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Visualizza Versione Completa : Architettura italiana nella Prima Repubblica



MaIn
30-04-16, 09:42
In questo 3d:
https://forum.termometropolitico.it/698137-mancanza-di-uno-stile-architettonico.html
mi ero lamentato di una mancanza di politiche urbanistiche degne di nota nell'Italia repubblicana che pure è stata leader nel design:

prendendo spunto dal 3d del forum destra radicale sull'architettura fascista(che invito a visionare e magari a contribuire):
https://forum.termometropolitico.it/699012-architettura-fascista-thread-iconografico-e-fotografico.html

apro un 3d anche qui sull'architettura italiana.

penso che si dovrebbero 3d anche sul costume e la cultura (spesso intrecciata con la politica) dell' Italia della Prima Repubblica.

MaIn
30-04-16, 09:43
https://upload.wikimedia.org/wikipedia/it/thumb/3/35/Palazzo_Ina.jpg/800px-Palazzo_Ina.jpg

https://it.wikipedia.org/wiki/Grattacielo_Ina_Assitalia

MaIn
30-04-16, 09:45
https://upload.wikimedia.org/wikipedia/it/c/c2/Velascat2.png
http://www.greatbuildings.com/gbc/thumbnails/cid_1228752361_torre_velasca_PC075055.250.jpg



https://it.wikipedia.org/wiki/Torre_Velasca

MaIn
30-04-16, 09:46
https://upload.wikimedia.org/wikipedia/it/thumb/d/d4/Grattacielo_Pirelli3.jpg/800px-Grattacielo_Pirelli3.jpg

https://it.wikipedia.org/wiki/Grattacielo_Pirelli

MaIn
30-04-16, 09:47
https://upload.wikimedia.org/wikipedia/it/thumb/b/bc/Roma_Palazzo_dello_Sport_da_Piazzale_dello_Sport.j pg/800px-Roma_Palazzo_dello_Sport_da_Piazzale_dello_Sport.j pg

https://it.wikipedia.org/wiki/PalaLottomatica

MaIn
30-04-16, 09:54
Di qua e di la: ARCHITETTURA ITALIANA DEL DOPOGUERRA (Architecture italian post-war) (http://zloris.blogspot.it/2012/01/architettura-italiana-del-dopoguerra.html)



http://4.bp.blogspot.com/-SJS7CvgLImA/Txm4yY3TBNI/AAAAAAAAFpg/NDOoYke6lHE/s640/Palazzetto+dello+sport+-++Roma+1960.jpg (http://4.bp.blogspot.com/-SJS7CvgLImA/Txm4yY3TBNI/AAAAAAAAFpg/NDOoYke6lHE/s1600/Palazzetto+dello+sport+-++Roma+1960.jpg)


Palazzetto dello sport - Roma 1960




Negli anni cinquanta del secolo scorso, nel campo dell'architettura, si ebbe una reazione contro le tendenze razionalistiche, caratterizzate da un'estrema semplicità e dalla mancanza di qualsiasi ornamento. Diversi architetti si sforzarono di progettare gli edifici non più come accadeva nell'immediato passato, cioè in maniera troppo astratta e teorica, ma tenendo conto dell'ambiente e delle costruzioni preesistenti. Così negli edifici di nuova costruzione cominciarono ad apparire allusioni, citazioni, riferimenti a determinati stili del passato.




http://3.bp.blogspot.com/-1Pgf-XrgyQM/Txms3XH_IxI/AAAAAAAAFog/3X_8DZ-ImOA/s640/Palazzo_della_Cassa_di_Risparmio_di_Pistoia.JPG (http://3.bp.blogspot.com/-1Pgf-XrgyQM/Txms3XH_IxI/AAAAAAAAFog/3X_8DZ-ImOA/s1600/Palazzo_della_Cassa_di_Risparmio_di_Pistoia.JPG)


Cassa di Risparmio a Pistoia






http://3.bp.blogspot.com/-RzYoE51htkc/Txmty5uLVRI/AAAAAAAAFoo/kC_zcHDf-m0/s640/Palazzo_della_Cassa_di_Risparmio_di_Pistoia2.JPG (http://3.bp.blogspot.com/-RzYoE51htkc/Txmty5uLVRI/AAAAAAAAFoo/kC_zcHDf-m0/s1600/Palazzo_della_Cassa_di_Risparmio_di_Pistoia2.JPG)


Cassa di Risparmio a Pistoia di Giovanni Michelucci



Opere come la Torre Velasca a Milano o la sede della Cassa di Risparmio a Pistoia di Giovanni Michelucci nascono in un preciso collegamento con la realtà architettonica circostante. Ma è soprattutto nei musei che gli architetti possono, per così dire, colloquiare con il passato. Difatti vari musei, distrutti dalla guerra, vengono ricostruiti e altri, invecchiati, sono rinnovati secondo criteri più moderni, privilegiando non più il pezzo unico, il capolavoro assoluto, ma cercando di ricostruire un determinato ambiente e una determinata civiltà artistica.






http://2.bp.blogspot.com/-L5qzQTE2kqs/Txm3imB7HAI/AAAAAAAAFpY/TgEPoq2oZJg/s640/Stadio+Olimpico++Roma.jpg (http://2.bp.blogspot.com/-L5qzQTE2kqs/Txm3imB7HAI/AAAAAAAAFpY/TgEPoq2oZJg/s1600/Stadio+Olimpico++Roma.jpg)


Stadio Olimpico - Roma 1960







Nel clima ottimistico della ricostruzione vennero prese molte altre iniziative architettoniche, concernenti i grattacieli, le fabbriche, le strutture sportive (ricordo lo Stadio Olimpico e il Palazzetto dello sport, costruiti a Roma per le Olimpiadi del 1960).




http://4.bp.blogspot.com/-D3RmZeBCjzc/TxmvGGEDYrI/AAAAAAAAFow/a-mQGyJ0uo4/s640/Torre_Velasca.jpg (http://4.bp.blogspot.com/-D3RmZeBCjzc/TxmvGGEDYrI/AAAAAAAAFow/a-mQGyJ0uo4/s1600/Torre_Velasca.jpg)


Torre Velasca a Milano






La Torre Velasca fu realizzata a Milano dopo il 1950 dallo Studio Bbpr (dalle iniziali dei componenti: Gian Luigi Banfi, Lodovico Belgioioso, Enrico Peressutti, Ernesto Rogers). L'edificio assomiglia vagamente ad una torre e dunque intende stabilire un collegamento con le memorie della Milano medievale; come disse Rogers nel 1959:
“Questo edificio è un grattacielo proprio nel centro di Milano, a cinquecento metri dalla cattedrale... e noi abbiamo trovato necessario che il nostro edificio respirasse l'atmosfera del luogo e anzi l'identificasse”.




http://3.bp.blogspot.com/-bgckY3_ZWeU/TxmwjQOwy4I/AAAAAAAAFo4/Rpp3DsVxAdk/s640/Pirelli+skyscraper.jpg (http://3.bp.blogspot.com/-bgckY3_ZWeU/TxmwjQOwy4I/AAAAAAAAFo4/Rpp3DsVxAdk/s1600/Pirelli+skyscraper.jpg)


Il grattacielo Pirelli





Il grattacielo Pirelli, costruito nel momento in cui stava per cominciare il boom economico, divenne ben presto un simbolo della vocazione europea e moderna di Milano. All'origine, però, prima ancora di essere simbolo di un miracolo economico, il “Pirellone" stava a dimostrare il prestigio di un'industria, di cui era sede amministrativa.




http://2.bp.blogspot.com/-jo1dpixrOE8/TxmxjVhQjLI/AAAAAAAAFpA/VpiAXQGQm2k/s640/Chiesa_dei_Santi_Pietro_e_Girolamo.jpg (http://2.bp.blogspot.com/-jo1dpixrOE8/TxmxjVhQjLI/AAAAAAAAFpA/VpiAXQGQm2k/s1600/Chiesa_dei_Santi_Pietro_e_Girolamo.jpg)


La chiesa dei Santi Pietro e Girolamo è un edificio sacro
Via di Collina - Pontelungo nel comune di Pistoia







Nei suoi edifici sacri l'architetto Giovanni Michelucci si è sempre preoccupato di stabilire uno stretto legame con l'ambiente, non solo fisico ma anche sociale. Così la chiesa della località agricola di Collina a Pontelungo (Pistoia) è quasi mimetizzata in mezzo alle case coloniche.




http://4.bp.blogspot.com/-mqwjvI09Idk/Txm05OiVkkI/AAAAAAAAFpI/3mJbVWTWoUo/s640/Chiesaautostrada.jpg (http://4.bp.blogspot.com/-mqwjvI09Idk/Txm05OiVkkI/AAAAAAAAFpI/3mJbVWTWoUo/s1600/Chiesaautostrada.jpg)


Chiesa dell'Autostrada - Firenze






Nella Chiesa di San Giovanni Battista alle porte di Firenze (è chiamata anche Chiesa dell'Autostrada del Sole per la sua collocazione all'incrocio fra l'Autostrada del Sole e la A11 Firenze-Mare), Giovanni Michelucci, sempre la copertura, che è l'elemento di maggior spicco nella costruzione, evoca l'immagine della tenda, allusione ai viaggiatori e al carattere provvisorio di ogni viaggio. Da notare, in questo caso, la semplicità dei materiali impiegati: cemento armato e pietra a vista per la struttura portante e la muratura..., e rame per la copertura.

MaIn
30-04-16, 10:02
ponte dei mari milano

http://www.sapere.it/mediaObject/photogallery/Arte-e-architettura/Milano-una-vela-firmata-fuksas/A6000127/resolutions/res-l655x10000/A6000127.jpg


http://www.sapere.it/mediaObject/photogallery/Arte-e-architettura/Milano-una-vela-firmata-fuksas/A6000117/resolutions/res-l655x10000/A6000117.jpg

MaIn
30-04-16, 10:05
il ponte dei mari dovrebbe essere seconda repubblica

MaIn
30-04-16, 10:07
http://www.cilentonotizie.it/public/images/17012016_StazioneMarittima-salerno_01.jpg

la recentissima stazione marittima di Salerno (seconda repubblica ovviamente)

MaIn
30-04-16, 10:17
L?architettura degli anni del dopoguerra? la storia - habitage | habitage (http://www.habitage.it/8493/larchitettura-degli-anni-del-dopoguerra-la-storia/)

http://www.habitage.it/wp-content/uploads/2013/01/ignazio-gardella-e-franco-albini-a-roma-1949.jpg
Dopo il 1945, come risposta ad un’architettura di regime, indifferente ai luoghi e alle caratteristiche dei contesti culturali, viene contrapposta la sperimentazione, la ricerca di nuove linee di progetto.
http://www.habitage.it/wp-content/uploads/2013/01/Luigi-Caccia-Dominioni-milano-160x120.jpg (http://www.habitage.it/wp-content/uploads/2013/01/Luigi-Caccia-Dominioni-milano.jpg)
Luigi Caccia Dominioni Milano

http://www.habitage.it/wp-content/uploads/2013/01/torre-in-viale-etiopia-roma--160x120.jpg (http://www.habitage.it/wp-content/uploads/2013/01/torre-in-viale-etiopia-roma-.jpg)
Torre Viale Etiopia Roma





Si ricerca una nuova architettura espressa nelle sue diverse declinazioni regionali, ma che tenga conto anche dei linguaggi dell’architettura moderna e delle suggestioni derivanti dalle esperienze internazionali.
I principali centri di elaborazione teorica e di aggregazione di progettisti furonoRoma e Milano.
http://www.habitage.it/wp-content/uploads/2013/01/milano-torre-velasca1-300x224.jpgmilano torre velasca
(http://www.habitage.it/wp-content/uploads/2013/01/milano-torre-velasca1.jpg)
A Milano prevalse un atteggiamento mirante a recuperare con nuova consapevolezza, gli obiettivi del Razionalismo anteguerra e i collegamenti con il Funzionalismo europeo.La cultura milanese coagulata intorno alla rivista Domus avviò un proficuo dialogo con la borghesia industriale del nord e tappa significativa di questo incontro fu l’VIII Triennale del 1947 che polarizzò il suo interesse sul problema della casa per tutti.Nasce il movimento di studi per l’architettura di Milano MSA che fu il risultato dell’incontro di due gruppi di persone: quello che lavorava al piano AR per Milano costituito da architetti affermati come Franco Albini, Belgiojoso, Bottoni, Gardella, Rogers; quello formato da architetti da poco laureati come Giancarlo De Carlo, Marco Zanuso.L’MSA fu una delle tante iniziative fiorite dopo la Liberazione, nella speranza di dare una nuova e migliore qualità alla società italiana nelle sue molteplici articolazioni. Voleva contribuire alla ricostruzione edilizia ed allo sviluppo della città con la presenza di una nuova architettura che contrastasse gli squallidi prodotti di una ottusa speculazione edilizia.
http://www.habitage.it/wp-content/uploads/2013/01/casa-del-girasole-moretti-roma1-300x215.jpgcasa del girasole- moretti-roma
(http://www.habitage.it/wp-content/uploads/2013/01/casa-del-girasole-moretti-roma1.jpg)
L’ambiente romanoche certamente si trovò in condizioni assai più sfavorevoli ebbe come suo maggiore interlocutore la committenza pubblica, l’apparato burocratico dello Stato che era uscito pressoché indenne dal crollo del regime e che di fatto si accingeva a gestire la ricostruzione.A Roma nacque l’APAO, un movimento che cercò le strade di un rinnovamento architettonico: forte la volontà di definire un linguaggio direttamente comunicativo per le classi popolari, viste come protagoniste della ricostruzione postbellica.Con l’APAO si intende dar vita a Roma, ad un’associazione libera di architetti moderni capace di fornire un proprio contributo svolgendo quelle attività di studio, di aggiornamento, specializzazione e quelle attività sindacali che sono necessarie alla ricostruzione.Volendo fare una breve riflessione su questi due movimenti, trovo molto interessante la critica che Manfredo Tafuri muove alle due associazioni.“…L’APAO afferma, nel suo programma ideologico, di perseguire una pianificazione urbanistica e una libertà architettonica come strumenti di costruzione di una società democratica in lotta. Ma tale appello rimane tuttavia generico e privo di relazioni con le scelte da compiere nel settore edilizio (..) I suoi obiettivi specifici sono vaghi: l’equazione architettura organica= architettura della democrazia è utile più per riconoscersi, non certo per riconoscere.Né le incertezze della cultura romana sono compensate dal richiamo all’ortodossia che proviene dall’MSA”. Bisogna dire che questi due movimenti hanno il merito di aver ampliato le pertinenze dell’analisi critica della cultura architettonica italiana e di aver abbozzato una revisione dell’eredità storica del Movimento Moderno.Il paese, subito dopo la guerra, si ritrova più che mai disunito di fronte all’immane compito della ricostruzione: diviso politicamente in due schieramenti opposti; diviso e confuso culturalmente. Se il fiorire di iniziative è un elemento che caratterizza positivamente questi anni, contribuendo a sprovincializzare la cultura italiana, bisogna anche dire che mancano idee guida.Manca un progetto unitario di pianificazione quindi la storia dell’architettura di questi anni è storia di spiriti isolati, che hanno fatto esperienze individuali per sottrarsi alla marea dilagante di una generale mediocrità e operare all’interno della propria esperienza. Essi per scarsa preparazione sociale, non hanno sentito gli stimoli di una superiore istanza di politicizzazione democratica, come spinta per far convergere la loro opera, in modo che venisse evitato l’isolamento.La strada aperta è la perfezione qualitativa cioè produrre l’eccezione ad alto livello che compensa il basso livello generale.Il duplice volto del clima culturale italiano, quello milanese e quello romano, si coglie subito in due opere che ne preannunciano la diversa influenza, i diversi riferimenti culturali: il monumento ai caduti nei campi di sterminio nazisti dei BBPR del ’46 a Milano e le fosse Ardeatine a Roma del ’45- 47.
http://www.habitage.it/wp-content/uploads/2013/01/fosse-ardeatine-roma-160x120.gif (http://www.habitage.it/wp-content/uploads/2013/01/fosse-ardeatine-roma.gif)
fosse Ardeatine a Roma del ’45- 47

http://www.habitage.it/wp-content/uploads/2013/01/monumento-caduti-sterminio-roma2-160x120.jpg (http://www.habitage.it/wp-content/uploads/2013/01/monumento-caduti-sterminio-roma2.jpg)
il monumento ai caduti nei campi di sterminio nazisti dei BBPR del ’46 a Milano





L’uno razionalista, quasi a riconfermare la supremazia della ragione ed a indicarne l’unica forza capace di ordinare e controllare gli eventi, l’altro, altrettanto simbolico, realistico e comunicativo della testimonianza sul luogo di una tragedia, vuole anche segnare la fine di tante vicende oscure e l’inizio di un impegno teso a rappresentare la realtà, comprendendone le contraddizioni violente.

MaIn
30-04-16, 12:12
skyline di Milano


https://it.wikipedia.org/wiki/Grattacieli_di_Milano

https://upload.wikimedia.org/wikipedia/it/f/f7/Milano_vista_Futuro.jpg

MaIn
30-04-16, 12:14
centro direzionale di Napoli


https://it.wikipedia.org/wiki/Centro_direzionale_di_Napoli

https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/1/14/Fontana_del_Centro_Direzionale_di_Napoli.jpg/800px-Fontana_del_Centro_Direzionale_di_Napoli.jpg


https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/9/98/Centro_Direzionale_-_Napoli.jpg/1024px-Centro_Direzionale_-_Napoli.jpg

MaIn
08-01-17, 13:03
http://ilmanifesto.info/proposte-utopistiche-tecnicamente-fondate/


Proposte utopistiche tecnicamente fondateLEONARDO BENEVOLO. Tra scienza, storia e impegno sociale, dal «Progetto Fori» alla nuova fisionomia delle periferie. La sua è una profetica avvertenza dei rischi a cui è sottoposto il futuro incerto di Roma. Ha sempre creduto nel pensiero olivettiano sull’analisi e lo sviluppo del territorio urbano intesi come essenziali per le sorti di una democrazia


http://ilmanifesto.info/cms/wp-content/uploads/2017/01/06/07clt01af01.jpg (http://ilmanifesto.info/cms/wp-content/uploads/2017/01/06/07clt01af01.jpg)

Maurizio Giufrè (http://ilmanifesto.info/archivio/?fwp_author=Maurizio%20Giufr%C3%A8)
EDIZIONE DEL07.01.2017 (http://ilmanifesto.info/edizione/il-manifesto-del-07-01-2017/)
PUBBLICATO7.1.2017, 0:07
AGGIORNATO6.1.2017, 21:26


Nella sua ultima lunga intervista rilasciata nel 2011 a Francesco Erbani, Leonardo Benevolo racconta di essere approdato alla scelta di diventare architetto attraverso la curiosità e l’attrazione per il paesaggio. Quando giunge a Roma nel 1941 da Novara lo affascina la geometria descrittiva, la sola disciplina in grado, attraverso il calcolo matematico, di impossessarsi dello spazio tridimensionale.QUESTO PROFONDO interesse per la scienza unito alla passione per la storia sono i due poli entro i quali graviterà nel corso degli anni l’impegno professionale di Benevolo, non solo quello di storico, ma anche quello di progettista di architetture e urbanista. Come rappresentante di quella figura ormai desueta di architetto-storico, ma più in generale di architetto-intellettuale, egli è stato tra i primi, nel 1960 – quattro anni dopo l’ottenimento della sua docenza a Roma (1956) – a scrivere una Storia dell’architettura moderna che non fosse «avversa» – come riconobbe Bruno Zevi – al Movimento Moderno.Lo storico Giovanni Klaus Koening scrisse che la Storia di Benevolo – per lui in assoluto «la più letta al mondo» – fu «un enorme sforzo di documentare con foto di prima mano delle architetture conosciute solo sulle riviste» scoprendo, per esempio, nelle sue «esplorazioni» il cattivo stato di conservazione del Bauhaus a Dessau di Gropius. La sua passione e impegno nell’attività di storico e di insegnante non gli impediscono di svolgere la sua attività professionale. In sodalizio con Carlo Melograni e Tommaso Giura Longo progetta la nuova sede della Fiera di Bologna (1964-1965), ma pochi anni dopo dà alle stampe Storia del Rinascimento (1968) e a distanza di un po’ di tempo, ma con progressione, Storia della città (1975) e Storia della città orientale (1988) tutte edite dall’editore Laterza.ALLA FINE degli anni Cinquanta Benevolo si avvicina sempre più ai temi della tutela e conservazione del patrimonio culturale e ambientale aderendo alle iniziative provenienti dai gruppi più vicini al movimento moderno. Aderisce all’Associazione dell’Architettura Organica (Apao) e attraverso l’esperienza del programma del Cepas e Unrra-Casas per l’Abruzzo – l’agenzia promossa dalle Nazioni Unite e dagli americani per la ricostruzione delle zone bombardate durante la guerra – ha l’opportunità di conoscere il mondo di Adriano Olivetti: stringe amicizia con Paolo Volponi, Attilio Bertolucci e Pasolini, lavora al fianco di Angela Zucconi e Manlio Rossi-Doria. È in quel contesto di umili genti alle prese con la costruzione di una scuola e le infrastrutture necessarie a uno sviluppare iniziative turistiche a supporto della modesta produzione agricola che Benevolo matura la convinzione «che l’architettura non dovesse nascere da altra architettura. Né per conformarsi né per contrastarla. E che invece dovesse formarsi in una realtà esterna, oggettivamente considerata».IN QUESTA COMPRENSIONE di ciò che si sarebbe dovuto chiamare «realismo», l’impegno (politico) di Benevolo proseguirà con le sue ricerche per il Progetto 80 e sullo «spreco edilizio» insiemi ad altri architetti e urbanisti «compagni di strada»: da Quaroni a Campos Venuti, da Giancarlo De Carlo a Italo Insolera, da Francesco Indovina a Giovanni Astengo. Il lavoro di Benevolo, sempre più segnato dall’impegno sociale, si muove nel non perdere un momento per denunciare la cattiva gestione del territorio. Lo stesso che sul piano giornalistico farà Antonio Cederna o su quello politico Fiorentino Sullo.Negli anni dell’insegnamento romano che durerà fino al 1976, anno delle sue polemiche dimissioni poco più che cinquantenne, si dedicherà molto ai problemi urbanistici ed edilizi della capitale. In un numero memorabile di Urbanistica, insieme ad altri (Insolera, Tafuri, Manieri Elia, ecc.) cerca di raccontare il nuovo piano regolatore di Roma, il primo dopo quello piacentiniano del 1931. Un piano che firmato da Piccinato e Quaroni doveva configurarsi «funzionale e moderno» ma che Benevolo riconobbe di recente «una cantonata» perché al momento della sua attuazione il piano restò inapplicato nelle sue linee-guida di crescita verso est, per salvaguardare il centro storico «attrezzando» infrastrutture e servizi nella periferia orientale della capitale. In questa riconosciuta inadeguatezza a occuparsi degli aspetti sia amministrativi sia economici dell’attuazione delle procedure di pianificazione Benevolo, forse, ci ha lasciato una profetica avvertenza dei rischi che oggi come ieri corriamo nel pensare il futuro di Roma.LA PRESENZA dell’economia finanziaria, oggi più scaltra dei proprietari fondiari di un tempo, con le sue numerose società immobiliari che si contendono ogni ettaro di suolo della capitale, è ancora lì a decidere la forma urbis romae. Benevolo ha sempre creduto nel pensiero olivettiano sull’urbanistica che veniva concepita «come una disciplina essenziale per le sorti di una democrazia».
Quando nel 1970 Luigi Bazoli (Dc) lo incarica per Brescia di redigere la variante generale al piano regolatore dimostra cosa significa interpretare in termini complessi un territorio, intrecciando dati fisici, sociali ed economici, sullo sfondo di una «comunità» di cittadini che vive e lavora. A Brescia Benevolo mette in atto una pianificazione che permette a Bazoli di «spezzare l’alleanza dei costruttori con gli utenti, emarginando i proprietari terrieri» complici dei costruttori.L’esperimento riuscì permettendo di salvaguardare il territorio comunale dallo scempio visto in altri città di un’edificazione senza controllo rispetto ai fabbisogni reali di crescita. È degli anni Settanta la realizzazione del Quartiere residenziale S. Polo (1973-1975): purtroppo solo in parte realizzato secondo le previsioni mancando il parco urbano. Tuttavia negli stessi anni si avvia anche il recupero di circa ottocento alloggi del centro storico ritornati dopo il restauro a essere occupati dalle famiglie che li possedevano senza produrre alcun effetto di gentrificazione. Per concludere non possiamo ricordare la figura e l’insegnamento di Benevolo senza menzionare, forse, il progetto che più l’ha tenuto impegnato fino ad oggi insieme al piano particolareggiato per il centro storico di Palermo (con Pier Luigi Cervellati e Insolera): la sistemazione dell’area archeologica centrale di Roma, altrimenti detto «progetto Fori» (1985-88).È probabile che quella sfida, della stessa natura di «groviglio inestricabile» del quale è fatta ogni pagina dell’urbanistica romana, restata aperta per mille questioni, perde oggi il suo principale protagonista. Se vorremo in un prossimo futuro ancora interessarci a come superare «l’incompatibilità fisica» tra l’antico e il moderno a Roma non si potrà che ritornare al lavoro di Leonardo Benevolo, ai suoi scritti e ai suoi disegni.
In un suo pamphlet del 1996, L’Italia da costruire, un programma per il territorio riferendosi alle «poche speranze» che il dibattito faceva presagire comunque esortava a non rinunciare, citando uno dei suoi maestri De Menasce, a «proposte utopistiche tecnicamente fondate». Quell’esortazione non può cadere nel vuoto.