PDA

Visualizza Versione Completa : Francia, in piazza contro la "flessibilità"



LupoSciolto°
12-04-16, 11:43
Francia in piazza contro il Jobs Act alla francese: “No alla flessibilità e ai licenziamenti facili”

http://st.ilfattoquotidiano.it/wp-content/uploads/2016/03/cgt.jpgMondo
La protesta contro il progetto di legge El Khomri sul mercato del lavoro si sta trasformando in un test politico sul governo Valls e soprattutto sul presidente Hollande profondamente in basso nei sondaggi

di Leonardo Martinelli (http://www.ilfattoquotidiano.it/blog/lmartinelli/ptype/articoli/) | 31 marzo 2016






Gli scioperi e le manifestazioni di oggi a Parigi e nel resto dellaFrancia contro il progetto di legge El Khomri sul mercato del lavoro (dal nome del ministro competente, Myriam El Khomri) vanno al di là del dissenso nei confronti di quello che a Parigi chiamano “il Jobs Act alla francese”, in riferimento al provvedimento italiano. La protesta si sta trasformando in un vero e proprio test politico sul governo di Manuel Valls e soprattutto sul presidente François Hollande, reduce da altre sconfitte e profondamente basso nei sondaggi.Revisione costituzionale? Niente da fare – È forse cinico da sottolineare ma gli unici momenti di grazia per Hollande da poco più di un anno a questa parte sono stati gli attentati del gennaio 2015 e quelli del 13 novembre: in nome dell’unità nazionale, soprattutto dopo il discorso solenne che il presidente aveva tenuto il 16 novembre a Versailles, era risalita la sua popolarità, malmessa per altre ragioni (la crisi economica, in particolare). Sono trascorsi poco più di quattro mesi da quel discorso e la situazione si è già capovolta. Mercoledì Hollande ha dovuto addirittura rinunciare allarevisione costituzionale che aveva annunciato proprio quel 16 novembre e che doveva rappresentare la sua riposta al terrorismo islamico. Nel “pacchetto” aveva inserito anche la “decadenza della nazionalità” per i condannati per reati di terrorismo: una proposta avanzata da tempo dalla destra e che, in quest’ultimo dibattito, ha diviso inesorabilmente la sinistra. A tal punto che Hollande ha dovuto fare marcia indietro su tutta la revisione: “Una perdita di credibilità supplementare”, ha commentato Alain Juppé, del partito dei Repubblicani (centro-destra), uomo politico ora molto popolare in Francia.
Al di là della legge El Khomri – Non è che diventerà il prossimo voltafaccia del Presidente? È quello che più si teme all’Eliseo. Quella del mercato del lavoro è una delle riforme strutturali promesse da Hollande fin dagli inizi, dopo la sua elezione, nel 2012. Si è ridotto solo ora, a tredici mesi dalle prossime presidenziali, a cercare di vararla. Comprende una serie di misure che cercano di introdurre maggiore flessibilità. Punta a rendere più facile il licenziamento di tipo economico e affida al negoziato a livello dell’azienda un potere maggiore, soprattutto per la gestione delle ore lavorative. In realtà il progetto è già stato annacquato notevolmente da Valls e dai suoi ministri, di fronte alle prime proteste. Ad esempio, è stata eliminata una norma che prevedeva dilimitare gli indennizzi previsti per il lavoratore in caso di licenziamento. Ma neanche così il governo è riuscito a placare le ire dei sindacati, che oggi scendono in piazza (tutti ad eccezione dellaCfdt, il più moderato e filogovernativo) per chiedere il ritiro puro e semplice del progetto di legge. “Non rinunceremo a questa riforma audace, intelligente e necessaria”, ha detto stamani il premier. Ma le proteste di massa fanno paura.
Per Hollande, il 2017 è ormai un miraggio – Fino a pochi giorni fa a Parigi si dava per certa la sua volontà di ripresentarsi nella corsa delle presidenziali del 2017. Ma, pochi giorni fa, secondo gli ultimi sondaggi Ipsos, Hollande perderebbe al primo turno contro qualsiasi candidato della destra (tanto più contro Juppé, per ora il favorito alle primarie dei Repubblicani). Anche i vertici del Partito socialista, compreso il segretario generale Jean-Christophe Cambadélis, che fino a poco tempo fa davano per scontata la candidatura di Hollande, chiedono ora le primarie anche per la gauche. Intanto a febbraio 38.400 nuovi disoccupati si sono aggiunti all’esercito dei senza lavoro francesi. Il tasso di disoccupazione, che oscillava intorno al 10% a fine 2015, sta risalendo in questi mesi, mentre una delle promesse maggiori di Hollande, già in campagna elettorale, era stata quella di invertire l’andamento in crescita di quel parametro: missione per ora incompiuta. Decisamente rien ne va plus per il Presidente.


di Leonardo Martinelli (http://www.ilfattoquotidiano.it/blog/lmartinelli/ptype/articoli/) | 31 marzo 2016




FONTE: Francia in piazza contro il Jobs Act alla francese: ?No alla flessibilità e ai licenziamenti facili? - Il Fatto Quotidiano (http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/03/31/francia-in-piazza-contro-il-jobs-act-alla-francese-no-alla-flessibilita-e-ai-licenziamenti-facili/2596306/)

Kavalerists
12-04-16, 22:28
Rivoluzione liberale a Parigi Liberalizzazioni, riforma del lavoro, competitività. Il renzismo parigino di Valls e Macron incontra una risposta popolare fiacca per gli standard transalpini. Cronaca di un paese scisso nella sua anima socialistizzante dalle sirene liberali.
di Benedetta Scotti (http://www.lintellettualedissidente.it/redazione/b-scotti/) - 12 aprile 2016

Parigi. Tempi di rivoluzione in Francia. Rivoluzione liberale, si intende. Guida la sommossa Emmanuel Macron, il trentanovenne ministro dell’economia transalpino, fascinoso filosofo prestato alla finanza, quello che “la Francia abbisogna di giovani che abbiano voglia di diventare miliardari”. Figlio di Adam Smith più che di Rousseau, Macron rivendica il liberalismo quale valore di sinistra, scatenando le ire dei (pochi) gauchisti puri e duri ancora in circolazione, rubando simpatie alla destra moderata e ingraziandosi il favore della borghesia intellettualoide. Le beau gosse de Bercy (il belloccio di Bercy, sede del Ministero dell’Economia, ndr) ha rispolverato la ghigliottina, promettendo di decapitare tutte quelle regole, ragionevoli o meno, che imbrigliano la socialistizzante economia francese.
Sostenitore di Uber, archetipo dei disruptors e della distruzione creativa del capitalismo, Macron ha firmato un primo pacchetto di riforme pro-competitività promulgato lo scorso agosto, tra cui la molto discussa semi-liberalizzazione del lavoro domenicale e la liberalizzazione delle linee nazionali del trasporto su bus, misura presa a favore “delle famiglie più umili, precarizzate e fragili” che non possono permettersi l’esosissimo tariffario dei treni. Non poteva poi certamente mancare il pieno endorsement di Macron alla riforma del lavoro proposta recentemente dalla ministra El Khomri. Tale proposta, pur non attaccando la famosa regole delle 35 ore, vero feticcio del sindacalismo francese, ha sollevato un vivacissimo dibattito che occupa le prime pagine dei quotidiani francesi da un mese a questa parte. Ancora in fase di revisione, la riforma include, inter alia, delle norme che faciliterebbero il licenziamento in caso di contingente difficoltà economica. L’obiettivo dichiarato è quello di aumentare la flessibilità in uscita, puntando sul licenziamento più semplice per incoraggiare, simmetricamente, la flessibilità in entrata. Principi di ordinarie riforme strutturali che però scontentano tanto i patrons, i dirigenti d’impresa, per i quali la legge deficita d’audacia, quanto i sindacati, che gridano al liberismo sfrenato.
Eppure, a dire il vero, il sollevamento popolare, sebbene ci sia stato, si è rivelato abbastanza fiacco per gli standard francesi. Certo, gli studenti parigini hanno fatto immancabilmente un po’ di rumore. Tuttavia, risulta difficile credere che l’occupazione di aule e locali in diversi poli universitari vada oltre un velleitario tentativo di replicare i gloriosi tempi della jeunesse rebelle che fu. D’altronde, protestano contro l’infiltrazione della mentalità d’impresa nella cultura francese gli stessi che poi comprano Apple, il nec plus ultra della mentalità imprenditoriale di successo. Velleità giovanili a parte, dicevamo che si è trattata finora di una sommossa popolare piuttosto smorta per i canoni transalpini. Centomila manifestanti sparsi in tutta la Francia lo scorso fine settimana. Numeri irrisori rispetto a quelli registrati, ad esempio, dalla Manif pour Tous tre anni fa.
Che ad ammansire i ribollenti spiriti francesi siano stati gli occhi blu di Macron? Oppure la rassegnazione di fronte a una disoccupazione che rimane ostinatamente sopra il 10%? O ancora la consapevolezza che il generoso sistema welfaristico (la Francia vanta la più alta spesa sociale rispetto al PIL tra le economie avanzate) si annuncia insostenibile all’attuale, esiguo tasso di crescita? Da notare che anche il Front National, partito che si vuole ancora anti-sistema, non ha assunto una posizione nettamente critica rispetto alla loi du travail. Se Marine Le Pen e il vice-presidente Florian Philippot hanno parlato di regresso sociale, la rampante Marion Maréchal-Le Pen, stellina del FN più vicina al liberalismo economico del nonno Jean-Marie, ha avuto parole di elogio per la riforma in questione. Insomma, il quadro che ne esce è quello di una Francia scissa nelle sue convinzioni politico-economiche, che flirta con l’amato-odiato liberalismo di stampo anglosassone. Che la crisi esistenziale sia seria lo dimostrano gli articoli (http://www.lesechos.fr/monde/europe/021747946821-litalie-reussit-mieux-sur-lemploi-1205410.php) de Les Echos, il maggior quotidiano economico-finanziario transalpino, che invitano la classe dirigente francese a prendere esempio dal dinamismo di un personaggio improbabile per i canoni elitari della politica parigina: Matteo Renzi.

Rivoluzione liberale a Parigi (http://www.lintellettualedissidente.it/economia/rivoluzione-liberale-a-parigi/)

LupoSciolto°
13-04-16, 14:05
Guarda: meglio di niente! In Italia 100000 manifestanti difficilmente li tiri su! Comunque anche il FN dimostra di essere la solita destra padronale.

Erdosain
29-04-16, 13:07
Una riflessione partita da questo (http://blog-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/2016/04/12/carlo-formenti-la-nuit-debout-e-il-populismo-di-sinistra/) articolo di Carlo Formenti


Nuit Debout e i limiti del gauchismo

La sinistra di classe deve fare i conti con il populismo. Questo il giudizio – a dire il vero l’unico interessante nella marea di commenti preconfezionati letti in questi giorni – espresso da Carlo Formenti riguardo alle proteste francesi contro la riforma del lavoro predisposta dalla legge El Khomri. Interessante perché problematizza l’interpretazione di un movimento, altrimenti raccontato unicamente nei termini enfatici tipici di certe “analisi” interessate. Le mobilitazioni “spontanee”, “orizzontali”, e (ovviamente) “giovanili” generano sempre entusiasmi trasversali pari solo alla rapidità del riflusso che le caratterizza e al vuoto che lasciano dietro di sé. Formenti non si ferma però a rilevare i limiti di uno schema ormai caratteristico delle sinistre europee. Dice anche che con tali venature populiste bisogna farci i conti, sporcandosi le mani, senza banalizzazioni libresche, cogliendone non solo i limiti ma, forse soprattutto, le potenzialità di “rigenerazione” della sinistra. In ogni caso questo ventennio ci sta consegnando una modalità di partecipazione politica che non è solo il frutto distorto di certo populismo progressista, ma anche il prodotto specifico dello scenario politico contemporaneo. Prima di affrontare la questione bisognerebbe chiedersi se la mobilitazione francese in corso ricalchi davvero forme di populismo.

Populismo è concetto sviante per descrivere bene un movimento di protesta. E’ un’astrazione generica, trasversale, disorientante, che si presta poco alla comprensione effettiva di un fenomeno politico. Vale sicuramente in alcune circostanze (ad esempio, il “peronismo” corrisponde bene al concetto di populismo, così come certi movimenti qualunquisti europei, vedi il M5S), ma non basta ritrovare alcuni elementi in questa o quella mobilitazione per marchiare politicamente un movimento come “populista” (che ha, sempre, una valenza negativa e mai tecnica). Il movimento francese in questione, più che populista, ci sembra ricalcare piuttosto le modalità organizzative e gli orizzonti politici della sinistra movimentista europea dell’ultimo ventennio. Le differenze, che pure ci sono a leggere certe analisi, soprattutto di Frederic Lordon, sono più il riflesso della contingenza particolare e dell’esperienza accumulata, che date dalla natura politica del movimento, mentre le aderenze agli altri movimenti di protesta di riferimento (Occupy Wall Street o Indignados) ci sembrano maggiori. Il problema strutturale che invece si può rilevare è d’altro tipo.

La particolare situazione francese non consente più movimenti di protesta che partano o stabiliscano il proprio campo ideale e logistico nel centro della metropoli. In Francia la frattura di classe passa dalla segregazione geografica, razziale, economica e culturale delle banlieue contro la città integrata, inclusa, ricca, turistica. Non c’è movimento di classe se non parte e se non coinvolge le classi subalterne migranti delle periferie. La riproposizione di mobilitazioni per diritti, anche sociali, da cui sin dal principio sono esclusi gli emarginati della società francese – non farà che approfondire il solco traumatico tra classi integrate nello Stato e classi escluse e disintegrate dalla partecipazione politica.

Sono rappresentati i bisogni, i problemi, la condizioni di vita e di lavoro delle periferie francesi nella lotta alla legge El Khomri oggi in Francia? I dubbi sono molti, conoscendo l’incomunicabilità radicale tra centro e periferia attualmente esistente, nonché la composizione sociale di queste proteste. Certo gauchismo, se un tempo aveva la forza della mobilitazione a scapito della propria innata trasversalità sociale, oggi può essere più un problema che una soluzione. Evidentemente è meglio mobilitarsi contro la deriva neoliberista che anche in Francia sta trovando disposizione giuridica, ma se l’obiettivo della mobilitazione stessa non assume subito i contorni dello scontro tra periferia e centro, questo è destinato non tanto alla sconfitta, ma al repentino assorbimento nel campo del dissenso compatibile, fisiologico e in qualche maniera utile all’autonarrazione delle possibilità democratiche del liberalismo occidentale. Insomma, qui il problema non è tanto quel che si dice o si pensa, che può essere più o meno condivisibile, quanto il pezzo di società che si vuole o si può rappresentare. Ed è un problema maledettamente complesso, perché se per tutto il Novecento lo schema era più “intuibile” e legato ad automatismi virtuosi, oggi lo sfaldamento sociale e politico impone una scelta di campo e un cambio di paradigma. Frederic Lordon dice cose condivisibili: la critica dei limiti dei movimenti simili precedenti (appunto OWS e Indignados) va nella direzione giusta (critica però mai metabolizzata dai suoi epigoni: chi si entusiasma per Nuit Debout è lo stesso che si entusiasmava per il 15M o i vari Occupy, senza rilevare differenze, senza sollevare dubbi, procedendo per esaltazione allogena, e in nessun caso avanzando per autocritica), soprattutto nel rimettere al centro la natura politica dello scontro in atto, il suo posizionarsi inequivocabilmente nella frattura destra-sinistra, nella sua radice nel rapporto tra capitale e lavoro. Dice anche cose meno condivisibili, a partire dalla retorica costituente che caratterizza certo pensiero tardo-post-operaista onanistico. Non è questo, davvero, il problema. Piuttosto, ecco: l’ennesima lezione del professorino in carriera che spiega la necessità di ribellarsi, prima ancora che ai comunisti in via d’estinzione, ha stancato e disilluso quel proletariato migrante e autoctono escluso dai processi d’integrazione sociale, processi ai quali invece aspirano quei più o meno giovani mobilitati nel centro della metropoli occidentale.

Carlo Formenti dice però una cosa decisiva nel suo invito a non banalizzare quello che lui chiama “populismo di sinistra”. L’attuale forma della politica, la sua natura intrinsecamente distante e opposta ai bisogni e agli istinti della popolazione subalterna, nonché la stagnazione economica che non consente redistribuzioni di reddito capaci di suscitare consenso, impongono il populismo come forma tipica delle istanze politiche antagoniste di questi anni. La mobilitazione trasversale contro il ceto politico è sbagliata in termini politici, ma riveste una natura sociale che è importante cogliere e che è il prodotto della particolare dinamica capitalistica di questi ultimi decenni, che genera reddito per élite sociali e impoverimento per il resto della popolazione. E’ in atto una polarizzazione sociale che si esprime politicamente attraverso istanze confusionarie, parzialmente trasversali, assolutamente spurie, in una parola: populiste, come le definisce Formenti con un termine che condividiamo poco. E una sinistra degna di questo nome tale problema non può nasconderlo, ma farci i conti, pena la sua scomparsa. Siamo d’accordo. Sporcarsi le mani significa d’altronde esattamente questo, saper stare dentro certe proteste, colme di contraddizioni e altrettanto foriere di potenzialità. In ogni caso, starne completamente fuori non aprirebbe spazi concorrenti ma al contrario chiuderebbe ulteriori possibilità di influenza sociale e politica, relegherebbe certa sinistra non solo all’irrilevanza, ma definitivamente nel campo della nemicità popolare. E’ una dialettica mai stabile per definizione, ma che va perseguita in maniera militante, questo si, e insediata socialmente laddove ci interessa stare. Non è la confusione politica oggi il freno, ma la natura di classe dei soggetti mobilitati. E in Francia questo limite ci sembra presente non da oggi, ma da un ventennio abbondante.

Nuit Debout e i limiti del gauchismo « (http://www.militant-blog.org/?p=13143)

Avanguardia
29-04-16, 13:47
Ma anche lì saranno sempre le solite minoranze dei centri sociali e movimentini studenteschi.

Gianky
30-04-16, 11:23
Vedremo se non è un fuoco di paglia, il FN ha commesso un passo falso, molto falso, mi sento di essere dalla parte di chi protesta e concordo con Lupo nel giudicare molto male il FN in questa occasione. Destra padronale la definisce Lupo ed io concordo. certo tra i dimostranti c'è di tutto, compresi i no-border filo immigrazione ma non per questo mi sento di condannarli, anzi.

Erdosain
03-05-16, 21:20
"Le insegne luminose attirano gli allocchi": https://www.facebook.com/events/1713177865619501/

Kavalerists
15-07-16, 19:20
http://rebellion-sre.fr/de-loi-el-khomri-a-nuit-debout-gauche-mutation/


Dalla legge El-Khomri a "Nuit Debout": la mutazione della sinistra?



La mobilitazione contro la legge El-Khomri ha sorpreso molti osservatori. La radicalità del movimento nei suoi discorsi e nelle sue espressioni, dimostra, se ce ne fosse bisogno, il livello di incazzatura di una parte del mondo del lavoro. Allo stesso tempo, la comparsa di "Nuit Debout" è istruttivo. Il movimento è il risultato della ricostruzione intellettuale in corso nella "Sinistra Critica" francese, vale a dire degli elementi di una sinistra non espressione dei partiti tradizionali (PS, PCF ...) ma delle le associazioni e della ricerca universitaria. Questo movimento non è altro che un tentativo di far emergere un contro modello, in una parola un' alternativa, opposto a quella della "sinistra liberal-sicuritaria" di Manuel Valls e Emmanuel Macron, espressione dei centri di formazione ideologici di Stato, come la Scuola Nazionale di Amministrazione. Il problema è che gli attori in "Nuit Debout" partono con una palla al piede: la pesante eredità riformista di cui non possono liberarsi.


La Sinistra si ricostruisce sul modello liberal-sicuritario


L’elezione di Francois Hollande ha rappresentato un rivolgmento per la sinistra. Dopo “la svolta del rigore” del 1983 ( conversione all’economia di mercato ), l’elezione di Hollande ha segnato una seconda svolta per la “sinistra istituzionale”, questa volta non più sul piano economico, ma sicuritario. Di fronte al costante rifiuto dell’economia di mercato nella popolazione , lo stato d’emergenza diventa la prima urgenza per salvare lo Stato. La situazione è così tesa che ha costretto i “fratelli nemici” E.Macron ( un passato con la banca Rothschild & Cie )e E.Valls ( ex ministro dell’Interno ) a lavorare di concerto, il primo portando i suoi attacchi alle condizioni di vita dentro la fabbrica, e il secondo contro le condizioni di vita nella città. Per nulla casuale, ma imposta dall’imminenza di una nuova crisi del sistema capitalistico, questa strategia tende a elevare muri ( militari, post-costituzionali ecc. ) intorno all'apparato statale nel contesto di una controrivoluzione preventiva. Il suo totale fallimento politico è più che una delusione per il "popolo di sinistra", è una doccia fredda. Esso attesta l'errore ideologico di una "sinistra istituzionale" che non può più seguire le sue antiche ricette incantatorie per assicurare il controllo sociale. La crisi economica è infine arrivata a "raschiare il fondo" dello Stato e gli ammortizzatori sociali non funzionano più. Il riallineamento al modello liberale e la sottomissione alle istanze mondialiste, non consentono più la possibilità di far credere ad una vocazione "sociale" del regime. La sinistra di governo ha dunque chiaramente scelto il suo orientamento in una situazione di crisi economica ( capitalista ) e politica ( di governance ). Il braccio di ferro della legge El Khomri è una prova di forza per far accettare questo piano. La brutalità delle affermazioni del governo e l’utilizzo delle peggiori manipolazioni mediatiche rimarranno negli animi di coloro che si sono mobilitati contro questa legge.




http://rebellion-sre.fr/wp-content/uploads/nuit-debout-meme-si-on-echoue-ce-qui-se-passe-ici-ne-rendra-pas-la-societe-plus-mocheM321946.jpg

La “sinistra critica” tenta di riprendersi la sua egemonia culturale

Avendo sostenuto in modo attivo l’elezione di Hollande come rifiuto verso Sarkozy, la “sinistra critica” si è ritrovata totalmente smarrita dal cambiamento ideologico del cavallo sul quale aveva puntato. La “sinistra critica” cristallizza la necessità ideale di un elettorato di sinistra che si vede sfuggire il cambiamento della società. In passato motore e beneficiaria degli sconvolgimenti sociali, la sua base sociale si recluta in una frangia urbana ed istruta della popolazione, seguace di una mondializzazione "cool", e favorevole alla costruzione europea, che per la prima volta ha la sensazione che il suo stile di vita è giunto alla fine. In questa angoscia esistenziale si rivolge ad una "sinistra critica", per mantenere la sua influenza.

L'ideologia della "sinistra istituzionale" (le nozioni di "vivere insieme" e "progresso" ereditate dall'Illuminismo), si è scontrata col reale (tensioni comunitarie, il ritorno delle fedi religiose, etc.) e si è frantumata in mille pezzi (è anche abbastanza comune sentir parlare di "ricostruzione della sinistra"). Il re è nudo. Le maschere cadono e le previsioni patetiche delle persone di sinistra non raccolgono altro che alzate di spalle o lo scherno delle classi popolari. Quanto agli ultimi fedeli del "vivere insieme" e del "progresso", essi appaiono ogni giorno di più come moralisti fuori dal mondo. In questo senso la "sinistra critica" è l'espressione delle classi medie di livello culturale elevato che tentano disperatamente di "salvare i mobili" , esagerando con una radicalità apparente con la complicità dei media ( non si contano più i servizi televisivi benevoli su "Nuit Debout" ).
Il valore del dibattito e dello scambio di idee in un contesto presuntamente radicale attrae una larga porzione di intellettuali urbani declassati e di piccola borghesia bianca. Perchè è una lotta per conservare l'egemonia culturale ciò che mobilita questa fazione. il fascino per le idee e il rinnovato interesse per gli scritti di Gramsci rappresentano il punto di partenza per qualsivoglia rapida rifondazione. In un breve saggio A domani Gramsci (Editions du Cerf ), Gaël Brustier sottolinea il legame tra la lotta politica e la lotta culturale: "Fare politica in tempi di crisi implica ilprendere sul serio l'ideologia. Una grande parte della sinistra ha sbagliato nel ridurre la lotta politica alla competizione elettorale, le elezioni a un mercato, e quindi la lotta culturale al marketing. A ridurre lo Stato ad un erogatore di servizi pubblici, e ad un ufficio contabile per i propri conti, si è dimenticata la sua funzione sociale. Lo Stato è anche un campo di battaglia, dove le opinioni differenti, le visioni del mondo, che esistono naturalmente tra i cittadini di un paese avanzato, a volte si allontanano. Non sottovalutiamo il legame che esiste tra una lotta culturale e potenzialmente vinta con un riorientamento delle scelte economiche (...)".



http://rebellion-sre.fr/wp-content/uploads/872329-015.jpg

"Nuit Debout” o "Notte Rossa"?

L'iniziativa "Night Debout" è stata messa al servizio di un progetto sempre in cantiere: la costruzione di un laboratorio in seno al quale l’uso della "democrazia diretta" funziona nel mettere la sinistra in contatto con la gente. La dinamica iniziale è nata dal collettivo di attivisti riuniti intorno al giornale Fakir di François Ruffin. L'editore del giornale Fakir è innegabilmente una persona degna di interesse. Egli ha cercato per più di un decennio, attraverso la sua pubblicazione, di infondere uno spirito di lotta di classe in un movimento sociale dal basso. Evoca temi tabù nella "sinistra istituzionale" come l'uscita dell'Unione Europea, il protezionismo nazionale e il rifiuto della globalizzazione. E pone in rilievo le contrapposizioni che esistono e tra l'élite e il popolo. L'uscita del film "Grazie padrone!" ( nello stile dei servizi di Michaël Moore ) aveva già portato a riunire, durante le presentazioni nei cinema indipendenti o nelle sedi sindacali, persone provenienti da ambienti molto diversi. Il sito Le Comptoir ha ben riassunto la strategia di questo movimento in occasione della mobilitazione contro la legge El-Komri: “L’idea è quella di fare convergere delle lotte sparse, che si tratti degli operai della GoodYear, dei professori che si oppongono alla riforma della scuola o coloro che si oppongono all’aeroporto di Notre-Dames-des-Landes.Si tratta di approfittare della grande manifestazione del 31 marzo contro la legge El-Komri per occupare Piazza della Repubblica e organizzare la sera stessa una grande proiezione di “Grazie padrone!”, senza tornare a casa. Si imposta quindi una comunicazione, si distribuiscono volantini, e viene creato un sito.” I sostenitori della “sinistra critica” si sono precipitati dentro il movimento fin dall’inizio, per dirigerlo e orientarlo. “Ecco, sta accadendo qualcosa – dichiara il sociologo ed economista Frédéric Lordon – e io dico che sarebbe un errore politico, ed anche un errore intellettuale, non intervenire “. Il movimento, battezzato " Nuit Debout" ( il nome "Notte Rossa" era stato preso in considerazione) e poi diffusosi nelle più grandi città francesi, viene plasmato dai suoi fondatori sul modello degli Indignados spagnoli. "Non occorre che la piazza della Repubblica venga preso per l'ombelico della Francia, occorre che si espanda, che il movimento si estenda alle classi popolari" dirà anche François Ruffin.



Un movimento che non fa paura…

Si è scherzato sull'ambiente festaiolo di piazza della repubblica, spesso svicolando dalla vera ragione dello stallo dei "Nuit Debout". Gli elementi più a destra hanno visto nell'occupazione solamente i danneggiamenti e il caos, senza osservare la natura profonda del fenomeno e senza cogliere utili insegnamenti per smettere di essere aspri commentatori. Il cuore del movimento è rimasto parigino, malgrado tutti i tentativi di allargare la sua base. Il modo di funzionare tipico cittadino e il rifiuto del politico ha forzosamente impedito la nascita di una vera e propria struttura di lotta. Al contrario di Podemos in Spagna, il movimento non è mai riuscito a creare un legame forte tra il suo pensiero e una azione costruita e diretta verso le classi popolari. Non vi è stata convergenza delle lotte nella cornice di "Nuit debout", perchè la "sinistra critica" presenta un doppio aspetto: essa è estranea alle rivolte della "Francia periferica" ( che disprezza ), ed ha una attitudine paternalistica nei confronti della "Francia delle banlieues" ( che invece idealizza come unica incarnazione della gioventù).

Come ammesso da Le Comptoir, il rifiuto di abbandonare il "sinistrismo culturale" (che è il termine usato da Le Comptoir), in cui la classe operaia e popolare non si riconosce, è la fonte della isolamento della " sinistra critica ": "Si può sostenere la violazione di tutti i valori, di tutte le regole, e subito dopo sorprendersi che le più grandi fortune evadono le tasse, andando a depositare i loro denari nei paradisi fiscali? Si può reclamare la fine di tutti i confini e rivoltarsi per il fatto che i grandi boss guadagnano in un anno l'equivalente di 240 volte il salario minimo? Nuit Debout dovrà alla fine affrontare gli argomentidelicati, come la globalizzazione e la costruzione europea, tanto più che la legge El-komri è risultato diretto delle pressioni della Commissione di Bruxelles: il rapporto 2016 pr la Francia sottolinea nell'introduzione, che " l'adozione e l'attuazione della annunciata riforma del codice del lavoro rimane determinante per facilitare deroghe alle disposizioni generali del diritto." Fragile ideologicamente, la generazione dei trentenni urbani colti non si è fatta carico del passaggio all'azione politica organizzata. Preferendo per loro la rassicurante comodità delle certezze della sinistra, i protgonisti di "Nuit Debout" sono arrivati esattamente dove volevano: rendere folcloristica una lotta, farla deviare verso un atteggiamento ( statico ) per contrastare il movimento ( dinamico ). La decisione di restare fermi in un posto per mesi non è casuale...


http://rebellion-sre.fr/wp-content/uploads/872349-027.jpgUn sistema più fragile di quel che sembra

Gli animatori di "Nuit debout" aderenti alla "sinistra critica" sono stati, così come il governo di "sinistra istituzionale", sconcertati dal vigore delle altre due forme di mobilitazione, nel quadro della lotta contro la loi Travail: il fronte di azione sindacale e l'offensiva del movimento autonomo.Il governo è stato scosso da una mobilitazione senza precedenti da parte della CGT e di FO. Non si aspettava di vedere la CGT mettere tutte le sue forze nella battaglia e avviare un braccio di ferro con il governo. L'arroganza mostrata dall'esecutivo è stato un fattore di radicalizzazione della base sindacale che ha portato a spingersi in direzioni molto più lontane rispetto a quelle dove avrebbero di sicuro voluto arrivare. La durata del conflitto e la sua estensione a settori di importanza strategica ( trasporti, raffinerie, rete elettrica ) ha dimostrato come una massiccia mobilitazione possa avere un impatto reale sulla vita del paese. Le violenze che hanno segnato le manifestazioni sono il frutto dell'emergere, sulle rovine dell'estrema sinistra leninista e trotskista, di un movimento autonomo. Una certa sinistra politica, simbolicamente morta con la decomposizione del NPA, ha liberato tutta una frangia di persone che hanno trovato nelle azioni violente il loro solo obiettivo politico.

Legata all'emarginazione urbana, la radicalità del loro discorso ( mutuato dal Comitato Invisibile e a tutta la tradizione "appellista" ) potrebbe sedurre. Ma le loro pratiche servono oggettivamente il sistema e ne fanno degli utili pupazzi. La presenza all'interno di questo movimento della frangia più paranoica degli "Antifà" conferma la loro predisposizione ad essere facilmente manipolabili.
La lezione principale di questo conflitto sociale è che il malessere sta crescendo nelle classi popolari. L'impero della logica del sistema capitalistico è meno forte di quello che sembra. Se siamo lontani da una rivolta generalizzata, dei semi di ribellione sono però seminati nel popolo. Noi dobbiamo farli germogliare e sradicare le erbacce cattive che vogliono soffocarli con il loro pessimismo o con la loro incapacità di rompere con i vecchi schemi del passato.



http://rebellion-sre.fr/wp-content/uploads/872330-016-2.jpg

LupoSciolto°
17-07-16, 18:32
Se siamo lontani da una rivolta generalizzata, dei semi di ribellione sono però seminati nel popolo. Noi dobbiamo farli germogliare e sradicare le erbacce cattive che vogliono soffocarli con il loro pessimismo o con la loro incapacità di rompere con i vecchi schemi del passato.



SOTTOSCRIVO! E spero che l'OSRE si riferisca tanto all'FN quanto alla sinistra terminale.

Lost Faraway
17-07-16, 18:43
Rivoluzione liberale a Parigi

Liberalizzazioni, riforma del lavoro, competitività.

Non per nulla Alain De Benoist è da qualche anno che punta il fucile contro il liberalismo, divenuto di fatto l'ideologia ufficiale ed egemone in Francia, senza più una sinistra che le possa opporre una qualche alternativa.

Lost Faraway
17-07-16, 18:47
Ma anche lì saranno sempre le solite minoranze dei centri sociali e movimentini studenteschi.

I soliti noti, parassiti di ogni agitazione, sempre pronti a pescare nel torbido.

Kavalerists
17-07-16, 22:55
Non per nulla Alain De Benoist è da qualche anno che punta il fucile contro il liberalismo, divenuto di fatto l'ideologia ufficiale ed egemone in Francia, senza più una sinistra che le possa opporre una qualche alternativa.
In Francia come nel resto d'Europa purtroppo. Ed in quasi tutto il mondo.