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Visualizza Versione Completa : Jean-Claude Michéa. Alla riscossa della gente comune.



Kavalerists
09-04-16, 17:34
IL COMPLESSO DI ORFEO di J.C. Michea

Articolo di David L’Epée apparso sul n. 51, novembre-dicembre 2010 della rivista Rebellion, pubblicata dall’OSRE.


Non userò giri di parole: Il Complesso di Orfeo, ultima opera di Jean-Claude Michea, è semplicemente il miglior lavorodi scienze politiche in lingua francese che mi è stato dato di leggere in questi ultimi anni. Uno dei risultati, e non dei minori, a cui ha portato la sua lettura è quello di riconciliare col Socialismo tutti quelli che, come molti tra noi, non si riconoscono nel campo detto di sinistra e non si ritrovano nel progresso in se stesso come orizzonte insuperabile dell’umanità. Partendo dalla figura di George Orwell e rispondendo a dieci questioni teoriche sul tema della storia del pensiero liberale, Michea appronta, attraverso la scrittura molto particolare che lo caratterizza -parla di “un effetto fresco” o di “costruzione a spirale” – un quadro d’insieme preciso e coerente di diversi elementi, storici e ideologici, che spiegano i motivi della incompatibilità tra le battaglie della sinistra e i valori della gente comune.


La figura di Orfeo in rapporto alla Sinistra.

Anzitutto perchè questo titolo? Nella mitologia greca Orfeo è un musicista di un talento eccezionale che grazie all’incantesimo delle note della sua lira, riesce, alla morte della sua sposa Euridice, a convincere Cerbero e lo stesso Ade dio degli inferi, dove era sceso alla ricerca della sua amata, a farla ritornare nel regno dei vivi. Questo favore gli viene accordato ad una condizione: ella lo seguirà fino in superficie solo se lui non si volterà a guardarla, altrimenti ella sparirà – cosa che assicurerà alla legenda un finale tragico. Michea associa la figura di Orfeo a quella della sinistra perché entrambe sono ossessionate dallo stesso terrore: quello di voltarsi indietro. Da qui la postura caratteristica della persona di sinistra, che consiste nel “mostrare un disprezzo di principio verso tutto quello che porta ancora il marchio infamante di ieri ( il mondo tenebroso delle paure, delle tradizioni, dei “pregiudizi” ,del “ritirarsi in sé”, o “dell’attaccamento irrazionale alle persone e ai luoghi”. (p.13)
Una delle prime tesi del libro, dalla quale si dipanano buona parte delle successive, è da un lato ovvia per chi conosce un poco la storia, ed allo stesso tempo sorprendente per quelli che misurano lo spettro politico attraverso la lettura che contemporaneamente di esso ne danno i media. Questa tesi può essere formulata così: il Socialismo e la Sinistra sono due cose completamente diverse.
Ricordiamo che il campo politico francese dopo la rivoluzione, fino alla fine del XIX secolo, è stato diviso in tre correnti principali di opinione, ricalcate simbolicamente sui tre colori della bandiera nazionale: i Bianchi ( la Destra dei monarchici e dei cattolici ) i Blu ( la Sinistra repubblicana e liberale) ed i Rossi (il movimento operaio costituito dalle sue diverse tendenze: socialiste, comuniste e anarchiche).
Da notare che questi ultimi sono rimasti per lungo tempo, una corrente extraparlamentare (da qui il suo carattere spesso rivoluzionario) e che rifiutano in blocco gli altri due colori come le due facce complementari di un universo sociale ( la borghesia ) al quale non si sentono di appartenere. "Di fronte alla predominante divisione che allora opponeva i conservatori e i liberali (cioè, il partito dell'Ordine e quello del Movimento), la preoccupazione principale dei primi movimenti socialisti fu, al contrario, di conservare a tutti i costi la preziosa indipendenza politica del movimento operaio (come l'autonomia dei suoi fondi comuni di investimento, i suoi sindacati e le sue cooperative). "(p.170)

L'ideale di progresso

E' stato al momento dell' "affare Dreyfus" che ha avuto luogo un primo avvicinamento tra una parte del campo socialista con la sinistra. Mentre gran parte dei leaders operai ritenevano che questo caso non li riguardasse affatto, che non dovevano prendere posizione in un litigio tra ufficiali, interni ad un esercito borghese che disprezzavano(1), alcuni di loro si lasciarono sedurre dai discorsi repubblicani della Sinistra, che li attirava nel suo campo parlando loro di un imperativo di giustizia universale che doveva trascendere la questione delle classi sociaIi. Il risultato sul lungo termine è stata la conversione dei movimenti socialisti alla logica liberale e all'imperativo del progresso, e la conseguente graduale erosione dei suoi obiettivi di rivolgimento sociale. Al punto che "per la maggior parte degli esponenti della sinistra moderna (e soprattutto per la gioventù borghese alla moda), è già chiaro che il Gay Pride (come ad un livello parallelo, la Festa della Musica o gli aperitivi su Facebook) è un evento politico di gran lunga più sovversivo e "preoccupante per il potere" che non le manifestazioni dei lavoratori il Primo Maggio "(p.30).
Questo compromesso storico dura fino ai nostri giorni, i termini" sinistra "e" socialismo "(parola usata per la prima volta da Pierre Leroux nel 1834) sono stati mescolati, hanno perduto il loro significato originale, al punto che è diventato impossibile distinguerli - il che rende ancor più necessaria la pubblicazione de "Il Complesso di Orfeo". Si sono così a torto associate due concezioni che si contraddicono l'una con l'altra: l'idea di Progresso, un concetto ereditato dall'Illuminismo e dal pensiero liberale, e gli interessi del popolo, legati ad un insieme di valori radicati, e tanto meno modernisti. È fra questi ultimi che Orwell fa figurare il comune senso del pudore, la decenza comune, la quale comprende tra gli altri (e al di fuori di ogni logica mercantile) il triplo imperativo del dare, ricevere e rendere. "Se, per legge, ogni essere umano è in grado nella realtà di comportarsi decentemente, rimane innegabile che, in pratica, la attitudine concreta alla di decenza appare, prima di tutto, come il privilegio della gente comune. "(p.100)
E aggiunge sulla stessa pagina," E' visto molto male nel mondo dei media ufficiali (che siano di destra o di sinistra), celebrare la decenza della gente comune o la capacità del popolo di autogovernarsi in modo diretto. Questa sarebbe, nella migliore delle ipotesi, un'illusione rousseauiana (tutti sanno, infatti, che l'uomo è cattivo per natura e sempre pronto a danneggiare i suoi simili) e, nel peggiore dei casi, delle idee populiste, "delle quali non sappiamo abbastanza dove ci possano portare". Tuttavia, è curioso che gli zelanti personaggi dei media non si sognano mai di applicare la loro antropologia negative anche alle élites. Si dà sempre per scontato, in effetti, che coloro che ci governano - o che dirigono le principali istituzioni internazionali (il FMI, la Banca Mondiale, passando per l'ONU) - sono, di per se stessi, degli individui ammirevoli che si impegnano, in ogni circostanza, a fare il loro dovere nel miglior modo possibile. La massima del "tutto marcio" sarebbe, insomma, perfida quando applicata alle classi dominanti, ma al contrario abbastanza plausibile, per quanto concerne la gente comune. E in effetti, non c'è alcuna parola nel vocabolario politico ufficiale per descrivere quello che sarebbe l'atteggiamento simmetrico di "populismo", vale a dire la tendenza a idealizzare il mondo delle élites e a proteggere permanentemente la loro reputazione ( quello che riassume in buona sintesi, credo, il mestiere del moderno giornalista, da esercitarsi su TF1 e Canal Plus). Tranne, forse, il verbo strisciare."

continua...

Kavalerists
09-04-16, 17:37
Può esistere un Socialismo conservatore?

Pertanto, se il culto del progresso non è in realtà un appannaggio originale del socialismo, e se si scopre che questo culto entra in contrasto con la comune decenza, si può legittimamente porre la seguente questione : ci può essere un socialismo conservatore? In ogni caso è innegabile che oggi, in questi tempi di diminuzione delle risorse naturali, che esiste per salvaguardare tutti, un requisito di conservazione. Se è vero che l'utopia liberale "non può crescere al di là di una certa soglia senza distruggere col suo stesso movimento le sue proprie condizioni di opportunità, ecologiche e culturali " ( p.347), è il tempo di tirare il freno a mano. Oggi molto più di ieri, una critica anticapitalista coerente deve incorporare una dimensione conservatrice. L'ecologia politica, la stessa che ci viene presentata in molti paesi occidentali, ha assunto forme paradossali da quando è stato associato con la sinistra, che è, come abbiamo appena visto, il campo del progresso. Ora, nel momento della distruzione del nostro ambiente per la crescita e il messianismo del "sempre più veloce, sempre più lontano," non sembra invece evidente che, in reazione a questo movimento distruttivo dovuto al progresso, qualsiasi ecologia seria dovrebbe essere principalmente conservatrice?

Basandosi sull'etichetta di "anarchico Tory" attribuita a Orwell (ricordiamo che i tories in Inghilterra sono gli antenati del partito conservatore), Michea insiste su "l'aspetto conservatore di qualsiasi teoria radicale - che si tratti di ripristinare l'equilibrio ecologico compromesso dalla crescita o di preservare le condizioni morali, culturali e antropologiche di un mondo decente "(p.76). Egli ricorda che Rousseau, che non è per nulla tra gli ispiratori del socialismo, ha difeso nel suo famoso Discorso sulle scienze e le arti, una visione del tutto anti-progressista, soprattutto per quanto riguarda lo sviluppo tecnico. E ricorda anche che nel 1839, il primo testo scritto da Proudhon (altro socialista con sensibilità conservatrice, conseguentemente) non era altro che una celebrazione della Domenica ... E aggiunge il seguente commento: "Oggi, ogni ideologo modernista, da Jacques Attali a Michel Rocard, ci vedrebbe senza alcun dubbio un attacco inaccettabile alla libertà del lavoro, ispirato da un conservatorismo religioso particolarmente ottuso. "(p.75).
Assumendo le difese de " l' arcaico proletariato, sempre sospetto di non essere abbastanza indifferente alla sua comunità di origine" (p.142), Michea se la prende con questa ossessione della sinistra per il cambiamento perpetuo - Il movimento per movimento - che in fondo non fa che esprimere "l'idea che tutti i limiti al potere del singolo individuo, e la natura stessa, dovrebbero essere trasgrediti per principio." (p.174). Tra i teorici di questo modernismo a tutti i costi di sinistra (allo stesso costo dell'abbandono di ogni lotta sociale coerente), cita Foucault e Deleuze (2) e, tra i più recenti, Toni Negri, secondo il quale «è il fatto stesso che hanno rotto con la loro nazione di origine che conferirebbe ai migranti di tutto il mondo una coscienza politica necessariamente superiore a quella dei lavoratori del paese ospitante "(p.32), e Alain Badiou che," con il suo effettivo stile di vita attuale quotidiana , il migrante è completamente integrato al mondo della merce e del suo immaginario nomade e trasgressivo. " (P.272)
Tra i responsabili politici, l'autore en passant dipinge un ritratto per Marie-Georges Buffet (PCF), che ha dichiarato alcuni anni fa, che Guy Moquet se fosse ancora vivo sarebbe senza dubbio membro del network Educazione Senza Frontiere ... "Fintanto che si fanno parlare i morti, avrebbe potuto altrettanto logicamente annunciare al suo 2% degli elettori che, se fossero vivi oggi, Lenin avrebbe militano in Act Up e Marx in una associazione per la difesa del burqa. "(P.176). Araldi a pieno titolo, così come la peggiore destra neoliberista, dello sradicamento, del nomadismo e della deterritorializzazione ( che come nota l'autore, non è altro che un sinonimo più alla moda di delocalizzazione ), essi cantano le virtù di un cittadino del mondo che, a forza di essere del mondo, non è più in alcun modo cittadino. Di fatto, " sociologi di sinistra ed economisti di destra non rappresentano altro che i due lati accademicamente opposti del nastro di Möbius del liberalismo." (p.298) Egli decripta i loro artifizi retorici (3) e rimarca con pertinenza che se la lotta contro tutte le discriminazioni è divenuta la novella vulgata della sinistra, la stessa sinistra omette accuratamente dalla sua lista una tipologia di discriminazione fondamentale: le discriminazioni di classe. Da qui la sua opposizione frontale al vero socialismo.
Proseguendo nella messa in luce della radicale opposizione dialettica che divide le élites liberali dalla gente comune, Michea compie la seguente riflessione, che ci tengo a rilevare: "Senza dubbio non si può immaginare nulla di più "reazionario" di una famiglia di provincia nella quale ci fosse un falegname, un pescatore, o un orologiaio, di padre in figlio. Una tale ostinazione a perpetuare la tradizione di famiglia , oltre ad essere "inadatta all'economia moderna", sarebbe in tutta evidenza come uno dei segni più sicuri che il grembo della bestia immonda è ancora fecondo. Tuttavia, è curioso che una critica così intransigente delle malefatte della filiazione si arresti solitamente al limite del mondo spietato dello show business e dei media. Proprio là dove si è formato uno dei domini dove il privilegio familiare è quasi ereditario ( quali che siano i reali talenti degli eredi o delle eredi ), fino ad estendersi in avanti per parecchie generazioni. Ma senza dubbio si tratta semplicemente di ciò che si chiama "eccezione culturale". (p.149-150) Colpito e affondato!


La speranza di una rinascita


Nonostante questo ritratto, a gravare sulla nostra epoca, non è la speranza che manca. Le prospettive cambiano, e più passa il tempo e più il figlio bastardo del socialismo e della sinistra liberale dimostra di non essere attuabile e di non ingannare più vaste moltitudini. La disaffezione degli elettori e dei sostenitori delle grandi formazioni di sinistra ( disaffezione che non è altro che il prosieguo dello stesso fenomeno che si osserva guardando i grandi partiti di destra ) e la migrazione dell'elettorato operaio e popolare verso altri cieli, diversi da quello sotto il quale si è tentato di metterlo in riga ( il principale dei quali non è nient'altro che l'astensionismo ) sono altrettanti segni che fanno pensare che le mistificazioni ideologiche, anche le più apparentemente affermate, non durano che un tempo. Orwell non è più tra noi ma ha piantato i semi, che ritroveremo più tardi presso altri grandi assenti, come Pasolini (4), Castoriadis, o Christopher Lasch, ma che Michea percepisce anche in certi nostri contemporanei - egli cita ad esempio il regista Ken Loach. Egli ha inoltre accettato con piacere di assistere al debutto di una nuova riflessione sulla de-globalizzazione, sulla scia di Jacques Sapir, Arnaud Montebourg e altri. Ed egli rammenta ai suoi lettori la necessità di sviluppare idee coerenti ed esprimerle in termini chiari, ricordando che "il semplice desiderio di arricchire il proprio vocabolario e di parlare un linguaggio chiaro,vivo e sensibile" (p.223) costituiva già secondo Orwell un atto di resistenza. I diffusori, che quotidianamente siamo cercando a volte bene a volte meno di convincere chi ci sta attorno della fondatezza delle nostre analisi, non mancheranno di riconoscersi quando l'autore scrive : "L'esistenza di questo regime del pensiero (l'ideologia dominante) obbliga tutti coloro che si sforzano a contestare realmente l'ordine stabilito (...) a praticare di continuo tutta una serie di estenuanti deviazioni filosofiche e di fastidiose puntualizzazioni - al tempo stesso garantendo parallelamente di mantenere la correttezza ideologica di ogni singola parola impiegata ( questo è un esercizio intellettuale -" il peccato del linguaggio", secondo la formula dell'Inquisizione cinquecentesca - che i sostenitori del pensiero corretto non possono nemmeno immaginare )". (p.44)

Chi dice comunicazione, chi dice scambio di idee e dibattito democratico, dice legami sociali, legami che il sistema liberale s'ostina con precisione - ed a buona ragione! - a distruggere, perchè essi rappresentano i tanti legami che strutturano l'individuo e creano la convivialità, i numerosi radicamenti sociali e tradizionali dell'uomo comune, ed altrettante zone di resistenza contro la trasformazione dell'essere umano in un consumatore atomizzato. Come sottolinea l'autore, "la civiltà liberale è la prima, nella storia dell'uomo, che cerca, per principio di privare il singolo individuo di tutto il sostegno simbolico collettivo necessario alla sua umanizzazione (...) e questo tanto più che il parallelo dissolvimento delle relazioni umane primarie, a causa dello sviluppo di una logica giuridica e commerciale, permette sempre meno alle strutture locali - come ad esempio la vita di quartiere - di giocare a pieno il loro antico ruolo di correttore" (p.340-341).E' necessario quindi ristabilire e concedere di nuovo il suo lignaggio di nobiltà a quello che Orwell riassumeva nella bella formula "la famiglia, il pub, il calcio, e la politica locale". Un grande programma!

David L’Epée



NOTE


1 - Non posso esimermi dal citare, come esempio di questa neutralità del mondo politico operaio riguardo all'affare Dreyfus, un passaggio del testo "Anarchismo e Sindacalismo" di Georges Valois: "Tutte le classi della società francese sono pro o contro Dreyfus, tutte salvo una minoranza, la minoranza dei lavoratori organizzati, che, sollecitata ad accordare i suoi sforzi in favore del traditore, ha dichiarato nettamente di rifiutarsi di prendere parte ad un "litigio borghese". Ma il successo di Dreyfus dipendeva da questa minoranza, capace solo di violenza. Dreyfus aveva bisogno del lavoratore. Era necessario a tutti i costi l'interesse per questa "lite borghese."(in. Histoire et Philosophie Sociales, Nouvelle Librairie Nationale, 1924, p.332)


2- "In una società liberale sviluppata è in effetti una responsabilità che incombe sugli accademici di sinistra quella di fornire la veritiera colonna sonora delle modernizzazione capitalista, cioè a dire di essere gli utili idioti del sistema, rivendicando a voce alta (Foucault e Deleuze a sostegno) quello che la destra mette silenziosamente in pratica sotto la maschera ipocrita del discorso conservatore. " (p.156-157)


3 - Quindi questo metodo che potrebbe essere chiamato ragionamento per analogia con il futuro, proiettando l'ascoltatore in un avvenire teorico ( l'avvenire come lo sognano i progressisti ) porta il buon affabulatore ad usare e abusare della formula "Fra cent'anni l'umanità riderà ripensando al tipo di domande che ci siamo posti..." Per lui il presente - e l'alternativa, la possibilità di scegliere un'altra via, e il consenso democratico che segue - è già una questione chiusa. egli è l'avanguardia, e come tale ha necessariamente ragione, gli basta aspettare e guardare gli altri crollare, con un sorrisetto all'angolo della bocca e (parafrasando Zarathustra) e ammiccando con l'occhio.


4 - In una interpretazione molto simile a quella degli Scritti Corsari di Pasolini, Michea stesso pensa che "l'irregimentazione della gioventù da parte dei vari sistemi totalitari non ha rappresentato (...) che una prova d' accelerazione da parte del capitalismo consumistico". (p.296)


http://rebellion-sre.fr/jean-claude-michea-a-rescousse-gens-ordinaires/

Lost Faraway
10-04-16, 17:18
Michéa senza dubbio è uno dei massimi interpreti della realtà del nostro tempo.

LupoSciolto°
10-04-16, 18:54
Indubbiamente una delle menti più lucide degli ultimi vent'anni. Assieme a Costanzo Preve e Alain De Benoist.

Kavalerists
10-04-16, 21:55
Vorrei solo sottolineare un paio di cose.
Questo ovviamente non è in toto il contenuto del libro di Michéa ma un sunto, una recensione, e di conseguenza anche una interpretazione dell'articolista il quale, nel ricostruirne il tema trattato in un discorso organico mette in risalto determinati aspetti del pensiero dell'autore del libro, che per lui sono di maggior peso, sorvolando sicuramente su altri per ovvie ragioni di sintesi. Personalmente spero che quanto prima il libro vega tradotto in italiano, anche perchè il francese, pur comprendendolo discretamente come lingua scritta, non lo amo particolarmente.
Quello che vorrei sottolineare soprattutto è la separazione storica, netta e radicale, che Michéa traccia tra sinistra, vista come l'ambito politico del repubblicanesimo e del liberalismo, antimonarchico e anticlericale sì, ma del tutto interno alle dinamiche del sistema, e il movimento socialista originario, che con le sue organizzazioni, i suoi sindacati, i suoi obiettivi di rivolgimento sociale, si pone al di fuori dello stesso. Non vi è in origine, prima della disgraziata contaminazione che il movimento socialista subisce da parte liberale, alcuna contiguità, nè tanto meno appartenenza, del Socialismo all'interno di quella che storicamente viene considerata sinistra. E men che meno vi è oggi con quella che tale viene considerata, e si considera.
Se così è ( è così è, per me ) si potrebbe porre una semplice questione, per venire appunto ai giorni nostri, all'attualità politica, alla questione dx-sx, e anche, ma in misura ovviamente molto minore e meno importante, riguardo alcune diatribe che ci hanno coinvolti qui su TP come utenti di CeC, ma soprattutto di questo nuovo forum. Considerata l'attuale e sempre più palese indifferenziazione, ormai quasi totale, nelle politiche ( le più disparate, da quella economica a quella estera, fino a quella ambientale ) attuate fra dx e sx, mi chiedo: ha, e avrebbe ancora senso rivendicare una appartenenza, priva di radici storiche, ad una sinistra che ci fà confondere con tutto quell'ammasso di sigle, sedicenti socialiste, laiche, comuniste, ma nella realtà organiche al sistema liberalcapitalista ( basta leggere le fregnacce di Toni Negri o dell'esponente "comunista" francese riportate dall'autore dell'articolo, la puzza di boldrinismo è ammorbante... ) ? Forse potrebbe avere senso appropriarsene, ma a patto di liberarsi, come vera sinistra, e attraverso una feroce lotta con le unghie e coi denti, di questa attuale "sinistra", espellendola verso i lidi del liberalismo, progressista e illuminato ma sempre e solo liberalismo, che più le sarebbero di competenza ( il motivo per cui uso l'aggettivo "nazionale" sotto il mio nick, perchè ritengo sia necessario, vitale, distinguersi...). Ma ne varrebbe la pena? O non avrebbe più senso il rivendicare con forza e coerentemente il nostro essere realmente al di fuori, e oltre, sia dalla sinistra che dalla destra ( soprattutto ), tradizionalmente e correttamente intese come facce opposte della stessa medaglia del sistema capitalistico, giusto per usare un'immagine ormai trita e ritrita ma che rende appieno nel suo significato? In fondo cosa ce ne frega di attaccarci addosso delle etichette di parte? Noi siamo, e dobbiamo restare, solo e semplicemente Socialisti.

Avanguardia
11-04-16, 09:55
Se si rifiuta il sistema attuale, destra e sinistra non hanno senso. Hanno senso solo se si vuole stare dentro un sistema, a destra per difenderlo e rafforzarlo, a sinistra per correggerlo e innovarlo.

Gianky
11-04-16, 11:17
Forse potrebbe avere senso appropriarsene, ma a patto di liberarsi, come vera sinistra, e attraverso una feroce lotta con le unghie e coi denti, di questa attuale "sinistra", espellendola verso i lidi del liberalismo, progressista e illuminato ma sempre e solo liberalismo, che più le sarebbero di competenza ( il motivo per cui uso l'aggettivo "nazionale" sotto il mio nick, perchè ritengo sia necessario, vitale, distinguersi...). Ma ne varrebbe la pena? O non avrebbe più senso il rivendicare con forza e coerentemente il nostro essere realmente al di fuori, e oltre, sia dalla sinistra che dalla destra ( soprattutto ), tradizionalmente e correttamente intese come facce opposte della stessa medaglia del sistema capitalistico, giusto per usare un'immagine ormai trita e ritrita ma che rende appieno nel suo significato? In fondo cosa ce ne frega di attaccarci addosso delle etichette di parte? Noi siamo, e dobbiamo restare, solo e semplicemente Socialisti.

La seconda che hai scritto, senza alcuno dubbio. La sinistra è quella che è adesso, cercare di cambiarla per farla ritornare a quello che, pur con mille contraddizioni, è stata nei decenni passati è non solo impossibile ma anche inutile, meglio starne fuori e cercare di costruire, pur le nostre debolissime e irrisorie forze, qualche cosa di diverso, chiaramente prendendo come spunti di riflessione quanto si muove anche in Italia ma soprattutto all'estero. Io con la sinistra italiota ed europea non ci voglio avere nulla, ma proprio nulla a che fare.

LupoSciolto°
11-04-16, 21:39
Vorrei solo sottolineare un paio di cose.
Questo ovviamente non è in toto il contenuto del libro di Michéa ma un sunto, una recensione, e di conseguenza anche una interpretazione dell'articolista il quale, nel ricostruirne il tema trattato in un discorso organico mette in risalto determinati aspetti del pensiero dell'autore del libro, che per lui sono di maggior peso, sorvolando sicuramente su altri per ovvie ragioni di sintesi. Personalmente spero che quanto prima il libro vega tradotto in italiano, anche perchè il francese, pur comprendendolo discretamente come lingua scritta, non lo amo particolarmente.
Quello che vorrei sottolineare soprattutto è la separazione storica, netta e radicale, che Michéa traccia tra sinistra, vista come l'ambito politico del repubblicanesimo e del liberalismo, antimonarchico e anticlericale sì, ma del tutto interno alle dinamiche del sistema, e il movimento socialista originario, che con le sue organizzazioni, i suoi sindacati, i suoi obiettivi di rivolgimento sociale, si pone al di fuori dello stesso. Non vi è in origine, prima della disgraziata contaminazione che il movimento socialista subisce da parte liberale, alcuna contiguità, nè tanto meno appartenenza, del Socialismo all'interno di quella che storicamente viene considerata sinistra. E men che meno vi è oggi con quella che tale viene considerata, e si considera.
Se così è ( è così è, per me ) si potrebbe porre una semplice questione, per venire appunto ai giorni nostri, all'attualità politica, alla questione dx-sx, e anche, ma in misura ovviamente molto minore e meno importante, riguardo alcune diatribe che ci hanno coinvolti qui su TP come utenti di CeC, ma soprattutto di questo nuovo forum. Considerata l'attuale e sempre più palese indifferenziazione, ormai quasi totale, nelle politiche ( le più disparate, da quella economica a quella estera, fino a quella ambientale ) attuate fra dx e sx, mi chiedo: ha, e avrebbe ancora senso rivendicare una appartenenza, priva di radici storiche, ad una sinistra che ci fà confondere con tutto quell'ammasso di sigle, sedicenti socialiste, laiche, comuniste, ma nella realtà organiche al sistema liberalcapitalista ( basta leggere le fregnacce di Toni Negri o dell'esponente "comunista" francese riportate dall'autore dell'articolo, la puzza di boldrinismo è ammorbante... ) ? Forse potrebbe avere senso appropriarsene, ma a patto di liberarsi, come vera sinistra, e attraverso una feroce lotta con le unghie e coi denti, di questa attuale "sinistra", espellendola verso i lidi del liberalismo, progressista e illuminato ma sempre e solo liberalismo, che più le sarebbero di competenza ( il motivo per cui uso l'aggettivo "nazionale" sotto il mio nick, perchè ritengo sia necessario, vitale, distinguersi...). Ma ne varrebbe la pena? O non avrebbe più senso il rivendicare con forza e coerentemente il nostro essere realmente al di fuori, e oltre, sia dalla sinistra che dalla destra ( soprattutto ), tradizionalmente e correttamente intese come facce opposte della stessa medaglia del sistema capitalistico, giusto per usare un'immagine ormai trita e ritrita ma che rende appieno nel suo significato? In fondo cosa ce ne frega di attaccarci addosso delle etichette di parte? Noi siamo, e dobbiamo restare, solo e semplicemente Socialisti.

Io direi di troncare definitivamente con l'aggettivo "sinistra". Oggi con sinistra si intendono i "liberal" de noiartri (PD e SEL/SI) oppure gli estremisti anarchici,trotskisti e post-autonomi che gravitano tra Ri(a)ffondazione Comunista e Centri Sociali di vario tipo. Da una parte, infatti, si contesta la lotta di classe e la validità dell'antimperialismo. Dall'altra, invece, ci si appella a forme di socialismo storicamente mai esistite e si procede con i mille vizi del marxismo post-moderno (pensiero disobbediente, esproprio pseudo-proletario, antifascismo in assenza di fascismo, femminismo radicale, antiproibizionismo, immigrazionismo ideologico e chi più ne ha più ne metta). Forse solo Rizzo si salva. Ma dobbiamo vedere quali saranno i risultati elettorali del nuovo PC.


Certo è che se, un giorno, dovesse nascere un movimento con le nostre idee, ebbene, esso dovrà saper parlare al popolo della "sinistra". Popolo deluso e senza alcuna rappresentanza.
Ovviamente, quando parlo di "popolo della sinistra" non intendo i mantenuti e nullafacenti che , quotidianamente, ci accusano di cripto-fascismo o di essere i continuatori morali di Freda e Fioravanti. Quella gente, se dovessimo mai vederla in faccia, si piglierà solo due sani schiaffoni.


Michéa ha perfettamente ragione e , in un certo senso, arricchisce le considerazioni di Preve sull'ormai vuota contrapposizione tra categorie parlamentari.

Lost Faraway
13-04-16, 01:35
Noi siamo, e dobbiamo restare, solo e semplicemente Socialisti.

Socialisti, senza bisogno di aggettivi. Spesso viene da aggiungere "nazionali", per sottolineare l'importanza dei radicamenti, delle solidarietà comunitarie "reali", del giusto orgoglio per un retaggio storico non tutto da buttare nel cestino. Ma non è necessario, dal momento che il vero socialismo storico è stato "nazionale", tranne poche eccezioni.

Italicvs
20-10-16, 11:49
Il discorso è importante è complesso. Fondamentalmente Michéa ha ragione quando dice che la sinistra è incompatibile con il socialismo per via delle visione politiche e ideologiche quasi opposte, un ragionamento che andrebbe esteso anche in Italia infatti la cosiddetta sinistra storica di Agostino Depretis non era socialista ma liberale e persino l'estrema sinistra storica di Agostino Bertani, Felice Cavallotti e Ettore Sacchi non era socialista ma radicale (per chi non lo sapesse il radicalismo rappresenta l'ala sinistra del pensiero liberale) quindi nulla da dire.
Il discorso però cambia quando si parla egalitarismo e anti-egalitarismo. Fondamentalmente cosa distingue la destra dalla sinistra? L'importanza o meno che si dà all'uguaglianza, i socialisti erano/sono egalitari, la destra è anti-egalitaria e quindi ragionando in questi termini pure i Socialisti sarebbero di sinistra pur essendo diversi dai liberalprogressisti.

Lost Faraway
20-10-16, 14:22
Il discorso è importante è complesso. Fondamentalmente Michéa ha ragione quando dice che la sinistra è incompatibile con il socialismo per via delle visione politiche e ideologiche quasi opposte, un ragionamento che andrebbe esteso anche in Italia infatti la cosiddetta sinistra storica di Agostino Depretis non era socialista ma liberale e persino l'estrema sinistra storica di Agostino Bertani, Felice Cavallotti e Ettore Sacchi non era socialista ma radicale (per chi non lo sapesse il radicalismo rappresenta l'ala sinistra del pensiero liberale) quindi nulla da dire.
Il discorso però cambia quando si parla egalitarismo e anti-egalitarismo. Fondamentalmente cosa distingue la destra dalla sinistra? L'importanza o meno che si dà all'uguaglianza, i socialisti erano/sono egalitari, la destra è anti-egalitaria e quindi ragionando in questi termini pure i Socialisti sarebbero di sinistra pur essendo diversi dai liberalprogressisti.

quella dell'uguaglianza come discrimen destra-sinistra è la tesi di Bobbio, ma io credo sia una visione parziale, anche se non sbagliata (l'uguaglianza è importante ma non è "il" criterio centrale per fare distinzioni nel campo politico). Inoltre, se proprio si vuol mantenere la distinzione destra-sinistra, i fenomeni politici reali non sono mai "puri" in un senso o nell'altro, sono un po' di destra e un po' di sinistra, così come sono un po' elitisti e un po' popolari, un po' innovatori e un po' conservatori.

LupoSciolto°
20-10-16, 16:21
Io mi trovo d'accordo con tutti e due. Vero è che Bobbio ha posto come discrimine "l'uguaglianza". Ma di quale uguaglianza parliamo? Di quella sostanziale o di quella formale?

A questo punto , lo scompartimento "sinistra" comincia a fare acqua da tutte le parti. I comunisti, gli autonomi, gli anarchici e i socialisti lombardiani erano a favore dell'eguaglianza sostanziale (pur scegliendo tattiche di lotta molto differenti). I radicali, i repubblicani, gli olivettiani, i socialdemocratici e la sinistra DC erano, nei fatti, sostenitori della uguaglianza formale. Ma , almeno ai tempi, la sinistra italiana era egemonizzata dai marxisti, quindi da persone che avevano come punti fermi la lotta di classe e l'anti-imperialismo. Oggi nemmeno Ferrero crede nella lotta di classe. Inutile esprimersi su Vendola, Civati, sinistra PD e altre porcherie lib-lab.

Per questo motivo, insisto nell'affermare che la "sinistra" oggi è neutra, dirittoumanista, interclassista e , spesso, ancora più vicina ai poteri forti di quanto non lo sia la destra. Un socialista anti-capitalista o un comunista, in questo senso, non possono più definirsi appartenenti a tale fazione.


Parlando di "destra", appena evocata, non so invece come esprimermi. TUTTE le destre erano e sono anti-comuniste. Eppure c'era una bella differenza tra il modello anglo-americano sostenuto dall'Uomo Qualunque e dal PLI e quello corporativista-statalista dell'MSI o di altre sigle dell'arcipelago nero.