agit plutôt de redéfinir sur le long terme de nouvelles alliances stratégiques dans le respect des diversités de chacun des peuples (ce que sous-tend la terminologie de «multi»-polarité qui n’est pas «uni»-polarité !).
Luca Bagatin: Vous êtes également cinéaste et érudit du cinéma. En plus d’écrire et de réaliser des court-métrages, dans votre brochure, vous parlez d’un cinéma africain « subversif ». Pouvez-vous m’en dire plus ?
Dany Colin: Je suis en effet essentiellement cinéphile et ma vocation première est celle du cinéma, et plus particulièrement l’écriture et la réalisation. J’ai eu jusqu’à présent un parcours cinématographique oscillant entre la pratique filmique en tant que telle et les théorisations esthétiques qui l’accompagnent, ce qui m’a poussé à faire un doctorat au sein d’un laboratoire de philosophie mais dont l’objet de recherche est “l’objet-film”. Le “cinéma subversif” que je décèle à travers un certain cinéma africain (celui des sénégalais Djibril Diop Mambéty et Sembène Ousmane) renvoie aux liens étroits entre le cinéma et l’idéologie d’une part, mais aussi aux liens entre le cinéma et la spiritualité. Je pars du principe que l’art cinématographique qui apparait lors de la création du cinématographe par les Frères Lumière à la toute fin du XIXème siècle est à la base une invention techno-scientifique. Cette invention concurrence la photographie qui faisait déjà débat chez les artistes dans sa façon d’objectiver le monde qui nous entoure en enlevant la puissance subjectiviste du peintre par exemple. De plus, sa récupération par une certaine bourgeoisie via la prolifération des portraits (au détriment des paysages) symbolisait l’extension narcissique de sa reproduction fustigée entre autres par le poète et critique littéraire français Charles Baudelaire. Le cinéma ajoute à la photographie le mouvement, ce qui a pour effet de fasciner, d’effrayer mais aussi de rendre passif le spectateur qui se voit plongé dans un état d’émerveillement qu’un Sigmund Freud en son temps renvoyait à l’état infantile. Le cinéma étant un art mais aussi une industrie, l’appareillage capitaliste a rapidement récupéré cet art pour en faire un art de masse au service de propagandes politiques, ce qui explique en partie la profusion d’oeuvres à la gloire du communisme pré-stalinien avec les films du russe Sergueï Einsenstein (La Grève (1925)) ou de Dziga Vertov (L’homme à la caméra (1929)), ou bien les films national-socialistes allemands de Léni Riefensthal durant la période hitlérienne. La schizophrénie du statut du cinéma en tant qu’il est à la fois l’expression de la nostalgie de nos harmonies cosmiques (que représente le cinéma d’Andreï Tarkovsky) mais aussi l’instrument d’asservissement consumériste des masses (que représente le cinéma commercial américain le plus tapageur) est stimulante du point de vue de la recherche mais aussi de la création en qualité de cinéaste. Je crois que le cinéma a encore la possibilité de s’affranchir de cette schizophrénie propre à la domination néocapitaliste en fabriquant de nouvelles images sonores qui recueilleront en leur sein des bribes de vérités enfouies que le spectateur devra déchiffrer à l’aide de ses facultés contemplatives voire hypnotiques. Cette digestion du cinéma par le Grand Capital a été comprise par l’écrivain et cinéaste italien Pier Paolo Pasolini qui, à la fin des années soixante, a su identifier le basculement de l’Italie et de l’ensemble du monde européen vers le consumérisme en réalisant des long-métrages qu’il qualifiait volontairement “d’inconsommables” telles que “Théorème” (Teorema) (1968) ou encore “Porcherie” (Porcile) (1969). Le cinéma subversif d’aujourd’hui, qu’il soit africain ou extra-africain, est un cinéma qui ne peut que renverser de l’intérieur un système audiovisuel conformiste, le conformisme étant actuellement l’idéologie dominante mondialiste. De là à s’en affranchir totalement, c’est le sujet d’un travail qui est en cours…
Luca Bagatin

Intervista Dany Colin : Europa e Africa: unite nella lotta conto il mondialismo ! (versione italiana e francese) (http://rebellion-sre.fr/intervista-dany-colin-europa-e-africa-unite-nella-lotta-conto-mondialismo-versione-italiana-e-francese/)

LupoSciolto°
20-12-17, 14:28
italicum ti chiedo di illustrarci cosa intendi per socialismo nazionale o "nazionalsocialismo", visto e considerato che per te non è riducibile al regime hitleriano (e meno male!) . So che hai menzionato un paio di autori, che non conosco, quindi potresti parlarcene in maniera approfondita o indicare qualche loro testo interessante.

Berjia
24-03-18, 20:25
L'Idiot international

Pays France
Langue Français
Date de fondation 1969
Date du dernier numéro 1972, 2e époque : 1984-1994, 3e : 2014-
Ville d’édition Paris
Directeur de publication Jean-Edern Hallier
ISSN 0397-4200
OCLC 185642858

L'Idiot international est un journal pamphlétaire français fondé en octobre 1969 et dirigé par Jean-Edern Hallier. Son cofondateur est Bernard Thomas. Patronné à ses débuts par Simone de Beauvoir et largement financé par Sylvina Boissonnas (mécène des mouvements gauchistes), ce journal avant tout polémique, se déclarant indépendant de toute idéologie, a disparu en février 1994, à la suite de nombreuses condamnations judiciaires et financières.

En avril 2014, son fils Frédéric Hallier fait reparaître le journal. Cet Idiot se veut plus « mesuré » que le précédent

Évolution

De 1969 à 1972, le journal se situe dans la mouvance gauchiste. En mai 1971, son orientation est cependant critiquée par Simone de Beauvoir, qui n'apprécie guère la « personnalité fantasque » d'Hallier: ayant accepté d'« assumer devant la justice de classe les responsabilités de directrice » à partir de septembre 1970, elle écrit plus tard dans Le Monde : « L'Idiot ne représente rien d'autre que lui-même, c'est-à-dire une poignée de lecteurs […]. Je n'y vois que des critiques négatives et désordonnées du gauchisme actuel, accompagnées de vaticinations fort vagues touchant l'avenir. Votre attitude de juge planant dans on ne sait quel olympe ne peut que créer de nouvelles dissensions, et non favoriser une unité d'action6 », et se sépare définitivement du journal. Celui-ci cesse de paraître en février 1972, avec une ardoise de 15 millions de centimes.

Lors de la création du quotidien Libération, en 1973, celui-ci récupère une grande partie de l'équipe de L'Idiot International.

Puis, après une première tentative de renaissance en octobre 1984, avortée en raison des pressions des services de François Mitterrand (cf. La Mise à mort de Jean-Edern Hallier de Ch. Lançon et D. Lacout), L'Idiot international est relancé en 1989. La réalisation du journal est réalisée par Marc Cohen, alors membre du Parti communiste (un chapitre lui est consacré dans le livre Une famille au secret; Chapitre VIII : « Il faut bâillonner Jean-Edern », d'Ariane Chemin et Géraldine Catalano, 2005 ainsi qu'un extrait dans Le journaliste et le président d'Edwy Plenel, 2006).

Condamnations judiciaires

De juillet à octobre 1989, L'Idiot international et son directeur sont condamnés à verser 250 000 francs à Jack Lang et son épouse pour « diffamation et injures publiques », puis 100 000 francs à Christian Bourgois, l'éditeur de Salman Rushdie, pour « propos injurieux et atteinte à la vie privée », 300 000 francs à Georges Kiejman pour « injures, diffamation et atteinte à la vie privée », et enfin 400 000 francs à Bernard Tapie pour des « atteintes d'une gravité exceptionnelle que ni l'humour ni les principes régissant la liberté de la presse ne sauraient justifier », selon les termes du tribunal correctionnel de Paris.

En juillet 1991, Jean-Edern Hallier est condamné à 50 000 francs d'amende et 80 000 francs de dommages et intérêts à plusieurs associations antiracistes, pour « provocation à la haine raciale », par la 17e chambre du tribunal correctionnel de Paris, à la suite des « qualificatifs outrageants ou abjects s'appliquant à désigner [les juifs] comme la lie de l'humanité » dans un éditorial de L'Idiot international publié pendant la guerre du Golfe. En septembre de la même année, l'écrivain et son journal sont condamnés à payer 800 000 francs de dommages-intérêts à Bernard Tapie pour publication de propos « diffamatoires, injurieux, et attentatoires à sa vie privée ». Le journal avait en effet diffusé dans plusieurs numéros le casier judiciaire du jeune Bernard Tapie, qui depuis avait été réhabilité.

À la suite de ces multiples condamnations judiciaires, L'Idiot international, financièrement étranglé, cesse de paraître en février 1994.

Par ailleurs, le 8 juin 1994, à la suite d'un article paru dans L'Idiot international du 9 avril 1993, Jean-Edern Hallier est condamné, par la première chambre civile du tribunal de grande instance de Paris, à verser un total de cent mille francs de dommages et intérêts à Josyane Savigneau, pour injure, diffamation et atteinte à l'intimité de la vie privée, ainsi que cinquante mille francs à Monique Nemer, directrice littéraire aux éditions Stock.

La controverse « Vers un front national »

En mai 1993, Jean-Paul Cruse (né le 21 avril 1948) — ancien membre de la Gauche prolétarienne, militant du Collectif communiste des travailleurs des médias (cellule Ramón-Mercader) à l'existence remise en doute et délégué SNJ-CGT (Syndicat national des journalistes CGT) de Libération, dont il est l'un des fondateurs — signe l'appel « Vers un front national » publié en première page de L'Idiot international. Cet appel, prenant acte de la « destruction précipitée de la vieille gauche », propose « une politique autoritaire de redressement du pays » rassemblant « les gens de l’esprit contre les gens des choses, la civilisation contre la marchandise — et la grandeur des nations contre la balkanisation du monde […] sous les ordres de Wall Street, du sionisme international, de la Bourse de Francfort et des nains de Tokyo » et appelle, pour « forger une nouvelle alliance », à la constitution d'un « front » regroupant « Pasqua, Chevènement, les communistes et les ultra-nationalistes », un nouveau front pour « un violent sursaut de nationalisme, industriel et culturel ».

Une polémique naît alors sur l'existence supposée de convergences « rouges-bruns » (National-anarchisme). À la suite de l'enquête de la journaliste Mariette Besnard et du romancier Didier Daeninckx, proche des milieux d'extrême gauche, dénonçant, entre autres, L'Idiot comme un « laboratoire national-communiste » (juin 1993), Le Canard enchaîné prétend révéler dans la collusion l'existence de liens unissant les communistes et l'extrême droite (idée dans l'air du temps, car utilisée, peu de temps auparavant, par les services de Boris Eltsine contre les communistes russes),[non neutre] juste après la dislocation de l'URSS notamment à travers la collaboration à certains journaux comme L'Idiot international et Le Choc du mois. Le journaliste François Bonnet, dans Libération, pointe alors du doigt les « compagnons de route de la galaxie nationale-bolchevik », considère que « le communisme est vraiment pourri puisqu’il n’hésite pas à s’allier au fascisme » et en vient à affirmer « qu’extrême gauche et extrême droite, c’est pareil

Ces accusations sont ensuite relayées par deux journalistes du Monde, Edwy Plenel et Olivier Biffaud : « À l'abri de la réputation d'écrivain maudit qu'il s'est plu à construire, Jean-Edern Hallier fut donc bien l'alibi principal et l'acteur premier de ce théâtre d'ombres où se croisent, depuis plusieurs années, apprentis sorciers communistes et théoriciens néo-fascistes d'une « troisième voie (politique) » entre communisme et capitalisme. Toute la collection de l'Idiot international en témoigne. » Pour ces accusateurs, Alain de Benoist aurait été le principal artisan de ces « croisements », ayant essentiellement L'Idiot pour lieu.

A contrario, le chercheur Pierre-André Taguieff a largement relativisé ces « révélations » et ces allégations : « Regardons de plus près les acteurs du prétendu “flirt” (…). Parmi les accusés, côté “rouges”, on rencontre essentiellement le journaliste Jean-Paul Cruse de Libération, syndicaliste CGT, auteur d'un article au titre provocateur (“Vers un Front national”, L'Idiot international, mai 1993), et identifié comme étant « proche » du Parti communiste français ; et Marc Cohen, alors rédacteur en chef de L'Idiot international, et qui, pour sa part, est membre du PCF. Cruse et Cohen n'animent aucun mouvement politique et ne représentent qu'eux-mêmes : il s'agit de marginaux ou d'“originaux” de la mouvance communiste. Quant aux “bruns” (…), ils s'incarnent en la seule personne d'Alain de Benoist (parfois accompagné du lepéniste Alain Sanders [...] Après les personnages, considérons les faits de “rencontre” ou d'“alliance”. La prétendue menace “national-communiste” en France est, aux yeux des enquêteurs pressés (ou intéressés), confirmée par trois faits, dont on ne saurait surestimer l'insignifiance [...] Fondé sur des “faits” aussi peu décisifs, auxquels leur marginalité ôtait toute valeur d'exemplarité, le thèmes des “liaisons dangereuses” entre “rouges” et “bruns”, ou celui — vieux cliché à peine rajeuni — de la convergence ou de l'alliance des “extrêmes”, ce thème n'en est pas moins devenu un poncif journalistique en 1993. »)

Alain de Benoist rappelle que cette collaboration fut essentiellement liée à l'amitié qui le liait à Jean-Edern Hallier et à une conjoncture particulière au sein du Parti communiste français lors de la succession de Georges Marchais avec une fraction menée par Pierre Zarka favorable à un « parti plus radical ». Ces ouvertures cesseront immédiatement avec Robert Hue et Jean-Edern Hallier congédia Marc Cohen. Benoist qualifie l'ensemble de l'affaire de « picrocholine »

Les auteurs

Alain de Benoist, Alain Paucard, Alain Sanders, Alain Soral, Alice Massat, Anthony Palou, Arrabal, Benoît Duteurtre, Bertrand Leclair, Bruno Guigue, Charles Dantzig, Charles Ficat, Christian Laborde, Dominique Lacout, Dominique Noguez, Édouard Limonov, François de Negroni, Frédéric Beigbeder, Frédéric Berthet, Frédéric Taddeï, Gabriel Matzneff, Gilbert Castro, Gilbert Mury, Gilles Martin-Chauffier, Jacques Bacelon, Jacques Laurent, Jacques Vergès, Jean-Baptiste Drouet, Jean Cau, Jean Dutourd, Jean-Edern Hallier, Jean-Paul Cruse, Jean-Paul Dollé, Jean-Pierre Péroncel-Hugoz, Laurent Dandrieu, Laurent Hallier, Marc Cohen, Marc-Édouard Nabe, Michel Déon, Michel Houellebecq, Morgan Sportès, Olivier Bailly, Patrick Besson, Patrick Chassé, Philippe de Saint-Robert, Philippe Lecardonnel, Philippe Muray, Philippe Palat, Philippe Sollers, Renaud Séchan, Roch Saüquere, Thierry Séchan.

L'équipe des dessinateurs était dirigée par Gébé (qui signa également quelques textes). Elle comprenait notamment, Vuillemin, Tignous, Placid, Philippe Bertrand, Pascal, Loup, Lefred-Thouron, Konk, Captain Cavern.

L'ancien magistrat Jacques Bidalou, que Nabe appelait « le juge maudit », est le seul collaborateur présent à l'Idiot de la relance de 1989 au dernier numéro de mars 1994. Au fil des années, il apparaît dans l'ours comme membre du service enquête, puis comme responsable du service « justice », enfin comme « conseiller de la direction ». Par ailleurs, Bidalou était le conseiller juridique de Jean-Edern Hallier. C'est lui qui, en 1993, récusa le tribunal lors de la mise en vente avortée, à l'initiative de Bernard Tapie, de l'appartement de Hallier (L'Idiot international en fera sa une dans un numéro spécial 89, le 1er mai 1993 intitulé : « Jean Edern : On veut ma peau »).

https://fr.wikipedia.org/wiki/L%27Idiot_international

Berjia
24-03-18, 20:26
Non ne sapevo nulla.

italicum
25-03-18, 19:57
italicum ti chiedo di illustrarci cosa intendi per socialismo nazionale o "nazionalsocialismo", visto e considerato che per te non è riducibile al regime hitleriano (e meno male!) . So che hai menzionato un paio di autori, che non conosco, quindi potresti parlarcene in maniera approfondita o indicare qualche loro testo interessante.

Diciamo che non è riconducibile SOLAMENTE al NSDAP, in quanto il Nazional Socialismo sia come Idea che come 'movimento' risalgono alla seconda metà del 1800, dove in Francia nacque una sintesi tra Nazionalismo e Riforma sociale e politica che dovevano condurre ad una più equa distribuzione della ricchezza e ad una maggior partecipazione di ogni classe alla vita politica e sociale della nazione. Questa sintesi (nata quindi in Francia e non in Germania) di socialismo comunitario e Nazionalismo nel 1890 prese il nome di 'nazionalsocialismo', dottrina politica che intendeva creare un governo sociale e contemporaneamente nazionale.

Personaggi di spicco dei movimento che si rifacevano al nazional socialismo furono nelle fasi iniziali Drumont (che coniò il termine) e Alphonse de Toussenel (seguace di Fourier, che penso tutti sappiano chi è). Al NS delle origini aderirono parecchi 'reduci' della Comune, specie i Blanquisti (io personalmente adoro Blanqui, sovversivo e agitatore di folle, un UOMO LIBERO -come mi ritengo io- che era un vero mito per il sindacalista rivoluzionario Corridoni).

Come tutte le teorie e le dottrine politiche è ovvio che poi subiscono evoluzioni e ramificazioni. Io, personalmente parlando, lo ritengo vicino a certi aspetti del Comunitarismo, che deriva, tra le sue fonti, anche dal socialismo utopico (Fourier).

Berjia
25-03-18, 20:52
Capisco.

Berjia
26-03-18, 02:40
Werwolf (Armed Wolf) was a union of German WW1 frontier soldiers led by one Fritz Clope (? - born February 11th, 1891), founded in 1923, originating from the Steel Helmet movement as a youth wing for the military training of the future Steel Helmet members.

Its members were not of any notable background (former freikorps, unter-officers and reservists) which is why they broke away from the Steel Helmet that was defending the bourgeoisie interests. They were highly nationalistic and proclaimed to be ready at a moments notice to sacrifice their lives for the Fatherland.

In 1924-1929 Werwolf counted as many as 30 to 40 thousand people in its ranks. Around the time Hitler came to power membership dropped to 10 thousand. Movement was divided into 3 groups: 14-17 year olds “young wolves”, 17-24 year olds - “werwolves”, anyone older were part of the so-called “devoted group”.

Movement flag: black banner with a silver skull, they wore typical gray uniforms with red/white/black armbands. Their propaganda was geared against capitalism, plutocracy and reactionism. They claimed that Germany’s freedom would be possible only with the fall of international finance oligarchy and by stopping transnational corporations.

They characterized their views as national-revolutionary.

If anyone can verify this information, especially actual Germans, that would be great.

http://78.media.tumblr.com/c7b1ede6f1bb508ca47f11c6fc6e372e/tumblr_inline_mxed3y26nu1rujja2.jpg

http://78.media.tumblr.com/c318325c8b6bce8b24d5aea00d55b6d6/tumblr_inline_mxed5qxPUB1rujja2.jpg

Hey Salvros, what are your thoughts on National... | "The hammer shatters glass but forges steel." (http://toskamas.tumblr.com/post/70988242085/hey-salvros-what-are-your-thoughts-on-national)

Berjia
03-04-18, 13:45
Niekisch dopo il 1945, di Alain De Benoist

La carriera politica di Niekisch non si conclude nel 1945. Ma l'uomo che i russi hanno liberato della sua cella non è ovviamente la stesso di quello che più di dieci anni prima profetizzò l'avvento della Terza figura imperiale. Si definisce democratico e progressista. Resta, tuttavia, convinto di molte sue intuizioni e forse l'occupazione sovietica della Germania orientale lo porta a credere che la sintesi "prussiano-bolscevica" che ha sognato è, almeno in parte, in procinto di essere realizzata. Dal mese di agosto 1945, entrò a far parte del Partito Comunista Tedesco (KPD) e, contemporaneamente, prende la direzione della Volkshochschule Wilmersdorf, situata nel settore britannico, dove continua a vivere. In autunno, lo troviamo come direttore dell'Ufficio della Lega per i Beni Culturali per il Rinnovamento democratico della Germania (Kulturbund zur demokratischen Erneuerung Deutechlands) e della Società di amicizia tedesco-sovietica. Diventò membro della SED nel mese di aprile 1946. Nel gennaio 1946, maliziosamente Jünger scrisse: "Sembra che Niekisch sia completamente orientato verso est!". L'interessato rispose non semplificando le cose...
Nel 1947, grazie al sostegno dello storico Alfred Meusel, Niekisch divenne professore incaricato di questioni politiche e sociali contemporanee presso l'Università Humboldt di Berlino. Divenne professore di ruolo l'anno successivo. Nel 1949, è membro del Presidium del Consiglio nazionale del Fronte Nazionale, direttore del Centro di Ricerche sull’Imperialismo, ottiene un seggio nella Casa del Popolo (Volkskammer) ed è, quindi, strettamente legato alla nascita della DDR. Ma a causa del suo spirito indipendente si procura subito delle inimicizie, e a partire dalla fine del 1949, sembra iniziare a incontrare le prime difficoltà ad esprimersi. Nel 1951, l'Istituto per la ricerca contro l'imperialismo è improvvisamente chiuso. L'anno successivo, per la pubblicazione del suo libro intitolato Europaische Bilanz, mentalmente composto durante la sua detenzione e scritto subito dopo la sua liberazione ("Ho scritto in quattro mesi quello aveva maturato lentamente in otto anni"), si attira gli attacchi violenti di Wilhelm Girnus, uno degli ideologi del partito, che lo accusa di usare una terminologia marxista per far passare idee "non scientifiche", idealistiche, irrazionali e pessimiste, e sostiene che il libro è una sorta di "edizione americana di Spengler"!
All'inizio del 1953, Niekisch accusa pubblicamente la leadership della DDR di aver perso il contatto con la gente. Dopo la sollevazione del 17 giugno, interviene a fianco dei sovietici contro Walter Ulbricht, dà le dimissioni dalla SED e fa ritorno definitivamente ad ovest. Nelle sue memorie, egli dice: "La libertà, che si era nuovamente aperta a me, si è rivelata un impenetrabile groviglio di nuovi afosi assoggettamenti".
Nello stesso anno, Niekisch pubblica Das Reich der niederen Dämonen, nel quale sosteneva il fallimento della classe media e della resistenza morale di fronte all'hitlerismo: "La borghesia ebbe il governo che si meritava". Messo in vendita nella DDR nel 1958, il libro verrà ritirato dalle librerie, dopo poche settimane.
Ma Niekisch non si è convertito all'Occidente! In un suo articolo, denuncia la giovane Repubblica federale come una "plutocrazia", prende posizione a favore del neutralismo e qualifica le idee di Adenauer come "degno successore occidentale di Hitler". Nel 1956, scrive un testo sulla figura del "cancelliere" (Der Clerk), in cui lo descrive come un moderno fellah - un termine apparentemente preso in prestito da Spengler - al servizio della tecno-burocrazia, facendo un certo rumore. Nel frattempo, nelle sue opere, da Deutsche Daseinsverfehlung (1946) fino al primo volume delle sue memorie, Niekisch riscrive la propria storia e sostiene che ha frequentato, solo per questioni tattiche, gli ambienti nazionalisti prima della guerra. Infine, inizia contro le autorità della RFT una battaglia legale che non durerà meno di tredici anni, a causa del rifiuto ostinato di pagare una pensione, di cui aveva diritto, come vittima del nazismo, con il pretesto delle sue simpatie per l'Oriente. In questo contenzioso, che oscura gli suoi ultimi anni di vita, Niekisch è sostenuto da avvocati, come Fabian von
Schlabrendorff, e soprattutto dal suo amico Joseph Drexel, che è riuscito fin dal 1945 a prendere la testa di un impero editoriale di giornali in Franconia (è stato in particolare il fondatore della Nürnberger Nachrichten). Solo nel 1966, mesi prima della sua morte, e dopo l'intervento della Commissione europea dei diritti dell'uomo, Niekisch finirà per ottenere 30.000 marchi di riparazione e una pensione mensile di 1.500 marchi!
Ernst Niekisch moure a Berlino, solitario, il giorno del suo sessantottesimo compleanno, il 23 maggio 1967. I suoi resti sono stati cremati in presenza di Drexel, A. Paul Weber, Schlabrendorff, e Jünger, che dopo dichiarò: "Ho partecipato al suo funerale. Vi erano vecchi attivisti in scarpe da ginnastica, che sembravano usciti da un romanzo di Joseph Conrad, L’agente segreto, e alcuni vecchi amici. E' stato un funerale triste".

(ripreso dalla "Prefazione" di Alain de Benoist al libro Ernst Niekisch, Hitler. Une fatalità allemande et autres ecrits nationaux-bolcheviks, a cura di Alain de Benoist, Pardes, Parigi, 1991; poi riprodotto in "Patria", n. 22, gennaio-febbraio 2010)

PUBBLICATO DA Z3RO A 13:18

ETICHETTE: ALAIN DE BENOIST, ERNST JÜNGER, ERNST NIEKISCH

NAZ-BOL: Niekisch dopo il 1945, di Alain De Benoist (http://naz-bol.blogspot.it/2010/01/niekisch-dopo-il-1945-di-alain-de.html)

italicum
01-05-18, 12:02
Appena ricevuto il messaggio su whatsapp:

"In esclusiva sul blog antimondialista Resistenza Nazionale intervista a Max, ideatore ed editore della rivista NR/Nazional-solidarista 'RIVOLTA', che a fine anni '90 trattava in ottica nazionalista tematiche come l'autonomia, il sindacalismo rivoluzionario, l'anticapitalismo, lotte sociali, Blanqui, Sorel, Strasser!"

Qualcuno ricorda questa rivista?

RESISTENZA NAZIONALE: INTERVISTA CON MAX G., EDITORE DELLA RIVISTA NR 'RIVOLTA'! (http://resistenza-nazionale.blogspot.it/2018/05/intervista-con-max-g-editore-della.html)

https://2.bp.blogspot.com/-_ANckmtQ_Po/WugujwO5kYI/AAAAAAAACSQ/DoRhnqj5Y3EmbQ_on2sFmSSrsM_i6zRCwCLcBGAs/s1600/copertine.jpg

Kavalerists
01-05-18, 12:50
No, non l'ho conosciuta.

italicum
01-05-18, 12:56
No, non l'ho conosciuta.

Neppure io la conoscevo, visto anche che sono usciti solo 4 numeri a fine anni '90. Ma è spettacolare! Articoli molto interessanti!

LupoSciolto°
03-05-18, 15:53
Fa piacere che anche a "destra" qualcuno abbia scoperto l'importanza dell'opposizione al capitalismo, ma a parte alcuni nomi (Sorel, Strasser e in parte Thiriart) non condivido la rivalutazione del fascismo italiano né quella di soggetti come C.Z. Codreanu. Secondo me è necessario abbandonare ogni richiamo a un regime che è stato pappa e ciccia con la reazione e la corona, oltre che a figure equivoche, per rilanciare un modello che sia sì ispirato all'idea di nazione ma autenticamene anti-capitalista e libero da richiami nostalgici di qualsiasi tipo.

PS: Sposto la discussione nella thread "il filone nazionale" non per qualche strano motivo, ma perché è lo spazio deputato a dibattiti di questo tipo.

Lord Attilio
03-05-18, 16:40
Fa piacere che anche a "destra" qualcuno abbia scoperto l'importanza dell'opposizione al capitalismo, ma a parte alcuni nomi (Sorel, Strasser e in parte Thiriart) non condivido la rivalutazione del fascismo italiano né quella di soggetti come C.Z. Codreanu. Secondo me è necessario abbandonare ogni richiamo a un regime che è stato pappa e ciccia con la reazione e la corona, oltre che a figure equivoche, per rilanciare un modello che sia sì ispirato all'idea di nazione ma autenticamene anti-capitalista e libero da richiami nostalgici di qualsiasi tipo.

PS: Sposto la discussione nella thread "il filone nazionale" non per qualche strano motivo, ma perché è lo spazio deputato a dibattiti di questo tipo.Sorel è anche peggio dei trozkisti in quanto ad estremismo e settarismo.

Inviato dal mio HUAWEI VNS-L31 utilizzando Tapatalk

LupoSciolto°
03-05-18, 17:17
Sorel è anche peggio dei trozkisti in quanto ad estremismo e settarismo.

Inviato dal mio HUAWEI VNS-L31 utilizzando Tapatalk

Sorel era figlio del suo tempo e certamente espresse idee che oggi risultano obsolete.

Del filosofo francese, comunque, mi interessa l'anti-intellettualismo, lo spirito anti-accademico e alcune critiche alla democrazia borghese.

Talune di queste riflessioni, come sottolineò giustamente Preve, sono state riprese dall'ottimo J.C. Michéa.

LupoSciolto°
21-05-18, 17:25
Exclusive Fort Russ Interview With Mateusz Piskorski


https://4.bp.blogspot.com/-xkN83yNlqxI/VjoTzm9pvUI/AAAAAAAAAqg/13YcjT7qOME/s1600/8f7c1800738aa13d40fb5431384b28c9.jpg

Mateusz Piskorski is best known as the leader of the new Polish political party Zmiana (“Change”), deputy editor in chief at the European Center for Geopolitical Analysis, board member of the International Institute for Newly Established States, and as an ex-member of the Polish parliament (Sejm). His views on geopolitics, international relations, social movements, and anti-liberal ideologies are renowned in Poland, Russia, Ukraine, and other Eurasian states. He has participated in a number of observatory missions, including ones to Crimea and Donbass, and has been a featured guest at various conferences in Novorossiya.

Fort Russ’ J. Arnoldski had the opportunity to conduct an interview with Piskorski covering a number of controversial topics ranging from Poland’s geopolitical situation to Zmiana, the information war, European and Eurasian integration, and more.

The program and platform of Zmiana, published for the first time in English, can be found below.

Many of our Western readers express significant pessimism or even hostility when they read about the geopolitical situation and loyalty of Poland as a state in the context of the global confrontation between the US and Russia. As is obvious in our comment section, many people think that all Poles are hopeless Russophobes and pawns of the Atlanticists. What would you like to say or explain to such people with such views? Is there really a difference between the policies of the Polish state and the attitudes of ordinary Poles?

According to recent public opinion polls, only 33% of Poles believe that NATO is a guarantor of military security for Poland. The rest either have no opinion on this issue or are convinced that the alliance is an unreliable organization. Over the past two years, opposition among various social groups to the media manipulation employed in Poland as part of the information war against Russia has grown. Entrepreneurs want to do business with Russia, farmers want to sell their goods there, and ordinary people do not see the slightest threat in the Russian Federation. It is sufficient to analyze the comments on Polish foreign policy under articles across the Polish-language internet. The majority of them are so sharp that we won’t quote them here. The political class in Poland is clearly divorced from the opinions of the majority of Poles on foreign policy matters. This class is guided by the formula once put forth by the leader of Polish National Democracy, Roman Dmowski: “They hate Russia more than they love Poland.” Politicians senselessly repeat the opinions of their guru, Zbigniew Brzezinski, forgetting that he expresses the interests of the United States and that he is an American, not a Polish citizen.

One could rightly pose the question: why does the Atlanticist option consistently win Polish elections? The answer is simple: in the order of problems which are most important for the ordinary citizen, foreign policy is somewhere far behind. They value internal political, economic, and social issues more. It’s sufficient to look how much space in the mainstream media these questions occupy in Poland, and how much they do in Germany, France, or other European countries. In Poland, they don’t arouse emotions. This, of course, does not in any way mean that there is better political consciousness in Polish society, and here years of retardation brought about by the Polish educational system after 1989 plays its role.

You are the leader of the new political party Zmiana (Change), which calls itself the “only true opposition” and the “first non-American party in Poland.” Mainstream media call it the “party of the Russian Fifth Column in Poland.” Could you describe the origins, mission, and main activities of Zmiana? Where does Zmiana see its role on the Polish political scene?

Zmiana is a project of people from anti-system opposition groups which have joined together in opposing the economic (neo-liberal and monetary), social (avoiding responsibility for a citizen’s fate, privatization of public services), and foreign (Atlanticist and neo-conservative) policies [of the Polish state]. At this stage, our activities involve raising the issues silenced by the establishment: poverty, the liquidation of the Polish economy, and subordination to international capital and American occupation.

The origins of the party and the idea for its founding appeared in 2014 after my return from an observatory mission to the referendum on the Crimean peninsula. Then, I had dozens of meetings and lectures in various regions of the country. We held discussions with very different people and everyone insisted that expert and journalistic activities should come around to politics. In this sense, Zmiana is an entirely grassroots movement.

It is not my personal project, but a response to the specific needs of Polish society. I became the party’s face only because of the recognition and controversy which I aroused many years ago as a parliamentarian. The place of the party on the political scene is currently the role of the anti-system opposition, not only criticizing the current reality (as protest movements do), but also proposing a completely new system in the economic sphere, social policy, ownership structures and international relations.

What troubles and obstacles has Zmiana encountered since its founding?

We will not complain, because it is obvious that the establishment reacts to us as a virus which could potentially lead to illness and death. We were aware of this from the very beginning. They thwarted our participation in this year’s parliamentary elections, but this is nothing terrifying – there will be more elections and we will certainly not let them forget about us.

In your article which was recently translated and published on Fort Russ, you described the necessity of Poland leaving NATO. In what way does Zmiana plan to promote such an initiative?

We are considering a referendum initiative on this issue. In July, 2016, the NATO summit will be hosted in Warsaw. This will be a great opportunity not only for protests, but also for attempting to hold substantive debates. Why NATO? We will try to initiate such a debate. Exiting NATO is the sine qua non condition of the sovereignty of the Polish state. We want this point of view brought to as many Poles as possible. And in the right circumstances, we want to initiate the procedure for Poland exiting this international organization in agreement with the procedure laid down in the North Atlantic Treaty. We will also protest against the presence of American troops on Polish territory in the context of the planned creation of US Army bases in five places on our territory. We are the only political force to have organized this type of protest in August in Lask near Lodz, and it was met with unexpected support from local residents. We want to introduce an absolute prohibition on the stationing of any units of foreign armed forces on Polish territory.

If Poland was liberated from its current Atlanticist geopolitical orientation, how do you envision a Poland freed from American colonization? Would Poland have closer relations with Russia? Would Poland continue to be part of the European Union? Is the integration of Central and Eastern European states between the European and Eurasian Unions a realistic or ideal possible alternative?

Poland should maintain good relations with all countries with whom cooperation is profitable for us from an economic point of view. We intend to bring an “economization” to Polish foreign policy. If an alliance with a given country strengthens the Polish economy and promotes the creation of new jobs, then this means that it is beneficial for us. Economic cooperation not only with Russia, but with the entire Eurasian Union, is something perfectly natural.

Another multi-vectored, rational policy would be setting up cooperation with China and other BRICS countries. The European Union requires deep reforms and transformation from a neo-liberal club for the rich politically subordinated to Washington into an independent, integrated bloc closely cooperating with the Eurasian Union. Beside this, the EU should return to a European social model which offers every citizen of each of the member states a defined sense of social and economic security.

We will run in elections for the European Parliament with the slogan “For an independent and social Europe.”

Some say that Poland can’t exist independently of both the Eurasian Union and European Union at the same time, regardless of whether we’re dealing with the conditions of a unipolar or multipolar world. When I first met with supporters of Zmiana in Wroclaw, this was an important question up for discussion. What do you have to say on this subject?

A condition for approaching deliberations on this subject is achieving at least relative sovereignty from American hegemony. At the moment, Poland doesn’t have the opportunity to pursue an independent economic policy outside of the European Union. I think that we should try to change this union in the direction desired by us, and only then is it possible to think about the further participation of Poland in this integration bloc.

I’d like to recall that Poland finds itself in the Grossraumwirtchaft zone (the large economic area) of Germany and it is dependent on ties with the German economy. The process of gaining independence and economic re-orientation would take many years. Therefore, the most favorable option for us is to remain in the European Union under the condition that it will seek closer cooperation with the emerging Eurasian Union. Poland would be a part of this large space from Vladivostok to Lisbon.

In the founding documents of Zmiana, it’s written that when Poland was a member of the Eastern Bloc, it was under the rule of Moscow, but now that Poland is a part of the “Western Bloc,” it is under Washington’s rule. It’s written there that Poland was more “independent” then than now. Can you expand on this thought?

More than 5,000 enterprises employing more than 1,000 people each were built out of the rubble of war between 1945 and 1989. After 1989, most of them were liquidated, and in their place appeared 500 new ones which violated workers’ rights and were owned by foreign capital. People’s Poland had an industrial policy. It also had limited sovereignty on the international arena, especially after 1956, which was connected not only with the process of de-Stalinization but also with the character and achievements of the First Secretary of the Central Committee of the Polish United Workers’ Party between 1956 and 1970, Wladyslaw Gomulka. Polish troops did not participate in the Soviet Union’s operations in Afghanistan or Angola. Yet they were sent to Afghanistan and Iraq by NATO. During the Stalinist period, NKVD torture sites existed on our territory, but later they went away. At the beginning of the 21st century, torture sites operated by foreign intelligence, the CIA, appeared in Poland. Comparing these two periods, whether we like it or not, it turns out that things are in favor of People’s Poland.

You have written much about the fact that we are now witnessing a global confrontation between the Atlanticists, who want to maintain a unipolar world under American domination, and those countries and forces which are fighting for a multipolar world. Some say that a sort of “hybrid war” is ongoing. In your opinion, which front in this war is the most important? Is it the war in Ukraine? Syria? Is it the information war? Is it diplomacy on the international level, such as at the UN? Is it economic competition?

All of these fronts have great significance. Ukraine is an attempt at stabbing the heart of the Eurasian Bloc. The attempt to take over the [Ukrainian] state by the Atlanticists is a declaration of war against Eurasia. In Syria, there is a clash between the bloc of secular Arab nationalism and the Wahhabi bloc, which is a project of the USA in the framework of the idea of the so-called Greater Middle East. On the doctrinal level, these conflicts are a reflection of a clash between the concept of a multipolar world and the hegemonic order usurped and dominated by Washington.

For us, for Poland, as for other medium-sized countries, a multipolar order will always offer more opportunities than a unipolar world. The Syrian and Ukrainian conflicts are reflected on the level of the UN (whose significance as a regulator of international order, and whose basic rules such as the right of nations to self-determination, respect for sovereignty, and non-interference in countries’ internal affairs, are broken and compromised by the US), as well as in the information war, where we observe attempts to impose a hegemonic discourse on the whole world, the conviction behind which is that the interests of the ruling elites (let’s recall that, according to the classical dissertation of Charles Wright Mills, this is not the American people, but a small group of around 500 oligarchical families governing the United States) are identical with the interests of all the nations, cultures, and civilizations of the world.

The next scene of the conflict which Carl Schmitt described in terms of the war between land and sea is unfolding before our very eyes.

Which front is most important in Poland for those fighting for a multipolar world?

Given the fact that Poland is not a subject, but rather an object in diplomatic competition and military operations, the information front is certainly the most essential. The information space of Poland is today entirely dominated by the Atlanticist narrative. On the one hand, this is supported by media connected with the state, and on the other hand, media which belongs to international capital. For example, the television channel TVN was recently taken over by the American Scripps Networks Interactive. The alternative to this vast propaganda machine is extremely modest: a few dozen internet portals and a few publications. In terms of the information war, we can say that Poland today is a territory completely dominated by the Atlanticist option.

Can you briefly describe your personal political ideology for those from the West who know almost nothing about you?

I am in favor of a strong state active in social and economic affairs and a sovereign state, which I recognize as a condition for pursuing any impactful, directed policies. I avoid any pigeonholing of my views. I believe the division between left and right in current circumstances to be fuzzy and illusory. The basic division in modern times, as the German sociologist Ferdinand Tönnies famously described years ago, is the division between supporters of community (Gemeinschaft) and supporters of the marketed open society (Gesselschaft). Without a doubt, in contrast to treating society as a bazaar, the concepts of communitarianism are close to me.

Do you have any last words for our English-language viewers and sympathizers?

I invite everyone to Poland. Your support for our initiatives really means a lot to us. Every voice coming from the West is treated here as having more weight than Polish voices criticizing the present order. I also guarantee that conversations with Poles will convince you that this is a nation with very different views on international affairs which are often quite far from the stereotype of a Pole as a Russophobe fascinated with everything that is American.

_____________________

“Declaration of program”

CHANGE – WE ALL WANT IT!

The massive departure of Polish youth to the West in search of a better life, 14% of citizens of working age without work, furious attacks by capital on labor rights, the degradation of Polish agriculture, the impoverishment of pensioners, a lack of prospects for young people in the country – all of this makes putting an end to anti-human capitalism necessary as quickly as possible!

The aggressions against Iraq and Afghanistan, servitude to slowly-decaying American hegemony, the “check-ins” of “Polish” rulers at the US embassy, the setting of Ukraine on fire by pseudo-elites, the betrayal of Polish interests for lucrative jobs in international institutions – these are sufficient reasons to demand a sovereign Poland!

In response to the lack of existing alternatives on the Polish political scene, we have resolved to declare the founding of ZMIANA. This is not another “political party” in the service of capital, not a narrow interest group, and not a corporation managing the emotions of Poles.

Our goal is a CHANGE of politics, not a cosmetic surgery, but a deep uprooting of the disgraced structures of the anti-social system. CHANGE means replacing this system with a new regime, built for the people and by the people. Citizens must once again have control over their destiny and have the final say in public affairs. This is CHANGE.

ZMIANA demands, among other things:

Poland’s immediate departure from NATO structures in order to rebuild our defense forces and defense industry, properly take care of our own interests, and peacefully coexist with our neighbors
the nationalization and socialization of strategic industries, as without state ownership of the banks, raw materials, and production, we are deprived of social security and real sovereignty
the creation of conditions for a dignified life for every citizen, the introduction of an equitable taxation system, the creation of a safety-net for the most vulnerable, and eliminating unemployment through the reindustrialization of the country
taking care of Polish agriculture in order to guarantee healthy Polish food before GMO imports, and ensuring the profitability of agricultural production
the introduction of a clear system of governance which clarifies the responsibilities and competence of authorities, since only with efficient state organs complemented by real instruments of direct democracy can there be an emanation of the will of citizens
ZMIANA is the response of Polish society to the ignorance and arrogance of the current authorities and “elite” of the Republic of Poland. It is a movement for a genuine alternative to the direction in which Poland is currently heading. It is a force which restores the people’s right to work, to the co-management of the state and its assets, and tearing away from the policies of the disgraced minions of capital.

ZMIANA will pursue its demands through participation in all decision-making processes, self-organization, as well as active social work, not excluding radical forms of resistance.

ZMIANA is all of us, except for the small group of thieves abounding in luxury and privileges!

ZMIANA is the only opposition!

“Ideological declaration”


ZMIANA bases its system of values on the traditions of different political trends appealing to the ideas of social justice and concern for human dignity.
ZMIANA represents the interests of working people, the unemployed, youth, and pensioners.
ZMIANA is a democratic force which strives for social liberation and the empowerment of society through the self-organization of citizens and the participation of the representatives of working people in all decision-making processes at the state, local, community, and workplace levels.
ZMIANA is an anti-capitalist force, because capitalism is a system which enslaves the individual and leads to the impoverishment of the vast majority of the population as a result of the exploitation of working people hired in the interests of a small group of the rich and the neo-colonial exploitation of weaker countries by imperialist powers.
ZMIANA is a patriotic force, because only by regaining Poland’s sovereignty and liberating the country from the domination of the structures of big capital and the imperialist powers is it possible to improve the material well-being of wide circles of Polish society.
ZMIANA is an internationalist force, because only through the common struggle of working people of different nationalities is it possible to equally distribute the material goods created by working people, and not the holders of capital, and overcome the enslavement of all of mankind by the capitalist system.
ZMIANA is a party of identity because it supports the rights of nations, peoples, ethnic, religious, and social groups to develop and maintain their own unique identities, including the right to defend themselves from being destroyed by globalization and neo-liberalism.
ZMIANA is a party of peace, because only in the conditions of cooperation and friendship with neighbors and all the peoples of Europe “from the Atlantic to Vladivostok” is it possible to build a secure future for our country.
ZMIANA is a progressive force, because it favors the emancipation of the individual in the context of modern society and the unhindered development of science, technology, culture, and art.
ZMIANA is committed to realizing the constitutional principles of social justice and the guarantee of a stable, dignified, and peaceful material existence for all citizens of the Republic of Poland by building a social state which assumes the priority of collective forms of ownership of the means of production (cooperative, state, and municipal) while guaranteeing the rights of small private property.
ZMIANA considers human rights a priority, including the right to work, decent wages, housing, free health care and education, decent insurance for old age, procreation, a clean environment, and access to drinking water and healthy food.
ZMIANA is movement for a better future while respecting the achievements of our parents and grandparents’ generations who, in difficult post-war conditions, rebuilt and developed the country, transforming Poland into an industrial state. Our industry is the basis of social welfare, and therefore ZMIANA opposes the policy of liquidating Polish manufacturing and the privatization and re-privatization of social assets.
If you share these values and demand SOCIAL CHANGE, join us!

“Who are we?”


We are people who come from very different social and political groups. We are people who have joined together to oppose the transformation of our state into a semi-colonial market for Western production and reservoir of cheap labor for Western corporations. The comprador elites who took back power in our country after 1989 have for 25 years plundered what once belonged to all of us and hypocritically named this “freedom”, when in reality we are dealing only with the freedom of the fox in the henhouse.

We are people who care about the future of our country and its citizens. Therefore, despite the many differences that divide us, we have resolved to create a party and work together for the common good. At a time when Polish youth are unable to find decent work and are leaving Poland en masse, and according to statistics 16 people commit suicide daily for economic reasons, we don’t have time for less important disputes and divisions which the authorities, using the rule “divide and conquer”, initiate and use against us so that we are divided, weak, and incapable of resisting their next anti-social moves.

What are we about and where are we going?


Our goal is to regain the sovereignty of our Fatherland.

Anti-human capitalism, in its worst, neo-liberal form, has deprived us working people not only of dignity but also of the material foundations for the existence of the state, the assets of which the elites of the Third Polish Republic looted, sold off, or simply destroyed so that our country wouldn’t pose any competition to the developed economies of the West. Without the re-nationalization and socialization of key industries and banks of our economy, there can be no talk of real sovereignty. Without regaining lost sovereignty, economic development, the development of science and culture, and our own economic and social policies consistent with the public interest are not possible.

Our goal is the actual Polish raison d’etat, and not the interests of the comprador elites and their overseas patrons.

We are the first non-American party in Poland. All governing groups in power since the so-called “changes” today go to Washington for instructions. Only the direction has changed, because previously these instructions were received in Moscow.

However, there is much less sovereignty today, because in the times of the Polish People’s Republic, Polish industry actually belonged to Poland, and thanks to this our country could run its own social and economic policies. We do not agree to the role of Poland as a watchdog of America, which, contrary to its own, vital interests, and in accordance with the interests of the empire, is not and does not want to maintain good relations with all our neighbors, especially with Russia and Belarus, which is very near to us. The Polish economy, Polish society, and our security as a country at a crossroads lose with this adventurism which is responsible for many of today’s wars of NATO and Russia.

We are a party of peace


Unlike the other remaining parties, which more or less use war rhetoric instead of dialogue, we are a party of peace. We want to reorient Polish foreign policy in accordance with the Polish raison d’etat, which means good and friendly economic, cultural, and interpersonal relations with all our neighbors. For obvious reasons, with Russia as well, whose markets have been very restricted for us by the policies of the Polish elite, and especially with Belarus, which is particularly close to us historically and culturally. In order to change this, people such as us and you have to take an interest in politics. We cannot escape from politics. When we, society, are silent, politics takes an interest in us and our lives, and we are only its subject. Change our country with us! We invite you to Zmiana!

https://www.fort-russ.com/2015/11/exclusive-fort-russ-interview-wi/

LupoSciolto°
27-07-18, 20:46
Un libro (in inglese :snob:) sulla controversa figura di Georges Valois

https://books.google.it/books?id=ziZ7zYRZTYIC&pg=PA151&lpg=PA151&dq=georges+valois+private+property&source=bl&ots=jIazB23kHq&sig=32b7BhBHg_RnMcYVbrc7UsoQAS0&hl=it&sa=X&ved=2ahUKEwjhn9628LrcAhUTdcAKHZhnCfUQ6AEwAnoECAEQA Q#v=onepage&q&f=false

Kavalerists
11-10-18, 19:03
D?Annunzio le magnifique (http://rebellion-sre.fr/dannunzio-le-magnifique/)

LupoSciolto°
26-11-18, 12:26
German National Bolshevism from 1918 to 1932 – Karl O. Paetel – Aussenpolitik April 1952


https://niekischtranslationproject.wordpress.com/tag/karl-otto-paetel/

Lèon Kochnitzky
26-11-18, 19:51
Ma i nazi-bol di Niekitsch, così come gli strasseriani, che vengono considerati di "sinistra", che posizioni avevano rispetto al razzismo e al biologismo del nazismo? E' da anni che cerco informazioni del genere ma non trovo nulla

LupoSciolto°
26-11-18, 21:19
Ma i nazi-bol di Niekitsch, così come gli strasseriani, che vengono considerati di "sinistra", che posizioni avevano rispetto al razzismo e al biologismo del nazismo? E' da anni che cerco informazioni del genere ma non trovo nulla

I nazionalcomunisti come Niekisch e Karl Otto Paetel consideravano negativamente solo l'alta finanza ebraica (tanto è vero che Paetel sposò una donna ebrea). Gli Strasser ... dipende dal periodo. Inizialmente erano antisemiti come tutti i membri del partito nazista, poi Otto prese posizione contro la campagna razzista di Julius Streicher , definendola "oscena". Da lì in avanti, Otto Strasser non si fece molti problemi riguardo il "pedigree"dei propri collaboratori. Helmut Hirsch , membro dello Schwarze Front e attentatore di Hitler, era ebreo.

Lèon Kochnitzky
26-11-18, 23:31
bisogna comunque dire che il nazionalbolscevismo, così come il socialismo nazionale, ha avuto sempre troppi legami con il nazional-socialismo e quel filone lì, anziché tenerli attivi con il socialismo e il marxismo. Alla fine, la teoria del socialismo in un paese solo potrebbe già essere nazional-bolscevismo, il punto è che sappiamo bene che il NB si nutre di quelle suggestioni tipiche dell'estrema destra, tinta di rosso. Non so se mi spiego. Secondo me il socialismo rivoluzionario patriottico non dovrebbe pescare in quel brodo (come purtroppo hanno fatto sia Niekitsch che Limonov e simili) ma rimanere dei socialisti con un grande amore patriottico e basta. Ma so che tu mi hai compreso.

Lord Attilio
27-11-18, 00:20
bisogna comunque dire che il nazionalbolscevismo, così come il socialismo nazionale, ha avuto sempre troppi legami con il nazional-socialismo e quel filone lì, anziché tenerli attivi con il socialismo e il marxismo. Alla fine, la teoria del socialismo in un paese solo potrebbe già essere nazional-bolscevismo, il punto è che sappiamo bene che il NB si nutre di quelle suggestioni tipiche dell'estrema destra, tinta di rosso. Non so se mi spiego. Secondo me il socialismo rivoluzionario patriottico non dovrebbe pescare in quel brodo (come purtroppo hanno fatto sia Niekitsch che Limonov e simili) ma rimanere dei socialisti con un grande amore patriottico e basta. Ma so che tu mi hai compreso.

Ma a cosa ti servono tutti questi gruppi di confusionari quando ci sono i vietnamiti e i nordcoreani. Loro hanno fatto la rivoluzione socialista e nazionale senza immischiarsi con pattume celtico e teorie del sangue e del suolo. Se sei interessato al socialismo con venature patriottiche, studiati il loro esempio.

LupoSciolto°
27-11-18, 01:46
bisogna comunque dire che il nazionalbolscevismo, così come il socialismo nazionale, ha avuto sempre troppi legami con il nazional-socialismo e quel filone lì, anziché tenerli attivi con il socialismo e il marxismo. Alla fine, la teoria del socialismo in un paese solo potrebbe già essere nazional-bolscevismo, il punto è che sappiamo bene che il NB si nutre di quelle suggestioni tipiche dell'estrema destra, tinta di rosso. Non so se mi spiego. Secondo me il socialismo rivoluzionario patriottico non dovrebbe pescare in quel brodo (come purtroppo hanno fatto sia Niekitsch che Limonov e simili) ma rimanere dei socialisti con un grande amore patriottico e basta. Ma so che tu mi hai compreso.

Questo discorso vale SOLO per Limonov e Dugin. Niekisch fu anti-nazista e pagò con la prigionia.

LupoSciolto°
27-11-18, 01:48
Ma a cosa ti servono tutti questi gruppi di confusionari quando ci sono i vietnamiti e i nordcoreani. Loro hanno fatto la rivoluzione socialista e nazionale senza immischiarsi con pattume celtico e teorie del sangue e del suolo. Se sei interessato al socialismo con venature patriottiche, studiati il loro esempio.

No, lui è un socialista libertario di tipo proudhoniano. Non ama le sfilate delle guardie rosse né i casermoni sovietici. C'è di buono che è anticapitalista (e qua, a parte due famosi trotskisti, ascoltiamo tutti gli anticapitalisti).

Lord Attilio
27-11-18, 02:32
No, lui è un socialista libertario di tipo proudhoniano. Non ama le sfilate delle guardie rosse né i casermoni sovietici. C'è di buono che è anticapitalista (e qua, a parte due famosi trotskisti, ascoltiamo tutti gli anticapitalisti).

Infatti mi sta simpatico e ci chiacchiero amabilmente. Però pure tutte le robe che cita tipo Fiume o i nazbol hanno la passione per l'esercito e financo per la disciplina, dunque non vedo dove starebbe il problema con lo Juche e i vietnamiti.

Lèon Kochnitzky
27-11-18, 15:03
Ma a cosa ti servono tutti questi gruppi di confusionari quando ci sono i vietnamiti e i nordcoreani. Loro hanno fatto la rivoluzione socialista e nazionale senza immischiarsi con pattume celtico e teorie del sangue e del suolo. Se sei interessato al socialismo con venature patriottiche, studiati il loro esempio.

Sui nordcoreani mi sono già espresso e credo che siano, sul piano della visione dello stato più vicini al nazismo che al socialismo (anche patriottico).
Gli altri non so, non ho approfondito.

Lèon Kochnitzky
27-11-18, 15:05
Questo discorso vale SOLO per Limonov e Dugin. Niekisch fu anti-nazista e pagò con la prigionia.

Si, ma non penso che Niekisch fosse bolscevico nel senso marxista del termine. Veniva (come Junger e gli altri) dalla rivoluzione conservatrice, che attingeva già nel mare magnum della destra. Io, ma temo di non spiegarmi bene, intendo proprio uno che si rifà, che ne so, a Castro o Guevara, per dire, ed è anche nazionalista. E' già quello "nazionalbolscevismo", non occorre andare a pescare nelle teorie superomiste della destra reazionaria, coma fa il nazionalcomunismo "ufficiale". Questo intendo. Se fai una ricerca su quel mondo, gira che rigira, troverai sempre richiami a qualcosa che riguarda il nazionalsocialismo e le sue visioni (già solo la bandiera che somiglia a quella nazi)

Lèon Kochnitzky
27-11-18, 15:08
No, lui è un socialista libertario di tipo proudhoniano. Non ama le sfilate delle guardie rosse né i casermoni sovietici. C'è di buono che è anticapitalista (e qua, a parte due famosi trotskisti, ascoltiamo tutti gli anticapitalisti).


Infatti mi sta simpatico e ci chiacchiero amabilmente. Però pure tutte le robe che cita tipo Fiume o i nazbol hanno la passione per l'esercito e financo per la disciplina, dunque non vedo dove starebbe il problema con lo Juche e i vietnamiti.
Io non sono ne' antifascista ne' anticomunista, e comunque, sia i socialisti di sinistra che quelli di dx, hanno attinto al mondo proudhoniano e del socialismo pre scientifico. La mia visione è un sincretismo di anarchia nietzscheana e figura demiurgica (come a Fiume), per cui sono distante sia dalle zecche che dai fascisti amici di re e capitalisti. Ma non ho mai nascosto una profonda fascinazione per il socialismo nazionale, come sto spiegando ora, non quello con le bandiere bianche rosse e nere che strizza l'occhio ai nazi, ma il vero e proprio socialismo della sua tradizione.

LupoSciolto°
27-11-18, 16:32
Si, ma non penso che Niekisch fosse bolscevico nel senso marxista del termine. Veniva (come Junger e gli altri) dalla rivoluzione conservatrice, che attingeva già nel mare magnum della destra. Io, ma temo di non spiegarmi bene, intendo proprio uno che si rifà, che ne so, a Castro o Guevara, per dire, ed è anche nazionalista. E' già quello "nazionalbolscevismo", non occorre andare a pescare nelle teorie superomiste della destra reazionaria, coma fa il nazionalcomunismo "ufficiale". Questo intendo. Se fai una ricerca su quel mondo, gira che rigira, troverai sempre richiami a qualcosa che riguarda il nazionalsocialismo e le sue visioni (già solo la bandiera che somiglia a quella nazi)

Niekisch fece parte dell'SPD e poi dell'USPD, aderendo alla Repubblica Sovietica bavarese. Altro nazionalcomunista distante, da sempre, dalla destra è Gennady Zjuganov autore di "Stato e Potenza".

Lèon Kochnitzky
27-11-18, 17:54
Va bene Lupo, ma Niekisch,comunque, aveva rapporti con la sinistra del NSDAP o sbaglio? Diverso è il discorso di Zjuganov, che invece è un nostalgico dell'URSS in chiave nazionalista, e quindi un socialista nazionale come intendo io.

Anche perché, scusate (forse non è il 3d adatto), se si parla di SOCIALISMO nazionale, che c'entrerebbe, poi, ipso facto,con il corporativismo da cui una certa sinistra fascista è attratta? Di quel mondo, ammiro la carica antiborghese e anticapitalista, che poi però nei fatti diviene padronale, nella sostanza, perche' non nega la proprietà privata dei mezzi di produzione (che invece Proudhon non voleva, e la s.f. si richiama a lui). Così come il lavoro autogestito.

LupoSciolto°
27-11-18, 18:05
Va bene Lupo, ma Niekisch,comunque, aveva rapporti con la sinistra del NSDAP o sbaglio? Diverso è il discorso di Zjuganov, che invece è un nostalgico dell'URSS in chiave nazionalista, e quindi un socialista nazionale come intendo io.



Aveva rapporti con nazionalrivoluzionari come Ernst Junger. Ma non era qualcosa di anomalo per i tempi: Karl Radek, esponente comunista, affermò che la rabbia dei Freikorps era proletaria e andava incanalata in una direzione anti-capitalista e socialista. Lo stesso KPD assunse posizioni ancora più nazionaliste della NSDAP sulla questione del Sud Tirolo. Per concludere: ritengo inopportuno collegare l'immagine di Niekisch al nazismo.

Lèon Kochnitzky
27-11-18, 18:06
Aveva rapporti con nazionalrivoluzionari come Ernst Junger. Ma non era qualcosa di anomalo per i tempi: Karl Radek, esponente comunista, affermò che la rabbia dei Frei Korps era proletaria e andava incanalata in una direzione anti-capitalista e socialista. Risulto inopportuno collegare l'immagine di Niekisch al nazismo.

Ok. In effetti, in quegli anni i fermenti erano trasversali e lo dimostrano esempi come Fiume e San Sepolcro (ed anche il nazional-sindacalismo). Cose certamente impensabili oggi.

LupoSciolto°
27-11-18, 18:10
Anche perché, scusate (forse non è il 3d adatto), se si parla di SOCIALISMO nazionale, che c'entrerebbe, poi, ipso facto,con il corporativismo da cui una certa sinistra fascista è attratta? Di quel mondo, ammiro la carica antiborghese e anticapitalista, che poi però nei fatti diviene padronale, nella sostanza, perche' non nega la proprietà privata dei mezzi di produzione (che invece Proudhon non voleva, e la s.f. si richiama a lui). Così come il lavoro autogestito.

No, il socialismo patriottico non ha nulla di corporativistico , con buona pace di chi ci crede, ma tende al socialismo. O quello marxista leninista o quello terzista (nasserismo, baat'hismo, peronismo di sinistra).

LupoSciolto°
27-11-18, 18:12
Ok. In effetti, in quegli anni i fermenti erano trasversali e lo dimostrano esempi come Fiume e San Sepolcro (ed anche il nazional-sindacalismo). Cose certamente impensabili oggi.

Fiume era una cosa, San Sepolcro (finanziata da Confindustria e dalla figura di Cesare Goldmann) un'altra. I legionari fiumani fedeli a D'Annunzio , spesso e volentieri vennero "alle mani" con gli squadristi fascisti.

LupoSciolto°
27-11-18, 19:25
Comunque io non è che abbia idee talmente distanti da quelle di Ticonderoga.

Anch'io credo nell'autogestione del lavoro e nella democrazia municipale.

Però è necessario anche uno stato e un esercito per difendere queste grandi conquiste socialiste e democratiche (democrazia sostanziale, non l'odierna plutocrazia capitalista).

Un simile pensiero ha trovato parziale concretizzazione nella breve impresa di Fiume che, tra le tante cose, riconobbe la nascente Unione Sovietica.

Però oggi siamo nel 2018 e dobbiamo guardare ad esperienze più recenti (Fat.Sin.Pat. o le politiche partecipative sostenute dai bolivaristi).

Lèon Kochnitzky
27-11-18, 22:35
Fiume era una cosa, San Sepolcro (finanziata da Confindustria e dalla figura di Cesare Goldmann) un'altra. I legionari fiumani fedeli a D'Annunzio , spesso e volentieri vennero "alle mani" con gli squadristi fascisti.

Vero, molti arditi rifiutarono di entrare nel Fascismo, ma nel programma del '19 si parla di confisca dei beni e nazionalizzazioni, quindi c'è una componente sociale abbastanza marcata. Ovviamente gli industriali guardavano con favore al fascismo perche' da subito si era detto anti-bolscevico (proponendo la Terza Via)

Lèon Kochnitzky
27-11-18, 22:39
Comunque io non è che abbia idee talmente distanti da quelle di Ticonderoga.

Anch'io credo nell'autogestione del lavoro e nella democrazia municipale.

Però è necessario anche uno stato e un esercito per difendere queste grandi conquiste socialiste e democratiche (democrazia sostanziale, non l'odierna plutocrazia capitalista).

Un simile pensiero ha trovato parziale concretizzazione nella breve impresa di Fiume che, tra le tante cose, riconobbe la nascente Unione Sovietica.

Però oggi siamo nel 2018 e dobbiamo guardare ad esperienze più recenti (Fat.Sin.Pat. o le politiche partecipative sostenute dai bolivaristi).
a dirti la sincera verità non ho mai negato il ruolo dello stato, pur provenendo da posizioni libertarie tipo quelle di Proudhon (che a sua volta ispirò i sindacalisti rivoluzionari ma anche chi ben sappiamo), semplicemente, condivido la visione un po' utopica e un po' romantica, che ritroviamo prima a Fiume, ma se leggiamo le pagine delle sue opere, anche in alcuni testi di Limonov del periodo PNB, di suddividere la nazione in comuni libere che si autoregolano su vari temi (modello nazional-anarchismo), ma che rispondono, comunque, ad un'entità centrale che dove deve intervenire interviene (economia municipalizzata come Proudhon ok, ma se i capitalisti sconfinano troppo, deve intervenire lo stato). Oltre tutto io credo che per un periodo, lo Stato deve "abituare" le masse alla libertà, come viene anche raccontato nel Libro Verde, per poi giungere a una democrazia diretta. Tutto questo E' socialismo e può essere anche nazionalista
In quanto all'esercito, come sai, io sono per l'abolizione e per un esercito popolare autonomo, altrimenti che socialismo è?

LupoSciolto°
28-11-18, 12:19
a dirti la sincera verità non ho mai negato il ruolo dello stato, pur provenendo da posizioni libertarie tipo quelle di Proudhon (che a sua volta ispirò i sindacalisti rivoluzionari ma anche chi ben sappiamo), semplicemente, condivido la visione un po' utopica e un po' romantica, che ritroviamo prima a Fiume, ma se leggiamo le pagine delle sue opere, anche in alcuni testi di Limonov del periodo PNB, di suddividere la nazione in comuni libere che si autoregolano su vari temi (modello nazional-anarchismo), ma che rispondono, comunque, ad un'entità centrale che dove deve intervenire interviene (economia municipalizzata come Proudhon ok, ma se i capitalisti sconfinano troppo, deve intervenire lo stato). Oltre tutto io credo che per un periodo, lo Stato deve "abituare" le masse alla libertà, come viene anche raccontato nel Libro Verde, per poi giungere a una democrazia diretta. Tutto questo E' socialismo e può essere anche nazionalista
In quanto all'esercito, come sai, io sono per l'abolizione e per un esercito popolare autonomo, altrimenti che socialismo è?

Nelle tue parole ritrovo certamente De Ambris, ma anche Berneri e F.S. Merlino. Sei un socialista libertario ma pragmatico (anche Berneri arrivò a teorizzare uno "stato minimo", perché era e rimane impossibile basare tutto sull'autogoverno) , ovviamente non ami il dogmatismo di SceMik e di altri preti del libertarismo con le chiappe al caldo.

Lèon Kochnitzky
28-11-18, 16:34
Si, credo tu abbia sintentizzato alla perfezione il mio pensiero Berneri, così come il gradualismo malatestiano, sono ascrivibili alla mia visione dell' anarchia. Però sono un razionale, per cui in me manca l'escatologia tipica dell'anarchismo progressista, per cui inevitabilmente si deve realizzare domani. Per me, potrebbe anche essere che ci vogliano altri tre secoli (anzi, molto probabilmente è così), perché il mio libertarismo si nutre anche molto di scientismo, per cui sono convinto che con l'evoluzione tecnologica, un giorno sia il lavoro che la gerarchie saranno superabili. Naturalmente, il mio modello di stato "provvisorio" si avvicina più a quello della Fiume dannunziana che a quello fascista o socialista comunista. Uno stato che è autorevole, se serve, in economia, o nel campo della sicurezza, ma che lascia gradualmente ampio terreno ai cittadini di autonomia organizzativa (per esempio, chi ha detto che le ronde siano una cosa fascista? Una società non può essere libertaria se non è garantita una sicurezza di base e nella mia prospettiva è meglio se se ne occupano liberi cittadini).
Detto questo, la questione è che io subisco fascinazioni ad ampio spettro, per cui non ho mai negato l'attrazione ne' verso l'impresa fiumana e l'arditismo, ne' verso il sansepolcrismo e il bombaccismo, che entrambi hanno filtrato con chi sappiamo. Ma resto, comunque, nel campo della sinistra economica , ne' mai mi riterrò di destra.

Lèon Kochnitzky
28-11-18, 16:45
Ps. con scevik e kombagni non condividerò mai la visione pro-migrazioni selvagge e anti-nazionale (sebbene sul concetto di nazione non sono sempre in linea col nazionalismo ottocentesco). Questo è assodato. Creare una società socialista e, se si vuole, libertaria, non vuol dire creare una grande Woodstock dove ognuno fa ciò che vuole. Senza contare che, per qualunque socialista, sia esso pure vicino al fascismo, è imprescindibile una lotta anti-capitalista, sotto qualunque forma, soprattutto etica e ideologica.

LupoSciolto°
28-11-18, 18:04
Non condivido il tuo giudizio sul primo e sull'ultimo fascismo, tuttavia vorrei porti alcune domande. Sei a favore di municipi indipendenti amministrati tramite democrazia diretta come, per esempio, l'YGP curda o alcune zone del Chiapas "governate" dagli zapatisti?

Come difenderesti un territorio socialista e libertario da possibili invasioni di eserciti imperialisti?

Ci sarebbero frontiere o , comunque, confini?

Come potrà essere organizzato il sistema giudiziario e penale? So che i libertari hanno orrore del carcere e , sinceramente, non ho mai capito qual è l'alternativa che propongono. Soprattutto in caso di omicidi efferati, stupro ecc...

Lèon Kochnitzky
28-11-18, 19:31
nulla, ho scritto male puoi cancellare?
riformulo meglio più tardi

LupoSciolto°
28-11-18, 20:16
nulla, ho scritto male puoi cancellare?
riformulo meglio più tardi

Tranquillo, riformula pure con calma. Capita a tutti di commettere errori sul forum.

Lèon Kochnitzky
28-11-18, 20:25
Si, credo che i confini debbano esistere anche in un mondo social libertario. Si, all'esercito di popolo, modello Cuba (anche se li è rimasto professionale, ma tutti partecipano). Municipalismo come forma di organizzazione (ma non finché il socialismo non è completamente realizzato). Questo in breve.

LupoSciolto°
28-11-18, 21:12
Si, credo che i confini debbano esistere anche in un mondo social libertario. Si, all'esercito di popolo, modello Cuba (anche se li è rimasto professionale, ma tutti partecipano). Municipalismo come forma di organizzazione (ma non finché il socialismo non è completamente realizzato). Questo in breve.

Condivisibile!

Sparviero
28-11-18, 21:22
Si, credo che i confini debbano esistere anche in un mondo social libertario. Si, all'esercito di popolo, modello Cuba (anche se li è rimasto professionale, ma tutti partecipano). Municipalismo come forma di organizzazione (ma non finché il socialismo non è completamente realizzato). Questo in breve.

Per curiosità, una definizione in tre righe di "social libertario"? Mi sa di ossimoro.

Kavalerists
28-11-18, 21:51
Detto questo, la questione è che io subisco fascinazioni ad ampio spettro, per cui non ho mai negato l'attrazione ne' verso l'impresa fiumana e l'arditismo, ne' verso il sansepolcrismo e il bombaccismo, che entrambi hanno filtrato con chi sappiamo. Ma resto, comunque, nel campo della sinistra economica , ne' mai mi riterrò di destra.
Anche io, su tutto questo concordo con te, soprattutto con quanto messo in evidenza.

Lèon Kochnitzky
28-11-18, 22:41
Per curiosità, una definizione in tre righe di "social libertario"? Mi sa di ossimoro.
Credo che non è altro che una declinazione del socialismo libertario, ma siccome io sono distante dagli anarcozekke progressiste, non uso quasi mai quella definizione. Anche perche' non mi rivedo in QUEL socialismo libertario. La buon anima di Albertazzi, si definiva così, e i suoi riferimenti erano la grande Fiume, l'arditismo e il socialismo nazionale

Sparviero
28-11-18, 22:54
Credo che non è altro che una declinazione del socialismo libertario

E fino a lì ci arrivavo.
Solo che io ho sempre visto socialisti e libertari come decisamente agli antipodi, e ho pensato di chiedere delucidazioni su una espressione che ho incrociato distrattamente senza approfondire.

Lèon Kochnitzky
28-11-18, 22:59
niente, il mio pc non va, abbiate pazienza. ci riproverò appena andrà meglio

Lord Attilio
28-11-18, 23:31
Ma com'è che si arriva al tipo di società che tu auspichi? Quali sono gli attori che concretamente compiono questo cambiamento rivoluzionario e qual'è il modo in cui lo attuano?

Lèon Kochnitzky
28-11-18, 23:49
sparviero e altri, alla fine della fiera, io sono un anarchico. Solo che non mi filo le stronzate politicamente corrette e l'arcobalenismo. Questo è. Ma la buona sostanza (per rispondere anche ad Attilio), come dissi già secoli fa a LupoSciolto°, il mio anarchismo è pre-politico, perche' politicamente è chiaro individualismo ed è proprio questo aspetto a consentirmi di avere una posizione indipendente rispetto alle tematiche di varia natura.

LupoSciolto°
29-11-18, 16:45
Ma com'è che si arriva al tipo di società che tu auspichi? Quali sono gli attori che concretamente compiono questo cambiamento rivoluzionario e qual'è il modo in cui lo attuano?

Non sono il suo avvocato :D, ma penso che lui intenda esperienze spontanee come occupazioni di fabbriche, di spazi pubblici e altro. Un po' come nel Chiapas o a Fiume (esperienza che ammira molto). Insomma: sembra sognare una specie di Svizzera dei "soviet", mi corregga se sbaglio. Trovo nel suo pensiero elementi che lo potrebbero collocare nel filone dell'azionismo e dell'anarchismo più pragmatico di gente come Berneri e Francesco Saverio Merlino.

Lèon Kochnitzky
29-11-18, 19:43
Insomma: sembra sognare una specie di Svizzera dei "soviet", mi corregga se sbaglio.
Hai interpetrato perfettamente. Con una spruzzata di Sanepolcrismo irrealizzato (sto approfondendo anche il discorso corporativismo, scoprendo che in realtà la sinistra e i socialisti eretici che vi parteciparono, intesero il superamento del classismo e quindi la successiva scomparsa delle classi, nella nascita della società dei "produttori" proprio affiliati al pensiero di Proudhon. Certo, c'è una revisione critica comunque dell'anticapitalismo e va inteso). Ma sono molto più vicino ai teorici nazional-anarchici, nell'idea di ricreare comuni medievali e Comuni(tà), per riavvicinare gli individui e allontanarli progressivamente dal Leviathan-Stato, quando sarà possibile, e dal capital-consumismo.

Kavalerists
29-11-18, 20:10
Hai interpetrato perfettamente. Con una spruzzata di Sanepolcrismo irrealizzato (sto approfondendo anche il discorso corporativismo, scoprendo che in realtà la sinistra e i socialisti eretici che vi parteciparono, intesero il superamento del classismo e quindi la successiva scomparsa delle classi, nella nascita della società dei "produttori" proprio affiliati al pensiero di Proudhon. Certo, c'è una revisione critica comunque dell'anticapitalismo e va inteso). Ma sono molto più vicino ai teorici nazional-anarchici, nell'idea di ricreare comuni medievali e Comuni(tà), per riavvicinare gli individui e allontanarli progressivamente dal Leviathan-Stato, quando sarà possibile, e dal capital-consumismo.
Su questo tema credo che potresti trovare spunti molto interessanti nello scritto "La Rivoluzione" di Carlo Pisacane.

LupoSciolto°
29-11-18, 20:22
Segnalo a Tico il sito del Nuovo Partito d'Azione. A differenza di altri azionisti (finiti nel PRI o nei radicali) ha una linea maggiormente di "sinistra" oltre ad essere contrario alla massoneria e alla presenza della NATO sul suolo italiano.

L'ITALIA LIBERA ? Il blog degli Azionisti (http://www.italialiberablog.it/)

Lèon Kochnitzky
29-11-18, 22:25
Grazie

LupoSciolto°
19-04-19, 17:23
Yegor Ligachev and Jean Thiriart – Debate in Moscow, August 1992

Jean Thiriart: We belong to different political currents united by a common enemy: globalism. This enemy is organized on the global level, like the international Catholic structure that permeated the whole of society’s organization in its time. That’s why the struggle against globalism cannot be exclusively conducted in Russia by the Russians alone or in France by the French alone. It cannot have a local character: in order to oppose this threat directed against all the peoples of the world, it is necessary to establish a type of cosmopolitan organization, but cosmopolitan in the positive sense, not in the negative sense. Our response should be, in the measure where the challenges and attacks of which we have been the object impact the entire planet, planetary as well.

Yegor Ligachev: We live – when I say us, I mean Russia, our country – in a particular period. Three possible ways to exit this crisis situation into which our country has plunged present themselves. The first way consists of emulating a foreign model, the Western model in this case, without taking social and national traditions or concrete reality into account. Another way consists of going back, that is to say to the state socialism elaborated in the past. This is by no means a feudal or barracks socialism, but precisely a state socialism. The privatization (de-nationalization) of public properties has been felt in a particularly negative manner. State socialism permitted us to concentrate forces and means towards the principal orientations of social development, permitted us to resolve considerable social and economic problems. Afterwards, however, this state socialism’s potentialities (creative possibilities) were extinguished.

In any case, the two first ways I spoke of represent a movement backwards, a social regression. Nevertheless there exists another alternative that one could characterize in the following manner: take and conserve everything that was positive in our Soviet system while democratically reforming in an original way that takes national and foreign experiences into account. I am a resolute adversary of the unification of the world on the basis of a single social system. For Western politicians and ideologues, Russia and the other CIS states’ entry into the global community can only start, at present, from the restoration of capitalism. From my point of view, such a way is irremediably condemned because the capitalist system has, like the socialist system, good and bad sides. That’s why I think that our task consists of assimilating all that is positive in the human situation, both European and global.

Jean Thiriart: I perfectly agree with attributing Russia a particular meaning and place in the measure where it’s still this space, this territory best suited for organizing the resistance to globalist forces.

Yegor Ligachev: At the present time, calls for Russia to enter into global civilization frequently resound among us. However it suffices to scratch the surface of this idea to immediately realize that this entry into the global community supposes nothing other than the destruction of the entire Soviet social system. We can also ask ourselves why our country’s entry into the global community matters when it’s been present there for a long time and has provided – and continues to provide – a gigantic contribution to the development of global civilization.

Jean Thiriart: In reality, the United States doesn’t demand Russia’s entry into the global community; they quite simply want to dominate the whole planet from a political, military, and technological point of view. In the West, those who have governed European countries since 1945 are not politically independent since they depend on Washington entirely and exclusively. That’s why it’s suitable to focus attention, not on what the marionette European governments say, but on those who hold their strings.

Yegor Ligachev: Recently, the one who, according to your evocative expression, pulls the strings, basically declared the following: “We give ourselves the task of accomplishing the liberation of the whole world in the nearest future.” You see, it’s nothing less than the question of the liberation of the world! So what is the mindset in Europe regarding the intrusion of the United States which, in the domain of global politics, claims hegemony.

Jean Thiriart: Actually the situation is quite complex. There exists determined revolutionary forces both on the “left” and the “right” that very well understand what is at stake and take the stage against globalism and American-Zionist hegemony. It is possible that we underestimate the strength of American propaganda; this remark goes particularly for you; the Russians.

As Europe itself has lived under American occupation for a long time, it fully feels the strength of American and Zionist propaganda which, from morning to night, through all the means of television and the press, subjects the public to hypnosis.

Yegor Ligachev: I am also deeply convinced that the collapse of the Soviet Union, the present collapse of Yugoslavia, and its possible propagation to other European countries is the work of determined subversive forces. They understand to that to succeed – as they have already succeed – at dividing the Soviet Union, at disorganizing Yugoslavia is essentially to succeed at eliminating the only system capable of effectively opposing their planetary hegemony. This wasn’t done in order to offer independence to the former republics of the Soviet Union or those involved in the composition of Yugoslavia. The rationale is actually very simple: it’s easier to defeat fragments than a large one, a unified continental bloc.

Jean Thiriart: Today, the Americans want to do the same thing with everyone: defend the Croats solely in order to be guarantors of anarchy in this region. In central Europe there exist peoples with the same culture, the same language. So why are they separated into micro-states? Simply because that corresponds to the fundamental policy of the United States, which consists of preventing them from uniting to realize their own political line. It’s a classic process in political history; a historical constant.

Yegor Ligachev: They present us, since it’s a matter of attracting us into the international community, as a nearly barbaric society without realizing that our country has saved Europe and the whole world many time from invasions that threatened all of civilization. The Soviet Union saved the world from the brown plague, German fascism, as it saved it from thermonuclear war.

Jean Thiriart: I think that you’re committing the same error Hitler committed in his time because I am convinced the the common enemy of Russia and Germany is American capitalism and the war between Russia and Germany was an erroneous war. A truly just war should have been directed against American capitalism. The most just idea was the joint struggle of the Soviet Union and Germany against Anglo-Saxon imperialism. Had they realized what the power of Anglo-Saxon civilization had become, Germany and Russia could only have won.

Yegor Ligachev: The essential thing is not blocs but the reconstitution of our great union. Here it’s important to concentrate our forces. Concerning Germany, independently of the strong positions of democratic forces, it is nevertheless impossible to ignore both its past and present. We must bear in mind that present day Germany was born through force: one German state absorbed the other. I think that we must unite all the social and governmental forces against the diktat and intrusion.

Since 1988 I’ve considered national-separatism as the principal danger for our country. If we thus formulate the question: what is the principal, fundamental cause of our decadence, I would respond that it is national-separatism and the betrayal of the country’s interests by a considerable part of the leadership of the Communist Party of the Soviet Union with Gorbachev at its head. These last years, the struggle against national-separatism has been interrupted as much by the party as by society.

Jean Thiriart: Cardinal Richelieu did the same thing with Germany. He declared to the Germans: “Be free, you no longer have an Emperor,” and stimulated nationalist and separatist tendencies in this manner, likewise destroying a great state. With us, in Europe, the same problems appear, namely the Corsican, Basque nationalists, whose demands always become more serious and behind whom the same enemy always stands. Soon after dismemberment this sector will be commanded not so much by the United States as by the representatives of McDonald’s, Coca Cola, Marlboro, because effective political leadership has been conferred to these firms – in Latin America they already control the majority of national economies. In all likelihood, the same thing will soon happen in both France and Russia.

In Central America and South America, distinct republics exist: banana republics, others produce coffee or tobacco. Three thousand years ago, Carthage pursued the same policy in the Mediterranean, creating similar economic colonies from Turkey to Spain. It’s a historical constant. The Americans are doing the same thing today.

Yegor Ligachev: Now I would like to proceed to another question. I think that an authentic unification of Europe would only be possible once we’ve reestablished the Soviet Union. It could certainly have another name it would nonetheless remain a unified political and economic alliance.

Jean Thiriart: I agree with that, although from my side I only consider the reunification of the Soviet Union possible and necessary in a process of European integration. We must create a unified European empire from Vladivostok to Dublin.

Yegor Ligachev: The sine qua non condition is the reunification of our country. Two powerful movements are developing among us, as I now represent. One aims for the conservation of a reformed social system while opposing the barbaric, ferocious, and violent reforms that our president and government are trying to implement. Our second current is a purely national movement: it’s the struggle for the reconstruction of a unified state. It’s been a little over a year since the people spoke in favor of retaining the Union of Soviet Socialist Republics. Unfortunately, the politicians of Russia, Ukraine, and Belarus didn’t consider it; the Belovezh Accords sealed the liquidation of the Soviet Union. Here’s what the competent president Nazarbayev declared in an interview accorded to the Independent Gazette on May 6th 1992: “Without Russia, there would be no Belovezh Accords; without Russia, the Union would not have disintegrated.” Also, the people – and not only simple citizens, but even the politicians – are beginning to understand that it is impossible to survive alone.

Jean Thiriart: The fact that the initiative to dismember the USSR came from Russia effectively equates to suicide. But in the West, we know nothing about all that. The Western press presents a fundamentally different version of events: Armenia, Azerbaijan, Kazakhstan, etc, demanded to quit the Union themselves, while Russia wanted to preserve it.

Yegor Ligachev: They started by outlawing the communist party. So who outlawed the party if not the same people who dismantled the USSR. If the Communist Party of the Soviet Union, even in its weakened form, had existed in December, the Soviet Union would have been maintained because the principal force that impeded the dismemberment of the latter was none other than the Communist Party of the Soviet Union.

Jean Thiriart: I am convinced that it’s worth the trouble to present your position to the European public. In Europe, actually, no one suspects that the “agents of influence” acting in the former USSR, nor the initiative of presidents have lead to the dismemberment of the Union.

Yegor Ligachev: Having recently traveled to America and Japan, I am convinced that our democrats have opened a broad channel in the direction of the West, of America and Japan, but access to it remains forbidden to people with an alternative positions, to us patriots, to the representatives of popular and patriotic movements. The information is unilateral.

Jean Thiriart: From the instant where Russia failed to condemn American aggression against Iraq, objective observers must have perceived that we were reaching the end of the repartition of forces in the world. Theoretically, it should have been possible to abstain from any sanction. But the support for American sanctions was the political suicide of the Soviet Union. The last obstacle to American global domination today is China. The Americans have tried for the past few years to buy Chinese industry, to implant themselves through technology, but it seems that it’s not so easy to achieve.

Yegor Ligachev: It is still too soon for the internal and external enemies of Russia to proclaim victory.

Jean Thiriart: Nevertheless, the very fact of the Soviet Union’s destruction caused serious damage to the defense of European independence and particularly Arab independence. The Iraqis, the Palestinians, and the Libyans felt it as a personal tragedy because it upset the global balance.

Yegor Ligachev: I would like to conclude by developing my thought: every passing day, the fiasco of today’s democrats underlines the success of the policy of the Communist Party of the Soviet Union. The world is proceeding through integrative processes. Europe is uniting; a veritable objective law of unification is at work. Beyond the actions of these objective forces, specific factors still exist among us as well, which unify us. People are beginning to compare the past with what has happened; life today with the era where “the communists governed,” as they say. All our present independent states or former republics of the Union are multinational. The only homogeneous republic is Armenia. We understand the complexity of the work required and the long term efforts. All that will not be so simple.

The present governing class hammers into the heads of our people that we can only extract our country from its economic and political situation with millions of dollars of aid, that is to say with the aid of the West. They even add that not a single major social or economic problem in our country can be resolved without the resources of the West. They are ready to sell the Kurils, they’ve already surrendered Yugoslavia. On the contrary we are convinced that we cannot rely on our own strengths. It’s not that we are against foreign loans, against external aid as support; on the other hand, we are opposed to the political, cultural, and economic colonization of our country.

Jean Thiriart: Starting from 1946, the Americans have chased the Belgians from the Congo, the French from Algeria, the Dutch from Indonesia, and have taken their places there. Yeltsin’s position is the position of president Mobutu, president of Zaire; he wants to make a Zaire of Russia. As for Western aid it goes directly into the pockets of the leaders of these republics, like in Brazil or South America for example. It represents a simple gratuity.

It’s also through this mechanism that the Americans create puppets of every political stripe, on the “right”, the “left”, or center. They can buy communists, nationalists.

A Dutch prince during the Renaissance said where there’s a will, there’s already a way. Everything is in the will. We will win if we have the will to fight against globalism.

Yegor Ligachev: Our great reformist Stolypin said that “all liberty demands further abundance.” Our democrats want to give us the liberty of poverty.

Jean Thiriart: The liberty that supposedly reigns in the West is only pure comedy. In reality, the press is completely controlled.

Yegor Ligachev: We observe the same thing concerning our press. Dyen [Translator’s note: Nationalist paper directed by Alexander Prokhanov that would be banned in 1993] is an admirable newspaper that doesn’t benefit from any subsidies and, moreover, they strangle it economically. But other publications receive colossal subsidies. We have been too careless. I say it regarding myself. For sixty three years the party was in a monopoly situation. That’s what engendered the carelessness, a certain political fatigue.

Jean Thiriart: The man who has no adversaries is a bad combatant. But now we find ourselves in an extremely dark situation, we must learn to be more reasonable. To a certain extent, it’s a remedy and an advantage that we will draw from our stay in the opposition. It’s a treatment method. That said, as long as the war endures, the war is not lost!

https://institutenr.org/2019/04/18/yegor-ligachev-and-jean-thiriart-debate-in-moscow-august-1992/?fbclid=IwAR1SRSsusXz16Al359xxHOiMRO7hmZ6wEMALiPjw qnTF5ieyKSujnlDSFRc

LupoSciolto°
27-05-19, 16:57
Plusvalore, eredità, proprietà privata e differenze con il marxismo


http://www.falange-autentica.es/images/stories/contenido/2016/marx.jpg

Esattamente, come ridefinireste i concetti di lavoro, plusvalore, eredità e proprietà privata? Quali ritenete che siano le principali differenze tra voi e il marxismo? Grazie per il vostro tempo.


- Domande inviate da CAF

LAVORO.

Consideriamo il lavoro come uno dei principali strumenti dell'interazione dell'uomo con la società moderna. In un ambiente caratterizzato da logiche di mercato di misura elevata, l'opera rappresenta a nostra conoscenza il solo mezzo legittimo per ottenere gli elementi comuni del commercio (principalmente denaro) necessari per partecipare a questa interazione. Per questo motivo, la tragedia associata alla disoccupazione è, in ultima analisi, l'esclusione sociale delle persone.

AVVIAMENTO.

L'unica interpretazione possibile del concetto di plusvalore è quella marxista. Sebbene molti autori insistano sul decadimento del concetto, pensiamo che, in effetti, l'operaio rinunci a una percentuale della performance lorda del proprio lavoro per poter avere un lavoro. In qualche modo, potremmo dire che il lavoratore "affitta" il proprio lavoro in cambio di una paga calcolata in termini di forza lavoro. Tutta la nostra riflessione in materia economica arriva a risolvere questa dialettica perversa. Noi falangisti, quelli più vicini all'anarcosindacalismo spagnolo, risolviamo la questione pensando a un modello in cui i lavoratori siano, allo stesso tempo, i proprietari della forza lavoro e dei mezzi di produzione.

EREDITÀ.

Difendiamo il concetto tradizionale di patrimonio. Sembra assolutamente logico che i figli ereditino e godano dei beni che i loro predecessori hanno generato nelle generazioni precedenti. Pensiamo che la polemica sulla possibile illegalità o illegalità relativa all'acquisizione di beni sia un dibattito sterile. Tuttavia, una Repubblica Nazional-sindacalista proibirebbe costituzionalmente l'ereditarietà o il trasferimento dei beni di produzione.

PROPRIETÀ PRIVATA.

Strettamente legata al caso precedente, i falangisti comprendono che la proprietà privata è un diritto inalienabile delle persone con una sola eccezione: la proprietà dei mezzi di produzione (sia una fabbrica come un umile artigiano ). Questi mezzi devono smettere di essere in mani private per essere trasferiti a mani collettive. Precisamente, una delle risposte a questo problema è stata chiamata "collettivismo", ma si è rivelata una grande truffa. Lì, come nel caso del comunismo, i mezzi di produzione erano sotto il controllo dello Stato, che sarebbe poi responsabile della redistribuzione della ricchezza tra gli individui, con un successo ben noto a tutti. Il nostro modello è molto più "libertario", se vogliamo dirlo.

DIFFERENZE CON IL MARXISMO.

Siamo assolutamente refrattari a quello scienziato e al linguaggio determinista che distillano le opere di Marx ed Engels. Ma questa non è la nostra più grande differenza.

Il pensiero marxista è manicheo. Propone un'interpretazione della storia che affronta il bene e il male. Comprendiamo che le dinamiche storiche sono molto più complesse.

È materialista, mettendo l'accento sul potere delle relazioni economiche. Tuttavia, siamo convinti che le migliori creazioni dello spirito umano siano estranee alla dialettica dello scambio materiale.

Infine, e forzando la necessaria concretezza della risposta, è settario. Il marxismo è un credo esclusivo per la classe lavoratrice, qualunque cosa voglia dire. La Falange vuole articolare un discorso completamente assegnabile e identificabile da parte dell'intera società.

Plusvalía, herencia, propiedad privada y diferencias con el marxismo (http://www.falange-autentica.es/categorias/fa-responde/1875-plusvalia-herencia-propiedad-privada-y-diferencias-con-el-marxismo)

LupoSciolto°
27-05-19, 16:59
Fatemi capire: esiste una minoranza falangista che si ispira all'anarcosindacalismo e al titismo? Sono in buona fede o è uno specchietto per allodole (considerando, tra le tante cose, che FA ha criticato Maduro)?

Meridio91
27-05-19, 23:09
Se esistesse, sarebbe tacciata da questa comunità di tradimento rossobrunista :glee:

Kavalerists
27-05-19, 23:41
Plusvalore, eredità, proprietà privata e differenze con il marxismo


http://www.falange-autentica.es/images/stories/contenido/2016/marx.jpg

Esattamente, come ridefinireste i concetti di lavoro, plusvalore, eredità e proprietà privata? Quali ritenete che siano le principali differenze tra voi e il marxismo? Grazie per il vostro tempo.


- Domande inviate da CAF

LAVORO.

Consideriamo il lavoro come uno dei principali strumenti dell'interazione dell'uomo con la società moderna. In un ambiente caratterizzato da logiche di mercato di misura elevata, l'opera rappresenta a nostra conoscenza il solo mezzo legittimo per ottenere gli elementi comuni del commercio (principalmente denaro) necessari per partecipare a questa interazione. Per questo motivo, la tragedia associata alla disoccupazione è, in ultima analisi, l'esclusione sociale delle persone.

AVVIAMENTO.

L'unica interpretazione possibile del concetto di plusvalore è quella marxista. Sebbene molti autori insistano sul decadimento del concetto, pensiamo che, in effetti, l'operaio rinunci a una percentuale della performance lorda del proprio lavoro per poter avere un lavoro. In qualche modo, potremmo dire che il lavoratore "affitta" il proprio lavoro in cambio di una paga calcolata in termini di forza lavoro. Tutta la nostra riflessione in materia economica arriva a risolvere questa dialettica perversa. Noi falangisti, quelli più vicini all'anarcosindacalismo spagnolo, risolviamo la questione pensando a un modello in cui i lavoratori siano, allo stesso tempo, i proprietari della forza lavoro e dei mezzi di produzione.

EREDITÀ.

Difendiamo il concetto tradizionale di patrimonio. Sembra assolutamente logico che i figli ereditino e godano dei beni che i loro predecessori hanno generato nelle generazioni precedenti. Pensiamo che la polemica sulla possibile illegalità o illegalità relativa all'acquisizione di beni sia un dibattito sterile. Tuttavia, una Repubblica Nazional-sindacalista proibirebbe costituzionalmente l'ereditarietà o il trasferimento dei beni di produzione.

PROPRIETÀ PRIVATA.

Strettamente legata al caso precedente, i falangisti comprendono che la proprietà privata è un diritto inalienabile delle persone con una sola eccezione: la proprietà dei mezzi di produzione (sia una fabbrica come un umile artigiano ). Questi mezzi devono smettere di essere in mani private per essere trasferiti a mani collettive. Precisamente, una delle risposte a questo problema è stata chiamata "collettivismo", ma si è rivelata una grande truffa. Lì, come nel caso del comunismo, i mezzi di produzione erano sotto il controllo dello Stato, che sarebbe poi responsabile della redistribuzione della ricchezza tra gli individui, con un successo ben noto a tutti. Il nostro modello è molto più "libertario", se vogliamo dirlo.
In esso la partecipazione dello Stato è minima e sono i lavoratori che assumono direttamente la proprietà e la gestione dei mezzi di produzione (autogestione, cooperativismo, ecc.)

DIFFERENZE CON IL MARXISMO.

Siamo assolutamente refrattari a quello scienziato e al linguaggio determinista che distillano le opere di Marx ed Engels. Ma questa non è la nostra più grande differenza.

Il pensiero marxista è manicheo. Propone un'interpretazione della storia che affronta il bene e il male. Comprendiamo che le dinamiche storiche sono molto più complesse.

È materialista, mettendo l'accento sul potere delle relazioni economiche. Tuttavia, siamo convinti che le migliori creazioni dello spirito umano siano estranee alla dialettica dello scambio materiale.

Infine, e forzando la necessaria concretezza della risposta, è settario. Il marxismo è un credo esclusivo per la classe lavoratrice, qualunque cosa voglia dire. La Falange vuole articolare un discorso completamente assegnabile e identificabile da parte dell'intera società.

Plusvalía, herencia, propiedad privada y diferencias con el marxismo (http://www.falange-autentica.es/categorias/fa-responde/1875-plusvalia-herencia-propiedad-privada-y-diferencias-con-el-marxismo)
Fixed, mancava il pezzo in grassetto.

Kavalerists
27-05-19, 23:49
Fatemi capire: esiste una minoranza falangista che si ispira all'anarcosindacalismo e al titismo? Sono in buona fede o è uno specchietto per allodole (considerando, tra le tante cose, che FA ha criticato Maduro)?

Falange Autentica è da sempre, dalla sua nascita come scissione dall'attuale FE de la JONS, su posizioni molto distanti da quelle considerate classiche di certa destra/estrema destra. Come lo erano del resto quelle originarie di R.Ledesma Ramos.
Quanto a Maduro, non sono informato, ma credo che la critica che rivolgono sia appunto, dal loro modo di vedere le cose, l'eccessivo statalismo.
Ma non credo siano favorevoli al golpe yankee, almeno voglio sperare... nè credo siano ammiratori di Tito...

LupoSciolto°
27-05-19, 23:58
Se esistesse, sarebbe tacciata da questa comunità di tradimento rossobrunista :glee:

Se, com'è noto, FA è anti-franchista e non sostiene il corporativismo, direi che non ha nulla di ambiguo o di "rossobruno" (aggettivo che ti è tanto caro).

Certo, la sua posizione su Maduro è inaccettabile.

LupoSciolto°
28-05-19, 00:01
Falange Autentica è da sempre, dalla sua nascita come scissione dall'attuale FE de la JONS, su posizioni molto distanti da quelle considerate classiche di certa destra/estrema destra. Come lo erano del resto quelle originarie di R.Ledesma Ramos.
Quanto a Maduro, non sono informato, ma credo che la critica che rivolgono sia appunto, dal loro modo di vedere le cose, l'eccessivo statalismo.
Ma non credo siano favorevoli al golpe yankee, almeno voglio sperare... nè credo siano ammiratori di Tito...

Ma i falangisti "storici" non erano a favore dell'abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione, altrimenti sarebbero passati con socialisti e comunisti libertari. Quanto teorizzato in questo documento è molto simile all'anarcosindacalismo e al deleonismo.

Kavalerists
28-05-19, 00:12
Comunque la pagina delle "domande e risposte" è molto interessante, se si conosce un pò lo spagnolo; per chi vuole darci uno sguardo e approfondire:

http://www.falange-autentica.es/categorias/fa-responde

Kavalerists
28-05-19, 00:16
Ma i falangisti "storici" non erano a favore dell'abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione, altrimenti sarebbero passati con socialisti e comunisti libertari. Quanto teorizzato in questo documento è molto simile all'anarcosindacalismo e al deleonismo.

Leggi...
¿Es diferente el jonsismo del falangismo? (http://www.falange-autentica.es/categorias/fa-responde/2016-es-diferente-el-jonsismo-del-falangismo)
:cool:

LupoSciolto°
28-05-19, 16:49
Leggi...
¿Es diferente el jonsismo del falangismo? (http://www.falange-autentica.es/categorias/fa-responde/2016-es-diferente-el-jonsismo-del-falangismo)
:cool:

Ti ringrazio.

Però in questo articolo di area "nazionalista" , RLR viene dipinto come completamente diverso da Josè Antonio

https://adversariometapolitico.wordpress.com/2012/09/05/ramiro-ledesma-ramos-un-nacional-bolchevique/

Kavalerists
28-05-19, 19:50
Ti ringrazio.

Però in questo articolo di area "nazionalista" , RLR viene dipinto come completamente diverso da Josè Antonio

https://adversariometapolitico.wordpress.com/2012/09/05/ramiro-ledesma-ramos-un-nacional-bolchevique/

E infatti dopo l'unione tra Falange di J.A. e le JONS si RLR, quest'ultimo fu praticamente espulso per divergenze con la linea del "jefe", anche se poi rientrò nel partito.
Ed entrambi a loro volta non avevano molto a che spartire col pastrocchio clericoconservatore creato da Franco, appropriandosi del nome Falange ed aggiungendovi "tradiizionalista", e che tanta ribellione provocò nelle fila dei falangisti della prima ora, vedi il vano tentativo di resistere alla fusione forzata portato avanti da M.Hedilla eil suo gruppo.

http://www.barbadillo.it/2346-anniversari-manuel-hedilla-il-falangista-rosso-imprigionato-nella-spagna-di-franco/http://

“Sólo los ricos pueden permitirse el lujo de no tener patria”
Quanto suona profonda ed attuale questa frase in questi tempi di demenzialità liberiste, liberalprgressiste, immigrazioniste, e no-borders!

Meridio91
28-05-19, 22:49
Ma quindi la Falange Espanola de las JONS non è franchista o sbaglio?

LupoSciolto°
28-05-19, 22:56
Ma quindi la Falange Espanola de las JONS non è franchista o sbaglio?

Falange Autentica è anti-franchista e repubblicana.

FE de las JONS è "derechista" e formata sia da franchisti che da joseantonisti.

Meridio91
29-05-19, 02:47
Peccato che ci siano queste divisioni.

Il socialismo nazionale non può avere possibilità se continua a portarsi appresso il peso e le colpe del passato. Poi non mi stupisco che all'interno di questa comunità lo si guardi con sospetto.

Kavalerists
29-05-19, 03:55
Peccato che ci siano queste divisioni.

Il socialismo nazionale non può avere possibilità se continua a portarsi appresso il peso e le colpe del passato. Poi non mi stupisco che all'interno di questa comunità lo si guardi con sospetto.

Oltre la FE da la JONS https://falange.es/

esisteno anche La Falange : https://www.lafalange.org/
e Falange Autentica Falange Auténtica (http://www.falange-autentica.es/)

Se l'estremismo è la malattia infantile del-mettere ideologia a scelta- , l'atomizzazione, la divisione, è la malattia infantile dell'estremismo, ed è trasversale.

LupoSciolto°
29-05-19, 11:32
Oltre la FE da la JONS https://falange.es/

esisteno anche La Falange : https://www.lafalange.org/
e Falange Autentica Falange Auténtica (http://www.falange-autentica.es/)

Se l'estremismo è la malattia infantile del-mettere ideologia a scelta- , l'atomizzazione, la divisione, è la malattia infantile dell'estremismo, ed è trasversale.

Esatto.

LupoSciolto°
29-05-19, 11:33
Peccato che ci siano queste divisioni.

Il socialismo nazionale non può avere possibilità se continua a portarsi appresso il peso e le colpe del passato. Poi non mi stupisco che all'interno di questa comunità lo si guardi con sospetto.

Le altri due "Falangi" non sono socialiste né sindacal-nazionali come FA. Credo che sia impossibile la convivenza tra loro.

Meridio91
29-05-19, 19:00
Ed è un peccato, finché continueremo a dividerci (tutti quanti, a sinistra come a destra) non riusciremo mai a cambiare le cose

Kavalerists
29-05-19, 19:27
Le altri due "Falangi" non sono socialiste né sindacal-nazionali come FA. Credo che sia impossibile la convivenza tra loro.

E infatti le altre due Falangi ( sia La Falange che Falange Auténtica derivano comunque da scissioni di FE de la JONS ) chiamano quelli di FA "rojos" o "Falange roja"...
Paese che vai viggggggilantes che trovi... :cool::D
E anche i viggggggilantes sono trasversali ai diversi schieramenti.

italicum
29-05-19, 21:33
Ad Ivrea sabato 1 giugno demo PER LA GIUSTIZIA SOCIALE di un insieme di sigle nazionali assortite, ovviamente osteggiate ferocemente da tutti i progressisti assortiti, dall'ANPI (sempre in mezzo a distribuire etichette) al M5S passando per cessi sociali, gattile, Ivrea Parkour:D e marmaglia sinistrorsa!

https://1.bp.blogspot.com/-y18i1WtwRVg/XO7CW3oU4SI/AAAAAAAACao/Wll-TyMvecM4IOKATiMydGBHOvHNv2ryQCLcBGAs/s1600/ritaglio.jpg

RESISTENZA NAZIONALE: 1 giugno e Giustizia Sociale (http://resistenza-nazionale.blogspot.com/2019/05/1-giugno-e-giustizia-sociale.html)

Che ne pensate?

Meridio91
29-05-19, 21:56
Approved

Jerome
30-05-19, 04:48
E infatti le altre due Falangi ( sia La Falange che Falange Auténtica derivano comunque da scissioni di FE de la JONS ) chiamano quelli di FA "rojos" o "Falange roja"...
Paese che vai viggggggilantes che trovi... :cool::D
E anche i viggggggilantes sono trasversali ai diversi schieramenti.
Ma la neo-Falange spagnola? L'esperto di storia falangista potrebbe essere ibizo, anche se su posizione di destra franchista

Kavalerists
30-05-19, 06:26
Ma la neo-Falange spagnola? L'esperto di storia falangista potrebbe essere ibizo, anche se su posizione di destra franchista

A cosa ti riferisci?

Ibizo è appunto di destra franchista, qundi al massimo sarà falangista nel senso della Falange Tradizionalista fondata da F.Franco.

Jerome
30-05-19, 07:54
A cosa ti riferisci?

Ibizo è appunto di destra franchista, qundi al massimo sarà falangista nel senso della Falange Tradizionalista fondata da F.Franco.

Ah gia'. Di falange spagnola so pochissimo (comunque credo faccia principalmente riferimento alla prima Falange di J.A. Primo de Rivera, che era un po' meno destrorsa e piu terza via rispetto al movimiento nacional

LupoSciolto°
30-05-19, 12:04
Ad Ivrea sabato 1 giugno demo PER LA GIUSTIZIA SOCIALE di un insieme di sigle nazionali assortite, ovviamente osteggiate ferocemente da tutti i progressisti assortiti, dall'ANPI (sempre in mezzo a distribuire etichette) al M5S passando per cessi sociali, gattile, Ivrea Parkour:D e marmaglia sinistrorsa!

https://1.bp.blogspot.com/-y18i1WtwRVg/XO7CW3oU4SI/AAAAAAAACao/Wll-TyMvecM4IOKATiMydGBHOvHNv2ryQCLcBGAs/s1600/ritaglio.jpg

RESISTENZA NAZIONALE: 1 giugno e Giustizia Sociale (http://resistenza-nazionale.blogspot.com/2019/05/1-giugno-e-giustizia-sociale.html)

Che ne pensate?

Resistenza Nazionale mi sembra che abbia fatto dei passi in avanti, soprattutto sulla questione anticapitalista e ambientale. Certo, io non posso accettare richiami a personaggi come Ian Stuart Donaldson o C.Z. Codreanu, però è una delle pochissime organizzazioni nazionaliste a non essere scesa a compromessi con la solita e noiosa destra del "legge e ordine".

SINLAI mi pare che sia il sindacato di Forza Nuova. Non condivido l'impostazione corporativista (sono pur sempre un socialista) e il cattolicesimo oscurantista che contraddistingue il partito di riferimento.

Che dire? Non mi interessa distribuire patentini o giudizi. E' comunque positivo che si parli di lotta al capitale (oggi principalmente speculativo e finanziario) ma non credo alla ricetta corporativa.

Jerome
08-06-19, 12:10
Un socialista non femminista antimusulmano-sunnita. Povero Milosevic, sei stato malgiudicato. La storia ti assolverà.

https://www.altreinfo.org/wp-content/uploads/2016/08/31_Slobodan-MIlosevic.jpg

LupoSciolto°
08-06-19, 16:58
Un socialista non femminista antimusulmano-sunnita. Povero Milosevic, sei stato malgiudicato. La storia ti assolverà.

https://www.altreinfo.org/wp-content/uploads/2016/08/31_Slobodan-MIlosevic.jpg

Antifemminista in che senso? Milosevic ha tentato di difendere il suo popolo ed è stato ingiustamente condannato dai criminali U$A

LupoSciolto°
24-06-19, 18:06
Pour des communautés politiques autonomes et offensives ! (http://rebellion-sre.fr/communautes-politiques-autonomes-offensives/)

Autonomie et Imaginaire (http://rebellion-sre.fr/autonomie-et-imaginaire/)

Interessanti articoli dell'OSRE.

LupoSciolto°
04-07-19, 19:43
Mina Graur: Rudolf Rocker debates Otto Strasser


In 1930 the FAUD [the anarcho-syndicalist Free Workers’ Union of Germany] accepted an invitation from Otto Strasser, an activist in the National Socialist Party [e.g., the Nazi party], to a series of debates. It was an interesting challenge for the syndicalists, and Fritz Kater suggested that Rocker should represent their camp. (fn90) Otto Strasser belonged to a faction within the National Socialist Party that differed in many respects from Hitler’s mainstream. Indeed, Strasser’s disagreements with Hitler led to his expulsion from the party in June 1930. After his expulsion, he founded the “Revolutionary National Socialists” organization, later known as the “Black Front.” (fn91) The debate was conducted, therefore, just before Strasser was driven out of the Nazi party.

Three meetings were arranged, each dedicated to a different topic. At the first, Rocker debated Strasser on the issue of nationalism and race, and the role they play in the shaping of history. Rocker claimed that since nationality is not known to be an inherited trait, it follows that the idea of nationality is enforced on men by their surroundings. (fn92) The second session was dedicated to the meaning of socialism. Since Strasser could not attend the meeting due to illness, his place was taken by Dr. Herbert Blank. Blank argued that the historical importance of the National Socialist Party was that it had discovered the true foundations of socialism, since what passed until then as socialism was only the Marxist interpretation. Rocker ridiculed the argument, pointing to the obvious fact that the Nazis had probably never heard of libertarian socialism and its many thinkers, who were in no way connected to Marx and his followers, and who rejected Marxism altogether. At the third debate, Rocker was replaced by Erich Mühsam at the request of Strasser, who felt threatened by Rocker’s rhetorical tactics. Rocker, however, was asked to deliver the closing remarks. Although both camps knew that the differences between them were too wide to be bridged over, and that no side was going to win new converts, the series of debates constituted an interesting experience. The debates were the only time that the anarchists aired their opinions freely in front of a Nazi audience. After the National Socialists came to power, the anarchist movement was extinguished, its members exiled, imprisoned, or sent to concentration camps.

footnotes:

90. Rocker dated the event at around 1928 or later. According to the articles in Fanal reporting the event, it occurred in 1930.
91. Allan Bullock, Hitler, A Study in Tyranny (New York: Harper, 1964), pp. 156-158.
92. Rocker, Revolutsie un Regresie, Vol. 2, p. 29. The issue is elaborated upon in Nationalism and Culture.

= = =

from Mina Graur, An Anarchist “Rabbi”: The Life and Teachings of Rudolf Rocker (New York: St. Martins Press / Jerusalem: The Magnes Press, 1997), pp. 174-75.

https://radicalarchives.org/2013/04/12/mina-graur-rocker-debates-strasser/

Meridio91
05-07-19, 19:26
Anche il povero Otto non ebbe vita facile: gli hanno ammazzato il fratello e lo hanno costretto alla fuga. Dopo la guerra gli tolsero pure la nazionalità perché gli Alleati lo avevano inserito nella lista dei criminali nazisti.

LupoSciolto°
09-07-19, 15:32
inserito nella lista dei criminali nazisti.

Proprio lui che abbandonò la NSDAP nel 1930 e attentò, seppur indirettamente, alla vita dell'imbianchino.

Meridio91
10-07-19, 23:13
Eh, ma avendo partecipato agli inizi per gli Alleati era un nazi come un altro.

Non posso neanche dargli tutti i torti...sono sicuro che qualche crimine l'abbia commesso pure lui...e il fratello

LupoSciolto°
07-12-19, 18:42
L’intervista. Siniscalco: “Niekisch pensatore irregolare della Rivoluzione conservatrice”


https://www.barbadillo.it/wp-content/uploads/2019/12/Ernst-Niekisch-e1527676882545-310x155.png

Barbadillo ha intervistato il filosofo e scrittore Luca Siniscalco, curatore de “Il regno dei demoni”, opera essenziale per conoscere il pensiero dell’intellettuale nazionalbolscevico Ernst Niekisch.

Luca Siniscalco, la casa editrice NovaEuropa ha ristampato dopo quasi sessant’anni il denso saggio di Ernst Niekisch Il regno dei demoni (pubblicato nel 1953 ma incominciato negli anni ’30), in un solo volume con Una fatalità tedesca (1932), nella sua prima versione italiana. Come si inquadra la presenza di Niekisch nel panorama culturale europeo di inizio Novecento?

“Ernst Niekisch è fondamentalmente un eccentrico, per usare un termine caro a Geminello Alvi, della cultura europea novecentesca. Lucido sismografo dell’interregno (Zwischenreich) vissuto dalla patria europea, in transito nichilistico verso gli esiti modernisti e postmoderni di cui oggi scorgiamo le propaggini estreme, Niekisch rimane un autore difficilmente inquadrabile secondo schemi rigidamente ideologici. Gli ostracismi da lui subiti in vita sono un segno tangibile di una radicale predisposizione interiore da Anarca – à la Jünger: perseguitato e incarcerato, nel 1937, dai nazionalsocialisti, in lotta con la DDR, dopo la repressione dei moti operai da parte del governo Ulbricht, nel 1953, ignorato criminalmente, infine, nella “liberale” Germania occidentale, dove morì nel 1967.

L’opera di Niekisch rimane un unicum nella storia del pensiero politico novecentesco, offrendo al contempo spunti essenziali – ben segnalati nell’edizione NovaEuropa – per l’elaborazione di una teoria comunitarista di rango, all’altezza del nuovo millennio”

per proseguire: https://www.barbadillo.it/86600-lintervista-siniscalco-niekisch-pensatore-irregolare-della-rivoluzione-conservatrice/?fbclid=IwAR0DZx8AR9OOyGzF7nDxULbwSLyMSW8LSjGYt_v4 bVHuwILs8Oxj7OqCc7c

Jerome
06-02-20, 23:50
Come da titolo
https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/d/d7/Bundesarchiv_Bild_102-15282A%2C_Ernst_R%C3%B6hm.jpg

LupoSciolto°
07-02-20, 10:19
Herr Doktor Penso che con noi abbia poco a che spartire , dato che era un nazista.

Aggiungo solo una breve osservazione: rimanere nella NSDAP dopo il tradimento operato da Hitler in direzione reazionaria, fu un vero suicidio per chi , come Rohm o Gregor Strasser, puntava a un programma socialista.

Dottorlequack
26-04-20, 23:11
Programma del KPD del 1930
(Purtroppo è in inglese)

https://arplan.org/2019/07/11/kpd-national-social-liberation/

Dottorlequack
18-12-20, 21:49
Buonasera Ragazzi
È da tanto che non scrivo
In questi link c'è un'analisi da parte degli eredi del Partito Comunista Internazionalista in generale sugli eventi politici degli anni '20. Non so se sono le solite cose trite e ritrite della sinistra comunista, ma oggettivamente questi testi (pur non condividendo l'ideologia di fondo) sembrano dar loro in parte ragione.
Soprattutto, pur con proporzioni modeste e posizioni edulcorate rispetto a quelle di 100 anni fa mi sembra ci siano diverse analogie.
Insomma quello che voglio dire è:
Il pensiero politico di tutti noi deve adattarsi al momento cercando di porsi all'antitesi con quello che sembra essere l'ideologia propagandata dal sistema (patriottismo socialista/ capitalismo internazionalista) oppure porsi in contrasto con quelle che in realtà sono le sue fondamenta (internazionalismo socialista/ capitalismo internazionalista e nazionalista).
Voi che ne pensate?
So che internazionalismo e patriottismo sono strettamente legati tra loro, ma quando poi si dovrà tornare un giorno a scegliere da quale parte stare, dove andremo?

Questo è solo il link della prima pagina, il testo completo è molto lungo:

https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo1.htm

E questa è più specifico sulla Germania dopo la grande guerra.

https://internationalcommunistparty.org/index.php/it/pubblicazioni/quaderrni-seconda-serie/1638-nazionalismo-e-internazionalismo-nel-movimento-comunista-tedesco

LupoSciolto°
21-12-20, 08:12
Buonasera Ragazzi
È da tanto che non scrivo
In questi link c'è un'analisi da parte degli eredi del Partito Comunista Internazionalista in generale sugli eventi politici degli anni '20. Non so se sono le solite cose trite e ritrite della sinistra comunista, ma oggettivamente questi testi (pur non condividendo l'ideologia di fondo) sembrano dar loro in parte ragione.
Soprattutto, pur con proporzioni modeste e posizioni edulcorate rispetto a quelle di 100 anni fa mi sembra ci siano diverse analogie.
Insomma quello che voglio dire è:
Il pensiero politico di tutti noi deve adattarsi al momento cercando di porsi all'antitesi con quello che sembra essere l'ideologia propagandata dal sistema (patriottismo socialista/ capitalismo internazionalista) oppure porsi in contrasto con quelle che in realtà sono le sue fondamenta (internazionalismo socialista/ capitalismo internazionalista e nazionalista).
Voi che ne pensate?
So che internazionalismo e patriottismo sono strettamente legati tra loro, ma quando poi si dovrà tornare un giorno a scegliere da quale parte stare, dove andremo?

Questo è solo il link della prima pagina, il testo completo è molto lungo:

https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/42/socializzazione_fascista_comunismo1.htm

E questa è più specifico sulla Germania dopo la grande guerra.

https://internationalcommunistparty.org/index.php/it/pubblicazioni/quaderrni-seconda-serie/1638-nazionalismo-e-internazionalismo-nel-movimento-comunista-tedesco

Ciao, scusa se rispondo solo ora , ma non avevo visualizzato il tuo intervento.
Leggerò con calma i due link che hai postato.
Nel frattempo che dire? che già sei giunto a una conclusione: "patriottismo e internazionalismo sono strettamente legati tra loro"
Una "sinistra" patriottica lotta per la liberazione nazionale e del suo popolo ma, inevitabilmente, sostiene le lotte delle altre nazioni oppresse dall'imperialismo (euro-americano, bisogna specificarlo) e cerca di costruire un fronte comune con esse.
Non si pone il quesito dello stare con i nazionalisti reazionari perché , semplicemente, non siamo sciovinisti e patriottardi ma unicamente a favore della liberazione di questa colonia chiamata Italia, così come di tutte le altre colonie sparse per il mondo.

Dottorlequack
21-12-20, 18:23
Ciao, scusa se rispondo solo ora , ma non avevo visualizzato il tuo intervento.
Leggerò con calma i due link che hai postato.
Nel frattempo che dire? che già sei giunto a una conclusione: "patriottismo e internazionalismo sono strettamente legati tra loro"
Una "sinistra" patriottica lotta per la liberazione nazionale e del suo popolo ma, inevitabilmente, sostiene le lotte delle altre nazioni oppresse dall'imperialismo (euro-americano, bisogna specificarlo) e cerca di costruire un fronte comune con esse.
Non si pone il quesito dello stare con i nazionalisti reazionari perché , semplicemente, non siamo sciovinisti e patriottardi ma unicamente a favore della liberazione di questa colonia chiamata Italia, così come di tutte le altre colonie sparse per il mondo.

Giusto Lupo. È vero che l'internazionale comunista non esiste più e che i partiti comunisti difficilmente riusciranno nel giro di poco tempo a riaffacciarsi veramente sulla scena della politica italiana ed internazionale, però se dovvessero tentare qualcosa temo possano commettere gli stessi errori del passato, in cui a seconda dei casi per qualche anno si era internazionalisti, poi per quelli seguenti nazionalisti... e questo creerebbe sfiducia e disorientamento.

Europa Nazione
24-12-20, 23:03
Giusto Lupo. È vero che l'internazionale comunista non esiste più e che i partiti comunisti difficilmente riusciranno nel giro di poco tempo a riaffacciarsi veramente sulla scena della politica italiana ed internazionale, però se dovvessero tentare qualcosa temo possano commettere gli stessi errori del passato, in cui a seconda dei casi per qualche anno si era internazionalisti, poi per quelli seguenti nazionalisti... e questo creerebbe sfiducia e disorientamento.

Si potrebbe supportare l'essenza anti-UE o euro-scettica e il modello autoritario che potrebbe essere il vero modello del 21° secolo. La Cina ci darà una grande mano perchè ha 1,5mld di abitanti circa (circa il 20% degli abitanti del mondo, mica male no?).

Le nazioni autoritarie sono tantissime e secondo la "Freedom House" (un' importante ONG che promuove democrazia, libertà politiche e diritti umani, promuove cioè la cd. "società aperta" teorizzata da Popper e messa in pratica da Soros per mezzo della sua "Open Society Foundation") negli ultimi anni ben 113 nazioni su 180 analizzate sono diventate più autoritarie (con ovviamente molto dispiacere da parte della Freedom House).
I nemici del comunismo oggigiorno potrebbero essere coloro che promuovono l'ideale della "società aperta", spesso globalisti, multinazionali e magnati della finanza internazionale oltre che l'UE, nemica acerrima di ogni autoritarismo.

Unendo gli autoritarismi in un internazionale autoritaria potremmo unire gli sforzi non solo della Cina, della Russia, della Bielorussia, di Cuba etc. ma anche dell'Ungheria, della Turchia, del Kazakistan, dell'Iran, degli stati arabi etc. (sebbene non tutte sono pro-autoritarismo comunque hanno in comune il fatto di non essere società aperte o nazioni liberali, e sono pure nazioni in forte sviluppo economico) e inoltre dei partiti più o meno di destra in Europa (tantissimi) che sono apertamente illiberali e contro le società aperte (euro-gruppi "ID" e in parte "ECR").

A proposito di questo potrebbe interessarvi la recente ricerca (settembre 2020) sugli orientamenti dei partiti europarlamentari nei confronti dell'autoritarismo (in particolare quello russo e quello "generale"): "Authoritarian Shadows in the European Union" sviluppata da una delle organizzazioni finanziate da Soros cioè la "Political Capital Insitute" con sede a Budapest diretta dal "think-tanker" Péter Krekó. Ve la linko sotto:
https://www.politicalcapital.hu/pc-admin/source/documents/authoritarian_shadows_in_the_eu_2020_09.pdf

Potrete notare che i partiti più pro-autoritarismo, cioè quelli facenti parte del gruppo politico europarlamentare GUE/NGL, sono anche quelli che si considerano "comunisti o marxisti", questo comunismo "europeo" non credo che abbia molto a che fare con il socialismo patriottico però può essere interessante il fatto che questi partiti, che si proclamano comunisti, stanno dalla parte degli autoritarismi, spesso dalla parte della Russia e della Cina.
Da notare che questi partiti sono persino più pro-autoritarismo che quelli dell'estrema destra, fazione rappresentata dall'euro-gruppo "Identità e Democrazia" (La Lega, Raggruppamento Nazionale di Marine Le Pen, AFD etc.)

Riassumendo penso che oggi i socialisti patriottici potrebbero unirsi nella lotta socialista/populista insieme alle correnti più o meno autoritarie in Europa e nel mondo (non solo a quelle esplicitamente comuniste, quindi) per formare una grande e più forte unione socialista/populista o socialistoide basata sull'essenza comune anti-società aperta e anti-UE (che dovrebbe essere oggigiorno la più grande organizzazione nemica del vero comunismo, del socialismo patriottico, della ridistribuzione della ricchezza e della società equa e giusta non solo da un punto di vista formale ma anche da uno sostanziale).
In questo modo saremo tanti e molto forti.

Questo modello di sviluppo socialista-autoritario contrapposto alle "social"-democrazie occidentali dai caratteri plutocratici e progressisti potrebbe risultare il vero vincitore del 21° secolo.

LupoSciolto°
25-12-20, 08:29
Questa è una tua opinione e non rappresenta la linea del forum. Uno stato autorevole e responsabile verso i propri cittadini ci può stare. Uno stato autoritario, etico ecc... no.
O meglio: certi stati diventano autoritari quando ci sono minacce esterne (sanzioni, tentativi di golpe) o quando partiti al soldo di plutocrati e imperialisti cercano di corroderlo dall'interno (il già citato golpe , le primavere di varie latitudine eccetera).
Per il resto, noi sosteniamo la democrazia diretta e il pluralismo. Sì, anche il pluralismo di idee. Basta che non sia un paravento per prenderci per il culo e consegnare il paese ad USraele (vedi quello che hanno fatto radicali e simili). Breve e doverosa rettifica.

Europa Nazione
25-12-20, 15:28
Questa è una tua opinione e non rappresenta la linea del forum. Uno stato autorevole e responsabile verso i propri cittadini ci può stare. Uno stato autoritario, etico ecc... no.
O meglio: certi stati diventano autoritari quando ci sono minacce esterne (sanzioni, tentativi di golpe) o quando partiti al soldo di plutocrati e imperialisti cercano di corroderlo dall'interno (il già citato golpe , le primavere di varie latitudine eccetera).
Per il resto, noi sosteniamo la democrazia diretta e il pluralismo. Sì, anche il pluralismo di idee. Basta che non sia un paravento per prenderci per il culo e consegnare il paese ad USraele (vedi quello che hanno fatto radicali e simili). Breve e doverosa rettifica.

Sì sono d'accordo sul fatto che fosse la mia idea e non quella di questo thread, infatti non ho letto tutta la discussione. Ma tu supporti la Bielorussia di Lukashenko? L'unione sovietica (che era socialista patriottica)? La Cina di Xi Jinping?La Russia di Putin? Oppure no?

RibelleInEsilio
26-12-20, 04:46
Sì sono d'accordo sul fatto che fosse la mia idea e non quella di questo thread, infatti non ho letto tutta la discussione. Ma tu supporti la Bielorussia di Lukashenko? L'unione sovietica (che era socialista patriottica)? La Cina di Xi Jinping?La Russia di Putin? Oppure no?

C'è una fallacia nella tua definizione di autoritarismo. Cosa sarebbe esattamente? Autoritarismo è un termine soggettivo usato dalla società occidentale per descrivere tutto ciò che non rientra in un sistema liberal-capitalista parlamentare e partitico.

Noi socialisti lottiamo per un sistema socialista, appunto, che è sempre democratico. Se ti riferisci al multipartitismo, questo spesso viene inteso come garanzia di democraticità. Il fatto è che alcuni sistemi, come quello cinese, non prevedono partiti in quanto formalmente inutili.

Siamo solo noi occidentali convinti che occorrano per forza partiti e colori diversi per garantire i principii democratici, ma non è così. Un esempio lampante è l'esempio (de facto) monopartitico cinese: noi abbiamo la costituzione, e in base a quella devi agire (andare contro la carta costituzionale è illegale), non importa di che partito tu sia. Per i cinesi la costituzione è il PCC, ma le correnti - spesso in antitesi - ci sono e ognuno concorre a livello elettivo con programmi propri e linee diverse, esattamente come i partiti. Basti pensare alle elezioni e ai consigli regionali.

Democratico e autoritario sono concetti del tutto opinabili e non applicabili uniformemente alle diverse realtà umane ed etnoculturali del pianeta.

LupoSciolto°
26-12-20, 09:02
Sì sono d'accordo sul fatto che fosse la mia idea e non quella di questo thread, infatti non ho letto tutta la discussione. Ma tu supporti la Bielorussia di Lukashenko? L'unione sovietica (che era socialista patriottica)? La Cina di Xi Jinping?La Russia di Putin? Oppure no?

Non ha importanza se io amo la Cina, la Nord Corea o la Bielorussia. Primo, perché vivo in un contesto del tutto differente (l'Italia) , secondo , perché non sono mai stato in questi paesi per poter studiare attentamente il loro sistema produttivo e le tappe del loro sviluppo storico-politico.
L'appoggio che garantiamo è di tipo ANTI-IMPERIALISTA e di contrasto all'UNIPOLARISMO EURO-AMERICANO. L'unico imperialismo che oggi va combattuto per il bene del pianeta e dei popoli.
Io non sono necessariamente attratto da autoritarismi o da marcette in pompa magna. Se si presenterà la necessità (e bada bene: parlo di necessità) di irrigidire lo stato o di controllare agenti provocatori, si agirà di conseguenza. Ma non deve essere questo il punto di partenza per un discorso che, su tutto, riguarda l'emancipazione delle classi popolari , l'indipendenza e la sovranità nazionale.
E, ovviamente, quoto buona parte del discorso fatto da Ribelle.
Spero si sia capito qual è il nostro punto di vista sulla questione.

Europa Nazione
28-12-20, 01:03
C'è una fallacia nella tua definizione di autoritarismo. Cosa sarebbe esattamente? Autoritarismo è un termine soggettivo usato dalla società occidentale per descrivere tutto ciò che non rientra in un sistema liberal-capitalista parlamentare e partitico.

Noi socialisti lottiamo per un sistema socialista, appunto, che è sempre democratico. Se ti riferisci al multipartitismo, questo spesso viene inteso come garanzia di democraticità. Il fatto è che alcuni sistemi, come quello cinese, non prevedono partiti in quanto formalmente inutili.

Siamo solo noi occidentali convinti che occorrano per forza partiti e colori diversi per garantire i principii democratici, ma non è così. Un esempio lampante è l'esempio (de facto) monopartitico cinese: noi abbiamo la costituzione, e in base a quella devi agire (andare contro la carta costituzionale è illegale), non importa di che partito tu sia. Per i cinesi la costituzione è il PCC, ma le correnti - spesso in antitesi - ci sono e ognuno concorre a livello elettivo con programmi propri e linee diverse, esattamente come i partiti. Basti pensare alle elezioni e ai consigli regionali.

Democratico e autoritario sono concetti del tutto opinabili e non applicabili uniformemente alle diverse realtà umane ed etnoculturali del pianeta.

"Autoritarismo" non è un termine soggettivo, non più di "democrazia".
cito da wikipedia in inglese:
"Authoritarianism is a form of government characterized by the rejection of political plurality, the use of a strong central power to preserve the political status quo, and reductions in the rule of law, separation of powers, and democratic voting.[1] Political scientists have created many typologies describing variations of authoritarian forms of government.[1] Authoritarian regimes may be either autocratic or oligarchic in nature and may be based upon the rule of a party or the military.[2][3]

In an influential 1964 work,[4] the political scientist Juan Linz defined authoritarianism as possessing four qualities:

Limited political pluralism, realized with constraints on the legislature, political parties and interest groups.
Political legitimacy based upon appeals to emotion and identification of the regime as a necessary evil to combat "easily recognizable societal problems, such as underdevelopment or insurgency".
Minimal political mobilization and suppression of anti-regime activities.
Ill-defined executive powers, often vague and shifting, which extends the power of the executive.[5][6]"

Mi auguro che sia chiaro ora cosa vuol dire autoritarismo: uno stato in cui c'è un forte potere centrale, mancata o parziale separazione dei poteri, limitato pluralismo politico, soppressione attività anti-regime, spesso illiberale. Autoritarismo è un termine spesso opposto a democrazia liberale, quella che tu chiami "liberal-capitalismo" cioè USA, Francia, Regno Unito etc...sopra ho fatto un po' di esempi di stati autoritari e socialisti patriottici.
E vorrei sapere da te RibelleInEsilio, per favore, se condividi l'ideologia cinese cioè se condivido il socialismo con caratteristiche cinesi e il pensiero di Xi Jinping.
Tra gli aspetti autoritari della cina c'è quello di non tutelare le minoranze come gli uiguri, i tibetani, perseguitare i dissidenti pro-democrazia etc. Fra gli eventi che si citano come mancanza di "democrazia" in Cina c'è ad esempio il cosiddetto "massacro di Tienanmen". Ma ci sarebbe tanto da dire.
Io condivido l'ideologia socialista con caratteristiche cinese e sono contento che la Cina, al contrario dell'URSS e di altre nazioni, non si è piegata alle "democrazie" occidentali.

Qui un' intervista al presidente della fondazione Italia-Cina Vincenzo Petrone che associa la Cina a uno "stato autoritario" come la Russia e la Turchia. Io vedo molto positivamente questo modello di gestione dello stato e appoggio questi stati e le destre in Italia.

https://www.lastampa.it/esteri/2020/01/16/news/la-cina-non-e-il-male-non-e-una-democrazia-liberale-ma-non-aggredisce-i-valori-occidentali-1.38334333

Con questo non voglio farvi cambiare idea, anche perchè secondo me abbiamo idee simili e, soprattutto, se non ho capito male supportiamo gli stessi stati. Non voglio chiedervi di supportare le destre o simili ma voglio solo discutere con voi relativamente alla contrapposizione tra la "società aperta" elaborata da Popper e supportata da Soros, dalla finanza internazionale, dall'UE, dai plutocrati mondiali etc. spesso chiamata "democrazia-liberale" e lo "stato autoritario" come quello cinese o bielorusso che potrebbe essere il vero modello di sviluppo vincente del 21° secolo.

Oltre a ciò non credo alla propaganda liberale per cui la democrazia deve essere per forza liberale ma credo invece che la Cina sia, pure, democratica semplicemente in un senso meno liberale...