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Visualizza Versione Completa : La fine della Terra, l’evoluzione dell’uomo



Scipione
19-03-16, 23:03
Non è il primo, Christophe Golfard – giovane fisico francese e autore di un libro, L’universo a portata di mano, in uscita il 17 marzo per Bollati Boringhieri – a sostenere che prima o poi l’umanità intera traslocherà e andrà ad abitare nuovi mondi. Il “prima” è indefinito. Ma per il “poi” il quarantenne fisico francese pone un limite superiore: entro e non oltre 5 miliardi di anni, quando il nostro Sole avrà esaurito il suo combustibile a base di idrogeno e si trasformerà in una “gigante rossa”.

Bene, entro quella data, dovremo aver abbandonato la Terra, perché la nostra stella aumenterà il suo volume di almeno un paio di ordini di grandezza e finirà per inghiottire la pianeta che ci ospita. Inutile pensare di traslocare su Marte, perchè il pianeta rosso, se non sarà inghiottito a sua volta, sarà certo arrostito dal Sole gigante.

Nessun problema, sostiene Golfard: troveremo casa altrove. Probabilmente fuori dal sistema solare. Ma dove? In un altro pianeta abitabile che ruota intorno a un’altra stella della nostra galassia? In un’altra galassia? In un altro punto dello spazio-tempo? In un altro universo?

Lasciamo pure galoppare la fantasia. Perché nessuno, allo stato, è in grado di fare previsioni del genere. Un grande fisico del XX secolo, Niels Bohr, sosteneva tra il serio e il faceto che le previsioni sono difficili, soprattutto quelle che riguardano il futuro. Pensate quanto difficili siano le previsioni che riguardano il futuro remoto, quello che ci proietta più avanti di 5 miliardi di anni. Un tempo persino difficile da concepire. Equivalente all’attuale età del Sole e anche della Terra che è nata, a 4,56 miliardi di anni fa, poco dopo la sua stella.

Sempre a titolo di paragone: la vita animale sulla Terra si è sviluppata con l’”esplosione del Cambriano”, poco più di 500 milioni di anni fa: un tempo enorme, durante il quale sono nate e sono morte centinaia di milioni, forse miliardi di specie; si sono verificate 5 grandi estinzioni di massa (più del 60% di specie estinte) e almeno una volta, nel Permiano, 225 milioni di anni fa, la vita animale è arrivata a un passo dalla totale scomparsa (96% di specie estinte). Ebbene questo tempo enorme durante il quale alla vita animale è accaduto tutto, è appena un decimo di quello che resta da vivere al Sole (come stella normale) e alla Terra, come pianeta.

Bene, si dirà: è un tempo sufficiente per scappare.

Certo, il tempo non manca. Ma per trovare un’altra casa ci sono dei limiti. Molti fisici che si sono cimentati del problema prendono (giustamente) in considerazione quelli tecnologici. Gli spazi cosmici sono piuttosto grandi. Le stelle più prossime a noi sono a qualche anno-luce di distanza. Per raggiungerle, con le tecnologia attuali un tempo (200.000 anni o giù di lì) paragonabile a quello di esistenza della vita della nostra specie. Difficile mettere in viaggio per tanto tempo una decina di miliardi di persone. Per un viaggio del genere occorrerebbe una quantità di energia almeno pari all’enorme quantità di pazienza necessaria a far vivere generazioni su generazioni in spazi angusti nel vuoto cosmico. Non conosciamo la fonte di tanta energia (e di tanta pazienza).

Nessun disfattismo, sostiene Golfard. Anche se non possiamo immaginare il “come”, la storia ci insegna che l’uomo è in grado di produrre novità tecnologiche a ritmo accelerato. Sono bastati pochi decenni perché la tecnologia cambiasse la faccia della Terra. Basteranno poche centinaia o poche migliaia di anni perché l’universo diventi, appunto, a portata di mano. La tesi è suggestiva. Anche se, ovviamente, non possiamo avere la prova tangibile che sia esatta. Tuttavia ci sono degli ulteriori limiti all’”out of Earth” che il fisico tende, in genere, a considerare poco. Sono i limiti biologici.

La storia insegna che le specie viventi, comprese quelle animali, evolvono: nascono, si sviluppano, muoiono. Dove il morire può avere una duplice forma: o la specie si estingue del tutto oppure si trasforma in un’altra specie (o in più di un’altra specie). Prendiamo i dinosauri, che hanno dominato la Terra fino a 65 milioni di anni fa. La gran parte delle specie di dinosauri sono scomparse, nel corso dell’ultima grande estinzione di massa. Alcune specie si sono trasformate – per selezione naturale del più adatto – e adesso sono tra noi come uccelli. Ora, non c’è dubbio che un passero è molto diverso non solo dal Tyrannosaurus rex ma anche dal più piccolo e meno aggressivo Scipionyx samniticus, più noto come “dinosauro Ciro” per le sue ascendenze napoletane.

La vita di una specie può essere più o meno lunga. Tra le più longeve ve ne sono alcune di squali: vivono a alcune centinaia di milioni di anni. Altre specie scompaiono (o evolvono) molto prima. Ma tra le specie del genere Homo la vita media non è lunghissima, se negli ultimi 2,5 milioni di anni ne sono nate e scomparse, tra quelle che conosciamo, più di una decina. La nostra specie ha 200.000 anni, ma ancora vive. Volendo considerare i Neandertal un’unica specie, comparsa in Europa 700.000 anni fa e scomparsa meno di 40.000 anni fa, possiamo dire che quelle umane sono specie il cui ciclo di vita si consuma in alcune centinaia di migliaia di anni. Poi, inevitabilmente, o scompaiono o evolvono, come è accaduto ai neandertaliani.

Certo Homo sapiens potrebbe rappresentare un’eccezione. E magari rimandare la fine del suo ciclo di esistenza per milioni di anni, salvo catastrofi etero o autoindotte (dall’impatto con un nuovo asteroide a una guerra nucleare totale). Ma, catastrofi a parte, l’ipotesi è quanto meno aperta. Alcuni sostengono che l’evoluzione culturale blocchi l’evoluzione biologica. Altri, invece, che l’acceleri, per cui la morte (per evoluzione) di Homo sapiens sarebbe prossima a venire. Alcuni, sempre lavorando ai confini, creativi ma scivolosi, con la fantascienza, già vedono l’avvento di una nuova specie ibrida: Homo technologicus, che conserverebbe nel suo genoma manipolato poche tracce del Dna dei sapiens. Un po’ come noi europei conserviamo nel nostro genoma poche tracce (meno del 5%) del Dna dei Neandertal.

Riassumendo. La fine della Terra per via del Sole “gigante rosso” è così lontana nel tempo che non ha molto significato occuparsene. Se mai, tra 5 miliardi di anni, ci sarà qualcuno sul nostro piccolo pianeta e se mai il nostro piccolo pianeta esisterà ancora, quel qualcuno sarà molto, ma molto diverso da Homo sapiens. Così come Homo sapiens è molto, ma molto diverso, da Pikaia, il primo cordato apparso sulla Terra 540 milioni di anni fa e di cui tutti i vertebrati sono figli.

Per ora accontentiamoci di progettare qualche pionieristico viaggio da qui a qualche decennio all’interno del sistema solare, che fino ai tempi di Galileo era l’ecumene e oggi inizia a starci stretto.

Pietro Greco (http://www.unipd.it/ilbo/fine-terra-l%E2%80%99evoluzione-dell%E2%80%99uomo)

Robert
23-03-16, 22:54
Non riesco ad immaginarmelo, è talmente fuori dalla mia portata e dal mio lifespan (ormai vado per i 40) credo ci vorranno ancora secoli e fino a quel momento la società umana sarà cambiata tantissimo, stracolma di miliardi di robot, può essere anche che ci estingueremo pacificamente, come noi occidentali stiamo già facendo, semplicemente senza figliare più

Folco
24-03-16, 09:37
uno degli articoli peggiori che abbia mai letto.

Scipione
24-03-16, 10:00
uno degli articoli peggiori che abbia mai letto.
Più che altro è la recensione di un libro.... :ekkekazzo: :drinky:

Folco
24-03-16, 10:03
Più che altro è la recensione di un libro.... :ekkekazzo: :drinky:

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