Frescobaldi
09-04-16, 01:55
https://upload.wikimedia.org/wikipedia/it/thumb/4/48/FDP1948.jpg/200px-FDP1948.jpg
di G. Tamburrano (1986)
Col 1956 si esaurisce la politica unitaria. Quale giudizio se ne può dare in sede storica? […]
Se partiamo dal 1921, anno di nascita del PCI, constatiamo che la politica unitaria è la parte prevalente nella storia del PSI che fin dal 1919, a stragrande maggioranza, si era riconosciuto nella Rivoluzione d’ottobre. Nato il partito comunista, il partito socialista ha sempre praticato una linea unitaria, pur respingendo, nel 1923, la fusione che era puro e semplice assorbimento nel partito comunista. Erano i comunisti che perseguivano tenacemente e ciecamente l’obiettivo di distruggere il PSI giudicandolo un equivoco, né riformista né comunista. La politica del PSI oscilla tra un minimo e un massimo (fusionismo), sempre nell’ambito unitario. Le interruzioni sono causate o dal settarismo comunista o da atti dell’URSS che contraddicono i principi fondamentali della lotta unitaria, come il patto russo-tedesco.
La politica unitaria ha al suo attivo: i fronti popolari in Francia e in Spagna, la lotta antifascista, la Resistenza, la repubblica. Per alcuni, l’unità coi comunisti era una esigenza politica limitata alla lotta contro il fascismo. Questa era, nella sostanza, la tesi dei riformisti eredi di Turati: più che Saragat – la cui posizione fu oscillante – Faravelli e Mondolfo. Per costoro, dopo la caduta del fascismo, la politica unitaria non ha più ragion d’essere. Anche perché l’Unione Sovietica è diventata una grande potenza “totalitaria e imperialista”. Per altri l’alleanza col PCI non è solo in funzione della lotta al fascismo, ma anche della lotta al capitalismo, al colonialismo, all’imperialismo.
Qual è il bilancio storico di questo unitarismo di cui l’esponente più autorevole è stato Pietro Nenni? Apparentemente negativo: esso si riassume nella scissione del 1947 e nell’inferiorità del socialismo rispetto al comunismo, caso unico in Europa. Resta da dimostrare che le cose sarebbero andate diversamente se Nenni avesse seguito Saragat. Resta da dimostrare: 1) che non vi sarebbe stata una scissione a sinistra; 2) che un PSI autonomista, diretto da Saragat e Nenni, sarebbe stato assai più forte del PSI frontista. Sul punto 1): la scissione a sinistra si ebbe nel 1963 e il PSIUP ottenne il 4,5% dei voti; è probabile che vi sarebbe stata anche nel 1947. Sul punto 2): certamente il PSI autonomo di Nenni e Saragat avrebbe avuto una maggiore forza politica ed elettorale; in quali dimensioni è difficile dirlo. Si può solo constatare che il partito di Saragat è rimasto una forza minore. Anche in Francia, dove il partito socialista non ha sofferto di una scissione, la sorte della SFIO, anticomunista quanto il PSDI, non è stata molto brillante. E il paragone si può fare solo con la Francia perché solo in quale paese vie era – e vi è – un forte partito comunista.
L’inferiorità socialista non è solo il risultato della politica unitaria di Nenni, è il risultato congiunto della scissione di Saragat e della scelta di campo di Nenni. Un partito socialista unito nella lotta per le riforme, per la laicità dello Stato, per la neutralità, e nella denuncia della degenerazione della Repubblica dei Soviet, era forse il partito che poteva aspirare all’egemonia nella sinistra, contrastandola ad un partito comunista forte ed agguerrito, e alla egemonia nel mondo laico e democratico, opponendosi al clericalismo e al conservatorismo. Resta l’interrogativo più volte avanzato: era possibile questa lotta su due fronti, in un clima di guerra fredda che sembrava non lasciare spazio alcuno tra i due fronti?
Ho scritto che il bilancio storico del frontismo è “apparentemente” negativo. Infatti, non c’è solo il passivo, che è molto pesante e si riassume nello snaturamento del movimento socialista; c’è anche l’attivo. L’attivo è rappresentato dalle lotte che il PSI ha condotto contro aspetti inaccettabili della politica centrista. Poteva un socialista non insorgere contro le violenze della polizia che insanguinavano le piazze e le zolle d’Italia del sangue di miseri lavoratori? Non insorgere contro le discriminazioni e le persecuzioni praticate nella fabbriche e nei pubblici uffici ai danni di lavoratori, di cittadini di sinistra? Non lottare perché i 2.300.000 disoccupati avessero un lavoro o un “sussidio” decente? Perché gli occupati in certi settori della pubblica amministrazione e della vita produttiva (ad esempio i braccianti) avessero stipendi e salari non di fame? Perché si attuasse una politica a favore delle miserabili popolazioni del Sud? Poteva un socialista non solidarizzare con i contadini che occupavano terre incolte e chiedevano una vera riforma agraria? O con gli operai che protestavano contro i licenziamenti indiscriminati? E che razza di socialista sarebbe stato? E poteva un democratico tollerare gli attentati alla Costituzione, rappresentati da comportamenti discriminatori e persecutori, da proposte dirette a limitare la libertà di stampa o di sciopero, dalle inadempienze costituzionali, dal mantenimento in vita di leggi e codici fascisti in contrasto con la Costituzione?
Ed un laico poteva accettare la politica confessionale nella scuola e gli attacchi alla cultura non allineata chiamata in modo sprezzante, da Scelba, “culturame”, il clericalismo e il sanfedismo nei costumi, le persecuzioni amministrative e giudiziarie contro intellettuali non conformisti (tristemente noto l’arresto e la condanna di Renzi e Aristarco autori della sceneggiatura di un film sulla guerra in Grecia: L’armata s’agapo[1] (https://forum.termometropolitico.it/#_ftn1) )? E poteva una persona onesta chiudere gli occhi sui privilegi, gli sperperi, la corruzione e quella che Leopoldo Elia chiamò “l’occupazione dello Stato” e cioè l’accaparramento da parte della DC di tutte le cariche pubbliche nello Stato e nel parastato? Nell’Italia rurale, arretrata, codina, popolata dalla povertà, dalla disoccupazione, dall’analfabetismo, dalla superstizione, dominata da padroni, preti questurini e censori, il posto di Nenni era all’opposizione. E all’opposizione il PSI ha fatto le sue battaglie per fini che erano i suoi, è stato dalla parte giusta, ed ha messo radici nella società civile.
Ma il PSI aveva un tallone d’Achille gravissimo: difendeva, scambiandoli per socialisti, regimi che si macchiavano di colpe più gravi di quelle di Scelba e di Valletta. Questa era l’accusa che uomini che si battevano contro gli arbitrii, l’intolleranza, e il clericalismo con impegno non minore di quello di Nenni, che i Salvemini, i Bobbio, i Calamandrei, gli Ernesto Rossi, rivolgevano ai socialisti: la vostra difesa della libertà non è credibile; come si può avere fiducia nella dedizione alla democrazia di Togliatti, che nel momento in cui denuncia la “legge truffa” di Scelba e proclama di lottare per una società in cui “il lavoro, la libertà e la giustizia trionfino”, aggiunge – riferendosi ai regimi comunisti orientali – le sinistre parole: “Guai a voi, compagni che siete al potere nei paesi di democrazia popolare, se non teneste gli occhi aperti, se trascuraste la vigilanza, permettendo al nemico di penetrare nelle nostre file”[2] (https://forum.termometropolitico.it/#_ftn2). E Nenni, pur senza arrivare alla prosa di Togliatti, non affermò alla Camera, il 9 febbraio 1950, a proposito dei processi e degli assassini “giudiziari” di dirigenti di sinistra nelle “democrazie popolari”: “Posta nella necessità di difendersi, la rivoluzione ha dovuto avere la mano pesante contro coloro che diventano agenti di interventi stranieri”. La differenza tra Togliatti e Nenni è che Togliatti sa mentre Nenni crede.
Questa era la palla al piede del socialismo italiano: la sua scelta di campo rischiava di essere la scelta del totalitarismo. È logico, perciò, che la revisione del PSI avvenga sul terreno della democrazia: il socialismo è inseparabile dalla democrazia. Non c’era nulla di nuovo in questa affermazione. La novità era che, applicata coerentemente, portava alla rottura col PCI. Non su una questione di principio, perché in sede storica Togliatti avrebbe risposto che il PCI lottava per la democrazia in modo certamente più “responsabile” del PSI. La rottura avviene su un problema concreto, il problema del rapporto con l’Unione Sovietica. Per Nenni gli studenti e gli operai magiari “volevano sul serio la liberalizzazione e la democratizzazione degli istituti politici e della vita pubblica”; per Togliatti “una protesta contro l’Unione Sovietica avrebbe dovuto farsi se essa […] non fosse intervenuta, e con tutte le sue forze questa volta, per sbarrare la strada al terrore bianco e a schiacciare il fascismo nell’uovo”[3] (https://forum.termometropolitico.it/#_ftn3). E le cose tornano al loro posto: lo stalinismo è stato per il PSI un fatto acquisito e ne guarisce con una certa facilità. Per il PCI è un fatto congenito: liberarsene è infinitamente più difficile.
Il tema dominante nel dibattito socialista in quel periodo è appunto il rapporto tra socialismo e democrazia. Ma non c’è nella revisione socialista nessuna “rinuncia” agli obiettivi che hanno guidato le lotte negli anni precedenti. Vi è una analisi nuova del capitalismo moderno e la ricerca delle vie democratiche con una ricchezza notevole di posizioni: chi vede la strada maestra nel controllo operaio (Foa, Panzieri), chi nell’espansione dell’intervento dello Stato e nelle riforme di struttura (Lombardi, Giolitti, De Martino), chi nella creazione di contropoteri nella società e nell’alternativa globale (Basso). Ma in nessun settore del PSI si mette in discussione lo scopo finale che è l’abolizione del capitalismo e la costruzione di una società senza classi. Marx viene riletto senza il filtro leninista, ma non superato. Nenni, abbandonando il “campo socialista”, non abbandona il socialismo: anzi ritrova il suo Marx[4] (https://forum.termometropolitico.it/#_ftn4). E ritrova una buona dose di giacobinismo: vuole le “grandi cose”, mentre Lombardi, più “estremista” – se possibile – di lui, vuole riforme di struttura che avviino la “transizione al socialismo”.
Da G. Tamburrano, Pietro Nenni, Laterza, Roma-Bari 1986, pp. 286-290.
[1] (https://forum.termometropolitico.it/#_ftnref1) Sul caso Renzi e Aristarco e su altre denunce e condanne per reati di pensieri, v. Paolo Murialdi, La stampa italiana nel dopoguerra. 1943-1972, Laterza, 1973.
[2] (https://forum.termometropolitico.it/#_ftnref2) Cit. da F. De Martino, Un’epoca del socialismo, La Nuova Italia, 1983, p. 166.
[3] (https://forum.termometropolitico.it/#_ftnref3) Cit. da U. Intini, Se la rivoluzione d’ottobre fosse stata di maggio, SugarCo, 1977, pp. 107 e 114.
[4] (https://forum.termometropolitico.it/#_ftnref4) Il 3 gennaio 1957 Nenni cita un giudizio di Arrigo Benedetti che scrive di lui: “Un socialista che non ha nessuna intenzione di abbandonare i propri compagni, che non ha nessuna intenzione di adottare in economia la linea della Confindustria, in politica estera la linea del Dipartimento di Stato”, e commenta: “Fa piacere costatare che la razza della gente per bene non è spenta”.
di G. Tamburrano (1986)
Col 1956 si esaurisce la politica unitaria. Quale giudizio se ne può dare in sede storica? […]
Se partiamo dal 1921, anno di nascita del PCI, constatiamo che la politica unitaria è la parte prevalente nella storia del PSI che fin dal 1919, a stragrande maggioranza, si era riconosciuto nella Rivoluzione d’ottobre. Nato il partito comunista, il partito socialista ha sempre praticato una linea unitaria, pur respingendo, nel 1923, la fusione che era puro e semplice assorbimento nel partito comunista. Erano i comunisti che perseguivano tenacemente e ciecamente l’obiettivo di distruggere il PSI giudicandolo un equivoco, né riformista né comunista. La politica del PSI oscilla tra un minimo e un massimo (fusionismo), sempre nell’ambito unitario. Le interruzioni sono causate o dal settarismo comunista o da atti dell’URSS che contraddicono i principi fondamentali della lotta unitaria, come il patto russo-tedesco.
La politica unitaria ha al suo attivo: i fronti popolari in Francia e in Spagna, la lotta antifascista, la Resistenza, la repubblica. Per alcuni, l’unità coi comunisti era una esigenza politica limitata alla lotta contro il fascismo. Questa era, nella sostanza, la tesi dei riformisti eredi di Turati: più che Saragat – la cui posizione fu oscillante – Faravelli e Mondolfo. Per costoro, dopo la caduta del fascismo, la politica unitaria non ha più ragion d’essere. Anche perché l’Unione Sovietica è diventata una grande potenza “totalitaria e imperialista”. Per altri l’alleanza col PCI non è solo in funzione della lotta al fascismo, ma anche della lotta al capitalismo, al colonialismo, all’imperialismo.
Qual è il bilancio storico di questo unitarismo di cui l’esponente più autorevole è stato Pietro Nenni? Apparentemente negativo: esso si riassume nella scissione del 1947 e nell’inferiorità del socialismo rispetto al comunismo, caso unico in Europa. Resta da dimostrare che le cose sarebbero andate diversamente se Nenni avesse seguito Saragat. Resta da dimostrare: 1) che non vi sarebbe stata una scissione a sinistra; 2) che un PSI autonomista, diretto da Saragat e Nenni, sarebbe stato assai più forte del PSI frontista. Sul punto 1): la scissione a sinistra si ebbe nel 1963 e il PSIUP ottenne il 4,5% dei voti; è probabile che vi sarebbe stata anche nel 1947. Sul punto 2): certamente il PSI autonomo di Nenni e Saragat avrebbe avuto una maggiore forza politica ed elettorale; in quali dimensioni è difficile dirlo. Si può solo constatare che il partito di Saragat è rimasto una forza minore. Anche in Francia, dove il partito socialista non ha sofferto di una scissione, la sorte della SFIO, anticomunista quanto il PSDI, non è stata molto brillante. E il paragone si può fare solo con la Francia perché solo in quale paese vie era – e vi è – un forte partito comunista.
L’inferiorità socialista non è solo il risultato della politica unitaria di Nenni, è il risultato congiunto della scissione di Saragat e della scelta di campo di Nenni. Un partito socialista unito nella lotta per le riforme, per la laicità dello Stato, per la neutralità, e nella denuncia della degenerazione della Repubblica dei Soviet, era forse il partito che poteva aspirare all’egemonia nella sinistra, contrastandola ad un partito comunista forte ed agguerrito, e alla egemonia nel mondo laico e democratico, opponendosi al clericalismo e al conservatorismo. Resta l’interrogativo più volte avanzato: era possibile questa lotta su due fronti, in un clima di guerra fredda che sembrava non lasciare spazio alcuno tra i due fronti?
Ho scritto che il bilancio storico del frontismo è “apparentemente” negativo. Infatti, non c’è solo il passivo, che è molto pesante e si riassume nello snaturamento del movimento socialista; c’è anche l’attivo. L’attivo è rappresentato dalle lotte che il PSI ha condotto contro aspetti inaccettabili della politica centrista. Poteva un socialista non insorgere contro le violenze della polizia che insanguinavano le piazze e le zolle d’Italia del sangue di miseri lavoratori? Non insorgere contro le discriminazioni e le persecuzioni praticate nella fabbriche e nei pubblici uffici ai danni di lavoratori, di cittadini di sinistra? Non lottare perché i 2.300.000 disoccupati avessero un lavoro o un “sussidio” decente? Perché gli occupati in certi settori della pubblica amministrazione e della vita produttiva (ad esempio i braccianti) avessero stipendi e salari non di fame? Perché si attuasse una politica a favore delle miserabili popolazioni del Sud? Poteva un socialista non solidarizzare con i contadini che occupavano terre incolte e chiedevano una vera riforma agraria? O con gli operai che protestavano contro i licenziamenti indiscriminati? E che razza di socialista sarebbe stato? E poteva un democratico tollerare gli attentati alla Costituzione, rappresentati da comportamenti discriminatori e persecutori, da proposte dirette a limitare la libertà di stampa o di sciopero, dalle inadempienze costituzionali, dal mantenimento in vita di leggi e codici fascisti in contrasto con la Costituzione?
Ed un laico poteva accettare la politica confessionale nella scuola e gli attacchi alla cultura non allineata chiamata in modo sprezzante, da Scelba, “culturame”, il clericalismo e il sanfedismo nei costumi, le persecuzioni amministrative e giudiziarie contro intellettuali non conformisti (tristemente noto l’arresto e la condanna di Renzi e Aristarco autori della sceneggiatura di un film sulla guerra in Grecia: L’armata s’agapo[1] (https://forum.termometropolitico.it/#_ftn1) )? E poteva una persona onesta chiudere gli occhi sui privilegi, gli sperperi, la corruzione e quella che Leopoldo Elia chiamò “l’occupazione dello Stato” e cioè l’accaparramento da parte della DC di tutte le cariche pubbliche nello Stato e nel parastato? Nell’Italia rurale, arretrata, codina, popolata dalla povertà, dalla disoccupazione, dall’analfabetismo, dalla superstizione, dominata da padroni, preti questurini e censori, il posto di Nenni era all’opposizione. E all’opposizione il PSI ha fatto le sue battaglie per fini che erano i suoi, è stato dalla parte giusta, ed ha messo radici nella società civile.
Ma il PSI aveva un tallone d’Achille gravissimo: difendeva, scambiandoli per socialisti, regimi che si macchiavano di colpe più gravi di quelle di Scelba e di Valletta. Questa era l’accusa che uomini che si battevano contro gli arbitrii, l’intolleranza, e il clericalismo con impegno non minore di quello di Nenni, che i Salvemini, i Bobbio, i Calamandrei, gli Ernesto Rossi, rivolgevano ai socialisti: la vostra difesa della libertà non è credibile; come si può avere fiducia nella dedizione alla democrazia di Togliatti, che nel momento in cui denuncia la “legge truffa” di Scelba e proclama di lottare per una società in cui “il lavoro, la libertà e la giustizia trionfino”, aggiunge – riferendosi ai regimi comunisti orientali – le sinistre parole: “Guai a voi, compagni che siete al potere nei paesi di democrazia popolare, se non teneste gli occhi aperti, se trascuraste la vigilanza, permettendo al nemico di penetrare nelle nostre file”[2] (https://forum.termometropolitico.it/#_ftn2). E Nenni, pur senza arrivare alla prosa di Togliatti, non affermò alla Camera, il 9 febbraio 1950, a proposito dei processi e degli assassini “giudiziari” di dirigenti di sinistra nelle “democrazie popolari”: “Posta nella necessità di difendersi, la rivoluzione ha dovuto avere la mano pesante contro coloro che diventano agenti di interventi stranieri”. La differenza tra Togliatti e Nenni è che Togliatti sa mentre Nenni crede.
Questa era la palla al piede del socialismo italiano: la sua scelta di campo rischiava di essere la scelta del totalitarismo. È logico, perciò, che la revisione del PSI avvenga sul terreno della democrazia: il socialismo è inseparabile dalla democrazia. Non c’era nulla di nuovo in questa affermazione. La novità era che, applicata coerentemente, portava alla rottura col PCI. Non su una questione di principio, perché in sede storica Togliatti avrebbe risposto che il PCI lottava per la democrazia in modo certamente più “responsabile” del PSI. La rottura avviene su un problema concreto, il problema del rapporto con l’Unione Sovietica. Per Nenni gli studenti e gli operai magiari “volevano sul serio la liberalizzazione e la democratizzazione degli istituti politici e della vita pubblica”; per Togliatti “una protesta contro l’Unione Sovietica avrebbe dovuto farsi se essa […] non fosse intervenuta, e con tutte le sue forze questa volta, per sbarrare la strada al terrore bianco e a schiacciare il fascismo nell’uovo”[3] (https://forum.termometropolitico.it/#_ftn3). E le cose tornano al loro posto: lo stalinismo è stato per il PSI un fatto acquisito e ne guarisce con una certa facilità. Per il PCI è un fatto congenito: liberarsene è infinitamente più difficile.
Il tema dominante nel dibattito socialista in quel periodo è appunto il rapporto tra socialismo e democrazia. Ma non c’è nella revisione socialista nessuna “rinuncia” agli obiettivi che hanno guidato le lotte negli anni precedenti. Vi è una analisi nuova del capitalismo moderno e la ricerca delle vie democratiche con una ricchezza notevole di posizioni: chi vede la strada maestra nel controllo operaio (Foa, Panzieri), chi nell’espansione dell’intervento dello Stato e nelle riforme di struttura (Lombardi, Giolitti, De Martino), chi nella creazione di contropoteri nella società e nell’alternativa globale (Basso). Ma in nessun settore del PSI si mette in discussione lo scopo finale che è l’abolizione del capitalismo e la costruzione di una società senza classi. Marx viene riletto senza il filtro leninista, ma non superato. Nenni, abbandonando il “campo socialista”, non abbandona il socialismo: anzi ritrova il suo Marx[4] (https://forum.termometropolitico.it/#_ftn4). E ritrova una buona dose di giacobinismo: vuole le “grandi cose”, mentre Lombardi, più “estremista” – se possibile – di lui, vuole riforme di struttura che avviino la “transizione al socialismo”.
Da G. Tamburrano, Pietro Nenni, Laterza, Roma-Bari 1986, pp. 286-290.
[1] (https://forum.termometropolitico.it/#_ftnref1) Sul caso Renzi e Aristarco e su altre denunce e condanne per reati di pensieri, v. Paolo Murialdi, La stampa italiana nel dopoguerra. 1943-1972, Laterza, 1973.
[2] (https://forum.termometropolitico.it/#_ftnref2) Cit. da F. De Martino, Un’epoca del socialismo, La Nuova Italia, 1983, p. 166.
[3] (https://forum.termometropolitico.it/#_ftnref3) Cit. da U. Intini, Se la rivoluzione d’ottobre fosse stata di maggio, SugarCo, 1977, pp. 107 e 114.
[4] (https://forum.termometropolitico.it/#_ftnref4) Il 3 gennaio 1957 Nenni cita un giudizio di Arrigo Benedetti che scrive di lui: “Un socialista che non ha nessuna intenzione di abbandonare i propri compagni, che non ha nessuna intenzione di adottare in economia la linea della Confindustria, in politica estera la linea del Dipartimento di Stato”, e commenta: “Fa piacere costatare che la razza della gente per bene non è spenta”.