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Visualizza Versione Completa : Libri, riviste, pubblicazioni varie.



Kavalerists
05-05-16, 21:34
Per tutti i partecipanti al forum che intendono segnalare pubblicazioni interessanti, da leggere e, perché no? da discutere.

Kavalerists
08-05-16, 21:05
suggerimento di Erdosain:

Editori Laterza :: Haim Burstin: Rivoluzionari

(http://www.laterza.it/index.php?option=com_content&view=article&id=1732:haim-burstin-rivoluzionari&catid=35:universita&Itemid=103) Rivoluzionari
http://www.laterza.it/immagini/copertine/9788858119464.jpg (http://www.laterza.it/immagini/copertine-big/9788858119464.jpg)
Haim Burstin
Rivoluzionari
Antropologia politica della Rivoluzione francese
- disponibile anche in ebook (http://www.laterza.it/schedalibro.asp?isbn=9788858124093)


Edizione:
2016


Collana:
Storia e Società


ISBN:
9788858119464


Argomenti:
Storia moderna (http://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&task=cercacatalogo&&contesto=varia&Itemid=97&argomento=21-5), Storia d'Europa (http://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&task=cercacatalogo&&contesto=varia&Itemid=97&argomento=21-9)





Pagine: 336
Prezzo: 25,00 Euro
Acquista (http://www.laterza.it/index-shopping.asp?azione=inserimento&isbn=9788858119464)


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In breve Dal 14 luglio 1789 fino alla caduta di Robespierre, la Francia vive cinque anni di sconvolgimenti che rifondano lo Stato e la società, fissano nuovi valori di riferimento, suscitano una straordinaria adesione. Se molto è stato scritto su questo evento fondatore, meno si è indagato sugli uomini che ne sono stati gli artefici: i rivoluzionari. Chi erano questi uomini comuni che si impegnarono in un percorso spesso senza ritorno? Quando si manifestò in loro la prima presa di coscienza di rivoluzionari? Quando ruppero i ponti psicologici con il passato e si proiettarono verso un futuro tutto da immaginare? Quali furono le modalità di adesione, i meccanismi di attrazione o di repulsione attivati dalla rivoluzione? E una volta entrati in questa dinamica, fu possibile uscirne? Analizzando gli elementi che contribuiscono a formare la complessa personalità del rivoluzionario, Haim Burstin offre una sequenza delle emozioni e delle aspettative suscitate da una rivoluzione in cammino e mostra come tali tensioni entrino in un particolare sistema di creazione del consenso e di affermazione di un’egemonia politica. Un approccio di tipo antropologico che consente di far nuova luce su una tempesta che ha trasformato il mondo.


(http://www.laterza.it/index.php?option=com_content&view=article&id=1732:haim-burstin-rivoluzionari&catid=35:universita&Itemid=103)

Erdosain
09-05-16, 15:28
Lo comprerò a breve, appena finirò un saggio che ho appena iniziato: Storia della rivoluzione francese (http://www.libreriauniversitaria.it/storia-rivoluzione-francese-soboul-albert/libro/9788817125529) di Albert Soboul, eminente storico marxista (militante ma non fazioso), accostabile a studiosi come Lefebvre e Mathiez. Già nelle prime pagine le sue posizioni sono chiare:

E’ ormai evidente che la rivoluzione non è un’esplosione unica produttrice immediata di un sistema perfetto e immutabile perché conforme alle leggi della ragione, ma un processo evolutivo, un lungo cammino verso la terra promessa. […] Esplosione immediata o lungo processo: i rivoluzionari più preveggenti e anche più coerenti si sforzarono di spingere oltre l’analisi ben sapendo che una rivoluzione non consiste solo nella conquista del potere ma in una trasformazione profonda delle strutture sociali.

Necessità politiche: il successo della rivoluzione richiede la distruzione dell’antico ordine, se necessario con l’illegalità e la violenza. […] «Cittadini, volete una rivoluzione senza rivoluzione?» […] Senza nascondersi il pericolo che comportava la sospensione delle garanzie legali che, in tempi normali, salvaguardavano i diritti dell’uomo e del cittadino, Robespierre affermava con franchezza la necessità della violenza rivoluzionaria: «La forza è forse fatta solo per proteggere il delitto?».

Necessità sociali: «La forza delle cose» dichiarò Saint-Just l’8 ventoso anno II (26 febbraio 1794) «ci conduce forse a risultati ai quali non avevamo pensato.» La forza delle cose: vale a dire la logica della rivoluzione, gli imperativi della difesa nazionale e della difesa rivoluzionaria, indissolubilmente legati. E anche più esplicitamente: «Pensate che un impero possa sussistere se i rapporti civili [ossia sociali] dipendono da coloro che sono contrari alla forma di governo?». Saint-Just enuncia qui la legge della concordanza necessaria; non basta impadronirsi del potere, bisogna proseguire col rivoluzionare le strutture e i rapporti sociali. «Coloro che fanno una rivoluzione a metà non fanno che scavarsi una tomba.» […] Una rivoluzione che si ferma, indietreggia.

Erdosain
10-05-16, 11:02
Visto che molti di noi leggono L'intellettuale dissidente, segnalo tre libri che usciranno a breve per il Circolo Proudhon


https://scontent-mxp1-1.xx.fbcdn.net/v/t1.0-9/13174162_1207020612672273_5575534120808614893_n.jp g?oh=8b85ae0289578f01fe9626f294d62f41&oe=57A43D77

LupoSciolto°
10-05-16, 18:34
Mi limito a mettere quelli che per me sono essenziali (tralascio volutamente Marx, Lenin, Guevara e Mao)

http://ecx.images-amazon.com/images/I/41kygav3hzL._SX312_BO1,204,203,200_.jpg

http://m2.paperblog.com/i/274/2743647/g-a-zjuganov-stato-e-potenza-a-cura-di-m-mont-T-8RHAoA.jpeg

https://www.debaser.it/resize.aspx?path=/files/2010%2F30253.jpg&width=250

http://www.scienzepostmoderne.org/Immagini/LibriCopertine/SocietaSpettacolo.jpg

http://mustbook.myblog.it/media/00/02/199580741.gif

http://www.circoloproudhon.it/cp/site/uploads/2015/02/10965479_930284117006451_121400263_n-215x350.jpg

Marcuse e Dèbord vanno letti per quello che sono. Non forniscono elaborazioni teoriche particolarmente "rivoluzionarie".

LupoSciolto°
10-05-16, 18:36
Interessante anche questa ricostruzione storica. Un tempo lo trovai in versione PDF

http://www.orionlibri.net/wp-content/uploads/2013/01/jeuneeuropebr.jpg

LupoSciolto°
10-05-16, 18:38
Questo, invece, DEVO ancora leggerlo

http://www.mondadoristore.it/img/I-misteri-della-sinistra-Jean-Claude-Michea/ea978885451229/BL/BL/82/NZO/8715ac15-e258-49dd-a8b5-48cb9f1e1498/?tit=I+misteri+della+sinistra&aut=Jean+Claude+Mich%C3%A9a

LupoSciolto°
12-07-16, 09:21
Sto leggendo questo interessante libro di Alain De Benoist

http://www.ilprimatonazionale.it/wp-content/uploads/2014/04/la-fine-della-sovranita-libro-71692.jpg

LupoSciolto°
07-11-16, 19:09
INTERESSANTE LIBRO DI GIORGIO GALLI PER CAPIRE COSA ERA UN TEMPO LA SINISTRA

http://thumbs4.picclick.com/d/l400/pict/182205965663_/La-Sinistra-Italiana-Politica-Giorgio-Galli-Il-Saggiatore-flammarion.jpg

Tyler Durden
04-12-16, 13:13
Caldamente consigliato:

Carlo Formenti - La variante populista, DeriveApprodi

http://www.deriveapprodi.org/wp-content/files_mf/cache/th_1dd1d6fe940b0becc9a0299f6069644e_formenti_cop.j pg
La variante populista « Derive Approdi (http://www.deriveapprodi.org/2016/09/la-variante-populista/)

Kavalerists
04-12-16, 15:10
Caldamente consigliato:

Carlo Formenti - La variante populista, DeriveApprodi

http://www.deriveapprodi.org/wp-content/files_mf/cache/th_1dd1d6fe940b0becc9a0299f6069644e_formenti_cop.j pg
La variante populista « Derive Approdi (http://www.deriveapprodi.org/2016/09/la-variante-populista/)
E a proposito dello stesso libro su segnalato da Tyler Durden ( bentornato! ), penso sia interessante la recensione apparsa su https://www.carmillaonline.com/2016/11/02/carlo-formenti-la-variante-populista/ e che mi sento decisamente di condividere.

Tyler Durden
04-12-16, 16:22
E a proposito dello stesso libro su segnalato da Tyler Durden ( bentornato! ), penso sia interessante la recensione apparsa su https://www.carmillaonline.com/2016/11/02/carlo-formenti-la-variante-populista/ e che mi sento decisamente di condividere.
Ciao, e grazie del bentornato! :)
Ho avuto diversi impegni che mi hanno tenuto lontano dal forum, ma nonostante ciò questi non mi hanno impedito di continuare ad analizzare e sviluppare il mio pensiero su argomenti di vario genere (soprattutto di ordine politico e filosofico). Tempo permettendo cercherò di essere più presente e di contribuire maggiormente alle discussioni, qui come in altre sezioni del forum. ;)

LupoSciolto°
04-12-16, 22:09
Bentornato Tyler! Fa piacere ritrovare utenti colti e preparati come te. Mi informerò al più presto riguardo il testo che hai segnalato.

Tyler Durden
05-12-16, 15:20
Ciao Lupo, grazie anche a te. :)

Kavalerists
09-12-16, 00:35
Rottamare Masstricht. Questione tedesca, Brexit e crisi della democrazia in Europa
Editore: DeriveApprodi (https://www.ibs.it/libri/editori/DeriveApprodi)
Collana: Fuorifuoco (https://www.ibs.it/search/?ts=as&query=deriveapprodi&filterSeries=fuorifuoco&searchField=Publisher)
Anno edizione: 2016
Pagine: 186 p. , Brossura


4 ° nella classifica Bestseller di IBS Libri - Società, politica e comunicazione - Politica e governo - Relazioni internazionali - Istituzioni internazionali
http://www.deriveapprodi.org/wp-content/files_mf/cache/th_1dd1d6fe940b0becc9a0299f6069644e_rottamare_mass tricht_cop_def.jpg

Da questo libro prende spunto questo ottimo articolo (https://www.carmillaonline.com/2016/12/07/la-questione-nazionale-ai-tempi-del-populismo/) , "La questione nazionale ai tempi del populismo", che rilancia il dibattito sul recupero del discorso sulla "questione nazionale" da parte dalla sinistra. Forse che qualcosa si sta muovendo a sinistra, dopo l'appecoronamento pluridecennale ai progetti di globalizzazione ordoliberista, ed ai diktat della finanza e delle varie entità sovranazionali che impongono alle classi medie e basse europee fame e miseria in nome del profitto delle oligarchie?

Lord Attilio
18-03-17, 00:16
Segnalo il nuovo libro di La Grassa, Petrosillo e Tozzato

L?ILLUSIONE PERDUTA. LINK ALL?ACQUISTO. (http://www.conflittiestrategie.it/llillusione-perduta-link-allacquisto)

http://www.conflittiestrategie.it/indice/wp-content/uploads/2017/03/lillusione-perduta-2.jpg

Lord Attilio
30-03-17, 18:48
Segnalo il nuovo libro di Losurdo sul Marxismo occidentale

materialismo storico: "Il marxismo occidentale. Come nacque, come morì, come può rinascere": il nuovo libro di Domenico Losurdo (http://materialismostorico.blogspot.it/2017/03/il-marxismo-occidentale-come-nacque_29.html)

https://1.bp.blogspot.com/-dhSAs2ZSzc0/WNqFwOCZe7I/AAAAAAAAB9c/OSWUIFgZK08Gge7NpDmrXRhptMuW8RKgACLcB/s1600/losmarxocc.png

A leggere l'indice, sembra uno dei suoi lavori teoricamente più fecondi.

LupoSciolto°
30-03-17, 18:55
Segnalo il nuovo libro di Losurdo sul Marxismo occidentale

materialismo storico: "Il marxismo occidentale. Come nacque, come morì, come può rinascere": il nuovo libro di Domenico Losurdo (http://materialismostorico.blogspot.it/2017/03/il-marxismo-occidentale-come-nacque_29.html)

https://1.bp.blogspot.com/-dhSAs2ZSzc0/WNqFwOCZe7I/AAAAAAAAB9c/OSWUIFgZK08Gge7NpDmrXRhptMuW8RKgACLcB/s1600/losmarxocc.png

A leggere l'indice, sembra uno dei suoi lavori teoricamente più fecondi.

Appena riesco lo ordino!

Kavalerists
13-05-17, 19:33
Segnalo l'ultima pubblicazione di Diego Fusaro:

https://img.ibs.it/images/9788806228316_0_0_300_80.jpg

e l'ottima disamina che dell'opera ne fa L'Intellettuale Dissidente :

Diego Fusaro e il coraggio di Pensare altrimenti

La recensione dell’ultimo libro di Diego Fusaro è anche un’occasione per fare i conti con le tante riserve preconcette che in troppi nutrono nei suoi confronti. Un’apologia di uno dei pochissimi filosofi che, riflettendo fuori dal coro del pensiero unico dominante, cercano di svegliare le masse dal sonno del dissenso
di Matteo Fais - 1 marzo 2017

Sarebbe bello potersi serenamente limitare a recensire il nuovo libro di Diego Fusaro, Pensare altrimenti, Einaudi 2017. Purtroppo invece, quando si parla del giovane filosofo, si deve prima di tutto scegliere se prenderne le difese, o condannarlo senza appello. Il suo personaggio, agli occhi della maggior parte della critica, offusca la possibilità di una lettura super partes e scevra da pregiudizi. Si dovrebbe adesso discutere del concetto di dissenso, il grande protagonista, come in un romanzo, della nuova avventura intellettuale raccontata in questo straordinario pamphlet, ma non è possibile, non in prima istanza almeno. Questo in ragione del fatto che, secondo alcuni – direi i soliti noti –, Fusaro non dovrebbe avere diritto di parola. Essendo vittima di ostracismo intellettuale e di una scellerata damnatio memoriae in vita, chi ne parla ha prima di tutto il dovere di affermare a chiare lettere che a questo filosofo deve essere permesso di esprimersi liberamente. La gran massa dei lettori e dei critici militanti ha già emesso la propria condanna come in passato accadde per Pasolini, salvo poi riesumarne il pensiero post mortem. “C’è chi viene al mondo postumo”, del resto, diceva Nietzsche in L’Anticristo. È il destino, a quanto pare, di ogni figura eterodossa e scomoda.

Contro Fusaro si è detto oramai di tutto. La pochezza intellettuale dei suoi detrattori tuttavia è tale che raramente gli si sono viste opporre delle controargomentazioni filosoficamente pregnanti. Essendo fondamentalmente il suo pensiero una fortezza a prova di bomba, la pletora di feroci leoni da tastiera e critici al soldo del pensiero unico dominante sono passati al contrattacco avvalendosi di ogni possibile colpo basso. Ingiurie, contumelie, spiacevoli insinuazioni sul suo conto. Dalla Nappi a salire – o scendere, se preferite – la canea di questo coro inurbano è stata assordante. Si tralascerà qui di confrontarsi con certe squallide posizioni che imputano il successo del nostro al fascino e alla mediaticità. A contrapporsi con chi adora sguazzare nel fango ci si lorderebbe inevitabilmente e ciò non è auspicabile.

Uno dei pareri più diffusi sul suo conto è quello secondo cui non sarebbe un serio e credibile intellettuale perché diffonde il suo pensiero sui social e, come in questo caso, a mezzo di agili pamphlet comprensibili anche a un pubblico di cultura medioalta. Questo popolo di stolti non ha evidentemente capito che Fusaro è un pensatore marxista e, per sillogistica conseguenza, un pensatore rivoluzionario. È nella natura di ogni vero uomo in rivolta, oltre che suo obbligo morale, trovare qualsiasi mezzo possa veicolare il proprio pensiero presso le masse. In tal senso, il Fusaro che posta video su YouTube e si avvale di ogni social media disponibile per diffondere idee gravide di sedizione è la quintessenza del vero intellettuale marxianamente inteso. Se il Comandante Che Guevara girava tra le capanne dei contadini analfabeti per convincerli della sua causa, il filosofo italiano utilizza giustamente, senza alcuna folle chiusura antimoderna, i nuovi strumenti a disposizione di chi voglia far sentire la propria voce. Si rassegnino i radical chic: vale più un Fusaro che getta nuova luce sugli oramai dimenticati Marx e Gramsci, con la sua divulgazione culturale, che un serissimo, anzi seriosissimo, studioso i cui testi rimarranno confinati entro una cerchia elitaria di cinquanta cultori della materia.

Sarà interessante pertanto, per recensire Pensare altrimenti, partire da una ferocissima stroncatura senza appello. Mi riferisco alla compiaciuta critica mossa da Michela Murgia, la scrittrice sarda, durante il suo consueto spazio nella trasmissione televisiva Quante Storie.

Meglio precisare fin da subito che la Murgia è una penna finissima, stilisticamente parlando. La lettura del suo Accabadora è ben più che consigliabile. In esso si ritrova una rara abilità nel mescolare profondissime conoscenze antropologiche a una forma avvincente e così vitale da far acquisire ai personaggi quasi un’esistenza al di fuori della dimensione cartacea. Per altro, se al suo collega Culicchia spetta il podio per aver dato vita letteraria all’esistenza del precario, lei è stata probabilmente la prima a raccontare con tragicomica ironia la dimensione infernale dei call center con il suo Il mondo dovrebbe sapere.

Sta di fatto che la giovane signora, quando ci si mette, dimostra nelle sue stroncature un sadismo compiaciuto stile ventennio, una vena censoria che non lesina fendenti e manganellate per il puro gusto di far gratuitamente del male. Questo se non altro il trattamento che ha riservato a Fusaro. Per giustificare la sua volontà di scontro, ha subito premesso che lei può permettersi di parlare delle storture dell’attuale sistema capitalistico per il fatto di provenire da una famiglia di modeste condizioni economiche e di aver vissuto sulla propria pelle il dramma di decine di lavori con contratti senza diritti. Non si capisce perché questo le darebbe maggior diritto rispetto a Fusaro, avendo vissuto anch’egli il precariato in prima persona. Non sussiste motivo, insomma, per cui la denuncia di ingiustizie e distorsioni debba essere di suo esclusivo appannaggio.

L’altro punto immensamente comico è che la Murgia accusi Fusaro di piegare la storia della filosofia a suo vantaggio, o se non altro di muoversi al suo interno con una certa libertà

Basterebbe leggere Aristotele, Hegel, Popper, Heidegger, ecc. Ogni grande pare avere questo vizio, o pregio che dir si voglia. Non si comprende perché solo a Fusaro non dovrebbe essere riconosciuta una tale franchigia, che è stata invece ampiamente tollerata nei secoli dei secoli. Non è per altro che tutti i filosofi da Platone a Gramsci gli diano ragione, cara Murgia. Egli critica Habermas, prende le distanze da Toni Negri, Bernard-Henri Lévy, Slavoj Žižek. Sono nomi eccellenti quelli con cui dichiara senza mezzi termini di non avere niente a che fare. Tra parentesi, poi, non è che siano loro a dargli ragione, casomai è il filosofo italiano a dar loro ragione. Si potrebbe pure scomodare il noto Carmelo Bene che dice: “Arrivati a un certo punto non si è più d’accordo con Baudelaire, si è Baudelaire”.

Non paga di queste furberie come colpi bassi di un lottatore sleale, la scrittrice sarda tira fuori il pugno di ferro. Eccola citare con orrore un passo sugli studi di genere e chiudere in bellezza attribuendo impunemente al nostro Diego niente di meno che l’essere “contro l’uguaglianza tra i generi e gli orientamenti sessuali”. Praticamente, alla fine di questi due, o tre minuti di accanimento persecutorio – come se si potesse seriamente decostruire un libro in due minuti – è riuscita a far figurare Pensare altrimenti come una sorta di Mein Kampf 2.0. Follia allo stato puro, o forse meglio sarebbe parlare di malafede da parte di una persona troppo intelligente per non essere consapevole del peso delle proprie parole. Fusaro descrive mirabilmente questa tendenza dell’intellighenzia di pseudo sinistra con l’espressione di reductio ad Hitlerum. Nella fattispecie, la strategia è quella di prendere una frase del libro, decontestualizzarla et voilà eccoti servito il nuovo idolo negativo. Esattamente quello che fa la Murgia che, con grande leggerezza, ci presenta un Fusaro “nemico dell’evoluzione dei diritti della società civile” conseguiti nel nostro paese in “questi ultimi anni”. Suppongo la scrittrice sarda si riferisca, per esempio, alla questione delle unioni civili. Vediamo dunque, giusto per stare alle parole messe nero su bianco, cosa scrive il filosofo incriminato in merito:

Lotte di per sé giuste come quella per le unioni civili omosessuali, quelle del femminismo e dell’animalismo radicale rivelano, in quanto completamente disgiunte dalla questione sociale e dall’opposizione al fanatismo economico, che una nuova cultura postborghese e postproletaria ha sostituito ai valori centrati sulla dignità del lavoro e dei diritti sociali e, con essi, la contestazione operativa del modo capitalistico della produzione […] Così, astrattamente, secondo la dinamica in atto, ciascuno si potrà sposare con chi vuole, ma, in concreto, pressoché nessuno potrà sposarsi, complici le condizioni precarie e flessibili del lavoro e, con esso, degli stili di vita.
L’emancipazione intesa in forma non illusoria dovrebbe consistere non già nell’astratto riconoscimento giuridico della relazione sentimentale e del progetto di vita di due individui (omosessuali o eterosessuali che siano), bensì nel fatto che essi possano disporre di un lavoro garantito e di un salario, di diritti sociali e di tutele, di modo che la loro relazione, oltre a essere riconosciuta in astratto, possa anche esistere in concreto

Basterebbero questi pochi passaggi per dimostrare che i giudizi pronunciati su Fusaro sono del tutto infondati, surrettizi, e caratterizzati da criminosa disonestà intellettuale. Nessuna stigmatizzazione dei costumi sessuali di chicchessia, ma piuttosto un invito ad aprire gli occhi sul fatto che, da parte della classe politica, la concessione dei diritti civili viene elargita a detrimento di quelli sociali. Spiace per Michela Murgia, ma non esiste passo dove il giovane professore inviti allo sterminio degli omosessuali, o dica che questi sarebbero inferiori agli altri esseri umani. Preso atto con profondo disgusto di tanta pochezza e dell’acrimoniosa scorrettezza dimostrata, veniamo al testo.

Tra i grandi meriti di Fusaro, ve n’è uno di rado citato: la sua prosa è veramente incalzante. Non si trascina mai in modo stanco. È carica sul piano concettuale, ma incede con singolare leggiadria. Fa venire voglia di leggere, senza sosta. Pur essendo un testo filosofico, coinvolge come un romanzo. Proprio come si trattasse di un’avventura, viene raccontata al lettore la storia del Dissenso: un personaggio ideale e al contempo estremamente concreto, multiforme, e difficilmente circoscrivibile. Il filosofo ne traccia un ritratto all’interno della storia delle idee, ne descrive le molteplici declinazioni sul piano pratico, dal dissenso noto come riformismo, fino a quello che si concretizza nella figura del rivoluzionario. Incredibilmente illuminante è poi la descrizione del rapporto che la democrazia teoricamente dovrebbe intrattenere con questo:

Il governo che non solo accetta e non reprime il dissenso, ma che trova in esso la sua forza e non la sua debolezza

C’è tanto in questo libro e Fusaro dà prova come al solito, tra riferimenti filosofici, letterari, e finanche poetici, di avere una cultura sterminata. Chi lo conosce e lo segue vi ritroverà molti aspetti del suo pensiero già ascoltati nelle più disparate occasioni, con la differenza di trovarsi qui al cospetto di una trattazione coesa e sistematica.

Pensare altrimenti è un vero e proprio manuale di sopravvivenza per tutti coloro che cerchino una via di fuga attiva dalla logica asfittica del pensiero dominante. Adatto per chi ha già avuto un sussulto di coscienza, o sia sulla buona strada. Fusaro indica la via, chiarisce le idee, insegna a non cadere vittima di quel potere occulto che guida il consenso, determinando molte volte anche il dissenso. L’invito è a non cedere e mantenere sempre fermo uno sguardo lungimirante, qualunque battaglia si stia combattendo: ogni lotta, se non vuole ridursi alla sterilità, deve essere sussunta entro l’orizzonte ideale della guerra al nemico principale, il neoliberismo e le disparità di classe. Il tutto nella consapevolezza che “l’individuo isolato non può cambiare le geometrie dell’esistente”.

La soluzione è una sola. Ce l’aveva già fornita il poeta di Recanati.

… Il dissentire e l’ira gravida di buone ragioni restano oggi imprigionati negli antri della coscienza degli individui artatamente scissi dal tessuto comunitario, impossibilitati, nel tempo del legame infranto e dell’autismo generalizzato, a dare vita alla «social catena»

Dunque la soluzione è fare comunità, unirsi, riscoprire la coscienza di classe, verticalizzare nuovamente il conflitto. La cosa sembra semplice, di traslucida e cristallina elementarità direi. Se non l’avevate capito da soli, non sbraitate contro Fusaro che cerca di spiegarvelo. Piuttosto, prendetevela con voi stessi.

Diego Fusaro e il coraggio di Pensare altrimenti | L' intellettuale dissidente (http://www.lintellettualedissidente.it/filosofia/il-coraggio-di-pensare-altrimenti/)

Kavalerists
11-06-17, 19:53
Segnalo il nuovo libro di Losurdo sul Marxismo occidentale

materialismo storico: "Il marxismo occidentale. Come nacque, come morì, come può rinascere": il nuovo libro di Domenico Losurdo (http://materialismostorico.blogspot.it/2017/03/il-marxismo-occidentale-come-nacque_29.html)

https://1.bp.blogspot.com/-dhSAs2ZSzc0/WNqFwOCZe7I/AAAAAAAAB9c/OSWUIFgZK08Gge7NpDmrXRhptMuW8RKgACLcB/s1600/losmarxocc.png

A leggere l'indice, sembra uno dei suoi lavori teoricamente più fecondi.

Interessante e corposo articolo ( molto più di una semplice recensione ) sull'ultima fatica di Losurdo:

SUL MARXISMO OCCIDENTALE E SULLA CRISI DEL COMUNISMO IN ITALIA ? Partito Comunista Italiano (http://www.ilpartitocomunistaitaliano.it/2017/06/11/sul-marxismo-occidentale-e-sulla-crisi-del-comunismo-in-italia/)

LupoSciolto°
13-10-17, 00:20
Un po' datato ma comunque interessante (conto di finirlo in due settimane)

http://www.faitalibri.com/libri/9929.jpg

CPisacane
27-10-17, 20:16
https://laboratorioodradek.files.wordpress.com/2013/05/fanon-i-dannati-della-terra.pdf

Libro che non può esser dimenticato!

LupoSciolto°
28-10-17, 11:14
https://laboratorioodradek.files.wordpress.com/2013/05/fanon-i-dannati-della-terra.pdf

Libro che non può esser dimenticato!

Grazie anche a te per la segnalazione.

Orla
28-10-17, 11:47
Visto che avete citato Fanon chiedo anche qui, che non riesco a venire a capo di una cosa. Il traduttore italiano di Fanon che è stato uno psichiatra di fama e collaboratore di Basaglia, afferma in un suo libro che Fanon subì ben due attentati quando venne in Italia, a Roma se non ricordo male. Nel primo attentato morì anche un poliziotto, il secondo fu tentato nell'ospedale in cui stava ma i servizi italiani avevano spostato Fanon e la moglie in un piano diverso quindi non andò a buon fine. Questo attentato a Fanon sarebbe il primo compiuto dalla Mano Rossa su territorio non francese. Io ho cercato info online ma non ho trovato niente di niente. Può essere che una personalità in vista dica queste cose ma non si abbia nessun riscontro?

Kavalerists
28-10-17, 12:26
Visto che avete citato Fanon chiedo anche qui, che non riesco a venire a capo di una cosa. Il traduttore italiano di Fanon che è stato uno psichiatra di fama e collaboratore di Basaglia, afferma in un suo libro che Fanon subì ben due attentati quando venne in Italia, a Roma se non ricordo male. Nel primo attentato morì anche un poliziotto, il secondo fu tentato nell'ospedale in cui stava ma i servizi italiani avevano spostato Fanon e la moglie in un piano diverso quindi non andò a buon fine. Questo attentato a Fanon sarebbe il primo compiuto dalla Mano Rossa su territorio non francese. Io ho cercato info online ma non ho trovato niente di niente. Può essere che una personalità in vista dica queste cose ma non si abbia nessun riscontro?
In questo sito se ne fa un accenno:

Frantz Fanon. Attualità di un pensiero rivoluzionario (http://www.marx21.it/index.php/storia-teoria-e-scienza/storia/509-frantz-fanon-attualita-di-un-pensiero-rivoluzionario)

Questo è il breve passo che riporto:

"Nel giugno del 1959 fu vittima di un grave incidente nella regione di Oujda, lungo la frontiera tra Algeria e Marocco: la sua auto saltò su una mina. Trasportato a Roma clandestinamente per essere curato, sfuggì ad un attentato da parte di un organizzazione di ultranazionalisti francesi e tornò a Tunisi per passare la convalescenza."

Qualcosa anche qui:

https://books.google.it/books?id=hxyRF8Ve7wYC&pg=PA6&lpg=PA6&dq=attentato+a+Fanon&source=bl&ots=vpJWieNJd3&sig=QL6Q6MyaJyqilL0n8mCPAdLO92E&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwj0x52XjJPXAhXEbFAKHXA9AtkQ6AEITzAG#v=on epage&q=attentato%20a%20Fanon&f=false

Ma non ho trovato nulla di più preciso e dattagliato.

Orla
28-10-17, 13:42
Nemmeno io, ma sono certa di aver letto che nell'attentato in Italia c'è stato un morto. Mettiamo che il morto non ci sia stato e si sia trattato di un ferito grave: è comunque una notizia che nelle cronache dovrebbe esserci. Anche perché la stampa italiana fu accusata di leggerezza perché pubblicò il nome dell'ospedale e il reparto in cui fanon fu ricoverato

Kavalerists
28-10-17, 14:21
Nemmeno io, ma sono certa di aver letto che nell'attentato in Italia c'è stato un morto. Mettiamo che il morto non ci sia stato e si sia trattato di un ferito grave: è comunque una notizia che nelle cronache dovrebbe esserci. Anche perché la stampa italiana fu accusata di leggerezza perché pubblicò il nome dell'ospedale e il reparto in cui fanon fu ricoverato

Non saprei cosa dirti, non son riuscito a trovare altro.

Orla
28-10-17, 14:43
Grazie! io avevo trovato solo gli accenni del traduttore, due link in più sono una piccola conferma che qualcosa è effettivamente successo anche se già sembrano versioni differenti. Io mi aspettavo tipo qualcosa nell'archivio dell'Unità

LupoSciolto°
29-10-17, 08:46
Giuro che non ne sapevo nulla!

CPisacane
09-11-17, 18:47
Nel centenario dell'Ottobre, un libro e un documento unico:
-Dieci giorni che sconvolsero il mondo-
https://cambiailmondo.files.wordpress.com/2017/09/john_reed_dieci_giorni_che_sconvolsero_il_mondo.pd f

LupoSciolto°
09-11-17, 19:57
Nel centenario dell'Ottobre, un libro e un documento unico:
-Dieci giorni che sconvolsero il mondo-
https://cambiailmondo.files.wordpress.com/2017/09/john_reed_dieci_giorni_che_sconvolsero_il_mondo.pd f

Lo salvo!

Kavalerists
25-07-18, 17:35
DOPPIOPESISMO TEDESCO di Marcello Foa
[ 25 luglio 2018 ]

https://4.bp.blogspot.com/-4vo94tGj7YY/W1gg2jCWNJI/AAAAAAAAekU/JY1hrqU49nU4PtGBcEZWsyZ_60BiSnkhACLcBGAs/s1600/Copertina%2Bfinale.jpg


Marcello Foa sulle Doppie morali dell'euro di Sergio Cesaratto
In quest’epoca di lodevole rottura dei frame dominanti, suggerisco la lettura di un economista tanto pacato nello stile e d’indole discreta, quanto preciso e lucido nei giudizi. Si chiama Sergio Cesaratto e qualcuno potrebbe arricciare il naso sapendo che è un keynesiano convinto e dichiarato. Ma nel suo ultimo libro si parla non di riforme economiche o monetarie, quanto di morale, di rispetto delle regole da parte soprattutto della Germania.

Lo avete capito: il saggio “Chi non rispetta le regole? Italia e Germania, le doppie morali dell’euro” (Imprimatur), non piacerà agli economisti e agli osservatori che, da oltre un decennio, sono vittime di un complesso di inferiorità nei confronti dei partner europei e soprattutto dei tedeschi; complesso che, nei casi più acuti, sfocia in un inguaribile e per me incomprensibile autorazzismo.

Eppure proprio costoro dovrebbero leggere e soprattutto meditare Cesaratto, per la solidità delle sue osservazioni volte non a denigrare la Germania e nemmeno a nascondere le storture dell’Italia (il suo, sia chiaro, non è un pamphlet), bensì a osservarla con uno sguardo disincantato e obbiettivo.

Nietzsche scriveva che “il genio tedesco mescola, media, imbroglia e moralizza” e mi immagino già il lettore sobbalzare.

Nietzsche era un filosofo e il suo giudizio tagliente ma analizzando il comportamento della classe dirigente di Berlino negli ultimi trent’anni, incluso ovviamente il periodo della moneta unica, vien da pensare che forse quell’aforisma, seppur provocatorio, indicasse la tendenza delle élites tedesche a considerare un solo giudizio valoriale: quello del proprio interesse, ostentatamente e fastidiosamente ammantato di moralismo.

Basti pensare a come è stata trattata la Grecia o alle recenti copertine antitaliane di certi settimanali o ai giudizi sprezzanti di alcuni politici sul nuovo governo Lega-5Stelle: la propensione a giudicare e a denigrare è ricorrente. Peccato che, come ogni moralismo, nasconda un’altra verità, non propriamente lusinghiera, quella di un egoismo talmente sfrontato da risultare offensivo agli occhi di chi ha la lucidità intellettuale di vederlo. Ovvero per pochi. Sì, perché i media germanici non brillano per capacità di autocritica e sono molto allineati con gli interessi e le visioni della propria classe dirigente, mentre quelli europei trattano la Germania con un evidente timore riverenziale.

Se avessero solo un po’ di coraggio, denuncerebbero le ipocrisie delle banche di Francoforte che hanno istituito un doppio standard, secondo cui i debitori degli altri Paesi sono degli inguaribili peccatori, che vivono al di sopra dei propri mezzi mentre chi permette che questo accada, ovvero i creditori (tedeschi), esenti da ogni responsabilità e da tutelare. Troverebbero documenti circostanziati sull’ipocrisia del salvataggio della Grecia, che si è tradotto in un nuovo, immenso affare per la Germania. Denuncerebbero con forza la sistematica violazione di alcune delle regole europee di cui, naturalmente, Berlino reclama, per gli altri, un rispetto inflessibile.

Già Vladimiro Giacché, nel suo notevole saggio Anschluss, aveva evidenziato il doppiopesismo dei tedeschi, dimostrando il cinismo predatorio della riunificazione, tradottosi in ruberie dalle proporzioni colossali, ora Cesaratto, in un volume di poco più di 100 pagine, completa il quadro parlando del periodo dell’euro, al fine non di dar lezioni alla Germania, bensì di inquadrarla in una prospettiva realistica, spogliata da un’ingiustificata arroganza etica e ricondotta nella sua giusta dimensione, quella di un Paese indubbiamente di successo ma non infallibile, né intrinsecamente superiore e che va affrontato, in ogni negoziato, a testa alta. Senza complessi, senza sudditanza psicologica.


da politicaeconomiablog

http://sollevazione.blogspot.com/2018/07/doppiopesismo-tedesco-di-marcello-foa.htmlhttp://

Tyler Durden
23-11-18, 22:23
Segnalo:

Karl Marx: un’interpretazione

Questo volume postumo, introdotto da Luca Grecchi e curato da Alessandro Monchietto, entrambi allievi dell’Autore, rappresenta una sintesi matura del pensiero di Costanzo Preve sul pensatore di Treviri. Il saggio ricostruisce, infatti, un profilo completo della figura di Karl Marx, nel suo lavoro di filosofo, economista, scienziato sociale e militante politico, problematizzandolo alla luce del pensiero comunitarista, inserendolo cioè in una tradizione filosofica umanista e anticapitalista, tutt’oggi attuale, forse ancora più che in passato.

Costanzo Preve (1943-2013) è stato un filosofo italiano di provenienza marxista. Dopo una formazione universitaria eclettica tra Torino, Parigi, Berlino e Atene e la laurea in Scienze Politiche, ha insegnato storia e filosofia a Torino. Contemporaneamente ha sempre partecipato al dibattito filosofico, culturale e politico all’interno del marxismo italiano. Dopo il 1991, si è occupato principalmente di un riesame critico del comunismo storico e dei suoi limiti, dando vita ad una corrente di pensiero comunitarista e comunista, fondata sulla lezione filosofica di Aristotele, Hegel e Marx.

Karl Marx: un?interpretazione ? NovaEuropa Edizioni (http://www.novaeuropa.it/prodotto/karl-marx-uninterpretazione/)

Marx idealista

Il pensiero di Marx può essere interpretato come il compimento della filosofia dell’idealismo tedesco?
In questi saggi Diego Fusaro analizza l’ontologia marxiana al di là delle apparenze e dei luoghi comuni proposti dal marxismo classico, per rintracciare i punti di consonanza non immediatamente evidenti tra il pensiero del filosofo tedesco e le modalità avanzate dall’idealismo classico.
Ciò che emerge è un conflitto a tratti paradossale: da una parte, la volontà manifesta di abbandonare l’idealismo hegeliano, dall’altra, l’effettivo permanere di Marx su questo terreno.

Diego Fusaro (Torino, 1983) è un saggista e filosofo italiano. Insegna storia della filosofia presso lo IASSP di Milano (Istituto Alti Studi Strategici e Politici). Studioso di Marx, Spinoza, Hegel, Fichte e Gramsci, è il curatore del sito internet Filosofico.net e, dal 2015, cura un blog per la versione online de “Il Fatto Quotidiano”. Ha pubblicato numerose opere, tra le più recenti si ricordano: Il futuro è nostro. Filosofia dell’azione (2014), Antonio Gramsci (2015), Pensare altrimenti (2017), Storia e coscienza del precariato (2018), Il nuovo ordine erotico (2018). Con Mimesis ha pubblicato: Europa e capitalismo (2015).

Marx idealista (http://mimesisedizioni.it/marx-idealista.html)

Kavalerists
17-01-19, 00:08
https://img.ibs.it/images/9788898582686_0_0_300_75.jpg


Contromano. Critica dell'ideologia politicamente corretta
Fabrizio Marchi
Editore: Zambon Editore
Anno edizione: 2018
In commercio dal: 22 ottobre 2018
Pagine: 367 p., Brossura

EAN: 9788898582686

Kavalerists
02-02-19, 09:44
IL SOCIALISMO È MORTO, VIVA IL SOCIALISMO di Carlo Formenti
[ 31 gennaio 2019 ]

Pubblichiamo la prefazione del nuovo libro di Carlo Formenti [nella foto].
https://2.bp.blogspot.com/-pL_zYf0gl_A/XFL9_Ho0IZI/AAAAAAAAgf0/5Fcfvwyuoa43HAyRn8_7Kci1zFnXs2LZwCLcBGAs/s320/carlo-formenti-632x456.jpg
Come lui stesso afferma, “se “La variante populista” aveva suscitato un vivace dibattito, questo non mancherà di provocarne uno ancora più feroce. Per rendervene conto vi basterà dare un’occhiata alla Prefazione”.



* * *

Secondo gli storici, la formula rituale “il re è morto, viva il re” sarebbe stata recitata per la prima volta nelle corti francesi del tardo medioevo, per poi diffondersi in altre nazioni europee. Questa ricostruzione storica mi interessa relativamente; più importante – considerato il titolo che ho scelto di dare a questo libro – mi sembra invece ragionare sul senso e sulla funzione dell’atto linguistico in questione. Il significato più banale è rintracciabile nella versione popolare che ne è stata coniata con il detto “morto un papa se ne fa un altro”: questa volgarizzazione ha il merito di mettere l’accento sulla continuità di un’istituzione (la Chiesa) che sopravvive nel tempo, trascendendo i singoli individui (i papi) chiamati di volta in volta a incarnarne l’esistenza e l’unità (senza dimenticare la valenza ironica del proverbio: cambiano gli interpreti, ma non cambia lo spartito di un potere che opprime chi sta sotto). Il tema della continuità è ancora più pregnante nella versione originale: dal momento che la vita stessa dell’istituzione monarchica è indissolubilmente associata al corpo del re, occorre che non si dia cesura temporale fra dipartita del sovrano e ascesa al trono del successore. Di qui, da un lato, l’ossessione per le politiche familiari intese a garantire la nascita di uno o più eredi al trono, dall’altro lato – considerato il rischio di intrighi, conflitti dinastici, ecc. da cui possono derivare vuoti di potere e guerre di successione -, il tono imperativo che affiora dietro le parole: “il re è morto, viva il re” è una frase performativa che intende non solo asserire, ma creare una situazione di fatto: la successione è avvenuta, l’unità dello stato è garantita.

Dal momento che non è mai facile sbarazzarsi del peso della tradizione, voglio sgombrare il campo da possibili equivoci. In primo luogo, scegliendo di titolare questo lavoro “Il socialismo è morto, viva il socialismo” non avevo in testa alcun intento ironico (non riusciremo mai a liberarci di questo mito, o simili); ma soprattutto non avevo alcuna intenzione di rivendicare una continuità: questo perché è mia convinzione che il socialismo sia realmente morto nelle forme storiche che ha conosciuto dalle origini ottocentesche all’esaurirsi delle spinte egualitarie novecentesche, prolungatesi per pochi decenni dopo la fine della Seconda Guerra mondiale. Non si è trattato di un evento (la caduta del Muro e il crollo dell’Urss hanno svolto la funzione di mera registrazione notarile del decesso), bensì di un’agonia durata dagli anni Settanta alla grande crisi che ha inaugurato il nuovo millennio. Oggi l’agonia è terminata ed è iniziata l’attraversata del deserto.
https://4.bp.blogspot.com/-Tea8xHngTZc/XFL8vPiApfI/AAAAAAAAgfk/bXTMnSrIPo04CABUMjjK1VhTCqt6bQn4ACLcBGAs/s320/cformenti.jpg

Secondo un parere diffuso, stiamo vivendo un’epoca in cui “il vecchio muore e il nuovo non può nascere”, per dirla con Gramsci. Personalmente, sono convinto che debba essere abbandonato l’atteggiamento di attesa passiva che quel “non può” rischia di giustificare. Il non può di Gramsci è associato alla concretezza d’un momento storico: il grande leader comunista scriveva da un carcere fascista dopo la sconfitta della rivoluzione; anche noi veniamo da una dura sconfitta, ma non siamo in carcere e viviamo in un momento di crisi sistemica radicale, da cui il nemico di classe non riesce a venir fuori. Il non può delle sinistre convertite al liberismo è di due tipi: 1) c’è il non può dei social liberali mainstream, che fa il verso al TINA (There Is No Alternative) della Thatcher, riconoscendo nel sistema neoliberale una realtà intrascendibile cui non si può fare altro che adattarsi; 2) e c’è il non può liberal progressista delle sinistre ”radicali” che si illudono di cambiare il mondo “partendo da sé”, attraverso pratiche di emancipazione individuale e di gruppo. Io penso invece che non sia possibile attraversare il deserto senza scegliere una direzione, e la direzione si trova abbandonando il non può per il deve. Se la crisi del vecchio perdura, il nuovo deve essere fatto nascere, e il nuovo è il socialismo: non quello d’antan, ormai morto e sepolto, bensì un socialismo del secolo XXI, da costruire a partire dalle concrete condizioni storiche: dalle trasformazioni subite dal modo di produrre, dall’autofagia del capitalismo globalizzato che divora se stesso, dalla ri-nazionalizzazione della politica, dal ritorno dello stato, dalle trasformazioni della composizione sociale e dalle nuove forme della lotta di classe. Viva il socialismo vuol dire questo: l’araba fenice deve risorgere dalle ceneri perché l’alternativa socialismo o barbarie non è mai stata tanto attuale come oggi.

La Prima e la Seconda Parte di questo lavoro – intitolate “Sinistre e capitale. Le relazioni pericolose” e “Popolo, nazione, stato e socialismo” – svolgono, nell’ordine, i due temi contenuti nel titolo generale: la morte del socialismo la prima, la necessità di farlo rinascere la seconda. La struttura del libro è simmetrica: i capitoli iniziali di entrambe le parti ospitano una serie di Tesi, rispettivamente 12 e 22 (ecco perché non c’è un capitolo conclusivo: le Tesi sono di fatto conclusioni anticipate). Ho scelto questa formula perché obbliga a esprimere il proprio pensiero in forma apodittica e semplificata, credo infatti che oggi occorra presentare le proprie idee e i propri giudizi in forma chiara, netta e inequivocabile, senza nascondersi dietro quei giri di parole, metafore, allusioni e svolazzi accademici tanto amati dalla maggior parte degli intellettuali di sinistra. I secondi capitoli di entrambe le parti (“Varianti sul tema” I e II) contengono una serie di “faccia a faccia” con il pensiero di autori che hanno esercitato una forte influenza sulle mie attuali posizioni teoriche (Antonio Gramsci, Ernesto Laclau, Samir Amin, David Harvey, Nancy Fraser, Mario Tronti per citarne solo alcuni), digressioni su argomenti che ritengo di importanza cruciale per comprendere la realtà contemporanea (movimenti populisti, ritorno dello stato, postdemocrazia, Unione Europea, scenari geopolitici, femminismo, questione nazionale, ecc.), nonché una serie di “recensioni polemiche” dedicate a lavori che mi hanno irritato.
https://2.bp.blogspot.com/-n9gcIkkWsFc/XFL9iYLEkBI/AAAAAAAAgfw/4PzvIdbB08wHFMKySe3K5C1pjuFIPfIOACEwYBhgL/s320/o.190748.jpg

Partendo dalla premessa che, con la sconfitta subita da parte della controrivoluzione liberal liberista iniziata alla fine degli anni Settanta, il movimento operaio non ha perso solo una battaglia, bensì la guerra, le dodici Tesi della Prima Parte descrivono il modo in cui le sinistre hanno svolto il ruolo di becchini dello sconfitto. Da un lato, le socialdemocrazie hanno adottato l’ideologia neoliberale, abbandonando la rappresentanza delle classi subalterne per assumere quella della nuova borghesia transnazionale e dei ceti medi emergenti; dall’altro, i “nuovi movimenti” (femministe, ecologisti, post operaisti e tutto il variegato circo di figli e nipotini del 68), deposte le velleità antagoniste nei confronti del sistema capitalista, si sono concentrati sulle rivendicazioni dei diritti individuali e delle minoranze sessuali, etniche o di altro genere. Nel successivo capitolo si descrivono i diversi rituali con cui si è celebrato il funerale del socialismo: dal matrimonio fra spirito antigerarchico del 68 e nuove culture capitalistiche di impresa, al rifiuto dello stato in quanto tale, rappresentato come fonte e incarnazione di ogni male; dall’alleanza “liberal progressista” fra femminismo emancipazionista e capitalismo “innovativo”(media, showbiz, New Economy, ecc.) all’uso del politically correct come arma di dissuasione contro la resistenza popolare nei confronti del pensiero unico. Il tutto condito dai paradigmi sfornati dalla cultura accademica made in Usa, veri strumenti egemonici del soft power americano: gender e cultural studies, postmoderno, postcoloniale, svolta linguistica delle scienze sociali, ecc. Senza dimenticare un paradosso: questa ondata di nuovismo, questa esaltazione ultramodernista e ultraprogressista, cerca di accreditarsi come erede delle sinistre storiche usando come foglia di fico le sole idee marxiste che meriterebbero realmente di scendere nella tomba: l’infatuazione per il presunto ruolo emancipatorio del capitalismo, l’esaltazione del progresso tecnologico (lo sviluppo delle forze produttive crea le condizioni per il superamento del capitalismo), l’incessante ricerca di un Soggetto privilegiato portatore d’una genuina coscienza rivoluzionaria. In poche parole: mentre si lascia marcire il cadavere del socialismo, si venerano le sue inutili reliquie.

Fin qui, chi ha letto i miei due libri precedenti (Utopie letali e La variante populista) troverà approfondimenti più che vere novità. Queste arrivano con le 22 Tesi e il successivo capitolo della Seconda Parte. In questa sezione (che non mancherà di alimentare le consuete accuse di populismo, sovranismo, rossobrunismo, fino all’iperbolico epiteto nazional socialista, tanto sballato da suscitare ilarità), sono infatti presentati i punti di vista più indigesti per gli appena evocati becchini/custodi di reliquie. Viene rilanciata, e arricchita di nuove argomentazioni, la tesi secondo cui il populismo è la forma che la lotta di classe tende ad assumere in una fase storica in cui le tradizionali identità sociali hanno perso consistenza e autoconsapevolezza. Ciò non significa affermare che il “popolo” (entità in sé generica e astratta) diviene il soggetto della rivoluzione, bensì che un movimento politico capace di aggregare un blocco sociale che accorpi diverse rivendicazioni (anche se parzialmente in competizione reciproca) che risultino incompatibili con il sistema capitalista nelle sue forme attuali, può “costruire” un popolo, può costruire cioè un’ampia alleanza di soggetti sociali che gli consenta di conquistare il governo e lanciare un programma di riforme radicali. Riforme perché, nelle attuali condizioni, è impensabile immaginare una transizione diretta al socialismo. Il processo dovrà assumere inizialmente il carattere di una rivoluzione nazional popolare e democratica, di una rivoluzione “cittadina” – neo giacobina – che ricostruisca sia le condizioni di una reale partecipazione popolare e democratica al processo decisionale, sia la possibilità di una ridistribuzione egualitaria del reddito. L’eventuale passaggio a una successiva fase socialista sarà il risultato contingente dei rapporti di forza fra gli strati di classe che compongono il blocco sociale e della lotta egemonica fra le forze politiche che li rappresentano. Lo strumento della trasformazione, e il campo di battaglia su cui si giocherà l’egemonia, non può che essere lo stato-nazione. La fine della grande narrazione globalista è sotto gli occhi di tutti: la politica si ri-nazionalizza e la lotta per il controllo dei mercati riassume l’aspetto dello scontro fra blocchi imperialistici mentre, al tempo stesso, la resistenza e la rivolta dei popoli stremati da decenni di politiche neoliberiste rende sempre più difficile alle élite dominanti gestire i loro business as usual. Per riuscirci devono de nazionalizzare, de politicizzare e de democratizzare la politica come si sono impegnati a fare costruendo quell’infernale strumento di guerra di classe dall’alto che è l’Unione Europea. Il libro insiste sui motivi per cui distruggere questa Europa dovrebbe essere l’obiettivo strategico di qualsiasi forza politica anticapitalista (non prima di aver ricostruito la storia del dibattito sulla questione nazionale interno al movimento operaio otto-novecentesco – tanto per infrescare al memoria ai cretini che si proclamano internazionalisti mentre ripetono a pappagallo le litanie del cosmopolitismo borghese ed esaltano un’Europa che incarna le idee dell’ultra liberale e ultrareazionario von Hayek).
Ampio spazio viene dedicato al pensiero di Ernesto Laclau e Antonio Gramsci, due autori che aiutano a capire come popolo, nazione e stato non siano i prodotti “naturali” di presunte leggi storiche, ma le tappe di un processo di costruzione politica che può generare esiti diversi a seconda di chi esercita l’egemonia sul processo. Sta a noi concepire il popolo-nazione come un soggetto in marcia verso la democrazia, e lo stato come il prodotto del farsi stato delle classi subalterne. Questi ultimi due punti sono dirimenti ai fini della definizione di cosa possa e debba essere un socialismo del secolo XXI. Liquidare definitivamente i conti con il becero antistatalismo di sinistre radicali e nuovi movimenti non implica ignorare il rischio di degenerazione autoritaria associato a ogni formazione statale. La sfida non va affrontata rilanciando l’utopia di un comunismo consiliare di cui l’esperienza storica ha più volte sancito il fallimento, il tentativo di realizzare una fusione fra stato e società civile si è rivelato disastroso sia quando la fusione si è realizzata dall’alto (come nel socialismo reale), sia quando si è sporadicamente tentato di fare il contrario. Ciò che occorre è piuttosto una rigorosa separazione fra il primo e la seconda: alla società civile va garantito il diritto (da costituzionalizzare) di costruire i propri organismi autonomi di rappresentanza, che devono avere la facoltà di opporsi a decisioni statali che ritengono in conflitto con i bisogni e gli interessi popolari. L’altro mito da consegnare all’eterno riposo è quello secondo cui nella società socialista non dovrebbero più esistere conflitti economici, sociali, politici, etnici, culturali, di genere, ecc. Questa visione irenica è il sintomo evidente dei residui millenaristici, del profetismo religioso che ispirava il movimento operaio delle origini. I conflitti interumani non spariranno mai (ed è per questo che il mito dell’estinzione dello stato è un’idiozia): il punto è se sapremo fare in modo che essi non assumano più la forma distruttiva che hanno avuto finora. Un’ultima annotazione: nel libro sottolineo in più occasioni come i programmi politici di quelli che definisco populismi di sinistra (da Sanders a Corbyn, da Podemos a Mélenchon) sarebbero stati definiti riformisti e neosocialdemocratici fino a non troppi anni fa (ridistribuzioni egualitarie del reddito, reintegrazione del welfare, ri pubblicizzazione di trasporti, sanità, educazione, nazionalizzazione di settori strategici e delle banche, ristabilimento del controllo politico sulla banca centrale, programmazione industriale, ecc.). Vero, ma, nelle attuali condizioni create da decenni di ristrutturazione neoliberale, questi obiettivi “moderati” assumono un’obiettiva valenza “sovversiva”, e comunque sono passi indispensabili per creare le condizioni per un avanzamento verso obiettivi più ambiziosi allo stato non definibili.

Concludo con alcune brevi considerazioni sull’Interludio e sull’Appendice. Non si tratta di corpi estranei appiccicati al testo principale per “fare volume”, bensì di parti organiche di questo lavoro. L’Interludio è dedicato al pensiero di David Harvey e Nancy Fraser e alla loro analisi sulla natura della crisi capitalistica in corso. Harvey e la Fraser hanno il merito straordinario di smontare il paradigma economicista che prevale nel marxismo, sia in quello classico/ortodosso sia nelle sue attuali forme degenerate. Entrambi rifiutano infatti la tesi secondo cui le crisi sarebbero l’esito esclusivo di contraddizioni “immanenti” al modo di produzione, e spostano l’attenzione sulle contraddizioni antagonistiche che si generano ai confini fra il sistema capitalista e il suo “fuori”. Harvey lo fa soprattutto attraverso la categoria di accumulazione per espropriazione, che gli consente di mettere in luce come il capitalismo non possa sopravvivere e riprodursi senza saccheggiare idee, risorse, relazioni sociali, culture, forme di vita esterne alle relazioni formali di mercato; la Fraser lo fa analizzando il complesso rapporto fra produzione e riproduzione sociale, mostrando come l’attuale fase di accumulazione si fondi paradossalmente sulla distruzione delle condizioni che consentono alla forza lavoro di riprodursi autonomamente, per cui il capitalismo sega letteralmente il ramo sul quale è seduto. La loro lezione è fondamentale per comprendere come il conflitto sociale tenda oggi ad assumere la forma capitale contro tutti, più che la forma capitale contro lavoro. Quanto all’Appendice si tratta della versione aggiornata di una sorta di cronaca in tempo reale delle esperienze più interessanti di lotta contro l’egemonia neoliberista che ripropongo in tutti i miei lavori recenti (in questa versione mi occupo, fra le altre esperienze, delle rivoluzioni bolivariane in America Latina, dei casi Sanders e Corbyn negli Stati Uniti e in Inghilterra, di Podemos in Spagna, di Mélenchon in Francia e dell’M5S in Italia).

https://sollevazione.blogspot.com/2019/01/il-socialismo-e-morto-viva-il.html

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grassetti, corsivi, e sottolineature sono del sottoscritto...

Tyler Durden
15-03-19, 16:07
Il socialismo è morto, Viva il socialismo – Intervista a Carlo Formenti

Enea Boria: Leggendo il tuo ultimo libro la prima sensazione che si prova è uno strappo doloroso. Non tanto per quello che riguarda un divorzio dalla sinistra ampiamente consumato, quanto per il lapidario giudizio sul ‘900 e quindi sull’esperienza storica e culturale dalla quale proveniamo, che per te sono da considerare definitivamente finiti. Questo però non lascia spazio al pessimismo. Abbiamo perso la guerra più che una battaglia, scrivi, ma poi aggiungi che la storia non è finita e che occorre ricostruire identità e capacità di mobilitazione intorno a un progetto che sia altro dal capitalismo. Per questo sostieni che bisogna cambiare prospettiva: non basta più limitarsi a ripetere, con Gramsci, che “il vecchio muore ma il nuovo non può nascere”, bisogna iniziare ad agire nel segno di un nuovo che “deve nascere”.
Mi sembra che nella prima parte del libro, sintetizzata nelle dodici tesi del primo capitolo, si evidenzi una continuità con due opere precedenti, “Utopie letali” e “La variante populista”, i cui contenuti vengono qui riproposti e sintetizzati in una necessaria pars destruens. Sgombrato il tavolo degli attrezzi consunti e ormai inservibili, nella seconda parte del libro, inaugurata da altre ventidue tesi, attrezzi il banco di lavoro con nuovi strumenti e abbozzi alcune istruzioni su come utilizzarli. In questo senso si potrebbe dire che Il socialismo è morto, viva il socialismo comincia esattamente là dove “La variante populista” concludeva. Era questo il tuo intento programmatico?

Carlo Formenti: Hai colto perfettamente lo spirito di questo mio nuovo lavoro. Nella prima parte – che tu giustamente definisci pars destruens – sono riproposti argomenti già ampiamente affrontati nei due libri precedenti, ma con una differenza sostanziale: qui il giudizio sul destino storico delle sinistre – tutte, non solo le socialdemocrazie ma anche le sedicenti sinistre radicali – è assai più netto, oserei dire liquidatorio. Non siamo più nell’ordine della crisi, ancorché radicale, di un discorso, parliamo della sua morte, una morte che non si riferisce solo ai partiti e alle loro ideologie, ma anche ai movimenti sociali che rappresentavano: a morire è il movimento operaio novecentesco con tutto il suo corredo di culture, esperienze, principi e valori. Queste forze non sono state solo sconfitte, sono state inglobate e omologate al sistema contro cui avevano combattuto fin dal XIX secolo, si sono arrese senza condizioni al neoliberismo, sposandone integralmente principi e obiettivi e facendosi portabandiera di strati sociali medioalti alleati e/o asserviti alle élite finanziarie globali.

Ed è vero anche ciò che dici della seconda parte. Per anni, di fronte alla crisi e allo smarrimento che essa suscitava nelle coscienze più consapevoli del disastro e al tempo stesso meno disposte ad adagiarsi sull’esistente, abbiamo recitato come un mantra il detto di Gramsci “il vecchio muore ma il nuovo non può (ancora) nascere”, con una sorta di passiva rassegnazione alla Eduardo De Filippo (a da passà a nuttata). Già nella parte conclusiva de “La variante populista” accennavo alla necessità di cambiare registro, prendendo atto che il nuovo non nasce da solo, che se l’ostetrica non interviene ad agevolare un parto difficile rischiano di morire sia il bambino che la madre. Fuor di metafora, ciò vuol dire che il capitalismo non muore da solo, che le sue crisi sempre più acute e ravvicinate rischiano piuttosto di far morire la civiltà umana e addirittura di cancellare la vita stessa da questo pianeta. Ecco perché il socialismo, estinto nelle sue forme storiche, si riaffaccia come unica, ineludibile alternativa al caos e alla barbarie. Quindi come lascia intendere il titolo di questo nuovo libro, bisogna cominciare a raccogliere le energie e le forze sociali, culturali e politiche per riprendere una lotta contro il capitalismo che assume oggi la natura di vera e propria lotta per la sopravvivenza della civiltà e del genere umano.

Enea Boria: Riparto dalle prime dodici tesi. Uno dei temi che le attraversa è quello del rapporto, tanto della sinistra quanto degli spezzoni ancora esistenti del movimento operaio di riconoscibile impronta marxista, tanto con il progresso – sia tecnologico che dei costumi – quanto con il progressismo, cioè col paradigma ideologico del progresso. Da questo punto di vista la tua critica è molto severa e aspra nei confronti di quell’ingenuo ottimismo – che presenti come residuo anacronistico del positivismo ottocentesco – che tende a stabilire un rapporto automatico fra il progresso lo scorrere del tempo.
L’idea che lo sviluppo delle forze produttive generi inevitabilmente un terreno di lotta più favorevole agli interessi delle classi subalterne, e l’idea che i cosiddetti lavoratori della conoscenza siano portatori di una carica e di una volontà rivoluzionarie, sono a tuo parere pregiudizi che i fatti storici si sono incaricati di falsificare. L’evoluzione della società che abbiamo di fronte, ci suggerisce l’esatto contrario: il progresso, che è oggi esclusivamente progresso capitalistico, non solo non è portatore di istanze di emancipazione in favore di sfruttati e oppressi ma è intrinsecamente associato a forme ancora più opprimenti di sfruttamento.
Ecco perché sostieni che quel socialismo rinnovato all’altezza delle sfide contemporanee che bisogna far nascere, non potrà essere pregiudizialmente progressista e, al contrario, almeno sotto alcuni aspetti, potrà e dovrà essere conservatore. Si tratta di costruire un nuovo paradigma di pensiero su questo tema, un compito molto complesso. Da quali idee possiamo partire per affrontarlo?

Carlo Formenti: Nel libro aggredisco il tema da diversi punti di vista. In primo luogo, credo che occorra prendere atto che nessuna delle rivoluzioni socialiste è avvenuta in un Paese industrialmente avanzato. Contrariamente alle previsioni di Marx le rivoluzioni russa, cinese e cubana (per citare solo queste tre) sono state effettuate da classi operaie in formazione alleate con larghe masse contadine e piccolo borghesi. Un blocco sociale che lottava per rovesciare vecchi regimi politici e sociali autoritari ma non per “modernizzare” i rapporti di produzione, come si è sostenuto da parte dei marxisti ortodossi. Al contrario: come già riconosceva Walter Benjamin, queste masse volevano piuttosto “tirare il freno a mano” del treno della storia, si opponevano cioè alla subordinazione dell’intera società al dominio dei rapporti capitalistici di produzione, volevano democrazia e libertà e non “sviluppo” capitalistico. I partiti che hanno imboccato la via della modernizzazione, sposando l’idea liberal borghese di progresso e illudendosi di poter competere con il capitalismo sul suo stesso terreno, hanno consegnato al fallimento l’esperimento del socialismo reale. Altra considerazione: tutte le grandi rivoluzioni industriali associate alle grandi rivoluzioni tecnologiche (vapore, elettricità, digitale) non hanno provocato un miglioramento dei rapporti di forza delle classi lavoratrici bensì un loro drastico peggioramento, favorendo un’intensificazione dello sfruttamento capitalistico e una riduzione delle capacità di associazione e contrattazione della forza lavoro nei confronti del capitale. Il pensiero marxista ortodosso non è mai riuscito a liberarsi dell’eredità positivista ed evoluzionista del XIX secolo che attribuisce all’avanzamento scientifico e tecnologico un carattere intrinsecamente progressivo, ignorando che la direzione di tale avanzamento è sovradeterminata dai rapporti di forza fra le classi sociali. Senza un ripensamento critico del dogma marxista che vede nello sviluppo delle forze produttive il presupposto indispensabile per la transizione da una civiltà capitalista a una civiltà socialista, non saremo mai in grado di costruire un socialismo del XXI secolo.

Enea Boria: Nella tua opera compi una lunga analisi sulle tesi di David Harvey, soffermandoti in particolare sulle modalità di aggressione del capitalismo nei confronti di tutte quelle forme di vita e di relazione sociale che sono esterne alla relazione mercantile.
Harvey definisce questa aggressione nei confronti di tutto ciò che non è mercato accumulazione per espropriazione. In uno dei suoi ultimi saggi, “Marx e la follia del capitale“, Harvey dedica l’intero sesto capitolo ad una accurata esegesi dei testi di Marx a proposito della tecnologia e del suo sviluppo. Secondo Harvey la sinistra ha trasformato lo sviluppo della tecnologia in un feticcio, dimenticando che mentre lo sviluppo tecnologico risolve certi problemi tecnici e operativi, ne crea contestualmente altri, per esempio alimentando bisogni non necessari che ci rendono schiavi. Harvey ritiene che Marx ne fosse già ampiamente consapevole per cui dovremmo limitarci a recuperarne il pensiero liberandolo dalle incrostazioni successive, una conclusione che mi è parsa sbrigativa.
Torno su questo tema perché negli incontri pubblici capita spesso di sentire molte persone che parlano della necessità di rivendicare reddito sganciato dall’attività lavorativa perché presto, per via dell’automazione, non ci sarà più lavoro. Da un lato, credo che questa sia una scappatoia ipocrita da parte d’una sinistra in via di estinzione, nel senso che dare il lavoro per morto la esime dal dover riorganizzare il conflitto nel e per il lavoro; dall’altro lato credo che anche l’analisi di fondo sia errata: laddove la robotizzazione è più avanzata il numero degli impiegati e degli addetti non necessariamente è diminuito, ma ha cambiato forma, per esempio da operai a sistemisti.
In ogni caso perché piangere, e lo dico dopo 15 anni di officina meccanica, se in futuro l’essere umano non dovrà più avvitare bulloni? Si apre un mondo di lavori dedicati al servizio alle persone o alla cura del territorio, lavori necessari e non automatizzabili, che però rinviano alla necessità di reinventarsi e rafforzare il ruolo economico dello Stato, in quanto si tratta di servizi pubblici che bisogna cercare di trascinare fuori dal mercato.
La sinistra si sottrae all’argomento e invoca l’elemosina, pur di non chiarire il proprio rapporto nei confronti dello Stato, della sua sovranità e delle sue prerogative. Come dobbiamo rispondere alle persone il cui lavoro è a rischio, che hanno paura del domani?

Carlo Formenti: Sul concetto di accumulazione per espropriazione mi riservo si tornare più avanti, in quanto chiama in causa la questione della costruzione di un nuovo blocco sociale anticapitalista che affronterò rispondendo alle tue osservazioni sulla seconda parte del libro. Condivido invece la considerazione critica in merito al modo in cui Harvey riparte da Marx nell’affrontare la questione dell’innovazione tecnologica: il problema non si risolve “depurando” il discorso marxiano dalle successive incrostazioni scolastiche. Il punto è che lo stesso Marx era influenzato dai pregiudizi ottocenteschi sul carattere intrinsecamente positivo dell’avanzamento tecnologico, per cui ribadisco quanto detto in precedenza: senza liberarci del paradigma che vede nello sviluppo delle forze produttive la condizione essenziale per il superamento del capitalismo non faremo sostanziali passi avanti.

Per quanto riguarda invece i discorsi delle sinistre (ricordo che il riferimento vale soprattutto per le tesi post operaiste di Negri e allievi) sulla “fine del lavoro”. Intanto è il caso di chiarire che quella della fine del lavoro industriale (quello che chiami stringere i bulloni) è una colossale idiozia: oggi ci sono molti più operai di prima, solo che stanno in Cina, India e altri Paesi in via di sviluppo, per cui il discorso sulla terziarizzazione riguarda solo noi occidentali. Ciò detto il problema è quale terziarizzazione. Quella generata dal neoliberismo consiste nel far proliferare i settori della comunicazione, del software, dell’industria culturale, della finanza, del commercio, ecc.. Quella che dovrebbe realizzare il socialismo del XXI secolo si riferisce invece, come dici tu, ai lavori socialmente utili. Ma qui è importante differenziarci dalle sinistre “benecomuniste”: per costoro queste attività dovrebbero essere “né pubbliche né private”, ma questa visione è perfettamente compatibile con il liberismo, vuol dire abbracciare la filosofia della “sussidiarietà”, dello smantellamento del welfare, inseguire l’illusione di un’alternativa che nasce “dal basso” convivendo pacificamente con il mercato e le istituzioni di uno Stato borghese che si vuole “minimo”, mentre centralizza le funzioni che garantiscono la riproducibilità dei rapporti di potere politici ed economici esistenti. Quindi la risposta che dobbiamo dare agli strati sociali che vengono massacrati dalla globalizzazione dei mercati, dalla perdita dei posti di lavoro, dalla riduzione dei salari, dalla gentrificazione dei centri urbani ecc. è, al di là delle singole rivendicazioni che si possono avanzare, che occorre lottare per ricostruire uno Stato forte (e democratico!) in grado di controllare il mercato e ridistribuire equamente le opportunità di accesso a un lavoro dignitoso e giustamente retribuito.

Enea Boria: Nella prima parte del libro citi i lavori di Thomas Piketty, il quale offre prove incontestabili dell’enorme aumento delle diseguaglianze nell’epoca che viviamo. Ho letto tempo fa una recensione de “Il capitale del XXI secolo” scritta da Heiner Flassbeck, economista all’università di Amburgo nonché collaboratore e consigliere di Oskar Lafontaine. Flassbeck sostiene che la forza e la debolezza dell’opera di Piketty stanno nel presentare un’analisi interna al paradigma economico dominante. È vero che gli economisti marginalisti e liberisti faticano a contestare il disastro sociale che Piketty denuncia, ma lo stesso Piketty è incapace di indicare una via di sviluppo alternativa, che affronti la questione della proprietà e non solo quella della redistribuzione, foriera di uguaglianza e giustizia. Piketty denuncia i problemi creati dal fatto che gli interessi sul patrimonio tendono a crescere più velocemente dei profitti industriali e dei redditi da lavoro per cui il capitalismo distrugge la società cristallizzandosi in rendita, ma poi li affronta solo sul terreno della redistribuzione, proponendo una drastica tassazione patrimoniale. Tuttavia, ricorda Flassbeck, una società nella quale l’aliquota marginale più alta del fisco sfiorava il 90% del reddito e le tasse di successione erano altissime è già esistita: sono gli Stati Uniti nel corso del cosiddetto trentennio glorioso, che certo non possono essere considerati un esempio di socialismo.
Si aggiunga che Piketty non dice niente in merito alla necessità che lo Stato sia attivamente partecipe dell’economia, promuova l’innovazione e si impegni a realizzare il pieno impiego; né ci dice niente in merito alla necessità di controllare il commercio internazionale per impedire che, attraverso trattati come il TTIP o sistemi monetari come l’euro, si producano polarizzazioni estreme della ricchezza e nascano relazioni di natura neocoloniale tra Stati. “Il Capitale del XXI secolo” conterrebbe quindi una critica dell’odierno capitalismo difficilmente contestabile, ma non fornirebbe strumenti per prospettare un’altra società. Cosa pensi di questa critica?

Carlo Formenti: Su questo non ho molto da dire. In effetti non ho mai sostenuto che Piketty ci possa offrire strumenti per andare al di là del sistema capitalista. Il suo contributo, tutt’altro che trascurabile, come confermano le rabbiose reazioni che ha suscitato da parte degli economisti di corte al servizio del regime liberista, è consistito nel dimostrare in modo inoppugnabile che questo sistema genera – né potrà evitare di continuare a generare – spaventose disuguaglianze. Ma occorre riconoscergli altri meriti: per esempio, nei suoi lavori spiega come l’egemonia politica delle élite si fondi sull’alleanza fra le esigue minoranze dei super ricchi e un non trascurabile blocco sociale (pari al 30% circa di americani ed europei) di strati medi emergenti (soprattutto nuove professioni, quadri delle imprese, ecc.) i quali, avendo avuto accesso a beni mobili e immobili sufficienti a garantire anche a loro rendite significative, hanno tutto l’interesse a conservare il sistema esistente. Inoltre ha dimostrato, in ricerche più recenti rispetto a “Il Capitale del XXI secolo“, che la base elettorale delle sinistre è sempre più costituita dagli aderenti a tale blocco sociale in tutti i Paesi occidentali, mentre i voti delle classi subalterne migrano verso le formazioni populiste di destra e sinistra. Ciò detto è chiaro che Piketty non è interessato a definire una strategia di fuoruscita rivoluzionaria dal sistema capitalista, e che le sue ricette politiche non vanno al di là di un generico neo-keynesismo.

Enea Boria: Nelle ventidue tesi che inaugurano la seconda parte del libro affronti, fra le altre, la questione del populismo. In particolare sostieni che non si tratta di un paradigma teorico, di un’ideologia politica in senso stretto, e che il popolo non va considerato come una entità naturale ma dev’essere costruito intorno a un’idea di cittadinanza; inoltre discuti il ruolo del leader nei movimenti populisti. Provo a sintetizzare il tuo punto di vista, a partire dalle analisi che proponi sul pensiero di alcuni autori.
Mi pare che negli anni il tuo giudizio su Laclau si sia evoluto. In “Utopie letali” suggerivi la possibilità che il suo pensiero potesse fornirci interessanti strumenti di lavoro ma ne osservavi l’opera con un certo distacco, trattandola sommariamente e segnalandone i limiti: criticavi la cancellazione delle differenze tra le categorie marxiste di classe in sé e classe per sé, la tesi secondo cui Gramsci non si sarebbe limitato a riequilibrare i rapporti fra struttura socioeconomica e sovrastruttura culturale – tradizionalmente sbilanciata in favore della prima nel pensiero marxista – ma li avesse addirittura rovesciati, e infine il punto di vista secondo cui la classe sarebbe sempre e solo figlia di una costruzione discorsiva. Oggi mi sembra che valuti molto più positivamente il potenziale di trasformazione radicale della società che le idee di Laclau possono avere. Invece prendi le distanze da certe sue interpretazioni postume, per esempio da chi – come Chantal Mouffe – ne ha edulcorato le tesi, consegnandocene una versione tanto “debole” da renderla compatibile con le idee della vecchia sinistra.

Carlo Formenti: Che il populismo non sia un’ideologia ma, semmai, una mentalità e una tecnica di comunicazione politica – che oggi viene utilizzata praticamente da tutte le forze politiche compresi i tradizionali partiti di destra e di sinistra – non sono il solo a dirlo: è un concetto espresso dalla maggioranza dei più accreditati politologi. Ciò detto, ammetto che hai descritto correttamente l’evoluzione del mio punto di vista sul contributo teorico di Laclau. Le critiche che gli rivolgevo qualche anno fa risentivano ancora di un approccio “operaista” (anche se non nel senso negriano del termine), mi sembrava difficile rinunciare alla centralità operaia in qualsiasi progetto di trasformazione rivoluzionaria dell’esistente. L’esperienza storica recente ha tuttavia dimostrato che il soggetto di una possibile sovversione assume sempre più il carattere di un blocco sociale di cui fanno parte strati assai diversi, che tradizionalmente eravamo abituati a considerare contrapposti se non reciprocamente avversi. Questo avviene perché la crisi del capitalismo globalizzato e finanziarizzato ha provocato un drastico peggioramento delle condizioni di lavoro e di vita di ampi strati intermedi, mentre ha disarticolato il corpo della classe operaia riducendolo a sommatoria di atomi individuali. Per inciso: è qui che ci viene in soccorso l’analisi di un Harvey (ma anche di Nancy Fraser delle cui tesi discuto ampiamente nel libro) e la sua categoria di accumulazione per espropriazione: oggi il capitalismo genera profitti non solo attraverso lo sfruttamento della forza lavoro industriale ma “succhiando” risorse, energie vitali, conoscenze dai territori e dalla grande maggioranza degli esseri viventi che vi abitano. A suo modo anche Laclau descrive bene questi fenomeni, ma soprattutto descrive bene le condizioni che consentono a questo blocco eterogeneo e composito di trasformarsi in “popolo”, una realtà frutto di costruzione politica e priva di qualsiasi identità predeterminata da appartenenze etniche o di altro genere (i legami di suolo e sangue cari alle destre storiche). Ciò detto preferisco ancora descrivere questo processo di aggregazione politica attraverso la categoria gramsciana di egemonia, che anche Laclau pone a fondamento del suo pensiero, sia pure depotenziandone il significato originario. Il punto è che resto convinto che il riequilibrio delle relazioni fra struttura e sovrastruttura – per usare una terminologia obsoleta – non possa né debba spingersi fino a rovesciarne i termini a favore della seconda. Resto cioè un marxista, ancorché eretico, e non un costruttivista puro come Laclau. O come la Mouffe, che non mi piace perché espunge dalla visione di Laclau il concetto di antagonismo (per Laclau il popolo si costituisce a partire dall’erezione di un confine amico/nemico nei confronti delle élite dominanti), sostituendolo con quello di agonismo, per cui la sua visione è del tutto compatibile con le regole del sistema liberal democratico e con i principi della democrazia rappresentativa che il populismo sovversivo di Laclau mette invece radicalmente in questione: io credo che non ci debba interessare una lotta che abbia come unico fine un cambio di governo, ma che si debba lottare per un cambio radicale di sistema e di civiltà.

Enea Boria: Veniamo al tema del leader. Nei Quaderni Gramsci svolge un ragionamento che tu citi e che io condivido: pone una distinzione tra grandi ambizioni e piccole ambizioni, nel quale non nega che il capo debba esistere e che abbia un ruolo importante, ma aggiunge che egli ha il compito di elevare i quadri al proprio stesso livello rendendosi sostituibile (<<se il capo è di origine «carismatica», deve rinnegare la sua origine e lavorare a rendere organica la funzione della direzione>>).
Il rapporto col Leader mi sembra il limite più grande dei movimenti populisti e dei socialismi sudamericani. Grandi Leader si sono sistematicamente dimostrati incapaci di preparare e far crescere successori alla propria altezza e di capire quando fosse il momento di passar mano, destabilizzando così le loro stesse conquiste. Penso che a tale proposito avesse ragione Thomas Sankara, allorché in un’intervista ha affermato che un capo forte fa un Paese debole mentre un Paese forte non ha bisogno di un capo forte. Siamo sicuri che non si possa immaginare un populismo democratico che non dipenda dalla figura del capo, che non sia in grado di sopravvivergli?

Carlo Formenti: Il populismo non può fare a meno della figura del leader perché, come spiega Laclau, questa figura serve a “incarnare” l’unità di un movimento che, ove privato di questo riferimento simbolico, tende immediatamente a dissolversi nelle componenti eterogenee di cui è originariamente composto. Il punto è un altro: io ritengo che il populismo, come ho sostenuto ne “La variante populista”, sia la forma che la lotta di classe assume in questa fase storica, una forma che è necessario attraversare per poter approdare a un progetto di trasformazione socialista che assumerà forme politiche diverse. Ciò detto la battuta di Sankara è a mio parere una boutade ideologica. Non ho mai condiviso l’ideologia “orizzontalista” che caratterizza i nuovi movimenti nati dalla dissoluzione della sinistra. Senza un momento di centralizzazione politica non si va da nessuna parte e solo dopo avere realizzato l’obiettivo di un cambiamento di civiltà si potrà (forse) fare a meno dei capi. Ma attenzione, questo non vuol dire che io creda che in una società post capitalista non vi saranno più conflitti. Questa è una stupidaggine religiosa (verrà il Paradiso in terra e lupi e agnelli vivranno pacificamente insieme). I conflitti sociali esisteranno sempre e quindi esisterà sempre un potere politico incaricato di mediarli. Quindi mi attengo alla lezione di Gramsci, il quale era consapevole della necessità di avere un leader (o un gruppo dirigente) forte e ambizioso, a condizione che tale ambizione resti al servizio del collettivo e sia sempre limitabile e controllabile.

Enea Boria: Altre parti del testo riguardano la critica alla globalizzazione, la rivendicazione della sovranità nazionale, tutti temi che a sinistra continuano a suscitare reazioni isteriche e spesso ridicole. Tu assumi un punto di vista esplicitamente sovranista ed antieuropeista e in questo mi associo. Appartengo a una generazione che ha provato solo una volta ad alzare la testa, ma ci hanno annegati in una pozzanghera di sangue a Genova e non ci siamo più rialzati.

Ho trascorso i miei vent’anni con addosso una maglietta nera con lo stellone rosso dell’EZLN e leggevo Marcos. Cito da “La quarta guerra mondiale è cominciata”: <<L’Unione europea, una delle megalopoli prodotte dal neoliberismo, è un risultato della IV Guerra Mondiale in corso. Qui, la globalizzazione ha ottenuto di cancellare le frontiere tra Stati rivali, nemici tra loro da molto tempo, e li ha obbligati a convergere e a progettare l’unione politica. Dagli Stati Nazionali alla federazione europea, il cammino economicista della guerra neoliberista nel cosiddetto Vecchio Continente sarà disseminato di distruzione e di rovine, e una di esse sarà la civilizzazione europea.>>

Ancora: <<Distrutta la loro base materiale, annullate le loro possibilità di sovranità e indipendenza, svanite le loro classi politiche, gli Stati Nazionali si convertono, in modo più o meno rapido, in un mero apparato di “sicurezza” delle mega imprese che il neoliberismo va erigendo con lo svilupparsi della IV Guerra Mondiale>>.
Ho sempre creduto che gli stati smettono di essere democratici e si trasformano in strumenti di oppressione al servizio delle mega imprese, quando perdono la propria sovranità nazionale. Ci credevo e non ho smesso di crederci.
Come è possibile che ora ci dipingano come dei rinnegati “rossobrunisti”, quando è evidente che non abbiamo fatto altro che evolverci, rimanendo però coerenti con noi stessi? E’ un mero fatto numerico? Si diventa rinnegati e si viene ostracizzati solo perché si è minoritari in mezzo a una maggioranza di veri traditori? Ammesso e non concesso che il tradimento possa essere considerato una categoria della politica e non soltanto una categoria moralistica.

Carlo Formenti: La seconda che hai detto: il tradimento è una categoria moralistica e non politica. La sinistra non ha “tradito” le classi subalterne, semplicemente ha ceduto alla poderosa pressione ambientale delle mutazioni sociali, politiche e culturali indotte dalla crisi e dalla ristrutturazione capitalistica, e quindi si è adattata alla nuova realtà, cambiando il proprio referente sociale. Per legittimare la propria esistenza è dunque costretta rimuovere le proprie radici culturali, a dimenticare quel patriottismo rivoluzionario che fino agli anni Settanta del Novecento era patrimonio comune di tutti i partiti e movimenti comunisti, non meno di quanto lo sia ancora oggi dei movimenti e degli autori che hai appena citato. Per mantenere l’egemonia non le basta tuttavia essere maggioranza, deve ostracizzare le minoranze che evocano lo spettro del suo rimosso. Il meccanismo è quello descritto da una sociologa tedesca che lo ha chiamato “la spirale del silenzio”: chi esprime opinioni eretiche deve essere tacitato dalla paura di subire sanzioni da parte delle maggioranze che condividono l’opinione prevalente. Questo è il compito del linguaggio politicamente corretto: è una vera e propria polizia linguistica che reprime i devianti. Come se ne esce? Continuando a professare le verità vietate e cercando di far crescere il numero di chi le condivide fino a legittimarne il diritto di parola. Sulla questione del necessario rapporto fra sovranità popolare e sovranità nazionale rinvio a quanto scritto nel libro perché il tema è troppo complesso per esaurirlo in poche battute.

Enea Boria: Nell’ultima delle ventidue tesi della seconda parte, sollevi la questione di come evitare i rischi di degenerazione autoritaria insiti in ogni processo rivoluzionario.
In pratica, mi sembra, che tu ti chieda come si possa, nel corso del processo di trasformazione rivoluzionaria dello Stato, evitare di indulgere alla statolatria senza cedere al contrario alle suggestioni della statofobia delle sinistre movimentiste.

Carlo Formenti: Sì me lo chiedo ma non ho soluzioni miracolistiche da proporre. Il discorso di fondo è quello della riforma dello Stato. L’antistatalismo delle cosiddette sinistre radicali e antagoniste è la migliore conferma della loro sostanziale – ancorché involontaria e inconsapevole – complicità con l’ideologia liberale. Quanto a quella che tu chiami statolatria si combatte evitando l’errore commesso da tutti i regimi del socialismo reale, vale a dire quella compenetrazione fra Stato e società che ha portato a una drastica limitazione dell’autonomia e della libertà della seconda (paradossalmente si ottengono gli stessi risultati mirando al riassorbimento dello Stato nella società). Stato e società civile al contrario vanno rigorosamente separati, concedendo alla seconda la facoltà di creare le proprie istituzioni democratiche, diverse ed autonome da quelle statali, le quali devono avere il potere – costituzionalmente sancito – di discutere le – ed eventualmente opporsi alle – decisioni pubbliche.

Enea Boria: Sicuramente non sono riuscito a sintetizzare tutte le suggestioni che il tuo ultimo libro propone. Mi limito a ricordare, fra le altre, le tue riflessioni sul lavoro di Wolfgang Streeck sulla decennale lotta delle oligarchie contro la democrazia. Ho anche trovato molto interessante la tua riflessione in merito a cosa debba essere buttato e cosa debba essere salvato nell’evoluzione contemporanea del femminismo; in effetti anche in questo caso la tua critica è aspra anche se si capisce che hai grande stima del pensiero di un’autrice come Nancy Fraser, per cui non mi pare che tu rigetti in toto il contributo del pensiero femminista.

Carlo Formenti: Rispondo brevemente solo alla domanda sul femminismo. Il pensiero di Nancy Fraser occupa un posto di rilievo nel mio lavoro perché penso che non sia solo una teorica femminista ma anche una delle migliori menti del marxismo contemporaneo. La sua analisi del ruolo del lavoro riproduttivo nei meccanismi dell’attuale crisi capitalistica, rilancia il ruolo che il femminismo aveva avuto negli anni Settanta, cioè la capacità di mettere in luce come l’accumulazione del capitale sia in larga misura debitrice di relazioni sociali esterne al mercato, e come tali relazioni siano un terreno strategico della lotta politica contro il sistema capitalistico. Al tempo stesso la sua spietata critica al femminismo che si limita a rivendicare pari opportunità di carriera, mobilità e status sociali alle donne senza mettere in questione l’egemonia del mercato, ha svelato la sostanziale connivenza fra liberismo e femminismo “emancipazionista”, un’alleanza cementata dall’ideologia del “politicamente corretto”.

https://www.rinascitaitaliasocialista.it/blog/il-socialismo-e-morto-viva-il-socialismo-intervista-a-carlo-formenti/

LupoSciolto°
15-03-19, 17:18
Grazie Tyler

Kavalerists
02-09-19, 21:28
TAGLIARE I RAMI SECCHI (DEL MARXISMO)
di Carlo Formenti e Onofrio Romano
[ lunedì 2 settembre 2019 ]

https://1.bp.blogspot.com/-YYkT22sIE6o/XWv7kYFNZ9I/AAAAAAAAjGY/SUEA7weIcm4aXLqHTXMR7PPJMOOU49vWACLcBGAs/s400/marx-forementi.jpg

Da qualche giorno è in libreria, per i tipi di DeriveApprodi, Tagliare i rami secchi, scritto a due mani da Carlo Formenti e Onofrio Romano.

Una coraggiosa resa dei conti con la teoria marxista compiuto da due intellettuali che sotto quella bandiera hanno lottato una vita.
Ne pubblichiamo la prefazione, condividendone in pieno le nove tesi ivi contenute.

«Diamo per scontato che saremo accusati di revisionismo dai militanti dei cespugli post neo comunisti. Poco importa: non è a loro che il nostro discorso è rivolto ma a tutti coloro che intuiscono che per lottare contro il capitalismo occorre dotarsi di nuovi strumenti culturali». [Carlo Formenti]


* * *
TAGLIARE I RAMI SECCHI DEL MARXISMO
di Carlo Formenti e Onofrio Romano

È luogo comune, quando si discute dell’attualità del marxismo, distinguere fra Marx e i marxismi. Questa distinzione serve a tutelare la purezza del pensiero del maestro dalle perversioni di cui si sono resi responsabili i discepoli che tale pensiero hanno malamente interpretato e applicato. Il punto di vista adottato dagli autori di questo libro è diverso: partendo dal presupposto che l’originario corpus teorico marxiano - accanto a straordinari elementi di attualità sia sul piano teorico che su quello politico - contiene tesi datate, incomplete e contraddittorie, assume che non lo si possa contrapporre né separare dai tentativi storici di calarlo nella realtà. Pensiamo che sia più utile cercare di capire quali concetti - presenti tanto in Marx quanto nelle varie tradizioni marxiste, anche se con diverse sfumature – vadano archiviati, in quanto non servono più alla trasformazione rivoluzionaria dell’esistente o rischiano addirittura di contribuire alla sua conservazione. Questa nostra provocazione non nutre intenzioni liquidatorie nei confronti del marxismo; al contrario: siamo convinti che tagliare i rami secchi della teoria, e abiurare certi articoli di fede delle ideologie che ha ispirato, significhi riattivarne la carica sovversiva nei confronti della società capitalista e ridare energia e prospettive alla speranza rivoluzionaria.

Nella prima parte, che contiene le trascrizioni di una serie di dialoghi fra i due autori, l’attenzione si concentra, in particolare, su nove fattori di criticità che elenchiamo qui di seguito (anche se va chiarito che i dialoghi non li affrontano in quest’ordine né li trattano separatamente, in quanto i temi in questione si sovrappongono e si mescolano gli uni con gli altri):

1. Il marxismo riposa su un’antropologia positiva. Una volta superata “l’estraneità del lavoratore al prodotto del proprio lavoro” tramite il processo di ri-appropriazione dei mezzi di produzione, si presume che il soggetto sia finalmente liberato. Noi sosteniamo, viceversa, che assumere il tragico, la non coincidenza ontologica tra uomo e mondo – se si vuole “l’alienazione di primo grado” - è un passo necessario per superare il determinismo e il “perfettismo” dell’antropologia marxiana, che ne condanna la prospettiva generale all’impotenza, alla strutturale irrealizzabilità.

Carlo Formenti
2. Occorre riconoscere che la funzione civilizzatrice della società industriale si è esaurita. Nel Manifesto Marx esalta l’industria capitalista come un fattore di civilizzazione, di superamento del “cretinismo” della società contadina. Il marxismo si propone di distruggere la forma capitalistica della civiltà industriale, ma ne vuole salvare i contenuti progressivi “deviati” dall’asservimento al profitto. Nemmeno i “nuovi movimenti” nati negli ultimi decenni del Novecento, malgrado i loro attestati di simpatia nei confronti delle comunità precapitalistiche, hanno prodotto una critica seria e approfondita del paradigma progressista. Per dirla in breve: né la teoria marxista né quella post marxista hanno elaborato una credibile alternativa alla civiltà capitalista.

3. Il marxismo difetta d’una vera teoria politica. Solo rinunciando al dogma secondo cui la liberazione sarà l’esito finale dello scatenamento illimitato delle forze produttive ci si potrà assumere la responsabilità politica collettiva nell’allestimento di un mondo nuovo, ancorché precario e non del tutto “liberato”. Il marxismo deve riprendere confidenza con la dimensione “regolativa”, sia dal punto di vista analitico sia dal punto di vista normativo. Le errate profezie sulla fine spontanea del capitalismo provocata dalla caduta del saggio di profitto, sono frutto di una visione economicista che disconosce la creatività politico-regolativa con cui il capitalismo si è storicamente attrezzato. Lo si può sfidare solo se ci si pone all’altezza della sua creatività regolativa, altrimenti si continuerà a pensare ed agire su un piano differente - quello della “realtà” economica - che è pura astrazione, dove il concreto della regolazione non s’incontra mai.

4. La scienza e la tecnologia in quanto tali (a prescindere cioè dal loro ruolo nella determinazione dei rapporti di forza fra le classi) non sono fattori progressivi. Al contrario Marx, ancorché consapevole che il capitale ne sfrutta la potenza per rendere schiavi i lavoratori, nutriva profonda ammirazione nei confronti di tali fattori (il “general intellect”) e i marxismi hanno rafforzato tale atteggiamento, fino ad assumere il raggiungimento di un determinato livello di sviluppo delle forze produttive quale condizione imprescindibile del superamento del capitalismo. Restare fedeli a questo dogma (ampiamente smentito dalla storia, a partire dal fatto che tutte le rivoluzioni socialiste sono avvenute in paesi “arretrati”), appare oggi del tutto incomprensibile, ove si pensi che la rivoluzione digitale è oggi causa di un arretramento drammatico dei rapporti di forza delle classi subalterne.

5. Per il marxismo la rivoluzione è passaggio spontaneo dalla potenza all’atto, energia vitale che, dall’interno del mondo esistente, ne prefigura uno del tutto nuovo. Marx apprezzava Darwin perché descriveva il processo evolutivo delle specie viventi in termini di immanenza. L’inconsistenza di questa visione immanentista/evoluzionista applicata alla storia politica è certificata dal fallimento dei movimenti post operaisti, che ne hanno fatto un articolo di fede, rendendosi subalterni a una cultura liberista ben più attrezzata per agire su tale terreno, nella misura in cui esalta la potenza dei singoli, non come produttori e parte di un collettivo bensì come consumatori e fruitori di godimenti individuali. Serve al contrario rivendicare la centralità e l’autonomia del politico, di un pensiero che si apra alla contingenza e alla decisione, accettando il fatto che non esiste alcuna possibilità di previsione dei tempi e dei modi della transizione fra differenti epoche storiche, a causa dell’accidentalità e indecidibilità di un evento che si dà come rottura e non come processo.

6. L’internazionalismo proletario nel senso che Marx attribuiva al termine nel Manifesto (“il proletariato non ha patria”) è anacronistico. Non solo perché lo stesso Marx ha successivamente problematizzato il concetto, affermando che la questione nazionale resta affare della borghesia solo fintanto che non diviene parte della questione sociale (vedere le sue tesi su Irlanda, India e colonialismo inglese). E non solo perché Lenin considerava le lotte di liberazione nazionale dei popoli coloniali come una componente strategica della lotta anticapitalista. Ma soprattutto perché, nell’attuale fase storica, in cui la deregolamentazione dei flussi di capitali, merci e forza lavoro è l’arma strategica della guerra di classe dall’altro che il capitalismo globalizzato e finanziarizzato conduce contro il proletariato mondiale, la riconquista della sovranità nazionale è l’unica condizione che può consentire alle classi subalterne di riconquistare spazi democratici di contrattazione con l’avversario. Alla vecchia concezione dell’internazionalismo, oggi degradata a un cosmopolitismo borghese complice del liberismo, occorre contrapporre un internazionalismo concepito come solidarietà fra nazioni e popoli in lotta che si riconoscono reciprocamente pari dignità.

7. Il marxismo non si è mai compiutamente sbarazzato delle sue incrostazioni profetico religiose (le socialdemocrazie non lo hanno secolarizzato: si sono convertite alla religione liberista). Non a caso, la Chiesa ha riconosciuto fin da subito nel marxismo un concorrente che offriva all’umanità un annuncio di salvezza alternativo. Il proletariato è una figura messianica, cristologica, e il processo storico viene caricato di provvidenzialità escatologica. Il paradosso è che a fare del marxismo una sorta di religione non è una concezione trascendentalista del mondo e della storia, ma al contrario un immanentismo che si esprime tanto nella rappresentazione del Soggetto rivoluzionario quanto nella descrizione della transizione dal capitalismo al socialismo.

8. Il marxismo non ha mai sciolto il nodo se il soggetto rivoluzionario sia il prodotto “oggettivo” del sistema economico o se sia in qualche modo eccedente rispetto ad esso. In Marx sono presenti entrambe le alternative, mentre i marxismi hanno imboccato strade diverse. Per gli operaisti non esiste distinzione fra politica ed economia, la politica sta nella produzione e non nell’istituzione e questo vale anche quando la fabbrica non è più il terreno privilegiato della lotta di classe (i post operaisti affrontano questa mutazione “fabbrichizzando” il sociale). I leninisti dogmatici restano invece ancorati alla visione del partito come istituzione che insuffla dall’esterno la coscienza rivoluzionaria in un soggetto altrimenti destinato a restare pura virtualità, incapace di tradursi in atto. Entrambe queste soluzioni vanno superate prendendo atto che il capitale, ancorché pervasivo, non ingloba tutto: convive con forme sociali eterogenee e con soggettività antagoniste diverse dal proletariato. Non esiste il soggetto rivoluzionario, esiste la possibilità di costruire – in condizioni storiche concrete date di volta in volta – blocchi sociali in grado di svolgere tale ruolo (per questo Gramsci è oggi l’unico teorico marxista realmente attuale)

9. Il marxismo incorpora l’illimitatezza borghese. La religione della crescita. Ripristinare un senso del limite non è solo un’opzione etica per salvare la capacità di carico del pianeta. Il limite ha a che fare col valore: disconoscendolo, è il valore della ri-appropriazione (al netto delle critiche già sopra esposte) a venir meno.

La Seconda Parte del libro contiene due articoli, rispettivamente, di Carlo Formenti sul libro di Onofrio Romano, La libertà verticale. Come affrontare il declino di un modello sociale, e di Onofrio Romano sul libro di Carlo Formenti, Il socialismo è morto. Viva il socialismo (entrambi pubblicati da Meltemi). Questo incrocio di recensioni reciproche non nasce dall’esigenza di incensarci reciprocamente, né solo dal fatto che questa formula consente di rilanciare, approfondire ed ampliare alcune delle argomentazioni contenute nei dialoghi della Prima Parte, è anche un modo per dare espressione al peculiare rapporto di scambio e di collaborazione che intratteniamo ormai da diversi anni. Peculiare perché, a prescindere dai sentimenti di stima e di amicizia che da sempre nutriamo l’uno per l’altro, le nostre direzioni di ricerca sono sempre state, almeno all’apparenza, diverse: i nostri lavori sono caratterizzati da approcci disciplinari e linguaggi differenti, e dal confronto con autori e ambiti fenomenici altrettanto differenti. Ciononostante ci siamo sempre trovati d’accordo nell’interpretare le principali tendenze di sviluppo del mondo contemporaneo e nel valutare meriti e demeriti delle culture politiche che tentano di governarlo e/o di trasformarlo. Lasciamo al lettore il compito di comprendere i motivi di questo effetto di risonanza fra i nostri punti di vista.

https://sollevazione.blogspot.com/2019/09/tagliare-i-rami-secchi-del-marxismo-di.html

Kavalerists
18-09-19, 20:21
Non è un libro nè una rivista, ma la ritengo comunque una iniziativa interessante: nasce il TgByoblu.


https://www.youtube.com/watch?v=dzi6N0RsIHs

Tyler Durden
25-04-20, 21:03
Classe, nazione e crisi

di Giovanni Iozzoli

Recensione a: Mimmo Porcaro, I senza patria, Meltemi, Milano, 2020, p. 217, € 18,00

Le parole “sovranità/sovranismo”, sono tra le più utilizzate nel dibattito politico contemporaneo. Pur godendo di solidi agganci dentro l’impianto costituzionale del 1948, questi termini sono diventate bandiere – peraltro fasulle – nelle mani delle ignobili destre italiane. Sul terreno delle parole, delle categorie, del linguaggio, si combattono da sempre battaglie cruciali per l’egemonia o la vittoria ideologica. Fino ad arrivare a perversi rovesciamenti di senso – basti pensare al termine “riformismo”, diventato negli anni ’90 bandiera neo-liberista, e definitivamente acquisito a quel campo.

Esiste in Italia una rete di soggettività ascrivibili al cosidetto “sovranismo costituzionale”: un’area composita che sostiene la tesi secondo cui la crisi sistemica della globalizzazione e degli assetti post-’89, apre larghi spazi ad un recupero delle categorie di Nazione e Sovranità, nella prospettiva di un’inveramento radicale della Costituzione o addirittura di una ripresa della lotta anticapitalistica. Senza entrare nel labirintico dibattito sulla “questione nazionale” dentro la moderna storia d’Italia – che ci condurrebbe in una giungla storiografica e filosofica che da Machiavelli porta a Mazzini, Gramsci, Togliatti, Bobbio, passando per gli snodi cruciali dell’Unità d’Italia, del fascismo, dell’8 settembre, della Resistenza -, queste tesi vanno comunque vagliate con attenzione, specie in uno scenario mondiale fortemente destabilizzato. A cominciare dalla crisi di egemonia degli USA e dalla caduta di legittimità degli organismi globali e delle nuove statualità sovranazionali, Unione Europea in testa. Persino la pandemia in atto acuisce le criticità del globalismo e rimette in discussione tutte le tessere del complicato mosaico internazionale. Mimmo Porcaro, nel suo libro, affronta senza timidezze questi aggrovigliati nodi, provando a definire l’agenda e le ragioni di un discorso sovranista e costituzionale.

Purtuttavia la sovranità non è un fine in sé, ma un mezzo ineludibile per chi voglia trasformare positivamente il paese, e in particolare per chi voglia farlo in una direzione socialista, ossia inaugurando un modello di economia mista a dominanza pubblica teso alla piena occupazione e quindi ad ulteriore avanzamenti per i lavoratori (pag. 13)

Nel libro, il tema della “patria perduta” e della sovranità svenduta, viene spesso messo in connessione con il posizionamento anticapitalista nel tentativo di ripercorrere il nesso sovranità nazionale-sovranità popolare-sovranità di classe.
Naturalmente il nuovo super-stato Europeo è l’obiettivo principale della polemica di questi “sovranisti di sinistra”: i suoi trattati, i suoi mastodontici aborti costituzionali, la sua moneta e i suoi dispositivi di governance economica che hanno riprodotto le gerarchie di potere interne al continente. Il Governo Monti, nel fatidico 2011/2012, dentro al gorgo che stava trasformando la crisi economica generale in crisi dei debiti pubblici, ha rappresentato un ulteriore passaggio di questo processo di gerarchizzazione, da cui l’Italia è uscita perdente e impoverita.

Il 2011 annus horribilis dell’Italia, è testimone, con la cosiddetta crisi del debito sovrano, con il ricatto dello spread e con l’insediamento del governo Monti, della più cruda e netta dimostrazione di quale sia, per l’Italia stessa, il prezzo della perdita della sovranità monetaria. Parallelamente, la guerra di Libia, proditoriamente accettata da un pur riluttante Berlusconi e gestita anche da alcuni dei “sovranisti” di oggi, aggiungeva al conto delle numerose guerre combattute per gli interessi altrui anche una guerra che andava direttamente contro i nostri interessi a vantaggio di quelli di altre nazioni, formalmente a noi affratellate nel comune “sogno europeo” (pag. 19)

Da qui il ritorno del tema della sovranità – in tutte le sue declinazioni.

Alla sovranità, insomma […] chiunque faccia politica non può sfuggire, come mostra il paradosso di chi critica duramente la sovranità nazionale in nome dell’Europa, per poi proporre di fatto una sorta di ipersovranità continentale (pag. 21)

La lettura che fa Porcaro del processo storico del trasferimento di sovranità dai vecchi perimetri nazionali, alle nuove forme della governance europea, rimanda alla lotta di classe che ha segnato profondamente la storia della prima repubblica e il suo tramonto.

La nostra tesi […] è che la denazionalizzazione del paese sia la risposta delle élite italiane a quel ciclo di lotta di classe e ai costi degli stratagemmi messi in atto per reprimerlo e sviarlo. Quelle lotte e più in generale quelle vaste esperienze di partecipazione politica, riproposero in due sensi la questione della nazione. In primo luogo estendendo l’attivismo politico ben oltre i confini dei partiti e formulando con nettezza l’esigenza di un deciso progresso in termini di salari e di welfare, resero immaginabile una piena identificazione delle masse con lo stato, e per questa via con una nazione unificata non già da un’etnia, da un carattere, da una storia, ma dalla comune capacità di creare giustizia sociale. Unificazione che, omologando molto più di prima le condizione genera il dei lavoratori, avvicinava, anche in maniera assai significativa, il Nord e il Sud del paese. (pag. 33)

Quindi: le classi dirigenti italiane, nel corso dei primi 50 anni di vita repubblicana, verificano che la nuova idea di Nazione che è nata dalla Resistenza, ha lasciato troppi spazi di partecipazione e troppi potenziali rischi di rovesciamento dei rapporti di classe: da qui la liquidazione, da parte della borghesia, di quelle forme storiche – lo Stato dei partiti, la centralità della Costituzione, il ruolo redistributivo dei poteri pubblici – e lo slancio verso le nuove istituzioni globali, all’insegna della “modernizzazione” (altra parola-trappola nefastamente usata contro le riottose classi popolari)

il nanismo delle imprese e il correlato espandersi dell’economia informale e della propensione all’evasione fiscale, gli oneri derivanti dalla necessità di sovvenire, con l’incremento di un welfare residuale, alle difficoltà generate dalla ristrutturazione, si intrecciarono a poco a poco in un nuovo nodo che richiedeva di essere sciolto, imponendo rigore non solo a un proletariato non ancora cancellato, ma anche alle classi ed ai ceti “amici”: tutto troppo difficile per le nostre élite. Non restava quindi che “contrattare una nuova dipendenza”. Da qui la scelta di affidare ad altri, attraverso una radicalizzazione del “vincolo esterno” quell’opera di disciplinamento sociale che non si era in grado di attuare in proprio. Da qui il bisogno , avvertito da un intero ceto politico, di trovare altrove la legittimazione perduta all’interno dell’Italia, a costo di svendere completamente gli interessi nazionali (pag. 35)

Si ridefinisce così il ruolo di una borghesia italiana compradora, che incapace di esprimere sintesi ed egemonia nella società italiana matura, svende la sua funzione dirigente e le ricchezze del paese, alla ricerca di una legittimazione sovranazionale che ne perpetui la dominanza sociale in un nuovo quadro.

Se la nazione è il luogo dove meglio si esprimono la lotta di classe e il conflitto distributivo, se nella nazione i cittadini possono chiedere conto dell’operato dei loro rappresentanti, usciamo da questo luogo pericoloso, entrando nello spazio sovranazionale e postdemocratico. Se gli strumenti nazionali non sono in grado di assicurarci pienamente l’obbedienza delle classi subalterne […], affidiamoci al ricatto dei mercati e alle imposizioni altrui, ben più autorevoli delle nostre. (pag. 36)

La “presa di rifugio” nello spazio elitario sovranazionale, funziona però solo fino al 2008: i meccanismi della crisi capitalistica, erodono e, per così dire, mettono a nudo la reale funzione dell’euro e dell’Unione Europea. A quel punto, il tema della riconquista della sovranità viene impugnato dalle destre, in particolare dalla Lega. Ed è un rovesciamento, anche questo paradossale: il neofascismo italiano è sempre stato “europeista” (come suggestione antiamericana e antisovietica); mentre la Lega è addirittura nata per “entrare” in Europa, inserendo le macroregioni “padane” economicamente più dinamiche, nei flussi produttivi continentali e mitteleuropei. E sarà proprio l’ostilità verso l’Unione Europea e una vaga (mai concludente) suggestione sovranista, che determinerà parte delle recenti fortune elettorali della Lega: soprattutto mediante la conquista del voto popolare, delle classi lavoratrici, dei perdenti della globalizzazione, degli spremuti da vent’anni di euroausterity. Da qui, l’invenzione posticcia di un nuovo “nazionalismo”, effimero, becero, razzistoide e piagnone.
Ma l’Unione Europea di oggi, così segnata da ingiustizie e gerarchie immutabili, è il prodotto di una disfunzione, di una inadeguatezza, di un limite, come spesso si dice? Porcaro non lo pensa:

l’Unione Europea è necessariamente una macchina antipopolare perché realizza volutamente e con quasi matematica precisione i voleri del grande nemico di Keynes, e prima ancora di ogni idea di democrazia sociale e di redistribuzione del reddito: Friedrich Von Hayek. […] l’adesione di Hayek all’idea di un’ipotetica federazione fra stati, dotata di moneta unica e votata anche per questo alla libera circolazione del capitale, è motivata dal fatto che una simile struttura produce automaticamente un ordine liberista (pag. 45)

Va da sé che per queste tesi, anche la moneta unica non è un nobile esperimento andato male ma:

l’Euro è per la Germania – a causa dei rapporti di cambio iniziali e delle permanenti divergenze fra economie dell’Unione – una forma di svalutazione strutturale e permanente e, per l’Italia e gli altri Piigs, una forma di altrettanto strutturale rivalutazione (pag. 47).

Quindi, la moneta come dispositivo di gerarchizzazione dei capitali europei, di funzionalizzazione delle rispettive economie, nello sforzo di costruire un polo imperialista europeo in cui convivano, in forme “combinate e diseguali” aree altamente produttive, votate all’export e a surplus di bilanci strutturali, ed aree altrettanto strutturalmente deboli, destinate permanentemente al ruolo di mercati di assorbimento del prodotto altrui, terzisti marginali in alcuni stadi delle filiere produttive, fornitori di mano d’opera, indebitati e costantemente ricattati.
Davanti all’ubriacatura globalista degli anni ’90, alle sue promesse abortite, allo sventolio effimero dei diritti individuali e di nicchia – mentre le sinistre abbandonavano la strenua difesa dei diritti sociali delle grandi masse -, il “popolo” sceglie la destra sovranista; che in Italia, come in tutto il mondo, abbraccia le tesi liberiste sulla flat tax o la centralità d’impresa, realizzando un capolavoro paradossale: nutrirsi del voto e del consenso proletario per stabilizzare rapporti di forza antiproletari.

E’ per questo che la nazione è il solo vero antidoto al nazionalismo, e la definizione degli interessi nazionali e del modo per mediarli con quelli altrui è la sola vera prevenzione della guerra: il globalismo pacifista e libertario che esorcizza ogni frase che riguardi la nazione e l’interesse nazionale, è il più forte alleato del nazionalismo aggressivo e autoritario (pag. 37)

Qual è lo sbocco politico di questi ragionamenti – conclude l’autore? La costruzione di un programma che rompa con le storiche subordinazioni italiane a potenze straniere sotto il cui “ombrello protettivo” andare a porsi; realizzare l'”Italexit” da un’Unione comunque boccheggiante; la definizione di nuove alleanze internazionali che includano la “piccola” Italia (piccola ma non irrisoria) in nuove geometrie politico-economiche. Ma elemento più importante: lo sviluppo di una coalizione popolare e di classe, che si riappropri “da sinistra” delle parole d’ordine sovraniste e rielabori una moderna idea di Nazione adatta all’epoca della rinnovata “centralità delle patrie” e orientata al socialismo.

Per questo non ha molto senso parlare oggi di “ritorno” degli stati nazionali, giacché questi non sono mai scomparsi: si tratta solo del passaggio da un’azione politica indiretta, veicolata soprattutto da provvedimenti di politica economica, ad un azione diretta, che fa sempre ricorso all’economia ma si affida ancora di più al comando centrale e alla dissuasione militare. Ancor meno senso ha il ritenere che questa ondata, detta impropriamente “nazionalista”, sia solo un malaugurato inciampo, un incidente di percorso che interrompe per puro caso l’altrimenti inarrestabile, benefica, pacifica marcia del globalismo. In realtà il ritorno dello Stato e del conflitto fra stati è l’esito dialettico necessario della globalizzazione, l’inevitabile effetto di ritorno degli squilibri e delle diseguaglianze che la fase iperliberista ha volutamente accresciuto (pag. 129)

Che dire? Al di là della congruità storica, tutta da verificare, di questa previsione di fondo – la globalizzazione è finita, politica ed economia si “ristatalizzeranno”, per così dire – queste tesi vengono di solito ripudiate dalla maggior parte della cosiddetta “sinistra radicale” (quel che ne resta). Le si giudica primitive, arretrate o velleitarie (dove va l’Italietta da sola?). Ma è necessario misurarsi con esse, senza spocchia e senza ridicole accuse di “rossobrunismo”. Dire che “lo spazio europeo è lo spazio minimo del conflitto”, come si scrive spesso con nonchalance, non può apparire altrettanto velleitario – presupponendo che “i movimenti europei” (altro oggetto misterioso), contemporaneamente condividano parole d’ordine, programmi e stadi di maturazione, magari grazie ai cyberspazi generosamente messi a disposizione dai padroni globali dei social?
Piuttosto, quello che colpisce in quest’area “neo-sovranista” – di cui Porcaro è ascoltato esponente – è un certo snobistico disinteresse per lo scontro di classe reale, quello quotidiano, che si consuma ai cancelli delle fabbriche, nei quartieri, nelle occupazioni, nei territori devastati. Questa tipologia di “sovranismo” – nonostante sia quantitativamente microscopico – immagina di muoversi in un empireo iperpoliticista che contempla i grandi posizionamenti geostrategici ma ignora quello che succede nei processi reali, gli uomini e le donne che resistono alla bestia liberista e globalista, la fatica quotidiana di organizzare il lavoro sfruttato, le lotte per il reddito, lo sporcarsi le mani, insomma, per costruire le coalizioni sociali in carne e ossa e non evocare romanticamente una nozione di “popolo” che – senza innervatura di classe, senza individuazione del blocco sociale, senza processo organizzativo e processo autoeducativo – resta suggestione ottocentesca.
Smaltita la lunga ubriacatura globalista (che tanti danni ha prodotto a sinistra) l’attualità di certi nodi tematici è però oggettiva e chiama tutti ad un dibattito franco e aperto.

https://www.carmillaonline.com/2020/04/23/classe-nazione-e-crisi/

LupoSciolto°
26-04-20, 15:32
Grazie per la segnalazione

Tyler Durden
08-06-20, 18:44
Per chi fosse interessato, è in uscita un nuovo libro di Gianfranco La Grassa:

Da Marx in poi

Il pensiero di Marx è totalmente scientifico. Il grande intellettuale tedesco è stato una sorta di Galileo delle scienze sociali capace di disvelare i rapporti di dominanza alla base del capitalismo. Destino di ogni studio scientifico è quello di essere superato; per restare nello spirito marxiano, invece, è necessario evidenziare tra le acquisizioni del suo sistema quelle ancora valide, ma soprattutto affrontarne le previsioni che non si sono avverate, così da poter elaborare un approccio concettuale che includa le trasformazioni dei capitalismi odierni.

Da Marx in poi (http://mimesisedizioni.it/da-marx-in-poi.html)

Una corposa introduzione a cura di Gianni Petrosillo:

http://www.conflittiestrategie.it/da-marx-in-poi-il-nuovo-libro-di-la-grassa-introduzione-e-video-di-presentazione

Kavalerists
21-03-21, 09:41
L’istantanea di Jean-Claude Michéa sulla deriva liberale della Sinistra
di Giovanni Sessa - 17/03/2021

https://www.ariannaeditrice.it/data/articoli/big/0/0-14984.jpg

Nella realtà socio-politica contemporanea, ciò che marca il clivage, la reale distinzione tra le forze che si contendono il potere, non è più l’astratto riferimento all’opposizione destra/sinistra ma la contrapposizione basso/alto. La cosa è stata resa evidente dai successi, al momento in fase di apparente remissione, delle formazioni populiste di diversa estrazione. In tale dicotomia, il primo termine ingloba tutti coloro che, per ragioni diverse, economiche, politiche, culturali, si sentono esclusi dal sistema liberal-capitalista, il secondo comprende, al contrario, quanti in tale sistema valoriale sono inclusi.

continua...

https://www.ariannaeditrice.it/articoli/l-istantanea-di-jean-claude-michea-sulla-deriva-liberale-della-sinistra

Kavalerists
25-03-21, 10:33
Viva i Contanti — Libro
Le banche li attaccano solo per guadagnarci: l'evasione non c'entra. Convengono e sono sicuri
Beppe Scienza

https://www.macrolibrarsi.it/data/cop/_big/v/viva-i-contanti-194773.jpg

Finalmente un'informazione corretta sui contanti, utile a consumatori, commercianti e risparmiatori:

convengono a tutti, a parte le banche, Paypal, Visa, Nexi ecc.
facilitano gli sconti, perché nessuno arraffa commissioni
eliminarli stroncherebbe l'evasione fiscale? Falso!
sono la migliore riserva di valore
difendono da patrimoniali, fallimenti e uscita dall'euro
prelievi, cassette di sicurezza, inflazione: consigli pratici
Il contante sarebbe il ricettacolo di ogni nefandezza: strumento per l'evasione fiscale, grimaldello della criminalità organizzata, causa di 10 miliardi di costi per l'Italia e addirittura fonte di contagio.

C'è qualcosa di vero dietro queste accuse? La cosiddetta War on Cash, la guerra ai contanti, ottiene i risultati che si prefigge? O è solo un'invenzione delle banche, in combutta con Paypal, Visa, Nexi ecc., per raschiare via soldi a risparmiatori, commercianti e artigiani?

In questo libro, Beppe Scienza, fra i più acuti critici del sistema finanziario e bancario, ci conduce al cuore della disinformazione, fornendoci i mezzi per smontarla, e spiega i vantaggi del denaro contante, inviso alla Banca d'Italia ma strenuamente difeso dalle banche centrali di Unione Europea e Germania, dove è ancor più apprezzato che in Italia.

"Viva i contanti" descrive anche vantaggi e svantaggi delle principali alternative per i risparmi e la previdenza, evidenziando l'insostituibile funzione di riserva di valore delle banconote e fornendo diversi utili suggerimenti a tutti i risparmiatori.

https://www.macrolibrarsi.it/libri/__viva-i-contanti.php

Kavalerists
02-04-21, 02:42
Kelton, l’economia dominante presa a schiaffi

Docente a New York, teorica influente, Stephanie Kelton è stata capo economista per i Democratici nella commissione Bilancio del Senato e consigliera di Sanders e di Biden. Ha scritto un libro per spiegare i principi della Modern Monetary Theory, che fa strame di gran parte delle convinzioni tradizionali: prime fra tutte quelle su deficit e debito pubblico.

Carlo Clericetti 9 Marzo 2021

Cosa direste di un astronomo ancora convinto che sia il Sole a girare intorno alla Terra? Ebbene, secondo Stephanie Kelton quasi tutti gli economisti – e soprattutto anche i politici – hanno convinzioni teoriche paragonabili a quelle pre-copernicane. Kelton insegna Economia e Politica alla State University di New York ed è stata inclusa tra i teorici più influenti al mondo da Bloomberg Businessweek, Politico e Prospect Magazine. È stata anche capo economista per i Democratici nella commissione Bilancio del Senato e consigliera di Sanders e di Biden. È insomma una che va presa sul serio.

È stato appena tradotto in italiano un suo libro (Il mito del deficit – Fazi editore) che spiega in modo molto chiaro la Modern Monetary Theory (MMT). Kelton racconta che all’inizio ha fatto fatica ad accettare questa teoria, proprio perché rovescia il modo di pensare tradizionale. Ma poi se n’è talmente convinta da scrivere questa esposizione che ha conquistato molti autorevoli protagonisti del dibattito economico. “Chiaro, avvincente, sbalorditivo e convincente” secondo James Galbraith; “Un libro rivoluzionario – lo ha definito Mariana Mazzucato – sia teoricamente rigoroso che empiricamente divertente”; “Leggetelo – ha aggiunto Naomi Klein – e poi mettetelo in pratica”.

L’errore fondamentale della generalità dei politici, spiega Kelton, è di pensare che lo Stato sia come una famiglia. Ma non colgono una differenza fondamentale: uno Stato dotato di sovranità monetaria non può “finire i soldi”, perché ha la possibilità di crearli semplicemente premendo il tasto di un computer. Da quando le monete non sono più legate a un bene fisico – come si ricorderà, nel 1971 il presidente americano Richard Nixon sospese e poi abolì la convertibilità del dollaro in oro – non c’è più un limite alla quantità che se ne può creare. O meglio, un limite c’è, ma non è il livello del deficit o del debito, che non hanno nessuna rilevanza: il limite è dato dall’economia reale e il segnale è l’inflazione. Quando l’inflazione aumenta vuol dire che si sta immettendo troppa moneta per le possibilità di assorbimento dell’economia. In quel caso bisogna prendere provvedimenti: per esempio alzando le tasse, in modo da ridurre la capacità di spesa delle famiglie. Le tasse, secondo la MMT, non servono a finanziare la spesa pubblica: per quella basta, appunto, stampare moneta. Ma servono per controllare l’inflazione e per evitare una distribuzione della ricchezza troppo sperequata, che, oltre a essere socialmente iniqua, causa vari altri problemi all’economia.

continua...

https://www.micromega.net/kelton-mito-del-deficit/

Blake
02-04-21, 10:16
Kelton, l’economia dominante presa a schiaffi

Docente a New York, teorica influente, Stephanie Kelton è stata capo economista per i Democratici nella commissione Bilancio del Senato e consigliera di Sanders e di Biden. Ha scritto un libro per spiegare i principi della Modern Monetary Theory, che fa strame di gran parte delle convinzioni tradizionali: prime fra tutte quelle su deficit e debito pubblico.

Carlo Clericetti 9 Marzo 2021

Cosa direste di un astronomo ancora convinto che sia il Sole a girare intorno alla Terra? Ebbene, secondo Stephanie Kelton quasi tutti gli economisti – e soprattutto anche i politici – hanno convinzioni teoriche paragonabili a quelle pre-copernicane. Kelton insegna Economia e Politica alla State University di New York ed è stata inclusa tra i teorici più influenti al mondo da Bloomberg Businessweek, Politico e Prospect Magazine. È stata anche capo economista per i Democratici nella commissione Bilancio del Senato e consigliera di Sanders e di Biden. È insomma una che va presa sul serio.

È stato appena tradotto in italiano un suo libro (Il mito del deficit – Fazi editore) che spiega in modo molto chiaro la Modern Monetary Theory (MMT). Kelton racconta che all’inizio ha fatto fatica ad accettare questa teoria, proprio perché rovescia il modo di pensare tradizionale. Ma poi se n’è talmente convinta da scrivere questa esposizione che ha conquistato molti autorevoli protagonisti del dibattito economico. “Chiaro, avvincente, sbalorditivo e convincente” secondo James Galbraith; “Un libro rivoluzionario – lo ha definito Mariana Mazzucato – sia teoricamente rigoroso che empiricamente divertente”; “Leggetelo – ha aggiunto Naomi Klein – e poi mettetelo in pratica”.

L’errore fondamentale della generalità dei politici, spiega Kelton, è di pensare che lo Stato sia come una famiglia. Ma non colgono una differenza fondamentale: uno Stato dotato di sovranità monetaria non può “finire i soldi”, perché ha la possibilità di crearli semplicemente premendo il tasto di un computer. Da quando le monete non sono più legate a un bene fisico – come si ricorderà, nel 1971 il presidente americano Richard Nixon sospese e poi abolì la convertibilità del dollaro in oro – non c’è più un limite alla quantità che se ne può creare. O meglio, un limite c’è, ma non è il livello del deficit o del debito, che non hanno nessuna rilevanza: il limite è dato dall’economia reale e il segnale è l’inflazione. Quando l’inflazione aumenta vuol dire che si sta immettendo troppa moneta per le possibilità di assorbimento dell’economia. In quel caso bisogna prendere provvedimenti: per esempio alzando le tasse, in modo da ridurre la capacità di spesa delle famiglie. Le tasse, secondo la MMT, non servono a finanziare la spesa pubblica: per quella basta, appunto, stampare moneta. Ma servono per controllare l’inflazione e per evitare una distribuzione della ricchezza troppo sperequata, che, oltre a essere socialmente iniqua, causa vari altri problemi all’economia.

continua...

https://www.micromega.net/kelton-mito-del-deficit/


Parole sante , monetariamente siamo in pieno medioevo.Oggi la rivoluzione deve prefiggersi l'appropriazione dei mezzi di produzione e l'appropriazione della Banca Centrale.Si stampa moneta per costruire aziende e infrastrutture e raggiungere la piena occupazione.

Kavalerists
25-05-21, 23:54
“Contro lo smart working”
di Savino Balzano

Lo smart working nasconde molte insidie per il lavoratore. Senza una precisa individuazione dei tempi di lavoro, come si conteggeranno e retribuiranno? Come si tuteleranno diritti alla salute e alla sicurezza? Non si rischia di compromettere la possibilità dei lavoratori di essere comunità?

https://www.letture.org/wp-content/uploads/2021/05/contro-lo-smart-working-savino-balzano-copertina-683x1024.jpeg

https://www.letture.org/contro-lo-smart-working-savino-balzano

Kavalerists
09-12-21, 03:58
Golpe globale. Capitalismo terapeutico e grande reset
di Diego Fusaro
Piemme, 2021

https://www.ibs.it/images/9788856682427_0_536_0_75.jpg

La gestione della pandemia di Covid-19 lascerà un'impronta minacciosa e duratura sul futuro dell'umanità, al di là degli aspetti sanitari. In questo libro Diego Fusaro, filosofo del "pensare altrimenti" e celebre voce fuori dal coro nel dibattito italiano, mostra come l'emergenza sia diventata un vero e proprio metodo di governo. Il potere sfrutta la paura del contagio per ristrutturare in senso oligarchico e autoritario tanto la società quanto l'economia e la politica. Mentre diritti e libertà fondamentali vengono sospesi.

Le classi dominanti hanno approfittato dell'emergenza epidemiologica per accelerare tutti i processi già avviati nella globalizzazione capitalistica: il superamento delle già fragili democrazie parlamentari, la neutralizzazione del dissenso, la riorganizzazione autoritaria dei rapporti di forza, la distruzione programmatica delle classi lavoratrici e dei ceti medi all'ombra dei signori della finanza e dei colossi dell'e-commerce e del web. Per questo Fusaro arriva a parlare di un golpe globale: l'ideologia medico-scientifica (da distinguere dalla scienza vera e propria) ha imposto una gestione del virus all'insegna dello stato di eccezione permanente. La svolta autoritaria di tipo post-nazionale che ne è seguita - e che qualcuno ha definito "Grande Reset" - sembra voler instaurare una nuova normalità, contro cui il filosofo invita a resistere.

https://www.macrolibrarsi.it/libri/__golpe-globale-libro.php?pn=1734&gclid=EAIaIQobChMIkMfSgs3V9AIV5pBoCR2UwQjrEAAYAyAA EgLO2PD_BwE

https://www.ibs.it/golpe-globale-capitalismo-terapeutico-grande-libro-diego-fusaro/e/9788856682427?gclid=EAIaIQobChMIkMfSgs3V9AIV5pBoCR 2UwQjrEAAYAiAAEgJH5PD_BwE

Kavalerists
20-12-22, 08:22
https://i0.wp.com/www.anteoedizioni.eu/wp-content/uploads/2021/03/Kim-Jong-Un-Il-risveglio-del-socialismo-Prima.jpg?fit=1772%2C2480&ssl=1

김정은 KIM JONG UN
Ideologia, politica ed economia nella Corea Popolare

Autore :AA. VV.
Collaboratori: a cura di Marco Bagozzi e Francesco Alarico Della Scala
Pagine 216
Anno 2020

Dieci anni fa il mondo vide Kim Jong Un per la prima volta, alla conferenza del partito convocata nell’ottobre 2010. Al momento della morte di Kim Jong Il e dei preparativi alla successione, la stampa internazionale e i vari think thank stranieri azzardavano pronostici sul futuro della Corea Popolare: alcuni si attendevano il rapido crollo, altri prevedevano un’apertura controllata, ma tutti erano concordi nel sottolineare la presunta “inesperienza” del nuovo leader e nel riconoscere che il “regno eremita” era uno Stato troppo anacronistico per esistere a lungo nel XXI secolo. Ma la storia ha seguito un altro corso e si è assistito invece ad un risveglio del sistema socialista: il partito ha ripreso la sua attività regolare, le dimensioni dell’economia sono cresciute di oltre un terzo e la gestione delle imprese viene razionalizzata senza abbandonare i princìpi del socialismo, il paese ha in larga misura colmato il gap tecnologico con il mondo occidentale e dispone oggi di un arsenale missilistico e nucleare che ne assicura l’invulnerabilità, lo skyline di Pyongyang si arricchito di decine di nuovi grattacieli futuristici e centinaia di strutture moderne sono sorte su tutto il territorio nazionale. La Corea di Kim Jong Un ha resistito alle nuove ondate di sanzioni economiche internazionali e quest’anno ha affrontato con eccezionale efficienza anche l’inedita sfida della pandemia di Covid-19. La tradizionale alleanza con Russia e Cina si è rinsaldata sullo sfondo della nuova tensione internazionale, e nelle trattative con gli Usa il leader non è stato disposto a cedere le posizioni strategiche del paese in cambio di garanzie verbali di pace.

https://www.anteoedizioni.eu/negozio/popoli/%EA%B9%80%EC%A0%95%EC%9D%80-kim-jong-un/

Kavalerists
20-05-23, 20:27
https://fazieditore.it/wp-content/uploads/2022/05/contro-la-sinistra-neoliberale-1037x1536.jpg

Sahra Wagenknecht
Contro la sinistra neoliberale
Titolo originale:Die Selbstgerechten. Mein Gegenprogramm – für Gemeinsinn und Zusammenhalt
Data pubblicazione:26-05-2022

Prefazione di Vladimiro Giacché
Traduzione di Alessandro de Lachenal, Giovanni Giri, Elisa Leonzio

Sahra Wagenknecht è stata la leader del gruppo parlamentare del principale partito della sinistra radicale tedesca, Die Linke, dal 2015 al 2019, ottenendo più del 9% dei voti alle elezioni del 2017. Si è dimessa due anni dopo, ufficialmente per ragioni di stress. Ma sono in molti a sospettare che la sua decisione sia stata motivata dal progressivo scivolamento del suo partito verso quella forma di “neoliberismo progressista” che ormai sembra aver contagiato tutte le sinistre occidentali e che, secondo Wagenknecht, rischia di rappresentare la pietra tombale per la sinistra (per la cronaca, nelle elezioni del 2021, il partito, ora nelle mani della corrente liberal-progressista, ha dimezzato i suoi voti: il peggior risultato di sempre). Proprio a questa deriva della sinistra è dedicato il nuovo libro-manifesto di Wagenknecht. La sinistra contemporanea occidentale – denuncia l’autrice – ha ormai buttato nella pattumiera della Storia nozioni quali la lotta di classe e la lotta alle disuguaglianze per diventare una “sinistra alla moda”: uno stile di vita appannaggio di una ristretta élite – rappresentata dal nuovo ceto medio dei laureati delle grandi città – e ispirato ai dogmi del cosmopolitismo, del globalismo, dell’europeismo, del multiculturalismo, dell’ambientalismo, dell’identitarismo e del politicamente corretto. Una élite che non ha nulla da dire sull’impoverimento della classe media e sullo sfruttamento dei lavoratori, che non solo promuove gli interessi dei vincitori della globalizzazione, ma disprezza apertamente i vinti, ossia le classi popolari e i loro valori, accusati di essere fascisti, razzisti, retrogradi, sessisti, nazionalisti, populisti. Una élite sempre più ristretta in termini elettorali, ma che nondimeno esercita una fortissima egemonia sui media e sul mondo della cultura. In opposizione a questa sinistra per pochi privilegiati, Sahra Wagenknecht delinea una visione radicalmente alternativa, per una sinistra che sia in grado di tornare a rappresentare e a parlare alle classi popolari: un controprogramma fondato su valori non individualistici ma comunitari – tra cui concetti aborriti dai progressisti contemporanei come patria, comunità, appartenenza –, capaci di definire l’identità, non più di una minoranza intellettualista, ma di una maggioranza fatta di individui concreti. E gettare così le basi per la creazione di una società più giusta.

«Questo libro esce in un clima politico in cui la cancel culture ha sostituito i confronti leali. Lo faccio sapendo che potrei finire cancellata anch’io. In fondo però Dante, nella Divina Commedia, a quelli che in tempi di profondi mutamenti si “astengono”, agli “ignavi”, ha riservato proprio il livello più basso dell’Inferno…».

https://fazieditore.it/catalogo-libri/contro-la-sinistra-neoliberale/

amaryllide
11-06-23, 00:37
BIBLIOGRAFIA SULL'UCRAINA
L'Ucraina tra golpe, neonazisti, riforme e futuro / Enrico Vigna, Zambon Editore, 2014, 160 pag.
Ucraina, Donbass : i crimini di guerra della giunta di Kiev / di Enrico Vigna, Zambon Editore, 2014, 233 pag.
Antimaidan : i motivi del genocidio del popolo dell'Est Ucraina / Max Bonelli, Armando, 2015, 166 pag
Ucraina : golpe guerra resistenza / Rete nazionale "Noi saremo tutto", Red Star, 2015, 80 pag
Donbass : i neri fili della memoria rimossa / Silvio Marconi, Libreria Croce, 2016, 238 pag.
Ucraina : una guerra per procura / Giacomo Gabellini, Arianna, 2016, 335 pag.
Donbass : una guerra nel cuore d'Europa / analisi di Marco Scatarzi, Passaggio al Bosco, 2017, 172 pag.
In Donbass non si passa : la resistenza antifascista alle porte dell'Europa / Alberto Fazolo, Nemo, Red Star Press, 2018, 247 pag.
Donbass : la guerra fantasma nel cuore d'Europa / Sara Reginella, Exorma, 2021, 309 pag.
1991-2022 : Ucraina il mondo al bivio / Giiacomo Gabellini, Arianna Editrice 2022, 285 pag.,
Attacco all'Europa : l'altra faccia della guerra in Ucraina (ciò che i media non vi diranno mai) / Marco Pizzuti, Il punto d'incontro, 2022, 236 pag.
Donbass stories : otto anni di guerra civile in Ucraina, da Maidan ai giorni nostri / Giorgio Bianchi, Meltemi, 2022, 211 pag.
La dottrina Stranamore : ovvero come ho imparato ad amare la guerra in Ucraina e la NATO / Paolo Borgognone, La Vela, 2022, 280 pag.
L'eroe criminale : Stepan Bandera e il nazionalismo ucraino / Marco Fraquelli, Rubbettino, 2022, 188 pag.
Giorni di guerra : Russia e Ucraina, il mondo a pezzi / Toni Capuozzo, Signs book, 2022, 173 pag.
Guerra in Ucraina : cause, conseguenze, retroscena / a cura di Elisabetta Burba, Teti, 2022, 211 pag
Ucraina : critica della politica internazionale / Alessandro Orsini, Paperfirst, 2022, 305 pag.
Ucraina : la "dottrina Brzezinski" : prima della guerra: geopolitica e disinformazione nel conflitto tra Russia e Ucraina / Gianfranco Peroncini, Byoblu, 2022, 420 pag
Ucraina : la guerra e la storia / Franco Cardini, Fabio Mini ; Paper First, 2022, 168 pag.
Come l'occidente ha provocato la guerra in Ucraina / Benjamin Abelow ; Fazi, 2023, 96 pag.
L'Europa in guerra / Fabio Mini, il Fatto, 2023, 203 pag.
Scemi di guerra : la tragedia dell'Ucraina, la farsa dell'Italia : un paese pacifista preso in ostaggio dai nopax / Marco Travaglio, PaperFIRST, 2023, 457 pag.

Faccio solo notare che i primi 10 libri precedono l'operazione speciale, quando secondo i nazilib non era successo niente.

Kavalerists
11-06-23, 01:40
BIBLIOGRAFIA SULL'UCRAINA
L'Ucraina tra golpe, neonazisti, riforme e futuro / Enrico Vigna, Zambon Editore, 2014, 160 pag.
Ucraina, Donbass : i crimini di guerra della giunta di Kiev / di Enrico Vigna, Zambon Editore, 2014, 233 pag.
Antimaidan : i motivi del genocidio del popolo dell'Est Ucraina / Max Bonelli, Armando, 2015, 166 pag
Ucraina : golpe guerra resistenza / Rete nazionale "Noi saremo tutto", Red Star, 2015, 80 pag
Donbass : i neri fili della memoria rimossa / Silvio Marconi, Libreria Croce, 2016, 238 pag.
Ucraina : una guerra per procura / Giacomo Gabellini, Arianna, 2016, 335 pag.
Donbass : una guerra nel cuore d'Europa / analisi di Marco Scatarzi, Passaggio al Bosco, 2017, 172 pag.
In Donbass non si passa : la resistenza antifascista alle porte dell'Europa / Alberto Fazolo, Nemo, Red Star Press, 2018, 247 pag.
Donbass : la guerra fantasma nel cuore d'Europa / Sara Reginella, Exorma, 2021, 309 pag.
1991-2022 : Ucraina il mondo al bivio / Giiacomo Gabellini, Arianna Editrice 2022, 285 pag.,
Attacco all'Europa : l'altra faccia della guerra in Ucraina (ciò che i media non vi diranno mai) / Marco Pizzuti, Il punto d'incontro, 2022, 236 pag.
Donbass stories : otto anni di guerra civile in Ucraina, da Maidan ai giorni nostri / Giorgio Bianchi, Meltemi, 2022, 211 pag.
La dottrina Stranamore : ovvero come ho imparato ad amare la guerra in Ucraina e la NATO / Paolo Borgognone, La Vela, 2022, 280 pag.
L'eroe criminale : Stepan Bandera e il nazionalismo ucraino / Marco Fraquelli, Rubbettino, 2022, 188 pag.
Giorni di guerra : Russia e Ucraina, il mondo a pezzi / Toni Capuozzo, Signs book, 2022, 173 pag.
Guerra in Ucraina : cause, conseguenze, retroscena / a cura di Elisabetta Burba, Teti, 2022, 211 pag
Ucraina : critica della politica internazionale / Alessandro Orsini, Paperfirst, 2022, 305 pag.
Ucraina : la "dottrina Brzezinski" : prima della guerra: geopolitica e disinformazione nel conflitto tra Russia e Ucraina / Gianfranco Peroncini, Byoblu, 2022, 420 pag
Ucraina : la guerra e la storia / Franco Cardini, Fabio Mini ; Paper First, 2022, 168 pag.
Come l'occidente ha provocato la guerra in Ucraina / Benjamin Abelow ; Fazi, 2023, 96 pag.
L'Europa in guerra / Fabio Mini, il Fatto, 2023, 203 pag.
Scemi di guerra : la tragedia dell'Ucraina, la farsa dell'Italia : un paese pacifista preso in ostaggio dai nopax / Marco Travaglio, PaperFIRST, 2023, 457 pag.

Faccio solo notare che i primi 10 libri precedono l'operazione speciale, quando secondo i nazilib non era successo niente.

Post molto interessante, dovresti metterlo nel forum di Politica Estera, sarebbe divertente e interessante vedere le reazioni di quei centrifugati cerebrali che imperversano sul thread della guerra in Ucraina ( "centrifugati" perchè siamo ormai molte oltre il semplice "lavaggio", siamo solo ad un passo dallo "scarico" finale :) ).

dDuck
20-06-23, 21:38
Interessante questo gruppo, cioè l'idea mia all'opposto.

Non siete i forumisti più antipatici ma quelli più lontani dalle mie idee.

LupoSciolto°
21-06-23, 07:22
Interessante questo gruppo, cioè l'idea mia all'opposto.

Non siete i forumisti più antipatici ma quelli più lontani dalle mie idee.

Grazie, fa piacere sapere che veniamo letti anche da chi sta su barricate diverse se non opposte alla nostra. Cmq non ce l'ho con te in maniera particolare, perché in fondo sei fautore di un liberismo (aaarrrgggh!) utopistico e, a mio avviso, non reale. In pratica tu credi nel libero mercato nella sua forma ideale che, sempre a mio modesto avviso, non si concretizzerà mai. Il capitale, infatti, ha bisogno dello stato in momenti di crisi.

amaryllide
11-07-23, 22:53
12 luglio 1904, nasce Pablo Neruda

ODE A STALIN
Compagno Stalin, io ero di fronte al mare sull'Isola Nera, riposando da lotte e viaggi, quando la notizia della tua morte arrivò come un colpo d'oceano.
Fu dapprima il silenzio, lo stupore delle cose, e poi arrivò dal mare una grande onda.
Di alghe, metalli ed ombre, pietre, schiuma e lacrime era fatta questa onda.
Da storia, spazio e tempo raccolse la sua materia e si elevò piangendo sopra il mondo finché in fronte a me venne a colpire la costa e stese alle mie porte il suo messaggio di lutto con un grido gigante,
così immediatamente si ruppe la terra.
Era nel 1914.
Nelle fabbriche si accumulavano immondizie e dolori.
I ricchi del nuovo secolo
si dividevano con le fauci il petrolio e le isole, il rame ed i canali.
Non una sola bandiera innalzò i loro colori senza schizzi di sangue.
Da Hong Kong a Chicago la polizia cercava documenti e provava le mitragliatrici nella carne del popolo.
Le marce militari a partire dall'alba mandavano soldati a morire.
Frenetico era il ballo dei gringos nelle boîtes de París*piene di fumo.
Si dissanguava l’uomo.
Una pioggia di sangue caduta dal pianeta,
macchiava le stelle.
La morte esordì quindi con armature d'acciaio,
la fame nei cammini di Europa fu come un vento gelato facendo volare foglie secche e spaccando ossa, l'autunno soffiava gli stracci.
La guerra aveva fatto attorcigliare i cammini.
Odore d'inverno e sangue trasudava da Europa come un mattatoio abbandonato.
Mentre intanto i padroni
del carbone,
del ferro,
dell'acciaio,
del fumo,
delle banche,
del gas,
dell'oro,
della farina,
del salnitro,
del quotidiano "Il Mercurio ",
i padroni dei bordelli,
i senatori nordamericani,
i filibustieri
carichi di oro e sangue
di tutti i paesi
erano anche i padroni
della storia.
Lì stavano seduti
in marsina, occupatissimi
ad elargire beneficenze,
a regalarsi i biglietti di entrata
e rubarseli all'uscita, a regalarsi atti da macelleria
e spartirsi con le fauci pezzi di popolo e di geografia.
Quindi con umili vesti e cappello operaio
entrò il vento,
entrò il vento del popolo.
Era Lenin.
Cambiò la terra, l'uomo, la vita.
La libera aria di rivoluzione scompigliò i giornali macchiati. Nacque una patria che non ha mai smesso di crescere.
È grande come il mondo però penetra fino al cuore del più piccolo
lavoratore di fucina, d'officina, d'agricoltura, di darsena.
Era l'Unione Sovietica.
Accanto a Lenin
Stalin avanzava
e così con camicia bianca
con cappello grigio da operaio, Stalin,
col suo passo tranquillo,
entrò nella storia accompagnato
da Lenin e dal vento.
Stalin da allora si mise a costruire.
Di tutto v'era bisogno
Lenin ricevette dagli Zar ragnatele e stracci.
Lenin lasciò una gestione di patria libera e senza macchia. Stalin la popolò
con scuole e farina,
stamperie e mele.
Stalin dal Volga
fino alla neve
dell'inaccessibile nord
mise la sua mano e per mano sua
iniziò a costruire.
Nacquero le città.
I deserti cantarono
per la prima volta con voce d'acqua.
I minerali
arrivarono,
uscirono
dai loro sogni oscuri,
si alzarono,
si fecero reali, ruote,
locomotive,
cavi che portarono le elettriche sillabe
per tutta l'estensione e la distanza.
Stalin
costruiva
nacquero
dalle sue mani
cereali,
trattori,
insegnamenti,
cammini, e lui lì,
semplice come tu ed io,
se tu ed io riusciremo ad essere semplici come lui.
Però lo impareremo.
La sua semplicità e sapienza,
la sua struttura
di benevolo pane e di acciaio inflessibile
ci aiuta ad essere uomini ogni giorno, ogni giorno ci aiuta ad essere uomini.
Essere umani!
È questo la legge staliniana!
Essere comunisti è difficile,
c'é da imparare ad esserlo. Essere uomini comunisti
è ancor più difficile,
c'é da imparare da Stalin.
la sua intensità serena,
la sua chiarezza concreta,
il suo disprezzo
all'orpello vacuo,
alle vuota astrazione editoriale. Fu direttamente lui
a scandagliare Il nudo
ed a mostrare la retta
chiarezza della linea
entrando nei problemi
senza le frasi che nascondono
il vuoto,
diritto al debole obiettivo
che nella nostra lotta sveleremo potando il fogliame
e mostrando la forma dei frutti.
Stalin è il mezzogiorno,
la maturità dell'uomo e dei popoli.
Nella guerra lo videro
le città colpite
estrarre dalle macerie
la speranza,
rifonderla di nuovo,
farla acciaio
ed attaccare con i suoi raggi distruggendo
le fortificazioni delle tenebre. Però allo stesso modo aiutò
i meli siberiani
a dar frutti sotto la tormenta, insegnò a tutti
a crescere, a crescere,
a piante e da metalli,
agli esseri viventi ed ai fiumi. Insegnò a crescere
a dare frutti e fuoco.
Gli insegnò la Pace
e così fermò
col suo petto imponente
i lupi della guerra.
In fronte al mare dell'isola nera, nel mattino
issai a mezz'asta la bandiera del Cile.
Era solitaria la costa e una nebbia di argento
si mescolava alla schiuma solenne dell'oceano.
A metà del suo pennone nella parte dell'azzurro
la stella solitaria della mia patria
sembrava una lacrima tra il cielo e la terra.
Passò un uomo del popolo, salutò capendo,
e si tolse il cappello.
Venne un ragazzo mi strinse la mano.
Più tardi Il pescatore di ricci, il vecchio palombaro e poeta, Gonzalito, si avvicinò per accompagnarmi sotto la bandiera.
"Era più saggio che tutti gli uomini uniti ", mi disse guardando il mare coi suoi vecchi occhi,
con i vecchi
occhi del popolo.
E dopo, per un lungo momento non dicemmo nulla.
Un'onda.
Sconvolse le pietre della spiaggia.
"Però Malenkov ora continuerà la sua opera" proseguì alzandosi il povero pescatore dalla giacchetta lisa.
Io lo guardai sorpreso pensando:
"Come lo sai?" "Da dove, In questa costa solitaria?"
E capì che il mare glielo aveva insegnato.
E lì vegliammo insieme, un poeta,
un pescatore ed il mare
al capitano lontano che all' arrivar alla morte
lasciò a tutti i popoli, come direzione, la sua vita.

LupoSciolto°
19-07-23, 05:08
amaryllide don Peppe Kavalerists

Volevo sapere se esiste una biografia di Bucharin e se, ancora oggi, esistono partiti comunisti che si ispirano al suo pensiero. Grazie.

Kavalerists
19-07-23, 06:42
amaryllide don Peppe Kavalerists

Volevo sapere se esiste una biografia di Bucharin e se, ancora oggi, esistono partiti comunisti che si ispirano al suo pensiero. Grazie.

https://www.amazon.it/Libri-Nikolaj-Bucharin/s?rh=n%3A411663031%2Cp_27%3ANikolaj+Bucharin

Partiti Comunisti che si rifacciano a Bucharin non credo ne esistano, o almeno io non ne ho idea, forse i partiti trozkisti.

LupoSciolto°
19-07-23, 17:38
https://www.amazon.it/Libri-Nikolaj-Bucharin/s?rh=n%3A411663031%2Cp_27%3ANikolaj+Bucharin

Partiti Comunisti che si rifacciano a Bucharin non credo ne esistano, o almeno io non ne ho idea, forse i partiti trozkisti.

Ottimo.

LupoSciolto°
20-07-23, 06:32
Kavalerists Avanguardia Legionarivs

Cosa ne pensate del giornalista e saggista Massimo Fini? Ha posizioni un po' sui generis ma a me, nonostante tutto, sta molto simpatico. Noto, principalmente, per la sua anti modernità, per il suo rifiuto del politically correct e per un antiberlusconismo mai di maniera. Non ho condiviso tutte le sue posizioni (si veda il caso Priebke ma non solo), ma ammetto di essermi trovato in sintonia con lui più di una volta.

Avanguardia
20-07-23, 11:21
Mi è sempre piaciuto Massimo Fini, uno dei pochi a descrivere le cose per come sono. Non condivido sempre quello che scrive, ma al 90% sono d' accordo. Possiedo la maggiorana dei suoi scritti. Mi preoccupa che la sua salute negli ultimi anni non sia buona.
Tra tutti i giornalisti italiani è comunque quello che si avvicina al mio pensiero, ha colto nel segno.

Kavalerists
20-07-23, 11:43
Devo dire che lo conosco poco, ho condiviso alcune sue analisi che ho letto ma poi non ho mai approfondito.
Ricordo comunque che c'era un forumista che su rifaceva apertamente al Fini-pensiero, mi pare si chiamasse Antimodernista... scriveva spesso su Socialismo Nazionale, forse l'amico Avanguardia lo ricorderà meglio di me.

Avanguardia
20-07-23, 12:40
Devo dire che lo conosco poco, ho condiviso alcune sue analisi che ho letto ma poi non ho mai approfondito.
Ricordo comunque che c'era un forumista che su rifaceva apertamente al Fini-pensiero, mi pare si chiamasse Antimodernista... scriveva spesso su Socialismo Nazionale, forse l'amico Avanguardia lo ricorderà meglio di me.
Ricordo qualcuno con un nome utente tipo questo, però scrisse per poco tempo.

LupoSciolto°
20-07-23, 17:06
Massimo Fini è un antimodernista come il nostro amico Avanguardia: tornare alla terra e rifiutare gran parte di ciò che abbiamo ereditato dal boom economico. Ritengo un po' dure questa via. Non riuscirei mai, infatti, a spaccarmi la schiena sotto al sole e a rinunciare a certe comodità tipiche della (post) modernità. Però determinate sue critiche al mondo della tecnica le ritengo sacrosante. Ricordo di averlo conosciuto di persona a Milano e di averci scambiato quattro chiacchiere mentre lui sorseggiava un prosecco. Un personaggio che, un giorno o l'altro, rimpiangeremo. Della sua cecità già sapevo e , sinceramente, mi dispiace molto. Però ho notato che scrive ancora articoli e la cosa, in tutta franchezza, mi rincuora.

LupoSciolto°
20-07-23, 17:10
Libri consigliati

https://www.ibs.it/images/9788831736367_0_536_0_75.jpg

https://www.libraccio.it/images/9788831713658_0_500_0_75.jpg

Legionarivs
20-07-23, 18:28
Kavalerists Avanguardia Legionarivs

Cosa ne pensate del giornalista e saggista Massimo Fini? Ha posizioni un po' sui generis ma a me, nonostante tutto, sta molto simpatico. Noto, principalmente, per la sua anti modernità, per il suo rifiuto del politically correct e per un antiberlusconismo mai di maniera. Non ho condiviso tutte le sue posizioni (si veda il caso Priebke ma non solo), ma ammetto di essermi trovato in sintonia con lui più di una volta.

Anche io tendenzialmente apprezzo molti dei suoi scritti anche se non concordo in toto con le sue posizioni, molto bello il suo libro sul mullah Omar.

Angkar Padevat
20-07-23, 21:17
Signori, qualcheduno che sappia consigliarmi circa testi scritti da, o su, Thomas Müntzer e Saddam Husseyn?

Legionarivs
20-07-23, 22:01
Signori, qualcheduno che sappia consigliarmi circa testi scritti da, o su, Thomas Müntzer e Saddam Husseyn?
Angkar Padevat su Müntzer, oltre ai suoi "Scritti politici" di cui avevamo già parlato, in italiano si trovano anche "Teologia dell'insurrezione" di Martin Freiberger, pubblicato da Red Star Press, e "Lutero e Thomas Müntzer" di Stefano Zen, edito da Jouvence.

Su Saddam invece non saprei, purtroppo i testi su di lui disponibili nella nostra lingua credo adottino più o meno tutti un'ottica liberale di condanna aprioristica del personaggio.

Avanguardia
20-07-23, 23:06
Massimo Fini è un antimodernista come il nostro amico Avanguardia: tornare alla terra e rifiutare gran parte di ciò che abbiamo ereditato dal boom economico. Ritengo un po' dure questa via. Non riuscirei mai, infatti, a spaccarmi la schiena sotto al sole e a rinunciare a certe comodità tipiche della (post) modernità. Però determinate sue critiche al mondo della tecnica le ritengo sacrosante. Ricordo di averlo conosciuto di persona a Milano e di averci scambiato quattro chiacchiere mentre lui sorseggiava un prosecco. Un personaggio che, un giorno o l'altro, rimpiangeremo. Della sua cecità già sapevo e , sinceramente, mi dispiace molto. Però ho notato che scrive ancora articoli e la cosa, in tutta franchezza, mi rincuora.
E' settimane che non ci sono articoli suoi sul Fatto Quotidiano. Non vorrei che stessimo per perderlo.
Veniamo alla questione del lavoro: lavorare in campagna nei mesi estivi che stanno facendo da un pò di anni è dura, proibitivo (ad eccezione dell' alba e del tramonto), ma per il resto dei mesi dell' anno si può lavorare benissimo. Ricordo che tanti lavori al giorno d' oggi sono altamente impegnativi assorbendo tutta la giornata, inclusi pure festivi, il tempo che dovrebbe essere libero, pensa ai manager, ai direttori d' azienda, agli ingegneri, ai progettisti di software, al personale sanitario in certe zone, a chi lavora in ristoranti .... Il mondo moderno dall' altro lato ha creato categorie di persone in panchina e di lavori fatti tanto per prendere lo stipendio, così da fare incavolare chi si fa il mazzo. Nell' era pre-moderna talvolta si faticava, ma la gestione del proprio lavoro era autonoma, si lavorava da se od in piccoli gruppi, valeva per chi lavorava in agricoltura in campagna, per gli artigiani e meglio ancora per i cacciatori-raccoglitori. Non dovevi lavorare alle dipendenze di un' azienda. Si lavorava per il sostentimento di se stessi o della propria comunità, che coincideva con il villaggio o la tribù. Il latifondo si sviluppa nell' era moderna e non va confuso con il feudo. Nel feudo e meglio ancora in altri contesti, non si lavorava per il profitto, per vendere nel mercato.
Che impressione ti fece Massimo Fini? Simpatico?

LupoSciolto°
21-07-23, 06:44
E' settimane che non ci sono articoli suoi sul Fatto Quotidiano. Non vorrei che stessimo per perderlo.
Veniamo alla questione del lavoro: lavorare in campagna nei mesi estivi che stanno facendo da un pò di anni è dura, proibitivo (ad eccezione dell' alba e del tramonto), ma per il resto dei mesi dell' anno si può lavorare benissimo. Ricordo che tanti lavori al giorno d' oggi sono altamente impegnativi assorbendo tutta la giornata, inclusi pure festivi, il tempo che dovrebbe essere libero, pensa ai manager, ai direttori d' azienda, agli ingegneri, ai progettisti di software, al personale sanitario in certe zone, a chi lavora in ristoranti .... Il mondo moderno dall' altro lato ha creato categorie di persone in panchina e di lavori fatti tanto per prendere lo stipendio, così da fare incavolare chi si fa il mazzo. Nell' era pre-moderna talvolta si faticava, ma la gestione del proprio lavoro era autonoma, si lavorava da se od in piccoli gruppi, valeva per chi lavorava in agricoltura in campagna, per gli artigiani e meglio ancora per i cacciatori-raccoglitori. Non dovevi lavorare alle dipendenze di un' azienda. Si lavorava per il sostentimento di se stessi o della propria comunità, che coincideva con il villaggio o la tribù. Il latifondo si sviluppa nell' era moderna e non va confuso con il feudo. Nel feudo e meglio ancora in altri contesti, non si lavorava per il profitto, per vendere nel mercato.
Che impressione ti fece Massimo Fini? Simpatico?

S', quando l'ho conosciuto mi è stato simpatico "a pelle". Non sapevo della sua prolungata assenza dal giornalismo: ovviamente gli auguro tutto il bene possibile. Tornando alla tua idea: se mi parli di autogoverno dei lavoratori , allora ci può stare. E' il feudalesimo che andava estirpato e che va estirpato nelle forme moderne. Per il resto ci sono delle divergenze insanabili tra il mio e il tuo pensiero, ma sei comunque il benvenuto perché ti comporti più che dignitosamente. Resto fiducioso in un nuovo e scoppiettante articolo di Fini.

LupoSciolto°
21-07-23, 06:45
Signori, qualcheduno che sappia consigliarmi circa testi scritti da, o su, Thomas Müntzer e Saddam Husseyn?

Su Saddam non credo ci sia nulla di "obiettivo" pubblicato in Italia. Ha ragione Legionarivs.

Angkar Padevat
21-07-23, 07:43
Angkar Padevat su Müntzer, oltre ai suoi "Scritti politici" di cui avevamo già parlato, in italiano si trovano anche "Teologia dell'insurrezione" di Martin Freiberger, pubblicato da Red Star Press, e "Lutero e Thomas Müntzer" di Stefano Zen, edito da Jouvence.

Su Saddam invece non saprei, purtroppo i testi su di lui disponibili nella nostra lingua credo adottino più o meno tutti un'ottica liberale di condanna aprioristica del personaggio.

Grazie mille Legio!

Angkar Padevat
21-07-23, 07:53
Legionarivs invece su Giovanni di Leyda, colui che instaurò un regime comunista a Münster tra il 1534 ed il 1535, sai se vi sia qualcosa?

Legionarivs
21-07-23, 14:58
Grazie mille Legio!

Figurati, per me è sempre un piacere!


Legionarivs invece su Giovanni di Leyda, colui che instaurò un regime comunista a Münster tra il 1534 ed il 1535, sai se vi sia qualcosa?

In italiano credo esista solo "Il re degli anabattisti" di Friedrich Reck-Malleczewen a riguardo.

Angkar Padevat
21-07-23, 16:53
Perfetto, è sempre interessante (almeno per me) lo studio delle monarchie/teocrazie comuniste.

LupoSciolto°
22-07-23, 06:24
Avanguardia: sai che fine ha fatto il Movimento Zero, un tempo capeggiato da Massimo Fini?

Avanguardia
22-07-23, 09:17
Avanguardia: sai che fine ha fatto il Movimento Zero, un tempo capeggiato da Massimo Fini?
Penso che sia finito.
Un progetto dall' aria interessante che come al solito si esaurisce in pochi anni.

LupoSciolto°
24-07-23, 05:48
Per chi fosse interessato al Libro Verde di Gheddafi

http://thegreenbook.eu/illibroverde.pdf

Kavalerists
10-11-23, 19:46
https://mediorientedintorni.com/index.php/2023/10/24/10-miti-su-israele-di-ilan-pappe/

https://mediorientedintorni.com/wp-content/uploads/2023/10/Progetto-senza-titolo-5-1536x865.jpg

Prendo dallo scritto di presentazione:

“10 miti su Israele” è un libro preziosissimo per comprendere il rapporto fra Israele e Palestina dalle origini ad oggi, sfatando 10 falsi miti tipici dell’immaginario popolare


I “10 miti su Israele” sono dieci narrazioni storiche costruite per legittimare la fondazione di Israele in Palestina e il mantenimento di un’occupazione brutale. Dieci pilastri che affondano nel nazionalismo e nell’imperialismo europei, e, fatto apparentemente paradossale, nell’antisemitismo. Con le armi della storiografia lo studioso ebreo israeliano Ilan Pappé confuta a uno a uno i dieci miti, attraversando le varie fasi del progetto sionista a partire dalle prime colonie del 19° secolo fino a oggi. Ci guida all’interno di una questione in cui riconosciamo i problemi più urgenti del nostro tempo: l’utilizzo di un discorso razziale per alimentare un regime coloniale, l’avanzata dell’estrema destra e dell’islamofobia, la guerra per il potere di tramandare la memoria storica e le sue fonti. La ricerca di una soluzione ci spinge allora ad aprire gli occhi sulle ferite aperte della nostra società. Postfazione di Chiara Cruciati.


I 10 miti che confondono il mondo
“10 miti su Israele” è un preziosissimo lavoro del grande storico israeliano Ilan Pappé volto a sfatare tante delle teorie che, per un motivo o per un altro, portano ad osservare tali eventi da un’ottica errata, spesso e volentieri scritta a tavolino dall’occupante. Tali miti vanno a toccare tanto le origini dello stato d’Israele e della Palestina quanto quello che può riservarci il futuro e sono, nello specifico:

Palestina, terra di nessuno
Gli ebrei: un popolo senza terra.
Sionismo ed ebraismo sono la stessa cosa
Il sionismo non è colonialismo
I palestinesi lasciarono volontariamente la loro terra nel 1948
La guerra del 1967 era una guerra “senza alternative”
Israele è l’unica democrazia del Medio Oriente
La mitologia di Oslo
La mitologia di Gaza
La soluzione a due stati è l’unica soluzione possibile

LupoSciolto°
11-11-23, 07:00
Grazie per la dritta Kav!