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Kavalerists
20-04-16, 02:52
Quando il cittadino europeo dice “NO” Sono poche le volte che gli europei possono esprimersi sulle politiche di Bruxelles. Ma quando lo fanno, votano in senso contrario e i suoi funzionari tremano. L’ultimo caso è quello olandese, il prossimo, probabilmente, sarà il referendum del Brexit. Ma un’Europa che teme i suoi elettori, non può essere un’istituzione credibile.

Quando i popoli europei possono scegliere, tendenzialmente scelgono diversamente dai loro rappresentanti. Quello che per molti analisti e politici dovrebbe essere un’eccezione alla regola che vorrebbe la democrazia rappresentativa fondarsi, appunto, sull’idea che coloro che ricevono un mandato dai propri cittadini li rappresentino pienamente, oggi sembra quasi sempre più una realtà costante cui prima o poi le istituzioni europee, centri o periferiche, nazionali o sovranazionali, dovranno fare conti. Perché è inutile nascondersi dietro il concetto (orrendo) di “voto di pancia” o dietro quello (ancora più orrendo) di “populismo”, senza poi cercare di scandagliare le vere esigenze e idee che animano il popolo che si governa. Oggi c’è una costante: i popoli europei, se lasciati votare, votano contro il sistema europeo, almeno contro quello deciso a tavolino nelle fredde stanze di Bruxelles, Strasburgo o Francoforte; dal canto loro, i rappresentanti di questi popoli europei sembrano impermeabili alle scelte dei loro rappresentati, più impegnati in capire come delegittimarli piuttosto che a comprendere i meccanismo umani, prima ancora politici, che formano il sentimento popolare di malcontento serpeggiante. Il referendum olandese di pochi giorni fa è un segnale inequivocabile di questa indiscutibile tendenza euroescettica che anima gli elettori degli ultimi anni. Un campanello d’allarme per molti. Un segnale di riscossa per molti altri. E, va detto, non soltanto rappresenta il senso di sfiducia e di opposizione alle politiche dell’Unione Europea, ma lancia anche un segnale molto più profondo e anche molto più importante per certi versi: cioè quello della profonda saggezza dell’elettorato olandese in campo europeo, a dimostrazione di come un’informazione non di parte e non filtrata dalla stampa occidentalista possa poi condurre il popolo a scegliere secondo le proprie idee e non secondo le idee delle cancellerie. Perché soltanto l’idea che due milioni e mezzo di cittadini olandesi vadano a votare “NO” ad un referendum sull’accordo di partecipazione economica con l’Ucraina, dimostra che, se condotto a partecipare, il popolo europeo (in questo caso olandese) non è esattamente affine al mainstream dell’UE. Non soltanto si è contrapposto ad un accordo che di fatto conduceva l’Ucraina a rapporti privilegiati con l’Olanda e che dava un segnale in senso di ulteriore apertura dell’Europa all’Ucraina di Piazza Maidan. Ma è anche un segnale di come molti cittadini europei non vedano di buon occhio la politica europea antirussa e filoucraina, alla luce anche dell’immagine che Mosca sta dando di sé in Europa. Oggi l’euroscetticismo va di pari passo con un sentimento pro-Russia che l’Europa non può sottostimare. Non può sottostimarlo soprattutto perché è sempre più evidente e sempre più destabilizzante per la stessa credibilità delle istituzioni europee e dei suoi funzionari, con una fiducia popolare ridotta al lumicino. Ed anche se a questo referendum brindano soprattutto le estreme destre che hanno contribuito al buon esito della consultazione elettorale, sono gli euroscettici di tutta l’Unione a vedere con molta attenzione questo referendum, soprattutto nel Regno Unito. Perché il prossimo referendum sull’Europa non sarà su un accordo bilaterale, ma riguarderà lo scenario ben più “rivoluzionario” del cosiddetto Brexit. E l’euroscetticismo di Londra non è solo quello di Farage o dei tanti movimenti che animano il sentimento isolazionista di Londra, ma anche di quella parte del conservatorismo inglese mai del tutto convinta dal Continente. Se non si può parlare di referendum rivoluzionario in Olanda, sicuramente può essere considerato un piccolo cavallo di Troia in grado di aprire un varco nella miopia di Bruxelles. Il popolo europeo non è contro l’Europa, ma contro questa Unione. E tutte le volte che viene dato il diritto di voto, con buona pace dei burocrati e della tecnofinanza, l’Europa trema. Già solo questo timore basterebbe per far crollare il castello di carta targato UE.

Quando il cittadino europeo dice ?NO? (http://www.lintellettualedissidente.it/esteri-3/quando-il-cittadino-europeo-dice-no/)

LupoSciolto°
20-04-16, 20:22
LA VITTORIA DEGLI EUROSCETTICI POTREBBE CAUSARE REAZIONI A CATENA

BREXIT: LA GRAN BRETAGNA SI AVVIA AL REFERENDUM SULL’EUROPA CON QUALCHE PATEMA

DI CAMILLO CIPRIANI (http://www.firenzepost.it/author/camillo-cipriani/) - MARTEDÌ, 19 APRILE 2016 20:09 - CRONACA (http://www.firenzepost.it/cronaca/), ECONOMIA (http://www.firenzepost.it/economia/), LENTE D'INGRANDIMENTO (http://www.firenzepost.it/lente-dingrandimento/), POLITICA (http://www.firenzepost.it/politica/)
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LONDRA – Mentre in Italia si incrociano commenti e scontri dialettici sull’esito del referendum sulle trivelle, in Gran Bretagna infuria da settimane la polemica su un referendum molto più importante, che sarà essenziale non solo per i destini di Cameron, ma anche per lo stesso futuro dell’Europa: gli inglesi dovranno scegliere se restare nella Ue o abbandonare il mercato comune. La Gran Bretagna è ormai formalmente in campagna elettorale per il referendum del 23 giugno: voto con il quale il Regno Unito si giocherà in un giorno solo il futuro europeo e che potrebbe trasformare la Manica in un fossato, con conseguenze imponderabili per la stabilità dell’intero vecchio continente.
In attesa del prossimo arrivo di Barack Obama, l’amico americano che guarda apertamente alla Brexit come a un pericolo, i due schieramenti – pro e contro il ‘divorzio’ da Bruxelles – affilano le armi per lo scontro finale, evocando paure contrapposte. Gli allarmi continuano a riecheggiare anche nel mondo finanziario: negli ultimi giorni l’ad di Deutsche Bank, John Cryan, ha dichiarato senza mezzi termini che la City potrebbe perdere il predominio del forex, il mercato valutario, in caso di Brexit, mentre London School of Economics ha stimato che un quinto degli investimenti diretti nel Paese possano volatilizzarsi.
Sul piano politico la guerra di parole dilania in particolare il Partito Conservatore del premier David Cameron. Nelle ultime ore sono saliti sul proscenio gli euroscettici di ‘Vote Leave’, la piattaforma scelta come rappresentante riconosciuto del voto anti-Ue con gran dispetto del cartello alternativo guidato dal tribuno dell’Ukip Nigel Farage. Protagonisti recenti, il sindaco di Londra, Boris Johnson, e il ministro della Giustizia, Michael Gove, i due Tory di maggior spicco dissidenti dalla linea di Cameron che, presentando appunto le insegne di ‘Vote Leave’, hanno fatto balenare l’idea che uscendo dall’Unione Europea si potrebbero riversare nelle casse del malconcio sistema sanitario nazionale di Sua Maesta’ (Nhs) parte dei miliardi di sterline spesi adesso per stare nel Club dei 28. E per sostenere una burocrazia che – nelle parole di Gove – «non abbiamo eletto, non abbiamo scelto e non vogliamo».
Argomento populistico, hanno replicato a stretto giro i rivali di ‘Britain Stronger in Europe’, il fronte ufficiale del no alla Brexit, bollando ‘l’azzardo isolazionista’ come un Project Fantasy carico d’incognite e denunciando la promessa di riempire di soldi gli ospedali come un espediente di bassa lega: tenuto conto che uno studio commissionato a Pricewaterhouse-Coopers dalla Cbi, la confindustria britannica, svela che Londra, grazie al mercato unico, guadagna qualcosa come 90 miliardi di sterline all’anno, vale a dire 9 volte l’ammontare netto dei contributi al bilancio comunitario.
A vantaggio del fronte del si’ all’Europa resta la sua natura trasversale. Se ieri Cameron – in difficoltà con i sondaggi in seguito allo scandalo Panama Papers – si e’ ritrovato al fianco, almeno sulla trincea referendaria, il leader laburista Jeremy Corbyn, alfiere di una sinistra radicale che in passato era stata ostile all’Ue e al referendum del 1975 (quello in cui a dividersi fu proprio il Labour, all’epoca della premiership di Harold Wilson) aveva votato ‘no’ in dissenso da Downing Street, oggi puo’ incassare il messaggio di sostegno giunto da Washington. La Casa Bianca ha confermato la visita a Londra di Obama il 22 e 23, premurandosi di manifestare esplicitamente – per bocca di Charlie Kipchan, consigliere per gli affari europei dello staff presidenziale – il timore che la Brexit possa danneggiare l’Ue. Visita durante la quale il presidente Usa sara’ ricevuto a Windsor dalla regina Elisabetta all’indomani del 90esimo compleanno di lei, ma soprattutto testimonierà visibilmente la vicinanza a Cameron: nel pieno della battaglia referendaria e in barba ai malumori dei signornò. Che però appaiono ogni giorno di più guadagnare terreno.
Un rapporto di 200 pagine del ministero del Tesoro segnala, allarmato, che il reddito nazionale britannico potrebbe perdere il 6% entro il 2030 se il Regno Unito lasciasse davvero l’Ue con il referendum sulla Brexit del 23 giugno.Il rapporto traccia lo scenario shock di una Gran Bretagna colpita nei suoi vitali interessi commerciali e impoverita nella sua gente per decenni, una volta consumato l’ipotetico divorzio da Bruxelles. Stando a questa analisi, la prevedibile contrazione del Pil si tradurrebbe in una perdita media equivalente a 4.300 sterline all’anno per ogni famiglia britannica.
Il voto inglese, se risultasse favorevole all’uscita della Ue, potrebbe provocare una valanga di altri referendum in molti altri Paesi, Italia compresa. E non è detto che in qualche Stato Ue, di vecchia o recente acquisizione, una consultazione referendaria di questo tipo non tenti le popolazioni – sempre più infastidite ed impaurite dall’arrivo irrefrenabile di profughi e dall’impotenza della Ue anche in questo campo – di decidere l’uscita dall’Unione, considerata da molti un carrozzone mangiasoldi e una fabbrica di norme inutili e talvolta controproducenti.

http://www.firenzepost.it/2016/04/19/brexit-la-gran-bretagna-si-avvia-al-referendum-sulleuropa-con-qualche-patema-danimo/

Kavalerists
27-04-16, 20:52
Il destino dell’Europa è già segnato Il referendum in Gran Bretagna del prossimo 23 giugno, agita le acque ed in tanti temono la ‘Brexit’: ma in realtà, quel giorno servirà solo a capire con che velocità i popoli europei sapranno archiviare l’esperienza comunitaria
di Mauro Indelicato (http://www.lintellettualedissidente.it/redazione/m-indelicato/) - 27 aprile 2016

C’è chi ancora parla di ‘prime fessure’ che iniziano ad aprirsi nell’architrave del progetto dell’Unione Europea, in realtà quanto sta accadendo negli ultimi anni appare come una vera e propria voragine che nonostante i tentativi di Bruxelles (e di Washington) di rattoppo e contenimento, appare sempre più imponente. Ogni qualvolta una votazione od un referendum colpisce con sonori schiaffi l’Europa e le sue sempre meno rappresentative istituzioni, si tende a parlare di ‘primi segnali di preoccupazione’ oppure di ‘populismi alimentati dalla crisi’, con conseguente promessa di ‘attuare tutto il possibile’ per rimettere le istituzioni comunitarie nuovamente al fianco dei cittadini, con la retorica mediatica pronta ad intervenire in soccorso di burocrati ed europeisti ‘dal lato giusto della storia’. L’Unione Europea inizia ad essere mal digerita dagli europei già almeno da undici anni; nel 2005 in realtà, non si è aperta una piccola maglia all’interno dell’ordine europeista, ma è accaduto un vero cataclisma: Francia e Paesi Bassi, due Stati fondatori, hanno bocciato sonoramente in due rispettivi referendum la ‘Costituzione Europea’, firmata con molta enfasi e con una copertura mediatica degna di un’Olimpiade appena 12 mesi prima a Roma. E’ apparso chiaro in quel caso che le popolazioni del vecchio continente, a tre anni appena dall’introduzione dell’Euro, hanno iniziato a vedere con non poca preoccupazione il processo di ulteriore integrazione delle istituzioni comunitarie; non solo la moneta unica, ma anche le preoccupazioni legate alla funzione stessa dell’UE, al suo ruolo all’interno degli stati membri ed all’esterno, con negli occhi ancora le magre figure rimediate in ambito internazionale sul caso dell’avventura americana in Iraq del 2003. A suo tempo, il dibattito successivo al fallimento della Costituzione Europea è stato volutamente legato a come poter ‘rispondere’ a delle ‘semplici esigenze’ richieste dai cittadini, cercando di far apparire l’euroscetticismo come ‘anacronistico’ ed al contempo incanalando le discussioni su come poter ‘riformare l’Europa’; l’obiettivo di presentare quei due referendum francesi ed olandesi come meri incidenti di percorso, è riuscito per diversi anni anche perché i problemi legati al terrorismo (proprio nell’estate 2005 si sono verificati gli attentati nella Tube di Londra) e lo scoppio della crisi economica, hanno preso il sopravvento ed i dibattiti in merito l’Europa sono di fatto andati in soffitta. Ma proprio la crisi, la speculazione sui debiti sovrani, il repentino rovesciamento di governo nei paesi più esposti, hanno progressivamente allargato quelle prime fessure interne all’architrave europea; se tra il 2012 ed il 2013 parlare di uscita dall’Euro non è più roba da ‘politicamente scorretto’ ma punto focale di diverse formazioni politiche in tutto il continente, nel 2014 nelle elezioni parlamentari europee i deputati un tempo etichettati come ‘semplici anacronistici euroscettici’ sono più che raddoppiati e la valanga è diventata molto più estesa all’indomani dell’esito del referendum greco del luglio 2015 (anche se poi disatteso dal governo di Atene) ed adesso si assiste ad altri ed importanti smottamenti. L’avanzata dei movimenti euroscettici non è più solo nei sondaggi, le presidenziali di domenica in Austria lo hanno dimostrato ed ora si guarda con molto interesse al referendum britannico sull’uscita di Londra dall’UE; la ‘Brexit’ è molto più che una semplice ipotesi: il semplice fatto che il prossimo 23 giugno verrà posta in essere la consultazione, è già un qualcosa di significativo e che dimostra le spinte alla chiusura dell’esperienza comunitaria per una fetta sempre più crescente dell’opinione pubblica del vecchio continente. Il fatto stesso che Barack Obama, nel corso del suo ultimo viaggio a Londra, abbia pubblicamente ‘pregato’ i britannici di rimanere nell’Unione Europea, fa sì che dalla Casa Bianca arrivi un implicito riconoscimento dell’importanza della tornata referendaria e che nessuno dà per scontata la vittoria di chi vuol rimanere nell’orbita di Bruxelles; anche le azioni messe in atto dalla stessa commissione europea, benevola nel concedere in una trattativa con il premier Cameron uno ‘status’ speciale a Londra nel caso di permanenza all’interno dell’UE, mostrano una crescente preoccupazione per l’eventualità della Brexit. Mai nessun paese, dal 1957 ad oggi, è uscito dalla comunità europea, la Gran Bretagna sarebbe il primo; un precedente importante, per uno Stato che anche se non figura tra i fondatori e non ha mai adottato l’Euro, risulta indubbiamente essere tra quelli che dona più ‘prestigio’ all’UE ed è quindi tra quelli di maggior peso politico ed economico. Non solo quindi il timore per un effetto domino, ma anche per l’indebolimento del progetto comunitario nella sua interezza ed una presa di coscienza maggiore tanto dell’opinione pubblica europea quanti di molti partiti anti UE. Il fatto che oggi si parli di Brexit, indica come la volontà popolare in tutto il continente è ben lontana dalla retorica mandata avanti dalle istituzioni comunitarie e dai suoi 28 governi; più si andrà avanti e più sarà impossibile nascondere il fatto che i 60 anni di storia dell’Europa pseudo unita sono fallimentari: politicamente si è creata un’istituzione ibrida che non è né federazione e né confederazione, la quale assolve alla mera funzione di imporre il più becero capitalismo liberale, a danno del principio di sovranità ed autodeterminazione dei popoli, con economie sempre più distrutte e politiche sociali sempre più ridotte all’osso. Di questo e di tanto altro ancora, i popoli europei ne hanno ormai preso cognizione; l’antieuropeismo non è più fenomeno di nicchia e populistico/nazionalistico, alimentato dalla crisi: esso piuttosto nel corso di questi undici anni si è trasformato in un movimento trasversale e sempre più crescente, in cui si rivendicano principi inderogabili messi in discussione dall’ordine-disordine europeo. Il prossimo 23 giugno in Gran Bretagna, in occasione del referendum sulla Brexit, non si deciderà se l’Unione Europea si sfalderà o meno, ma solo la velocità con la quale essa andrà verso l’inevitabile fallimento ed archiviazione nei libri di storia: se quel giorno Londra decide di uscire, tale processo subirà una brusca accelerazione, diversamente la consultazione sarà usata comunque come base ed esempio da un elettorato sempre più diffidente verso Bruxelles.

Il destino dell?Europa è già segnato (http://www.lintellettualedissidente.it/esteri-3/il-destino-delleuropa-e-gia-segnato/)

LupoSciolto°
28-04-16, 17:23
Secondo voi , quali le possibili ripercussioni economiche sul vecchio continente qualora (anche se non lo credo) il Regno Unito dovrebbe uscire dall'Ue?

Avanguardia
29-04-16, 14:55
Personalmente ho perso la capacità di raggiungere l' orgasmo per i vari fuochi di paglia.
Sicuramente la Brexit fa parte di una lotta interna tra ambienti dell' economia e della massoneria internazionale, la Brexit è secondo me un ricatto ordito da alcuni contro altri.
Qualora si realizzasse, in concreto sarebbe solo un dispetto di alcuni verso altri, i quali potrebbero rispondere con altre azioni presentateci come ribellione della gente ma in realtà azioni di poteri forti contro altri.
Con la Brexit la Gran Bretagna manterrebbe lo stesso sistema economico di adesso, idem per quello politico, il grado di sovranità effettiva sarebbe sempre questo, con la differenza che a comandare maggiormente sarebbero alcuni ambienti internazionali, credo di ambito sionista, WASP principalmente, piuttosto che altri di natura tecnocratica-europeista-filocinesi.

Logomaco
29-04-16, 18:00
Secondo voi , quali le possibili ripercussioni economiche sul vecchio continente qualora (anche se non lo credo) il Regno Unito dovrebbe uscire dall'Ue?

Difficile dirlo, ma sarebbero ripercussioni piuttosto pesanti...il baraccone comincerebbe a scricchiolare

Kavalerists
30-04-16, 08:10
Secondo voi , quali le possibili ripercussioni economiche sul vecchio continente qualora (anche se non lo credo) il Regno Unito dovrebbe uscire dall'Ue?
Credo che ci sarebbero sicuramente ripercussioni politiche non indifferenti, anche per l'esempio che potrebbe rappresentare per altri paesi.
Poi la Gran Bretagna è un pezzo grosso, mica piccolo, anche se si è sempre tenuta un pò defilata, vedi euro ( e giustamente direi... ).