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Visualizza Versione Completa : L’ antropologia economica di Karl Polanyi



Gianky
15-03-16, 11:19
https://it.wikipedia.org/wiki/Karl_Polanyi

Gianky
15-03-16, 11:21
di Stefano Di Ludovico - 30/07/2008

L’ungherese Karl Polanyi è stato senza dubbio uno dei maggiori storici dell’economia del Novecento, autore di opere fondamentali tradotte nelle maggiori lingue quali La grande trasformazione, Traffici e mercati negli antichi imperi, La sussistenza dell'uomo: il ruolo dell'economia nelle società antiche (in Italia tutte edite dalla Einaudi). Eppure il suo pensiero, non rientrando nel paradigma liberista così come in quello marxista, è ancora poco conosciuto, anche tra gli addetti ai lavori. Le sue opere non hanno mai avuto una facile accoglienza e il suo nome rischia oggi di cadere nell’oblio. Un economista eretico, dunque, “inattuale”, soprattutto in un’epoca come la nostra di dominio incontrastato, ormai a livello planetario, del credo liberista. Anche il suo itinerario professionale, anomalo e non privo di ostacoli, non ha certo favorito la diffusione della sua opera, pur così preziosa e per molti aspetti unica.
La riflessione di Polanyi prende le mosse da un preciso intento, che accompagna un po’ tutto il suo itinerario di ricerca: combattere il dogma della scuola economica neoclassica secondo cui il modello economico rappresentato dalla società di mercato – ovvero il modello affermatosi in Occidente a partire dalla fine dell’età medievale e poi soprattutto con la Rivoluzione industriale - è di per sé sufficiente a spiegare il funzionamento dell’economia in genere, quindi anche delle economie delle società primitive o premoderne. Tale dogma però si fonda per Polanyi su un errore di prospettiva; errore costituito dall’indebita trasposizione di meccanismi e principi propri dell’economia moderna alle società antiche. Si osserva cioè il passato con la lente distorta dal presente. Infatti secondo la scuola neoclassica la competizione economica ed il mercato, in forme certamente diversificate e circoscritte, in fin dei conti sono sempre esistiti, essendo il movente economico, la ricerca del profitto o, più in generale, di un qualche vantaggio materiale, le molle essenziali del comportamento umano. L’uomo, insomma, è da sempre homo oeconomicus. Ed è proprio per evidenziare l’errore e smascherare il pregiudizio che si celano dietro tale visione che Polanyi ha intrapreso lo studio delle economie precapitalistiche, ovvero delle strutture economiche delle civiltà primitive, arcaiche e premoderne, secondo un’ottica che per i fini preposti non poteva limitarsi all’analisi delle sole dinamiche economiche proprie di quelle società, ma si estendeva ai diversi ambiti dell’agire umano, valorizzando i contributi di discipline quali l’antropologia, l’etnologia, la sociologia. L’obiettivo della sua ricerca – secondo le sue esplicite intenzioni – era quello di creare una vera e propria “antropologia economica”. Ecco perché sarebbe alquanto riduttivo considerare Polanyi un semplice economista o uno storico dell’economia. Ed ecco perché il suo nome e i suoi studi sono spesso ricordati ed apprezzati più in ambito storico che in quello prettamente economico.Per capire le ragioni che hanno spinto Polanyi a criticare e a mettere in discussione le convinzioni fondamentali della scienza economica del suo tempo, saranno utili anche alcuni accenni alla sua biografia. Nato nel 1886 a Budapest, compie studi di filosofia, diritto ed economia, frequentando in principio ambienti culturali e politici ungheresi di orientamento radical-socialista. Tra il 1924 e il 1933 a Vienna, dove si era trasferito, è redattore per gli affari esteri della rivista di politica ed economia Oesterreichische Volskwirt, sulla quale si occupa soprattutto di problemi economici inerenti alla società inglese. In un periodo dominato dallo scontro teorico, intellettuale e politico tra la visione economica liberista e quella di tradizione marxista - tradizione che con la Rivoluzione d’ottobre troverà il suo primo tentativo di realizzazione pratica su larga scala – Polanyi propende per un’economia regolamentata e guidata dall’alto, pur senza aderire agli esiti totalitari dell’esperienza russa. Nel 1933, ostile al fascismo ormai dilagante e mentre i paesi capitalistici iniziano lentamente a riprendersi dalla “grande depressione”, Polanyi si trasferisce in Inghilterra, dove terrà conferenze su temi economici alla Workers’ Educational Association e si legherà ad ambienti del socialismo inglese, in particolare quelli di ispirazione “umanista” (come ad esempio il “Guld Socialism” o frazioni utopiste di tradizione oweniana), prendendo le distanze sia dal capitalismo che da un’economia rigidamente pianificata. Nel 1934 pubblica il saggio L’essenza del fascismo, che pur essendo uno scritto di critica filosofico-politica dell’ideologia fascista, presenta considerazioni ed intuizioni di tipo socio-economico che anticipano l’analisi compiuta dieci anni più tardi in quella che sarà destinata a rimanere la sua opera più nota: La grande trasformazione, pubblicata nel 1944 negli Stati Uniti, nei quali Polanyi si era recato come borsista al Bennington College. Negli Stati Uniti tornerà dopo la guerra, nel 1947, come “visiting professor” di economia alla Columbia University di New York, incarico che manterrà fino al 1953, acquisendo anche la cittadinanza statunitense. Polanyi muore a Toronto nel 1964.Come già il saggio del 1934, La grande trasformazione spiega l’avvento del fascismo all’interno di un’ampia analisi che ripercorre l’intera storia del capitalismo dall’Ottocento fino agli anni Trenta del secolo successivo, soffermandosi in particolare sulla disamina del capitalismo in Inghilterra, ovvero nel paese dove esso aveva avuto i suoi natali. La storia del capitalismo è vista da Polanyi come storia della sua “crisi”, crisi dovuta, in ultima analisi, all’innaturalità e quindi all’impossibilità di una società retta unicamente dalle leggi di mercato e del laissez-faire. E’ questa la grande intuizione di Polanyi, intuizione la cui portata va ben oltre l’analisi del determinato periodo storico preso in esame nel libro. Quel che Polanyi evidenzia è che la società di mercato risulta alla fine un episodio eccezionale nella storia dell'umanità; società per tanto incapace di riprodursi senza accogliere forme e strutture le quali, in un modo o nell’altro, finiscono per limitare il libero scambio che altrimenti, portato alle sue estreme conseguenze secondo la logica stessa dei teorici liberisti, porterebbe alla dissoluzione della società stessa. Da qui la nascita delle correnti socialiste e riformatrici che fin dai suoi prodromi hanno accompagnato l’ascesa del capitalismo, per arrivare al protezionismo di fine Ottocento e al capitalismo “organizzato” e “corporativista” degli anni Trenta in reazione alla grande depressione; tentativi e forme della inevitabile resistenza al mito del mercato “autoregolato”.
Per Polanyi è fondamentale distinguere quest’ultimo concetto da quello generale di “mercato”. Il cosiddetto mercato “autoregolato” nasce solo nel corso del XIX secolo, insieme alla Rivoluzione industriale; in passato esistevano certo i “mercati”, ma erano per lo più mercati locali, con prezzi non dipendenti dalla legge della domanda e dell’offerta, bensì controllati e quindi perlopiù stabili. Nelle società precapitalistiche, inoltre, il lavoro e la terra non sono oggetto di compravendita, così come la moneta non è ancora essa stessa una merce. Con l’avvento del capitalismo, invece, anche il lavoro, la terra e la stessa moneta possiedono un loro mercato e diventano quindi merci, di pari passo con la mercificazione di tutti i rapporti sociali.
Il mercato autoregolato, mito dell’economia liberista ottocentesca, entra in crisi con il crollo di Wall Street nel 1929 e la fine del “sistema aureo” – fondamento del capitalismo internazionale fino allo scoppio della prima guerra mondiale - crisi che trascina con sé la “grande illusione” di mantenere la stabilità della crescita produttiva senza una qualche forma di regolazione pubblica. Nel prendere in esame la crisi e la “grande trasformazione” subita dal mondo liberale negli anni Trenta per far fronte ad essa, Polanyi si chiede se veramente la pulsione all’acquisizione e al guadagno sia da considerarsi come una predisposizione naturale degli uomini. La sua risposta è che il capitalismo, al contrario di quanto sostenuto dalla scuola classica che vedeva in esso la forma “naturale” dell’agire umano, è invece a un’anomalia storica, perché mentre i precedenti rapporti economici erano subordinati ai rapporti sociali, con il capitalismo sono i rapporti sociali ad essere definiti tramite i rapporti economici. E’ da queste conclusioni che si avvierà la successiva riflessione di Polanyi, unitamente ai suoi collaboratori dell’Università della Columbia, volta allo studio comparato delle diverse economie della storia, distogliendo l’attenzione dai soli problemi delle economie contemporanee, siano esse capitaliste o socialiste, e concentrandosi sempre più sullo studio delle società antiche e premoderne. Tali ricerche confluiranno poi nelle opere sopra citate – Traffici e mercati negli antichi imperi, del 1957, e La sussistenza dell'uomo: il ruolo dell'economia nelle società antiche, uscita postuma nel 1977 - e in numerosi altri saggi e scritti (alcuni dei quali raccolti nel volume Economie primitive, arcaiche e moderne, pubblicato in Italia sempre dall’Einaudi nel 1980).La riflessione di Polanyi parte da questo assunto fondamentale: per comprendere la vita economica delle società antiche e – a partire da questa – la realtà economica moderna, bisogna innanzi tutto chiarire lo stesso concetto di “economia”. Secondo Polanyi la scienza economica moderna si è limitata ad esprimere un concetto di economia puramente “formale”, concetto che pretende di essere universale, ovvero valido in tutti i tempi e per tutte i consessi umani. Tale concetto si basa essenzialmente sulle nozioni di “scarsità” e di “massimizzazione”: ancor oggi, basta aprire qualsiasi manuale di economia e questa viene irrimediabilmente definita quale l’insieme delle azioni volte ad ottenere il massimo utile all’interno di una situazione di scarsità dei mezzi materiali di sussistenza. Tale definizione è per Polanyi meramente “formale” nel senso di astrarre completamente dal reale contesto sociale ed istituzionale all’interno del quale ogni azione umana viene ad inserirsi ed esplicarsi. Lungi dall’essere una definizione valida per ogni contesto, essa riflette piuttosto una realtà storica ben precisa, quella dell’economia di mercato, ovvero di una realtà sociale caratterizzata da soggetti che agiscono individualmente sulla base di scelte razionali al fine di ottenere il massimo profitto a partire dalla scarsità dei mezzi a disposizione. Come vediamo, si tratta della logica dell’homo oeconomicus, logica fondata su una concezione prettamente utilitaristica dell’agire umano. A tale definizione “formale” Polanyi contrappone una definizione “sostanziale”: “il significato sostanziale dell’economia – afferma – deriva dal fatto che l’uomo dipende per la sua sopravvivenza dalla natura e dai suoi simili. Esso si riferisce a quell’interscambio tra il soggetto e il suo ambiente naturale e sociale che ha per scopo di procurargli mezzi materiali per il soddisfacimento dei sui bisogni”. Quello che Polanyi vuole evidenziare con tale definizione è che l’economia, lungi dal definire un’azione individuale volta alla ricerca dell’utile personale, è un processo “istituzionalizzato”, che trova cioè la sua ragion d’essere nelle istituzioni, ovvero nei rapporti generali istaurati dagli uomini di una determinata società. Per Polanyi un processo economico ha un’autentica realtà soltanto nell’ambito di una forma sociale concreta, specifica. Esso si inserisce in un contesto di strutture sociali che vanno a costituire la “semantica” delle sue forme e delle sue funzioni, assicurandone il reale funzionamento e la stabilità. Secondo i tempi e i luoghi, il processo economico può inserirsi e concatenarsi all’interno delle più svariate istituzioni – la parentela, la politica, la religione; istituzioni, quindi, non soltanto economiche, volte ad assicurare cioè i soli mezzi di sussistenza materiale. Compito dello storico dell’economia sarà quello di analizzare i diversi modi in cui l’economia si è, a seconda appunto dei tempi e dei luoghi, “istituzionalizzata” e, a partire da ciò, la “semantica”, ovvero il significato e la valenza che nell’immaginario degli uomini di quella determinata società l’economia ha assunto.Attraverso analisi storiche che spaziano dall’antichità mesopotamica, egizia e greca per arrivare a toccare le civiltà maya e azteca, la società indiana e quella africana pre-coloniale, Polanyi individua tre tipi essenziali di organizzazione ed integrazione istituzionale all’interno dei quali si definiscono i processi economici: “reciprocità”, “redistribuzione” e “scambio” (a questi si potrebbe aggiungere un quarto tipo, l’ “economia domestica”, che però viene vista più che altro come sottotipo degli altri tre, in riferimento soprattutto all’economia familiare contadina). Tali tipi – considerati nel senso “weberiano” del termine, dunque quali realtà “limite” spesso coesistenti ed intrecciate tra loro – definiscono tre specifiche modalità relazionali che si vanno a costituire tra gli uomini nell’acquisizione e nella disposizione delle risorse produttive e dei mezzi materiali destinati alla soddisfazione dei bisogni.
La “reciprocità” è caratteristica di quelle società i cui membri – siano essi considerati singolarmente o come gruppi – sono legati tra loro da una determinata e ben codificata rete di relazioni di simmetria, relazioni che ne fissano i reciproci diritti e doveri. Esempi di tale forma di integrazione possono essere rappresentati dalla società feudale europea o dall’economia di villaggio indiana, così come dalle comunità delle isole Trobriand della Melanesia, rese celebri dagli studi di Malinowski; studi che Polanyi riprende abbondantemente considerandoli il miglior sistema documentato di organizzazione sociale fondata sulla reciprocità. In tale sistema di organizzazione l’economia si fonda essenzialmente sul “dono”, o meglio su un complesso sistema di “doni” e “controdoni”, che avviene sulla base del rigido rispetto degli obblighi reciproci che legano l’un l’altro i membri della collettività. Polanyi evidenzia come solo un’analisi superficiale e distorta dal pregiudizio economicista moderno può portare a vedere nei sistemi di “dono” e “controdono” – avvengano essi in natura o tramite mezzi di scambio che possono essere i più svariati - uno scambio fondato sulle leggi di mercato. Il “dono” infatti si fonda sul rispetto di altre norme, quelle appunto che regolano nel loro insieme i rapporti sociali tra i diversi componenti di quella specifica comunità: sono questi a scandire e a definire le diverse fasi della vita economica, dalla produzione alla distribuzione fino al consumo. Il processo economico va quindi a sanzionare e confermare una determinata struttura di integrazione sociale, che definisce essa stessa le forme dell’economia.
La “redistribuzione” è tipica invece di società fortemente centralizzate, in cui anche lo stanziamento e la distribuzione dei beni materiali è concentrato nelle mani di un potere unico riconosciuto. Tipici esempi di economia redistributiva sono costituiti dai vasti imperi burocratici dell’antica Mesopotamia, dell’Egitto o degli Incas. Si tratta di una economia che potremmo definire “pianificata”, in cui la facoltà di determinare il ruolo che ciascun soggetto assume all’interno del processo economico è fissato da un centro dal quale emanano i criteri di collocamento delle risorse e di distribuzione dei beni. La redistribuzione può caratterizzare anche consessi umani più ristretti rispetto ai grandi imperi – l’economia domestica della Grecia e della Roma antiche, l’economia di comunità indiana o il feudo medievale sono altrettanti esempi di economia redistributiva: l’essenziale è che vi sia un’organizzazione politica di tipo centralistico, organizzazione che va a determinare anche le modalità del processo economico. Anche in questo caso, quindi, tale processo non avviene in base alla logica di mercato: i “mercati” delle economie redistributive sono infatti tutt’altra cosa rispetto ai mercati regolati dalla legge della domanda e dell’offerta, essendo in essi le regole – e quindi i criteri di fissazione dei prezzi – dettate ed amministrate dall’alto (vedi i cosiddetti “porti franchi” dell’antichità mediterranea, porti a cui Polanyi dedica grande attenzione quali esempi di quelli che egli definisce “traffici senza mercato”).
Il terzo modello economico è infine rappresentato dallo “scambio”, termine con il quale Polanyi identifica i processi economici tipici della moderna economia capitalistica. “Lo scambio – afferma – è il comportamento di persone che scambiano beni in base all’assunto che ciascuno ne trae il massimo vantaggio”. Il movente dello scambio è quindi la ricerca di un utile personale, attraverso una scelta razionale dei mezzi in rapporto ai fini, e in cui il prezzo del bene scambiato è determinato dalla libera contrattazione secondo il meccanismo domanda-offerta. Perché sia possibile una simile modalità di transazione dei beni – quella che Polanyi già ne La grande trasformazione chiama “mercato autoregolato” per distinguerlo dalle altre forme di mercato – è necessaria la presenza di un modello di integrazione sociale fondato sulla realtà di soggetti considerati nella loro irriducibile individualità, monadi isolate e slegate da ogni relazione interpersonale se non quella scaturente dall’autonoma iniziativa di ciascuno. Un’economia fondata sull’assoluta proprietà individuale dei beni e sulla libera concorrenza economica è la naturale conseguenza di una tale forma di istituzionalizzazione. L’economia di mercato perde quindi ogni carattere “naturale”, “metastorico”; “non è il risultato – dice Polanyi – di una qualche debolezza umana, non è riconducibile al mero desiderio individuale di trafficare, barattare e scambiare”, come un’antropologia superficiale o la scuola classica dell’economia ci vogliono far credere, ravvisandosi i suoi presupposti in una ben precisa morfologia sociale storicamente determinata. Morfologia che ha sì caratterizzato la storia dell’Occidente moderno, ma che Polanyi riconosce essersi parzialmente affermata, insieme ed accanto alle altre tipologie economiche, anche altrove, ad esempio in Grecia a partire dal IV secolo a.C. A tal proposito molto illuminanti appaiono le pagine da Polanyi dedicate agli spunti di riflessione economica presenti negli scritti di Aristotele, del quale vengono sottolineate le geniali intuizioni. In un’epoca in cui le forme di economia di mercato sono in una fase embrionale, il grande filosofo coglie già la differenza tra le attività volte alla semplice sussistenza - quali l’economia propriamente detta, che Aristotele identifica con l’economia domestica (economia viene infatti dal greco oikos, casa, l’oikonomia essendo così il “governo della casa”) e lo scambio volto alla provvista dei beni non prodotti in proprio (la cosiddetta crematistica, l’ “arte degli acquisti”) - e l’attività volta invece al guadagno, all’utile personale (la cattiva crematistica), attività considerata da Aristotele una degenerazione innaturale della prima. Attraverso lo studio dei diversi tipi di integrazione sociale si rende possibile l’individuazione del “posto” che l’economia occupa nella società, secondo una prospettiva di analisi che ha guidato tutta la ricerca di Polanyi, conducendolo ai risultati e ai contributi più originali. E in tale prospettiva che egli distingue società dove l’economia è embedded (termine inglese traducibile con “inserita”, “incorporata”, “immersa”) in contesti relazionali che economici non sono – ed è il caso dei contesti fondati sulla “reciprocità” e sulla “redistribuzione” - e società in cui l’economia è “disinserita”, “scorporata” dalla società stessa, come avviene nelle società rette dall’economia di mercato. E’ questa una distinzione fondamentale. Dove l’economia è “inserita” nella società, sono le relazioni di parentela, i legami personali, i rapporti di sottomissione politica o i doveri religiosi a determinare anche le modalità delle relazioni di tipo economico; mentre laddove l’economia si “scorpora”, sono le relazioni economiche a determinare, viceversa, la forma di tutti gli altri ambiti relazionali che si vengono a stabilire nella società. Ciò comporta conseguenze di notevole rilevanza in merito alla stessa immagine che dell’economia hanno avuto le diverse civiltà succedutesi nella storia: si passa, infatti, da società in cui l’economia non è in nessun posto – confondendosi con le dinamiche parentali, politiche o religiose – ad una società, come quella capitalistica, dove l’economia è dappertutto. Da qui quello che agli occhi di noi moderni occidentali potrebbe sembrare addirittura un’assurdità: non solo l’economia di mercato rappresenta un’eccezione nell’ambito della storia economica dell’umanità, ma è lo stesso concetto di “economia” a rappresentare una creazione della moderna società capitalistica. Per Polanyi, infatti, inventando l’economia di mercato, l’Occidente ha inventato, per così dire, la stessa “economia”, dato che solo all’interno di una società in cui l’economia, scorporandosi dalla società, detta essa stessa le regole generali della convivenza l’uomo ha potuto prendere coscienza di essa come sfera di attività autonoma e rispondente a leggi proprie. “Finché – afferma Polanyi – prevalgono quelle forme di integrazione [la reciprocità e la redistribuzione] non c’è bisogno che sorga un concetto specifico di economia. Gli elementi dell’economia in questo caso sono incorporati in istituzioni non economiche. In queste condizioni il termine ‘vita economica’ non avrebbe alcun significato preciso. Le emozioni individuali non si riferiscono ad alcuna esperienza che possa essere chiamata economica. L’individuo non percepisce in modo distinto alcun interesse generale per le condizioni materiali della propria esistenza”. Ciò spiegherebbe, del resto, le ragioni dell’assenza nelle civiltà precapitalistiche di una scienza economica come oggi noi la intendiamo. Tale disciplina si afferma, non a caso, a partire dal Settecento, con i fisiocratici francesi prima e la scuola classica inglese di Adam Smith poi. “Prima dell’epoca moderna – prosegue Polanyi – le forme in cui gli uomini organizzarono la creazione delle condizioni materiali della loro esistenza attrassero la loro attenzione molto meno di quanto fecero altri aspetti della loro esistenza. A differenza della parentela, della magia o dell’etichetta, con le loro fondamentali espressioni concettuali, l’economia in quanto tale rimase senza nome. In genere non si aveva alcun termine per designare il concetto di economia. Si può dire, quindi, per quanto se ne sa, che tale concetto non esisteva. I clan e i totem, i gruppi sessuali, di coetanei, le forze dello spirito e le pratiche cerimoniali, le usanze e il rituale erano tutti istituzionalizzati attraverso complicati sistemi simbolici, mancava invece qualsiasi termine che designasse l’economia come attività volta a procurare il cibo necessario alla sopravvivenza fisica dell’uomo. Non può essere considerato casuale il fatto che fino ad epoche molte recenti mancasse, anche nelle lingue dei popoli civilizzati, un termine che designasse l’organizzazione delle condizioni materiali dell’esistenza”. Ciò che manca, ovviamente, è il concetto di economia, non l’economia in quanto tale: quando il processo economico si trova incorporato in un sistema di istituzioni non economiche – parentali, politiche o religiose – sono queste a definire la valenza semantica e simbolica anche della sfera dei rapporti materiali. Il contadino della società feudale vive le prestazioni economiche che deve al signore come espressione dei doveri di fedeltà che a quello lo legano: il primus, nel suo immaginario, è il vincolo personale, non la prestazione economica. Il salariato della moderna società capitalistica è invece legato alla sua controparte da un vincolo esso stesso economico – il contratto: egli vive quindi la relazione con l’altro innanzi tutto come relazione economica. Bisognava attendere, quindi, che i rapporti contrattuali si erigessero a modello di qualsivoglia relazione sociale perché l’uomo prendesse coscienza dell’economia come sfera autonoma e significativa della sua esistenza: non a caso l’ “inventore” dell’economia, prima che questa assurgesse a vera e propria scienza nel Settecento, è, per Polanyi, Aristotele, ovvero un filosofo vissuto in un’epoca che ha visto nascere i primi prodromi di un’economia di mercato. Di qui anche le critiche che Polanyi rivolge al pensiero economico marxista, di cui comunque, per alcuni aspetti, è debitore. Polanyi infatti riconosce come Marx abbia per primo denunciato il carattere “ideologico” dell’economia classica, evidenziando come le presunte “leggi naturali” del mercato altro non siano che il prodotto di ben determinate circostanze storiche non rinvenibili in altri contesti. Il marxismo però, ad avviso di Polanyi, rimane esso stesso prigioniero del pregiudizio economicista moderno, secondo cui l’uomo, in ultima analisi, si riduce all’homo oeconomicus, essendo la soddisfazione dei bisogni materiali il movente principe del suo agire. La ricerca di Polanyi ci ha invece portato a scoprire come non sia stato sempre così, e che l’immaginario religioso, etico e politico ha invece nella maggior parte dei casi prevalso su quello economico assorbendolo completamente all’interno dei suoi specifici parametri. Anche l’evoluzionismo finalistico proprio del marxismo, che vede nella storia il succedersi lineare e progressivo di diversi “stadi” di sviluppo delle forze produttive, è estraneo alla visione di Polanyi: le diverse forme di integrazione sociale ed economica – la reciprocità, la redistribuzione e lo scambio - non rappresentano infatti “stadi” di un unico sviluppo storico: esse non implicano nessuna sequenza temporale, potendo coesistere o alternarsi nel corso della storia, affermandosi e riapparendo dopo periodi di eclissi temporanea. Il campo di analisi così come gli interessi di Polanyi sono stati dunque davvero vasti ed impegnativi. A voler riassumere, nell’intento di trovare un senso ed una direzione unitaria alla sua molteplice ricerca, possiamo dire che egli cercò di individuare i diversi ruoli che l’economia gioca all’interno dei consessi umani, evidenziando come il sistema di mercato dell’Occidente avesse, con la sua affermazione, usurpato le generiche funzioni e l’integrità della società decretando la supremazia assoluta dei valori economici. La sua opera assume quindi, inevitabilmente, anche un significato politico e sociale. La sua forza ispiratrice – e al contempo polemica – è la convinzione che tale supremazia rappresenti un’eccezione e non certo la regola del divenire storico, essendo stato possibile, in altre epoche e presso altre civiltà, produrre e distribuire i mezzi di sussistenza conservando al tempo stesso la dimensione comunitaria e simbolica della società. Per questo egli contestò il dogma liberale secondo cui la libertà e la giustizia si legano intrinsecamente all’economia di mercato, così come contestò il determinismo economico, credo dell’altra fede economico-filosofica dell’età moderna, il marxismo. Oggi che quest’ultimo ha ormai esaurito ogni spinta propulsiva mentre l’altro celebra i suoi trionfi su scala mondiale sradicando implacabile le ultime forme di civiltà “altre”, l’opera dell’inattuale Polanyi torna inaspettatamente d’attualità, suscitando nuovo interesse in quelle correnti di pensiero critiche della globalizzazione, in particolare tra coloro – si pensi ad un autore come Serge Latouche – ormai consapevoli che la vera sfida non si pone tanto sul terreno economico, ma piuttosto su quello delle mentalità e delle visioni del mondo, in quanto gli stessi problemi materiali che travagliano l’umanità odierna difficilmente potranno essere risolti se non iniziamo innanzi tutto a de-colonizzare il nostro immaginario dal pregiudizio economicista. C’è stato un tempo – abbiamo visto - in cui l’economia non esisteva; ma “la mancanza di tale concetto – insegna Polanyi – non ha impedito all’uomo di far fronte alle esigenze della sua vita quotidiana. C’è piuttosto da domandarsi se la percezione di una sfera economica distinta non tenda a ridurre la sua capacità di rispondere spontaneamente alle esigenze di sopravvivenza attraverso canali diversi da quelli economici”.

Karl Polanyi: l'attualità di un economista inattuale, Stefano Di Ludovico (http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=20639)

Gianky
15-03-16, 11:25
Non sapevo dell'esistenza di Polanyi e della antropologia economica, è stata una rivelazione per il sottoscritto, una vera rivelazione soprattutto dove Polanyi, antropologo attualissimo, sostiene la non naturalità del mercato, proprio il contrario di quanto sostengono tutti, o quasi tutti, gli economisti contemporanei e cioè che il mercato sia l'economia naturale dell'uomo. Una lettura quella di Polanyi, ma non solo la sua, veramente attuale ed eretica, per cui entra a ben diritto in questo forum, eretico per natura.

Gianky
18-03-16, 10:36
KARL POLANY, economista e sociologo, Scheda didattica sull’opera, a cura di Paolo Ferrario, 16 febbraio 2011
Karl Polany (1886-1964) (http://it.wikipedia.org/wiki/Karl_Polanyi) è un classico studioso delle scienze sociali contemporanee che ha offerto contributi di rilievo


allo studio dei rapporti tra economia e società,
alla critica del paradigma dominante in economia,
alla analisi delle istituzioni economiche
e alla interpretazione dei meccanismi istituzionali e delle contraddizioni della società industriale.

Polany è un autore dell’approccio istituzionalista. Per lui l’economia è inserita o incorporata nella società, e i processi economici


del produrre,
del distribuire
e dell’allocare risorse

sono attività essenziali di ogni società che, tuttavia si svolgono entro quadri istituzionali diversi, ovvero con motivazioni, significati, leggi e ordinamenti differenti.
Il rapporto tra economia e società si configura per Polany in modo diverso nelle diverse epoche storiche. Egli afferma infatti che di regola, l’economia dell’uomo è immersa nei suoi rapporti sociali e che “l’uomo non agisce in modo da salvaguardare il suo interesse individuale nel possesso di beni materiali, agisce in modo da salvaguardare la sua posizione sociale, le sue pretese sociali, i suoi vantaggi sociali”
L’eccezionalità del capitalismo moderno consiste nel fatto che in esso “non è più l’economia ad essere inserita nei rapporti sociali, ma sono i rapporti sociali ad essere inseriti nel sistema economico” fino al punto di una “conduzione accessoria ” della società rispetto al mercato regolato da prezzi.
Per Polany l’economia si sottrae al controllo della società e subordina alle proprie esigenze gli altri aspetti della vita sociale.
Il nucleo centrale della critica di Polanyi è costituito da tre grandi centri di attenzione strettamente collegati:
1) L’economia di mercato e le sue contraddizioni;
Una economia di mercato è un sistema economico controllato, regolato e diretto soltanto dai mercati; l’ordine nella produzione e distribuzione delle merci è affidato a questo meccanismo autoregolantesi. Una economia di questo tipo deriva dalla aspettativa che gli esseri umani si comportino in modo tale da raggiungere un massimo di guadagno monetario.
2) Il mercato autoregolato che rappresenta l’istituzione fondamentale del capitalismo liberale;
Un mercato autoregolato richiede:
– la separazione istituzionale della società in una sfera economica ed una politica;
– l’esistenza di istituzioni economiche separate;
– una economia di mercato deve comprendere tutti gli elementi dell’industria compreso il lavoro, la terra e la moneta (concetto di merce);
3) la pretesa della teoria economica classica e neo classica di attribuire validità universale al paradigma economico mezzi – fini.
Polany contesta la validità universale delle leggi dell’economia classica e neo-classica, che viene relativizzata come efficace modello interpretativo della sola economia di mercato. La pretesa universalistica di tale disciplina nasce, secondo Polanyi, dalla “fallacia economicistica “, ovvero dall’errore logico di confondere due significati distinti del concetto di economia, quello “sostanziale ” che definisce il rapporto istituzionalizzato tra gli uomini e il loro ambiente naturale e sociale, diretto al soddisfacimento dei bisogni, e quello “formale ” che deriva dal rapporto logico tra mezzi e fini e implica la scarsità dei mezzi e la scelta tra alternative.
Ora mentre l’aspetto fisico dei bisogni dell’uomo fa parte della condizione umana e, quindi, nessuna società, può esistere senza possedere un qualche tipo di economia sostanziale, il meccanismo offerta-domanda-prezzo è, invece, un istituzione relativamente moderna, avente una struttura specifica che non è facile costituire né fare funzionare.
La fallacia economicistica è a sua volta imputabile allo sviluppo, negli ultimi due secoli di storia dell’Europa occidentale e dell’America, di un’organizzazione delle condizioni della sopravvivenza umana, costituito da un sistema di mercati regolatori dei prezzi, in cui gli atti di scambio effettuati in tale sistema comportano scelte tra mezzi scarsi, e “il significato formale e quello sostanziale di economia vengono in pratica a coincidere ” alimentando la convinzione che vi sia un unico modo di istituzionalizzazione delle attività economiche nei vari tipi di società.
Già nella Grande Trasformazione vi è una critica del postulato dell’homo oeconomicus (http://en.wikipedia.org/wiki/Homo_economicus). Scrive Polany che i “suggerimenti di A. Smith sulla psicologia economica dell’uomo primitivo erano tanto falsi quanto la psicologia politica del selvaggio di Rousseau (http://en.wikipedia.org/wiki/Jean-Jacques_Rousseau). La divisione del lavoro, un fenomeno antico quanto la società, nasce da differenze inerenti al sesso, alla geografia e alle doti individuali e la presunta disposizione dell’uomo al baratto, al commercio e allo scambio è del tutto apocrifa “.
La critica dell’economia diventa più aspra con riferimento ai successori di A. Smith. Mentre Smith e Marx (http://en.wikipedia.org/wiki/Karl_Marx) sono, infatti, in parte “risparmiati” per la loro capacità di concepire l’attività economica entro un preciso contesto sociale, Ricardo, Malthus (http://en.wikipedia.org/wiki/Thomas_Robert_Malthus) e Townsend sono violentemente criticati per il loro naturalismo, cioè per la loro pretesa di considerare le leggi contingenti del modello di mercato come leggi di natura e universalmente valide. “Mentre gradualmente si apprendevano le leggi che governano un’economia di mercato, queste leggi venivano poste sotto l’autorità della natura stessa. La legge dei rendimenti decrescenti era una legge della fisiologia delle piante, la legge malthusiana della popolazione rifletteva il rapporto tra la fecondità dell’uomo e quella del suolo” e la disponibilità di cibo costituiva il limite naturale oltre il quale gli esseri umani non potevano moltiplicarsi, cosicché la fame diventa l’unico criterio regolatore di una società di “liberi “individui nella parabola delle capre e dei cani, ricordata da Townsend.
Secondo Polany il paradigma economico dominante concepisce la società economica come sottoposta a leggi che non sono leggi umane. Per trovare approcci alternativi capaci di reintegrare la società nel mondo umano bisogna superare decisamente i confini del pensiero economico. Marx si muove nella direzione giusta, ma a causa della sua troppo stretta aderenza a Ricardo e alle tradizioni dell’economia liberale resta nel paradigma economicstico.
Particolarmente severo è il giudizio sugli economisti neo- classici come Von Mises (nel 1920 aveva proclamato un vero e proprio manifesto liberale – Solo il libero mercato consente di misurare attraverso la formazione dei prezzi, la scarsità relativa delle risorse e quindi evidenzia la irrazionalità della pianificazione), Hayek (http://en.wikipedia.org/wiki/Friedrich_Hayek) e Robbins.
Polany non critica tanto le categorie dell’analisi economica quanto il suo quadro ideologico generale, l’utilitarismo, l’individualismo, il formalismo razionale, il naturalismo a-storico. Razionalismo, individualismo e spirito acquisitivo, costituiscono per Weber e Sombart (http://en.wikipedia.org/wiki/Werner_Sombart) i valori fondamentali della cultura borghese che tanta parte ha svolto nell’affermazione del capitalismo di mercato, mentre il naturalismo nasce dal tentativo consapevole di Smith di fondare l’autonomia della scienza economica mutuando il metodo delle scienze della natura. Anche Polanyi attribuisce grande importanza a questi orientamenti culturali, ma mette in luce soprattutto l’influenza negativa da essi esercitata nel favorire un’istituzione come il mercato autoregolato che ha subordinato la società all’economia.
Lo sforzo di Polanyi è rivolto a mostrare come esistano forme di istituzionalizzazione delle attività economiche diverse dallo schema mezzi – fini.
Più specificatamente, Polanyi si sforza di dimostrare che il complesso concorrenziale mercato-moneta-prezzo, che opera nel contesto giuridico della proprietà privata e del libero contratto e nel contesto culturale dell’economizzare, “è stato assente e ha svolto un ruolo subordinato durante la maggior parte della storia umana“. Ciò appare chiaro se si ritorna alla nozione di economia e si esaminano i diversi contesti istituzionali in cui tale sfera opera.
L’analisi dell’economia come processo istituzionale è necessaria non solo per comprendere realtà diverse dal capitalismo liberale, ma anche per comprendere i problemi specifici della società contemporanea emersa dalla crisi del mercato autoregolato, correggendo la distorsione prodotta dalla fallacia economicistica e contribuire, quindi, alla loro soluzione.
Sostenendo che il significato sostanziale di economia è quello universale e il significato formale quello storicamente contingente, il lavoro di Polany è teso a dimostrare che i principi dell’economizzare non sono universalmente presenti. Le analisi del commercio, della moneta, dei mercati, che costituiscono l’oggetto privilegiato della sua indagine perché sono più facilmente oggetto di fraintendimenti dovuti all’impiego delle categorie dell’economia formale, mostrano che “i rapporti interpersonali basati sul dare e ricevere sono tipicamente incorporati in una vasta rete di impegni sociali e politici che non consentono agli individui di massimizzare i vantaggi economici ottenuti in queste relazioni” e aprono la strada alla elaborazione di una teoria “dei movimenti appropriativi” dei fattori della produzione.
La tesi della eccezionalità del capitalismo liberale e la critica della teoria economica formale diedero vita a un ampio e composito progetto di studi e ricerche interdisciplinari, ispirate da Polany, sulle società primitive e le società antiche, che si proponevano di dimostrare l’esistenza di meccanismi istituzionali di integrazione sociale dell’economia diversi dal mercato autoregolato e di sostenere l’esigenza di categorie di analisi diverse dallo schema domanda offerta prezzo.
Il risultato teorico più interessante scaturito dai risultati di queste ricerche è la concezione dell’economia come processo istituzionalizzato e la connessa tipologia delle forme di integrazione, transazione o appropriazione.
Dunque Polany concepisce l’economia, nel suo significato sostanziale, come un processo istituzionalizzato di interazione tra l’uomo e il suo ambiente, che da vita a un continuo flusso di mezzi materiali per il soddisfacimento dei bisogni. Uomini, mezzi materiali, capitali, conoscenze tecniche, tutto ciò che contribuisce alla produzione deve spostarsi da una parte all’altra della società e i prodotti di questa attività devono essere ridistribuiti tra i membri della società. Accanto ai movimenti fisici acquistano fondamentale importanza i movimenti appropriativi, derivanti sia da transazioni che da disposizioni.
L’organizzazione sociale del potere appropriativo costituisce quindi, la matrice istituzionale che ordina i rapporti economici tra gli uomini e definisce il posto dell’economia nella società, nel senso che individua le condizioni sociali da cui scaturiscono le motivazioni individuali e l’insieme dei diritti e dei doveri che sanciscono i movimenti con cui i beni e le persone partecipano al processo economico.
Lo studio del modo in cui i sistemi economici concreti sono istituzionalizzati, cioè acquistano stabilità e unità viene effettuato mediante una tipologia che identifica tre schemi di integrazione o modi di transazione fondamentali:


la reciprocità,
la ridistribuzione
e lo scambio

Reciprocità e ridistribuzione svolgeranno un ruolo centrale nel pensiero di Polany.
Nel linguaggio corrente, tali concetti sono spesso impiegati per indicare rapporti tra persone. Ma nell’accezione di Polany non si tratta di semplici aggregati di comportamenti individuali, ma di strutture che identificano i tipi di provvedimenti istituzionali che regolano i rapporti tra i partecipanti al processo economico.
Queste strutture comportano diverse modalità di distribuzione nello spazio:”La reciprocità sta ad indicare movimenti tra punti correlati di gruppi simmetrici (principio di simmetria); la ridistribuzione indica movimenti appropriativi in direzione di un centro e successivamente provenienti da esso (principio di centricità); lo scambio si riferisce a movimenti bilaterali che si svolgono tra due “mani” in un sistema di mercato“.
I comportamenti di reciprocità tra le persone integrano l’economia solo se esistono strutture organizzate simmetricamente come il sistema parentale, gli atti di ridistribuzione presuppongono l’esistenza di un centro politico che raccoglie e alloca risorse e gli atti di scambio tra individui producono prezzi solo quando hanno luogo i mercati regolatori dei prezzi.
Ciascuna delle tre forme identifica i principi di organizzazione sociale e moventi di azione che si possono applicare ad aree ampie ed eterogenee di attività sociale: “la tacita mutualità tipica della sfera sociale dei rapporti affettivi diretti (nella famiglia, nel gruppo amicale, nella comunità, ecc.) il controllo razionale, rivolto a fini collettivi, delle regole formali e dell’autorità centrale e l’interesse personale economicamente razionale dei rapporti di scambio“. Così intese, queste forme potrebbero essere denominate i principi sociale, politico ed economico dell’ordinamento della società.
Nella tipologia delle forme di integrazione di Polany vi sono due questioni aperte che è opportuno esaminare per valutarne il grado di compiutezza teorica, e cioè il problema della dominanza delle diverse forme di integrazione nelle diverse situazioni storiche e delle loro sequenze temporali e il problema dei meccanismi di transizione da una forma all’altra.
Polany dice chiaramente che le “forme di integrazione non rappresentano <stadi> dello sviluppo e non implicano alcuna sequenza temporale, e che, a fianco della forma dominante possono esisterne diverse altre, secondarie, e la stessa forma dominante può ricomparire dopo un periodo di eclisse temporanea“.
Polany, ostile ad una economia dominata unicamente dal mercato (ma lo è anche nei confronti di una economia rigidamente pianificata) non considera il capitalismo di mercato come il risultato di un processo storico di accumulazione del capitale e di liberazione della forza lavoro, di razionalizzazione degli orientamenti culturali e delle istituzioni, o di esplicazione delle energie dell’innovazione imprenditoriale, ma come la situazione storica in cui la forma di mercato autoregolato è dominante.
La sua ferma negazione della possibilità di configurare una sequenza di stadi nasce dal timore di presentare il capitalismo liberale come fase superiore dello sviluppo della società umana.
Polany va apprezzato in particolare per la sua critica della pretesa di universalità della teoria economica classica e neo classica, e per il suo apporto alla costruzione di un modello esplicativo del posto dell’economia nella società che si fonda sulla tipologia degli schemi di integrazione. L’ individuazione di una contraddizione del mercato autoregolato che è costretto ad asservire alla sua logica, la società, ed è nel contempo vittima della sua reazione, conserva una notevole forza interpretativa. E la critica dei modelli evoluzionistici e monocausali, che vedono nell’economia di mercato l’approdo naturale della storia umana e nello scambio utilitaristico la logica di forma regolativa per eccellenza dei rapporti sociali è molto attuale.
Basti pensare all’attuale dibattito sulla crisi e la riforma del welfare state, che Polany considerava come un movimento tendente a reincorporare l’economia nella società, e agli studi recenti intesi a porre in luce la crescente importanza di forme di economia informale e diffusa in tutti i paesi tardo – industriali, che offrono testimonianze diverse circa l’attualità delle tesi polanyane, come verifica della tesi della coesistenza di diversi schemi di integrazione dell’economia in una società storicamente data e della riemergenza di forme ritenute scomparse.
Dalla sua opera si possono trarre indicazioni assai stimolanti per affrontare alcune questioni fondamentali della ricerca storico/economica e socio/antropologica, e, in particolare: la questione del rapporto tra i tre schemi di integrazione e del passaggio dall’uno all’altro nelle varie situazioni storiche; il problema della perdurante importanza della reciprocità e della ridistribuzione in una società i cui valori egemoni sono l’individualismo e il razionalismo utilitaristico; la questione delle tensioni tra reciprocità e scambio, ovvero tra solidarietà ed efficienza e tra ridistribuzione e scambio, ovvero tra stato e mercato; la questione normativa, infine, della combinazione delle tre forme più adeguata a gestire i complessi problemi della società tardo industriali contemporanee.
Contribuendo ad analizzare le contraddizioni del complesso rapporto economia società e stimolando la ricerca intorno a questioni centrali nel dibattito intellettuale contemporaneo, Polanyi può costituire un efficace antidoto sia contro i difensori del mercato e del neo utilitarismo, sia contro i loro avversari sostenitori dell’economia pianificata.
“La grande trasformazione” è l’opera fondamentale di Polany (http://www.einaudi.it/libri/libro/karl-polanyi/la-grande-trasformazione/978880615457); un opera al confine tra diverse discipline: Economia, sociologia, Storia, Antropologia. Scopo dell’opera è analizzare le origini politiche ed economiche e le cause del crollo di quella che Polany definisce ” la civiltà del diciannovesimo secolo “, ovvero del capitalismo industriale moderno, e in particolare la crisi della sua istituzione fondamentale, il mercato autoregolato, “fonte e matrice ” del sistema e innovazione fondamentale che ne spiega il carattere storicamente specifico e l’entità della grande trasformazione che esso ha comportato.
La tesi centrale è che il mercato autoregolato implicava una grande utopia, poiché esso non poteva esistere a lungo “senza annullare la sostanza umana e naturale della società“, cioè distruggendo l’uomo fisicamente e trasformando il suo ambiente in un deserto. Era quindi inevitabile che “la società prendesse delle misure per difendersi, ma qualunque misura avesse preso, essa ostacolava l’autoregolazione del mercato, disorganizzava la vita industriale e metteva così in pericolo la società in un altro modo”. Fu questo dilemma a spingere lo sviluppo del sistema di mercato in un solco preciso ed infine a far crollare l’organizzazione sociale che si basava su di esso.
La semplicità e unilateralità della sua tesi, Polany la giustifica in base alla straordinaria importanza del meccanismo istituzionale costituito dal mercato autoregolato per la nascita, lo sviluppo e la sopravvivenza di quel particolare stadio della storia della civiltà industriale, che è il capitalismo del XIX secolo.
Polany condivide con Marx la convinzione di una ineliminabile contraddizione nell’operare della società capitalistica. A differenza di Marx tuttavia egli identifica nel mercato e non nei rapporti sociali di produzione, il nucleo centrale del sistema e non considera questa società come il punto più alto dello sviluppo finora raggiunto dalla società umana, sia pure ancora appartenente alla “preistoria ” del genere umano, ma quasi, un caso patologico che non può che chiudersi tra i contorcimenti di una crisi violenta, perché ha violato alcuni principi fondamentali dell’integrazione sociale. Vi è, quindi un rovesciamento ancora più radicale che in Marx delle analisi e degli assunti dell’economia politica classica e del pensiero liberale. Non sono tanto le categorie di analisi della teoria economica che vengono criticate, ma i postulati utilitaristici e individualistici e l’abbandono da parte del pensiero economico liberale di una concezione che sappia inquadrare le attività economiche nei rapporti sociali.
Nel capitalismo liberale Polany individua una contraddizione di fondo, un conflitto insanabile tra mercato e società. L’economia, strutturandosi sulla base del mercato autoregolato, si è infatti separata radicalmente dalle altre istituzioni sociali e ha costretto il resto della società a funzionare secondo le leggi della sua propria organizzazione, trasformando in merci il lavoro e la terra e minacciando così di distruggere la natura e l’uomo. Di fronte a questo pericolo la società ha sviluppato processi di difesa che, a loro volta, hanno ostacolato il meccanismo fondamentale dello sviluppo capitalistico.
Buona parte della “La grande trasformazione” è dedicata all’analisi del “doppio movimento” originato dal tentativo di controllare questa contraddizione di fondo, cercando di far coesistere il meccanismo istituzionale del mercato libero e autoregolato con una serie di controlli sulle transazioni di forza lavoro, capitali e risorse naturali che rispondono a esigenze di integrazione e stabilità sociale. Questa situazione conduce ad uno scontro tra:
– liberalismo economico e protezione sociale, che hanno portato ad una forte tensione istituzionale;
– conflitto fra le classi che interagendo col primo punto ha portato alla catastrofe fascista:
Dopo l’enunciazione della tesi centrale del libro, Polany delinea nei primi due capitoli un affresco del capitalismo liberale del XIX secolo, ponendo l’accento sulle istituzioni e gli attori sociali fondamentali che hanno garantito una pace secolare dal 1815 al 1914. L’equilibrio di potere tra le grandi potenze del concerto europeo, ha avuto nell’agire dell’alta finanza internazionale il suo garante principale, e nella base aurea (moneta come mezzo di scambio legato all’oro; conseguenze: da un lato stabilità dei cambi che favorisce il commercio internazionale, dall’altra la crescita di importazione provoca un deflusso dell’oro ed una riduzione della quantità di moneta circolante e disponibile per pagamenti interni con la conseguenza di un calo delle vendite che colpisce le attività produttive e genera disoccupazione) e nel governo democratico costituzionale , i due requisiti istituzionali essenziali.
Ma l’istituzione fondamentale di tale assetto è stato il mercato autoregolato, e’ infatti l’emergere non più controllato delle sue contraddizioni latenti che determina la crisi delle altre istituzioni, dalla base aurea alla democrazia parlamentare , all’equilibrio pacifico tra le potenze, sconvolgendo la civiltà del XIX secolo.
Per comprendere i conflitti contemporanei è dunque necessario, secondo Polany, risalire alle origini del capitalismo liberale e analizzare le cause e le conseguenze di “quel rivolgimento sociale e tecnologico dal quale era sorta nell’Europa occidentale l’idea di un mercato autoregolato“. E dalla ricostruzione della crisi contemporanea si passa alla individuazione della specificità di un sistema economico di mercati autoregolati.
La ricostruzione delle origini del capitalismo industriale pone l’accento soprattutto sugli effetti dirompenti della introduzione della macchina e sui deliberati interventi del potere statale per liberalizzare i mercati del lavoro e della terra.
A Polany interessa l’identificazione di un meccanismo istituzionale di regolazione dell’economia, del tutto nuovo rispetto al passato e le contraddizioni che esso suscita, espresse nel doppio movimento del mercato auto regolato e della autodifesa della società. L’opera è costruita attorno a questo contrappunto che è espresso nei titoli delle due sezioni della parte seconda del libro: “I macchinari satanici ” e “L’autodifesa della società”
Polany afferma in polemica con gli economisti classici che il mercato autoregolato è solo uno dei meccanismi istituzionali di integrazione dell’economia, la cui assoluta novità rispetto agli altri tipi di attività commerciale che sono sempre esistiti, consiste nella subordinazione ad esso dell’intera organizzazione sociale. Questa subordinazione, a sua volta comporta la trasformazione in “merci fittizie ” del lavoro, della terra e del denaro, tre fattori che non sono prodotti per la vendita.
La finzione della merce, fornisce un principio di organizzazione vitale per un tipo di economia in cui nessun ostacolo deve essere posto al mercato autoregolato, al meccanismo dei prezzi e al libero gioco della domanda e dell’offerta.
E tuttavia, sostiene Polany, permettere al meccanismo di mercato di essere l’unico elemento direttivo del destino degli esseri umani e del loro ambiente naturale, e sia pure anche solo, della quantità e dell’impiego del potere d’acquisto, porterebbe alla demolizione della società. “La presunta merce forza lavoro non può infatti essere fatta circolare, usata indiscriminatamente e neanche lasciata priva di impiego, senza influire sull’individuo umano che risulta essere il portatore di questa merce particolare. La natura verrebbe ridotta ai suoi elementi, l’ambiente e il paesaggio deturpati, i fiumi inquinati;. . . . e infine, gli eccessi di moneta si dimostrerebbero altrettanto disastrosi per il commercio quanto le alluvioni e le siccità per le società primitive“.
Questa tensione fondamentale tra espansione del mercato e autodifesa della società spiega perché man mano che si sviluppava la produzione industriale, e cresceva l’importanza del mercato autoregolato (il quale doveva garantire la libera fornitura all’industria stessa del lavoro, della terra e della moneta trasformate in merci) si sviluppassero anche varie istituzioni protettive di tali elementi. Polany analizza in modo approfondito il conflitto tra le due esigenze contrastanti della libera circolazione delle merci fittizie nel mercato autoregolato e dei meccanismi di autodifesa della società (leggi sui poveri e pauperismo), al rapporto tra mercato e natura e alle tensioni distruttive che pongono in crisi l’ultima a cadere delle istituzioni liberali vale a dire il sistema monetario internazionale a base aurea. Parallelamente esamina sia il funzionamento delle istituzioni e il comportamento degli attori sociali e politici, sia il credo liberale e la teoria economica che legittimavano il nuovo ordine economico, anticipando i punti fondamentali della critica dell’Economia politica che svilupperà nelle opere successive.
A titolo di esemplificazione dell’argomentazione di Polany, ricordiamo l’analisi della Speenhamland Law del 1795. Com’è noto, si trattava di una legge che decideva la quota di sussidio spettante a tutti i disoccupati e a tutti coloro che non erano in grado di percepire un salario pari al reddito familiare a loro assegnato, collegandola al prezzo del pane. Questa sorta di salario minimo garantito, indicizzato, impedì fino all’anno della sua abrogazione, nel 1834, la creazione di un mercato del lavoro libero perché scioglieva il legame tra entità della prestazione (tempo di lavoro) e salario per la maggioranza dei lavoratori inglesi dell’epoca, rimuovendo la principale motivazione al lavoro, che consisteva nel bisogno, e determinando una assuefazione all’assistenza.
Il conflitto tra il meccanismo liberistico e il principio utilitaristico che lo sorregge, da un lato, e le esigenze di solidarietà e di coesione sociale, dall’altro, sono analizzate con grande acutezza in questo come negli altri casi esaminati ricostruendo un processo continuo di interventi, che tuttavia non riuscirono a evitare il pieno dispiegarsi delle tensioni distruttive, che portarono al crollo della civiltà del XIX secolo.
Il conflitto tra liberismo economico e protezionismo sociale è non solo il tema centrale della Grande trasformazione , ma anche quello più squisitamente sociologico, in quanto affronta con originalità la questione sociologica classica dei fondamenti della solidarietà in una società individualistica e utilitaristica. La tradizione sociologica aveva già ampiamente sviluppato tale tema, e l’espansione dell’intervento statale in economia a seguito della grande depressione degli anni ’30 aveva riproposto con forza il problema. Polany tratta questa questione chiave della riflessione sociologica in modo originale , incentrandola sul rapporto economia – società e interpretando in questa chiave non solo la crisi del capitalismo liberale ma anche le reazioni politico – sociali del periodo tra le due guerre mondiali, dal New Deal americano alla pianificazione sovietica, ai tentativi di regolazione economica dei regimi autoritari di connotazione fascista.
Si tratta di una questione assolutamente centrale che si ripropone oggi nella forma della crisi del Welfare state e dei tentativi di ridefinire il ruolo, al fine di realizzare un compromesso soddisfacente tra efficienza economica fondata sulla competitività e equità sociale garantita da istituzioni di protezione sociale.
Ho in parte incluso l’analisi di Polany in questo capitolo: Le politiche dell’assistenza, in Paolo Ferrario, POLITICA DEI SERVIZI SOCIALI, Carocci Faber, 2001, pagg. 37-54

KARL POLANY, economista e sociologo, Scheda didattica sull?opera, a cura di Paolo Ferrario, 16 febbraio 2011 « POLITICHE SOCIALI e SERVIZI (http://mappeser.com/2011/02/16/karl-polany-economista-e-sociologo-scheda-sullopera/)

Gianky
18-03-16, 10:37
KARL POLANY, economista e sociologo, Scheda didattica sull’opera, a cura di Paolo Ferrario, 16 febbraio 2011
Karl Polany (1886-1964) (http://it.wikipedia.org/wiki/Karl_Polanyi) è un classico studioso delle scienze sociali contemporanee che ha offerto contributi di rilievo


allo studio dei rapporti tra economia e società,
alla critica del paradigma dominante in economia,
alla analisi delle istituzioni economiche
e alla interpretazione dei meccanismi istituzionali e delle contraddizioni della società industriale.

Polany è un autore dell’approccio istituzionalista. Per lui l’economia è inserita o incorporata nella società, e i processi economici


del produrre,
del distribuire
e dell’allocare risorse

sono attività essenziali di ogni società che, tuttavia si svolgono entro quadri istituzionali diversi, ovvero con motivazioni, significati, leggi e ordinamenti differenti.
Il rapporto tra economia e società si configura per Polany in modo diverso nelle diverse epoche storiche. Egli afferma infatti che di regola, l’economia dell’uomo è immersa nei suoi rapporti sociali e che “l’uomo non agisce in modo da salvaguardare il suo interesse individuale nel possesso di beni materiali, agisce in modo da salvaguardare la sua posizione sociale, le sue pretese sociali, i suoi vantaggi sociali”
L’eccezionalità del capitalismo moderno consiste nel fatto che in esso “non è più l’economia ad essere inserita nei rapporti sociali, ma sono i rapporti sociali ad essere inseriti nel sistema economico” fino al punto di una “conduzione accessoria ” della società rispetto al mercato regolato da prezzi.
Per Polany l’economia si sottrae al controllo della società e subordina alle proprie esigenze gli altri aspetti della vita sociale.
Il nucleo centrale della critica di Polanyi è costituito da tre grandi centri di attenzione strettamente collegati:
1) L’economia di mercato e le sue contraddizioni;
Una economia di mercato è un sistema economico controllato, regolato e diretto soltanto dai mercati; l’ordine nella produzione e distribuzione delle merci è affidato a questo meccanismo autoregolantesi. Una economia di questo tipo deriva dalla aspettativa che gli esseri umani si comportino in modo tale da raggiungere un massimo di guadagno monetario.
2) Il mercato autoregolato che rappresenta l’istituzione fondamentale del capitalismo liberale;
Un mercato autoregolato richiede:
– la separazione istituzionale della società in una sfera economica ed una politica;
– l’esistenza di istituzioni economiche separate;
– una economia di mercato deve comprendere tutti gli elementi dell’industria compreso il lavoro, la terra e la moneta (concetto di merce);
3) la pretesa della teoria economica classica e neo classica di attribuire validità universale al paradigma economico mezzi – fini.
Polany contesta la validità universale delle leggi dell’economia classica e neo-classica, che viene relativizzata come efficace modello interpretativo della sola economia di mercato. La pretesa universalistica di tale disciplina nasce, secondo Polanyi, dalla “fallacia economicistica “, ovvero dall’errore logico di confondere due significati distinti del concetto di economia, quello “sostanziale ” che definisce il rapporto istituzionalizzato tra gli uomini e il loro ambiente naturale e sociale, diretto al soddisfacimento dei bisogni, e quello “formale ” che deriva dal rapporto logico tra mezzi e fini e implica la scarsità dei mezzi e la scelta tra alternative.
Ora mentre l’aspetto fisico dei bisogni dell’uomo fa parte della condizione umana e, quindi, nessuna società, può esistere senza possedere un qualche tipo di economia sostanziale, il meccanismo offerta-domanda-prezzo è, invece, un istituzione relativamente moderna, avente una struttura specifica che non è facile costituire né fare funzionare.
La fallacia economicistica è a sua volta imputabile allo sviluppo, negli ultimi due secoli di storia dell’Europa occidentale e dell’America, di un’organizzazione delle condizioni della sopravvivenza umana, costituito da un sistema di mercati regolatori dei prezzi, in cui gli atti di scambio effettuati in tale sistema comportano scelte tra mezzi scarsi, e “il significato formale e quello sostanziale di economia vengono in pratica a coincidere ” alimentando la convinzione che vi sia un unico modo di istituzionalizzazione delle attività economiche nei vari tipi di società.
Già nella Grande Trasformazione vi è una critica del postulato dell’homo oeconomicus (http://en.wikipedia.org/wiki/Homo_economicus). Scrive Polany che i “suggerimenti di A. Smith sulla psicologia economica dell’uomo primitivo erano tanto falsi quanto la psicologia politica del selvaggio di Rousseau (http://en.wikipedia.org/wiki/Jean-Jacques_Rousseau). La divisione del lavoro, un fenomeno antico quanto la società, nasce da differenze inerenti al sesso, alla geografia e alle doti individuali e la presunta disposizione dell’uomo al baratto, al commercio e allo scambio è del tutto apocrifa “.
La critica dell’economia diventa più aspra con riferimento ai successori di A. Smith. Mentre Smith e Marx (http://en.wikipedia.org/wiki/Karl_Marx) sono, infatti, in parte “risparmiati” per la loro capacità di concepire l’attività economica entro un preciso contesto sociale, Ricardo, Malthus (http://en.wikipedia.org/wiki/Thomas_Robert_Malthus) e Townsend sono violentemente criticati per il loro naturalismo, cioè per la loro pretesa di considerare le leggi contingenti del modello di mercato come leggi di natura e universalmente valide. “Mentre gradualmente si apprendevano le leggi che governano un’economia di mercato, queste leggi venivano poste sotto l’autorità della natura stessa. La legge dei rendimenti decrescenti era una legge della fisiologia delle piante, la legge malthusiana della popolazione rifletteva il rapporto tra la fecondità dell’uomo e quella del suolo” e la disponibilità di cibo costituiva il limite naturale oltre il quale gli esseri umani non potevano moltiplicarsi, cosicché la fame diventa l’unico criterio regolatore di una società di “liberi “individui nella parabola delle capre e dei cani, ricordata da Townsend.
Secondo Polany il paradigma economico dominante concepisce la società economica come sottoposta a leggi che non sono leggi umane. Per trovare approcci alternativi capaci di reintegrare la società nel mondo umano bisogna superare decisamente i confini del pensiero economico. Marx si muove nella direzione giusta, ma a causa della sua troppo stretta aderenza a Ricardo e alle tradizioni dell’economia liberale resta nel paradigma economicstico.
Particolarmente severo è il giudizio sugli economisti neo- classici come Von Mises (nel 1920 aveva proclamato un vero e proprio manifesto liberale – Solo il libero mercato consente di misurare attraverso la formazione dei prezzi, la scarsità relativa delle risorse e quindi evidenzia la irrazionalità della pianificazione), Hayek (http://en.wikipedia.org/wiki/Friedrich_Hayek) e Robbins.
Polany non critica tanto le categorie dell’analisi economica quanto il suo quadro ideologico generale, l’utilitarismo, l’individualismo, il formalismo razionale, il naturalismo a-storico. Razionalismo, individualismo e spirito acquisitivo, costituiscono per Weber e Sombart (http://en.wikipedia.org/wiki/Werner_Sombart) i valori fondamentali della cultura borghese che tanta parte ha svolto nell’affermazione del capitalismo di mercato, mentre il naturalismo nasce dal tentativo consapevole di Smith di fondare l’autonomia della scienza economica mutuando il metodo delle scienze della natura. Anche Polanyi attribuisce grande importanza a questi orientamenti culturali, ma mette in luce soprattutto l’influenza negativa da essi esercitata nel favorire un’istituzione come il mercato autoregolato che ha subordinato la società all’economia.
Lo sforzo di Polanyi è rivolto a mostrare come esistano forme di istituzionalizzazione delle attività economiche diverse dallo schema mezzi – fini.
Più specificatamente, Polanyi si sforza di dimostrare che il complesso concorrenziale mercato-moneta-prezzo, che opera nel contesto giuridico della proprietà privata e del libero contratto e nel contesto culturale dell’economizzare, “è stato assente e ha svolto un ruolo subordinato durante la maggior parte della storia umana“. Ciò appare chiaro se si ritorna alla nozione di economia e si esaminano i diversi contesti istituzionali in cui tale sfera opera.
L’analisi dell’economia come processo istituzionale è necessaria non solo per comprendere realtà diverse dal capitalismo liberale, ma anche per comprendere i problemi specifici della società contemporanea emersa dalla crisi del mercato autoregolato, correggendo la distorsione prodotta dalla fallacia economicistica e contribuire, quindi, alla loro soluzione.
Sostenendo che il significato sostanziale di economia è quello universale e il significato formale quello storicamente contingente, il lavoro di Polany è teso a dimostrare che i principi dell’economizzare non sono universalmente presenti. Le analisi del commercio, della moneta, dei mercati, che costituiscono l’oggetto privilegiato della sua indagine perché sono più facilmente oggetto di fraintendimenti dovuti all’impiego delle categorie dell’economia formale, mostrano che “i rapporti interpersonali basati sul dare e ricevere sono tipicamente incorporati in una vasta rete di impegni sociali e politici che non consentono agli individui di massimizzare i vantaggi economici ottenuti in queste relazioni” e aprono la strada alla elaborazione di una teoria “dei movimenti appropriativi” dei fattori della produzione.
La tesi della eccezionalità del capitalismo liberale e la critica della teoria economica formale diedero vita a un ampio e composito progetto di studi e ricerche interdisciplinari, ispirate da Polany, sulle società primitive e le società antiche, che si proponevano di dimostrare l’esistenza di meccanismi istituzionali di integrazione sociale dell’economia diversi dal mercato autoregolato e di sostenere l’esigenza di categorie di analisi diverse dallo schema domanda offerta prezzo.
Il risultato teorico più interessante scaturito dai risultati di queste ricerche è la concezione dell’economia come processo istituzionalizzato e la connessa tipologia delle forme di integrazione, transazione o appropriazione.
Dunque Polany concepisce l’economia, nel suo significato sostanziale, come un processo istituzionalizzato di interazione tra l’uomo e il suo ambiente, che da vita a un continuo flusso di mezzi materiali per il soddisfacimento dei bisogni. Uomini, mezzi materiali, capitali, conoscenze tecniche, tutto ciò che contribuisce alla produzione deve spostarsi da una parte all’altra della società e i prodotti di questa attività devono essere ridistribuiti tra i membri della società. Accanto ai movimenti fisici acquistano fondamentale importanza i movimenti appropriativi, derivanti sia da transazioni che da disposizioni.
L’organizzazione sociale del potere appropriativo costituisce quindi, la matrice istituzionale che ordina i rapporti economici tra gli uomini e definisce il posto dell’economia nella società, nel senso che individua le condizioni sociali da cui scaturiscono le motivazioni individuali e l’insieme dei diritti e dei doveri che sanciscono i movimenti con cui i beni e le persone partecipano al processo economico.
Lo studio del modo in cui i sistemi economici concreti sono istituzionalizzati, cioè acquistano stabilità e unità viene effettuato mediante una tipologia che identifica tre schemi di integrazione o modi di transazione fondamentali:


la reciprocità,
la ridistribuzione
e lo scambio

Reciprocità e ridistribuzione svolgeranno un ruolo centrale nel pensiero di Polany.
Nel linguaggio corrente, tali concetti sono spesso impiegati per indicare rapporti tra persone. Ma nell’accezione di Polany non si tratta di semplici aggregati di comportamenti individuali, ma di strutture che identificano i tipi di provvedimenti istituzionali che regolano i rapporti tra i partecipanti al processo economico.
Queste strutture comportano diverse modalità di distribuzione nello spazio:”La reciprocità sta ad indicare movimenti tra punti correlati di gruppi simmetrici (principio di simmetria); la ridistribuzione indica movimenti appropriativi in direzione di un centro e successivamente provenienti da esso (principio di centricità); lo scambio si riferisce a movimenti bilaterali che si svolgono tra due “mani” in un sistema di mercato“.
I comportamenti di reciprocità tra le persone integrano l’economia solo se esistono strutture organizzate simmetricamente come il sistema parentale, gli atti di ridistribuzione presuppongono l’esistenza di un centro politico che raccoglie e alloca risorse e gli atti di scambio tra individui producono prezzi solo quando hanno luogo i mercati regolatori dei prezzi.
Ciascuna delle tre forme identifica i principi di organizzazione sociale e moventi di azione che si possono applicare ad aree ampie ed eterogenee di attività sociale: “la tacita mutualità tipica della sfera sociale dei rapporti affettivi diretti (nella famiglia, nel gruppo amicale, nella comunità, ecc.) il controllo razionale, rivolto a fini collettivi, delle regole formali e dell’autorità centrale e l’interesse personale economicamente razionale dei rapporti di scambio“. Così intese, queste forme potrebbero essere denominate i principi sociale, politico ed economico dell’ordinamento della società.
Nella tipologia delle forme di integrazione di Polany vi sono due questioni aperte che è opportuno esaminare per valutarne il grado di compiutezza teorica, e cioè il problema della dominanza delle diverse forme di integrazione nelle diverse situazioni storiche e delle loro sequenze temporali e il problema dei meccanismi di transizione da una forma all’altra.
Polany dice chiaramente che le “forme di integrazione non rappresentano <stadi> dello sviluppo e non implicano alcuna sequenza temporale, e che, a fianco della forma dominante possono esisterne diverse altre, secondarie, e la stessa forma dominante può ricomparire dopo un periodo di eclisse temporanea“.
Polany, ostile ad una economia dominata unicamente dal mercato (ma lo è anche nei confronti di una economia rigidamente pianificata) non considera il capitalismo di mercato come il risultato di un processo storico di accumulazione del capitale e di liberazione della forza lavoro, di razionalizzazione degli orientamenti culturali e delle istituzioni, o di esplicazione delle energie dell’innovazione imprenditoriale, ma come la situazione storica in cui la forma di mercato autoregolato è dominante.
La sua ferma negazione della possibilità di configurare una sequenza di stadi nasce dal timore di presentare il capitalismo liberale come fase superiore dello sviluppo della società umana.
Polany va apprezzato in particolare per la sua critica della pretesa di universalità della teoria economica classica e neo classica, e per il suo apporto alla costruzione di un modello esplicativo del posto dell’economia nella società che si fonda sulla tipologia degli schemi di integrazione. L’ individuazione di una contraddizione del mercato autoregolato che è costretto ad asservire alla sua logica, la società, ed è nel contempo vittima della sua reazione, conserva una notevole forza interpretativa. E la critica dei modelli evoluzionistici e monocausali, che vedono nell’economia di mercato l’approdo naturale della storia umana e nello scambio utilitaristico la logica di forma regolativa per eccellenza dei rapporti sociali è molto attuale.
Basti pensare all’attuale dibattito sulla crisi e la riforma del welfare state, che Polany considerava come un movimento tendente a reincorporare l’economia nella società, e agli studi recenti intesi a porre in luce la crescente importanza di forme di economia informale e diffusa in tutti i paesi tardo – industriali, che offrono testimonianze diverse circa l’attualità delle tesi polanyane, come verifica della tesi della coesistenza di diversi schemi di integrazione dell’economia in una società storicamente data e della riemergenza di forme ritenute scomparse.
Dalla sua opera si possono trarre indicazioni assai stimolanti per affrontare alcune questioni fondamentali della ricerca storico/economica e socio/antropologica, e, in particolare: la questione del rapporto tra i tre schemi di integrazione e del passaggio dall’uno all’altro nelle varie situazioni storiche; il problema della perdurante importanza della reciprocità e della ridistribuzione in una società i cui valori egemoni sono l’individualismo e il razionalismo utilitaristico; la questione delle tensioni tra reciprocità e scambio, ovvero tra solidarietà ed efficienza e tra ridistribuzione e scambio, ovvero tra stato e mercato; la questione normativa, infine, della combinazione delle tre forme più adeguata a gestire i complessi problemi della società tardo industriali contemporanee.
Contribuendo ad analizzare le contraddizioni del complesso rapporto economia società e stimolando la ricerca intorno a questioni centrali nel dibattito intellettuale contemporaneo, Polanyi può costituire un efficace antidoto sia contro i difensori del mercato e del neo utilitarismo, sia contro i loro avversari sostenitori dell’economia pianificata.
“La grande trasformazione” è l’opera fondamentale di Polany (http://www.einaudi.it/libri/libro/karl-polanyi/la-grande-trasformazione/978880615457); un opera al confine tra diverse discipline: Economia, sociologia, Storia, Antropologia. Scopo dell’opera è analizzare le origini politiche ed economiche e le cause del crollo di quella che Polany definisce ” la civiltà del diciannovesimo secolo “, ovvero del capitalismo industriale moderno, e in particolare la crisi della sua istituzione fondamentale, il mercato autoregolato, “fonte e matrice ” del sistema e innovazione fondamentale che ne spiega il carattere storicamente specifico e l’entità della grande trasformazione che esso ha comportato.
La tesi centrale è che il mercato autoregolato implicava una grande utopia, poiché esso non poteva esistere a lungo “senza annullare la sostanza umana e naturale della società“, cioè distruggendo l’uomo fisicamente e trasformando il suo ambiente in un deserto. Era quindi inevitabile che “la società prendesse delle misure per difendersi, ma qualunque misura avesse preso, essa ostacolava l’autoregolazione del mercato, disorganizzava la vita industriale e metteva così in pericolo la società in un altro modo”. Fu questo dilemma a spingere lo sviluppo del sistema di mercato in un solco preciso ed infine a far crollare l’organizzazione sociale che si basava su di esso.
La semplicità e unilateralità della sua tesi, Polany la giustifica in base alla straordinaria importanza del meccanismo istituzionale costituito dal mercato autoregolato per la nascita, lo sviluppo e la sopravvivenza di quel particolare stadio della storia della civiltà industriale, che è il capitalismo del XIX secolo.
Polany condivide con Marx la convinzione di una ineliminabile contraddizione nell’operare della società capitalistica. A differenza di Marx tuttavia egli identifica nel mercato e non nei rapporti sociali di produzione, il nucleo centrale del sistema e non considera questa società come il punto più alto dello sviluppo finora raggiunto dalla società umana, sia pure ancora appartenente alla “preistoria ” del genere umano, ma quasi, un caso patologico che non può che chiudersi tra i contorcimenti di una crisi violenta, perché ha violato alcuni principi fondamentali dell’integrazione sociale. Vi è, quindi un rovesciamento ancora più radicale che in Marx delle analisi e degli assunti dell’economia politica classica e del pensiero liberale. Non sono tanto le categorie di analisi della teoria economica che vengono criticate, ma i postulati utilitaristici e individualistici e l’abbandono da parte del pensiero economico liberale di una concezione che sappia inquadrare le attività economiche nei rapporti sociali.
Nel capitalismo liberale Polany individua una contraddizione di fondo, un conflitto insanabile tra mercato e società. L’economia, strutturandosi sulla base del mercato autoregolato, si è infatti separata radicalmente dalle altre istituzioni sociali e ha costretto il resto della società a funzionare secondo le leggi della sua propria organizzazione, trasformando in merci il lavoro e la terra e minacciando così di distruggere la natura e l’uomo. Di fronte a questo pericolo la società ha sviluppato processi di difesa che, a loro volta, hanno ostacolato il meccanismo fondamentale dello sviluppo capitalistico.
Buona parte della “La grande trasformazione” è dedicata all’analisi del “doppio movimento” originato dal tentativo di controllare questa contraddizione di fondo, cercando di far coesistere il meccanismo istituzionale del mercato libero e autoregolato con una serie di controlli sulle transazioni di forza lavoro, capitali e risorse naturali che rispondono a esigenze di integrazione e stabilità sociale. Questa situazione conduce ad uno scontro tra:
– liberalismo economico e protezione sociale, che hanno portato ad una forte tensione istituzionale;
– conflitto fra le classi che interagendo col primo punto ha portato alla catastrofe fascista:
Dopo l’enunciazione della tesi centrale del libro, Polany delinea nei primi due capitoli un affresco del capitalismo liberale del XIX secolo, ponendo l’accento sulle istituzioni e gli attori sociali fondamentali che hanno garantito una pace secolare dal 1815 al 1914. L’equilibrio di potere tra le grandi potenze del concerto europeo, ha avuto nell’agire dell’alta finanza internazionale il suo garante principale, e nella base aurea (moneta come mezzo di scambio legato all’oro; conseguenze: da un lato stabilità dei cambi che favorisce il commercio internazionale, dall’altra la crescita di importazione provoca un deflusso dell’oro ed una riduzione della quantità di moneta circolante e disponibile per pagamenti interni con la conseguenza di un calo delle vendite che colpisce le attività produttive e genera disoccupazione) e nel governo democratico costituzionale , i due requisiti istituzionali essenziali.
Ma l’istituzione fondamentale di tale assetto è stato il mercato autoregolato, e’ infatti l’emergere non più controllato delle sue contraddizioni latenti che determina la crisi delle altre istituzioni, dalla base aurea alla democrazia parlamentare , all’equilibrio pacifico tra le potenze, sconvolgendo la civiltà del XIX secolo.
Per comprendere i conflitti contemporanei è dunque necessario, secondo Polany, risalire alle origini del capitalismo liberale e analizzare le cause e le conseguenze di “quel rivolgimento sociale e tecnologico dal quale era sorta nell’Europa occidentale l’idea di un mercato autoregolato“. E dalla ricostruzione della crisi contemporanea si passa alla individuazione della specificità di un sistema economico di mercati autoregolati.
La ricostruzione delle origini del capitalismo industriale pone l’accento soprattutto sugli effetti dirompenti della introduzione della macchina e sui deliberati interventi del potere statale per liberalizzare i mercati del lavoro e della terra.
A Polany interessa l’identificazione di un meccanismo istituzionale di regolazione dell’economia, del tutto nuovo rispetto al passato e le contraddizioni che esso suscita, espresse nel doppio movimento del mercato auto regolato e della autodifesa della società. L’opera è costruita attorno a questo contrappunto che è espresso nei titoli delle due sezioni della parte seconda del libro: “I macchinari satanici ” e “L’autodifesa della società”
Polany afferma in polemica con gli economisti classici che il mercato autoregolato è solo uno dei meccanismi istituzionali di integrazione dell’economia, la cui assoluta novità rispetto agli altri tipi di attività commerciale che sono sempre esistiti, consiste nella subordinazione ad esso dell’intera organizzazione sociale. Questa subordinazione, a sua volta comporta la trasformazione in “merci fittizie ” del lavoro, della terra e del denaro, tre fattori che non sono prodotti per la vendita.
La finzione della merce, fornisce un principio di organizzazione vitale per un tipo di economia in cui nessun ostacolo deve essere posto al mercato autoregolato, al meccanismo dei prezzi e al libero gioco della domanda e dell’offerta.
E tuttavia, sostiene Polany, permettere al meccanismo di mercato di essere l’unico elemento direttivo del destino degli esseri umani e del loro ambiente naturale, e sia pure anche solo, della quantità e dell’impiego del potere d’acquisto, porterebbe alla demolizione della società. “La presunta merce forza lavoro non può infatti essere fatta circolare, usata indiscriminatamente e neanche lasciata priva di impiego, senza influire sull’individuo umano che risulta essere il portatore di questa merce particolare. La natura verrebbe ridotta ai suoi elementi, l’ambiente e il paesaggio deturpati, i fiumi inquinati;. . . . e infine, gli eccessi di moneta si dimostrerebbero altrettanto disastrosi per il commercio quanto le alluvioni e le siccità per le società primitive“.
Questa tensione fondamentale tra espansione del mercato e autodifesa della società spiega perché man mano che si sviluppava la produzione industriale, e cresceva l’importanza del mercato autoregolato (il quale doveva garantire la libera fornitura all’industria stessa del lavoro, della terra e della moneta trasformate in merci) si sviluppassero anche varie istituzioni protettive di tali elementi. Polany analizza in modo approfondito il conflitto tra le due esigenze contrastanti della libera circolazione delle merci fittizie nel mercato autoregolato e dei meccanismi di autodifesa della società (leggi sui poveri e pauperismo), al rapporto tra mercato e natura e alle tensioni distruttive che pongono in crisi l’ultima a cadere delle istituzioni liberali vale a dire il sistema monetario internazionale a base aurea. Parallelamente esamina sia il funzionamento delle istituzioni e il comportamento degli attori sociali e politici, sia il credo liberale e la teoria economica che legittimavano il nuovo ordine economico, anticipando i punti fondamentali della critica dell’Economia politica che svilupperà nelle opere successive.
A titolo di esemplificazione dell’argomentazione di Polany, ricordiamo l’analisi della Speenhamland Law del 1795. Com’è noto, si trattava di una legge che decideva la quota di sussidio spettante a tutti i disoccupati e a tutti coloro che non erano in grado di percepire un salario pari al reddito familiare a loro assegnato, collegandola al prezzo del pane. Questa sorta di salario minimo garantito, indicizzato, impedì fino all’anno della sua abrogazione, nel 1834, la creazione di un mercato del lavoro libero perché scioglieva il legame tra entità della prestazione (tempo di lavoro) e salario per la maggioranza dei lavoratori inglesi dell’epoca, rimuovendo la principale motivazione al lavoro, che consisteva nel bisogno, e determinando una assuefazione all’assistenza.
Il conflitto tra il meccanismo liberistico e il principio utilitaristico che lo sorregge, da un lato, e le esigenze di solidarietà e di coesione sociale, dall’altro, sono analizzate con grande acutezza in questo come negli altri casi esaminati ricostruendo un processo continuo di interventi, che tuttavia non riuscirono a evitare il pieno dispiegarsi delle tensioni distruttive, che portarono al crollo della civiltà del XIX secolo.
Il conflitto tra liberismo economico e protezionismo sociale è non solo il tema centrale della Grande trasformazione , ma anche quello più squisitamente sociologico, in quanto affronta con originalità la questione sociologica classica dei fondamenti della solidarietà in una società individualistica e utilitaristica. La tradizione sociologica aveva già ampiamente sviluppato tale tema, e l’espansione dell’intervento statale in economia a seguito della grande depressione degli anni ’30 aveva riproposto con forza il problema. Polany tratta questa questione chiave della riflessione sociologica in modo originale , incentrandola sul rapporto economia – società e interpretando in questa chiave non solo la crisi del capitalismo liberale ma anche le reazioni politico – sociali del periodo tra le due guerre mondiali, dal New Deal americano alla pianificazione sovietica, ai tentativi di regolazione economica dei regimi autoritari di connotazione fascista.
Si tratta di una questione assolutamente centrale che si ripropone oggi nella forma della crisi del Welfare state e dei tentativi di ridefinire il ruolo, al fine di realizzare un compromesso soddisfacente tra efficienza economica fondata sulla competitività e equità sociale garantita da istituzioni di protezione sociale.
Ho in parte incluso l’analisi di Polany in questo capitolo: Le politiche dell’assistenza, in Paolo Ferrario, POLITICA DEI SERVIZI SOCIALI, Carocci Faber, 2001, pagg. 37-54

KARL POLANY, economista e sociologo, Scheda didattica sull?opera, a cura di Paolo Ferrario, 16 febbraio 2011 « POLITICHE SOCIALI e SERVIZI (http://mappeser.com/2011/02/16/karl-polany-economista-e-sociologo-scheda-sullopera/)

LupoSciolto°
18-03-16, 12:28
Una lettura quella di Polanyi, ma non solo la sua, veramente attuale ed eretica, per cui entra a ben diritto in questo forum, eretico per natura.

Ben detto!

Gianky
18-03-16, 12:32
Anche perché gli economisti classici tendono anzi pretendono di dimostrare che il liberismo e l'economia di mercato sarebbero naturali per le società umane. Polanyi partendo dall'antropologia sembra voler dimostrare il contrario, l'economia di mercato non è per nulla naturale.