Frescobaldi
30-03-16, 20:31
http://upload.wikimedia.org/wikipedia/it/thumb/d/d7/PSI_PartitoSocialistaItaliano_storico.png/280px-PSI_PartitoSocialistaItaliano_storico.png
di Ugo Intini – “Mondoperaio”, marzo 2016
Ernesto Galli della Loggia ha fatto centro in pieno, spiegando nel fondo del 22 febbraio sul Corriere della Sera che il grande handicap della seconda Repubblica è quello di avere alle sue spalle il nulla. Qualunque grande nazione ha elaborato una narrazione di sé: “Un racconto del passato che giustifichi in modo forte il presente e si apra verso l’avvenire”. Il racconto può anche essere a volte discutibile o storicamente infondato, ma non importa. È tramandato immutato di generazione in generazione, dalla Francia agli Stati Uniti, dal Messico alla Russia.
In Italia no. Non esiste più. Ed è per questo che siamo ormai, sciaguratamente, senza radici.
Il ragionamento di Galli della Loggia può essere completato facendo un passo in più. La prima Repubblica disponeva di una narrazione convincente soprattutto grazie ai suoi partiti storici distrutti nel 1993: ed è precisamente la loro distruzione che ha provocato il vuoto. Galli della Loggia ricorda la Resistenza come pilastro della prima Repubblica, ma si può andare anche molto indietro nel tempo. Ricordando ad esempio cosa ha rappresentato il partito socialista (altri potrebbero ricordare il partito comunista, i partiti laici o la Democrazia cristiana). Le sue radici arrivavano fino al Risorgimento e alla creazione dell’unità d’Italia nella più assoluta continuità storica, con una staffetta generazionale ininterrotta.
I padri del socialismo si consideravano (ed erano) i figli del Risorgimento non monarchico. Il partito nato a Genova nel 1892 nasceva dalle associazioni di mutuo soccorso garibaldine e mazziniane. Garibaldi era la sua icona. Il primo direttore dell’ Avanti!, Bissolati, era allievo di Carducci, il poeta del patriottismo risorgimentale. Vittorio Piva, direttore dell’ Avanti! della domenica, era figlio di un garibaldino che aveva combattuto con i Mille. Nella staffetta generazionale un passaggio del testimone particolarmente significativo può essere fotografato sul molo di Savona, in una notte del dicembre 1926. Turati fugge in motoscafo verso la Corsica e l’esilio. Sono accanto a lui Ferruccio Parri (che sarà il primo capo del governo nell’Italia liberata dal fascismo), Adriano Olivetti (il più innovativo industriale italiano) e i due giovani che lo accompagneranno a bordo: Sandro Pertini (futuro presidente della Repubblica) e Carlo Rosselli (il teorico del liberalsocialismo che sarebbe stato assassinato a Parigi dai fascisti nel 1937, e nella cui casa di famiglia, a Pisa, era morto Giuseppe Mazzini).
Se Turati e i fondatori del partito socialista si sentivano figli del Risorgimento, il legame dei patrioti ottocenteschi con la Resistenza non è una invenzione a posteriori di storici e propagandisti. Si tratta di un insegnamento profondo, ben presente nel momento stesso della lotta antifascista. Alla vigilia del 25 aprile, ad esempio, l’ Avanti! clandestino pubblica un appello all’insurrezione rivolto ai giovani dove si legge tra l’altro: “È l’annuale delle Cinque Giornate: ancora il tedesco strazia e opprime la patria. Eppure mai l’Italia fu più certa di resurrezione. Il primo Risorgimento è stato tradito dalle forze della reazione e dalla nostra stessa immaturità politica; il nuovo Risorgimento è annunziato dall’immensa schiera dei martiri, dei torturati, dei deportati, degli eroi che combattono nelle forre e nelle montagne in nome della libertà, dell’umanità, della democrazia. Giovani, è la vigilia sacra. Giovani, è l’ora vostra”.
Pochi giorni dopo, la Milano appena liberata è guidata dal sindaco Greppi, dal prefetto Riccardo Lombardi e dal viceprefetto Vittorio Craxi (padre del futuro presidente del Consiglio). In effetti i socialisti degli anni ’80, sino alla loro fine, saranno idealmente e addirittura fisicamente i figli di questa storia. Perché sarà Pertini a volere capo del governo Craxi e non per caso il nuovo corso socialista riscoprirà il mito di Garibaldi insieme all’insegnamento di Carlo Rosselli.
Il leghismo ha poi provveduto a picconare il Risorgimento.
Gli eredi del fascismo (arrivati – caso unico al mondo – al potere) hanno avuto un nuovo ventennio a disposizione per delegittimare la Resistenza. I “nuovisti” miracolati della seconda Repubblica, eredi non solo del fascismo ma anche del comunismo, si sono trovati d’accordo su un unico obiettivo: quello di svilire la storia dei partiti democratici protagonisti della prima (e quindi del più grande sviluppo economico, sociale e culturale mai vissuto dall’Italia). Così che non solo abbiamo alle spalle il vuoto descritto da Galli della Loggia, ma una narrazione in negativo ormai prevalentemente accettata che va dalla nascita stessa della nazione sino a oggi: una narrazione che ha come protagonisti prima la ridicola “Italietta monarchica”, poi il “ventennio fascista”, poi la “Repubblica partitocratrica” dei ladri. C’è da dubitare che si sia in tempo a rimediare: perché chi ha meno di quarant’anni ha letto soltanto questa narrazione; e chi ne ha più di cinquanta è destinato al silenzio imposto ai rottamandi.
di Ugo Intini – “Mondoperaio”, marzo 2016
Ernesto Galli della Loggia ha fatto centro in pieno, spiegando nel fondo del 22 febbraio sul Corriere della Sera che il grande handicap della seconda Repubblica è quello di avere alle sue spalle il nulla. Qualunque grande nazione ha elaborato una narrazione di sé: “Un racconto del passato che giustifichi in modo forte il presente e si apra verso l’avvenire”. Il racconto può anche essere a volte discutibile o storicamente infondato, ma non importa. È tramandato immutato di generazione in generazione, dalla Francia agli Stati Uniti, dal Messico alla Russia.
In Italia no. Non esiste più. Ed è per questo che siamo ormai, sciaguratamente, senza radici.
Il ragionamento di Galli della Loggia può essere completato facendo un passo in più. La prima Repubblica disponeva di una narrazione convincente soprattutto grazie ai suoi partiti storici distrutti nel 1993: ed è precisamente la loro distruzione che ha provocato il vuoto. Galli della Loggia ricorda la Resistenza come pilastro della prima Repubblica, ma si può andare anche molto indietro nel tempo. Ricordando ad esempio cosa ha rappresentato il partito socialista (altri potrebbero ricordare il partito comunista, i partiti laici o la Democrazia cristiana). Le sue radici arrivavano fino al Risorgimento e alla creazione dell’unità d’Italia nella più assoluta continuità storica, con una staffetta generazionale ininterrotta.
I padri del socialismo si consideravano (ed erano) i figli del Risorgimento non monarchico. Il partito nato a Genova nel 1892 nasceva dalle associazioni di mutuo soccorso garibaldine e mazziniane. Garibaldi era la sua icona. Il primo direttore dell’ Avanti!, Bissolati, era allievo di Carducci, il poeta del patriottismo risorgimentale. Vittorio Piva, direttore dell’ Avanti! della domenica, era figlio di un garibaldino che aveva combattuto con i Mille. Nella staffetta generazionale un passaggio del testimone particolarmente significativo può essere fotografato sul molo di Savona, in una notte del dicembre 1926. Turati fugge in motoscafo verso la Corsica e l’esilio. Sono accanto a lui Ferruccio Parri (che sarà il primo capo del governo nell’Italia liberata dal fascismo), Adriano Olivetti (il più innovativo industriale italiano) e i due giovani che lo accompagneranno a bordo: Sandro Pertini (futuro presidente della Repubblica) e Carlo Rosselli (il teorico del liberalsocialismo che sarebbe stato assassinato a Parigi dai fascisti nel 1937, e nella cui casa di famiglia, a Pisa, era morto Giuseppe Mazzini).
Se Turati e i fondatori del partito socialista si sentivano figli del Risorgimento, il legame dei patrioti ottocenteschi con la Resistenza non è una invenzione a posteriori di storici e propagandisti. Si tratta di un insegnamento profondo, ben presente nel momento stesso della lotta antifascista. Alla vigilia del 25 aprile, ad esempio, l’ Avanti! clandestino pubblica un appello all’insurrezione rivolto ai giovani dove si legge tra l’altro: “È l’annuale delle Cinque Giornate: ancora il tedesco strazia e opprime la patria. Eppure mai l’Italia fu più certa di resurrezione. Il primo Risorgimento è stato tradito dalle forze della reazione e dalla nostra stessa immaturità politica; il nuovo Risorgimento è annunziato dall’immensa schiera dei martiri, dei torturati, dei deportati, degli eroi che combattono nelle forre e nelle montagne in nome della libertà, dell’umanità, della democrazia. Giovani, è la vigilia sacra. Giovani, è l’ora vostra”.
Pochi giorni dopo, la Milano appena liberata è guidata dal sindaco Greppi, dal prefetto Riccardo Lombardi e dal viceprefetto Vittorio Craxi (padre del futuro presidente del Consiglio). In effetti i socialisti degli anni ’80, sino alla loro fine, saranno idealmente e addirittura fisicamente i figli di questa storia. Perché sarà Pertini a volere capo del governo Craxi e non per caso il nuovo corso socialista riscoprirà il mito di Garibaldi insieme all’insegnamento di Carlo Rosselli.
Il leghismo ha poi provveduto a picconare il Risorgimento.
Gli eredi del fascismo (arrivati – caso unico al mondo – al potere) hanno avuto un nuovo ventennio a disposizione per delegittimare la Resistenza. I “nuovisti” miracolati della seconda Repubblica, eredi non solo del fascismo ma anche del comunismo, si sono trovati d’accordo su un unico obiettivo: quello di svilire la storia dei partiti democratici protagonisti della prima (e quindi del più grande sviluppo economico, sociale e culturale mai vissuto dall’Italia). Così che non solo abbiamo alle spalle il vuoto descritto da Galli della Loggia, ma una narrazione in negativo ormai prevalentemente accettata che va dalla nascita stessa della nazione sino a oggi: una narrazione che ha come protagonisti prima la ridicola “Italietta monarchica”, poi il “ventennio fascista”, poi la “Repubblica partitocratrica” dei ladri. C’è da dubitare che si sia in tempo a rimediare: perché chi ha meno di quarant’anni ha letto soltanto questa narrazione; e chi ne ha più di cinquanta è destinato al silenzio imposto ai rottamandi.