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LupoSciolto°
04-05-16, 11:25
Precarietà: metafora psichica e realtà sociale (http://nuvola.corriere.it/2016/05/03/precarieta-metafora-psichica-e-dura-realta-sociale/)

3 MAGGIO 2016 | di La Redazione (http://nuvola.corriere.it/author/la-redazione/)


http://static2.blog.corriereobjects.it/nuvola/wp-content/blogs.dir/11/files/2016/03/Neo_stops_bullets_2-500x209.jpg?v=1459237977 (http://nuvola.corriere.it/?attachment_id=28099)di Francesco Frigione

L’organizzazione economica e sociale oggi imperante impone una riflessione sui suoi effetti psicologici sugli individui e sulla realtà sociale nel suo complesso. Pur essendo chiaramente distruttiva, le lasciamo sempre più campo, quasi considerandola legittima e scontata. Non è questa l’opzione giusta.
Così come l’attuale strutturarsi della società si è imposto con evidenza in un tempo storico preciso, ovvero a partire dagli anni ‘80, grazie a dogmatici alfieri che tutt’ora affermano quanto sia inevitabile e immodificabile il suo corso, così noi possiamo decostruirla per guardare a un futuro migliore, alternativo a quello che ci si prospetta.


Per sviluppare un discorso psicologico al riguardo è, però, opportuna una premessa. La psicologia individuale e collettiva sono profondamente mutate rispetto a un secolo fa; la personalità e le comunità umane sono state sconvolte, infatti, da trasformazioni economiche, politiche e sociali di gigantesca magnitudine.



All’alba della psicoanalisi, Sigmund Freud poteva appropriatamente adoperare la metafora del “lavoro” per spiegare il processo di maturazione psichica della personalità, che faticosamente emerge dalla condizione narcisistica infantile, impregnata di temi immaginari; oggi, invece, è la realtà lavorativa a garantire l’infantilizzazione costante dell’uomo adulto, a mantenerlo in una condizione di immaturità psicologica.
A ciò concorre con altri fattori, quali il controllo mediatico di massa, la bulimia tecnologica e la spinta alla cancellazione dell’interiorità. Quest’ultima passa da una frequentazione intima e segreta con sé stessi – la No man’s land presente in ognuno, di cui parla Nina Berberova ne Il giunco mormorante (Adelphi, Milano, 1990) -, che è la via della profondità psichica, a una vita di piccoli segreti senza valore, spiattellata senza sosta sui social networks.


Sorvolando sul lungo periodo dell’educazione scolastica, attualmente spesso regredita a idolatria del nozionismo o a tecnicismo esasperato, il modellamento mentale del giovane che entra (se è fortunato) nel cosiddetto “mondo del lavoro”, avviene sotto il peso di una prepotente precarizzazione e di un’ideologia economicistica essenzialmente totalitaria.



Essa, cioè, non si limita a spadroneggiare nel pur importante spazio dell’economia, ma annette a sé qualsiasi discorso che riguarda l’essere umano. Tutto deve possedere una funzione, deve portare a una qualche forma di guadagno; non v’è esperienza che si giustifichi di per sé, che possieda una sua dignità intrinseca. I
l combinato di precarizzazione ed economicismo spesso annichilisce la personalità ancora malleabile e insicura di chi avverte di avere valore soltanto in virtù di motivi estrinseci alla propria personalità, dal cui sviluppo viene progressivamente distolto. Ciò conduce a un adattamento forzato, privo della percezione di qualunque conflitto con il sistema dominante.
Intendo dire che, malgrado esistano senza dubbio coloro che francamente si rattristano e si angosciano per la condizione di precarietà e insicurezza a cui sono costretti, molti perdono totalmente la bussola delle proprie necessità psichiche e ignorano bisogni e desideri autentici che li abitano.


Il risultato è che si lasciano convintamente sfruttare fino all’esaurimento, pur di non essere completamente emarginati e sviliti, e che lo fanno all’interno di organizzazioni impersonali e prive di anima, di cui paiono condividere gli scopi.



E v’è da considerare che quanto più sono grandi e potenti tali organizzazioni, tanto più è sconfinata la loro fame di asservimento, obbedienza e consenso. E questo rapporto non investe soltanto il lavoratore, quanto il cittadino, equiparato in tutto e per tutto alla figura del “consumatore”, di cui è ritenuto un sottotipo.
Un’espressione cinematografica sufficientemente potente per descrivere tale realtà è il mondo distopico tratteggiato dalla trilogia di Matrix (1998 – 2003), portata sullo schermo dai fratelli Lana e Andy Wachowsky.
I personaggi eroici, presenti nei tre film, prendono atto di essere null’altro che i corpi risucchiati da una crudele civiltà di macchine che, padrona della Terra oramai devastata, assorbe l’energia che la tiene in vita da individui serializzati, a cui viene imposta una realtà allucinatoria. L’immaginazione collettiva degli uomini è eterodiretta dal computer “Matrix”, appunto, e ne consente il soggiogamento, nel carcere di grandi bozzoli uterini.


Coloro che, “destandosi”, colgono l’inganno di questo mondo di sfruttamento e di ingiustizia devono farsi carico dell’orrore della propria scoperta. Ben pochi, in effetti, resistono a tanto dolore mentale ed eludono la verità, mantenendosi in uno stato di corriva inconsceità o tradendo la propria missione umanizzante.



La trama rappresenta una convincente analogia della condizione mentale nell’epoca della globalizzazione. Infatti, evoca la violenza di una condizione strutturale finalizzata solo illusoriamente al benessere umano, ma in realtà interessata a svuotare di senso l’esperienza della profondità psichica. Essa percuote come un maglio la personalità individuale, appiattendola, negandole la possibilità di estendersi verso i propri naturali confini, di rispondere a esigenze che non procurano necessariamente un profitto, o che non appaiono d’immediata utilità.
Inoltre, le sottrae il sentimento della speranza e la capacità critica. Ciò si ricollega alla celebre riflessione di Karl Marx e Frederick Engels sul come una determinata ideologia, derivando da chi ha in mano le effettive leve del potere, si affermi anche tra coloro che meno dovrebbero adottarla, in quanto ne vengono dominati e danneggiati.
«Le idee dominanti non sono altro che l’espressione ideale dei rapporti materiali dominanti, sono i rapporti materiali dominanti presi come idee: sono dunque l’espressione dei rapporti che appunto fanno di una classe la classe dominante, e dunque sono le idee del suo dominio.» (K. Marx, F. Engels, L’ideologia tedesca, Editori Riuniti, Roma 1972, p. 14.).


Il dolore psichico di restare presenti all’ingiustizia sociale è la salvezza di noi tutti, in questo penoso momento storico: ci induce a intendere il lavoro come espressione dell’anima e a mantenere viva la voglia di creatività e cambiamento.

FONTE: http://nuvola.corriere.it/2016/05/03/precarieta-metafora-psichica-e-dura-realta-sociale/

Kavalerists
06-05-16, 06:04
A proposito di precarietà, ecco cosa ha in mente per noi italiani la "sinistra" liberista, europeista, e mondialista:

Sulla formazione professionale, l'Italia diventerà come la Germania*|*Luca Steinmann (http://www.huffingtonpost.it/luca-steinmann/sulla-formazione-professionale-litalia-diventera-come-la-germania_b_9836010.html)

"Flessibilità significa precariato, che non è sinonimo di malessere" continua la Giannini.
(Ministra del Lavoro e delle Politiche Sociali ) "Dobbiamo abituarci all'idea di un mondo impostato su un modello di economico di stampo americano, dove il precariato è la norma. Dobbiamo abituarci a vite con meno certezze immediate, fatte da persone che si spostano continuamente e dobbiamo incentivare i loro movimenti".
ecco "gli obiettivi economici e sociali che l'Italia deve raggiungere."....:facepalmi:

la Sinistra...:vom:

LupoSciolto°
07-05-16, 16:09
A proposito di precarietà, ecco cosa ha in mente per noi italiani la "sinistra" liberista, europeista, e mondialista:

Sulla formazione professionale, l'Italia diventerà come la Germania*|*Luca Steinmann (http://www.huffingtonpost.it/luca-steinmann/sulla-formazione-professionale-litalia-diventera-come-la-germania_b_9836010.html)

"Flessibilità significa precariato, che non è sinonimo di malessere" continua la Giannini.
(Ministra del Lavoro e delle Politiche Sociali ) "Dobbiamo abituarci all'idea di un mondo impostato su un modello di economico di stampo americano, dove il precariato è la norma. Dobbiamo abituarci a vite con meno certezze immediate, fatte da persone che si spostano continuamente e dobbiamo incentivare i loro movimenti".
ecco "gli obiettivi economici e sociali che l'Italia deve raggiungere."....:facepalmi:

la Sinistra...:vom:

Gente che meriterebbe....lasciamo perdere, altrimenti ci becchiamo una sospensione o una denuncia.

Kavalerists
11-05-16, 22:04
L'Intellettuale Dissidente (http://www.lintellettualedissidente.it/) / Economia (http://www.lintellettualedissidente.it/Economia)

http://www.lintellettualedissidente.it/wp-content/uploads/2016/05/anziani-al-sole-2-940x200.jpg Elogio della sedentarietà Il Ministro Giannini ritiene, non a torto, che per un’economia aperta ai mercati globali il futuro non può che essere all’insegna della flessibilità, ovvero della mobilità lavorativa, ovvero lo spostarsi da un luogo all’altro secondo le tendenze del mercato. Ma se è vero che la civiltà occidentale nasce con la sedentarietà, e non col nomadismo al quale essa sembra infine ritornare, urge una decisa resistenza culturale in favore della stabilitas loci, della permanenza in un luogo, possibilmente la propria terra.
di Benedetta Scotti (http://www.lintellettualedissidente.it/redazione/b-scotti/) - 9 maggio 2016



Le presunte dichiarazioni del Ministro dell’Istruzione Giannini in occasione di un recente incontro con la sua omologa tedesca Johanna Wanka hanno suscitato critiche a raffica. Redivivo senso comune! Di questi tempi c’è davvero da rallegrarsene. Il Ministro avrebbe infatti invitato gli Italiani a prender coscienza del fatto che gli anni a venire saranno all’insegna della flessibilità, intesa in particolare come mobilità lavorativa, ovvero la (necessaria) disponibilità a spostarsi da una città all’altra, o da un paese all’altro, per assecondare le tendenze del mercato del lavoro. Il precariato dunque assurto a principio di sistema. Addio allo stato sociale, pachiderma preistorico la cui estinzione in Occidente è garantita dalla crisi demografica in corso, ma addio anche alla famiglia intesa come ammortizzatore sociale, quella del supporto intergenerazionale. Niente più figli, dislocati a Londra, a New York o Singapore, per sostenere i padri e i padri dei padri nella loro vecchiaia, anche perché il costo della vita aumenta e i salari ristagnano. Niente più padri e padri dei padri a sostenere i propri figli, visto che le pensioni son magre e per i nipotini, sempre che ci siano, basterà la tata, anche lei straniera esule a Londra, a New York o Singapore. Come pretendere, d’altronde, saldi legami familiari, comunitari e sociali laddove la flessibilità, ovvero il non aver radici in nessun luogo, comanda l’organizzazione socio-economica? Come pretendere una ripresa demografica laddove i legami stabili sono più o meno esplicitamente scoraggiati e laddove il formare una famiglia viene visto come un ostacolo alla mobilità personale?

Il Ministro Giannini ha precisato che tale nuovo ordine non è necessariamente desiderabile ma rimane comunque inevitabile. Non ci resta dunque che prenderne coscienza e agire di conseguenza, reimpostando il sistema educativo al fine di preparare i nuovi virgulti ad una vita flessibile. Ma davvero questo futuro è inevitabile? Donde viene un simile fatalismo? Il Ministro, ahinoi, non dice cose campate in aria, per quanto deprecabili esse siano. Infatti, le politiche nazionali, da intendersi come lo spazio decisionale lasciato ai popoli per autodeterminare il proprio vivere collettivo, sono sempre più costrette da una forza potentissima, progressista e dirompente, il mercato globale, che per sua stessa natura tende a erodere tutto ciò che è stabile, consolidato, delimitato. Calzante è l’espressione coniata dal saggista americano pro-global Thomas Friedman che parla di golden straightjacket (letteralmente “camicia di forza dorata”) per descrivere la condizione dei paesi che accettano di aprirsi ai mercati globali: la loro economia si espande (in teoria), ma la loro politica, il loro spazio sovrano, si restringe. Certo, uno stato sovrano può sempre decidere di ritrincerarsi, anche parzialmente, ma a costo della ghettizzazione economico-finanziaria, la cui prima conseguenza è ovviamente la tempesta sui titoli di stato, dunque il rischio di default.
Difatti, i capitali mobili, cifra del (non-)sistema monetario internazionale vigente dagli anni Settanta-Ottanta, fanno il bello e il cattivo tempo. Si spostano fluidamente alla ricerca del maggiore ritorno o di una regolamentazione più favorevole, e disdegnano l’immobilismo, la staticità, l’eccessiva protezione sociale. Un paese che voglia trattenere e/o attrarre capitali e investimenti dovrà pertanto tener conto di tale voluttuosità. Ciò che è fisso è un costo, un peso, così come le frontiere e le differenze culturali sono un limite allo scambio di informazioni e di capitali, carburante del progresso tecnologico e dell’innovazione. Filippo Taddei, capo economista del PD e beniamino di Renzi, ha perfettamente cristallizzato la politica da adottare in un tale contesto: tassare ciò che è immobile per favorire ciò che è mobile. Principio sommamente valido per il mercato del lavoro: salari più alti garantiti per chi è disposto a esser mosso come una pedina su quella scacchiera che è l’economia globale, salari ridotti o disoccupazione diretta per chi invece di lasciar i propri luoghi non ha intenzione.
Se è vero che la civiltà occidentale è nata con la sedentarietà, e non col nomadismo, dunque la barbarie, al quale essa sembra infine ritornare, urge una decisa, per quanto costosa, resistenza culturale in favore della stabilità, della permanenza, del restare. Nel frattempo, come direbbe il filosofo scozzese Alasdair MacIntyre, aspettiamo non Godot, ma un moderno San Benedetto, padre della stabilitas loci, che venga a salvarci dalla barbarie.


Elogio della sedentarietà (http://www.lintellettualedissidente.it/economia/elogio-della-sedentarieta/)

Logomaco
12-05-16, 01:28
Da brividi. Se questi figuri non vengono fermati in qualche modo si prospetta un futuro greve

LupoSciolto°
12-05-16, 08:29
La sinistra è ormai la migliore alleata del grande capitale. PD = Democratic Party. E ho detto tutto.