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Kavalerists
21-06-16, 20:59
Il femminicidio non esiste di Alessandro Di Marzio (http://www.lintellettualedissidente.it/redazione/a-dimarzio/) - 18 giugno 2016



Nelle ultime settimane, dopo il barbaro omicidio della giovane Sara Di Pietrantonio, bruciata viva dal suo ex fidanzato, giornali e televisioni hanno fatto un gran parlare del cosiddetto “femminicidio”, portando nuovamente alla ribalta la discussione su tale fenomeno. Di nuovo le sacerdotesse del femminismo redivivo e politicamente corretto (il Presidente della Camera Laura Boldrini in prima fila, come sempre) hanno ripreso a starnazzare invocando al più presto una legge che punisca in maniera severa il presunto femminicidio, ormai vera emergenza sociale.
Secondo molti infatti da qualche anno a questa parte si starebbe verificando in Italia un pericoloso crescendo di violenza maschile nei confronti delle donne, che si tradurrebbe in un numero sempre più alto di omicidi di donne, uccise semplicemente “in quanto donne”. Secondo questi stessi soggetti il fenomeno avrebbe raggiunto una soglia talmente preoccupante da essere necessaria una legge che sanzioni il femminicidio come aggravante della fattispecie delittuosa dell’omicidio. Smentire tutte queste chiacchiere e dimostrarne la totale infondatezza è così semplice che non vi si prova nemmeno una qualche soddisfazione. Basta infatti leggere i chiari e incontestabili dati del Ministerno dell’Interno: nel 2007 i casi di “femminicidio” sono stati 103. Nel 2009 sono saliti a 130, per poi scendere a 115 l’anno successivo. Nel 2011 ne sono stati registrati 124, poi 111 nel 2012 e di nuovo 115 nel 2013. Le cifre sono quindi stabili, sottoposte soltanto a piccole oscillazioni dell’ordine di una o due decine, ed è chiaro che l’entità del fenomeno, su una popolazione di oltre 60 milioni, non lascia intravvedere nessuna apocalisse all’orizzonte. Parliamo di percentuali dello 0,0002%, tanto per rendercene conto. Ma sempre sfogliando i dati del Ministero scopriamo un altro dato interessante, e molto importante, cioè che sia gli uomini che le donne uccidono entrambi in prevalenza uomini: i primi nel 69% dei casi, le seconde nel 61%. Ne risulta che in Italia 7 omicidi su 10 sono ai danni di un uomo. Abbiamo visto che anche le femminucce si dilettano spesso nell’uccidere maschi, eppure, stranamente, non si è mai parlato di alcuna emergenza “maschicidio”. Se guardiamo poi all’Europa, per quelli che vorrebbero fare del fenomeno femminicidio una degenerazione di costume prettamente italiana, scopriamo invece che l’Italia si piazza nelle ultimissime posizioni in fatto di omicidi femminili, seguita solo da Grecia, Irlanda e Svezia. Molto più in alto di noi ci sono infatti la Finlandia, la Danimarca, il Regno Unito, la Norvegia, e, incredibile ma vero, addirittura la civilissima e idilliaca Germania. Ciò che è più grave di tutto questo movimento di opinione è però il fatto che il “femminicidio” secondo le femministe del secondo millennio dovrebbe costituire un’aggravante, da punire in modo più severo rispetto alle altre fattispecie di omicidio. Un ragionamento simile, oltre a essere metodologicamente del tutto sbagliato, risulta essere addirittura, e parasoddalmente, discriminatorio nei confronti del genere maschile. Infatti per quale motivo l’omicida dovrebbe essere punito più pesantemente se la vittima è una donna, e in maniera più lieve se si tratta di un uomo? Per quale motivo una simile argomentazione dovrebbe reggere, soprattutto alla luce dei dati che ci parlano di un 61% di donne assassine che uccidono uomini? Sotteso a una simile logica, ma anche dietro al semplice parlare in termini di “femminicidio” anziché di “omicidio”, ci sarebbe l’idea che la vita di una donna sia più meritevole di tutela di quella di un uomo. È chiaro che siamo davanti a una grave e conclamata discriminazione in base al sesso, espressamente proibita dalla nostra Costituzione. L’equivoco da cui scaturisce tutta questa messa in scena, e che in queste settimane abbiamo sentito a ripetizione nei talk show, nei telegiornali, nei salotti televisivi pomeridiani, è che le donne vittime di femminicidio verrebbero uccise “in quanto donne”. Eppure i casi di cronaca nera che hanno fatto parlare di femminicidio ci raccontano di uomini che uccidono quella donna, colpevole ai loro occhi di un comportamento offensivo che può essere il tradimento, l’abbandono o altro. Dunque non una donna qualsiasi in quanto rea di essere una donna, ma quella donna, soltanto lei e non altri, in quanto “colpevole” di quel preciso gesto. Tutto il ciarlare di femminicidio appare a questo punto come un semplice business per raccogliere consensi politici e fare ascolti in TV, sulle spalle di donne che però muoiono davvero. Le nostrane vestali del femminismo dunque farebbero meglio a riporre foulard e teli color porpora e a smettere di soffiare in maniera non disinteressata sul fuoco dell’inesistente femminicidio, impiegando il loro tempo adoperandosi in battaglie più utili alla collettività, magari condannando la violenza in quanto tale, a prescindere dal sesso di chi la compie e di chi la subisce.

Il femminicidio non esiste (http://www.lintellettualedissidente.it/italia-2/il-femminicidio-non-esiste/)

LupoSciolto°
23-06-16, 14:37
Il femminicidio non esiste

di Alessandro Di Marzio (http://www.lintellettualedissidente.it/redazione/a-dimarzio/) - 18 giugno 2016



Nelle ultime settimane, dopo il barbaro omicidio della giovane Sara Di Pietrantonio, bruciata viva dal suo ex fidanzato, giornali e televisioni hanno fatto un gran parlare del cosiddetto “femminicidio”, portando nuovamente alla ribalta la discussione su tale fenomeno. Di nuovo le sacerdotesse del femminismo redivivo e politicamente corretto (il Presidente della Camera Laura Boldrini in prima fila, come sempre) hanno ripreso a starnazzare invocando al più presto una legge che punisca in maniera severa il presunto femminicidio, ormai vera emergenza sociale.
Secondo molti infatti da qualche anno a questa parte si starebbe verificando in Italia un pericoloso crescendo di violenza maschile nei confronti delle donne, che si tradurrebbe in un numero sempre più alto di omicidi di donne, uccise semplicemente “in quanto donne”. Secondo questi stessi soggetti il fenomeno avrebbe raggiunto una soglia talmente preoccupante da essere necessaria una legge che sanzioni il femminicidio come aggravante della fattispecie delittuosa dell’omicidio. Smentire tutte queste chiacchiere e dimostrarne la totale infondatezza è così semplice che non vi si prova nemmeno una qualche soddisfazione. Basta infatti leggere i chiari e incontestabili dati del Ministerno dell’Interno: nel 2007 i casi di “femminicidio” sono stati 103. Nel 2009 sono saliti a 130, per poi scendere a 115 l’anno successivo. Nel 2011 ne sono stati registrati 124, poi 111 nel 2012 e di nuovo 115 nel 2013. Le cifre sono quindi stabili, sottoposte soltanto a piccole oscillazioni dell’ordine di una o due decine, ed è chiaro che l’entità del fenomeno, su una popolazione di oltre 60 milioni, non lascia intravvedere nessuna apocalisse all’orizzonte. Parliamo di percentuali dello 0,0002%, tanto per rendercene conto. Ma sempre sfogliando i dati del Ministero scopriamo un altro dato interessante, e molto importante, cioè che sia gli uomini che le donne uccidono entrambi in prevalenza uomini: i primi nel 69% dei casi, le seconde nel 61%. Ne risulta che in Italia 7 omicidi su 10 sono ai danni di un uomo. Abbiamo visto che anche le femminucce si dilettano spesso nell’uccidere maschi, eppure, stranamente, non si è mai parlato di alcuna emergenza “maschicidio”. Se guardiamo poi all’Europa, per quelli che vorrebbero fare del fenomeno femminicidio una degenerazione di costume prettamente italiana, scopriamo invece che l’Italia si piazza nelle ultimissime posizioni in fatto di omicidi femminili, seguita solo da Grecia, Irlanda e Svezia. Molto più in alto di noi ci sono infatti la Finlandia, la Danimarca, il Regno Unito, la Norvegia, e, incredibile ma vero, addirittura la civilissima e idilliaca Germania. Ciò che è più grave di tutto questo movimento di opinione è però il fatto che il “femminicidio” secondo le femministe del secondo millennio dovrebbe costituire un’aggravante, da punire in modo più severo rispetto alle altre fattispecie di omicidio. Un ragionamento simile, oltre a essere metodologicamente del tutto sbagliato, risulta essere addirittura, e parasoddalmente, discriminatorio nei confronti del genere maschile. Infatti per quale motivo l’omicida dovrebbe essere punito più pesantemente se la vittima è una donna, e in maniera più lieve se si tratta di un uomo? Per quale motivo una simile argomentazione dovrebbe reggere, soprattutto alla luce dei dati che ci parlano di un 61% di donne assassine che uccidono uomini? Sotteso a una simile logica, ma anche dietro al semplice parlare in termini di “femminicidio” anziché di “omicidio”, ci sarebbe l’idea che la vita di una donna sia più meritevole di tutela di quella di un uomo. È chiaro che siamo davanti a una grave e conclamata discriminazione in base al sesso, espressamente proibita dalla nostra Costituzione. L’equivoco da cui scaturisce tutta questa messa in scena, e che in queste settimane abbiamo sentito a ripetizione nei talk show, nei telegiornali, nei salotti televisivi pomeridiani, è che le donne vittime di femminicidio verrebbero uccise “in quanto donne”. Eppure i casi di cronaca nera che hanno fatto parlare di femminicidio ci raccontano di uomini che uccidono quella donna, colpevole ai loro occhi di un comportamento offensivo che può essere il tradimento, l’abbandono o altro. Dunque non una donna qualsiasi in quanto rea di essere una donna, ma quella donna, soltanto lei e non altri, in quanto “colpevole” di quel preciso gesto. Tutto il ciarlare di femminicidio appare a questo punto come un semplice business per raccogliere consensi politici e fare ascolti in TV, sulle spalle di donne che però muoiono davvero. Le nostrane vestali del femminismo dunque farebbero meglio a riporre foulard e teli color porpora e a smettere di soffiare in maniera non disinteressata sul fuoco dell’inesistente femminicidio, impiegando il loro tempo adoperandosi in battaglie più utili alla collettività, magari condannando la violenza in quanto tale, a prescindere dal sesso di chi la compie e di chi la subisce.

Il femminicidio non esiste (http://www.lintellettualedissidente.it/italia-2/il-femminicidio-non-esiste/)


Ottimo articolo de "L'Intellettuale Dissidente". Il femmincidio, come altri argomenti da "talk show", risulta essere un'arma di distrAzione di massa. E comunque sappiamo bene che la violenza è ben radicata anche nella natura femminile. Basta pensare agli infanticidi o agli accoltellamenti dei propri partner dormienti. Insomma: a livello di bastardaggine non c'è differenza tra uomo e donna.

Malandrina
23-06-16, 14:37
7 omicidi su 10 sono ai danni di un uomo per mano di chi? Di fidanzate/mogli che non vogliono essere lasciate o per mano di altri uomini o donne con altre motivazioni?

LupoSciolto°
23-06-16, 14:42
7 omicidi su 10 sono ai danni di un uomo per mano di chi? Di fidanzate/mogli che non vogliono essere lasciate o per mano di altri uomini o donne con altre motivazioni?

ANCHE da parte di donne che non vogliono essere lasciate (o che , forse, temono di non poter essere più mantenute).

Sfregia il marito con l'acido, presa (http://www.ilgazzettino.it/pay/venezia_pay/sfregia_marito_acido_presa-946340.html)

Il marito la tradisce Lei si vendica e lo sfregia con l’olio bollente - IlGiornale.it (http://www.ilgiornale.it/news/interni/marito-tradisce-lei-si-vendica-e-sfregia-l-olio-bollente.html)

Catania, uccide il marito nel sonno con 40 coltellate (http://ilmessaggero.it/primopiano/cronaca/catania_uccide_marito_sonno_coltellate_alfio_vinci _sebastiana_ippolito-558947.html)


Alghero, accoltella il marito nel sonno dopo una furibonda lite - Sardiniapost.it (http://www.sardiniapost.it/cronaca/alghero-accoltella-marito-nel-sonno-dopo-violenta-lite/)

Pisa: accoltella il marito nel sonno perché lui voleva lasciarla : (http://www.newnotizie.it/2012/12/pisa-accoltella-il-marito-nel-sonno-perche-lui-voleva-lasciarla/)

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1997/03/21/fa-uccidere-il-marito-dall-amante-nella.html

Malandrina
23-06-16, 14:46
ANCHE da parte di donne che non vogliono essere lasciate (o che , forse, temono di non poter essere più mantenute).

Sfregia il marito con l'acido, presa (http://www.ilgazzettino.it/pay/venezia_pay/sfregia_marito_acido_presa-946340.html)

2015


Il marito la tradisce Lei si vendica e lo sfregia con l’olio bollente - IlGiornale.it (http://www.ilgiornale.it/news/interni/marito-tradisce-lei-si-vendica-e-sfregia-l-olio-bollente.html)

2012


Catania, uccide il marito nel sonno con 40 coltellate (http://ilmessaggero.it/primopiano/cronaca/catania_uccide_marito_sonno_coltellate_alfio_vinci _sebastiana_ippolito-558947.html)

2014




Alghero, accoltella il marito nel sonno dopo una furibonda lite - Sardiniapost.it (http://www.sardiniapost.it/cronaca/alghero-accoltella-marito-nel-sonno-dopo-violenta-lite/)
2014


Pisa: accoltella il marito nel sonno perché lui voleva lasciarla : (http://www.newnotizie.it/2012/12/pisa-accoltella-il-marito-nel-sonno-perche-lui-voleva-lasciarla/)

2012


FA UCCIDERE IL MARITO DALL' AMANTE NELLA CAMERA DEL FIGLIOLETTO - la Repubblica.it (http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1997/03/21/fa-uccidere-il-marito-dall-amante-nella.html)

1997 (!!!)

Cortesemente, mi posti anche tutti i link di omicidi commessi da uomini per gli stessi motivi dal 1997 al 2015?

LupoSciolto°
23-06-16, 14:57
NOTIZIE RECENTI

Milano, uccide il marito trafiggendolo con una katana: l'uomo è morto dissanguato (http://www.ilmessaggero.it/primopiano/cronaca/uccide_il_marito_con_un_colpo_di_katana_tragedia_f amiliare_a_milano-1633982.html)


Fu arso vivo a Brindisi fermata*donna 40enne amante della vittima Questore: maschicidio - home - La Gazzetta del Mezzogiorno (http://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/news/home/429283/fu-arso-vivo-a-brindisi-fermata.html)


Il marito si rifiuta di fare sesso. La moglie lo uccide a bastonate - IlGiornale.it (http://www.ilgiornale.it/news/cronache/marito-si-rifiuta-fare-sesso-moglie-uccide-bastonate-1272809.html)


Bologna, uccide marito con vaso cristallo e a colpi di forbici: "Mi maltrattava" - Il Fatto Quotidiano (http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/01/05/bologna-uccide-marito-vaso-cristallo-mi-maltrattava/1314582/)


Dramma in cascina Moglie uccide marito in preda ad un raptus - Cremonaoggi (http://www.cremonaoggi.it/2015/06/02/omicidio-a-pescarolo-67enne-uccide-il-marito-di-73-con-un-lampadario/)

LupoSciolto°
23-06-16, 15:04
VOGLIAMO ANCHE PARLARE DI INFANTICIDIO ?

Madre uccide il figlio di 6 anni a fucilate, poi si spara al collo: la donna aveva ricevuto minacce (http://www.ilmessaggero.it/marche/recanati_madre_figlia_uccise_colpi_fucile_omicidio _suicidio_sambucheto-1548699.html)

Madre uccide ed eviscera il figlio in presenza di altri due bambini (http://www.fanpage.it/madre-uccide-ed-eviscera-il-figlio-in-presenza-di-altri-due-bambini/)

Mamma uccide il figlio di 16 mesi, il padre: "Lasciatemela che l'ammazzo" (http://www.today.it/rassegna/madre-uccide-figlio-padre.html)

Confessione shock: madre uccide tre figli maschi, per troppo amore ? News Notizie Flash (http://www.news.notizieflash.com/confessione-shock-madre-uccide-tre-figli-maschi-per-troppo-amore_3562/)

Mi pare si tratti di roba abbastanza recente.

LupoSciolto°
23-06-16, 15:09
Il maschicidio in Italia rappresenta un fenomeno, di cui non si sente parlare molto e spesso, eppure gli ultimi dati a disposizione dimostrano come la questione sia sempre più in aumento, non solo nel nostro Paese, ma in tutto il mondo. Parlando di questo argomento è facile cadere negli stereotipi, perché non si fa altro che associare la violenza ad una personalità più propriamente maschile, non pensando invece che anche le donne possono essere protagoniste di fatti di sangue non meno crudeli. Una strage nell’ombra, quindi, quella delle donne che uccidono uomini.

Da un certo punto di vista potrebbe rappresentare l’altra faccia della medaglia, in questo caso l’altra faccia del femminicidio. Anche da parte dei media negli ultimi tempi c’è stata molta attenzione ai casi in cui le vittime sono state donne. Anche il maschicidio, comunque, merita di ricevere la giusta considerazione, soprattutto per comprendere più in fondo la società nella quale viviamo.
I numeriLa violenza delle donne sui mariti o sugli uomini in generale, che possono essere anche conviventi o amanti, dilaga in tutto il mondo, dall’Europa all’America. Basta tenere presente alcuni dati che sono emersi nel corso degli ultimi anni, per rendersene conto. In Germania, ad esempio, il Ministero della Famiglia ha scoperto che il 25% degli uomini ha subito una violenza fisica all’interno delle mura domestiche, il 15% è stato vittima anche di violenza psicologica. In Inghilterra un uomo su sei sperimenta abusi familiari, mentre negli Stati Uniti la violenza fisica tra partner è stata attribuita per il 30% alle donne. E’ da specificare, inoltre, che spesso gli uomini non denunciano i maltrattamenti, perché provano un senso di vergogna e di colpa, per la loro “debolezza”, che li porterebbe ad essere vittime.
I casi di maschicidioANA TRUJILLO – Ana Trujillo era la fidanzata del professor Anderson, Alf Stefan Anderson, professore universitario di Houston. E’ stata proprio lei a colpirlo con 25 colpi di tacco in faccia, in testa e sul collo. Un tacco 14, e le scarpe sono state ritrovate accanto al cadavere. Ana è stata condannata per omicidio alla pena dell’ergastolo. Una sera di giugno la coppia era uscita e aveva bevuto. Tornati a casa, verso le due di notte, è scoppiato un litigio. Lui sarebbe caduto a terra e la donna gli si sarebbe seduta di sopra, impedendogli ogni movimento. Poi si è tolta la scarpa e ha iniziato a colpirlo con il tacco. La 45enne è stata descritta come una persona piuttosto violenta, visto che anche l’ex fidanzato ha raccontato di essere stato aggredito precedentemente.



Secondo la tesi della difesa, si sarebbe trattato soltanto di legittima difesa, ma i giudici non hanno creduto a questa versione
MARIA ANDRADA BORDEA – Maria Andrada Bordea era la moglie del muratore rumeno Dimitru Bordea, il quale è stato ritrovato morto nella sua abitazione il 2 marzo. La gola e il torace erano stati trafitti da varie coltellate. La coppia viveva il dramma della disoccupazione. All’inizio si era pensato ad un suicidio, dovuto alle difficoltà della crisi. Le indagini, invece, hanno fatto ricadere le accuse sulla moglie, che è stata arrestata per omicidio. L’autopsia dell’uomo ha rivelato l’impossibilità dello stesso di autocolpirsi. Ad inchiodare la donna sono state le testimonianze dei vicini, i quali avrebbero riferito di averla vista uscire con gli abiti sporchi di sangue.
MARIA MASCETTI – La vicenda di Maria Mascetti è accaduta a Scalea, in provincia di Cosenza. La donna ha ucciso il compagno a coltellate. La vittima è Giuseppe Ronco, di 75 anni. La donna di 69 anni avrebbe tentato il suicidio, ferendosi e poi avrebbe chiamato i soccorsi, facendo arrivare i carabinieri e i vigili del fuoco. E’ stata la donna a confessare l’omicidio del compagno, che sarebbe avvenuto in seguito ad una lite.
ANGELA BARAN – Il 25 marzo a Torino è stata ricoverata in rianimazione una donna di origine rumena. Tutto è accaduto in seguito ad una lite violenta con il marito a San Luigi di Orbassano. La donna era stata percossa. Il marito è invece morto in seguito ad una coltellata che la donna stessa gli ha praticato sull’addome con un coltello da cucina. A quanto pare la 54enne potrebbe aver reagito dopo un’aggressione dell’uomo. A trovare i genitori è stata la figlia. Secondo le ricostruzioni dei fatti i due litigavano spesso.

fonte: Maschicidio in Italia: i numeri di una strage nell'ombra | Nanopress (http://www.nanopress.it/cronaca/2014/04/10/maschicidio-in-italia-i-numeri-di-una-strage-nellombra/6345/)

Malandrina
23-06-16, 15:11
Chiedo nuovamente: visto che sei impegnato a cercare notizie di cronaca, mi posti tutti gli omicidi compiuti da uomini nei confronti di fidanzate/compagne/mogli dal 1997 al 2015?

Possibilmente italiani, per facilitarti la ricerca.

Nel 2014, ci sono state 117 donne uccise in ambito familiare. Quanti uomini nello stesso anno?

http://www.repubblica.it/cronaca/2015/11/25/news/violenza_sulle_donne_femminicidi_in_italia_e_nel_m ondo-128131159/

LupoSciolto°
23-06-16, 15:15
MORALE: non c'è differenza tra uomini e donne per quanto concerne gli istinti omicidi. Certo, l'uomo ha più forza fisica e per questo motivo sono maggiori i casi di violenza e/o uccisione perpetrati ai danni delle donne. Ma quando hanno la possibilità di colpire, anche le femminucce si danno da fare!

Io sono STUFO che il mio genere di appartenenza venga quotidianamente dipinto come una "razza" di stupratori incalliti intenti a pianificare un genocidio. Io sono per la collaborazione tra uomo e donna. Meglio se donne e uomini proletari. Siamo pur sempre su un forum anticapitalista.

Malandrina
23-06-16, 15:17
Nessuno afferma che TUTTI gli uomini sono potenziali omicidi, violenti o stupratori.
Negare che esista un problema, però, portando a sostegno articoli di cronaca che spaziano nell'arco di 25 anni almeno (con un totale di una decina di vittime a fronte delle centinaia e centinaia dell'altro sesso) è assurdo.

LupoSciolto°
23-06-16, 15:20
Chiedo nuovamente: visto che sei impegnato a cercare notizie di cronaca, mi posti tutti gli omicidi compiuti da uomini nei confronti di fidanzate/compagne/mogli dal 1997 al 2015?

Possibilmente italiani, per facilitarti la ricerca.

Nel 2014, ci sono state 117 donne uccise in ambito familiare. Quanti uomini nello stesso anno?

Violenza sulle donne: i numeri dei femminicidi in Italia e nel mondo - Repubblica.it (http://www.repubblica.it/cronaca/2015/11/25/news/violenza_sulle_donne_femminicidi_in_italia_e_nel_m ondo-128131159/)

Io non faccio nulla su tuo comando. Mi basta sapere che i casi di violenza domestica, negli ultimi anni, sono diminuiti. Chi parla di emergenza femminicidio parla nient'altro che di una bufala. Esiste la violenza sulle donne (esecrabile sotto ogni punto di vista!). Ma non esiste a) nessun piano genocida b) nessun aumento di questi fantomatici "femminicidi".

Malandrina
23-06-16, 15:21
Io non faccio nulla su tuo comando. Mi basta sapere che i casi di violenza domestica, negli ultimi anni, sono diminuiti. Chi parla di emergenza femminicidio parla nient'altro che di una bufala. Esiste la violenza sulle donne (esecrabile sotto ogni punto di vista!). Ma non esiste a) nessun piano genocida b) nessun aumento di questi fantomatici "femminicidi".

Allora, capiamoci.
Un conto è che non siano in aumento e un altro è aprire un thread intitolato "Il femminicidio non esiste".

LupoSciolto°
23-06-16, 15:27
Allora, capiamoci.
Un conto è che non siano in aumento e un altro è aprire un thread intitolato "Il femminicidio non esiste".

Il femminicidio non esiste in quanto "sterminio del genere femminile". Ora dirai che il significato di questa parola è un altro, ma quando sento parlare di femminicidio , di solito, il tono è proprio quello di chi grida all'olocausto.

Una razza di stupratori fallocrati , imbevuti di cultura patriarcale, uccidono le donne in "quanto tali". Mi sembra follia.

Malandrina
23-06-16, 15:33
Il femminicidio non esiste in quanto "sterminio del genere femminile". Ora dirai che il significato di questa parola è un altro, ma quando sento parlare di femminicidio , di solito, il tono è proprio quello di chi grida all'olocausto.

Una razza di stupratori fallocrati , imbevuti di cultura patriarcale, uccidono le donne in "quanto tali". Mi sembra follia.
Molto più banalmente esistono "uomini" che considerano la donna che hanno a fianco come loro proprietà e quando questa decide di lasciarli sbroccano.
Nessuno ha mai sostenuto la tesi che gli uomini vogliano sterminare le donne, ma che c'è un problema di fragilità psicologica, se non peggio, di alcuni (sempre troppi) di loro.

Che poi ci siano donne altrettanto violente, manipolatrici e fuori di testa è assodato.

LupoSciolto°
23-06-16, 15:37
Molto più banalmente esistono "uomini" che considerano la donna che hanno a fianco come loro proprietà e quando questa decide di lasciarli sbroccano.
Nessuno ha mai sostenuto la tesi che gli uomini vogliano sterminare le donne, ma che c'è un problema di fragilità psicologica, se non peggio, di alcuni (sempre troppi) di loro.

Ed esistono donne che considerano gli uomini come loro proprietà. Nulla di nuovo. Nessuno ha mai sostenuto quella tesi? I toni , però, sono SEMPRE stati quelli.



Che poi ci siano donne altrettanto violente, manipolatrici e fuori di testa è assodato.

Appunto.

Molly
23-06-16, 17:45
A me sembra che la maggior parte dei casi di cronaca linkati nel thread riguardino omicidi passionali e non di genere, l'omicidio di genere semmai è il padre islamico che ammazza la figlia che veste all'occidentale, perché in quel caso è sempre la figlia e mai il figlio ad essere ucciso e quindi c'è oggettivamente la motivazione di genere, sinceramente tutta questa polemica pro o contro il reato di femminicidio la trovo una stronzata, se le persone arrivano a uccidersi a vicenda per motivi imbecilli forse i problemi sono altri che non il maschilismo o il femminismo.

Kavalerists
23-06-16, 22:09
Non esiste alcun femminicidio. Esiste l'omicidio cioè l'assassinio di un essere umano, uomo o donna, da parte di un altro appartenente al genere umano, anch'esso uomo o donna. Ed è una cosa che esiste da quando esiste l'uomo sulla terra. Con eventuali aggravanti o attenuanti stabilite a secondo dei casi dalla legge, ed applicabili. Il resto, l"omicidio di genere", sono stronzate moderne inventate del politically correct progressista.

Varg
24-06-16, 11:45
Il problema è la strumentalizzazione che fanno del femminicidio e l'omissione di ciò che invece vivono gli uomini.

Novus Ordo Seclorum

LupoSciolto°
24-06-16, 16:38
Quoto Molly, Kavalerists e Varg.

Kavalerists
31-07-16, 07:39
L'Intellettuale Dissidente (http://www.lintellettualedissidente.it/) / Società (http://www.lintellettualedissidente.it/Societ%C3%A0)

http://www.lintellettualedissidente.it/wp-content/uploads/2016/07/121725010-d82287c0-54d0-42a9-b8f9-62dd2f1b802c-940x200-1469697981.jpg E’ ora di chiedere scusa, ma agli Italiani

La nuova campagna di sensibilizzazione patrocinata dalla Camera dei Deputati per respingere e riconoscere la violenza di genere rappresenta l'ennesimo atto di vuota e ipocrita propaganda. I dati, infatti, smentiscono le tesi apocalittiche della pasionaria Boldrini, sempre pronta a riempire di fumo il vuoto cosmico della sua presidenza
La redazione - 28 luglio 2016


di Gianluca Giansanti
Giovedì 21 luglio 2016, ore 8:00, Roma: un raggio di sole dilacera i poveri resti della bruma mattutina mentre il convulso ed imperituro brulicare metropolitano ha ripreso il suo diuturno movimento. Il termometro tocca già i 28°. La lunga lingua d’asfalto rovente del Grande Raccordo Anulare, tragicomico compagno di vita del lavoratore romano, è presa d’assalto da un esercito in armature metalliche e resine sintetiche. È traffico, moderna livella sociale: ai poveri lavoratori non resta che l’utile distrattivo radiofonico. Ad allietare ed alleggerire il pesante fardello mattutino non poteva che essere l’immancabile comparsata della terza carica dello Stato: Laura Boldrini. L’eminentissima Presidente della Camera dei Deputati interviene con un breve e conciso proclama (di 56 minuti) su un’emittente radiofonica di portata nazionale per rilanciare con rinnovata vigoria la sua persistente e perdurante lotta per i diritti civili con la solita imparzialità che tanto contraddistingue il suo modus operandi. La questione che tanto sta a cuore alla moderna suffragetta non riguarda le esangui finanze delle famiglie italiane bensì una campagna di cardinale importanza sociale e morale con tanto di “hashtag”: #èoradichiederescusa.
La Presidente della Camera, in apertura d’intervento, mette subito in chiaro la questione con i radio-ascoltatori: tale campagna è volta all’esclusiva sensibilizzazione degli “uomini che non sanno relazionarsi in modo sereno e paritario [...] e hanno un serio problema a vivere”. I toni funerei e contriti recidono nell’ascoltatore le ultime speranze d’arrivare indenne sul posto di lavoro. L’ovvietà delle affermazioni è disarmante: dalle immancabili e giuste raccomandazioni sul dover denunciare gli uomini violenti (ci mancherebbe altro!) all’auto-commemorazione per aver istituito a Montecitorio la celeberrima “Sala delle Donne”, sino ad arrivare ai consigli sulle favole sessiste, sull’educazione sentimentale e di genere e sulla corretta declinazione della lingua italiana. Molti ascoltatori, quelli deboli di stomaco, cambiano canale dopo tre minuti, mentre solo i più forti e curiosi riescono ad arrivare sino all’ultimo dei cinquantasei minuti d’intervento. I pochi fortunati ascoltano la brillante Cura Boldrini all’incancrenito maschilismo della società in cui viviamo (come se porre una “a” alla fine di ogni sostantivo possa dare alle donne il rispetto che meritano per natura) e passano attraverso quello che è un vero e proprio bollettino di guerra nel quale le donne rischiano la vita ogni secondo a causa di violenze psicologiche ed epiteti sessuali ed in cui come unico dato (in 56 minuti d’intervento!!) viene addotto il fatto di “avere dei dati”. La formula della trasmissione prevede un lungo ed ininterrotto monologo senza possibilità di controbattere o replicare; eppure a tale discorso si sarebbero potute opporre due obiezioni sulla validità del concetto “femminicidio” sventolato costantemente dal 2013 ad oggi: un’obiezione articolata a livello semantico ed una a livello statistico.
Livello semantico
Il termine femminicidio sovente lascia interdetti: è una bruttura di questo decennio. Nella lingua italiana le parole terminanti col suffisso –cidio sono moltissime e vanno usate con parsimonia e moderazione: omicidio, eccidio, uxoricidio, infanticidio, genocidio, matricidio, parricidio; insomma chi più ne ha più ne metta. Cosa significano questi sostantivi? Prendiamo ad esempio il più comune ossia il termine “omicidio”: ovviamente siamo in campo latino, homicidium, termine composito che indica chi uccide una o più persone. Il fatto che tale termine contenga il prefisso homo- non deve trarre in inganno poichè i nostri antichi padri davano a tale sostantivo un significato non di genere bensì universalistico: “essere umano”, indipendentemente dal genere, dall’orientamento sessuale o dal rapporto fisico intercorrente tra l’uccisore e l’ucciso. Quindi da dove nasce il bisogno del neologismo in questione? La Presidente della Camera ha identificato il femminicidio come un crimine “contro le donne in quanto donne” e “commesso da chi è in relazione sentimentale con la vittima”. Partendo dal presupposto che tale descrizione implicitamente assume la sistematicità di tali crimini bisogna ricordare l’esistenza di un termine desueto e poco utilizzato: uxoricidio. Bisogna convenire però che il termine femminicidio è sicuramente più duro, forte, giornalisticamente ben spendibile, strumento perfetto ed affilato per carpire l’attenzione dell’uditore ed infondere senso di sdegno e timore.
Livello statistico
Qui bisogna obbligatoriamente avvalersi di dati fattivi e concreti, ad esempio un rapporto (http://www.unodc.org/gsh/en/data.html)dell’ONU facilmente reperibile in rete. Come si può evincere l’Italia risulta essere uno dei paesi in assoluto più sicuri per il sesso femminile (superata solo dal Giappone) con 0.5 donne uccise ogni 100.000. Ovviamente questo non significa che i delitti riguardanti le donne come vittime non siano statisticamente rilevanti ma che vi è una concreta e tangibile assenza di pericolo oggettivo per le donne sul suolo nazionale. I dati (http://www.istat.it/storage/famiglia-in-cifre.pdf)presentati dall’Istat, ovviamente, certificano che la violenza sulle donne avviene maggiormente intra moenia, all’interno del nucleo famigliare. Ora però è il caso di seguire un altro ragionamento, che in parte si ricollega allo già citato sensazionalismo giornalistico. Uno studio (http://www.vittimologia.it/rivista/articolo_macri_et_al_2012-03.pdf)dell’Università di Siena riguardante la violenza commessa da- si badi bene- Donne su Uomini ha enfatizzato che su un campione di 1058 intervistati (ovviamente tutti uomini) il 58.1% di questi abbia dichiarato di essere stato picchiato, morso o schiaffeggiato da donne; il 23.4% si è visto rivolgere contro dalla propria donna armi da fuoco o da taglio, il 60.5% sia stato strattonato graffiato o tirato per i capelli; mentre quasi il 10% dichiara di aver subito tentativi di avvelenamento, soffocamento o ustioni. Oltre a ciò il 75.4% dichiara di essere costantemente oggetto di denigrazione verbale e fisica, il 36.4% dichiara di aver subito stalking e pedinamenti. Ancora: secondo tale ricerca il 48.7% degli intervistati dichiara di aver subito violenza sessuale da parte di una donna. Insomma paragonando i dati Istat sulla violenza Uomo-Donna a quella Donna-Uomo è emersa una equipollenza totale sia per quanto riguarda i campioni presi in esame sia per quanto concerne le percentuali. A porre la parola fine ai tanti e lodevoli sforzi profusi dal nostro Presidente della Camera si potrebbe citare testualmente parte della conclusione della ricerca:
“Con tutti i limiti quali-quantitativi evidenziati in precedenza, si rileva tuttavia come l’analisi dei dati raccolti smentisca la tesi della violenza unidirezionale U>D e le sovrastrutture culturali che ne derivano. La teoria secondo la quale la violenza U>D sia la sola forma diffusa e quindi l’unica meritevole di contromisure istituzionali e di tutela per le vittime si è rivelata inattuale e non corrispondente alla realtà dei fatti. Dall’indagine emerge come anche un soggetto di genere femminile sia in grado di mettere in atto una gamma estesa di violenze fisiche, sessuali e psicologiche; quindi come anche un soggetto di genere maschile possa esserne vittima”

E? ora di chiedere scusa, ma agli Italiani (http://www.lintellettualedissidente.it/societa/e-ora-di-chiedere-scusa-ma-agli-italiani/)

Varg
02-08-16, 00:56
Il femminicidio non esiste e chi invece reputa il contrario deve essere emarginato e possibilmente soppresso!!!

Novus Ordo Seclorum

mr.choi
02-08-16, 10:48
7 omicidi su 10 sono ai danni di un uomo per mano di chi? Di fidanzate/mogli che non vogliono essere lasciate o per mano di altri uomini o donne con altre motivazioni?

Anche da parte di donne che non vogliono essere lasciate, per non parlare di quando le donne fanno da mandante: c'era una ragazza che ne fece picchiare e ammazzare tre!


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Jerome
10-12-16, 15:33
Non esiste come non esiste il maschicidio. Esiste l'omicidio e basta

Kavalerists
10-12-16, 18:12
Non esiste come non esiste il maschicidio. Esiste l'omicidio e basta
Esatto.
Esiste solo l'omicidio e le varie eventuali aggravanti e attenuanti che valgono sia per gli uomini che per le donne.

Jerome
15-01-17, 20:52
E certo il femminicidio non esiste. Guarda caso queste sono le stesse argomentazioni che utilizzano i fasci per continuare ad estendere il loro dominio.

mi sembra di averti già conosciuto

Kavalerists
16-01-17, 14:14
Comunque sempre più chiaro che chi non vuole sentire parlare di femminicidio o chi fa finta di niente sulla violenza sulle donne sia in realtà un fascio.
Ciao NazKol, sempre in fuga dal cottolengo? Ma se qui è pieno di fascisti perché non ti levi dalle palle e vai a romperle su Sionistra Italiana? Là è pieno di "compagni" ecosocialisti, femministi, e libertari :44: oltre che sionisti e razzisti antislamici, proprio come te. Ecco, vai lì e non rompete il cazzo.

Jerome
16-01-17, 14:16
Ciao NazKol, sempre in fuga dal cottolengo? Ma se qui è pieno di fascisti perché non ti levi dalle palle e vai a romperle su Sionistra Italiana? Là è pieno di "compagni" ecosocialisti, femministi, e libertari :44: oltre che sionisti e razzisti antislamici, proprio come te. Ecco, vai lì e non rompete il cazzo.
là c'è cazzi sciolti che ha bannato solo me perché è idiota, ma NazKol se lo tiene

Kavalerists
16-01-17, 14:27
là c'è cazzi sciolti che ha bannato solo me perché è idiota, ma NazKol se lo tiene

No, è che con NazKol ha trovato l'utile idiota che gli fa il gioco sporco delle provocazioni e degli insulti, tu non gli servivi.

LupoSciolto°
16-01-17, 18:02
Ciao NazKol, sempre in fuga dal cottolengo? Ma se qui è pieno di fascisti perché non ti levi dalle palle e vai a romperle su Sionistra Italiana? Là è pieno di "compagni" ecosocialisti, femministi, e libertari :44: oltre che sionisti e razzisti antislamici, proprio come te. Ecco, vai lì e non rompete il cazzo.

Condivido ogni parola. Ma ora tale "tuta bianca" sarà costretto a cambiare forum.

Lost Faraway
24-01-17, 17:50
Non esiste "femminicidio", esiste solo l'omicidio, ovvero l'uccisione di un essere umano. La gravità dell'omicidio può variare, ma non è relazionata con il sesso (eccezione: le donne incinte). Piuttosto consideriamo più grave -ed è naturale- l'uccisione di bambini rispetto agli adulti.

LupoSciolto°
24-01-17, 18:37
Non esiste "femminicidio", esiste solo l'omicidio, ovvero l'uccisione di un essere umano. La gravità dell'omicidio può variare, ma non è relazionata con il sesso (eccezione: le donne incinte). Piuttosto consideriamo più grave -ed è naturale- l'uccisione di bambini rispetto agli adulti.

Eppure ci sono mille e più attenuanti in caso di omicidio di minori (detto anche "infanticidio"). Soprattutto se a commettere l'omicidio è la madre nel periodo post-parto. Ma le femminazi negano anche questo.

Lost Faraway
24-01-17, 18:42
Le feminazi sono una vera e propria degenerazione del femminismo, che per alcuni periodi storici (suffragismo per esempio, o la lotta per il divorzio) ha avuto anche un senso. Un regime socialista dovrebbe far piazza pulita del femminismo, dopo aver naturalmente restituito alla donna la sua giusta dignitá e luogo specifico nella societá.

LupoSciolto°
24-01-17, 18:49
Le feminazi sono una vera e propria degenerazione del femminismo, che per alcuni periodi storici (suffragismo per esempio, o la lotta per il divorzio) ha avuto anche un senso. Un regime socialista dovrebbe far piazza pulita del femminismo, dopo aver naturalmente restituito alla donna la sua giusta dignitá e luogo specifico nella societá.

Come già scritto: di fronte alla legge tutti sono uguali. Quindi anche l'uomo e la donna. Le femministe affermano di volere pari opportunità, ma inscenano campagne d'odio contro l'uomo in quanto tale (ultimamente sostenute anche dalle istituzioni). Quindi stiamo parlando di un pensiero suprematista e discriminatorio. Di cretine come le Femen o come le indignate del "Se non ora quando?" il socialismo potrà e dovrà farne a meno.

Kavalerists
24-01-17, 19:56
Non esiste "femminicidio", esiste solo l'omicidio, ovvero l'uccisione di un essere umano. La gravità dell'omicidio può variare, ma non è relazionata con il sesso (eccezione: le donne incinte). Piuttosto consideriamo più grave -ed è naturale- l'uccisione di bambini rispetto agli adulti.
Quello che ho sempre sostenuto anch'io: esiste l'omicidio con le sue attenuanti e ele sue aggravanti, ampiamente previste dalla legge. Non può esistere "l'omicidio di genere" è una follia, il genere è quello umano, e basta.

LupoSciolto°
19-03-17, 19:51
Italia maschilista e violenta? Balla smentita dalle statistiche

SOCIETÀ 18 marzo 2017

Contrordine compagne.

La leggenda del maschio italiano violento, latino machista, baffuto, con la canotta sporca di sugo che rientra e mena la moglie per la sola pasta scotta, mentre in Svezia e in tutto il nord Europa le donne vivono in un harem fatto di uomini disponibili e gentili, non ha più ragione di esistere.

E non sono maschilisti fondamentalisti, irati da cotanto luogo comune a sostenerlo, ma la statistica, i numeri che, come sosteneva Gramsci, hanno la testa dura, e per il quarto anno consecutivo. Aggiungiamoci poi che non sono nemmeno numeri frutto di istituti di statistica commissionati da “Men’s healt” o da qualche altra rivista maschilista ad affermarlo, ma l’UE.

Infatti, secondo i dati dell’Agenzia per i diritti fondamentali dell’Unione Europea, i Paesi in cui la violenza contro il gentil sesso (fisica e/o sessuale) è più comune sono proprio quelli a Nord del vecchio continente. L’Italia si ferma ben al di sotto della media, per lo sconforto dell’uomo medio meridionale in baffo e lupara e, soprattutto, delle femministe urlanti nostrane, sostenitrici del “la nostra è una società violenta basata sul patriarcato medioevale”. Nel nostro Paese le donne vittime di violenza fisica o sessuale dai 15 anni in su rappresentano il 27%, contro il 52% della Danimarca, il 47% della Finlandia e il 46% della Svezia. Non cambia il discorso per quanto riguarda la violenza subita specificamente dai partner, l’Italia è terzultima (15-20%), mentre nella parte alta della classifica si confermano i Paesi del Nord Europa e i Paesi dell’Est.

I più scettici, oggi, riguardo a queste statistiche saranno senza dubbio pronti a sventolare la differenza della violenza percepita rammentando della poca inclinazione delle donne italiane e del sud Europa a denunciare. Fermo restando che, se ci fosse bisogno di ribadirlo, la violenza è aberrante sempre e a prescindere, la questione di ciò che è più o meno percepito o denunciato andrebbe, se diamo per buono il ragionamento, sempre tenuta conto, in tutti gli ambiti e non solo quando l’Italia finisce in fondo alle classifiche.

Perché, se l’Italia è prima nelle statistiche per corruzione e mafia, ad esempio, non si tiene conto di eventuali mancate denunce di questi episodi nei paesi del nord Europa? Il discorso su ciò che non viene o meno percepito o denunciato “sterilizzerebbe” quindi qualsiasi sondaggio o statistica. Nessuno più dovrebbe essere credibile o veritiero. Ergo, la statistica o è sempre affidabile, anche quando è positiva per il nostro Paese e smonta il luogo comune; in caso contrario non lo è mai. E allora, femministe fondamentaliste e anti-italiani a prescindere rasserenatevi. In tutta Europa, ahimè, la violenza è diffusa e in alcuni Paesi del nord, nonostante i vostri pregiudizi, lo è anche di più.

(di Luigi Ciancio)

Italia maschilista e violenta? Balla smentita dalle statistiche ? Oltrelalinea (http://www.oltrelalinea.news/2017/03/18/italia-maschilista-e-violenta-balla-smentita-dalle-statistiche/)

Antonio Banderas
19-03-17, 19:59
Esatto.
Esiste solo l'omicidio e le varie eventuali aggravanti e attenuanti che valgono sia per gli uomini che per le donne.
Esatto, infatti esiste l' uxoricidio (uccisione del coniuge) ma non si capisce il perchè uccidere una moglie deve essere più grave che uccidere un marito.

Lost Faraway
20-03-17, 02:27
Esatto, infatti esiste l' uxoricidio (uccisione del coniuge) ma non si capisce il perchè uccidere una moglie deve essere più grave che uccidere un marito.

Probabilmente la distinzione aveva un senso quando la disparità uomo/donna faceva di questa un soggetto relativamente "debole" non solo fisicamente (che è un dato naturale), ma dal punto di vista sociale. E soprattutto, l'uccisione della mogle lasciava i figli piccoli orfani della madre, una disgrazia maggiore rispetto ad esser orfani del padre.

Antonio Banderas
21-03-17, 00:05
Probabilmente la distinzione aveva un senso quando la disparità uomo/donna faceva di questa un soggetto relativamente "debole" non solo fisicamente (che è un dato naturale), ma dal punto di vista sociale. E soprattutto, l'uccisione della mogle lasciava i figli piccoli orfani della madre, una disgrazia maggiore rispetto ad esser orfani del padre.

Quindi se non ci sono figli non è femminicidio ?

LupoSciolto°
29-03-17, 17:53
VALIDE CONSIDERAZIONI DI PREVE

Femminismo separatistico e maschilismo mimetico: complementari e organici al capitalismo
di Costanzo Preve
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Gianlucio - Donna in carriera
Gianlucio - Donna in carriera

Il patriarcalismo in Europa esiste solo come residuo di un tempo ormai trascorso, al di fuori forse di alcune comunità musulmane immigrate in cui padri-padroni cer­cano di imporre alle mogli e alle figlie le loro scelte reli­giose e matrimoniali. La tendenza generale della società capitalistica è quella del superamento del patriarcalismo, che pure ha caratterizzato non solo le società precapitali­stiche, ma anche la prima fase proto-borghese del capita­lismo stesso, in cui ci imbattiamo nel sospetto positivistico verso le donne (Comte, Nietzsche, Weininger), seguito dalla sistematizzazione psicoanalitica di Freud, che sareb­be stata impossibile al di fuori del contesto borghese e patriarcale in cui è stata concepita. Ma oggi il patriarcalismo, appunto per la sua natura vetero-borghese, è del tutto incompatibile con un dominio integrale della forma di merce, che non sopporterebbe tabù sorti in un’epoca precedente.

Il modo in cui oggi il capitalismo affronta la questione femminile è fondato su una mescolanza di maschilismo e femminismo. Lungi dall’essere opposte, queste determinazioni sono del tutto complementari. Il profilo “maschi­lista” prevale nel processo di accesso del sesso femminile a tutti i ruoli possibili all’interno della produzione capitalistica. Questo profilo semplicemente inserisce nei tradizio­nali ruoli maschili esseri androgini di entrambi i sessi. Il profilo “femminista”, che nulla ha a che fare con il vecchio e nobile processo di emancipazione femminile del perio­do eroico borghese e socialista, tende ad un vero e proprio obiettivo strategico della produzione capitalistica, la guer­ra fra i sessi e la correlata diminuzione della solidarietà fra maschi e femmine. Per questa ragione, sono veramente illusi coloro (penso a Immanuel Wallerstein) che inserisco­no il femminismo nel novero dei cosiddetti movimenti “antisistemici” e anticapitalistici. Al contrario, il femmini­smo rappresenta una delle correnti meno comunitarie e più organiche al capitalismo che esistano. Questa tesi può sembrare scandalosa e perciò occorre dilungarsi un po’ per motivarla. A questo scopo, bisogna risalire ab ovo, cioè agli inizi del processo storico (a mio avviso innegabile) di subordinazione del sesso femminile all’ordine maschile della società.

Due mi sembrano essere le concezioni teoriche che negano il carattere integralmente storico della subordinazione delle donne all’ordine maschile della società. In primo luogo, la teoria sociobiologistica del cosiddetto “dimorfismo”, secondo la quale la subordinazione delle donne sarebbe dovuta alla minore forza fisica del corpo femminile rispetto a quello maschile, che si sarebbe poi duplicata in una gerarchia di ruoli fissi di dominio e obbedienza. In secondo luogo, ed in modo molto più sofisticato della precedente, la teoria strutturalistica di Lévi-Strauss, per cui tutte le società umane si basano sulle leggi dello scambio, e lo scambio fondamentale sarebbe appunto quello delle donne fra i diversi gruppi. Senza scendere nei particolari, queste due concezioni mi sembrano carenti, e lo sono per un unico motivo, che è quello della sottovalutazione del carattere “generico” della produzione umana di società. I sostenitori del determinismo del dimorfismo fisico, infatti, sottovalutano l’importanza del momento sociale e simbolico nella fissazione dei ruoli umani nella divisione del lavoro. I sostenitori dello strutturalismo, invece, finiscono con il negare l’elemento dialettico che ad un certo punto modifica in modo qualitativo le stesse forme comunitarie della riproduzione umana. Gli esseri umani, infatti, non sono api, formiche e termiti che, per informazione genetica acquisita, riproducono sempre lo stesso schema di socializzazione etologica (alveari, formicai, termitai). Con questo, ovviamente, non intendo affatto liquidare le argomentazioni dei dimorfisti e degli strutturalisti che so essere molto sapienti e nutrite di ripetute osservazioni comparative, ma solo affermare la mia preferenza per una spiegazione di tipo storico-genetico.

È noto che i classici del marxismo, ed in particolare Engels, si sono occupati dell’origine storica dell’oppressione femminile, ma dovettero farlo all’interno dello schema positivistico di spiegazione sociale. Già Bachofen, nel 1861 , aveva fatto l’ipotesi di un primitivo matriarcato, ossia di un primitivo potere delle donne sugli uomini, a partire da un’analisi comparativa dei miti di fondazione e della presenza esorbitante di divinità femminili. La mentalità positivistica odiava la contraddizione, e le pareva allora assurdo che potessero coesistere potere degli uomini e fondamento religioso matriarcale. Come può infatti un patriarcato materiale fondarsi su un matriarcato ideale?

A distanza di oltre un secolo, l’antropologia attuale si è fatta più cauta e sofisticata. Mancando qui lo spazio per una discussione delle diverse tesi proposte, arriverò subito alla conclusione che mi sembra più plausibile. Mi pare che si possano distinguere tre diversi momenti evolutivi, tutti interni a una strutturazione ancora “comunitaria” della società. In un primo momento storico, durato probabilmente molto a lungo, la scarsissima divisione del lavoro e la terribile brevità della vita umana comportarono una fortissima eguaglianza di mansioni e di consumi fra i due sessi, per cui si può dire che non solo in quelle comunità non c’era ancora classismo, ma neppure una vera divisione funzionale del lavoro fra i sessi. In un secondo momento storico, con l’invenzione delle armi da lancio, di nuove tecniche di caccia da un lato, e dell’agricoltura dall’altro, ci fu presumibilmente un approfondimento nella divisione del lavoro nella comunità. Questo non portò ancora a un ordine sociale di classi, ma forse già di “Iignaggi”, cioè di discendenze materne e paterne con annesse abitudini generalizzate di abitazione e di convivenza familiare. In proposito, per aprire una breve parentesi sulla società greca, la condizione sociale migliore delle donne nell’aristocratica Sparta piuttosto che nella democratica Atene, era dovuta proprio alla sopravvivenza di costumi prevalenti in questa seconda fase, dal momento che gli spartiati mangiavano e dormivano in comunità maschili ma le donne non erano escluse né dagli spettaco­li, né soprattutto dalla ginnastica (come peraltro avviene anche nella dittatura eugenetica di Platone).

In un terzo momento, infine, si stabilizzarono effettiva­mente (anche se non in tutte le società del mondo) le clas­si sociali, la proprietà privata e l’ordine simbolico maschi­le della società, che peraltro coesistette sempre con l’esi­stenza di divinità femminili. Trascuro qui i pur affascinan­ti dettagli della storia degli ultimi due millenni, in cui le donne non cessarono mai di resistere e di rivendicare le loro sfere indipendenti di azione e di movimento, per giungere all’oggi. Faccio solo notare che il sesso femmini­le, pur oppresso e discriminato in vari modi, ha spesso esercitato il ruolo di “custode simbolico della comunità” contro le derive individualistiche. Questo non può essere ridotto alla spiegazione per cui gli uomini avrebbero “costretto” le donne a occuparsi di cose comunitarie come i bambini e i vecchi, mentre loro si davano ad occupazioni più nobili. Al contrario, ritengo che l’esercizio del ruolo comunitario da parte delle donne sia stato proprio frutto di una autonoma “saggezza di specie”, che lo storicismo non può capire e non capirà mai, ma che resta un imprescindibile elemento di spiegazione materiale della storia.

Il passaggio storico dalla tarda società signorile euro­pea alla prima società capitalistica proto-borghese vide un peggioramento della posizione sociale delle donne. Anche questo non è un fatto sorprendente. L’accumulazione capi­talistica primitiva mette in primo piano virtù militari e competitive fortemente maschili, ed è del tutto normale che una concezione fortemente proprietaria e individuali­stica porti ad estendere il diritto di proprietà anche alla moglie e ai figli. L’Ottocento ci offre un incredibile florile­gio antologico di pregiudizi e di banalità verso il sesso femminile, per cui è utile porsi delle domande storiche radicali. O tutti questi personaggi ottocenteschi erano solo dei misogini, oppure, se vogliamo evitare spiegazioni vir­tuose ma tautologiche, dobbiamo concludere che l’instau­razione originaria dell’ordine capitalistico non poteva che accompagnarsi a un raddoppiamento simbolico patriarca­le fondato sull’illusione dell’eternizzazione dell’ordine maschile. Si trattava però di un momento temporaneo e non certo di una caratteristica permanente del funziona­mento dell’ordine capitalistico.

Come il capitalismo ha bisogno, per il suo “innesco”, di un soggetto sociale collettivo denominato “borghesia”, così ha bisogno di un ornamento simbolico patriarcale, non a caso caratterizzato da uomini muniti di barba e baffi, da un lato, e di donne strette e soffocate in busti di stecche di balena, dall’altro. Se guardiamo gli sbiaditi dagherrotipi color seppia delle foto di fine Ottocento, notiamo che i caratteri sessuali maschili e femminili, sia pure coperti, sono infinitamente più marcati di quanto avviene in qualunque immagine pornografica di oggi. AI contempo, il corpo femminile non è ancor trasformato in oggetto di consumo, ma è caratterizzato da una estremiz­zazione della femminilità sia fisica che spirituale. Prostituta e/o madre di famiglia, la donna non cerca anco­ra di mimetizzarsi in un ruolo maschile e non ha neppure bisogno di dichiarare una guerra compensativa contro il maschio.

In questo contesto, che era classista ma in parte ancora comunitario, era inevitabile che si sviluppasse un movi­mento per l’eguaglianza dei diritti fra donne e uomini, che interessò parallelamente sia il movimento operaio e socialista che le correnti liberali e democratiche dette “borghesi”. Questo movimento portò progressivamente il sesso femminile non solo al suffragio universale e alla eleggibilità delle cariche, ma anche e soprattutto all’acces­so alle professioni maschili più prestigiose. Naturalmente, il fatto che le donne arrivassero prima all’insegnamento e soltanto dopo alla facoltà di medicina, ci permette di sta­bilire senza errori la gerarchia simbolica e soprattutto di reddito che l’ordine maschile aveva organizzato nei secoli precedenti.

I movimenti fascisti e nazionalsocialisti cercarono, tran­ne eccezioni, di ricacciare le donne nella sfera del privato familiare e della irrilevanza pubblica. Si trattava di una posizione antistorica perché nessun comunitarismo moderno può essere proposto senza tener conto di alcuni dati irreversibili dello sviluppo umano, fra cui – sintomo sicuro del processo di universalizzazione mondiale in corso – c’è prima di tutto l’eguaglianza sia giuridica che simbolica tra i sessi. E ricordo qui la lotta di Hegel, pen­satore fino in fondo comunitarista, contro il comunitari­smo retrogrado e gerarchico dei “vecchi ceti” signorili e feudali. Lo scenario attuale, che deve essere compreso fino in fondo nella sua dinamica disgregativa di ogni possibile comunità umana, è quello della complementarietà, raramente avvertita come tale, fra il maschilismo mimetico e il femminismo separatistico. Il primo si copre sotto l’ideolo­gia economica del produttivismo e dell’aziendalismo, mentre il secondo si copre sotto una metafisica astorica del differenzialismo e della guerra tra i sessi. Bisogna dunque studiare non solo queste due forme ideologiche separate, ma soprattutto la loro essenziale complementarietà.

Per la prima volta nella storia dell’umanità la figura asessuata dell’imprenditore realizza i sogni (o gli incubi) dell’androgino puro. Il ruolo dell’imprenditore capitalistico, che in origine era un ruolo di tipo maschile esemplificato sui precedenti ruoli maschili del guerriero e del mercante, si apre al sesso femminile, ma pretende da questo sesso una iniziazione che lo porti infine a una forma di maschilismo mimetico. In questo senso, le pubblicità tele­visive di donne in carriera sono assolutamente esilaranti.

L’irruzione, alcuni decenni fa, del femminismo separa­tistico deve essere fatta oggetto di ipotesi storica e genea­logica. Proprio quando il processo di emancipazione fem­minile si stava realizzando, anche sulla base della coltiva­zione del complesso di colpa del maschio, si delinea uno strano movimento che nega la storia ed adotta una ideo­logia astorica di tipo differenzialistico, che assomiglia sini­stramente al dimorfismo ontologico e biologico dei tradi­zionali sostenitori della legittimità del dominio maschile sulle donne. Da un punto di vista generale, il femminismo di tipo universitario si situa all’interno di una generalizza­ta reazione contro la storia che percorre il ventennio 1970­-1990, e che non può essere disgiunto dalla ricaduta delle delusioni rivoluzionarie del decennio precedente. Il fem­minismo ci aggiunge una reazione furiosa contro l’intero universo sociale e comunitario (necessariamente compo­sto da uomini e donne). Come avviene per tutti i miti differenzialistici dell’origine, il femminismo presenta una natura estremamente individualistica. Una delle prime teoriche del femminismo italiano, Carla Lonzi, debutta con un libro intitolato Sputiamo su HegeL. Mai obiettivo fu scelto tanto bene, in quanto colpendo Hegel si colpisce al cuore la migliore forma filosofica di comunitarismo moderno. Laddove la guerra fra le classi disturbava pur sempre l’economia, la guerra fra i sessi non la disturba affatto. Oggi sembra che – per fortuna – il femminismo sia in declino e le residue femministe vengono mobilitate per avallare i bombardamenti sull’Afghanistan in nome della liberazione dal burka e dal chador. Il senso della storia uni­versale non è più orientato dall’ideale di una comunità umana senza classi e senza sfruttamento, ma dal passaggio dal velo islamico alla minigonna. E chi si contenta gode.

Questo articolo è tratto da “Elogio del comunitarismo” di Costanzo Preve. “Controcorrente”, Napoli, 2006

LupoSciolto°
11-05-17, 12:04
Divorzio, Cassazione rivoluziona diritto di famiglia: “Assegno non più calcolato su tenore di vita, ma sull’autosufficienza”

http://st.ilfattoquotidiano.it/wp-content/uploads/2017/03/cassazione675.jpg


I giudici hanno respinto il ricorso dell'ex moglie di un ex ministro alla quale era già stato negato l'assegno con decisione della Corte d'appello di Milano. Nella sentenza si legge: "E' necessario superare la concezione patrimonialistica del matrimonio inteso come 'sistemazione definitiva'. E' ormai generalmente condiviso nel costume sociale il significato dell'unione come atto di libertà e di autoresponsabilità"


La Cassazione rivoluziona il diritto di famiglia: i giudici hanno stabilito che d’ora in poi l’assegno di divorzio sarà calcolato sulla base del criterio di autosufficienza e non sul “tenore di vita matrimoniale”. Sarà quindi, dopo 30 anni di indirizzo costante, valutato sull’indipendenza o autosufficienza economica dell’ex coniuge che lo richiede. Il matrimonio non è più la “sistemazione definitiva”: sposarsi, scrive la Corte, è un “atto di libertà e autoresponsabilità”.

La sentenza riguarda il caso di un ex ministro e dell’ex moglie imprenditrice. I supremi giudici hanno respinto il ricorso con il quale la donna chiedeva l’assegno di divorzio già negatole con verdetto emesso dalla Corte di Appello di Milano nel 2014 che aveva ritenuto incompleta la sua documentazione dei redditi e valutato che l’ex marito dopo la fine del matrimonio aveva subito una “contrazione” dei redditi. Ad avviso dei supremi giudici, la decisione milanese deve essere corretta in motivazione perché a far perdere il diritto all’assegno alla ex moglie non è il fatto che si suppone abbia redditi adeguati, ma la circostanza che i tempi ormai sono cambiati e occorre “superare la concezione patrimonialistica del matrimonio inteso come ‘sistemazione definitiva'” perché è “ormai generalmente condiviso nel costume sociale il significato del matrimonio come atto di libertà e di autoresponsabilità, nonché come luogo degli affetti e di effettiva comunione di vita, in quanto tale dissolubile. Si deve quindi ritenere che non sia configurabile un interesse giuridicamente rilevante o protetto dell’ex coniuge a conservare il tenore di vita matrimoniale”.

Secondo Gian Ettore Gassani, presidente dell’Associazione degli avvocati matrimonialisti italiani, si tratta di un cambiamento storico: “E’ una sentenza”, si legge in una nota, “che rivoluziona il diritto di famiglia in tema di riconoscimento dell’assegno divorzile e dei criteri per la sua quantificazione. L’assegno divorzile potrà essere riconosciuto soltanto se chi lo richiede dimostri di non poter procurarsi i mezzi economici sufficienti al proprio mantenimento. Viene spazzato via un principio sancito nel 1970 dalla legge 898 che ha introdotto il divorzio in Italia. Si tratta quindi di un terremoto giurisprudenziale in linea con gli orientamenti degli altri Paesi europei nei quali l’assegno divorzile dipende essenzialmente dai patti prematrimoniali”.

Ecco i principali “indici” – forniti dal verdetto 11504 della Cassazione sull’assegno di divorzio – “per accertare” la sussistenza, o meno, “dell’indipendenza economica” dell’ex coniuge richiedente l’assegno e quindi l’adeguatezza, o meno, dei “mezzi”, nonchè la possibilità, o meno, “per ragioni oggettive, di procurarseli. Sono quattro: “1) il possesso di redditi di qualsiasi specie; 2) il possesso di cespiti patrimoniali mobiliari ed immobiliari, tenuto conto di tutti gli oneri ‘lato sensu’ imposti e del costo della vita nel luogo di residenza, inteso come dimora abituale, della persona che richiede l’assegno; 3) le capacità e le possibilità effettive di lavoro personale, in relazione alla salute, all’età, al sesso ed al mercato del lavoro indipendente o autonomo; 4) la stabile disponibilità di una casa di abitazione”. Tocca all’ex coniuge che chiede l’assegno, “allegare, dedurre e dimostrare di non avere i mezzi adeguati e di non poterseli procurare per ragioni obiettive”. “Tale onere probatorio – spiega la Cassazione – ha ad oggetto i predetti indici principali, costitutivi del parametro dell’indipendenza economica, e presuppone tempestive, rituali e pertinenti allegazioni e deduzioni da parte del medesimo ex coniuge, restando fermo, ovviamente il diritto all’eccezione e alla prova contraria dell’altro” ex coniuge al quale l’assegno è chiesto.
In particolare, prosegue la Suprema Corte, “mentre il possesso di redditi e cespiti patrimoniali formerà oggetto di prove documentali, soprattutto le capacità e le possibilità effettive di lavoro personale formeranno oggetto di prova che può essere data con ogni mezzo idoneo, anche di natura presuntiva, fermo restando l’onere del richiedente l’assegno di allegare specificamente (e provare in caso di contestazione) le concrete iniziative iniziative assunte per il raggiungimento dell’indipendenza economica, secondo le proprie attitudini e le eventuali esperienze lavorative”.

Divorzio, Cassazione rivoluziona diritto di famiglia: "Assegno non più calcolato su tenore di vita, ma sull'autosufficienza" - Il Fatto Quotidiano (http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/05/10/divorzio-cassazione-assegno-non-sara-piu-calcolato-su-tenore-di-vita-precedente-ma-sullautosufficienza/3576003/)


QUALCOSA SI STA MUOVENDO?

Kavalerists
11-05-17, 20:40
E mi sembra pure giusto.

LupoSciolto°
22-05-17, 19:13
Roma, M5s cambia lo statuto e abbassa la percentuale di quote rosa per la giunta: “Conta il merito”. Pd: “Vergogna”


http://st.ilfattoquotidiano.it/wp-content/uploads/2016/09/raggi675.jpg

I grillini hanno proposta la modifica dello statuto abbassando al 40 per cento (e non più al 50) la soglia di rappresentanza femminile necessaria per la formazione dell'esecutivo. Il presidente dell'assemblea capitolina difende la decisione. I dem: "Colpo di mano". Condanna anche da Fi e Sinistra italiana

di Lorenzo Vendemiale | 22 maggio 2017

Meno “quote rosa” nello statuto comunale del Campidoglio. La decisione della giunta M5s diventa un caso politico, addirittura a livello nazionale. Dal Partito democratico a Forza Italia, passando per Sinistra Italiana, tutti i partiti parlano di “Medioevo dei diritti” e accusano la sindaca Virginia Raggi di “scarsa sensibilità nei confronti della questione di genere”. La sua colpa? Voler abbassare il numero minimo di donne in giunta dal 50 al 40 per cento ( “uniformandolo alla previsione normativa”), questione che alla giunta ha già creato più di un problema in questo primo anno di legislatura. A replicare agli attacchi è stato il presidente dell’assemblea capitolina Marcello De Vito: “L’amministrazione M5s”, ha detto, “impronta le sue scelte sul merito delle persone: prima di considerare se sia donna o uomo, conta verificare la professionalità del candidato. Ben venga scegliere sole donne, o viceversa, se tra loro vi sono i candidati più validi”.

A inizio aprile l’amministrazione a 5 stelle aveva presentato il progetto di modifica per lo statuto per la democrazia diretta, che ora ha cominciato il suo iter in commissione. Una proposta di sicuro effetto, su cui è iniziata la rincorsa dell’opposizione: passata appena una settimana, anche il Pd (attraverso la consigliera Svetlana Celli della lista civica “Roma torna Roma”) presenterà la sua iniziativa “Proponiamo per Roma”, che dovrebbe portare “idee, segnalazioni e progetti” in Consiglio comunale. Il M5s punta tutto su referendum day, raccolta di firme online e bilancio partecipativo. Ma a far discutere di più sono altri punti di quel documento, apparentemente marginali, su cui si è scatenata la polemica dell’opposizione. Il Movimento 5 stelle rischia di scivolare sul delicato argomento delle quote rosa.

Fra i vari articoli modificati dal documento ce ne sono infatti un paio che toccano anche la questione della parità di genere. L’articolo 12 trasforma la “Commissione per le elette” in “Commissione per le pari opportunità”: al di là della variazione puramente nominale, cambierà la composizione dell’organo, di cui non faranno più parte tutte le elette, ma solo 12 (come per le altre commissioni), a causa delle difficoltà a riunire un numero troppo alto di consiglieri. E già questo aveva causato i primi malumori. Ma il vero “casus belli” è l’articolo 23, che regola la componente di genere nella formazione delle giunta comunali e municipali: fino ad oggi lo statuto prevedeva “la presenza, di norma in pari numero, di entrambi i sessi”; la nuova versione, invece, si limita ad indicare “la presenza di entrambi i sessi”, rimandando alla normativa nazionale per la loro quantificazione. È bastato sopprimere quelle cinque parole, però, per avere una modifica sostanziale: dal 50 e 50 previsto attualmente si passerebbe ad un rapporto più flessibile di 60-40. E questo ha scatenato le proteste dell’opposizione.

Le prime a sollevare la questione sono state le consigliere del Pd, Valeria Baglio e Ilaria Tempesta, seguite a ruota dalle colleghe di partito con una nota che attacca il “vergognoso colpo di mano del M5s”. Per Stefano Fassina di Sinistra italiana la proposta è semplicemente “irricevibile”, per la senatrice di Forza Italia (e presidente della Commissione Equality and non Discrimination del Consiglio d’Europa) Elena Centemero si tratta di una “grave lesione della gender equality”. Dal Campidoglio bollano le critiche come “chiacchiere da bar”: “Non c’è nessuna abolizione delle pari opportunità, ci rifacciamo soltanto ai parametri della legge nazionale”, spiega il primo firmatario del testo, Angelo Sturni. Svista, leggerezza o semplice adeguamento alla normativa superiore, di certo un piccolo ritocco al ribasso delle quote rosa non sarebbe dispiaciuto a Virginia Raggi, che nei primi mesi del suo mandato ha dovuto più volte fare i conti con la questione: quel tetto del 50% si è spesso trasformato in una grana, a causa della difficoltà a trovare figure femminili per ricoprire ruoli chiave in giunta. Il problema si era posto, ad esempio, per la complessa sostituzione della Muraro, prima che via Grillo arrivasse a Roma la Montanari; e anche nella più recente ricerca (tuttora in corso) di un nuovo responsabile per le “Politiche abitative”, che dovrà essere necessariamente di “sesso femminile”. Quasi un paradosso, per la prima sindaca donna nella storia della Capitale.

Roma, M5s cambia lo statuto e abbassa la percentuale di quote rosa per la giunta: "Conta il merito". Pd: "Vergogna" - Il Fatto Quotidiano (http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/05/22/roma-m5s-cambia-lo-statuto-e-abbassa-la-percentuale-di-quote-rosa-per-la-giunta-conta-il-merito-pd-vergogna/3606395/)

LupoSciolto°
22-05-17, 19:14
Non sono mai stato tenero con la Raggi. Ma in questo caso...tanto di cappello!

LupoSciolto°
14-07-17, 16:03
Segnalo un articolo femminista dove un omuncolo (è proprio il caso di scriverlo) utilizza termini razzisti e discriminatori verso quello che DOVREBBE essere il suo sesso d'appartenenza

Il vaccino televisivo contro il maschio subumano - Corriere.it (http://27esimaora.corriere.it/17_giugno_05/vaccino-televisivo-contro-maschio-subumano-5e829562-4a35-11e7-80a9-c638c3a4067c.shtml)

Lord Attilio
14-07-17, 18:51
Segnalo un articolo femminista dove un omuncolo (è proprio il caso di scriverlo) utilizza termini razzisti e discriminatori verso quello che DOVREBBE essere il suo sesso d'appartenenza

Il vaccino televisivo contro il maschio subumano - Corriere.it (http://27esimaora.corriere.it/17_giugno_05/vaccino-televisivo-contro-maschio-subumano-5e829562-4a35-11e7-80a9-c638c3a4067c.shtml)

Non ce l'ho fatta a finire di leggerlo.

LupoSciolto°
02-08-17, 17:34
L’orgasmo femminile fa eccitare l’uomo. Ma è sintomo di maschilismo


Secondo una ricerca dell'Università del Michigan, la donna starebbe tornando pericolosamente verso un ruolo passivo, come se l'orgasmo fosse una gentile concessione del partner, utile più alla di lui sicurezza che al di lei piacere
di F. Q. | 31 luglio 2017

Sara Chadwick e Sari van Anders, ricercatori presso il dipartimento di Psicologia e Studi femminili all’Università del Michigan, hanno condotto una ricerca tra 810 uomini eterosessuali (età media attorno ai 25 anni) le cui conclusioni sono meno positive di quanto si possa immaginare.

La prima conclusione dello studio, pubblicato sull’autorevole The Journal of Sex Research, è che sempre più uomini si eccitano al solo pensiero che la loro partner sessuale raggiunga un orgasmo. Tutto bene, dunque? Nì, perché la questione ha un lato meno evidente da approfondire: l’orgasmo, che dopo secoli di ostacoli culturali è visto come soddisfacimento sessuale femminile e simbolo di una vita sessuale sana per le donne, in questo caso diventa sintomo di maschilismo. La ricerca di Chadwick e van Anders suggerisce che questo crescente interesse dell’uomo per l’orgasmo femminile sia indicatore di egoismo maschile, poiché il suo raggiungimento sarebbe una “conquista” dell’uomo stesso utile ad accrescere virilità e autostima.

La donna, dunque, starebbe tornando pericolosamente verso un ruolo passivo, come se l’orgasmo fosse una gentile concessione del partner, utile più alla di lui sicurezza che al di lei piacere: “E’ come se alcuni uomini eterosessuali – spiegano Chadwick e van Anders – si sentissero in dovere di ‘donare’ l’orgasmo alle donne, come se fosse qualcosa che si tira fuori dal cappello e si regala gentilmente alla partner”. E ancora, su un fronte più prettamente femminista, ecco che queste dinamiche incentivano nuovamente “idee culturali secondo cui le donne sono destinatari passivi di quello che gli uomini danno loro” e conseguentemente “l’orgasmo smette di essere un piacere femminile” e torna a essere un gentile omaggio che un uomo insicuro e maschilista decide di offrire (anche per solleticare ego, virilità e autostima).

http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/07/31/lorgasmo-femminile-fa-eccitare-luomo-ma-e-sintomo-di-maschilismo/3766545/

LupoSciolto°
02-08-17, 17:36
Tra le nazifemministe che vorrebbero gli uomini eunuchi e le "grandi menti" del Fatto, sinceramente, non so chi sia messo peggio.

E' un giornale che va preso col contagocce, l'ho scritto mille volte, perché accanto a denunce di carattere sociale , poi, ti trovi queste perle di follia.

Kavalerists
02-08-17, 18:32
Tra le nazifemministe che vorrebbero gli uomini eunuchi e le "grandi menti" del Fatto, sinceramente, non so chi sia messo peggio.

E' un giornale che va preso col contagocce, l'ho scritto mille volte, perché accanto a denunce di carattere sociale , poi, ti trovi queste perle di follia.

Assolutamente vero!

LupoSciolto°
14-09-17, 18:07
E infatti continuano a venir pubblicati articoli idioti e sessisti, specialmente quelli di una certa Erica Vecchione (che fa rima con coglione). Roba che sembra uscita dalla penna di uno Streicher femminista

https://www.ilfattoquotidiano.it/2017/09/10/quei-parassiti-che-chiamano-figli-maschi/3844355/

Leggetelo, mi raccomando!

Molly
14-09-17, 18:22
Vabbè ma questa roba non ha nulla a che vedere con il femminismo, sono fisime individuali di tardone di mezza età che se la prendono con gli uomini per strappare un pò di solidarietà femminile, e in genere senza riuscirci perché si capisce benissimo che sono mosse da rancore personale.

Kavalerists
14-09-17, 18:58
Vabbè ma questa roba non ha nulla a che vedere con il femminismo, sono fisime individuali di tardone di mezza età che se la prendono con gli uomini per strappare un pò di solidarietà femminile, e in genere senza riuscirci perché si capisce benissimo che sono mosse da rancore personale.
Però purtroppo è questo tipo di femminismo ("nazifemminismo") quello che fa più parlare di se e riempie le pagine dei quotidiani. E questo è il messaggio sessista, razzista, e stupidamente e volgarmente "antimaschio" che riesce a veicolare.

LupoSciolto°
14-09-17, 19:00
Vabbè ma questa roba non ha nulla a che vedere con il femminismo, sono fisime individuali di tardone di mezza età che se la prendono con gli uomini per strappare un pò di solidarietà femminile, e in genere senza riuscirci perché si capisce benissimo che sono mosse da rancore personale.

Non so come tale Erica Vecchione si definisca, ma è evidente l'ambiente di provenienza. Quello di un femminismo rancoroso e demodè. Che , poi, sia una tardona inacidita...non ci piove!

LupoSciolto°
16-10-17, 21:28
Le lacrime di coccodrillo


Oltre il moralismo e il politicamente corretto non si può che constatare come Harvey Weinstein e Asia Argento siano due facce della stessa medaglia. Due facce negative e perdenti.


di Luca Orlandini - 16 ottobre 2017

Le lacrime di coccodrillo | L' Intellettuale Dissidente (http://www.lintellettualedissidente.it/societa/asia-argento-harvey-weinstein/)

Lord Attilio
17-10-17, 17:11
Per completezza metto anche ciò che pensano i negriani post-operaisti fanatici del Comune: riassumendo qualsiasi critica alla donna nel caso già menzionato viene presa come difesa dell'orco e come attacco allo status di vittima.

https://comune-info.net/2017/10/le-donne-spesso-esistono-fra-lincudine-martello/

LupoSciolto°
17-10-17, 18:13
Per completezza metto anche ciò che pensano i negriani post-operaisti fanatici del Comune: riassumendo qualsiasi critica alla donna nel caso già menzionato viene presa come difesa dell'orco e come attacco allo status di vittima.

https://comune-info.net/2017/10/le-donne-spesso-esistono-fra-lincudine-martello/

La maggior parte di loro non sono attratti dalle donne, quindi neanche si pongono il problema di doverci provare. Una piccola percentuale, invece, è composta da eterosessuali ideologizzati e frustrati. Per questa gente dire "figa" o fare un semplice complimento a una bella ragazza significa essere degli stupratori macho-sciovinisti. Tutto secondo copione :encouragement:

LupoSciolto°
17-10-17, 18:15
OT: Che ne dite di raccogliere gli articoli più deliranti di movimenti come "La Comune" e postarli in una thread dedicata alla risata politica? Tra loro, PdAC, PLC e Sinistra Anticapitalista (??) c'è da divertirsi!

Lord Attilio
19-10-17, 17:55
Una giornalista di Osservatorioiraq.it, un sito che sostiene i ribelli "moderati" che vogliono imporre la Sharia in Siria, se la prende per una vignetta del Fatto Quotidiano e accusa Natangelo di essere al servizio del Patriarcato fallo-logo-centrista: la trave nell'occhio deve fargli malino.

https://comune-info.net/2017/10/almeno-stuprami-la-violenza-non-ridere-notangelo/

LupoSciolto°
19-10-17, 18:34
Una giornalista di Osservatorioiraq.it, un sito che sostiene i ribelli "moderati" che vogliono imporre la Sharia in Siria, se la prende per una vignetta del Fatto Quotidiano e accusa Natangelo di essere al servizio del Patriarcato fallo-logo-centrista: la trave nell'occhio deve fargli malino.

https://comune-info.net/2017/10/almeno-stuprami-la-violenza-non-ridere-notangelo/

Non ce la fanno...è più forte di loro!

LupoSciolto°
24-10-17, 20:23
Mi è stata segnalata questa iniziativa politcamente corretta e auto-colpevolizzante



http://www.comune.bologna.it/sites/default/files/galleries/Gassman.jpg


http://3.citynews-bolognatoday.stgy.ovh/~media/original-hi/4931171329668/noi-no-violenza-donne.jpg

LupoSciolto°
24-10-17, 20:34
Se i signori in questione non hanno mai stuprato o non hanno scheletri negli armadi...per quale motivo devono manifestare (IN QUANTO UOMINI E CON LA PROPRIA FACCIA) contro la violenza sulle donne? Qui nessuno è mai stato tenero con stupratori o con mariti/conviventi dal ceffone facile. Ma quando è troppo è troppo!

Perché, diciamolo senza troppi giri di parole, a pagare le conseguenze di questa becera propaganda nazifemminista, non saranno certo i signori Gassman (intendo il figlio scemo, non il grande Vittorio) o Silvestri. No. La criminalizzazione colpirà l'uomo della strada, il proletario, il disoccupato, la partita IVA. Lorsignori saranno sempre visti come "gran fighi", mentre noi pezzenti, chi più chi meno, passeremo tutti per "stalker", "potenziali stupratori", "sessisti" e tante belle parole che, a conti fatti, servono solo a demonizzare l'uomo.

Io , su questo punto, la penso come Fusaro. Il grande capitale si vuole sbarazzare di un "ferro vecchio" come la famiglia patriarcale. I motivi sono due: se un tempo la famiglia patriarcale poteva garantire l'ordine borghese, oggi non è in grado di tutelare gli interessi del capitale globale e finanziario. Un po' come Mubarak: alleato degli USA ma defenestrato dagli stessi perché diventato bolso e ingombrante. Altro punto focale: la famiglia patriarcale, che può piacere come far schifo, oggi rappresenta una delle ultime cellule comunitarie. Sappiamo bene, infatti, che i padroni del vapore preferiscono l'individuo isolato, atomizzato e unicamente consumatore.

Kavalerists
25-10-17, 02:43
Mi è stata segnalata questa iniziativa politcamente corretta e auto-colpevolizzante



http://www.comune.bologna.it/sites/default/files/galleries/Gassman.jpg


http://3.citynews-bolognatoday.stgy.ovh/~media/original-hi/4931171329668/noi-no-violenza-donne.jpg

Il lavaggio del cervello subliminale del messaggio è chiarissimo: colpevolìzzati e omòlogati...
Deficienti.

don Peppe
08-11-17, 17:56
vi consiglio la lettura di questo sito, dove sono presenti moltissimi articoli che in maniera intelligente e senza derive maschiliste, omofobe e neomoraliste, denunciano il fanatismo e le contraddizioni del nazifeminismo e della lobby omocentrica

http://www.linterferenza.info/

Lord Attilio
08-11-17, 19:22
vi consiglio la lettura di questo sito, dove sono presenti moltissimi articoli che in maniera intelligente e senza derive maschiliste, omofobe e neomoraliste, denunciano il fanatismo e le contraddizioni del nazifeminismo e della lobby omocentrica

http://www.linterferenza.info/

Dell'interferenza ci si può fidare, è un sito chiaramente di sinistra. Basta guardare la colonna a sinistra.

LupoSciolto°
09-11-17, 19:54
Ultimo scoop: il maschio è Satana


Antonello Boassa (Una parola contro le guerre) • 6 novembre 2017 •

http://1.bp.blogspot.com/-tmnUSpnDMw8/UoaCE_ezD7I/AAAAAAAAHWM/EY7HzwW_KsA/s1600/Fidanzatini+Peynet.jpg

Che l’uomo sia una cosa e la donna sia un’altra è un’acquisizione culturale in dotazione delle popolazioni credo da tempi ancestrali.
A parte le differenti connotazioni come appaiono alla vista nella deambulazione, nella forma dei piedi ed altro ancora…entrambi i generi fisiologici hanno recitato un ruolo specifico che ha determinato un rafforzamento dei supposti caratteri genetici.
Di questi ruoli ne hanno parlato le genti e i/le grandi pensatori/grandi pensatrici raccontando il più delle volte delle banalità insopportabili, dovute alle loro conoscenze fatue di uno sparuto numero di persone oppure a letture intense dei noti esperti conoscitori del genere umano.

Quell’antico barbone che, infastidito da tanti balordi che cercavano lumi da lui, sbiascicava, implorando moderazione “So di non sapere” è stato annientato dai soloni della letteratura, delle arti, delle scienze, per non parlare di quei chiaccheroni che devono ossessivamente parlare e scrivere per mestiere, e cioè i politici e i giornalisti.
Tutti parlano di tutto, anche senza capire o sapere un bel fico di questo o di quello. Certo mi rendo conto che questo fa bene alla salute. Un pò come fare all’amore…
Si è sommersi dalle informazioni e su tutte ci si sente in dovere di esprimere la propria riflessione. Ripeto, fa bene perché è un atto religioso che attenua le sofferenze, le umiliazioni della vita quotidiana e aumenta la propria autostima.

Il caso ” Hollywood corrotta e corruttrice” non poteva non coinvolgere stampa e istituzioni (la Boldrini non ha rinunciato ad esprimersi con le sue solite banalità) quando Asia Argento ha “confessato” i suoi peccati commessi (subiti?) con il gigante della Miramax Harvey Weinstein.
Il processo contro Hollywood si è trasformato in un processo all’uomo in quanto tale. Weinstein, e poi tutti gli altri da Kevin Spacey a Dustin Hoffman, avrebbero solo manifestato quella che è la vera natura dell’uomo: violento, prevaricatore, potenzialmente stupratore e pedofilo, con in testa più che la donna il sesso femminile…

Come avviene per tanti altri tristi episodi della nostra non più solida società si genera una guerra tra presunti opposti.
Una banalizzazione della figura umana…una guerra tra i sessi.
A chi conviene?
In primo luogo non certo ad una riflessione seria, ponderata sulle relazioni tra uomo e donna, sulla deruolizzazione storica della donna e quindi anche dell’uomo e sulla permanenza sia nella donna che nell’uomo di vetuste abitudini non confinate, come spesso si suol dire nei sud del pianeta. Un certo femminismo non vetero ma neo ripropone in modo rovesciato e perciò sostanzialmente identico quello che fu il ruolo differente, specifico della donna. Sul piano filosofico e politico si tratta invece di vederne le identità.
In secondo luogo non serve all’esame della società liquida cui Baumann ha prestato particolare attenzione e che anch’essa sembra volatilizzarsi in una società di esseri umani formattati dal potere. Il potere appunto che inventa conflitti là dove ci può essere il dialogo e nasconde invece i conflitti inestinguibili. Il potere che inventa il conflitto tra giovani e vecchi è lo stesso che crea la guerra tra i sessi. Il potere che produce miseria materiale e morale, alienazione, feticismo, guerra è lo stesso che inventa strumenti di distrazione di massa ben diffusi sia tra i ceti conservatori che tra i ceti progressisti, sia tra gli incolti che tra i colti. Un’aberrazione che riguarda una gran parte della società occidentale.
La satanizzazione dell’uomo è un altro capolavoro ideologico del capitalismo morente che ha come tratto distintivo la disgregazione, la dissoluzione della solidarietà tra esseri umani e la distruzione della vita del pianeta.

Un ultima osservazione. Fred MacMurray, noto attore americano degli anni ’50/’60 raccontò già alcuni decenni fa che l’unica star che si fosse negata ai potentati di Hollywood era stata Bette Davis, quando era ancora una giovinetta.
Come a dire che se c’è un corruttore ci deve essere un corrotto. E questo vale anche quando i piani del potere non sono allo stesso livello.

NOTE
Le immagini tratte da Google: Edouard Manet, Raymond Peynet

Risultati immagini per Edouard Manet immagini

http://blog.art.com/artwiki/wp-content/uploads/2014/05/edouard-manet-romantic-couple-art-print.jpg

Ultimo scoop: il maschio è Satana - l'interferenza (http://www.linterferenza.info/attpol/ultimo-scoop-maschio-satana/)

MaIn
12-11-17, 20:47
https://scontent.fmxp2-1.fna.fbcdn.net/v/t1.0-9/23434711_1992802644269155_3847756424585019823_n.pn g?oh=5b370dd769c4caf2ef98956d55b5a012&oe=5A65A934

LupoSciolto°
13-11-17, 00:53
Beh non ci va molto distante!

LupoSciolto°
13-11-17, 12:02
Beninteso: qui nessuno vuole la donna castigata, muta e subordinata ai voleri dell'uomo. Semplicemente, vogliamo la fine di questa stupida e becera guerra tra sessi, guerra che le neo-femministe (sostenute dal capitale) hanno dichiarato contro l'uomo e la famiglia detta tradizionale. Le uniche due battaglie che dovrebbero stare a cuore a tutte le persone, donne e uomini, sono quelle contro il capitalismo e per la liberazione nazionale. All'odio di "genere" , dovranno sostituirsi il dialogo sincero e il rispetto dell'altro/a. Concetti tanto difficili da comprendere? Concetti tanto difficili da mettere in pratica?

LupoSciolto°
13-11-17, 21:14
Vietato avvicinarsi alle donne!

di Giulietto Chiesa

http://www.antimafiaduemila.com/images/stories/loghi/2017/uomo-amava-donne-francois-truffaut.jpg

C'è qualcosa che non funziona, qui sotto il sole. Scoppiano, uno dopo l'altro scandali sessuali a scoppio ritardato. Il "bianco suprematista" è ormai il mostro. Guai a rimanere soli in ascensore con una donna. È diventato rischioso. Da un lato ogni pubblicità ti invita a "liberare i tuoi istinti", dall'altro l'indicazione implicita proveniente dal mainstream è "fatti monaco se non vuoi finire nei guai".
Se hai toccato il ginocchio di una fanciulla 20 anni fa devi provare rimorso? Comunque devi essere politically correct. È obbligatorio. E per questo devi cambiare il tuo vocabolario. Altrimenti ti mettiamo in un angolo. Ma tutto l'immaginario collettivo è strapieno di sesso. C'è un certo senso di dissonanza cognitiva.
Viene qualche sospetto. È come se ti spingessero a guardare dove non dovresti. In tutti i sensi. Il mondo sta precipitando verso una crisi gigantesca e "loro", quelli con il piffero in bocca, stanno suonando una musica strana. La cui stonata melodia crea barriere fittizie tra gl'individui, motivate dal sesso, o dalla sua mancanza, o dalle forme che esso assume.
Il sospetto è che stiano frettolosamente calando un sudario sul disastro che ci attende. E su quel sudario stiano proiettando un film semi-pornografico. Per poi chiederci perentoriamente di pentirci di averlo guardato.

Tratto da: megachip.globalist.it

Vietato avvicinarsi alle donne! (http://www.antimafiaduemila.com/rubriche/giulietto-chiesa/67762-vietato-avvicinarsi-alle-donne.html)

LupoSciolto°
13-11-17, 21:19
Facciamo un attimo la conta di coloro i quali si sono accorti che le femministe stanno scatenando autentiche campagne d'odio

1) I giornalisti de "l'interferenza"
2) Il fu Costanzo Preve
3) Diego Fusaro
4) Paolo Barnard
5) Giulietto Chiesa

Chiaramente TUTTI tesserati a Lega, CPI e Forza Nuova. Chiaramente TUTTI cattolici tradizionalisti o talebani.

MaIn
13-11-17, 23:12
Facciamo un attimo la conta di coloro i quali si sono accorti che le femministe stanno scatenando autentiche campagne d'odio

1) I giornalisti de "l'interferenza"
2) Il fu Costanzo Preve
3) Diego Fusaro
4) Paolo Barnard
5) Giulietto Chiesa

Chiaramente TUTTI tesserati a Lega, CPI e Forza Nuova. Chiaramente TUTTI cattolici tradizionalisti o talebani.

sulla lucidità di barnard e chiesa avrei qualche dubbio.
eviterei poi di mettermi insieme ai sostenitori del ritorno al patriarcato più retrivo se fossi in voi.

LupoSciolto°
14-11-17, 10:32
eviterei poi di mettermi insieme ai sostenitori del ritorno al patriarcato più retrivo se fossi in voi.

E chi sarebbero?? Non certo i signori da me elencati.

Kavalerists
14-11-17, 20:11
sulla lucidità di barnard e chiesa avrei qualche dubbio.
eviterei poi di mettermi insieme ai sostenitori del ritorno al patriarcato più retrivo se fossi in voi.

Punti di vista. Io specialmente su Chiesa non ne ho alcuno.

Chi sarebbero, con nome e cognome?

MaIn
14-11-17, 20:35
Punti di vista. Io specialmente su Chiesa non ne ho alcuno.

Chi sarebbero, con nome e cognome?

forza nuova e i cattolici tradizionalisti.

don Peppe
14-11-17, 22:40
Beninteso: qui nessuno vuole la donna castigata, muta e subordinata ai voleri dell'uomo. Semplicemente, vogliamo la fine di questa stupida e becera guerra tra sessi, guerra che le neo-femministe (sostenute dal capitale) hanno dichiarato contro l'uomo e la famiglia detta tradizionale. Le uniche due battaglie che dovrebbero stare a cuore a tutte le persone, donne e uomini, sono quelle contro il capitalismo e per la liberazione nazionale. All'odio di "genere" , dovranno sostituirsi il dialogo sincero e il rispetto dell'altro/a. Concetti tanto difficili da comprendere? Concetti tanto difficili da mettere in pratica?

vorrei fare notare che circa un anno fa c'è stata una dura lotta contro i licenziamenti e la privatizazione delle miniere, condotte dalle minatrici delle Asturie, che teoricamente dovrebbero essere degli idoli per le femministe, dato che sono donne che lottando contro i pregiudizi, sono riuscite ed integrarsi perfettamente in un settore lavorativo tipicamente maschile, riuscendo a dimostrare di essere capaci quanto gli uomini, ma in italia nessuna nazifemminista ha preso iniziative per la loro solidarietà, invece sono scese in massa a manifestare in solidarietà alle femen, alle pussy mignot, a vladimir luxuria, ai gay prides, a non una di meno ed oggi in difesa delle attrici ed attricette strapagate, che dopo decenni hanno denunciato le molestie sessuali, che in tutti queli anni gli ha fatto comodo tenere nascoste, poiché proprio grazie a quelle molestie ci hanno costruito la carriera. Il problema è che le minatrici delle Asturie agli occhi delle femministe, sono proletarie che svolgono un lavoro duro e poco gratificante, che mandano avanti rivendicazioni di classe, lottando per i propri diritti di lavoratrici, non lotte di "genere" il cui scopo è dimostrare che tutti gli uomini eterosessuali, sono per loro natura violenti, stupratori, femminicidi, causa di tutti i mali dell'umanità, questo dimostra che le attuali nazifemministe sono feccia liberale, a cui interessa difendere solo il diritto delle donne ricche di divertirsi e di occupare posti di potere, non solo non importa nulla dei diritti dei lavoratori e dei disoccupati proletari di entrambi i sessi, verso cui provano un sentimento di disprezzo ed odio di classe, ma neppure dei diritti di tutte le donne, dato che questi sono strettamente legati alla classe sociale a cui appartengono, per esempio le figlie dei ricchi sceicchi sauditi e dei ricchi mujeedeen afghani arricchiti con i soldi stranieri, la corruzzione ed il narcotraffico, nei fatti hanno molti più diritti ed una qualità della vita migliori, non solo della maggior parte delle donne occidentali, ma anche della maggior parte dei lavoratori e dei disoccupati uomini occidentali, vivono nel lusso, vanno a studiare o passano buona parte della loro vita all'estero, dove vivono in case bellissime, hanno macchine di lusso, vestono con minigonne più scollate delle battone sulle strade, beveno alcol. e fanno una vita che la maggior parte dell'umanità invidierebbe, sono le loro connazionali povere, che sono costrette a fare una vita di merda, da schiave dei mariti e senza diritti, infatti gli stati dove le donne hanno goduto di maggiori diritti sono stati quelli a socialismo reale, che guarda caso le nazifemministe odiano e considerano l'impersonificazione del demonio, dove le donne grazie a scuole, doposcuole ed asili nido gratuiti, lavori con orari umani e flessibili per entrambi i sessi, la certezzza di non finire disoccupati, riuscevano ad avere un ruolo quasi paritario nei diritti e nei doveri con gli uomini.
Concludo con un esempio derivato dalla mia esperienza personale, ho un'amica originaria di scampia, proveniente da una famigia non ricca, ma che comunque conduceva una vita dignitosa, che è riuscita a laurearsi, imparare diverse lingue ed in seguito a trovare un lavoro abastanza remunerativo, che non l'ha fatta diventare ricchissima, ma le ha permesso di comprare una casa propria in una bella zona, e condurre per anni una vita abastanza agiata, pochi anni fa ha avuto un figlio senza essere sposata, e poiché gli unici asili vicino a casa sua o al posto dove lavora hanno prezzi enormi, che gli verrebbero a costare ogni mese quasi tutto il suo stipendio, è stata costretta a tornare a vivere a Scampia dalla madre, per potergli dare il figlio in affidamento quando è al lavoro, ho un'altra amica che invece non aveva i genitori, viveva con lavori precari, anche lei ha avuto una figlia senza essere sposata, l'ultima volta che l'ho vista, non era più riuscita a trovare un lavoro, gli assistenti sociali gli avevano tolto la figlia, era stata sfrattata ed era finita in mezzo alla strada, vi assicuro, che quando l'ho incontrata mi sono sentito malissimo e mi vergognavo per non essere stato in grado di auitarla, una donna molto ricca, invece può permettersi di avere figli senza essere sposata, e di spendere migliaia di euro al mese per asili e baby sitters

L'ultima lotta delle minatrici nelle Asturie - Repubblica.it (http://www.repubblica.it/r2-fotorep/2017/02/20/news/l_ultima_lotta_delle_minatrici_nelle_asturie-158743854/)

https://www.repstatic.it/content/nazionale/img/2017/02/20/095733994-cb5fedab-d017-470e-bab0-14de1d75594a.jpg

https://www.repstatic.it/content/nazionale/img/2017/02/20/095703944-627b3998-afe6-4052-b9f5-2f36bb82ab7c.jpg

https://www.repstatic.it/content/nazionale/img/2017/02/20/095636160-9ccd1160-0b0e-47ea-85b0-e184444e7cca.jpg

https://www.repstatic.it/content/nazionale/img/2017/02/20/100035208-6d0f7ebd-2154-4c62-adb8-835b7d7e891e.jpg

http://images.corriere.it/Media/Foto/2013/07/17/fdg/carbone_620.jpg

io sto dalla parte di queste donne, che lottano per i loro diritti di lavoratrici insieme ai colleghi maschi, le lotte di genere le lascio ai liberalcapitalisti

FRUGALE
14-11-17, 23:49
Bene don Peppe.

LupoSciolto°
15-11-17, 11:26
Credo che il post di don Peppe, oltre che di strettissima attualità, ben riassuma il nostro punto di vista.

LupoSciolto°
15-11-17, 11:27
forza nuova e i cattolici tradizionalisti.

Era ironica la mia frase. So bene che L'Interferenza è un sito di sinistra.

LupoSciolto°
28-11-17, 18:18
Una nazifemminista si lamenta perché su facebook il suo gruppo è stato chiuso

https://www.ilfattoquotidiano.it/2017/11/27/facebook-chiude-abbatto-i-muri-i-suoi-algoritmi-non-distinguono-la-pornografia-dai-diritti/4004708/

Ma quelli di del fatto cosa si fumano??

don Peppe
28-11-17, 22:57
Una nazifemminista si lamenta perché su facebook il suo gruppo è stato chiuso

https://www.ilfattoquotidiano.it/2017/11/27/facebook-chiude-abbatto-i-muri-i-suoi-algoritmi-non-distinguono-la-pornografia-dai-diritti/4004708/

Ma quelli di del fatto cosa si fumano??

tratto dall'articolo


https://www.ilfattoquotidiano.it/2017/11/27/facebook-chiude-abbatto-i-muri-i-suoi-algoritmi-non-distinguono-la-pornografia-dai-diritti/4004708/


Hanno eliminato immagini di ragazze in bikini, short, mutande e reggiseno. Ma quelle ragazze ci avevano mandato le loro foto per aderire all’iniziativa Body liberation front, che mira a riappropriarsi del diritto (ancora uno) a non vergognarsi di sé: a poter andare al mare, a superare problemi gravi che spesso le tengono chiuse in casa o vestitissime con 30° gradi perché pensano di essere sbagliate, perché hanno la cellulite, le smagliature, perché non corrispondono al modello estetico imposto. Sono immagini accompagnate da storie spesso terribili ma anche di rinascita. E il fatto stesso che Facebook non distingua la pornografia da questo tipo di immagini, che non suscitano eccitazione, ma reazioni d’odio in chi vorrebbe che tornassero a nascondersi per non turbare la loro vista, vuol dire che il social network di Mark Zuckerberg non è uno spazio per donne. Non è uno spazio in cui chi ragiona, pensa, respira in termini di difesa dei diritti e di recupero dell’autonomia individuale e della soggettività, può ritenere di poter restare.


io mi domando sempre se certa gente nella vita ha dei problemi seri a cui pensare, e di come deve essere fortunata, spensierata e priva di difficoltà la loro vita, se tra le cose più importanti di cui si preoccupano c'è la difesa del diritto delle donne ad andare al mare in costume senza vergognarsi della cellulite e dei difetti fisici, a parte il fatto che nessuno gli impedisce di andare a mare in costume, e che sulle spiagge è pieno di cessi a pedali di entrambi i sessi, e nessuno li pensa, al massimo possono ricevere qualche sfottò che non dovrebbe interessare a persone con un minimo di inteligenza e maturità, ma queste dementi, anche rispettando la loro logica contorta secondo la quale bisogna occuparsi solo dei diritti delle donne,poiché gli uomini sono tutti cattivi, violenti, stupratori e non hanno alcun diritto, non si preoccupano dei diritti delle donne cassintegrate, che rischiano di perdere il lavoro, delle lavoratrici costrette a turni estenuanti con paghe da fame e costantemente sotto ricatto, delle donne come la mia amica che ho citato prima, a cui essendo finite in miseria gli assistenti sociali gli sequestano i figli e li mandano nelle case famiglia, di quelle, che soprattutto nel caso di ragazze madri o vedove, avrebbero bisogno di asili nido publici, poiché non possono permettersi di spendere centinaia di migliaia di euro al mese per quelli privati, evidentemente se non si preoccupano di questi diritti il motivo è lo stesso per cui danno tanta importanza alle moleste sessuali subite da asia argento, dalle ex ragazze di non è la rai e da tantissime donne dello spettacolo famose, che si sono ricordate di quelle molestie a distanza di decenni, poiché prima gli avevano fatto comodo per diventare famose, ma se ne fregano di centiania di migliaia di altri casi di molestie e di ricati sessuali subite da tantissime donne sui luoghi di lavoro da parte dei superiori, poiché le nuove nazifemministe, hanno una mentalità fortemente classista, a loro interessano solo i diritti delle donne ricche, dei diritti e dei problemi delle donne e degli uomini, che ogni giorno devono lottareper sopravivere, non importa nulla, e non sono neppure in gradi di comprenderli dato che nella loro vita problemi come questi non ne hano mai avuti

don Peppe
28-11-17, 23:02
https://www.youtube.com/watch?v=ipvwWVqVxQ4

scena di un film del 1973, che descriveva egregiamente le nazifemministe, purtropo da allora la mentalità non è cambiata

LupoSciolto°
29-11-17, 11:46
io mi domando sempre se certa gente nella vita ha dei problemi seri a cui pensare, e di come deve essere fortunata, spensierata e priva di difficoltà la loro vita, se tra le cose più importanti di cui si preoccupano c'è la difesa del diritto delle donne ad andare al mare in costume senza vergognarsi della cellulite e dei difetti fisici, a parte il fatto che nessuno gli impedisce di andare a mare in costume, e che sulle spiagge è pieno di cessi a pedali di entrambi i sessi, e nessuno li pensa, al massimo possono ricevere qualche sfottò che non dovrebbe interessare a persone con un minimo di inteligenza e maturità, ma queste dementi, anche rispettando la loro logica contorta secondo la quale bisogna occuparsi solo dei diritti delle donne,poiché gli uomini sono tutti cattivi, violenti, stupratori e non hanno alcun diritto, non si preoccupano dei diritti delle donne cassintegrate, che rischiano di perdere il lavoro, delle lavoratrici costrette a turni estenuanti con paghe da fame e costantemente sotto ricatto, delle donne come la mia amica che ho citato prima, a cui essendo finite in miseria gli assistenti sociali gli sequestano i figli e li mandano nelle case famiglia, di quelle, che soprattutto nel caso di ragazze madri o vedove, avrebbero bisogno di asili nido publici, poiché non possono permettersi di spendere centinaia di migliaia di euro al mese per quelli privati, evidentemente se non si preoccupano di questi diritti il motivo è lo stesso per cui danno tanta importanza alle moleste sessuali subite da asia argento, dalle ex ragazze di non è la rai e da tantissime donne dello spettacolo famose, che si sono ricordate di quelle molestie a distanza di decenni, poiché prima gli avevano fatto comodo per diventare famose, ma se ne fregano di centiania di migliaia di altri casi di molestie e di ricati sessuali subite da tantissime donne sui luoghi di lavoro da parte dei superiori, poiché le nuove nazifemministe, hanno una mentalità fortemente classista, a loro interessano solo i diritti delle donne ricche, dei diritti e dei problemi delle donne e degli uomini, che ogni giorno devono lottareper sopravivere, non importa nulla, e non sono neppure in gradi di comprenderli dato che nella loro vita problemi come questi non ne hano mai avuti

Questa gente è parte del ceto medio semicolto, ovvero i traditori numero uno dei lavoratori. Soggetti perennemente fancazzisti che dalla (finta) lotta al capitalismo e all'imperialismo, oggi sono passati alle battaglie in difesa delle cosiddette minoranze. Donne, gay, immigrati, consumatori di cannabis, giornalisti e maggggistrati minacciati dal "potere" ma, in casi estremi, anche pedofili. Tralasciando i pedofili , indifendibili sotto OGNI PUNTO DI VISTA, parliamo di "categorie" di per se neutre. Una donna precaria non ha un beneamato cazzo in comune con un'attricetta socialmente impegnata o con Veronica Lario. Un gay disoccupato, ovviamente, ha problemi che Dolce & Gabbana nemmeno si sognano. La lotta di classe, nei fatti, è stata rifiutata in maniera categorica. Non è più trendy e, a ben vedere, richiede un sincero impegno politico. Ma non è finita qui. Dall'AmerDica è giunta un'altra perniciosa moda: accanirsi con astio contro il maschio bianco. Se tu sei dotato di pene, sei nato in occcidente e non accetti gli assiomi del liberalismo, diventi un mostro da isolare ed emarginare. E così nascono le boldrinate, le VERE fake news (esiste la violenza domestica, che ha mille facce, ma non il "femminicidio") e tutta una serie di proposte di legge volte a sanzionare le forme di pensiero distanti da quello unico. Ma di fronte a una stronza come Asia Argento che incrimina un maiale come Weinstein, chi ci rimetterà mai? Il ricco e famoso regista hollywoodiano? Certo che no! Ci rimetterà il proletario. Infatti la crescente paranoia maschiofobica colpisce non tanto chi ha il taschino pieno di verdoni o di coca, ma il lavoratore precario, il disoccupato e tutti quegli uomini che non possono "comprare" la fiducia o la compagnia di una donna. Se, poi, uno di loro si lamenta perché ha un campo rom sotto caso, partono le accuse di razzismo e xenofobia. Ma alla lotta contro il capitale chi ci pensa?

LupoSciolto°
29-11-17, 21:40
Fatto recente


https://www.youtube.com/watch?time_continue=12&v=tN59G89GFV8

A quando l'apartheid anti-maschile?

don Peppe
06-12-17, 13:14
Fatto recente


https://www.youtube.com/watch?time_continue=12&v=tN59G89GFV8

A quando l'apartheid anti-maschile?


a lottare per il diritto di questa donna a non essere licenziata ed avere orari di lavoro compatibili con la propria condizione di madre separata di due figli, non sono state le nazifemministe di non una di meno, ma i suoi colleghi di entrambi i sessi, dato che anche i colleghi maschi, sono coscenti del fatto che difendendo i diritti di questa donna, difendono anche i loro diritti di lavoratori, questa non è lotta di genere, ma lotta di classe, quella che il capitalismo teme di più, e che per questo viene ridicolizzata, e demonizata da partiti plitici e media capitalisti, anche se è più attuale che mai, dato che da quando è crollato il blocco sovietico, che costituiva l'unico argine contro la barbarie capitalista, il capitalismo senza più freni sta tornando ad essere quello che era nell'ottocento, ed i diritti dei lavoratori vengono rapidamente distrutti, ma alle nazifemministe dei diritti delle lavoratici ad avere oriari di lavoro compatibili con la loro condizione di madre, non importa, tanto loro possono permettersi di pagare baby sitters e costisissimi asili nido e doposcuola

https://www.ilmattino.it/primopiano/cronaca/ikea_mamma_figlio_disabile_licenziata_perche_non_p uo_lavorare_alle_7_mattino_colleghi_decidono_di_sc ioperare-3395536.html

Ikea, mamma con figlio disabile licenziata perché non può lavorare alle 7 del mattino: i colleghi decidono di scioperare


https://www.ilmattino.it/photos/PANORAMA/53/64/3395364_1855_collage_2017_11_28.jpg.pagespeed.ce.X yuZc-qKKO.jpg

Scoppia la protesta. Ikea licenzia in tronco una lavoratrice, madre separata con due figli di cui uno disabile, perché non può cominciare a lavorare alle 7 del mattino. In solidarietà con la donna, Marica Ricutti, 39 anni, i colleghi di Corsico hanno scioperato oggi per due ore e hanno deciso per il 5 dicembre un presidio davanti al luogo di lavoro.
https://www.ilmattino.it/uploads/ckfile/201711/23905557_1473578309358082_364983415145977517_n_281 85548.jpg


La donna aveva accettato il cambiamento di reparto nel punto vendita alle porte di Milano, chiedendo che il gruppo svedese le andasse incontro per gli orari. All'inizio Ikea avrebbe dato l'assenso ma poi l'atteggiamento sarebbe cambiato. A Marica è stato contestato l'orario che faceva prima (con inizio alle 9 di mattina) e che aveva adottato nel nuovo reparto.

La settimana scorsa è arrivato il licenziamento in tronco essendo venuto meno il rapporto di fiducia con la lavoratrice (che ha l'articolo 18) in due occasioni nella quali la donna si è presentata al lavoro in orari diversi da quello previsto. «Ikea dà un segnale a tutti: se non rispetti gli orari, te ne vai» sintetizza il segretario milanese della Filcams Cgil, Marco Beretta.

BELLANOVA, "SOLIDARIETÀ A MARICA, IKEA CI RIPENSI" «Le parole di Marica. Spesso mi accusano di essere troppo di parte, assillante nella difesa dei diritti delle donne. Non credo sia così. Sulla mia pelle ancora i segni di quanto sia difficile conciliare. Invito Ikea a ripensarci. Sono disponibile ad incontro con azienda e sindacati». Così Teresa Bellanova, viceministro allo Sviluppo economico e componente della segreteria nazionale del Partito democratico, commenta su Twitter la vicenda della lavoratrice licenziata da Ikea.

IKEA ITALIA: "VALUTIAMO PRIMA COMMENTARE" «In merito alla situazione di Marica Ricutti, Ikea Italia comunica che sta svolgendo tutti gli approfondimenti utili a chiarire compiutamente gli sviluppi della vicenda». Lo afferma l'azienda in una nota. Ikea «vuole valutare al meglio tutti i particolari e le dinamiche relative alla lavoratrice oggetto della vicenda. Solo dopo aver completato questa analisi» l'azienda «commenterà le decisioni prese e le ragioni che ne sono alla base», conclude il comunicato di Ikea Italia. La vicenda riguarda il licenziamento di una dipendente, madre anche di un bambino disabile, per non aver rispettato i turni dei nuovi reparti ai quali era stata assegnata.
Martedì 28 Novembre 2017, 18:57 - Ultimo aggiornamento: 29-11-2017 13:33
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https://www.ilmattino.it/primopiano/cronaca/ikea_dipendenti_sciopero_solo_numeri_reintegrate_l a_mamma_licenziata-3410242.html


Il Mattino > Primo Piano > Cronaca
Ikea, i dipendenti in sciopero: «Siamo solo numeri, reintegrate la mamma licenziata»


https://www.ilmattino.it/photos/PANORAMA/01/87/3410187_1625_ikea_marica.jpg.pagespeed.ce.1jJCs1hG tN.jpg



Ikea, i dipendenti in sciopero:
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Più di duecento persone hanno manifestato davanti allo stabilimento Ikea di Corsico alle porte di Milano per sfogare la loro rabbia contro l'azienda svedese, colpevole di aver licenziato una mamma separata e con due figli a carico dopo 17 anni di lavoro.


"Ci trattano come mobili da smontare e rimontare. Per loro siamo solo numeri senza diritti", urlano mostrando i cartelli solidali con la collega Marica Ricutti. Al presidio c’è anche lei in lacrime: "Vi ringrazio tutti. A questa azienda ho dato la vita. Ho avuto un problema. Non ho mai chiesto privilegi ma solo un aiuto. Tutti noi vogliamo lavorare ma al di là del lavoro abbiamo una vita che vogliamo tenere in considerazione".

I problemi però interessano tutti i 450 dipendenti in sciopero: "I nostri turni di lavoro sono regolati da algoritmi. Non siamo più uomini e donne. Solo numeri". Da Ikea minimizzano l'entità dell'adesione allo sciopero e spiegano: "Smitizziamo questa storia dell’algoritmo. È impensabile che nel 2017 si possano ancora fare a mano i turni di 6500 persone. La prassi dei cambi di turno tra colleghi concordati con i responsabili è normale. A Corsico dove ci sono 450 dipendenti si registrano circa 1800 cambi turni al mese".

Kavalerists
06-12-17, 14:36
Forse mi sbaglierò, ma così a naso questi mi sembrano assai peggio di Amazon, come negrieri.

Lèon Kochnitzky
06-12-17, 14:44
Questa gente è parte del ceto medio semicolto, ovvero i traditori numero uno dei lavoratori. Soggetti perennemente fancazzisti che dalla (finta) lotta al capitalismo e all'imperialismo, oggi sono passati alle battaglie in difesa delle cosiddette minoranze. Donne, gay, immigrati, consumatori di cannabis, giornalisti e maggggistrati minacciati dal "potere" ma, in casi estremi, anche pedofili. Tralasciando i pedofili , indifendibili sotto OGNI PUNTO DI VISTA, parliamo di "categorie" di per se neutre. Una donna precaria non ha un beneamato cazzo in comune con un'attricetta socialmente impegnata o con Veronica Lario. Un gay disoccupato, ovviamente, ha problemi che Dolce & Gabbana nemmeno si sognano. La lotta di classe, nei fatti, è stata rifiutata in maniera categorica. Non è più trendy e, a ben vedere, richiede un sincero impegno politico. Ma non è finita qui. Dall'AmerDica è giunta un'altra perniciosa moda: accanirsi con astio contro il maschio bianco. Se tu sei dotato di pene, sei nato in occcidente e non accetti gli assiomi del liberalismo, diventi un mostro da isolare ed emarginare. E così nascono le boldrinate, le VERE fake news (esiste la violenza domestica, che ha mille facce, ma non il "femminicidio") e tutta una serie di proposte di legge volte a sanzionare le forme di pensiero distanti da quello unico. Ma di fronte a una stronza come Asia Argento che incrimina un maiale come Weinstein, chi ci rimetterà mai? Il ricco e famoso regista hollywoodiano? Certo che no! Ci rimetterà il proletario. Infatti la crescente paranoia maschiofobica colpisce non tanto chi ha il taschino pieno di verdoni o di coca, ma il lavoratore precario, il disoccupato e tutti quegli uomini che non possono "comprare" la fiducia o la compagnia di una donna. Se, poi, uno di loro si lamenta perché ha un campo rom sotto caso, partono le accuse di razzismo e xenofobia. Ma alla lotta contro il capitale chi ci pensa?

bravi, sia tu che don peppe.
ora però capirete che tutta questa retorica sull'antifascismo che i media radical chic cavalcano, come cavalcano tutte le altre, per portare acqua al mulino del pensiero dominante (di sinistra) serve solo a distrarre dai veri problemi che sono quelli elencati da voi? D'altronde, quale metodo migliore del vecchio " Divid et impera " si puo' utilizzare? Immigrati, fascisti, islamici, zanzare killer, corea del nord, regali di Natale ecc. tutto serve a distrarre il popolo da ciò che deve restare com'è

Lord Attilio
06-12-17, 14:52
bravi, sia tu che don peppe.
ora però capirete che tutta questa retorica sull'antifascismo che i media radical chic cavalcano, come cavalcano tutte le altre, per portare acqua al mulino del pensiero dominante (di sinistra) serve solo a distrarre dai veri problemi che sono quelli elencati da voi? D'altronde, quale metodo migliore del vecchio " Divid et impera " si puo' utilizzare? Immigrati, fascisti, islamici, zanzare killer, corea del nord, regali di Natale ecc. tutto serve a distrarre il popolo da ciò che deve restare com'èTra l'altro basterebbe vedere la storia del "duce" di Forza Nuova Roberto Fiore per capire che è un meschino servo che viene tirato fuori quando serve, come per esempio quando a Londra lavorava per i servizi segreti di Sua Maestà. Cesso Pound è più o meno sulla stessa lunghezza d'onda.

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RibelleInEsilio
06-12-17, 17:15
Tra l'altro basterebbe vedere la storia del "duce" di Forza Nuova Roberto Fiore per capire che è un meschino servo che viene tirato fuori quando serve, come per esempio quando a Londra lavorava per i servizi segreti di Sua Maestà. Cesso Pound è più o meno sulla stessa lunghezza d'onda.

Fiore è sempre ststo ambiguo.

Col genero africano poi.

LupoSciolto°
01-02-18, 21:37
Jane Austen non piace alla sinistra perché esalta la vita semplice, il matrimonio, la famiglia


di Francesco Lamendola - 31/01/2018

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A sinistra - ma non si può dirlo a voce alta, perché la sinistra non vuole, e la sinistra è padrona dell’establishment culturale - Jane Austen piace poco, o non piace affatto; dà sui nervi, perché è veramente troppo borghese, tropo intimista, troppo… tradizionale, sia come scrittura, sia, soprattutto, come visione della vita e come morale. D’altra parte, si può sempre tentare una operazione simile a quella che la sinistra ha fatto, con un certo successo, per un’altra bestia nera, il filosofo Nietzsche: si può sempre cercare di arruolarla, surrettiziamente, nelle file della sinistra stessa, facendola passare per una autrice che, più o meno consapevolmente, più o meno sottilmente, critica la società borghese, il matrimonio (?), il maschilismo. In che modo si può fare una cosa simile? Cogliendo in lei qualche palpito, qualche fremito, qualche batter di ciglia proto-femminista; arruolandola, ovviamente a sua insaputa, nell’esercito delle scrittrici che avrebbe poi trionfato con Virginia Woolf, Simone de Beauvoir e magari Erica Jong. Non c’è bisogno di far nomi, basta andare su internet e fare una brevissima ricerca. Naturalmente, si tratta di una operazione alquanto dubbia, per non dire illecita; tuttavia è già stata fatta altre volte, e poi la sinistra ha pronta anche la bacchetta magica per realizzarla: la cultura del sospetto, declinata in senso freudiano. Non importa quel che uno dice o scrive, importa quel che pensa; o meglio, quel che c’è nel suo inconscio. E come si fa a sapere quel che c’è nell’inconscio, dal momento che è inconscio? Ah, qui si realizza l’autentico capolavoro: il triplo tuffo carpiato con avvitamento finale: non uno qualsiasi, ma loro sì, loro sanno cosa c’è nell’inconscio delle persone, perché loro possiedono gli strumenti - scientifici, per carità - per dedurlo, appunto, da ciò che uno non dice, da ciò che uno non scrive. Loro sanno leggere fra le righe, e molto bene: tanto quanto se leggessero in un libro aperto.

Dunque, dicevamo che la Austen non piace, di per sé, a meno di sottoporla a qualche ritocchino chirurgico, per il fatto che esalta i valori borghesi: il matrimonio, la famiglia, la vita semplice; e precisiamo, perché di questi tempi è necessario, che esalta il matrimonio fra un uomo e una donna, non il matrimonio, e neppure l’amore, fra due uomini o due donne. Le deviazioni sessuali, a Jane Austen, non interessano: a lei interessano i sentimenti e la psicologia delle persone normali. E già questo è insopportabile; già questa è una tacita, ma intollerabile provocazione. Come si permette di stabilire ciò che è normale? Il fatto è che lei non lo discute, lo dà per scontato, sulla base del puro buon senso e sulla base di ciò che la società, universalmente, ha sempre creduto. In questo senso è una donna dalle vedute tradizionali: parte da una piena accettazione della morale comune e del semplice buon senso; detesta gli eccessi, le furie, le scalmane; predilige la pacatezza, la riflessione, la capacità di ascoltare e di pensare, prima di gettarsi a capofitto nelle cose: tutte qualità che la cultura moderna e progressista non ama; perché la cultura moderna ama e proclama il relativismo, mentre la visione del reale di Jane Austen parte dall’assunto che esistono verità certe e assolute, che non hanno bisogno d’esser dimostrate, perché esistono da secoli e millenni, e perché hanno sempre dato buoni frutti, a patto d’esser vissute con ragionevolezza: a cominciare, appunto, dal matrimonio e dalla famiglia. A lei non interessano gli amanti, ma gl’innamorati: ciò a cui tende l’amore è il matrimonio; e il matrimonio, va da sé, è una faccenda che coinvolge un uomo e una donna. In un certo senso, Jane Austen è l’anti-Emily Bronte (che peraltro appartiene alla generazione successiva) e Orgoglio e pregiudizio è l’antitesi di Cime tempestose. A lei non piacciono i sentimenti forsennati, le passioni devastanti; non crede all’amore come forza cieca e indomabile: per lei, l’amore è equilibrio, maturità, saggezza, oltre che attrazione potente e misteriosa.
Scrive Pietro Meneghelli nella sua Introduzione a Ragione e sentimento di Jane Austen, di cui ha curato anche la traduzione (titolo originale: Sense and Sensibility; Roma, Newton Compton Editori, 1995, pp. 11-14):

Jane Austen ha un’intuizione che le consente una definizione rapida e felice dei caratteri dei personaggi, tanto spontanea e penetrante da apparire elementare. La sua percezione è vivace e piena di freschezza; cogliendo immediatamente i caratteri individuali e quindi anche l’elemento curioso e potenzialmente comico della vita, presenta al lettore una rappresentazione smaliziata dell’eterna commedia dell’esistenza. La sua reazione personale al contatto con la realtà si identifica in un atteggiamento divertito, privo di amarezza, o di rimpianti, in cui l’autocontrollo non cancella la simpatia, così come l’intuizione del carattere non rende superflua la registrazione fedele e arguta dei gesti e delle intenzioni dei personaggi. La vanità, l’egoismo, la meschinità, tutti quegli aspetti del comportamento che il romanzo pessimista analizzerà con l’intensità e l’amarezza della denuncia, nelle opere della Austen sono tratteggiati con una sobrietà e un’ironia che tendono sempre a minimizzare le reazioni emotive.[…]
Nel suo atteggiamento verso la morale e verso l’emozione, Jane Austen si dimostra, in “Sense and Sensibility”, una vera classicista. È tutt’altro che cinica nei confronti dell’amore, e disprezza il matrimonio di convenienza; però ritiene che il decoro sia più importante della felicità, e appare convinta che, se è un bene che i matrimoni siano l’espressione di un sentimento autentico, l’importante è che abbiano le carte in regola per funzionare, e ciò si può stabilire in base a criteri basati sull’assoluta concretezza. Le doti indispensabili alla felicità sono l’equilibrio e il buonsenso, pervasi da una tranquilla, disciplinata armonia delle forze morali, dirette e dominate dall’intelligenza e accompagnate da una discreta rendita. […]
Jane Austen ignora il romanticismo che si va affermando, o meglio lo considera con ironica condiscendenza. Il sentimentalismo romantico è un eccesso scriteriato, e il cedimento a un’emozione troppo esasperata per essere autentica viene equiparato allo squilibrio intellettuale e morale.
L’atteggiamento di Jane Austen nei confronti del romanticismo diverrà, col tempo, meno critico; ma fino all’ultimo la sua visione delle vita rimarrà legata all’accettazione della forza della realtà, delle condizioni materiali della felicità, con una semplicità che non cela alcuna ribellione, alcuna protesta; la morale della Austen è fatta di una prudenza senza illusioni, tutta fondata sull’idea di un’armonia tra ragione e sentimento. Anche se la descrizione della passione non trova posto nelle sue pagine (e in questo può aver parte anche il desiderio di distinguersi dai romanzi popolari, in cui le passioni erano così esasperate), le sue eroine sono sempre estremamente oneste nel loro atteggiamento verso l’amore; non c’è traccia della falsa modestia tanto diffusa nei personaggi femminili dell’epoca.

In questo quadro, che ci trova sostanzialmente concordi, sono tre i punti che ci sembrano particolarmente degni di rilievo.
Il primo è quello in cui si afferma che, per Jane Austen, il decoro sia più importante della felicità; noi lo correggeremmo così: non il decoro, ma la serenità e il cuore pacificato sono, per la scrittrice, più importanti della elusiva, sfuggente felicità. La felicità è un concetto di matrice illuminista che, nel romanticismo, trova la sua esasperazione, appunto perché si è rivelato storicamente, e continua a rivelarsi individualmente, irraggiungibile: il romantico è un illuminista deluso, che ha creduto nel mito della felicità a portata di mano, e che ne ha ritratto una delusione carica di amarezza. Ma Jane Austen, che a quel mito non ha mai creduto, non è delusa e questo spiega la sua serenità e anche la sua benevolenza, il suo guardare il mondo e i propri personaggi con bonomia e una certa, sorridente indulgenza: esattamente l’opposto dell’atteggiamento degli scrittori moderni, specie quelli a noi più vicini, i quali, sovente, sono pieni di astio per il reale, e ostentano disprezzo e perfino schifo nei confronti dell’umanità che rappresentano (uno per tutti: il tanto decanato, e sopravvalutato, Carlo Emilio Gadda). Quanto alla convinzione della Austen che, se è un bene che i matrimoni siano l’espressione di un sentimento autentico, l’importante è che abbiano le carte in regola per funzionare, qui cui avviciniamo al nodo del problema che la Austen rappresenta per la critica di sinistra. Ella è convinta, horribile dictu, che si deve cercare il modo di far funzionare il matrimonio, laddove essi preferirebbero, come fanno quasi tutti gli scrittori che piacciono a loro, che il matrimonio serva per far vedere al mondo intero quanto esso sia odioso e insopportabile, un carcere ideato da una mente diabolica, una prigione escogitata dalla perfidia borghese e, naturalmente, maschilista, per tenere in gabbia due persone, ma specialmente, una, la donna. Insomma, ai critici progressisti il matrimonio “serve” (e, se non ci fosse, lo si dovrebbe inventare) per denunciare la falsità, l’ipocrisia e la violenza istituzionalizzata nei rapporto fra i sessi, la natura sordida e ripugnante dei legami familiari, la macchina infernale di tortura che opprime la libertà, la spontaneità e la creatività degli individui, specialmente quelli di sesso femminile. Così, da Gustave Flaubert in avanti, gli scrittori progressisti, quelli che piacciono ai critici di sinistra, si sono sbizzarriti nel descrivere le più orribili patologie della vita matrimoniale e hanno ostentato tutto il loro disprezzo per le persone che corrono volontariamente a rinchiudersi in un così orrendo carcere; e, come per i bianchi della Frontiera del West l’unico indiano buono era quello morto, così, per essi, l’unico matrimonio buono è quello carico di sopraffazione, di crudeltà, di finzione e ipocrisia, in modo da offrire alla penna acuminata dei vari Flaubert, Zola, Turgeniev, Galsworthy, Pirandello, la possibilità di sparare a zero contro di esso e celebrarne il funerale, quanto più possibile vergognoso ed infamante. Ma a Jane Austen non interessa ciò che può far fallire un matrimonio, bensì ciò che può farlo funzionare; poiché essa non odia la famiglia, ma la considera una realtà naturale e positiva, la sua attenzione è spinta a cercare le condizioni adatte affinché il matrimonio funzioni. Proprio come facevano i genitori, un tempo, quando “combinavano” il matrimonio dei figli, nella società contadina: ciò a cui essi miravano non era la chimera della “felicità” individuale, semplicemente perché non pensavano che si viene al mondo per cercare una cosa del genere, ma per fare la propria parte; al contrario, essi puntavano a unire un marito e una moglie che fossero compatibili, che potessero aiutarsi e fornirsi sostegno reciproco nelle difficoltà della vita; e sta di fatto che tali unioni, almeno nove volte su dieci, funzionavano. Quanto al fatto che la Austen accordi una parte non secondaria alla valutazione razionale dei fattori, anche di tipo materiale, che possono contribuire alla buona riuscita del matrimonio, inteso soprattutto come sano equilibrio di forze morali ed estraneo ad eccessi passionali semi-patologici, ci pare che questo sia un ulteriore elemento di buon senso e niente affatto una specie di calcolo meschino.
Il secondo punto notevole è quello in cui si afferma che la sua visione delle vita rimarrà legata all’accettazione della forza della realtà, delle condizioni materiali della felicità, con una semplicità che non cela alcuna ribellione, alcuna protesta: anche qui si vede perché Jane Austen non può piacere troppo alla cultura di sinistra. Ella non si ribella e non protesta; non ce l’ha con la realtà, ma ritiene saggezza accettarla: peraltro, accettarla non significa, di per sé, subirla; come nel caso dell’etica cristiana, si tratta di accettare la vita come una realtà transitoria, pur apprezzandone le cose buone, senza scambiarla per un valore assoluto e definitivo. Ma questo è un atteggiamento borghese e anti-rivoluzionario: se tutti facessero come lei, le cose non cambierebbero mai; e si sa che gl’intellettuali di sinistra, in fondo al loro cuore, non hanno mai preso congedo dal mito della rivoluzione: basta vedere come si commuovono, fin quasi alle lacrime, se si parla di Emiliano Zapata o di Ernesto Che Guevara; o, nel caso dei cattolici di sinistra, se si parla di don Milani o di don Mazzolari). Ma davanti a una donna, a una scrittrice, che accetta la realtà, che cosa si può fare? Evidentemente, ella è insensibile alle ingiustizie sociali e alla iniqua condizione femminile rispetto all’uomo: dunque, è inutilizzabile per la loro crociata ideologica.
Il terzo punto è che le sue eroine sono sempre estremamente oneste nel loro atteggiamento verso l’amore; in altre parole, non ragionano da donne rancorose o da femministe, non barano al gioco riversando ogni colpa sull’uomo, se le cose non funzionano nei rapporti fra i sessi; ed è lei stessa così onesta da vedere le cose, come scrittrice, in maniera equanime e spassionata. Questa è una dote molto rara, nelle donne: rifiutando il vittimismo e la tentazione dell’amarezza cronica, le sue eroine si assumono la responsabilità delle loro scelte, senza recriminazioni o rimpianti. E non è certo poco.

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Kavalerists
03-02-18, 10:40
CONTRO IL FEMMINISMO DI REGIME di Carlo Formenti
[ 23 gennaio ]

Il recente dibattito interno al femminismo, testimoniato anche dall'Almanacco di Filosofia di “Micromega”, apre uno spazio per la ripresa delle correnti anticapitalistiche del femminismo, aiutandole a ricavarsi un ruolo egemonico nel movimento delle donne e a contenere l’influenza delle correnti “emancipazioniste” e dell’estremismo “genderista”, che funzionano da vie di penetrazione dell’immaginario neoliberista nel movimento.

Sull’ultimo numero del 2017, nel suo Almanacco di Filosofia, “MicroMega” ospita la dura polemica che ha opposto, da un lato, lo storico Vojin Saša Vukadinovič e Alice Schwarzer (direttrice di EMMA, rivista storica del femminismo tedesco), dall’altro, la filosofa statunitense Judith Butler e la sociologa tedesca Sabine Hark[i]. Prendendo spunto da letture dissonanti del noto episodio della notte del 31 dicembre 2015, allorché una folla di immigrati musulmani invase il centro di Colonia esercitando molestie sessuali nei confronti delle cittadine tedesche che festeggiavano il capodanno, i due fronti si sono scambiati accuse di razzismo (Butler-Hark contro Vukadinovič-Schwarzer) e di un relativismo culturale giustificatorio, se non complice, nei confronti delle pulsioni maschiliste dell’islamismo (Vukadinovič–Schwarzer contro Butler–Hark).
Al netto della virulenza verbale (con insulti reciproci degni di una rissa fra stalinisti e trotskisti), il confronto sollecita una riflessione in merito a ciò che mi pare caratterizzi buona parte del dibattito teorico, tanto nel campo femminista “ortodosso” quanto in quello dei gender studies, vale a dire una sorta di oscillazione fra cattivo universalismo e cattivo relativismo. Cercherò di argomentare quanto appena affermato commentando, oltre che i testi sopra citati, la beffa architettata da Peter Boghossian e James Lindsay ai danni delle derive postmoderne negli studi di genere[ii], alcuni passaggi di un recente libro di Judith Butler[iii], un’intervista rilasciata dalla filosofa Luisa Muraro nel 2016[iv], infine un articolo di Nancy Fraser pubblicato su “Micromega” online[v].

Parto dall’esilarante “fake paper” del duo Boghossian-Lindsay. Si tratta di un testo intenzionalmente delirante che i due hanno sottoposto al vaglio di una rivista “scientifica” di studi di genere, ottenendone la pubblicazione in barba alla bibliografia in larga parte falsa, se non inventata di sana pianta, e all’incredibile florilegio di affermazioni insensate (si va dalla tesi che la postura dei maschi che siedono a gambe larghe è il riflesso di un atteggiamento di “stupro dello spazio vuoto circostante”, alla denuncia della responsabilità del pene come “propulsore concettuale del cambiamento climatico”, in quanto quest’ultimo è l’esito inevitabile “di uno stupro della natura da parte di una mentalità maschile predominante”). Gli autori spiegano di aver tratto ispirazione da un’operazione effettuata anni fa dal fisico Alan Sokal, il quale si proponeva di denunciare l’uso improprio di metafore mutuate dalle scienze naturali da parte degli studiosi postmodernisti di scienze sociali (il bersaglio era il gergo dei cultural studies con particolare riferimento agli studi postcoloniali). Boghossian e Lindsay sostengono che, a far accettare come ovvie verità le insensatezze inserite nel loro testo (alcune delle quali formulate ricorrendo al Generatore Postmoderno, un algoritmo creato da Alan Sokal), è stato il tono “moraleggiante” (leggi: la denuncia della natura intrinsecamente malvagia della mascolinità), mentre aggiungono di non nutrire illusioni in merito all’effetto demistificante della provocazione, in quanto il campo dei gender studies è affetto da dissonanza cognitiva, si fonda cioè su certezze aprioristiche che sfidano ogni smentita empirica. Una di tali certezze coincide con la convinzione secondo cui il pene anatomico avrebbe poco o nulla a che fare, non solo con il genere, ma persino con il sesso.

Contro tale dogma si rivolgono a loro volta Vukadinovič e Schwarzer, mettendo in luce come i teorici del gender facciano derivare dalla consapevolezza della storicità dei ruoli di genere, e dall’assunto che dietro di essi non si darebbero alcuna natura né alcuna realtà, la libera e arbitraria modificabilità degli stessi (costoro, scrive Schwarzer in proposito, “scambiano i propri giochi mentali per la realtà, suggeriscono che ogni essere umano può essere, qui e ora, esattamente quello che sente di essere”). Fin qui siamo nell’ambito del dibattito filosofico.

Le cose si surriscaldano e assumono valenza politica laddove Vukadinovič sottolinea come dalle rivendicazioni del diritto a essere ciò che si sente di essere, venga fatta discendere la richiesta di “ripulire” testi accademici e letterari, linguaggio quotidiano, fenomeni sociali e problemi politici di tutto ciò che può essere ritenuto offensivo nei confronti di questo o quel gruppo di “emarginati”, fino all’invito a strappare le pagine dei testi incriminati (quando il politicamente corretto tocca vette che evocano sinistri ricordi dei roghi nazisti di libri). E il calore sale ulteriormente laddove alla Butler viene rimproverato di non avere preso una posizione chiara e netta contro “l’orda di Colonia”, un’ambiguità che la filosofa statunitense giustifica con la necessità di tenere conto dell’esistenza di una differenza culturale che – nella misura in cui venisse ignorata – rischierebbe di far slittare l’indignazione femminista verso l’indignazione razzista.

Per cercare di precisare meglio il punto di vista di Judith Butler – a mio avviso più complesso rispetto a quello esposto dai suoi critici nel contesto appena illustrato, ma soprattutto non omologabile a quello degli esponenti più deliranti della gender theory – preferisco fare riferimento, invece che alla breve replica apparsa su “Micromega” (resa meno efficace dal risentimento nei confronti dei detrattori, che vengono persino accusati di “trumpismo”), a uno dei suoi libri più recenti[vi]. Le critiche che Butler rivolge all’universalismo del femminismo mainstream (facendo riferimento, per esempio, all’appoggio nei confronti delle leggi francesi che puniscono le donne che indossano il velo) prendono le mosse dalla convinzione che le donne dovrebbero riconoscere: 1) che esse non sono l’unico segmento di popolazione esposto a condizioni di precarietà e di privazione dei diritti; 2) che la popolazione sussumibile sotto la denominazione minoranze di genere e sessuali (quindi non solo le donne ma la comunità LGBTQ) è differenziata al proprio interno in termini di classe, razza, religione, appartenenze comunitarie linguistiche e culturali. Da questa duplice presa d’atto, viene fatta derivare un’importante conseguenza politica: il movimento femminista dovrebbe diffidare delle forme di riconoscimento pubblico (riconoscimenti, aggiungo io, che oggi gli piovono generosamente addosso da partiti e governi di centro, destra e sinistra, media, canzoni, film, programmi televisivi, aule parlamentari e di tribunale, ecc.) soprattutto se e quando tali riconoscimenti servono a deviare l’attenzione dal massiccio disconoscimento dei diritti di altri soggetti. In conclusione: se Butler parla della necessità, in casi come quello della notte di Colonia, di trovare il modo di portare avanti un discorso antisessista che sia al tempo stesso antirazzista, non lo fa per negare la gravità dell’episodio, bensì perché si ritiene impegnata a indagare le vie attraverso le quali “la precarietà potrebbe operare come luogo di alleanza fra gruppi di persone che, al di là di essa, hanno poco in comune, o tra i quali c’è talvolta persino diffidenza o antagonismo”.

Non discuterò qui le strategie politiche che, secondo Butler, dovrebbero consentire di costruire tale alleanza (personalmente non le condivido, e in ogni caso non sono qui il tema principale). Sta di fatto che, almeno a mio parere, la sua critica a un certo cattivo universalismo coglie nel segno. Nel mio ultimo libro[vii], riferendomi agli attentati terroristici effettuati da immigrati di terza e quarta generazione in Francia, ho a mia volta sostenuto la necessità di non appiattirsi sul coro delle esecrazioni contro il fanatismo islamico in nome dei “valori universali” incarnati dalle democrazie occidentali[viii], rimuovendo, fra gli altri fatti: 1) che molti di quei ragazzi non solo non erano stati assidui praticanti religiosi fino a poco prima di commettere attentati, ma avevano condotto vite simili a quelle dei coetanei occidentali; 2) che in molti casi avevano vissuto esperienze radicali di esclusione e marginalità, alle quali, non solo le élite dominanti, ma nemmeno le sinistre tradizionali avevano saputo offrire risposte; 3) che la scelta di luoghi di consumo e divertimento come bersagli rispecchiava la frustrazione per la loro condizione di esclusi per cui poteva essere letta anche come espressione di un odio di classe (rafforzato dal conflitto razziale) “pervertito” in fanatismo religioso. Ciò non ha nulla a che fare con una “giustificazione” del terrorismo, così come penso che l’invito della Butler di andare al di là dell’esecrazione contro “l’orda di Colonia” non abbia nulla a che fare con una giustificazione della violenza maschilista.

Il problema di un certo cattivo universalismo femminista deriva a mio parere dall’eredità che il femminismo degli anni Sessanta-Settanta ha mutuato dalla visione delle sinistre neomarxiste, mettendo in atto una sorta di slittamento dalla classe operaia al genere femminile come incarnazioni dell’interesse generale dell’umanità. Questa visione – variamente trasfigurata – si è perpetuata fino ai giorni nostri in barba alla progressiva disarticolazione delle strutture e delle identità sociali, fino all’attuale frammentazione di soggettività economiche, politiche, ideologiche, culturali, religiose, etniche, sessuali, ecc. Ma la sua riproposizione in condizioni storiche mutate finisce di fatto per sposare i valori dell’universalismo borghese occidentale, con la conseguenza di tracciare confini amico/nemico semplificati, che neutralizzano il groviglio di antagonismi sempre più complessi e intrecciati cui ci troviamo di fronte.

Tutto questo significa che la ragione sta tutta dalla parte di Judith Butler, mentre gli argomenti dei suoi critici sono inconsistenti? Assolutamente no, perché – ancorché più sofisticata di altri e altre esponenti della teoria gender – la visione della Butler incarna l’altro corno della contraddizione che richiamavo poco sopra, vale a dire quello del “cattivo relativismo”. Criticando l’universalismo femminista, la Butler rivendica infatti la propria opposizione a “un pensiero che astrae dalla persona nella sua individualità e dalle circostanze in cui si colloca”. Ma tale affermazione conferma che ci troviamo di fronte al tentativo “estremo e individualistico”, per usare le parole di Luisa Muraro[ix], di assumere nell’identità personale qualunque identità.

L’esaltazione delle “singolarità” - che accomuna i gender studies alle correnti mainstream delle teorie postcoloniali, delle filosofie poststrutturaliste e del postoperaismo – è infatti un tratto caratterizzante di quel pensiero “americanizzato” che tende a neutralizzare le differenze "forti" – di classe, genere, etnia, religione, ecc. – sostituendole con la galassia delle microidentità, che vengono fatte proliferare fino a coincidere, appunto, con la singola persona. Riferendosi agli effetti politici delle concezioni egemoni nel campo delle teorie del gender, Muraro ha dichiarato: “è da tanto tempo che mi porto dietro l’idea che si procedesse nella direzione di far fuori la differenza sessuale irriducibile alla logica del capitalismo finanziario”[x].

Tornerò più avanti – discutendo le tesi di Nancy Fraser – su questa tendenza alla neutralizzazione della differenza sessuale da parte del modo di produzione tardocapitalista -, per ora mi limito a sottolineare la lucidità con cui Muraro coglie la contraddizione di un femminismo che, mentre punta alla parità togliendo di mezzo la differenza sessuale in quanto la ritiene la maggior fonte di discriminazione a danno delle donne, non sembra rendersi conto del fatto che “la parità è un concetto mutilante”, e che il carattere delle libertà civili “ha in sé qualcosa di intrinsecamente discriminatorio” che non può essere corretto dall’equiparazione. Il “travestitismo generalizzato” promosso dalla sistematica sostituzione del linguaggio sessuato con il linguaggio gender, rincara Muraro, appare del tutto funzionale ai rapporti di potere che si illude di scalzare (soprattutto perché – chioserei io – una volta frantumate nel pulviscolo delle singolarità, le soggettività antagoniste non sono più in grado di costruire alleanze politiche, in barba ai discorsi di Negri sulla fantomatica “moltitudine” o di Butler sulla non meno fantomatica “alleanza dei corpi”).

Chiudo questa prima parte del mio intervento, ricordando che l’intervista da cui ho tratto le citazioni da Luisa Muraro risale al periodo in cui la filosofa aveva pubblicamente denunciato il business della maternità surrogata come un attacco diretto alla relazione materna, beccandosi (a conferma della furia censoria sopra denunciata da Vukadinovič) l’accusa di “seminare odio contro gli omosessuali”. Sempre in quella occasione, aveva affermato, a proposito dell’illusione di poter scegliere arbitrariamente di essere quello che si vuole/crede di essere:

«Cos’è la differenza sessuale? È la vita stessa. Ben prima che apparissero gli esseri umani la vita si è biforcata in maschio e femmina. Vogliamo cancellare questa cosa o la vogliamo tradurre in cultura? Io dico: non buttiamoci sulla differenza sessuale secondo le interpretazioni che di essa abbiamo ereditato. Poniamoci davanti, in tutta tranquillità e libertà, il problema che noi siamo esseri radicati nella vita naturale e la sessualità è eredità che la natura ci affida (sottolineatura mia). Non rimuoviamo questa evidenza e andiamo avanti, al di là di ogni stereotipo, a interpretarla culturalmente»[xi].

Intendo ora spostare il discorso su un piano meno filosofico e più politico. Il momento di rilancio che il movimento femminista sta vivendo grazie alle mobilitazioni promosse dalle militanti di “Non una di meno” sembra avere rimesso al centro dell’attenzione i temi del lavoro, riattivando la vocazione anticapitalista del femminismo anni Sessanta/Settanta. Una vocazione che era andata esaurendosi, sia perché la lotta per l’acquisizione di diritti individuali e civili nell’ambito del sistema esistente aveva preso il posto della lotta al sistema in quanto tale, sia perché si assumeva che lottare contro il patriarcato implicasse automaticamente lottare contro il capitalismo (tornerò più avanti sull’insostenibilità di questa identificazione fra sistema patriarcale e sistema capitalistico).

Il ritorno di temi e obiettivi chiaramente anticapitalisti al centro della cultura e della pratica femministe è un evento di grande peso politico, ma finora tale svolta non è coincisa con l’abbandono di temi, obiettivi e valori tipici del femminismo identitario, emancipazionista-paritario nonché della cultura “genderista” di cui ho cercato di evidenziare limiti e contraddizioni. La domanda è: esistono, all’interno del campo femminista, punti di vista teorici in grado di superare tali contraddizioni, contribuendo a creare le premesse per la costruzione di un blocco sociale anticapitalista che non può prescindere dall’apporto del movimento delle donne? Credo si possa rispondere positivamente, grazie al lavoro di una serie di autrici che stanno gettando le basi di un nuovo “femminismo socialista” di cui Nancy Fraser rappresenta, a mio parere, l’esponente più significativa[xii]. Sintetizzerò qui di seguito alcune sue tesi, concentrando l’attenzione sull’articolo di “MicroMega” citato in apertura.

Il nodo centrale attorno al quale si sviluppa la riflessione di Fraser nel testo in questione è l’estensione del concetto di crisi capitalistica, estensione che avviene integrando nell’idea di crisi capitalistica generale il concetto di “crisi della cura”. Si tratta di un’operazione che comporta, da un lato, il superamento delle interpretazioni “economiciste” della società capitalista, dall’altro lo spostamento delle contraddizioni principali del sistema all’esterno del modo di produzione e delle relazioni di mercato (Fraser richiama in particolare l’attenzione sulla contraddizione che si genera al confine fra produzione e riproduzione).

Si potrebbe osservare che lo spostamento delle radici della crisi al di fuori della sfera della produzione e del mercato non è una novità. In merito basti citare: 1) la tesi di Polanyi [xiii] sul carattere anomalo del capitalismo, in quanto unica formazione sociale che abbia tentato di fondare l’intero sistema delle relazioni umane sullo scambio mercantile, tesi che interpreta le crisi come effetto, non tanto e non solo delle contraddizioni immanenti al modo di produrre, quanto del conflitto fra capitalismo e mondi della vita (i quali lottano per la sopravvivenza manifestando la propria irriducibile estraneità alle relazioni economiche); 2) la tesi di Rosa Luxemburg [xiv] secondo cui l’accumulazione capitalistica può avvenire solo grazie allo sfruttamento di strati sociali, Paesi, attività e relazioni umane ad essa esterne (tesi che presenta analogie con quelle dei teorici dello scambio ineguale centro-periferia [xv]); 3) la rilettura della categoria gramsciana di egemonia da parte del filosofo argentino Ernesto Laclau [xvi], il quale propone di sostituire il concetto di modo di produzione con quello di “formazione egemonica”, concetto fondato sull’idea che l’antagonismo non sia interno ai rapporti di produzione ma abbia luogo fra i rapporti di produzione e qualcosa di esterno ad essi; 4) infine va ricordato che lo stesso femminismo degli anni Sessanta e Settanta aveva richiamato l’attenzione sulla sfera riproduttiva come presupposto indispensabile all’esistenza del modo di produzione capitalista. Tuttavia l’approccio di Fraser, pur presentando analogie con le tesi appena elencate, ha il merito di proporre una versione originale della coppia oppositiva dentro/fuori.

Come Polanyi, Fraser sostiene che, fin dall’inizio, la società capitalistica ha separato il lavoro di riproduzione sociale dal lavoro di produzione economica. Il primo si svolge al di fuori del mercato – nelle case, nei quartieri, nelle reti informali e nelle istituzioni pubbliche - e solo in minima parte assume la forma del lavoro salariato. Al tempo stesso, come Luxemburg e altri, sostiene che queste attività “non economiche”, rappresentano una precondizione dell’esistenza stessa del sistema economico. Tuttavia, aggiunge, la propensione del capitalismo all’accumulazione illimitata tende a destabilizzare i processi di riproduzione sociale da cui pure dipende, ed è appunto da questa contraddizione antagonistica - che si colloca sul confine che separa e unisce al tempo stesso produzione e riproduzione - che nasce la “crisi della cura”, una crisi che assume modalità e intensità inedite nel contesto dall’attuale capitalismo finanziarizzato.

Per afferrare meglio il senso dell’ultima affermazione, occorre seguirla nel suo tentativo di distinguere fra tre differenti fasi storiche del moderno sviluppo capitalistico. Il capitalismo liberale del secolo XIX lascia alle classi lavoratrici il compito di riprodursi autonomamente al di fuori del circuito mercantile. In questa fase le sfere produttiva e riproduttiva si separano e vengono rispettivamente affidate al lavoro salariato maschile e al lavoro gratuito delle donne. Il sistema capitalistico regolato dallo Stato del XX secolo “re-internalizza” la riproduzione sociale attraverso le istituzioni del welfare, il “salario familiare” sostituisce il salario dei capifamiglia, anche se le relazioni di subordinazione femminile restano più o meno immutate. L’attuale capitalismo finanziarizzato e globalizzato arruola in massa le donne nella forza lavoro salariata, promuove lo smantellamento del welfare e ri-esternalizza il lavoro di cura nelle famiglie – ora divenute bi-reddito - e nelle comunità, ma al tempo stesso diminuisce radicalmente la capacità di queste ultime di sostenerlo (a parte le minoranze di coloro che possono permettersi di mercificarlo).

«Se il regime precedente alleava la mercatizzazione con la protezione sociale contro l’emancipazione, scrive Fraser, questo genera una configurazione anche più perversa, in cui l’emancipazione si unisce alla mercatizzazione per indebolire la protezione sociale» [xvii].

È proprio cogliendo questa combinazione perversa di emancipazione e mercatizzazione che Fraser offre quello che forse è il suo contributo più importante all’analisi delle contraddizioni del capitalismo contemporaneo. La “perversione” è il frutto della convergenza fra la “guerra di classe dall’alto” - per usare le parole di Luciano Gallino[xviii] - del capitale contro le ridotte capacità di resistenza della forza lavoro dei paesi occidentali, e le rivendicazioni dei nuovi movimenti sociali (femministe, ecologisti, LGBTQ, ecc.) i quali, sostiene Fraser riprendendo e approfondendo le tesi di Boltanski e Chiapello[xix] , hanno dato vita a un paradossale “neoliberismo progressista” che celebra la diversità, la meritocrazia e l’emancipazione mentre accetta o addirittura considera come positivo lo smantellamento delle forme di protezione sociale tipiche della precedente fase capitalistica.

La critica contro ogni tipo di gerarchia – di sesso, genere, etnia, razza e religione – viene fatta propria da un capitalismo gauchiste che si incarna nelle imprese della Silicon Valley, nell’industria culturale di Hollywood e nelle produzioni immateriali di servizi avanzati, mentre trova espressione politica nei Democratici alla Clinton, nel New Labour di Tony Blair e nelle sinistre socialdemocratiche europee. Al tempo stesso la rabbia delle classi subalterne che, abbandonate dai loro rappresentanti storici, si rivolgono ai populismi di destra, viene liquidata con disprezzo come fascista, razzista e sessista da questa sinistra sex and the city.

Questo equivoco connubio, aggiungerei, esercita tuttora un’influenza negativa anche nei confronti di quell’ala femminista che pure, come sopra ricordato, sta riscoprendo i temi della lotta anticapitalista, nella misura in cui l’immaginario del “femminismo di regime” - come l’ho definito nel mio ultimo libro[xx], contribuisce a dirottare l’attenzione e le energie verso una lotta al “patriarcato” che suona anacronistica nel contesto di una società capitalista il cui immaginario dominante, scrive la Fraser,

«è liberale-individualista ed egualitarista rispetto al genere: le donne sono considerate uguali agli uomini in ogni sfera, meritevoli di uguali opportunità per realizzare i loro talenti, compreso – forse in modo particolare – nella sfera della produzione. La riproduzione, per contro, appare come un residuo arretrato, un ostacolo al progresso da eliminare, in un modo o nell’altro, nella strada verso la liberazione».

Liberazione di chi? Dietro l’aura “femminista” dell’attuale società capitalista avanzata si nasconde non tanto la disparità salariale e di opportunità di carriera (prodotto di una strategia di divisione fra lavoratori più che del permanere di pregiudizi di genere), quanto il permanere d’una separazione produzione-riproduzione su basi di genere che non riguarda più le famiglie della middle class e gli strati superiori del proletariato dei Paesi occidentali, bensì le lavoratrici migranti “importate” dalle nazioni povere. “Lungi dal colmare il divario della cura, l’effetto netto è di delocalizzarlo – dalla famiglie più ricche alle più povere, dal Nord globale al Sud globale”. Si potrebbe dire che, da un lato, il capitalismo come forma sociale “pura” - così come è evoluto nei suoi centri storici – non ha di per sé alcuna relazione necessitante con le gerarchie di genere: ha convissuto con il patriarcato finché questo è stato funzionale alla sua autoriproduzione, ma oggi può farne tranquillamente a meno (potrebbe persino convivere con inedite forme di matriarcato, anche se la verità è – vedi sopra quanto affermato da Luisa Muraro – che il suo interesse ultimo sarebbe la neutralizzazione della differenza sessuale e dei suoi effetti destabilizzanti). Dall’altro lato, nella misura in cui non può sopravvivere senza attingere risorse di ogni tipo (naturali, umane, cognitive, ecc.) al proprio esterno, è costretto a tenere in vita il patriarcato esternalizzandolo, esattamente come esternalizza la produzione materiale verso i Paesi in via di sviluppo.

A mo’ di conclusione non mi resta che auspicare che le analisi di Nancy Fraser funzionino da riferimento teorico per le correnti anticapitaliste interne al femminismo, aiutandole a ricavarsi un ruolo egemonico nel movimento delle donne e a contenere l’influenza delle correnti “emancipazioniste” e dell’estremismo “genderista” (che funzionano da vie di penetrazione dell’immaginario neoliberista nel movimento).

Aggiungo solo alcune brevi considerazioni sul contributo che un approccio come quello della Fraser può dare al superamento di quella oscillazione fra cattivo universalismo e cattivo relativismo di cui mi sono occupato nella prima parte. Da un lato, tematizzare le contraddizioni alto/basso, centro/periferia, produzione/riproduzione che attraversano i confini di genere implica superare qualsiasi concezione dell’universalità come dato apriori, ascrivibile a questo o a quel soggetto di classe, genere, sesso, razza, etnia, religione ecc. per assumere viceversa l’universale come prodotto di una costruzione politica o, per usare le parole di Laclau, di un “processo di universalizzazione egemonica”. Al tempo stesso, consente di non cadere in una visione “orizzontalista” dei conflitti che metta sullo stesso piano tutte le rivendicazioni di riconoscimento identitario – associate alla progressione insensata e illimitata dei “diritti” di una miriade di sottoculture –, per costruire invece l’unità delle soggettività antagoniste nella contrapposizione contro un nemico comune che altri non può essere se non il sistema di dominio e sfruttamento capitalistico.
(19 gennaio 2018)

* Fonte: Micromega

NOTE

[i] Cfr. <> 8/2017 pp. 175 – 197
[ii] Cfr. Il pene concettuale come costrutto sociale, in <> 6/2017, pp. 225 – 249.
[iii] J. Butler, L’alleanza dei corpi, nottetempo, Milano 2017.
[iv] Cfr. La sacra differenza. Intervista a Luisa Muraro, La sacra differenza. Intervista a Luisa Muraro | Tempi.it (http://www.tempi.it/sacra-differenza-intervista-a-luisa-muraro)
[v] N. Fraser, Contraddizioni del capitale e del ‘lavoro di cura’Contraddizioni del capitale e del ?lavoro di cura? » Il rasoio di Occam - MicroMega (http://ilrasoiodioccam-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/2017/12/11/contraddizioni-del-capitale-e-del-%E2%80%98lavoro-di-cura%E2%80%99/)
[vi] L’alleanza dei corpi, cit.
[vii] C: Formenti, La variante populista, DeriveApprodi, Roma 2016.
[viii] Fra gli altri, anche Mario Tronti ha preso le distanze dagli inviti a convergere tutti sotto le bandiere dei valori occidentali. Cfr. Dello spirito libero, il Saggiatore, Milano 2015.
[ix] Cfr. intervista citata in nota IV.
[x] Ivi.
[xi] Ivi.
[xii] Cfr. fra le altre, A. Iris, D’Atri, Il pane e le rose. Femminismo e lotta di classe, Red Star Press, Roma 2106; N. Fraser, Fortune of feminism. Verso, London-New York 2014; S. Federici, Il punto zero della rivoluzione. Lavoro domestico, riproduzione e lotta femminista, ombre corte, Verona 2014.
[xiii] Cfr. C. Polanyi, La grande trasformazione, Einaudi, Torino 1974.
[xiv] Cfr. R. Luxemburg, L’accumulazione del capitale, Einaudi, Torino 1960
[xv] Mi riferisco, fra gli altri, ai lavori di Samir Amin, Gunder Frank, Giovanni Arrighi, Emmanuel Wallerstein.
[xvi] Laclau sviluppa il concetto della società capitalistica come formazione egemonica soprattutto nel suo ultimo libro: Le fondamenta retoriche della società, Mimesi, Milano 2017.
[xvii] Contraddizioni del capitale…op. cit.
[xviii] Cfr. L. Gallino, La lotta di classe dopo la lotta di classe, Laterza, Roma-Bari 2012.
[xix] Cfr. L. Boltanski – E. Chiapello, Il nuovo spirito del capitalismo, Mimesis, Milano 2014.
[xx] Cfr. La variante…op. cit.


https://sollevazione.blogspot.it/2018/01/contro-il-femminismo-di-regime-di-carlo.html

avanti proletari
06-03-18, 11:22
Lettera aperta agli uomini e alle donne di Potere al Popolo - Uomini Beta

Cari compagni e care compagne di Potere al Popolo, siamo un gruppo di uomini dichiaratamente di Sinistra e altrettanto dichiaratamente critici nei confronti dell’ideologia politicamente corretta (e all’interno di questa in particolare del femminismo che rappresenta uno dei suoi mattoni fondamentali) che noi riteniamo essere il nuovo paradigma ideologico, cioè la nuova falsa coscienza dell’attuale sistema capitalista.

Per questa ragione, ormai diversi anni fa, abbiamo deciso di dare vita ad un movimento “maschile e di classe” denominato “Uomini Beta”. Sul nostro sito Uomini Beta - movimento maschile e di classe, qualora lo riteniate opportuno, potrete approfondire meglio le ragioni che ci hanno spinto a dare vita a questo movimento.

Avremmo salutato con grande soddisfazione la nascita di una nuova formazione antagonista e radicalmente critica nei confronti dell’ordine sociale dominante, rappresentativa di lotte e movimenti reali che agiscono concretamente nel tessuto sociale.

Purtroppo – anche se la cosa non ci sorprende – dobbiamo invece prendere atto che anche Potere al Popolo ha scelto di sposare in toto l’ideologia femminista; nel programma, infatti c’è un riferimento esplicito al “progetto contro la violenza maschile” di “Non una di meno”.

In quel documento si sostiene che l’attuale società capitalista sarebbe tuttora dominata dalla cultura patriarcale e maschilista. Di conseguenza la violenza, sia essa fisica, economica, psicologica, sessuale, che alcune donne subiscono non sarebbe episodica (per quanto diffusa) ma la diretta conseguenza di un sistema sociale che le vede discriminate a prescindere, in virtù o a causa della loro appartenenza sessuale. Sempre secondo quel documento – che ripropone di fatto le categorie del femminismo di sempre (in tutte le sue correnti) gli uomini, all’interno dell’attuale società “capitalista, maschilista e patriarcale” sarebbero in una condizione di privilegio e di dominio per il solo fatto di appartenere al genere maschile.

Ora, secondo il nostro punto di vista, questa visione è a dir poco obsoleta e anche priva di fondamento, oltre che venata di un malcelato (neanche tanto…) sessismo.

Vediamo di spiegare perché, partendo come prima cosa dai numeri e dai dati oggettivi, inconfutabili, che chiunque può verificare, che ci raccontano di una realtà concreta ben diversa da quella descritta dal femminismo. Una volta fatta questa operazione spiegheremo le ragioni per le quali l’attuale società capitalista non è (o non è più) a trazione maschilista e patriarcale e soprattutto perché non ha più nessuna necessità del patriarcato che rappresenta per essa, giunta al suo attuale stadio di sviluppo, addirittura un ostacolo da rimuovere.

Cominciamo allora dai dati.

Sono gli uomini a morire pressochè in esclusiva sul lavoro, con percentuali che oscillano ogni anno dal 92/93% al 95/96%. La rimanente percentuale del 5% circa di donne che muoiono sul lavoro sono in realtà vittime di incidenti stradali mentre si recano al posto di lavoro e vengono comunque considerate cadute sul lavoro. Questi dati possono essere verificati da tutti/ sul sito dell’Inail.

E’ curioso che in una società che si dice essere dominata dalla cultura maschilista e patriarcale, a morire sul lavoro siano gli oppressori invece degli oppressi, anzi, in questo caso, delle oppresse. Si tratta di un paradosso eclatante. E’ come dire che negli stati del sud degli USA a lavorare (e a morire) come schiavi nelle piantagioni di cotone non erano gli schiavi neri ma i padroni bianchi. L’esempio (è solo uno fra i tanti che potremmo portare) potrà forse essere considerato iperbolico ma è a nostro parere efficace. Ciò significa, ovviamente, che a svolgere i mestieri più rischiosi, nocivi, pesanti e purtroppo spesso mortali sono quasi esclusivamente gli uomini. Non osiamo pensare cosa sarebbe già accaduto a parti invertite, se cioè a morire sul lavoro fossero state e continuassero ad essere solo donne. Noi stessi per primi ci saremmo mobilitati contro quella che avremmo considerato una intollerabile discriminazione sessuale. E invece nulla, silenzio assoluto, evidentemente perché questa tragedia, di classe (perché muoiono solo lavoratori, non certo banchieri o divi del cinema) e di genere (perché muoiono solo maschi) viene considerata normale, un dato di fatto, ormai acquisito, forse perché è normale considerare i maschi come dei soggetti sacrificabili (invitiamo caldamente a leggere questo articolo nel merito Alla scuola del Titanic - Uomini Beta )



La totalità dei suicidi per perdita del lavoro riguarda solo gli uomini (mentre i suicidi per altre cause sono commessi nel 75% dei casi da uomini). Questo perché storicamente per gli uomini il lavoro, oltre ad essere una dolorosa necessità (e non certo un modo per realizzarsi) legata alla loro sopravvivenza e a quella delle loro famiglie, è anche un dovere morale, una sorta di “dover essere”, di imperativo categorico. Un uomo che non lavora, a differenza di una donna, è considerato un fallito, un buono a nulla. Per una donna essere mantenuta dal marito è un fatto del tutto normale. A parti invertite, un uomo mantenuto dalla propria moglie o compagna verrebbe socialmente considerato un saprofita, un parassita, un losco avventuriero se non un vero e proprio farabutto. Questa è la ragione per la quale la perdita del lavoro può avere sugli uomini conseguenze devastanti anche e soprattutto dal punto di vista psicologico. Conseguenze che le donne non hanno o comunque hanno in misura molto diversa ed estremamente minore rispetto agli uomini. Lo dice la percentuale del tasso di suicidi, tutti maschili, a meno di non considerare i maschi più fragili delle femmine per ragioni di natura ontologica (ma se questa fosse la spiegazione saremmo in pieno sessismo oltre al fatto che verrebbe meno il paradigma femminista: come si può essere infatti dominati da chi è più debole di noi?…). La risposta è molto semplice. Le donne non devono rispondere a quell’imperativo categorico. Il lavoro assume per loro una importanza esclusivamente pratica, che non coinvolge – quanto meno non nella stessa misura degli uomini – la sfera psicologica ed emotiva, legata a quell’imperativo di cui sopra. Di conseguenza, anche la sfera sessuale ed affettiva viene ad essere fortemente condizionata da tutto ciò. Infatti, la vita sessuale, affettiva e relazionale di una donna non è condizionata dalla sua condizione sociale, economica e professionale. Ella è desiderata per il solo fatto di essere una donna in sé e per sé, indipendentemente da altri fattori di ordine economico e sociale. Al contrario, un uomo povero o in condizioni economiche e sociali precarie e senza nessuna prospettiva di migliorare la propria condizione, avrà una vita sessuale, affettiva e relazionale altrettanto povera.

Il femminismo ha ovviamente rovesciato come un guanto questa situazione, rivisitando e deformando pro domo sua la realtà delle cose. Ciò che, fra le altre cose, ha infatti caratterizzato la storia dell’umanità, oltre alla divisione sociale del lavoro, è stata proprio la divisione sessuale del lavoro, dovuta a ragioni oggettive, di ordine biologico, fisico, ambientale, e non certo la discriminazione sessuale. Questa divisione sessuale del lavoro ha fatto sì che la grande maggioranza delle donne fosse adibita ai lavori di cura e domestici e la grande maggioranza degli uomini ai lavori forzati. Solo da un’ottantina di anni a questa parte, diciamo dalla fine della seconda guerra mondiale in avanti, in seguito alla seconda grande rivoluzione tecnologica (che ha fatto sì che il lavoro da “materiale” diventasse in buona parte “immateriale” sì da consentire che le stesse mansioni potessero essere svolte indifferentemente da uomini e da donne), le donne hanno potuto entrare in modo massiccio nel mondo del lavoro. Prima di quel momento non era possibile, perché le condizioni di lavoro – il più delle volte insopportabili e brutali per gli stessi uomini - rendevano impossibile quell’ingresso. Ciò che è stata quindi reinterpretata come una discriminazione sulla base del sesso è stata invece il prodotto di una fisiologica e inevitabile divisione del lavoro che ha visto la grande maggioranza degli uomini (con l’esclusione, ovviamente, degli uomini appartenenti alle classi sociali dominanti) farsi carico di un terribile fardello di fatica e di sfruttamento. Lo dimostra – come spiegavamo – il tasso di incidenti e di mortalità sul lavoro (del quali abbiamo già parlato). Nonostante la rivoluzione tecnologica, infatti i mestieri più pesanti continuano ad essere comunque svolti dagli uomini che hanno un’aspettativa di vita inferiore alle donne nell’ordine mediamente dei cinque anni ma vanno in pensione cinque anni più tardi (su quest’ultimo punto due articoli nel merito A proposito di parità, parliamo di pensione - Uomini Beta e Una rapina di genere?e di classe - Uomini Beta )

Per ciò che riguarda la divisione del lavoro, abbiamo approfondito l’argomento qui Nuovo racconto maschile (e di classe) - Uomini Beta



La stragrande maggioranza della popolazione carceraria, con percentuali che oscillano intorno al 95%, è maschile. Ciò significa, a meno di non pensare che gli uomini siano più “cattivi” delle donne per condizione ontologica, che questi vivono molto più delle donne, e in modo molto più lacerante, le contraddizioni della società. Non osiamo pensare, anche in questo caso, cosa sarebbe già accaduto a parti invertite. E invece, anche la maggiore tendenza degli uomini alla illegalità è considerato un dato normale, fisiologico. Per gli stessi reati gli uomini vengono condannati a pene detentive molto superiori a parità di reato, nell’ordine mediamente del 63% e, sempre a parità di reato, hanno il doppio delle possibilità di essere incarcerati. Nei paesi dove vige la pena di morte, la quasi totalità dei condannati è composta da uomini. Negli USA è del 99,9%. Il carcere, dunque la massima istituzione repressiva di una società (di classe), diventa di fatto una istituzione repressiva rivolta, nella stragrande maggioranza dei casi, nei confronti degli uomini (non appartenenti alle elite sociali dominanti). La qual cosa non può, naturalmente, essere casuale ed è la conseguenza di un ordine sociale determinato.



La grande maggioranza dei marginali, dei senza casa, dei senza fissa dimora, dei ricoverati alla Caritas e dei cosiddetti “barboni” è maschile, la maggior parte degli abbandoni nella scuola dell’obbligo è maschile. Un milione circa (in Italia) di uomini e padri separati vive sotto la soglia di povertà o giù di lì, espropriati dei figli, della casa, anche quando è di loro proprietà, del reddito e molto spesso, nell’ordine del 90% dei casi (dati verificabili) falsamente denunciati per violenze e molestie al fine di ottenere vantaggi in sede giudiziale. Una percentuale che oscilla fra un terzo e un quarto dei ricoverati nei centri della Caritas sono padri separati, persone che avevano una vita normale e che sono stati ridotti in miseria da leggi sessiste e antimaschili e da una “giustizia” altrettanto sessista e antimaschile (oltre che di classe). Sottoposti a pesanti sanzioni (compreso il carcere) qualora non riescano a versare regolarmente gli assegni di mantenimento e in caso contravvengano alle regole per ciò che riguarda la relazione con i figli (laddove, ad esempio, incontrino i figli al di fuori degli orari e dei tempi previsti e consentiti).



Ci sono diritti che le donne hanno e che gli uomini nemmeno sognano di avere, quelli riproduttivi: ossia il diritto di decidere se e quando diventare padri. Le femmine possono disconoscere la maternità con l’aborto e con il parto anonimo, cui possono ricorrere senza nemmeno avvisare il potenziale padre. Viceversa possono imporre la paternità in ogni modo, anche estorcendola con l’inganno e con la frode più smaccate. Decidono autocraticamente in piena autonomia. Hanno il diritto di imporre la paternità e quello di sottrarla, di cambiare idea, di rimediare ad un errore. Ottima cosa. Senonché a questa autocrazia corrisponde la subordinazione maschile radicale su una delle decisioni più importanti della vita e in grado di condizionarla totalmente. Scriveva Condorcet: ”L’abitudine può familiarizzare le persone alla violazione dei loro diritti ad un punto tale che nessuno si sogna di reclamarli, né ritiene di aver subito un’ingiustizia”. Appunto. Questi sono diritti che gli uomini non hanno mai riservato a sé e nemmeno pensano di poter avere. Si sono limitati a riconoscerli alle donne ed a subirne le conseguenze.



Gli uomini subiscono violenza né più e né meno di come la subiscono le donne. Soltanto che questa violenza non emerge alle cronache perché opportunamente occultata o ridimensionata dal sistema mediatico e dagli istituti di ricerca, Istat in primis. Sulla base degli stessi criteri dell’Istat un gruppo di esperti ha svolto una indagine in base alla quale emerge che il numero degli uomini che hanno subito violenza, sia psicologica che fisica, da parte delle donne è pari a quella subita dalle donne da parte degli uomini. Di seguito l’indagine, frutto di un intenso lavoro:

Prima indagine sulla violenza delle donne sugli uomini in Italia

E’ in corso da anni una campagna mediatica martellante che vuole accreditare la tesi in base alla quale, solo in Italia, sarebbe in corso una sorta di genocidio del genere femminile, altrimenti detto “femminicidio”. Si tratta, a nostro parere di un gravissimo depistaggio ideologico al fine di dirottare l’attenzione delle masse e creare un immaginario del tutto virtuale finalizzato a ingenerare nelle masse femminili una ostilità nei confronti dei maschi in quanto tali, e non certo nei confronti del sistema capitalistico e delle classi dominanti che salutano con gioia (e infatti la alimentano ad arte con tutta la potenza mediatica che hanno a disposizione) questa guerra fra i sessi, anzi contro il genere maschile. Una guerra che contribuisce (insieme a quella fra poveri, cioè fra lavoratori autoctoni e immigrati, pompata ad arte dalla variante di destra del sistema) a disinnescare ed allontanare l’unica guerra che esse temono, quella di classe.

Infatti, la percentuale delle donne uccise in Italia complessivamente, quindi non solo dal partner o in ambito familiare ma in qualsivoglia circostanza, come si evince da questo articolo in cui vengono riportati i dati dell’ISTAT e che consigliamo di leggere, oscilla fra lo 0,35 e lo 0,45 su 100.000 (centomila) abitanti.

Da rilevare come la percentuale delle donne uccise in Italia sia peraltro inferiore a quella degli altri paesi europei: si va dallo 0,75 della Francia e della Germania allo 0,50 della Spagna e allo 0,64 della Polonia (sempre su 100.000 abitanti, ovviamente).

Numeri e percentuali che possono essere definiti in un solo modo: insignificanti. Non solo, negli ultimi anni (il dato è del 2014) il fenomeno, per ciò che riguarda il caso italiano, è calato sensibilmente, passando dallo 0,65 del 2002 allo 0,47 del 2014.

In tutto ciò, gli uomini uccisi sono tre volte tanti, pari (in Italia) all’ 1,11 (dato del 2014) su 100.000 abitanti (1,65 nel 2003).

Su queste percentuali, cioè sostanzialmente sul (quasi) nulla, è stato costruito il fenomeno del cosiddetto “femminicidio”.

La nostra opinione è che nessuno studioso di sociologia e/o di statistica degno di questo nome prenderebbe mai in considerazione quelle percentuali per trarne la conclusione che siamo di fronte ad un’emergenza sociale o meglio, di genere. Infatti, per quanto anche una sola vita umana abbia un valore assoluto a prescindere, dobbiamo prendere atto che i numeri di cui sopra sono assolutamente fisiologici. A meno di non pensare di poter eliminare ogni forma di violenza dal mondo; intento nobilissimo al quale bisogna in linea teorica tendere, ma è evidente che non può essere quello il parametro di riferimento per stabilire la veridicità o meno di una presunta emergenza.

Stando così le cose, resta a questo punto da capire per quali ragioni il sistema mediatico-politico, senza eccezioni, da “destra” a “sinistra”, ha costruito questa gigantesca “bolla” mediatica priva di alcun fondamento reale.

La nostra risposta (che in parte abbiamo già dato) è, per punti, la seguente:

a) dirottare l’attenzione delle masse popolari dalle problematiche sociali – crisi economica, precarietà, disoccupazione, mancanza di lavoro, diseguaglianza crescente, impoverimento di larghi strati sociali, peggioramento delle condizioni di vita ecc. – alle cosiddette “tematiche di genere”, contribuendo, in questo modo, a disinnescare il potenziale conflitto sociale che da tali contraddizioni potrebbe scaturire;

b) dividere le masse sostituendo il potenziale conflitto di classe con quello fra i sessi, all’interno del quale, naturalmente, quello maschile è individuato come quello nemico, dal momento che gli uomini, tutti, in quanto tali, per lo meno secondo la narrazione femminista, vivrebbero una condizione di supremazia (sulle donne) e di privilegio garantita loro dalla cultura patriarcale e maschilista di cui l’attuale sistema capitalista sarebbe tuttora intriso.

c) depistare ideologicamente le donne, persuadendole che il loro nemico non è il sistema capitalista e imperialista dominante, bensì gli uomini, o meglio, i maschi. Il nemico non è più, quindi, il padrone, il capitalista, le banche, la finanza, le multinazionali, gli stati imperialisti, l’UE, la NATO, il sistema mediatico al loro servizio, ma l’uomo che si ha in casa, a partire, naturalmente, dal proprio marito o compagno, considerato come un “oppressore per definizione e ormai anche come un potenziale “femminicida”;

d) paralizzare psicologicamente gli uomini in seguito ad un sistematico processo di colpevolizzazione e di criminalizzazione e in tal modo disinnescare la loro potenziale capacità antagonistica.

Tutto ciò è stato naturalmente possibile in quanto l’ideologia femminista o “neo femminista” è stata completamente assorbita dal sistema politico-mediatico dominante, fino a diventare una sola cosa.

E’ singolare osservare come anche e soprattutto coloro (mi riferisco ad una certa “sinistra radicale” e, drammaticamente, anche a quella “antagonista”) che, giustamente, sostengono (e noi con loro) che il sistema mediatico sia uno strumento di lucida e scientifica disinformazione e manipolazione della realtà finalizzato alla costruzione di un immaginario fasullo (nonché di relativa falsa coscienza), assumano come Verità Assoluta tutto ciò che viene loro proposto in tema di “questioni di genere”.

Per dirla in parole ancora più semplici, quegli stessi organi di “informazione” che sarebbero preposti ad una lucida e scientifica opera di deformazione della realtà e di depistaggio ideologico (e noi siamo convinti che lo siano), diventano, come d’incanto, i dispensatori della Verità quando si tratta di “questioni di genere”. Per cui, se i media ci spiegano ad esempio che si va a bombardare in Libia o in Iraq per portare democrazia e diritti umani oppure che l’occupazione sta crescendo o che l’economia è in ripresa, si dice – giustamente – che stanno manipolando la realtà. Quando invece ci spiegano che sarebbe in corso una sorta di genocidio del genere femminile, altrimenti detto “femminicidio”, ci starebbero raccontando la Verità, solo la Verità, nient’altro che la Verità.

Una gigantesca contraddizione, ci pare di poter dire. Come è infatti possibile che un sistema mediatico scientemente finalizzato alla manipolazione delle menti si trasformi in una sorta di messaggero della Verità Assoluta, soltanto in un ambito specifico, e cioè quando c’è di mezzo la questione della relazione fra i sessi? Il sistema è forse per metà conservatore e per l’altra metà rivoluzionario?

Ciò detto, stilare una classifica che stabilisca il livello di gravità della violenza è assai arduo se non impossibile, perché entrano in gioco tanti fattori quali il contesto, le circostanze, l’ambiente, le condizioni psicologiche, le motivazioni (vere, presunte o pretestuose) di chi l’agisce e tanti altri aspetti ancora.

Tuttavia, se dovessimo in linea di principio stabilire una sorta di gerarchia in tal senso, non c’è alcun dubbio che al primo posto dovrebbe essere posta la violenza agita sui minori. E questo per una ragione evidente: i bambini sono indifesi, comunque sicuramente i più indifesi rispetto a chiunque altro, donne o uomini che siano. Questa è la ragione che rende la violenza contro i bambini più odiosa rispetto a tutte le altre.

Eppure – nonostante questa (particolarmente) spregevole forma di violenza sia purtroppo diffusa e ampiamente praticata – non c’è nessuna emergenza in tal senso, nessuna martellante campagna mediatica per contrastare la violenza contro i minori, al contrario di ciò che accade per il fenomeno della violenza contro le donne (quella subita dagli uomini, da parte di altri uomini o da parte di donne, non è neanche contemplata, non è oggetto di interesse mediatico nè di altro genere, è semplicemente ignorata o data per scontata) che, per quanto gravissima, è sicuramente meno grave (in base al discorso di cui sopra) rispetto a quella subita dai bambini e dalle bambine.

Perché, ci si chiederà? Per una ragione molto semplice. Se il fenomeno della violenza sui minori fosse portato all’attenzione dell’“opinione pubblica” con la stessa potenza mediatica con cui viene portato quello della violenza contro le donne, emergerebbe inevitabilmente che tale forma di violenza è agita indifferentemente sia da uomini che da donne, anzi, soprattutto dalle donne. Non perché, ovviamente, siano più “cattive” degli uomini, ma semplicemente perché, rispetto a questi ultimi, sono a contatto con i minori in misura sicuramente maggiore, basti pensare alle maestre elementari, di scuola materna, alle insegnanti delle scuole medie, alle assistenti e alle operatrici degli asili ecc. e naturalmente alle madri che specialmente durante gli anni dell’infanzia hanno un rapporto molto più stretto (e non sempre psicologicamente sano) con i figli rispetto ai padri (come è normale che sia…).

Ma mettere in evidenza il fenomeno della violenza sui minori equivarrebbe, per le ragioni che abbiamo spiegato, a disintegrare la narrazione ideologica-mediatica neofemminista dominante che si fonda sulla vittimizzazione tout court del genere femminile e sulla criminalizzazione altrettanto generalizzata di quello maschile, e naturalmente a ridimensionare notevolmente se non a minare in via definitiva la campagna mediatica in corso da anni contro la violenza (maschile, ovviamente…) sulle donne. E questo nessuno lo vuole, dall’estrema sinistra all’estrema destra, dal momento che tutte le forze politiche, nessuna esclusa, aderiscono, da questo punto di vista, alla narrazione ideologica-mediatica dominante (una contraddizione in termini per quella sinistra che si definisce “antagonista” e che non abbiamo mancato di evidenziare più volte…).

Il tema è ovviamente scabroso oltre che destabilizzante sotto ogni punto di vista. Pensiamo ad esempio alla figura genitoriale femminile che da sempre è stata mitizzata. La “mamma è sempre la mamma”, e da sempre è stata considerata la depositaria dell’amore, per definizione, fino ad essere trasformata in un vero e proprio archetipo. Le cose non stanno ovviamente così, purtroppo, ma si preferisce non indagare e mettere la testa sotto la sabbia perché affrontare il tema sarebbe devastante dal punto di vista psicologico, ideologico e ormai da tempo anche politico.

Altrettanto scabroso e parzialmente rimosso (anche se in misura molto minore rispetto alla violenza agita dalle donne e soprattutto dalle madri sui bambini e sui figli) è il tema della violenza fra i minori che oggi va sotto il nome di “bullismo”, anche in questo caso agita indifferentemente sia da maschi che da femmine (come ogni forma di violenza, del resto…).

Questo fenomeno (così come quello della violenza agita dalle donne) viene interpretato come un retaggio della violenza degli adulti (e naturalmente degli adulti maschi). I bambini e le bambine agirebbero in modo violento sostanzialmente per mimesi (e in questo c’è sicuramente una parte rilevante di verità), cioè per imitazione dei comportamenti degli adulti (ovviamente maschi). Così facendo si mantiene intatto anche il mito dell’innocenza dei bambini, un altro archetipo che non si vuole incrinare perché sarebbe altrettanto destabilizzante ammettere che anche i bambini e le bambine sono in grado di agire in modo violento, sia dal punto di vista fisico che psicologico.

PER LEGGERE L'ARTICOLO COMPLETO

Lettera aperta agli uomini e alle donne di Potere al Popolo - Uomini Beta (http://www.uominibeta.org/home/lettera-aperta-agli-uomini-e-alle-donne-di-potere-al-popolo/)

Matrix
06-03-18, 17:54
Il femminismo nasce con istanze giustissime, ma credo che il neofemminismo non sia altro che uno strumento delle elité usato per il controllo delle nascite in chiave prettamente malthusiana.

Fondamentalmente tutte le istanze del neofemminismo "sessantottino" hanno come fine ultimo la diminuzione delle nascite:

Aborto
Divorzio e conseguente inflazione della famiglia prole(taria) tradizionale
Emancipazione lavorativa della donna e conseguente denigrazione delle donne che, volontariamente, accettano il ruolo di madre e e moglie.
Criminalizzazione dell'uomo tramite l'enfatizzazione del cosiddetto fenomeno del "femminicidio", col conseguente inasprimento della "guerra tra i sessi".
Accettazione di modelli estetici assai poco attraenti (come le cosiddette "curvy" che, da semplice termine usato per descrivere donne attraenti e formose, stile Monica Bellucci, si è passati con l'appiopare questa parola a ragazze oggettivamente obese, con relative manifestazioni dell'"orgoglio curvy").



Dall'altro versante c'è il primo alleato del femminismo, ovvero il movimento LGBT. Ebbene, se due persone dello stesso sesso non possono procreare ca va sans dire....



Risultato di tutto ciò che ho sovraelencato? Denatalità.


Da qualche tempo le varie logge internazionali ci dicono che "consumiamo troppo", "le risorse finiranno", "saremo in troppi sul pianeta"



Se 2+2 fa ancora 4..................

avanti proletari
06-03-18, 18:07
Non so se quanto scritto corrisponda al vero. Mi sa un po' di dietrologia a buon mercato ma, lo devo ammettere, oggi non mi sorprende più nulla.

1) Il neofemminismo è in tutto e per tutto organico alle dinamiche del capitale. Non lo disturba minimamente

2) Alle volte può perfino tornare utile al capitale

3) A pagare la propaganda di mostrificazione dell'uomo non sono Berlusconi né Weinstein. Solo i maschi proletari (che, per inciso, non detengono nessun privilegio).

Kavalerists
06-03-18, 19:40
Guardate che queste sono le stesse pazze decerebrate e quinte colonne del liberalismo che già negli anni 70 tiravano fuori deliri assoluti del tipo che Marina Ripa di Meana, in quanto donna ,era un soggetto più sfruttato di un operaio della FIAT...:vom: non sto scherzando; ora sono semplicemente peggiorate, con il nazifemminismo che predica e pretende ben altre e obbrobriose cose che non la parità dei sessi.

avanti proletari
06-03-18, 19:47
Guardate che queste sono le stesse pazze decerebrate e quinte colonne del liberalismo che già negli anni 70 tiravano fuori deliri assoluti del tipo che Marina Ripa di Meana, in quanto donna ,era un soggetto più sfruttato di un operaio della FIAT...:vom: non sto scherzando; ora sono semplicemente peggiorate, con il nazifemminismo che predica e pretende ben altre e obbrobriose cose che non la parità dei sessi.

E infatti, finché non si auto-definiranno PARITARISTE, per me rimarranno delle razziste al pari di Alfred Rosenberg.

Hynkel
08-03-18, 00:25
Forse sono in tema: non vi pare che le motivazioni dello sciopero di domani siano stupide?

avanti proletari
08-03-18, 15:03
Forse sono in tema: non vi pare che le motivazioni dello sciopero di domani siano stupide?

E' promosso da "Non un di Meno" , una banda di note razziste e sessiste che andrebbero messe a spaccar pietre 10 ore al giorno.

Chiaramente solidarietà "interclassista" di tutte le donne oppresse dal badriarggggado. I filantropi esultano (e sganciano quattrini).

don Peppe
08-03-18, 22:28
E' promosso da "Non un di Meno" , una banda di note razziste e sessiste che andrebbero messe a spaccar pietre 10 ore al giorno.

Chiaramente solidarietà "interclassista" di tutte le donne oppresse dal badriarggggado. I filantropi esultano (e sganciano quattrini).

sono d'accordo su tutto tranne sul fatto che le nazifemministe di non una di meno sono interclassiste, in realtà sono fortemente classiste, e difendono solamemente i diritti delle donne appartenenti alle classi dominanti, freganosene dei diritti delle donne proletarie, a loro non importa nulla dei diritti delle minatrici delle asturie, delle operaie cassintergate delle aziende italiane in crisi o in procinto di delocalizzare, delle lavoratrici di amazon e dei call center costrette che appena accennaono a protestare, rischiano illicenziamento, delle ragazze madri che non potendosi permettere di pagare cinquecento euro al mese per l'asilo nido privato, prima perdono il lavoro e poi quando finoscono in mezzo alla strada gli togono i figli, delle donne che per sopravivere sono costrette a fare da fattrici umane, per ricchi gay viziati, stanchi di giocare con il barboncino ed il gatto, e delle ricche manager che non voglioni affronatare i parto ed hanno paura di i ingrassare e che gli vengano le smagliature, e decidono di ricorrere alla maternità surrogata, delle lavoratrici che ricevano ricatti sessuali che hanno come contropartita il licenziamento, non la rinuncia all'opportunità di fare carriera nel mondo dello spettacolo.

In unione sovietica, il femminismo non è mai esistito, ma esisteva la parità vera, le donne facevano i medici e gli ingegneri, ma anche le minatrici, potevano avere ruoli dirigenziali, ma durante la guerra combattevano e morivano in prima linea insieme agli uomini, senza che nessuno si ponesse dei problemi, poiché la parità dei diritti e dei doveri tra uomo e donna, è strettamente legata a questioni di classe e si può raggiungere solamente attraverso il socialismo

Lèon Kochnitzky
09-03-18, 23:12
sono d'accordo su tutto tranne sul fatto che le nazifemministe di non una di meno sono interclassiste, in realtà sono fortemente classiste, e difendono solamemente i diritti delle donne appartenenti alle classi dominanti, freganosene dei diritti delle donne proletarie, a loro non importa nulla dei diritti delle minatrici delle asturie, delle operaie cassintergate delle aziende italiane in crisi o in procinto di delocalizzare, delle lavoratrici di amazon e dei call center costrette che appena accennaono a protestare, rischiano illicenziamento, delle ragazze madri che non potendosi permettere di pagare cinquecento euro al mese per l'asilo nido privato, prima perdono il lavoro e poi quando finoscono in mezzo alla strada gli togono i figli, delle donne che per sopravivere sono costrette a fare da fattrici umane, per ricchi gay viziati, stanchi di giocare con il barboncino ed il gatto, e delle ricche manager che non voglioni affronatare i parto ed hanno paura di i ingrassare e che gli vengano le smagliature, e decidono di ricorrere alla maternità surrogata, delle lavoratrici che ricevano ricatti sessuali che hanno come contropartita il licenziamento, non la rinuncia all'opportunità di fare carriera nel mondo dello spettacolo.

In unione sovietica, il femminismo non è mai esistito, ma esisteva la parità vera, le donne facevano i medici e gli ingegneri, ma anche le minatrici, potevano avere ruoli dirigenziali, ma durante la guerra combattevano e morivano in prima linea insieme agli uomini, senza che nessuno si ponesse dei problemi, poiché la parità dei diritti e dei doveri tra uomo e donna, è strettamente legata a questioni di classe e si può raggiungere solamente attraverso il socialismo
Concordo, a parte l'elogio dell'URSS, ma li' è un fatto politico. Indubbiamente una forma paritaria era più avanzata che nell'Occidente liberale, dove in realtà le donne assurgono esclusivamente al ruolo di spettatrici di stupide soap opera dalle quali trarre spunto per questioni di moda e uomini; e di contro gli uomini schiavi del pallone e dei porno. Questa è la parità tra sessi occidentale. Proprio perche' in Occidente non c'è una concezione di utilità sociale (che non va confusa col senso del dovere capitalistico di 'donare' il proprio tempo a una causa padronale) ma solo egonarcisismo

Lord Attilio
11-03-18, 16:21
http://www.lantidiplomatico.it/dettnews-cuba_spagna_stati_uniti_quante_donne_in_parlamento/5694_23341/



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Berjia
04-04-18, 08:40
http://www.oltrelalinea.news/wp-content/uploads/2018/03/maxresdefault-3-800x500.jpg

Contro il maschio femminista


Helen Pluckrose è una giornalista inglese di tendenza liberal, principalmente critica verso il postmodernismo e il femminismo odierno. Scrive su Conatus News e su Aero Magazine, della quale è caporedattrice. Su Twitter: @HPluckrose

Cari uomini femministi,

mi rivolgo specificatamente a voi per la prima volta. Fino ad oggi, quando ho parlato del movimento femminista, mi rivolgevo principalmente alle donne come me. L’ho fatto perché, quando ero ancora una femminista, ho iniziato a temere che il movimento femminista stesse andando fuori strada, e sentivo che era responsabilità delle donne porvi rimedio.

Ho visto il femminismo trasformarsi da un movimento per i pari diritti delle donne e per i diritti umani universali, che accettava tutte le persone indipendentemente dal proprio genere, dalla propria razza o dalla propria sessualità, a un movimento dominato da una mentalità vittimistica, dalle identità politiche e dalla discriminazione delle persone in base al proprio genere, alla propria razza e la propria sessualità. Ho esortato le mie compagne femministe a non fare in modo che ciò accadesse. In seguito ho abbandonato il femminismo perché questo cambio ideologico era ormai chiaramente avvenuto, e non potevo più fare parte di un movimento simile.

Anche dopo avere lasciato il femminismo, mi sono rivolta alle donne in quanto donna per combattere il ritorno del vecchio e brutto stereotipo che vede le donne come deboli, fragili, isteriche e inadatte a rivestire un ruolo nella sfera pubblica. Ho cercato di convincere le altre donne del fatto che non abbiamo bisogno di essere protette dalle idee che non ci piacciono, e che possiamo fare fronte agli uomini che non sono d’accordo con noi, che sono assertivi o spesso anche rozzi senza lamentare “violenze” immateriali, e senza farci categorizzare come “oppresse”, facili al collasso nervoso o terrorizzate per la vita. Ma più di ogni altra cosa, ho esortato le donne a ricordare che possiamo farlo in condizioni di parità, e in modi che onorano e promuovono la nostra dignità umana.

Di recente ho ascoltato molti maschi femministi, quindi ora mi rivolgo a voi. Voi non volete farlo -infatti, in realtà volete fare l’esatto opposto- ma, con le vostre parole su di me e su altre donne, ciò che fate è ripetere che, siccome siamo donne, siamo generalmente considerate prive di valore; che veniamo viste come un oggetto o una possessione, se siamo belle e giovani; o come irrilevanti, se vecchie o poco attraenti.

Ci comunicate, credendo di aiutarci, che la società ci ritiene deboli, incompetenti, sfruttabili, non professionali e non intelligenti, e che abbiamo bisogno di farci spiegare le cose, di essere guidate. Poiché voi credete all’attuale versione del femminismo, che considera le donne come vittime che hanno bisogno della protezione “femminista”, voi state promuovendo il sessismo verso di noi, e io non posso apprezzarlo.

Per anni, attraverso la voce degli uomini che pretendevano di parlare a mio nome, mi sono sentita dire che potevo essere vittimizzata dalle t-shirt con disegni ammiccanti, dalle pubblicità con le modelle magre, e in generale dalle idee che non mi piacevano. Mi è stato detto quali idee supportare e quali no. Ho ricevuto spiegazioni del fatto che io sarei incapace di fare i conti con lo stronzo occasionale, e che se qualcuno è cattivo con me rimarrò traumatizzata a vita.

Il vostro “femminismo” vorrebbe farmi credere che devo temere la violenza maschile in qualunque momento della mia vita, ed essere intimidita dagli uomini; mi avete detto che non posso essere ascoltata alle mie condizioni, che ho bisogno che gli uomini sui social media stiano zitti per dare spazio alla mia voce, altrimenti, viceversa, nessuno si accorgerebbe della mia esistenza. Me lo dite molto spesso, senza alcuna ironia, pur non avendo voi in primis alcuna platea di lettori, perché non avete nulla di intelligente o di interessante da dire.

La mia reazione istintiva, al vostro sessismo paternalistico, è un’indignazione che quasi sfocia nella rabbia. Io non vivo in questo mondo dark-fantasy anti-donne che voi descrivete. Io vivo nella Londra del 2018. Non sono d’accordo sul fatto che esista una norma sociale che veda le donne come generalmente inadeguate o inferiori agli uomini. Invece, credo che questa percezione delle donne sia piuttosto tipica del maschio femminista. Sono sempre più convinta che sia lui a pensare alle donne come deboli, incompetenti, passive, e mi chiedo spesso se questa percezione delle donne non nasconda qualche profonda insicurezza personale.

Forse vuole che la società lo riconosca superiore a me, perché lui stesso teme di non esserlo? Forse è una mentalità simile a quella dei suprematisti bianchi, i quali raramente hanno qualità personali delle quali possono sentirsi orgogliosi, e ricorrono al razzismo per sentirsi superiori ad almeno un segmento della società? Nei miei momenti meno buoni, ho il sospetto che egli sappia perfettamente che le donne sono adulti competenti e pienamente coinvolti nella sfera pubblica, ma che non ami ciò e desidi farci dubitare di noi stesse.

Queste preoccupazioni di solito non occupano molto spazio nella mia mente, anche se a volte emergono quando perdo la pazienza. Cerco di non dirlo ad alta voce, perché dentro di me so che non è vero. So che la maggioranza dei maschi femministi apprezza e rispetta davvero le donne, che percepiscono il mondo come ostile alle donne, e che vogliono aiutarle. Nonostante ciò, questa percezione è falsa, e ci si può rendere conto di ciò guardando il mondo più in profondità di quanto consenta l’ideologia femminista. Molte di noi, caro maschio femminista, ti diranno ciò che ti sto per dire ora:

Se vuoi veramente aiutare le donne, smettila di credere che noi abbiamo bisogno di fare arretrare gli uomini per ottenere qualcosa nel mondo. Smettila di sostenere, implicitamente o esplicitamente, che l’intera società ci veda deboli, incapaci, ignoranti e generalmente inferiori. Quando incontri delle donne che non trovano la società come un posto ostile e pericoloso per loro, dove nessuno le rispetta o le prende sul serio, non insistere nel mostrargli il mondo come tu vorresti farglielo vedere. Ma soprattutto, non dire alle tue figlie che il mondo è così.

Se credi che il condizionamento sociale possa scoraggiare le ragazze dall’essere sicure di sé stesse e dal cercare accesso a professioni dominate dagli uomini, o da ruoli di leadership in generale, non condizionarle a credere che è così che la società le vede. Più di ogni altra cosa, smettila di trattare le donne come fragili vittime di tutto, che devono essere protette dalla dura realtà della vita. Abbiamo già attraversato quella fase. Non è stato granché. Non vogliamo tornare indietro, anche se tu lo chiami “femminismo”.

Considera l’idea non di essere femminista, ma di supportare l’uguaglianza di genere coerentemente. Continuerai a denunciare il sessismo contro le donne quando lo vedi, e potresti notare che il sessismo esiste anche nei confronti degli uomini. Se vuoi ancora essere un femminista, sii una persona che rinforza il ruolo delle donne, celebra ciò che abbiamo raggiunto e accettaci come membri della società influenti e rispettati. Se credi alla frase “il femminismo è l’idea radicale che le donne siano persone”, inizia ad agire come se ci credessi davvero. Grazie.

(di Helen Pluckrose, da Areo Magazine – traduzione di Federico Bezzi)

Helen Pluckrose: contro il maschio femminista | Oltrelalinea (http://www.oltrelalinea.news/2018/03/26/contro-il-maschio-femminista/)

Berjia
06-04-18, 21:10
Quell’ “intellettuale” (sedicente) comunista che mi dà del “rossobruno”


Fabrizio Marchi • 5 aprile 2018

http://1.bp.blogspot.com/-6EcLIT3dNCw/TuNbSzn3RDI/AAAAAAAADaw/jehNvICq6Co/s1600/intellettuali_web.jpg

Foto: La Veja (da Google)



Pochi giorni fa, subito dopo aver pubblicato questo articolo sulla tragedia di classe e di genere (maschile, è un fatto, sul quale c’è ben poco da discettare…) Morti sul lavoro: una tragedia di classe e di genere - l'interferenza (http://www.linterferenza.info/editoriali/morti-sul-lavoro-tragedia-classe-genere/) sul profilo FB di un comune “amico”, ad un certo momento un “intellettuale” sedicente comunista, anche abbastanza noto, un accademico, uno tutto “scienza e materialismo dialettico e guai a chi esce dal seminato”, è intervenuto e mi ha liquidato in due righe (due) dandomi del “rossobruno”, cioè del fascista, anzi del “rozzobruno”.

Mi viene da ridere, ovviamente, e sono sicuro che verrà da ridere anche a chi mi conosce, ma tant’è…

L’“intellettualone-materialista-dialettico-scientifico-e-guai-a-chi-esce-dal-seminato” ha postato un commento rivolto al comune amico in cui scriveva testualmente:” O selezioni meglio le tue amicizie e lasci stare i “rozzobuni” oppure sarò costretto a toglierti l’amicizia”.

Non faccio il nome di cotanto pezzo da novanta (si fa per dire, stiamo parlando di un docente universitario di filosofia come tanti altri che la povertà culturale del contesto attuale ha elevato oltre misura e ben oltre i suoi stessi meriti…) perché ho sempre detestato il gossip e le polemiche personali e di bottega. Del resto, ciò che conta è quanto accaduto, altamente rappresentativo del modo di essere e di pensare del clero accademico e intellettuale di sinistra e, drammaticamente, anche comunista (o sedicente tale), e non la persona di cui non ce ne importa assolutamente nulla.

Un mio amico mi ha fatto simpaticamente notare che il tizio mi ha dato del fascista per avere semplicemente detto la verità, e cioè che a morire sul lavoro sono soltanto maschi e appartenenti ai ceti popolari (non si sono mai visti banchieri o notai precipitare dalla loro scrivania…).

Un dato eclatante che ciascuno può interpretare come meglio crede. Resta il fatto che comunque lo si voglia leggere, si tratta di un dato oggettivo. Quindi, sempre a logica, se il criterio da seguire è quello dell’ ”intellettualone”, chi dice la verità diventa automaticamente un fascista. A meno che non lo diventi chi non dice la “sua” verità.

Si dà il caso però che quel dato, come ripeto, sia oggettivo, e quindi incontestabile e inoppugnabile e, aggiungo io, anche inconfutabile. Dopo di che se ne possono dare (ho i miei dubbi anche su questo, per la verità, ma insomma…lascio la porta aperta alle più svariate opinioni…) diverse interpretazioni ma resta il fatto che quel dato è oggettivo.

Ora, un intellettuale, e ancor più un marxista, di fronte ad un dato oggettivo (cioè di fronte alla realtà) dovrebbe porsi in una relazione dialettica. E quindi dovrebbe chiedersi:” A morire sul lavoro sono soltanto uomini. Però, non me ne ero mai accorto (va bè, tiremm innanz…). E come mai? Perché? E soprattutto: cosa sta a significare? Apriamo la riflessione, a qualsiasi conclusione essa ci porti, perché ciò che conta è stabilire il vero, anche e soprattutto per confermare, correggere o eventualmente anche accantonare, anche se a malincuore, quelle nostre posizioni di cui prima eravamo certi ”.

Così dovrebbe agire un intellettuale e, soprattutto, un intellettuale marxista e dialettico (ma realmente dialettico, non per finta…). Il tizio invece liquida la questione in due righe, liquidando contestualmente anche il sottoscritto dandogli del “rossobruno”.

Dopo di che ci si lamenta (e lui è uno di quelli) se la sinistra (quella che se non erro anche lui ha sostenuto) prende l’1,1% alle elezioni. Se così stanno le cose, è giusto che prenda l’1,1%. Anzi, se così stanno le cose probabilmente è giusto che scompaia del tutto così forse c’è la speranza e la possibilità di ricostruirla dalle fondamenta. Non me ne vogliano i miei compagni e amici, non c’è nessuna ostilità da parte mia, anzi, c’è un antichissimo affetto, però così stanno le cose.

Più che invitarvi a riflettere (come faccio da tanto tempo) non posso fare…

Quell&#039; "intellettuale" (sedicente) comunista che mi dà del "rossobruno" - l&#039;interferenza (http://www.linterferenza.info/editoriali/quell-intellettuale-sedicente-comunista-mi-del-rossobruno/)

Hynkel
07-04-18, 09:42
Alcune persone sono talmente piene di ideologia che non vedono la realtà, o meglio non la vogliono vedere

Berjia
07-04-18, 13:24
Alcune persone sono talmente piene di ideologia che non vedono la realtà, o meglio non la vogliono vedere

Alcuni, indubbiamente, non possono vederla perché ottenebrati dal dogmatismo. Altri fingono di non vederla per "quieto vivere" entro i confini della sinistra ufficiale. Un'altra fetta di soggetti, lestofanti e truffatori, sanno benissimo come girano le cose (e questo vale anche per temi come l'immigrazione o la sicurezza pubblica), ma hanno interesse ad occultare o negare ciò che è palese, oggettivo e lapalissiano.

don Peppe
02-05-18, 14:02
ho cercato sui vari siti nazifemministi di non una di meno, ma non ho trovato nessun attestato di solidarietà a questa povera lavoratrice, che dopo oltre trenta anni di lavoro, verrà licenziata poiché ha un cancro, a conferma del fatto che alle nazifemministe dei diritti delle donne lavoratrici e proletarie non importa nulla, in casi come questo nessuna mobilitazione

https://www.ilmattino.it/primopiano/cronaca/ammalata_cancro_licenziata_milano_dramma_madre-3702459.html



Si ammala di cancro e viene licenziata: «Messa alla porta dopo 33 anni». Il dramma di una madre
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Si ammala di cancro e viene licenziata. E' accaduto a Milano a una madre di 53 anni, un'ausiliaria socio-assistenziale, che è stata giudicata dall'Agenzia di tutela della salute «idonea al lavoro» pur con alcune limitazioni nella sua attività. Dopo 33 anni di servizio, al Piccolo Cottolengo Don Orione di Milano, impiegata nella pulizia e nella cura dei pazienti, la donna è stata licenziata perché la struttura non ha ritenuto di poterla ricollocare. L'episodio è stato denunciato dal Sindacato generale di base (Sgb) che ha già annunciato che assisterà legalmente la donna.





«Denunceremo anche questo caso scandaloso nella manifestazione del Primo Maggio», fanno sapere dal sindacato: la donna, sposata e con un figlio che studia, percepisce 1.100 euro netti al mese per 36 ore di lavoro settimanale. Nella lettera di licenziamento, firmata dal dg, don Pierluigi Ondei, si legge: «si rileva che la Provincia (termine con cui si indica l'ente religioso di gestione, ndr) ha esperito il tentativo di ricollocarla in mansioni differenti, equivalenti o finanche inferiori a quelle attuali compatibili con il suo stato di salute, appurando tuttavia l'insussistenza di posizioni alternative disponibili».




La donna cinque anni fa si è ammalata di cancro: all'agenzia Ansa ha spiegato che «pur non potendo sollevare pesi superiori ai cinque chili può tranquillamente proseguire a distribuire pasti e pulire i pazienti più autonomi o fare anche altre attività». «Altri dipendenti nelle mie condizioni sono stati ricollocati in lavori analoghi e non vedo perché questo non debba essere fatto per me - ha aggiunto -. Dopo 33 anni di dedizione al lavoro vengo messa alla porta da un'istituzione che si dice religiosa».


Lunedì 30 Aprile 2018, 20:20 - Ultimo aggiornamento: 01-05-2018 12:35
© RIPRODUZIONE RISERVATA

LupoSciolto°
02-05-18, 15:12
Storia tristissima che dimostra come gli sfruttati non abbiano sesso e come le nazifemministe, con le loro inutile polemiche, si guardano sempre bene dal considerare chi appartiene al neoproletariato.

LupoSciolto°
22-05-18, 18:16
La Boldrini non trova mai l'occasione per star zitta

https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/05/22/governo-boldrini-contratto-non-ce-niente-per-le-donne-elettorato-progressista-che-ha-votato-m5s-ha-preso-cantonata/4372756/

LupoSciolto°
25-05-18, 10:46
Difesa dei minori o retorica femminista?


Il contratto di governo stipulato da M5s e Lega favorirebbe la lobby dei padri separati: a dirlo sono Francesca Puglisi e Anna paola Concia, entrambe esponenti del Partito Democratico.

di Alessandra Vio - 24 maggio 2018

incompetenti, incoerenti, fascisti: effettivamente all’accordo M5s-Lega mancava ancora l’accusa di maschilismo. Per fortuna, il 17 maggio, hanno repentinamente rimediato alla grave carenza Francesca Puglisi della direzione nazionale del Pd e Anna Paola Concia, assessore del comune di Firenze. L’imputato è ancora una volta il contratto di governo e, nello specifico, quello “scempio” di paragrafo dedicato al diritto di famiglia. L’accusa è che la proposta sia stata “scritta sotto dettatura della lobby dei padri separati, che danneggerà in modo irreparabile la crescita equilibrata di bambine e bambini che saranno costretti a fare da pacchetti tra mamma e papà e che mette a serio rischio il sostentamento delle donne separate e dei loro figli”.

Solo dall’analisi dei toni di tale enunciato emerge quanto l’accusa sia semplice propaganda femminista travestita da battaglia contro una presunta disattenzione per il benessere dei bambini. Oltre l’inquietante (e comico) spettro della lobby dei padri separati si noti che i figli, magicamente, siano esclusivamente loro, ovvero delle donne separate, il sostentamento delle quali sarebbe messo a serio rischio dalla nuova proposta maschilista. E ancora, la crescita equilibrata di bambine e bambini (dividere per genere anche quando è superfluo e il femminile sempre per primo, mi raccomando!) sarà messa in seria discussione perché diventerebbero pacchetti: cosa assolutamente da evitare, sia chiaro. Ma la retorica utilizzata nell’accusa sembra volersi servire dei diritti e della centralità del benessere del bambino per andare a difendere gli interessi (economici) delle madri separate. Diamo ora la parola all’imputato: cosa dice il contratto?

“Nell’ambito di una rivisitazione dell’istituto dell’affidamento condiviso dei figli, l’interesse materiale e morale del figlio minorenne non può essere perseguito se non si realizza un autentico equilibrio tra entrambe le figure genitoriali, nel rapporto con la prole. Pertanto sarà necessario assicurare la permanenza del figlio con tempi paritari tra i genitori, rivalutando anche il mantenimento in forma diretta senza alcun automatismo circa la corresponsione di un assegno di sostentamento e valutando l’introduzione di norme volte al contrasto del grave fenomeno dell’alienazione parentale”.

È una proposta, assolutamente poco dettagliata, su un “superamento” della normativa vigente che già prevede sia l’affido paritario sia il mantenimento in forma diretta, ad oggi però di fatto molto poco utilizzati e che Cinque stelle e Lega vorrebbero implementare nell’interesse materiale e morale del figlio minorenne. Naturalmente, non dovrà essere una norma da applicare in tutti i casi e in modo generico: ogni caso andrà contestualizzato e, mantenendo la centralità del benessere del minore, dovranno essere prese le dovute misure. Da notare poi come si parli di figure genitoriali, senza favorire nessuna di esse, ma sottolineando l’importanza di entrambe. Infine, di grande importanza sarebbe il contrasto all’alienazione parentale, una tra le maggiori cause di depressione infantile. Tutto sembra incentrato sul benessere del bambino. Se poi, al contrario di quanto sostenuto sommariamente nel contratto, l’effettiva proposta di legge stravolgerà tutto e si rivelerà una norma contro gli interessi dei minori sarà un dovere di tutti, non solo del Pd, combatterla. Ma ora autoeleggersi paladine dei diritti e gli interessi dei bambini, tra l’altro a cause alterne, ha il sapore di ipocrisia. Perché il benessere dei bambini va difeso sempre, non solo quando fa comodo alla retorica femminista.

http://www.lintellettualedissidente.it/cartucce/figli-affidamento-contratto-puglisi-concia/

Kavalerists
25-05-18, 11:03
Difesa dei minori o retorica femminista?


Il contratto di governo stipulato da M5s e Lega favorirebbe la lobby dei padri separati: a dirlo sono Francesca Puglisi e Anna paola Concia, entrambe esponenti del Partito Democratico.

di Alessandra Vio - 24 maggio 2018

incompetenti, incoerenti, fascisti: effettivamente all’accordo M5s-Lega mancava ancora l’accusa di maschilismo. Per fortuna, il 17 maggio, hanno repentinamente rimediato alla grave carenza Francesca Puglisi della direzione nazionale del Pd e Anna Paola Concia, assessore del comune di Firenze. L’imputato è ancora una volta il contratto di governo e, nello specifico, quello “scempio” di paragrafo dedicato al diritto di famiglia. L’accusa è che la proposta sia stata “scritta sotto dettatura della lobby dei padri separati, che danneggerà in modo irreparabile la crescita equilibrata di bambine e bambini che saranno costretti a fare da pacchetti tra mamma e papà e che mette a serio rischio il sostentamento delle donne separate e dei loro figli”.

Solo dall’analisi dei toni di tale enunciato emerge quanto l’accusa sia semplice propaganda femminista travestita da battaglia contro una presunta disattenzione per il benessere dei bambini. Oltre l’inquietante (e comico) spettro della lobby dei padri separati si noti che i figli, magicamente, siano esclusivamente loro, ovvero delle donne separate, il sostentamento delle quali sarebbe messo a serio rischio dalla nuova proposta maschilista. E ancora, la crescita equilibrata di bambine e bambini (dividere per genere anche quando è superfluo e il femminile sempre per primo, mi raccomando!) sarà messa in seria discussione perché diventerebbero pacchetti: cosa assolutamente da evitare, sia chiaro. Ma la retorica utilizzata nell’accusa sembra volersi servire dei diritti e della centralità del benessere del bambino per andare a difendere gli interessi (economici) delle madri separate. Diamo ora la parola all’imputato: cosa dice il contratto?

“Nell’ambito di una rivisitazione dell’istituto dell’affidamento condiviso dei figli, l’interesse materiale e morale del figlio minorenne non può essere perseguito se non si realizza un autentico equilibrio tra entrambe le figure genitoriali, nel rapporto con la prole. Pertanto sarà necessario assicurare la permanenza del figlio con tempi paritari tra i genitori, rivalutando anche il mantenimento in forma diretta senza alcun automatismo circa la corresponsione di un assegno di sostentamento e valutando l’introduzione di norme volte al contrasto del grave fenomeno dell’alienazione parentale”.

È una proposta, assolutamente poco dettagliata, su un “superamento” della normativa vigente che già prevede sia l’affido paritario sia il mantenimento in forma diretta, ad oggi però di fatto molto poco utilizzati e che Cinque stelle e Lega vorrebbero implementare nell’interesse materiale e morale del figlio minorenne. Naturalmente, non dovrà essere una norma da applicare in tutti i casi e in modo generico: ogni caso andrà contestualizzato e, mantenendo la centralità del benessere del minore, dovranno essere prese le dovute misure. Da notare poi come si parli di figure genitoriali, senza favorire nessuna di esse, ma sottolineando l’importanza di entrambe. Infine, di grande importanza sarebbe il contrasto all’alienazione parentale, una tra le maggiori cause di depressione infantile. Tutto sembra incentrato sul benessere del bambino. Se poi, al contrario di quanto sostenuto sommariamente nel contratto, l’effettiva proposta di legge stravolgerà tutto e si rivelerà una norma contro gli interessi dei minori sarà un dovere di tutti, non solo del Pd, combatterla. Ma ora autoeleggersi paladine dei diritti e gli interessi dei bambini, tra l’altro a cause alterne, ha il sapore di ipocrisia. Perché il benessere dei bambini va difeso sempre, non solo quando fa comodo alla retorica femminista.

Difesa dei minori o retorica femminista? | L' Intellettuale Dissidente (http://www.lintellettualedissidente.it/cartucce/figli-affidamento-contratto-puglisi-concia/)

Squallide criminali aguzzine.

Lord Attilio
25-05-18, 11:15
La lobby dei padri separati?

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LupoSciolto°
25-05-18, 11:23
La lobby dei padri separati?

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Per l'appunto: un'idiozia più grande di questa non potevano spararla. I padri separati, molte volte, sono parte del neoproletariato.

Hynkel
25-05-18, 11:45
La lobby dei padri separati?

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Mi scappa da ridere :D

Hynkel
25-05-18, 11:47
Oggi tra l'altro ho letto di una arrestata perché ha chiesto all'ex amante 150000 euro per non spifferare tutto alla moglie di costui... povere donne deboli e indifese :D

Jerome
25-05-18, 11:58
La Boldrini non trova mai l'occasione per star zitta

https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/05/22/governo-boldrini-contratto-non-ce-niente-per-le-donne-elettorato-progressista-che-ha-votato-m5s-ha-preso-cantonata/4372756/

Per fortuna che almeno non ha più la visibilità di prima

Sparviero
25-05-18, 19:39
La lobby dei padri separati?

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Stavo per scriverlo io. Che vadano in mona.

Kavalerists
25-05-18, 21:01
La lobby dei padri separati?

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Ce ne vuole di faccia di put***a da parte della nazifemministe per osare parlare di lobby... dei padri separati poi, tra le categorie realmente più vessate e discriminate.

Lèon Kochnitzky
26-05-18, 18:04
ragazzi ma di che ci stupiamo?
i media cavalcano quotidianamente la guerra fra i sessi , a favore delle donne , ed è normale che si arrivi poi ai paradossi.
la lobby dei padri separati è una barzelletta che manco a zelig fa ridere

Jerome
26-05-18, 18:08
ragazzi ma di che ci stupiamo?
i media cavalcano quotidianamente la guerra fra i sessi , a favore delle donne , ed è normale che si arrivi poi ai paradossi.
la lobby dei padri separati è una barzelletta che manco a zelig fa ridere

è la lobby femminista semmai che è strapresente dappertutto

LupoSciolto°
20-07-18, 12:24
La Spagna introduce legge sul consenso esplicito: se l’altro non dice “sì” è stupro


La decisione arriva dopo che i giudici hanno derubricato a semplice "abuso sessuale" uno stupro di gruppo nei confronti di una diciottenne, solo perché la donna era rimasta immobile

19 Lug. 2018

Il governo spagnolo sta per introdurre una legge per contrastare gli stupri. La nuova norma prevede il “consenso esplicito“: se una donna non dice espressamente sì al rapporto sessuale si tratta di violenza.

La decisione di adottare questa legge è una risposta a un caso di stupro di gruppo che ha fatto molto scalpore in Spagna, determinando anche un’ondata di proteste.



Si tratta della violenza commessa da 5 uomini nei confronti di una diciottenne durante la festa di San Fermin, a Pamplona, a luglio 2016.

La Corte spagnola della regione di Navarra aveva escluso l’accusa di stupro perché nei video dell’aggressione la ragazza aveva un atteggiamento “passivo o neutrale”.



I giudici hanno interpretato questo silenzio come consenso e lo stupro di gruppo è stato derubricato a semplice “abuso sessuale”.

Nella giurisprudenza spagnola, infatti, vi è differenza tra l’abuso sessuale e lo stupro. Il secondo caso prevede violenza o intimidazione.



Lo stupro era stato filmato da due degli aggressori e il video è stato condiviso in un gruppo Whatsapp chiamato La manada (Branco di lupi).

La ragazza era poi stata ritrovata sconvolta da una coppia in una strada vicina alla scena della violenza.

I cinque uomini sono ora fuori su cauzione in attesa del giudizio di appello contro la condanna a nove anni. Tra loro ci sono un militare e un membro della Guardia Civil, entrambi tornati in servizio.

La vittima di La Manada, la cui identità è stata mantenuta segreta, ha inviato una lettera a una rete televisiva spagnola, in cui ha scritto: “Non tacere, perché se lo fai ti stai lasciando sopraffare. Nessuno dovrebbe passare attraverso questo. Nessuno dovrebbe rimpiangere di aver bevuto qualcosa, di parlare con la gente a una festa, di tornare a casa da solo o di indossare una minigonna”.


La nuova legge

Il principio alla base della nuova norma è che “sì” significa “sì” e che tutto il resto, incluso il silenzio, significa “no”.In altre parole, il consenso deve essere espresso in modo chiaro.

Un rapporto sessuale senza un consenso esplicito sarà quindi considerato stupro.

“Se una donna non dice espressamente sì, tutto il resto è no”, ha spiegato la vice premier spagnola, Carmen Calvo. “È così che la sua autonomia viene preservata, insieme alla sua libertà e al rispetto per la sua persona e la sua sessualità”.

La proposta segue il modello tedesco e svedese, recentemente adottato, secondo cui il rapporto sessuale, se il consenso non è chiaramente espresso, viene considerato violenza.



La professoressa di diritto dell’università di A Coruña, Patricia Faraldo Cabana, che ha collaborato alla redazione della legge, ha affermato che la proposta comprende il consenso non solo come qualcosa di verbale ma anche tacito, espresso con il linguaggio del corpo.

“Può ancora essere stupro anche se la vittima non resiste”, ha detto. “Se è nuda, partecipa attivamente e si diverte, c’è ovviamente il consenso. Se piange, è inerte come una bambola gonfiabile e chiaramente non si sta divertendo, allora non c’è”.

https://www.tpi.it/2018/07/19/spagna-legge-stupro-consenso-esplicito/

LupoSciolto°
20-07-18, 12:25
Qualcosa di simile alla legislazione razziale. Le femminazi vogliono mostrificare l'uomo, soprattutto se autoctono e proletario.

Sparviero
20-07-18, 22:56
Ma basta una dichiarazione a voce o sarà necessario andare dal notaio prima di trombare?

don Peppe
21-07-18, 00:16
La Spagna introduce legge sul consenso esplicito: se l’altro non dice “sì” è stupro


La decisione arriva dopo che i giudici hanno derubricato a semplice "abuso sessuale" uno stupro di gruppo nei confronti di una diciottenne, solo perché la donna era rimasta immobile

19 Lug. 2018

Il governo spagnolo sta per introdurre una legge per contrastare gli stupri. La nuova norma prevede il “consenso esplicito“: se una donna non dice espressamente sì al rapporto sessuale si tratta di violenza.

La decisione di adottare questa legge è una risposta a un caso di stupro di gruppo che ha fatto molto scalpore in Spagna, determinando anche un’ondata di proteste.



Si tratta della violenza commessa da 5 uomini nei confronti di una diciottenne durante la festa di San Fermin, a Pamplona, a luglio 2016.

La Corte spagnola della regione di Navarra aveva escluso l’accusa di stupro perché nei video dell’aggressione la ragazza aveva un atteggiamento “passivo o neutrale”.



I giudici hanno interpretato questo silenzio come consenso e lo stupro di gruppo è stato derubricato a semplice “abuso sessuale”.

Nella giurisprudenza spagnola, infatti, vi è differenza tra l’abuso sessuale e lo stupro. Il secondo caso prevede violenza o intimidazione.



Lo stupro era stato filmato da due degli aggressori e il video è stato condiviso in un gruppo Whatsapp chiamato La manada (Branco di lupi).

La ragazza era poi stata ritrovata sconvolta da una coppia in una strada vicina alla scena della violenza.

I cinque uomini sono ora fuori su cauzione in attesa del giudizio di appello contro la condanna a nove anni. Tra loro ci sono un militare e un membro della Guardia Civil, entrambi tornati in servizio.

La vittima di La Manada, la cui identità è stata mantenuta segreta, ha inviato una lettera a una rete televisiva spagnola, in cui ha scritto: “Non tacere, perché se lo fai ti stai lasciando sopraffare. Nessuno dovrebbe passare attraverso questo. Nessuno dovrebbe rimpiangere di aver bevuto qualcosa, di parlare con la gente a una festa, di tornare a casa da solo o di indossare una minigonna”.


La nuova legge

Il principio alla base della nuova norma è che “sì” significa “sì” e che tutto il resto, incluso il silenzio, significa “no”.In altre parole, il consenso deve essere espresso in modo chiaro.

Un rapporto sessuale senza un consenso esplicito sarà quindi considerato stupro.

“Se una donna non dice espressamente sì, tutto il resto è no”, ha spiegato la vice premier spagnola, Carmen Calvo. “È così che la sua autonomia viene preservata, insieme alla sua libertà e al rispetto per la sua persona e la sua sessualità”.

La proposta segue il modello tedesco e svedese, recentemente adottato, secondo cui il rapporto sessuale, se il consenso non è chiaramente espresso, viene considerato violenza.



La professoressa di diritto dell’università di A Coruña, Patricia Faraldo Cabana, che ha collaborato alla redazione della legge, ha affermato che la proposta comprende il consenso non solo come qualcosa di verbale ma anche tacito, espresso con il linguaggio del corpo.

“Può ancora essere stupro anche se la vittima non resiste”, ha detto. “Se è nuda, partecipa attivamente e si diverte, c’è ovviamente il consenso. Se piange, è inerte come una bambola gonfiabile e chiaramente non si sta divertendo, allora non c’è”.

https://www.tpi.it/2018/07/19/spagna-legge-stupro-consenso-esplicito/

quà siamo arrivati al delirio totale, in una società sana chi propone idee di questo tipo viene rinchiuso in manicomio o sottoposto a TSO, ma rmai la società è così malata che mentecatte come queste riescono a trasformare le loro idee folli, partorite da menti malate in leggi



https://www.youtube.com/watch?v=NzPuP5D0yJw

come le nazifemministe vogliono ridurre gli uomini eterosessuali

Kavalerists
21-07-18, 06:06
Ma basta una dichiarazione a voce o sarà necessario andare dal notaio prima di trombare?

Infatti, per essere una cosa "seria" ed avere valore il consenso deve essere scritto, e firmato.
Oppure che fanno, una registrazione vocale con lo smartphone?
Ma c'è un limite alla demenza nazifemminista?

LupoSciolto°
21-07-18, 11:09
Ma c'è un limite alla demenza nazifemminista?

Pare di no. E intanto il capitale se la ride.

Sparviero
21-07-18, 13:05
Infatti, per essere una cosa "seria" ed avere valore il consenso deve essere scritto, e firmato.
Oppure che fanno, una registrazione vocale con lo smartphone?
Ma c'è un limite alla demenza nazifemminista?

Ma quale limite...
In certe parti degli USA esiste una roba chiamata affirmative consent, chiaramente inventata da gente che non tromba da decenni né vuole che lo facciano gli altri.

Lèon Kochnitzky
21-07-18, 18:29
Prima Scandinavia , poi Germania ora Spagna. A quando in Italia?

voglio augurarmi che Di Maio e Salvini non facciano mai passare una roba del genere (anche se avranno tutti contro). Altrimenti, davvero conviene diventare asessuali e lasciare che l'astinenza prenda il sopravvento e poi voglio vedere se iniziano ad aprire gli occhi

LupoSciolto°
22-07-18, 10:04
Prima Scandinavia , poi Germania ora Spagna. A quando in Italia?



Non ho la sfera di cristallo...ma , effettivamente, esiste un simile pericolo anche in Italia. Pazze invasate come la Boldrini o la Fedeli sarebbero pronte a sostenere simili aberrazioni neo-naziste, ma anche la Bonino farebbe lo stesso. Salvini ha parlato di "femminicidio" (sappiamo bene che non esiste nessun genocidio di donne in quanto tali) e di inasprire le pene per i cosiddetti "stalker" (la legislazione già vigente basta e avanza), spero solo non si faccia corrompere dalla mafia femminista.

LupoSciolto°
26-07-18, 11:03
Oksana Shachko, cofondatrice delle Femen si suicida e lascia questo messaggio

https://www.lantidiplomatico.it/resizer/resiz/public/Oksana-Shachko.jpg/700x350c50.jpg

di Giuseppe Masala


Oksana Shachko, cofondatrice delle Femen si toglie la vita a Parigi. Allungando peraltro la lunghissima lista di femministe radicali che si suicidano. Lascia un biglietto con scritto: "Siete tutti falsi". Sfruttata, manipolata e abbandonata. Alla fine ha riconosciuto i veri nemici: coloro che la applaudivano e la foraggiavano.

............................



Davvero per la prima volta sono mosso da un sentimento di profonda empatia nei confronti di una femminista. Mi dispiace davvero che la Oksana Shachko, si sia tolta la vita. Semplicemente, se è giusto tirarsi su per il culo un crocifisso coram populo (e mi limito ad una tra le infinite piazzate delle Femen) perché non lo fanno i loro mandanti? Perché non ci vanno la Bonino, la Gruber, la Cirinnà, la Boldrini e Soros a fare queste cose anziché mandare delle ragazze bisognose prive di qualsiasi strumento culturale e che non hanno minimamente idea di ciò che stanno appoggiando? Già questo chiarisce quanto siano mostri.

https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-oksana_shachko_cofondatrice_delle_femen_si_suicida _e_lascia_questo_messaggio/82_24851/

LupoSciolto°
26-07-18, 11:12
Per sapere tutto su 'ste sciagurate al soldo dell'imperialismo

Femen e nazisti ucraini uniti nella lotta - l'interferenza (http://www.linterferenza.info/esteri/318/)

LupoSciolto°
20-08-18, 10:34
Nyt: Asia Argento versa 380mila dollari al giovane attore che l'accusa di violenza sessuale

https://www.repstatic.it/content/nazionale/img/2018/08/20/042028331-50130dc8-51c9-43c8-9eef-1a11c2b54ee3.jpg

La rivelazione del New York Times sull'accordo con Jimmy Bennett, che interpretò suo figlio in un film. L'aggressione sessuale sarebbe avvenuta in un hotel in California 5 anni fa, quando il ragazzo aveva 17 anni

Da grande accusatrice ad accusata. L'attrice e regista italiana Asia Argento, tra le prime donne nel mondo del cinema a denunciare la violenza sessuale subita dal produttore Harvey Weinstein, diventata paladina del movimento #MeToo, nei mesi che seguirono le sue denunce dello scorso ottobre, si accordò per risarcire con 380mila dollari Jimmy Bennett, un giovane attore e musicista rock che disse di essere stato aggredito sessualmente dall'attrice in una camera d'albergo in California anni prima, quando aveva appena compiuto 17 anni. Asia Argento allora aveva 37 anni (oggi ne ha 42). Una vicenda che lo ha segnato profondamente e che ha influito negativamente sulla sua carriera.

https://www.repstatic.it/content/nazionale/img/2018/08/20/042731309-ef1727e0-173d-4e31-8ed3-72ff0ac75eaa.jpg

Lo rivela il New York Times che cita i documenti degli avvocati di Asia Argento e di Bennet, oggi 22enne, che ha recitato la parte di suo figlio in un film del 2004, "Ingannevole è il cuore più di ogni cosa". Tra le carte ci sarebbe anche un selfie datato 9 maggio 2013 che ritrae i due a letto, oltre ai dettagli sui tempi dei pagamenti: 380mila dollari in un anno e mezzo, a partire da un versamento di 200mila dollari fatto ad aprile.

Nell'articolo si legge anche che non è stato possibile avere un commento da Asia Argento sulla questione nonostante i giornatisti del Times l'abbiano ripetutamente cercata. Anche Bennett non ha voluto rilasciare interviste, e il suo legale si è limitato a dire che "Jimmy continuerà a fare ciò che ha fatto negli ultimi mesi e anni, concentrandosi sulla sua musica".

Nyt: Asia Argento versa 380mila dollari al giovane attore che l'accusa di violenza sessuale - Repubblica.it (http://www.repubblica.it/esteri/2018/08/20/news/asia_argento_accusata_molestie_paga_attore_jimmy_b ennett-204490560/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P7-S1.8-T1&refresh_ce)

LupoSciolto°
20-08-18, 10:37
Sono allergico alle religioni organizzate, ma qui ci sta tutta: "chi è senza peccato scagli la prima pietra".

don Peppe
20-08-18, 12:44
Nyt: Asia Argento versa 380mila dollari al giovane attore che l'accusa di violenza sessuale

https://www.repstatic.it/content/nazionale/img/2018/08/20/042028331-50130dc8-51c9-43c8-9eef-1a11c2b54ee3.jpg

La rivelazione del New York Times sull'accordo con Jimmy Bennett, che interpretò suo figlio in un film. L'aggressione sessuale sarebbe avvenuta in un hotel in California 5 anni fa, quando il ragazzo aveva 17 anni

Da grande accusatrice ad accusata. L'attrice e regista italiana Asia Argento, tra le prime donne nel mondo del cinema a denunciare la violenza sessuale subita dal produttore Harvey Weinstein, diventata paladina del movimento #MeToo, nei mesi che seguirono le sue denunce dello scorso ottobre, si accordò per risarcire con 380mila dollari Jimmy Bennett, un giovane attore e musicista rock che disse di essere stato aggredito sessualmente dall'attrice in una camera d'albergo in California anni prima, quando aveva appena compiuto 17 anni. Asia Argento allora aveva 37 anni (oggi ne ha 42). Una vicenda che lo ha segnato profondamente e che ha influito negativamente sulla sua carriera.

https://www.repstatic.it/content/nazionale/img/2018/08/20/042731309-ef1727e0-173d-4e31-8ed3-72ff0ac75eaa.jpg

Lo rivela il New York Times che cita i documenti degli avvocati di Asia Argento e di Bennet, oggi 22enne, che ha recitato la parte di suo figlio in un film del 2004, "Ingannevole è il cuore più di ogni cosa". Tra le carte ci sarebbe anche un selfie datato 9 maggio 2013 che ritrae i due a letto, oltre ai dettagli sui tempi dei pagamenti: 380mila dollari in un anno e mezzo, a partire da un versamento di 200mila dollari fatto ad aprile.

Nell'articolo si legge anche che non è stato possibile avere un commento da Asia Argento sulla questione nonostante i giornatisti del Times l'abbiano ripetutamente cercata. Anche Bennett non ha voluto rilasciare interviste, e il suo legale si è limitato a dire che "Jimmy continuerà a fare ciò che ha fatto negli ultimi mesi e anni, concentrandosi sulla sua musica".

Nyt: Asia Argento versa 380mila dollari al giovane attore che l'accusa di violenza sessuale - Repubblica.it (http://www.repubblica.it/esteri/2018/08/20/news/asia_argento_accusata_molestie_paga_attore_jimmy_b ennett-204490560/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P7-S1.8-T1&refresh_ce)

:-0005I:-0005I:-0005I:-0005I:-0005I:-0005I:-0005I:-0005I:-0005I

https://4.bp.blogspot.com/-GZ2WiY47ijs/VBMXDzH7UtI/AAAAAAAAKjw/fs1zlqfOeTI/s640/risata.gif


https://www.youtube.com/watch?v=Qzkd6YgcySU


https://www.youtube.com/watch?v=hdqM9h-n2Vs

LupoSciolto°
20-08-18, 16:51
Don peppe riesce a portare il buon umore ma sa anche farci riflettere :encouragement: !

Hynkel
20-08-18, 18:39
Emilio Fede grande fonte di risate :D

Sparviero
20-08-18, 23:18
karma is a bitch

ahah

Kavalerists
24-08-18, 13:14
ME TOO
di Piemme
[ 24 agosto 2018 ]

Asia Argento da principale accusatrice di Harvey Weinstein è stata trasformata in quattro e quattr'otto in grande molestatrice. Complotto come dice il padre? Non lo sappiamo.
La vicenda si presta a numerose considerazioni e riflessioni, tre quelle principali.

La prima concerne il modus operandi della macchina mediatica globale, il cosiddetto "quarto potere". Un potere enorme, in mano a pochissime centrali globali —in nessun altro settore economico, forse, la concentrazione ha raggiunto un tale livello. Questa macchina, pur non avendone, essendo in mani private, i poteri formali, agisce come un moderno Tribunale dell'inquisizione. Le sue sentenze (condanne o assoluzioni che siano) hanno forza maggiore di quelle della Legge. Peggio: questo Tribunale è diventato una vera e propria fonte di diritto in quanto può stabilire cosa sia reato e cosa no, deciderne lil rango. La sua potenza di condizionamento dell'opinione pubblica è smisurata. La prova provata che la democrazia, anche in Occidente, è morta, è solo una maschera di un regime oligarchico e di carattere assolutistico.

La seconda. Viviamo dentro un Impero, con al centro gli Stati Uniti d'America. E' lì che risiede il comitato più ristretto del moderno Tribunale dell'inquisizione, le cui filiali negli altri paesi eseguono a comando. La Tavola della legge, la visione del mondo in base alla quale il Tribunale giudica, condanna o assolve, risente dunque della cultura e dei costumi di questo Paese: un mix schizofrenico di calvinismo bacchettone e di nichilismo morale, di puritanesimo fondamentalista e di negazione di ogni criterio veritativo, di tradizionalismo e di futurismo post-umanista. Metafora di una civiltà delirante e al tramonto.

La terza. Sull'onda delle prime denunce di molestie sessuali contro Harvey Weinstein, su impulso del Tribunale, è sorto il cosiddetto movimento "Me Too". Come esso è sorto? Dalle denunzie di aver subito violenza sessuale da parte di alcune celebrità del mondo dello spettacolo come Asia Argento, Gwyneth Paltrow, Ashley Judd, Jennifer Lawrence, Uma Thurman. Uno pseudo-movimento sorto dunque in seno all'alta società, elitario, che il "quarto potere" ha posto alla ribalta quindi incensato dalla sinistra sinistrata — è stato addirittura premiato dal Time come "persona dell'anno". E' stato così battezzato il nuovo femminismo, lo sporco delle unghie delle suffragette, agli antipodi del femminismo anticapitalista, ma presentato come l'ultima frontiera dell'emancipazione femminile. Un colossale inganno, di cui la "compagna" Asia Argento, siano vere o false le accuse che le vengono rivolte, porta piena responsabilità. Doppia responsabilità, dal momento che ha sfilato in quel postribolo di Cannes a pugno chiuso, per questa operazione transgenica di trasfigurazione.

Con tutto il rispetto per chi abbia subito o subisca molestie sessuali — attenti che di questo passo, proprio in questo Occidente che si considera la patria della libertà, con l'uso estensivo del criterio di "molestia", si viene introducendo un'allucinante sharia che farebbe invidia ai salafiti dell'Isis —, se questo fosse plausibile e legalmente possibile, dovremmo denunciare Asia Argento per "molestie politico-morali". Furtum improprium gli antichi definivano la riappropriazione di un bene già posseduto ma successivamente alienato. Quindi indebita appropriazione anche quella di un titolo.
Giù il pugno Asia!

sollevazione: ME TOO di Piemme (http://sollevazione.blogspot.com/2018/08/me-too-di-piemme.html)

Anglachel
24-08-18, 16:02
ME TOO
di Piemme
[ 24 agosto 2018 ]

Asia Argento da principale accusatrice di Harvey Weinstein è stata trasformata in quattro e quattr'otto in grande molestatrice. Complotto come dice il padre? Non lo sappiamo.

Foto ci stanno, messaggi pure. Difficile pensare che la relazione sia stata una montatura. Più facile immaginare che l'attore abbia giocato (o sia stato invitato nel caso in cui si voglia pensare a una mano esterna) anche lui la carta #metoo per farsi una cosa di soldi; l'attore era diventato anche un mezzo fallito.
(Devo dire esplicitamente "secondo me", pena fare la parte del maestrino?)


"quarto potere"

Ci sta un film di nome quinto potere (sulla televisione); ne consiglio la visione a chi non l'abbia ancora fatto.

Sparviero
24-08-18, 17:30
Non credo sia un gombloddo, la Argento è sufficientemente cretina da infilarsi nei casini da sola.

Lord Attilio
25-08-18, 00:05
Ormai è chiaro che a Hollywood fanno le orgie e le chiamano molestie.

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Sparviero
25-08-18, 00:55
Ormai è chiaro che a Hollywood fanno le orgie e le chiamano molestie.

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Nì.

Cioè, fanno anche quello, però poi ci sono pure molestie vere, e parecchie.

LupoSciolto°
05-09-18, 20:20
Famiglia tradizionale? Il vero socialismo la difende


Quasi due secoli or sono un retrogrado maschilista, impensierito dall’ascesa delle donne in carriera che stava corrodendo le basi del patriarcato, esclamò con mesta rassegnazione: «Eppure questa situazione che svirilizza l’uomo e toglie alla donna la sua femminilità, senza riuscire a dare all’uomo una vera femminilità e alla donna una vera virilità, questa situazione che nel modo più infame degrada i due sessi e con loro l’umanità, è la conseguenza ultima della nostra tanto decantata civiltà, l’ultimo risultato di tutti gli sforzi compiuti da innumerevoli generazioni per migliorare le loro condizioni e quelle dei loro discendenti!».

Era questo un velenoso aforisma uscito dalla penna del misogino Nietzsche? O piuttosto la tirata reazionaria di qualche bigotto esponente della tradizione cattolica? Nossignori: avete appena letto le parole di Friedrich Engels, fondatore assieme a Marx del socialismo scientifico, scritte in nero su bianco nel libro La situazione della classe operaia in Inghilterra, ove si appresta a soggiungere che il predominio maschile va criticato proprio alla luce del suo rovescio nella «supremazia della donna sull’uomo, che inevitabilmente è provocata dal sistema [capitalistico] di fabbrica»[1]; quindi il peggior torto del maschilismo fu quello d’aver generato il femminismo quale sua primitiva e meccanica antitesi!

Forse questi rilievi desteranno lo stupore e lo sconcerto delle femministe che da tempo immemore hanno saccheggiato la più nota opera di Engels sull’Origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato, in cerca d’un appiglio su cui fondare le loro teorie dissolutrici. Ma anche qui il nostro, nel descrivere i sostanziali mutamenti della famiglia nel futuro socialista, si limita a prevedere la socializzazione del lavoro domestico, trasformato in un mestiere come gli altri, e la presa in carico dell’educazione dei figli (e delle relative spese) da parte dello Stato; e chiarisce che l’uguaglianza tra i due sessi «agirà in una misura infinitamente maggiore nel far divenire effettivamente monogami gli uomini, che nel far divenire poliandriche le donne»[2]: – l’esatto contrario del singolare connubio di promiscuità ed ipergamia femminile fiorito in Europa e in America a seguito della cosiddetta “rivoluzione sessuale”, che dietro la facciata progressista ed emancipativa ha ridotto il sesso a grezzo valore di mercato, alterando l’equilibrio demografico della società e perpetuando il truce meccanismo dell’alienazione capitalistica.

Dopodiché il vecchio Engels rimetteva all’effettiva prassi di vita avvenire l’elaborazione dei dettagli del caso. È a questa prassi che occorre dunque rivolgersi per avere un’idea conforme alla realtà e scevra dagli stereotipi del “cultural Marxism” di moda in Occidente. Gli inizi furono invero turbolenti e contraddittori: nella Russia della Nep la coesistenza di diverse classi antagonistiche e dei rispettivi sistemi economici si rifletteva, sul piano culturale, in una pluralità d’indirizzi di pensiero che coinvolgeva anche la questione famigliare.

Nessuno aveva esperienza del cammino da percorrere, per cui si sperimentava di tutto: dall’abolizione dell’alfabeto cirillico al modernismo nell’arte filmica e teatrale, dall’inversione dei rapporti d’autorità tra insegnante e alunno nella scuola al tentativo di forgiare una nuova “cultura proletaria” dal nulla, fino alle misure per il superamento della famiglia. Pertanto ai numerosi diritti concessi alla donna dai codici del 1918 e del 1926 (divorzio, aborto, ecc.) non si accompagnò un’altrettanto univoca e netta indicazione dei nuovi doveri imposti dalla rivoluzione socialista; e questa momentanea incertezza di prospettive trovò eco nella popolarità di cui godettero allora le teorie del “libero amore”.

Tuttavia Lenin non faceva mistero della sua profonda ostilità a simili tendenze sinistroidi, a prima vista molto innovative e “progressiste” ma in ultima analisi nocive alla causa del socialismo. Già nelle sue lettere del gennaio 1915 ad Ines Armand il padre del bolscevismo annoverava fra le «rivendicazioni borghesi» in tema d’amore non soltanto la libertà di adulterio e di scarsa serietà relazionale, ma altresì la libertà dalla procreazione[3]. E nella sua lunga conversazione del 1920 con Clara Zetkin egli rimarcò la necessità di «tracciare una linea chiara e indelebile di distinzione tra la nostra politica e il femminismo» sottolineando «i legami indissolubili che esistono tra la posizione sociale e quella umana della donna».

Lenin colse l’occasione per formulare una critica serrata delle teorie sessuali libertarie, all’epoca legate soprattutto alla volgarizzazione della psicoanalisi, secondo cui nella società comunista soddisfare le pulsioni sarebbe stato facile quanto bere un bicchier d’acqua: «Io considero la famosa teoria del “bicchier di acqua” come non marxista e antisociale per giunta. Nella vita sessuale si manifesta non solo ciò che noi deriviamo dalla natura ma anche il grado di cultura raggiunto, si tratti di cose elevate o inferiori. […] La tendenza a ricondurre direttamente alla base economica della società la modificazione di questi rapporti, al di fuori della loro relazione con tutta l’ideologia, sarebbe non già marxismo, ma razionalismo. Certo, la seta deve essere tolta. Ma un uomo normale, in condizioni ugualmente normali, si butterà forse a terra nella strada per bere in una pozzanghera di acqua sporca? Oppure berrà in un bicchiere dagli orli segnati da decine di altre labbra? Ma il più importante è l’aspetto sociale. Infatti, bere dell’acqua è una faccenda personale. Ma, nell’amore, vi sono interessate due persone e può venire un terzo, un nuovo essere. È da questo fatto che sorge l’interesse sociale, il dovere verso la collettività. Come comunista, io non sento alcuna simpatia per la teoria del “bicchier d’acqua”, benché porti l’etichetta del “libero amore”»[4].

A ragion veduta, era soltanto questione di tempo perché il partito bolscevico si accingesse a correggere la rotta e a purificare dalle idee ostili anche il campo dei rapporti famigliari, di contro alla leggenda metropolitana di un “bolscevismo libertario delle origini tradito da Stalin”, tipica della cattiva storiografia trockista. Lo stesso decreto del 18 novembre 1920 che legalizzò l’aborto precisava come si trattasse di una concessione provvisoria, valida solo «fino a quando le sopravvivenze morali del passato e le gravi condizioni economiche del presente costringeranno ancora una parte delle donne a decidersi per quest’operazione»[5]; – con buona pace dei presunti filo-sovietici odierni che, a rimorchio del politicamente corretto, spacciano quella misura d’emergenza per una grande conquista civile anziché un male necessario.

Le radici del male furono estirpate negli anni ’30, attraverso la liquidazione delle classi sfruttatrici e della loro mefitica influenza ideologica sull’opinione pubblica, attraverso i giganteschi mutamenti sociali innescati dalla collettivizzazione agricola e dai piani quinquennali. Da un lato milioni donne entrarono nel mondo del lavoro, conquistando l’uguaglianza con gli uomini sul solido terreno dell’economia, dall’altro il socialismo prese a svilupparsi sulla propria base e poté risolvere i problemi morali e demografici senza compromessi, attenendosi ai propri princìpi. Si arrivò così al fatidico ukaz del 27 giugno 1936, che autorizzava l’aborto soltanto se indispensabile a tutelare la salute della donna e del bambino, subordinava il divorzio al consenso di ambedue i coniugi e in generale le decisioni dei genitori ai diritti dei figli.

Questi sviluppi smentirono non solo le utopistiche vedute degli estremisti di sinistra, che si auguravano la scomparsa della famiglia come cellula fondamentale della società, ma anche i foschi presagi dei conservatori che per lo stesso motivo – la differenza è unicamente valutativa – osteggiavano il lavoro femminile: «L’attivo lavoro sociale delle donne di casa – scriveva allora B. Svetlov sul Bol’ševik, – non soltanto non ha disgregato la famiglia, ma l’ha rafforzata, aiutando la donna a liberarsi dal carattere individualistico, piccolo-borghese della famiglia e a coltivare nei figli la concezione comunista, l’eroismo e l’abnegazione nella difesa della patria»[6].

Nello stesso anno si verificò un importante episodio nella storia dell’arte sovietica: la stroncatura ufficiale della celebre Lady Macbeth del distretto di Mcensk di Šostakovič. L’opera, tratta da una novella di Leskov, metteva in scena la vicenda di Katerina Izmajlova, giovane benestante costretta a vivere un matrimonio infelice, che s’innamora di un servo e in combutta con questi uccide il marito ed il suocero. «La mercantessa rapace, che ha raggiunto ricchezze e potere attraverso omicidi, viene rappresentata come “vittima” della società borghese», constatava con disappunto la Pravda del 28 gennaio. E per una simile interpretazione “antiborghese”, di denuncia dell’ipocrisia morale prerivoluzionaria, propenderebbe qualsiasi medio esponente della sinistra nostrana.

Ma non era questo il caso del Comitato centrale del partito, che con la penna del suo anonimo portavoce sentenziò: «L’autore cerca con tutti i mezzi espressivi, sia musicali che drammatici, di attirare la simpatia del pubblico verso le aspirazioni e le azioni grossolane e volgari di Katerina Izmajlova», poiché «non ha tenuto conto dell’esigenza della cultura sovietica di scacciare da tutti gli angoli del costume sovietico la grossolanità e la crudeltà»[7]. Parole che lasciano intendere quali fossero le priorità del gruppo dirigente sovietico sul fronte famigliare.

Nel suo discorso del 1º ottobre 1938 a una riunione di propagandisti, Stalin si permise addirittura di colmare le lacune storiche dell’opera di Engels – che la espongono alle strumentalizzazioni femministe di cui sopra, – confrontando i vecchi studi di Bachofen con le più recenti ricerche antropologiche che dimostravano come il matriarcato non fosse l’ordinamento famigliare originario della specie umana. Inoltre egli criticò una formula contenuta nella prima prefazione al libro: «Ci sono fatti che l’indagine e la teoria di Engels mettono sullo stesso piano: le strutture familiari e le forme della produzione su un piano di uguaglianza. Marx non fu mai d’accordo con questo punto di vista»[8]. In quanto sede della riproduzione della forza-lavoro, la famiglia è compresa nei rapporti di produzione e ad essi subordinata: rilievo questo che, si noti, esclude in linea di principio le “famiglie LGBT” e l’annesso romanticismo che fa violenza alla teoria.

“L’utero è mio e lo gestisco io”, proclamano le femministe. No – risponde il socialismo scientifico, – la procreazione non è un semplice fenomeno naturale, che soggiace ai soli desideri dell’individuo, bensì un processo sociale regolato in funzione delle esigenze della collettività. Ed è bene che sia così: l’“uomo naturalizzato” è anch’esso un prodotto storico, peraltro di qualità assai più scadente, generato dal sistema capitalista che aliena le vocazioni sociali degli uomini e ne stimola il retaggio belluino. D’altra parte, la famiglia non è un mero contratto economico e neppure un fugace legame sentimentale, ma un’istituzione chiamata a garantire la stabilità e la continuità della vita associata, un imprescindibile anello nella catena dei rapporti sociali; «la famiglia è la cosa più seria che esista nella vita»[9], scriveva la Pravda nel maggio 1936.

Commentando la riforma scolastica del 1943, Stalin fece il bilancio del lavoro svolto dal potere sovietico sulla questione femminile e tracciò le prospettive di sviluppo della famiglia sovietica: «Nella fase che è passata, lo Stato sovietico ha pienamente e speditamente eliminato dalle menti della gente ogni idea dell’ineguaglianza sociale dei sessi e ogni espressione di quest’idea dalla vita quotidiana. Ora noi affrontiamo un nuovo e non meno importante compito. Esso è, soprattutto, quello di rafforzare la nostra primaria unità sociale, la famiglia socialista, sulla base del pieno sviluppo delle caratteristiche maschili e femminili nel padre e nella madre, come capi della famiglia con eguali diritti. L’istruzione nelle nostre scuole fu nel passato coeducazionale allo scopo di superare, il più velocemente possibile, l’ineguaglianza sociale dei sessi, radicata nei secoli. Ma ciò che noi dobbiamo ora costruire è un sistema attraverso cui la scuola sviluppi ragazzi che saranno buoni padri ma soprattutto combattenti per la patria socialista e ragazze che saranno madri intelligenti idonee ad allevare le nuove generazioni»[10].

La legislazione degli anni ’30 fu consolidata dall’editto di famiglia del 1944, che riaffermò il divieto di aborto ingiustificato e allungò l’iter per il divorzio, accrebbe i sussidi statali per consentire alle madri di dedicarsi esclusivamente alla crescita dei figli nei primi cinque anni, ecc., onde risanare le enormi perdite di vite maschili nella grande guerra patriottica. Questa tendenza proseguì immutata fino alla metà del decennio successivo, quando con la morte di Stalin ebbe inizio un generale indebolimento della disciplina socialista che interessò anche la sfera famigliare.

Naturalmente il modello sovietico dell’età staliniana non fu replicato alle lettera in tutti gli altri paesi socialisti. Anzi, esistono realtà dall’ordinamento sociale affine che in questo campo hanno seguìto strade molto diverse, ieri la DDR e oggi Cuba, benché di regola simili aperture si accompagnino a concessioni ideologiche e culturali al capitalismo. Ma esiste altresì un paese tetragono a qualsivoglia compromesso ideale, che ha fatto della coerenza e della fedeltà ai princìpi socialisti il proprio marchio di fabbrica e ha stupito il mondo intero con l’eccezionale longevità del suo sistema: la Corea del Nord.

Quando i comunisti liberarono il paese, reduce dal dramma delle comfort women sfruttate dalle truppe coloniali giapponesi, la società coreana vegetava nel passato feudale. Pertanto una delle prime riforme attuate dal nuovo regime fu la promulgazione della Legge sull’uguaglianza dei sessi, datata 30 luglio 1946, che pose fine alla tradizionale subordinazione della donna, da sempre confinata entro le mura domestiche, priva di diritti sociali e politici, relegata alla funzione di moglie e talvolta di concubina dei signori. Tuttavia i movimenti di liberazione della donna in Corea non seguirono né la strada del femminismo occidentale né, forti dell’esperienza sovietica, quella dei progetti antifamigliari “di sinistra”.

A porre i paletti fu proprio una donna: la compagna Kim Jong Suk, moglie del Presidente Kim Il Sung e madre del Generale Kim Jong Il, nonché veterana della guerriglia antigiapponese. Nella primavera del 1946 ella si accinse a ripulire le organizzazioni femminili dalle «scorie del femminismo borghese»: nel riconoscimento dei diritti umani delle donne vedeva tutt’al più «lo slogan del femminismo borghese che, malgrado la presunta difesa delle donne nella società capitalistica, non implica la loro emancipazione per come intesa dalla classe operaia». Chissà cosa avrebbe pensato delle battaglie civili per il free bleeding! Il diritto di voto, ai suoi occhi, era «una rivendicazione per far partecipare le donne alla politica parlamentare, che quindi non ha nulla a che vedere con i diritti politici di cui devono beneficiare le donne lavoratrici». Altro che “quote rosa”!

L’eroina rivoluzionaria prendeva risolutamente le distanze non soltanto dal «programma del femminismo borghese», fatto di garanzie formali ed insignificanti pretese soggettive, bensì pure dal «programma di emancipazione delle donne proletarie un tempo proclamato dalle femministe socialiste», che prevedeva un puro e semplice miglioramento delle condizioni di vita materiali delle donne e ignorava invece la dimensione sociale-normativa della loro esistenza[11]. Si prospettava così una rottura totale con il femminismo di ogni possibile sfumatura.

Il 23 ottobre 1947, visitando la Scuola rivoluzionaria che tutt’oggi porta il suo nome, Kim Jong Suk rispose alle affermazioni del direttore politico aggiunto che proponeva un’educazione indifferenziata per maschi e femmine: «Voi credete? Ma le ragazze, oltre alle qualità generali, devono possedere anche quelle proprie del loro sesso, comprese l’arte culinaria e la sartoria. Non si devono trascurare simili discipline»[12]. Nessuna “lotta agli stereotipi di genere”, dunque.

Negli anni ’50 e ’60 le donne coreane assolsero un ruolo chiave nella ricostruzione postbellica del paese e nello slancio del movimento Chollima, grazie alla capillare rete di asili e giardini d’infanzia creati dal regime socialista per prendersi cura dei loro figli, all’accesso gratuito all’istruzione di massa e all’attivo coinvolgimento nella vita activa delle organizzazioni di partito, cui erano particolarmente idonee – a giudizio del caro leader – perché «in genere dolci per natura» e refrattarie al burocratismo[13]. Questa modernizzazione posticipò leggermente il matrimonio, ma il ciclo di vita della famiglia non era affatto in discussione: «Noi non ci opponiamo a che le donne si sposino e mettano al mondo dei figli. È la natura stessa dell’essere umano»[14], specificava Kim Il Sung.

Conclusa l’impegnativa edificazione di un forte Stato socialista industriale, negli anni ’70 e ’80 fu la volta del consolidamento dei nuclei famigliari, indicati da Kim Jong Il come il più sicuro baluardo contro la “furia del dileguare” di hegeliana memoria e la fonte primigenia del patriottismo socialista: «Alcuni pensano che i rivoluzionari comunisti siano persone disumane che si preoccupano unicamente della rivoluzione, ignorando persino le proprie famiglie. Si sbagliano. Amare e rispettare i propri genitori è un obbligo fondamentale dell’uomo. Chi non ama i propri genitori, la propria consorte e i propri figli, che formano i legami di parentela più stretti, non può amare il proprio paese e i propri connazionali»[15].

Le garanzie materiali non mancano: come previsto da Engels, in Corea del Nord le casalinghe sono equiparate agli altri lavoratori e pertanto vengono rifornite di generi alimentari, a titolo pressoché gratuito, dal sistema di distribuzione pubblica; le lavoratrici in maternità dispongono di 150 giorni (240 dall’estate del 2015) di congedo a salario pieno e, al momento del ricovero in ospedale a carico dello Stato, ricevono cospicui premi in denaro; quelle con tre o più figli lavorano per sole 6 ore al giorno; e in ogni caso le donne vanno in pensione a 55 anni e possono dedicarsi interamente alla famiglia[16]. La mentalità popolare trova riflesso nella recente risposta dei novelli sposi Ri Ok Ran e Kang Sung Jin alla domanda di Wong Maye, giornalista dell’Associated Press, su quali fossero i loro obiettivi nella vita: «Avere molti bambini in modo che possano servire nell’esercito e difendere e sostenere il nostro Paese, per molti anni nel futuro»[17].

Ma cosa pensano i nordcoreani del palese declino dell’istituto famigliare e dei suoi valori fondativi in Occidente? L’anziano Presidente Kim Il Sung notava con apprensione nelle sue memorie: «Al giorno d’oggi l’epicureismo si propaga come una malattia contagiosa dall’altro emisfero del nostro pianeta. Questo eccesso d’egoismo, che spinge a ricercare solo il proprio benessere, senza curarsi dei posteri, affligge l’animo d’innumerevoli persone. Alcuni si esimono dal generare discendenti, perché sono un cruccio. Altri rinunciano perfino a contrarre matrimonio. Certo, ognuno è libero di non sposarsi o di non avere figli. Ma che gusto c’è a vivere senza eredi?»[18].

A cavallo tra i due secoli il filosofo Jo Song Baek sottoscriveva le tesi di Zbigniew Brzezinski sulla crisi morale della società americana, lamentando come perfino la Corea del Sud fosse «divenuta una regione priva d’amore autentico, una regione sterile» in seguito al pernicioso influsso della cultura yankee. Le basi ideologiche di questo degrado erano additate nell’indebita “naturalizzazione” dei rapporti coniugali: «L’amore prediletto dal freudismo è un amore inumano, vile e depravato, che si fonda sull’istinto sessuale animalesco». E i legami fra uomo e donna, «se si considera soltanto l’aspetto sessuale, non possono essere autenticamente umani e solidi»[19].

Ce n’è abbastanza per mettere in imbarazzo chi critica l’anarchia del mercato ma si nutre della cultura decadente da esso generata, chi del socialismo reale apprezza l’economia ma non l’etica, chi suol arguire che parole come quelle citate poc’anzi appartengono a uomini del secolo scorso, succubi di convenzioni arretrate, che adesso i tempi sono cambiati e che perfino la Corea si “aprirà” a quel fatuo “progresso” – evocato alla stregua d’una formula magica, – che prima o poi riconduce tutti i popoli nell’alveo della (in)civiltà liberale. Simili profezie sono perfettamente analoghe, nella forma e nel contenuto, alle gufate di chi da decenni attende invano il crollo del sistema socialista, e ogni giorno ricevono le stesse brutali smentite dalla realtà.

«Nessuno può sostituire le madri nel ruolo che svolgono nella formazione dei protagonisti del futuro della patria. Il nome intimo e tenero di madre racchiude il rispetto sociale e la grande speranza riposta nelle donne che circondano i bambini d’amore e d’affetto, sopportando tutte le fatiche del mondo senza batter ciglio. Senza donne non può esserci né famiglia, né società, né avvenire della patria»: – così si legge nella lettera inviata dal giovane leader Kim Jong Un al VI Congresso dell’Unione democratica delle donne di Corea (17 novembre 2016), ove si accenna altresì alla necessità di «instaurare la disciplina morale fra le donne» e ai loro doveri di «padrone di casa», per poi chiudere in bellezza: «La natalità e un importante fattore che influisce sull’avvenire del paese e della nazione. Bisogna incoraggiarla»[20].

Un autentico florilegio di “bigottismo patriarcale”, a detta dei feticisti della novità fine a se stessa, che pure si tengono pervicacemente aggrappati alla vecchia ipotesi sulla “famiglia autoritaria” come luogo di riproduzione della psicologia borghese, ormai obsoleta da circa cinquant’anni a questa parte. La logica del capitale non conosce senso del limite e, come intuì Marx, tende a “sciogliere tutti i corpi solidi”, primo fra tutti il vincolo famigliare. «Con l’individualismo estremo come base morale e spirituale – incalza il Rodong Sinmun del 18 novembre 2016 – nei paesi capitalistici non di rado il marito uccide la moglie, i figli uccidono i genitori e i nipoti uccidono i nonni»[21]: le esplosioni più fragorose fanno luce sul tacito logoramento quotidiano.

La liberalizzazione dei costumi contrabbandata dalle sinistre sessantottine non è che l’abito ideologico, mistificante per definizione, di un processo connaturato al declino della metropoli imperialista. In un paper pubblicato il 13 agosto 2015 sul sito dell’Università Kim Il Sung di Pyongyang, a firma del professor Kim Hong Il, la moda dei “diritti civili” viene derubricata a sintomo della putrefazione del capitalismo: «La decadenza politica e culturale degli Stati Uniti porta con sé la discriminazione razziale, le frodi e gli inganni delle organizzazioni politiche, la criminalità, il divorzio, la gravidanza minorile, il matrimonio omosessuale e l’aborto, “cancri sociali” propri di un’America che ha tempo abdicato alle sane ragioni della società umana»[22].

La Corea del Nord è forse l’unico paese socialista a non aver mai criminalizzato l’omosessualità, riconosciuta come un tratto genetico i cui portatori vanno rispettati e protetti dalle discriminazioni, ma nondimeno si oppone fermamente alla promiscuità e all’esibizionismo della cultura gay occidentale, alle egoistiche rivendicazioni del matrimonio e delle adozioni, perché incompatibili con le idee socialiste sulla famiglia e sulle sue funzioni sociali[23].

L’aborto non è concepito come un “diritto individuale” di cui valersi a piacimento, bensì come una misura eugenetica al servizio della collettività. «Tutta la medicina è gratuita in Corea del Nord – spiega Alejandro Cao de Benós – e si può ricorrere all’aborto solo previa raccomandazione medica, qualora si verifichi una malformazione fetale, o la vita della madre sia messa a repentaglio, o il bambino non nasca correttamente. […] Non per scelta o per motivi economici»[24].

Il divorzio è certo libero e legale, senonché le tradizioni nazionali – gelosamente difese dal regime socialista sebbene mondate dalle incrostazioni classiste del confucianesimo – lo contemplano come extrema ratio per cui optare preferibilmente d’accordo con i parenti, i quali peraltro condividono l’onta degli ex coniugi per non aver saputo stringere un legame a prova delle temporanee contingenze del sentimento[25]. Come ricorda lo scrittore Davide Rossi, numerose opere letterarie coreane celebrano la ricomposizione dei conflitti sorti in seno alle famiglie, in nome del superiore interesse proprio, dei figli e del paese, e col provvidenziale aiuto del partito[26]. Queste circostanze hanno forgiato in Corea i nuclei famigliari più coesi e stabili del globo terrestre, con 2.000 sole pratiche di separazione avviate in media ogni anno.

Quest’ultimo dato è emerso allorché il Comitato delle Nazioni Unite per l’eliminazione della discriminazione contro le donne prese di mira la Corea del Nord, il cui Codice Penale non sanziona il vago reato di “molestie” che – come attestano gli eventi degli ultimi mesi – si presta ad interpretazioni soggettive tali da minare le garanzie basilari dello Stato di diritto. Al dibattito dell’8 novembre 2017 i delegati nordcoreani furono costretti a ribadire parecchie ovvietà, ad esempio che le donne possono accedere alle posizioni sociali più elevate qualora superino l’iter necessario, e non mediante la forzata immissione di “quote rosa” negli apparati, oppure che se un superiore le chiede favori sessuali in cambio di promozioni o con minaccia di trasferimento la donna è libera di rifiutare e che il reato di stupro si configura solo in seguito ad un successivo rapporto non consensuale; e conclusero la meritata lezione di buon senso impartita agli accusatori con queste significative osservazioni: «Nella Repubblica popolare democratica di Corea violenza sessuale, molestie sessuali, violenza domestica o stupro coniugale sono parole alquanto strane, la gente non capisce cosa significhino semplicemente perché quei fenomeni non si verificano di frequente e non costituiscono problematiche di rilevanza sociale»[27].

In Corea non si verificano fenomeni come la campagna #MeToo, menzionata in un articolo di Song Jong Ho sul Pyongyang Times del 9 marzo scorso, che sottolinea con gusto le contraddizioni di un Occidente in cui il femminismo è destinato a rimanere uno sterile «wishful thinking», incapace di offrire alla donne una vera emancipazione, malgrado l’unanime sostegno delle istituzioni, dei media e del mondo accademico[28]. In compenso, abbandonato il focolare domestico, le donne sono entrate appieno nei circuiti dello sfruttamento e del consumismo, le relazioni affettive e sessuali sono asservite al denaro e ai volubili capricci dell’egoismo, lo stile di vita frivolo e decadente ha corroso e sciupato le tradizionali qualità femminili, i rapporti fra i sessi sono precari come posti di lavoro e il saldo demografico è compromesso.

La superiorità del socialismo si coglie proprio nello stridente contrasto con le donne nordcoreane, delle quali il presidente della KFA ci ha fornito uno splendido ritratto che funge da chiusura ideale per la nostra rassegna: «[…] potrei descrivere la donna coreana come soffice quanto la seta ma anche rigida quanto l’acciaio. Hanno un carattere molto delicato, molto gentile, molto ospitale… Sono davvero come porcellana, sembrano ragazze di porcellana, vero? ma poi, quando si tratta di correre dei rischi, quando si tratta di prendere un piccone e spaccare la pietra o di impugnare un lanciagranate, sono disposte a farlo in qualunque momento. Così hanno questo duplice profilo, che è molto curioso perché normalmente una donna o ragazza dotata di personalità più forte del solito la manifesta. Ma non in Corea. In Corea dolcezza e cortesia totali verso l’esterno si accompagnano a grande robustezza e ad una spiritualità molto forte, dove l’ideologia è ciò che conta. Per una donna coreana non l’aspetto fisico o il denaro, come nella maggioranza dei paesi capitalistici, bensì l’ideologia è la cosa più importante»[29].

(di Francesco Alarico della Scala)

[1]K. Marx-F. Engels, Opere, vol. IV, Editori Riuniti, Roma, 1972, p. 375.

[2]F. Engels, L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato, Editori Riuniti, Roma, 1963, p. 109.

[3]V. I. Lenin, Opere complete, vol. XXXV, Edizioni Rinascita, Roma, 1955, p. 119.

[4]Riportato in C. Zetkin, Lenin e il movimento femminile, 1925: https://www.marxists.org/italiano/zetkin/lenin.htm.

[5]Legislazione internazionale: leggi, decreti, progetti di legge, Istituto di studi legislativi, Roma, 1937, p. 265.

[6]Pubblicato ne Lo Stato operaio, voll. XII-XIII, 1938-39, Feltrinelli Reprint, Milano, 1966, p. 356.

[7]In G. Vinay, Storia della musica, vol. X, parte 1, Edizioni di Torino, 1978, pp. 154-155.

[8]Disponibile online in italiano: PMLI - Stalin sulla ?Storia del Partito Comunista (bolscevico) dell'Urss? - Breve Corso (http://www.pmli.it/articoli/2017/20171018_discorsostalinstoriapartito.html).

[9]Cit. in C. Carpinelli, Donne e famiglia nella Russia Sovietica dagli anni Venti agli anni Quaranta: https://www.resistenze.org/sito/te/cu/ur/cuut3n21.htm. Vedi la medesima fonte per le notizie generali sulla politica famigliare sovietica.

[10]Cit. in M. Tsuzmer, Soviet War News, n. 6, novembre 1943, p. 8.

[11]Biografia di Kim Jong Suk, Edizioni in lingue estere, Pyongyang, 2002, pp. 274-276.

[12]Ibid., pp. 322-323.

[13]Kim Jong Il, Per la formazione d’un maggior numero di quadri femminili, Edizioni in lingue estere, Pyongyang, 1988, p. 2.

[14]Kim Il Sung, Opere scelte, vol. III, Edizioni in lingue estere, Pyongyang, 1971, pp. 254-255.

[15]Kim Jong Il, Opere scelte, vol. IX, Edizioni in lingue estere, Pyongyang, 1997, p. 63.

[16]Informazioni tratte dal dossier La Corea contemporanea, redatto dalla KFA – Italia: https://web.archive.org/web/20120128121849/http://www.korea-dpr.com/users/italy/page2/page2.html.

[17]https://www.corriere.it/esteri/17_giugno_22/corea-nord-26-ritratti-foto-istantanee-regime-kim-jong-un-5926b346-572d-11e7-8b4d-3cd144754bfb-bc_4.shtml.

[18]Kim Il Sung, Attraverso il secolo, vol. III, Edizioni in lingue estere, Pyongyang, 1993, pp. 337-338.

[19]Jo Song Baek, La filosofia della leadership di Kim Jong Il, Edizioni in lingue estere, Pyongyang, 1999, pp. 189, 183.

[20]Kim Jong Un, Intensifichiamo ulteriormente il lavoro dell’Unione delle donne sotto la bandiera della trasformazione di tutta la società sulla base del kimilsungismo-kimjongilismo, Edizioni in lingue estere, Pyongyang, 2017, pp. 11-13.

[21]Rodong Sinmun: la corruzione morale è un prodotto inevitabile della società capitalistica, KCNA, 18 novembre 2016.

[22]http://www.ryongnamsan.edu.kp/univ/success/social/part/47.

[23]Cfr. https://web.archive.org/web/20120128142859/http://www.korea-dpr.com/users/italy/page17/page17.html#link18.

[24]Intervista a Infovaticana, 16 marzo 2015: https://infovaticana.com/2015/03/16/entrevista-cao-de-benos/.

[25]Cfr. Kim Jong Il, Opere scelte, vol. XV, Edizioni in lingue estere, Pyongyang, 2014, p. 296.

[26]Davide Rossi, Pyongyang, l’altra Corea, Edizioni Mimesis, Milano, 2012, pp. 71-72.

[27]http://www.ohchr.org/EN/NewsEvents/Pages/DisplayNews.aspx?NewsID=22373&LangID=E.

[28]https://kcnawatch.co/newstream/1520596839-840493171/sexism-comes-under-the-spotlight-around-world/.

[29]Intervista a Berlunes, 27 maggio 2014: Entrevista a Alejandro Cao de Benós | Berlunes (http://berlunes.com/entrevista-alejandro-cao-benos).

Famiglia tradizionale? Il vero socialismo la difende | Oltrelalinea (http://www.oltrelalinea.news/2018/07/15/famiglia-tradizionale-il-vero-socialismo-la-difende/)

Lord Attilio
06-09-18, 19:29
Mah, in realtà secondo me la questione è complessa, non è che nel socialismo c'è un'opinione monolitica, dipende tutto dal contesto. Per esempio la legge del 1944 è stata presa perché in quel momento c'era stata un'ecatombe di uomini.

"Le ragioni dei provvedimenti legislativi assunti nel ’44, in materia matrimoniale e familiare, devono essere ricercate negli sconvolgimenti che seguono alla guerra del 1941-1945: di fronte all’impressionante squilibrio demografico venutosi a creare (31 milioni di maschi contro 52 milioni di femmine, compresi nella fascia d’età 18-40 anni), Stalin sceglie la strada della ricostruzione del nucleo familiare, non solo riconoscendo le famiglie legali ma, vista la gravità della discrepanza numerica tra i sessi che si è venuta a creare con la guerra e il bisogno di un incremento notevole dei tassi di fertilità, legittimando anche la “maternità in stato di nubilato” (dato che lo squilibrio demografico tra uomini e donne costituisce una spinta oggettiva ai rapporti fuori del matrimonio)."

https://www.resistenze.org/sito/te/cu/ur/cuut3n21.htm

Questi provvedimenti sono dettati più da esigenze contingenti e arretratezze della società russa che da un determinato pensiero del socialismo in proposito. Per esempio anche la repressione dell'omosessualità (seppur meno peggio rispetto allo zarismo, diciamolo) è un fatto contingente determinato dalla mentalità del tempo e da ciò che esprimeva la scienza dell'epoca, non rappresenta di certo il pensiero del socialismo in assoluto.

LupoSciolto°
07-09-18, 09:52
Mah, in realtà secondo me la questione è complessa, non è che nel socialismo c'è un'opinione monolitica, dipende tutto dal contesto. Per esempio la legge del 1944 è stata presa perché in quel momento c'era stata un'ecatombe di uomini.

"Le ragioni dei provvedimenti legislativi assunti nel ’44, in materia matrimoniale e familiare, devono essere ricercate negli sconvolgimenti che seguono alla guerra del 1941-1945: di fronte all’impressionante squilibrio demografico venutosi a creare (31 milioni di maschi contro 52 milioni di femmine, compresi nella fascia d’età 18-40 anni), Stalin sceglie la strada della ricostruzione del nucleo familiare, non solo riconoscendo le famiglie legali ma, vista la gravità della discrepanza numerica tra i sessi che si è venuta a creare con la guerra e il bisogno di un incremento notevole dei tassi di fertilità, legittimando anche la “maternità in stato di nubilato” (dato che lo squilibrio demografico tra uomini e donne costituisce una spinta oggettiva ai rapporti fuori del matrimonio)."

https://www.resistenze.org/sito/te/cu/ur/cuut3n21.htm

Questi provvedimenti sono dettati più da esigenze contingenti e arretratezze della società russa che da un determinato pensiero del socialismo in proposito. Per esempio anche la repressione dell'omosessualità (seppur meno peggio rispetto allo zarismo, diciamolo) è un fatto contingente determinato dalla mentalità del tempo e da ciò che esprimeva la scienza dell'epoca, non rappresenta di certo il pensiero del socialismo in assoluto.

Ma è innegabile che in tutti paesi socialisti l'istituto familiare esistesse, così come lo stato, le frontiere e altre "sovrastrutture" borghesi.

LupoSciolto°
18-09-18, 16:09
Assegno di mantenimento e affidamento dei figli: cosa prevede il piano Lega-M5s


Arriva al Senato il testo firmato da Lega e M5s che prevede il doppio domicilio per i figli e obbliga alla mediazione familiare. Articoli di Corriere della Sera e Fatto Quotidiano


https://images.agi.it/pictures/agi/agi/2018/09/11/102222339-53d810d2-f98b-4f73-a45f-adbcf902a0ac.jpg

Tempo diviso a metà tra mamma e papà, salvo diverso accordo, contributo diretto alle spese del figlio, mediazione familiare per le coppie ad alta conflittualità e contrasto alla cosiddetta 'alienazione familiare', cioè quando un genitore allontana il figlio dall'altro. Sono i punti principali del disegno di legge sull'affido condiviso presentato da Lega e M5s in Senato, primo firmatario il senatore leghista, Simone Pillon noto per essere tra i fondatori del comitato organizzatore dei Family Day e per le prese di posizione contro le unioni civili e l’aborto

Il testo presentato fa discutere perché — spiega il Corriere della Sera - se dovesse essere approvato, porterebbe alla cancellazione dell'assegno di mantenimento, all'istituzione del doppio domicilio per il minore e introdurrebbe l'obbligo della figura del mediatore familiare in caso di minori

Cosa prevede la proposta
Doppia residenza - L'assegno di mantenimento sparisce perché i figli avranno due case, doppio domicilio e tempo, equamente diviso, tra mamma e papà. Ciò significa che, salvo diversi accordi tra i genitori, i figli dovranno trascorrere non meno di 12 giorni al mese, compresi i pernottamenti, sia con la madre che con il padre. In questo modo si garantisce, secondo il ddl, un rapporto equilibrato e continuativo con entrambe le figure genitoriali.

Mediazione familiare - I coniugi con figli minori per ottenere la separazione dovranno essere, per legge, seguiti da un mediatore familiare. La proposta normativa introduce e regolamenta questa figura stabilendo ruoli e competenze del mediatore che dovrà guidare gli ex coniugi a gestire, nel miglior modo possibile per i figli, la separazione. Il ddl fissa la durata massima della mediazione a sei mesi e stabilisce che gli incontri col mediatore saranno a pagamento.

"Il mantenimento non sarà fifty-fifty: il genitore che guadagnerà di più contribuirà di più", spiega Pillon sottolineando che ogni genitore, d'ora in poi "saprà che ogni euro sarà speso per il figlio e non per l'ex coniuge" - spiega Pillon all'Agi. "Il che non significa che sparirà l'assegno di mantenimento per l'ex coniuge ma solo che le spese per il minore saranno pagate direttamente", prosegue.

"Infine prevediamo primo incontro gratis con un mediatore familiare per le coppie ad alta conflittualità e in seguito incontri con tariffe fissate dal ministero della Giustizia - conclude -. E forme di contrasto alla alienazione genitoriale: un genitore che dipinge male l'altro, cercando di mettergli il figlio o la figlia contro dovrà risarcire entrambi e potrebbe perdere anche la responsabilità genitoriale".

Battaglia su disegno di legge

Intanto è già battaglia sul disegno di legge. La rete "Dire" dei centri antiviolenza ha lanciato una petizione su Change.org e indetto, contro la proposta di Pillon, una grande manifestazione a Roma il 10 novembre prossimo. Il timore, per l'associazione, è quello che la legge, se approvata in questo modo, “favorirebbero inevitabilmente il persistere della violenza, in particolare quella intra familiare.".

I dati Istat

La proposta punta a riscrivere la legge del 2006, una norma che rivoluzionò il concetto di "assegnazione" dei figli nelle separazioni e nei divorzi. L'ultimo report Istat su separazioni e divorzi mostra infatti che su almeno un fronte la legge del 2006 ha cambiato radicalmente le cose: se nel 2005 i figli minori affidati esclusivamente alla madre erano più dell’80%, nel 2015 la percentuale è crollata all’8,9% e nell’89% dei casi il giudice ha sancito l’affido condiviso. Ma i bambini nella maggior parte dei casi continuano in effetti a trascorrere più tempo con le madri.

Nessun mutamento invece sul fronte dell’assegnazione della casa coniugale - fa notare Il Fatto Quotidiano - che quando c’è un figlio minore nel 69% dei casi va alla ex moglie in quanto genitore collocatario, e della quota di separazioni con assegno di mantenimento corrisposto dal padre, che si è mantenuta stabile al 94%.

https://www.agi.it/politica/divorzio_assegno_mantenimento_affidamento_congiunt o-4364046/news/2018-09-11/

Lèon Kochnitzky
18-09-18, 18:09
Oggi e' uscito il nuovo libro di Fusaro sulla famiglia e l'amore in ottica antimondialista:

https://librinews.it/schede/nuovo-ordine-erotico-diego-fusaro

non lo prendo perché ho altre robe da finire e perche' costa troppo, ma secondo me e' interessante

Kavalerists
18-09-18, 18:28
Assegno di mantenimento e affidamento dei figli: cosa prevede il piano Lega-M5s


Arriva al Senato il testo firmato da Lega e M5s che prevede il doppio domicilio per i figli e obbliga alla mediazione familiare. Articoli di Corriere della Sera e Fatto Quotidiano


https://images.agi.it/pictures/agi/agi/2018/09/11/102222339-53d810d2-f98b-4f73-a45f-adbcf902a0ac.jpg

Tempo diviso a metà tra mamma e papà, salvo diverso accordo, contributo diretto alle spese del figlio, mediazione familiare per le coppie ad alta conflittualità e contrasto alla cosiddetta 'alienazione familiare', cioè quando un genitore allontana il figlio dall'altro. Sono i punti principali del disegno di legge sull'affido condiviso presentato da Lega e M5s in Senato, primo firmatario il senatore leghista, Simone Pillon noto per essere tra i fondatori del comitato organizzatore dei Family Day e per le prese di posizione contro le unioni civili e l’aborto

Il testo presentato fa discutere perché — spiega il Corriere della Sera - se dovesse essere approvato, porterebbe alla cancellazione dell'assegno di mantenimento, all'istituzione del doppio domicilio per il minore e introdurrebbe l'obbligo della figura del mediatore familiare in caso di minori

Cosa prevede la proposta
Doppia residenza - L'assegno di mantenimento sparisce perché i figli avranno due case, doppio domicilio e tempo, equamente diviso, tra mamma e papà. Ciò significa che, salvo diversi accordi tra i genitori, i figli dovranno trascorrere non meno di 12 giorni al mese, compresi i pernottamenti, sia con la madre che con il padre. In questo modo si garantisce, secondo il ddl, un rapporto equilibrato e continuativo con entrambe le figure genitoriali.

Mediazione familiare - I coniugi con figli minori per ottenere la separazione dovranno essere, per legge, seguiti da un mediatore familiare. La proposta normativa introduce e regolamenta questa figura stabilendo ruoli e competenze del mediatore che dovrà guidare gli ex coniugi a gestire, nel miglior modo possibile per i figli, la separazione. Il ddl fissa la durata massima della mediazione a sei mesi e stabilisce che gli incontri col mediatore saranno a pagamento.

"Il mantenimento non sarà fifty-fifty: il genitore che guadagnerà di più contribuirà di più", spiega Pillon sottolineando che ogni genitore, d'ora in poi "saprà che ogni euro sarà speso per il figlio e non per l'ex coniuge" - spiega Pillon all'Agi. "Il che non significa che sparirà l'assegno di mantenimento per l'ex coniuge ma solo che le spese per il minore saranno pagate direttamente", prosegue.

"Infine prevediamo primo incontro gratis con un mediatore familiare per le coppie ad alta conflittualità e in seguito incontri con tariffe fissate dal ministero della Giustizia - conclude -. E forme di contrasto alla alienazione genitoriale: un genitore che dipinge male l'altro, cercando di mettergli il figlio o la figlia contro dovrà risarcire entrambi e potrebbe perdere anche la responsabilità genitoriale".

Battaglia su disegno di legge

Intanto è già battaglia sul disegno di legge. La rete "Dire" dei centri antiviolenza ha lanciato una petizione su Change.org e indetto, contro la proposta di Pillon, una grande manifestazione a Roma il 10 novembre prossimo. Il timore, per l'associazione, è quello che la legge, se approvata in questo modo, “favorirebbero inevitabilmente il persistere della violenza, in particolare quella intra familiare.".

I dati Istat

La proposta punta a riscrivere la legge del 2006, una norma che rivoluzionò il concetto di "assegnazione" dei figli nelle separazioni e nei divorzi. L'ultimo report Istat su separazioni e divorzi mostra infatti che su almeno un fronte la legge del 2006 ha cambiato radicalmente le cose: se nel 2005 i figli minori affidati esclusivamente alla madre erano più dell’80%, nel 2015 la percentuale è crollata all’8,9% e nell’89% dei casi il giudice ha sancito l’affido condiviso. Ma i bambini nella maggior parte dei casi continuano in effetti a trascorrere più tempo con le madri.

Nessun mutamento invece sul fronte dell’assegnazione della casa coniugale - fa notare Il Fatto Quotidiano - che quando c’è un figlio minore nel 69% dei casi va alla ex moglie in quanto genitore collocatario, e della quota di separazioni con assegno di mantenimento corrisposto dal padre, che si è mantenuta stabile al 94%.

https://www.agi.it/politica/divorzio_assegno_mantenimento_affidamento_congiunt o-4364046/news/2018-09-11/

Qualsiasi passettino in direzione opposta al nazifemminismo è ben accetto.

Kavalerists
18-09-18, 18:29
Oggi e' uscito il nuovo libro di Fusaro sulla famiglia e l'amore in ottica antimondialista:

https://librinews.it/schede/nuovo-ordine-erotico-diego-fusaro

non lo prendo perché ho altre robe da finire e perche' costa troppo, ma secondo me e' interessante

OT:
a me "pensare altrimenti" è piaciuto, ma in effetti adesso anche io ho altro da leggere.

LupoSciolto°
18-09-18, 19:40
Qualsiasi passettino in direzione opposta al nazifemminismo è ben accetto.

Esatto.

LupoSciolto°
18-09-18, 19:41
Oggi e' uscito il nuovo libro di Fusaro sulla famiglia e l'amore in ottica antimondialista:

https://librinews.it/schede/nuovo-ordine-erotico-diego-fusaro

non lo prendo perché ho altre robe da finire e perche' costa troppo, ma secondo me e' interessante

Sembra interessante. Se trovo una recensione del libro, la pubblico ne "L'Angolo Culturale"

Kavalerists
25-09-18, 19:53
DDL PILLON: AFFIDO CONDIVISO E BIGENITORIALITÀ
[ 20 settembre ]

Simone Pillon, avvocato bresciano (ma vive a Perugia) è oggi senatore della Lega. Come si evince dalla foto è stato uno tra gli organizzatori dei tre Family Days del 2007, del 2015 e del 2016. Noi l'abbiamo conosciuto durante la campagna per la vittoria del NO al referendum costituzionale del 4 dicembre 2016.

Egli è promotore di un Disegno di legge che porta questo titolo «Norme in materia di affido condiviso, mantenimento diretto e garanzia di bigenitorialità» — il testo integrale — che va suscitando molte critiche, soprattutto sulla stampa progressista. Vedi: “Con il disegno di legge Pillon sulla famiglia torniamo indietro di cinquant’anni” (LA STAMPA); "Riforma Pillon: con il ddl per (certi) avvocati e psicologi non è affatto finita la pacchia" (Repubblica); "Affido condiviso, il ddl Pillon non consegni i bambini a genitori violenti" (IL FATTO QUOTIDIANO)

Su change.org circola una petizione che condanna il Ddl Pillon come prodotto di una

«cultura patriarcale e fascista che, fingendo di mettere al centro la famiglia come istituto astratto e borghese, tenta di schiacciare la soggettività e la libertà delle donne ancorché dei minori»*

e indice una manifestazione nazionale a Roma per il 10 novembre.

Come stanno davvero le cose? Apriamo una discussione seria.

Pillon ha presentato l'altro ieri il Ddl in una conferenza stampa che è bene ascoltare per farsi un giudizio oculato.

------------------------------------------------------------------
alcuni commenti:

Anonimo scrive:
20 settembre 2018 12:17

Quanti bigotti in giro... soprattutto nella sinistra progressista e femminista!
C'è qui una quinta colonna, ha scritto l'innominabile del primo commento. Se leggo bene, e mi pare di sì, la proposta fatta è di aprire una discussione seria su certi temi delicati. Corretto! Era ora che questo blog lo facesse.
A discapito delle definizioni del decreto Pillon di fascista, maschlista, patriarcale ecc (ovviamente attributi della stampa meinstream di regime.. REGIME!), il d.d.l. Pillon è un tentativo di ristabilire equità dove finora aveva regnato l’ingiustizia.
Esempio pratico emergente dal D.D.L proprio la "garanzia di BI-genitorialità". Con tutto il rispetto dovuto alle donne, madri e lavoratrici, ma per tutelare il loro diritto sacrosanto, è necessario per forza arrivare ai casi estremi (e negli ultimi anni di crisi si sono centuplicati) di padri finiti a vivere in macchina o resi incapaci di vita dignitosa?
Tenetevi pronti, perchè scateneranno un inferno con questo decreto.
E che? Avete dimenticato che la maggior parte delle femministe, della sinistra ecc, vogliono l'abolizione dei generi, la proliferazione di mille e più generi, genitore 1,2,3,4 ecc, quindi la distruzione della famiglia? Che, diciamocelo, questo D.D.L, con tanti limiti, tenta pur sempre di salvare (salvando la genitorialità e senza intaccare il diritto al divorzio) evitando conflittualità e guerre nel rispetto dei figli in primis.

--------
Anonimo scrive:
20 settembre 2018 17:27

--------
Anonimo delle 12,17 ho capito, lei è per una sinistra reazionaria e maschilista. Attendo comunque un chiarimento dalla redazione: l'intervento in oggetto è vostro, ovvero condiviso, oppure è esterno. Grazie se vorrete farmelo sapere. Altrimenti ognuno potrà trarne le conclusioni personalmente.

--------
Anonimo scrive:
20 settembre 2018 19:06

Sinistra reazionaria? E la sua sinistra invece sarebbe progressista e democratica?
Personalmente sono per il riconoscimento dei diritti di entrambi i genitori, padri e madri! E mi sembra che in Italia, il diritto alla paternità non si ha neppure la capacità di pensarlo.
Poi, onestamente parlando, sono convinto che riconoscere la paternità non leda affatto i diritti delle donne o la maternità, semmai permette proprio alle donne di cantare vittoria sulla parità di genere per la quale tanto hanno lottato. E che? Solo le donne hanno obbligo di cucinare per i figli, andarli a prendere a scuola e farsi carico in tutto e per tutto del loro benessere?
Non sono un "mammo", ma quello che sono disposto a fare per i miei figli è tantissimo!
La sua sinistra, invece di guardare allo sfacelo delle famiglie, ai padri che possono vedere i figli tre volte l'anno, salvo incidenti, alle madri che lavorando non riescono a star dietro a tutto (con tutto l'amore, ma sono umane anche loro!), dicevo la sua sinistra, invece di guardare a questo si preoccupa di far sposare i gay, e di assicurarsi che il loro numero si moltiplichi assieme a quello dei generi!

----------
Redazione SollevAzione risponde:
20 settembre 2018 19:45

L'articolo, che vale come segnalazione di un Disegno di legge, e come invito ad aprire una discussione SERIA, è responsabilità della redazione.
Chi ci legge da tempo sa che altre volte, senza aspettare una posizione formale di P101, abbiamo aperto il blog al dibattito.
Sono francamente spiacevoli, e li respingiamo al mittente, certi avvisi di vago sapore intimidatorio per cui, ci sarebbero cose su cui il solo discuterne sarebbe vietato.

-----------------------------------------

* Ahahahahahahahahahahah


http://sollevazione.blogspot.com/2018/09/ddl-pillon-affido-condiviso-e.html

don Peppe
25-09-18, 21:48
DDL PILLON: AFFIDO CONDIVISO E BIGENITORIALITÀ
[ 20 settembre ]

Simone Pillon, avvocato bresciano (ma vive a Perugia) è oggi senatore della Lega. Come si evince dalla foto è stato uno tra gli organizzatori dei tre Family Days del 2007, del 2015 e del 2016. Noi l'abbiamo conosciuto durante la campagna per la vittoria del NO al referendum costituzionale del 4 dicembre 2016.

Egli è promotore di un Disegno di legge che porta questo titolo «Norme in materia di affido condiviso, mantenimento diretto e garanzia di bigenitorialità» — il testo integrale — che va suscitando molte critiche, soprattutto sulla stampa progressista. Vedi: “Con il disegno di legge Pillon sulla famiglia torniamo indietro di cinquant’anni” (LA STAMPA); "Riforma Pillon: con il ddl per (certi) avvocati e psicologi non è affatto finita la pacchia" (Repubblica); "Affido condiviso, il ddl Pillon non consegni i bambini a genitori violenti" (IL FATTO QUOTIDIANO)

Su change.org circola una petizione che condanna il Ddl Pillon come prodotto di una

«cultura patriarcale e fascista che, fingendo di mettere al centro la famiglia come istituto astratto e borghese, tenta di schiacciare la soggettività e la libertà delle donne ancorché dei minori»*

e indice una manifestazione nazionale a Roma per il 10 novembre.

Come stanno davvero le cose? Apriamo una discussione seria.

Pillon ha presentato l'altro ieri il Ddl in una conferenza stampa che è bene ascoltare per farsi un giudizio oculato.

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alcuni commenti:

Anonimo scrive:
20 settembre 2018 12:17

Quanti bigotti in giro... soprattutto nella sinistra progressista e femminista!
C'è qui una quinta colonna, ha scritto l'innominabile del primo commento. Se leggo bene, e mi pare di sì, la proposta fatta è di aprire una discussione seria su certi temi delicati. Corretto! Era ora che questo blog lo facesse.
A discapito delle definizioni del decreto Pillon di fascista, maschlista, patriarcale ecc (ovviamente attributi della stampa meinstream di regime.. REGIME!), il d.d.l. Pillon è un tentativo di ristabilire equità dove finora aveva regnato l’ingiustizia.
Esempio pratico emergente dal D.D.L proprio la "garanzia di BI-genitorialità". Con tutto il rispetto dovuto alle donne, madri e lavoratrici, ma per tutelare il loro diritto sacrosanto, è necessario per forza arrivare ai casi estremi (e negli ultimi anni di crisi si sono centuplicati) di padri finiti a vivere in macchina o resi incapaci di vita dignitosa?
Tenetevi pronti, perchè scateneranno un inferno con questo decreto.
E che? Avete dimenticato che la maggior parte delle femministe, della sinistra ecc, vogliono l'abolizione dei generi, la proliferazione di mille e più generi, genitore 1,2,3,4 ecc, quindi la distruzione della famiglia? Che, diciamocelo, questo D.D.L, con tanti limiti, tenta pur sempre di salvare (salvando la genitorialità e senza intaccare il diritto al divorzio) evitando conflittualità e guerre nel rispetto dei figli in primis.

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Anonimo scrive:
20 settembre 2018 17:27

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Anonimo delle 12,17 ho capito, lei è per una sinistra reazionaria e maschilista. Attendo comunque un chiarimento dalla redazione: l'intervento in oggetto è vostro, ovvero condiviso, oppure è esterno. Grazie se vorrete farmelo sapere. Altrimenti ognuno potrà trarne le conclusioni personalmente.

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Anonimo scrive:
20 settembre 2018 19:06

Sinistra reazionaria? E la sua sinistra invece sarebbe progressista e democratica?
Personalmente sono per il riconoscimento dei diritti di entrambi i genitori, padri e madri! E mi sembra che in Italia, il diritto alla paternità non si ha neppure la capacità di pensarlo.
Poi, onestamente parlando, sono convinto che riconoscere la paternità non leda affatto i diritti delle donne o la maternità, semmai permette proprio alle donne di cantare vittoria sulla parità di genere per la quale tanto hanno lottato. E che? Solo le donne hanno obbligo di cucinare per i figli, andarli a prendere a scuola e farsi carico in tutto e per tutto del loro benessere?
Non sono un "mammo", ma quello che sono disposto a fare per i miei figli è tantissimo!
La sua sinistra, invece di guardare allo sfacelo delle famiglie, ai padri che possono vedere i figli tre volte l'anno, salvo incidenti, alle madri che lavorando non riescono a star dietro a tutto (con tutto l'amore, ma sono umane anche loro!), dicevo la sua sinistra, invece di guardare a questo si preoccupa di far sposare i gay, e di assicurarsi che il loro numero si moltiplichi assieme a quello dei generi!

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Redazione SollevAzione risponde:
20 settembre 2018 19:45

L'articolo, che vale come segnalazione di un Disegno di legge, e come invito ad aprire una discussione SERIA, è responsabilità della redazione.
Chi ci legge da tempo sa che altre volte, senza aspettare una posizione formale di P101, abbiamo aperto il blog al dibattito.
Sono francamente spiacevoli, e li respingiamo al mittente, certi avvisi di vago sapore intimidatorio per cui, ci sarebbero cose su cui il solo discuterne sarebbe vietato.

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* Ahahahahahahahahahahah


hai un link?

Kavalerists
25-09-18, 23:18
hai un link?

avevo dimenticato di metterlo, grazie per avermelo ricordato. :)

sollevazione: DDL PILLON: AFFIDO CONDIVISO E BIGENITORIALITÀ (http://sollevazione.blogspot.com/2018/09/ddl-pillon-affido-condiviso-e.html)

Sparviero
26-09-18, 12:38
eh perché la situazione attuale dove i figli vanno praticamente SEMPRE con la madre anche se questa è una ubriacona zoccola irresponsabile è perfetta... ma vadano in mona...

LupoSciolto°
26-09-18, 13:42
Divertente notare come i nostri detrattori (i quali ci seguono costantemente, pur essendo stati bannati da tempo) siano soliti definirci "maschlisti", "sessisti" e simili vaccate. Il fatto, però, è che nel neoproletariato , oggi, rientrano migliaia di padri separati e senza un soldo in tasca. E' incontestabile. Qui nessuno afferma che il disegno di legge Pillon sia una misura rivoluzionaria ma, almeno, si sta cercando di considerare una realtà fino a ieri ignorata. Ovviamente le accuse mosse dalle femministe mi entrano da un orecchio e mi escono dall'altro. Parlano di oppressione patriarcale e , pensate un po', di "lobby dei padri separati"! Ho formulato due semplici ipotesi a riguardo : o queste criminali sono idiote, oppure ci godono nel raccontare stronzate e nello sfogare il proprio odio, questo sì sessista, contro l'uomo e ciò che rimane dell'istituto familiare.

Kavalerists
01-10-18, 01:37
DDL PILLON: UN GIUDIZIO SENZA REMORE
di M. Micaela Bartolucci
[ 30 settembre 2018 ]

Giorni addietro chiedevamo di aprire un dibattito sul Disegno di legge presentato da Simone Pillon. Volentieri pubblichiamo questo articolo di M. Micaela Bartolucci,* la quale da un giudizio che non piacerà a certo femminismo di sinistra.




* * *


STORIA DI ORDINARIA IPOCRISIA

ovvero LA MALAFEDE COME PRATICA POLITICA

La legge lo prevede dal 2006 ma, in Italia, l’affido condiviso è tale solo sulla carta, solo il 4% dei minori ha infatti visto riconosciuto e sancito questo elementare diritto: trascorrere almeno il 30% del tempo presso il genitore meno coinvolto. Questo, al di là di casi specifici che lo impediscano, vuol dire che i genitori non sono uguali di fronte alla legge. Non è una iperbole, è un dato di fatto assolutamente indiscutibile e chi lo mette in dubbio o ignora totalmente la realtà, quindi dovrebbe tacere, oppure è in perfetta malafede. Il minore è, di fatto, trattato come una merce, spesso di scambio, usato, bisfrattato, alienato…il bene dei figli? Ma quando mai! Le reali logiche che soggiacciono all’argomento sono ben lontane dal considerare i figli un bene prezioso da tutelare; l’egoismo genitoriale e la cecità sono le norme che regolano le separazioni e distruggono la vita dei minori coinvolti. La separazione in Italia è un iter pazzesco, costosissimo e non prevede nessun supporto psicologico né per i genitori né per i figli coinvolti. L’abolizione del Tribunale dei minori è una prova tangibile del valore che questi dotti uomini di legge attribuiscono alle future generazioni. Orwellianamente questo va di pari passo con la distruzione delle istituzioni preposte all’educazione sociale ed alla trasmissione del sapere, dai nidi all’università. Quando mi esprimo sulle tematiche relative a separazioni con figli minori, non lo faccio da tecnico, ma come persona molto ben informata sui fatti, parlo con immensa cognizione di causa.

E’ in atto un imbarazzante attacco pseudo intellettuale a questo governo, sorvolo perché mi sono già espressa in proposito e tutta una serie di patetici buffoni servi sciocchi di un potere economico conclamato e ben noto, non merita cinque secondi in più del mio prezioso tempo. Mi limiterò a consigliare di usare certi giornali per foderare la lettiera del gatto o per pulire i vetri. Però oltre a questa campagna idiota di bassissimo profilo, poiché diverse associazioni di donne, stanno cavalcando la tigre del cervello all’ammasso e si sono accodate al coro dei semianalfabeti politici, degli opportunisti mediatico culturali e dei fenomeni da baraccone, mi preme fare chiarezza. Transeat sull’ignoranza ma la presa per il culo no!

Esaminiamo il DDL Pillon, tenendo conto di due caposaldi:

1 il diritto non è un obbligo

2 i casi di abusi, violenza o negligenza verso un minore sono trattati separatamente

Queste due precisazioni, apparentemente banali e facili da capire per chiunque, servono a tappare la bocca a chi, in assoluta e totale stupidità cerca di mistificare la realtà per ottenere facili consensi, gridando allo scandalo, al maschilismo…che cazzo dite? Di cosa farneticate brutta congrega di ignoranti? Perché vi beffate dell’intelligenza degli altri?

Negare che oggi la genitorialità piena, nei casi di separazione, sia affidata alla buonafede di uno dei genitori, è negare la realtà. Di fatto i figli sono affidati, prevalentemente, alla cura della madre che, salvo appunto rare eccezioni, di norma, risiede con loro nella casa familiare, gestisce le comunicazioni con il padre, comprese quelle scolastiche e mediche, riceve un assegno di mantenimento per i minori e gestisce il cosiddetto diritto di visita. Rare, come ripeto, le eccezioni a questa norma. Il padre è di fatto messo in un angolo, ridotto a puro ornamento, quasi fosse incapace di assolvere la sua funzione ed il suo ruolo, infantilizzato, ridotto a compagno di giochi del figlio, escluso per l’appunto, dal suo ruolo fondamentale: quello di educatore ed accuditore, al pari della madre, della prole.

Lo dico senza alcuna remora: la mediazione dovrebbe essere non un diritto ma un obbligo per tutti coloro che intendono separarsi, soprattutto in presenza di minori, così come dovrebbe essere un obbligo, sempre e sancito per legge, che il nucleo familiare venga sostenuto e seguito da uno psicologo o altra figura equivalente, qualora sorgano contrasti al momento della separazione. E’ necessario che le figure di psicologi dell’età evolutiva, terapeuti e consulenti familiari siano coinvolti in questo processo e che i genitori ed i figli vengano aiutati a vivere in modo consapevole questo momento.

La separazione non può più essere considerata un dramma, avviene ed è perfettamente normale! Le storie d’amore finiscono, non è la fine del mondo, cazzo E’ NORMALE!!! Affermo con forza questo lapalissiano concetto, difficile, tuttavia, da far capire alla maggioranza degli esseri umani. Purtroppo, poiché l’ipocrisia è l’unico sub-valore che regni sovrano, occorre parlare di come la fine di un rapporto vada gestita, quali norme la regolino e quali diritti.

Il DDL in questione è probabilmente perfettibile ma rappresenta un passo avanti essenziale rispetto alla legislazione attuale, per esempio prende in considerazione, per la prima volta, alcuni concetti come l’alienazione parentale, l’importanza della mediazione e la bi-genitorialità. Rimando alla lettura dello stesso, perché è fondamentale che chiunque voglia esprimersi faccia lo sforzo, che ha fatto la sottoscritta, di conoscere informandosi direttamente. E’ senz’altro tecnico ma dei 24 articoli che lo compongono solo alcuni sono davvero di difficile comprensione per i non addetti ai lavori. Non leggete gli articoli di giornale di ciarlatani che vi considerano solo dei poveri imbecilli ignoranti, leggete il testo, andate direttamente alla fonte, non è una missione impossibile. Parlamento Italiano - Disegno di legge S. 735 - 18ª Legislatura (http://www.senato.it/leg/18/BGT/Schede/Ddliter/testi/50388_testi.htm#)

I figli si mettono al mondo in due ed in due vanno cresciuti, educati, guidati… indipendentemente dal fatto che i genitori vivano insieme o meno, garantire questo contro ogni egoismo, ipocrisia, opportunismo insito nel dolore di una separazione, è di basilare importanza. La prole non può essere considerata una scusa per lo status quo di una relazione finita, non può essere abbassata a ricatto emotivo né, tantomeno, a merce di scambio. Giù le mani dai bambini!

Allora il mediatore familiare deve aiutare genitori e figli a vivere nel modo più sereno e normale possibile la separazione, atto naturale ed altrettanto normale nella vita di due esseri umani. Nessuna tragedia! Si tratta altresì di garantire che i figli continuino ad avere rapporti stabili con tutta la famiglia, mantenendo quelle relazioni che hanno sempre vissuto con nonni, zii, cugini ecc

I figli hanno il diritto di amare entrambi i genitori, non c’è un genitore cattivo che distrugge la famiglia, c’è che l’amore finisce tra due persone ma resta assolutamente immutato quello per i figli. Naturale!

Entrambi i genitori devono occuparsi materialmente ed emotivamente dei figli, secondo le proprie disponibilità, come chiaramente espresso, assumendo entrambi la responsabilità genitoriale. Anche un padre è perfettamente in grado di occuparsi materialmente dei figli e deve farlo! Dovrebbe scomparire l’dea del padre compagno di giochi o bancomat, le responsabilità vanno condivise totalmente.

Chiariamo ulteriormente: non scompare l’assegno di mantenimento, ma è eliminato qualora ci sia la perfetta condivisione del tempo genitoriale e le condizioni economiche siano equipollenti. Normale direi! Dov’è lo scandalo? Dov’è il maschilismo?

Il figlio avrà la doppia residenza: vuol dire che tutte le comunicazioni, scolastiche o mediche per esempio, relative al minore, saranno inviate ad entrambi i genitori. Semplice ed efficace, come si fa a parlare di schizofrenia?

Assegnazione della casa: se c’è co-intestazione, è previsto il versamento di un corrispettivo da parte del comproprietario che utilizzi il bene in via esclusiva. Norma semplice, indiscutibile già in atto in altri ambiti. Altrimenti, in casi diversi da quello citato, si applicheranno le norme vigenti già in uso.

Allora questo polverone idiota sollevato dai soliti rompicoglioni è semplicemente espressione di un vuoto pneumatico celebrale. Questo governo, che pure io non ho votato e che critico, non sarà il “governo del cambiamento” ma è certamente il governo dei passi avanti. Ed è già qualcosa.

* M. Micaela è membro di Programma 101

sollevazione: DDL PILLON: UN GIUDIZIO SENZA REMORE di M. Micaela Bartolucci (http://sollevazione.blogspot.com/2018/09/ddl-pillon-un-giudizio-senza-remore-di.html)

LupoSciolto°
13-10-18, 19:18
In questi giorni le femministe sono scese in piazza per protestare contro sindaci e assessori comunali veronesi. Dicono che, in quella città, si vuole impedire l'interruzione volontaria della gravidanza. Cazzate da sinistrate o realtà?

LupoSciolto°
13-10-18, 19:21
Tenete conto che ci sono di mezzo le solite burattine di "nonunadimeno" e "me too".

LupoSciolto°
17-10-18, 14:09
In migliaia per la rievocazione della legione romana. Ma le femministe non ci stanno

Un corteo in città e un accampamento a Classe per promuovere la mostra al Mar e il nuovo Museo Classis. La Casa delle Donne: «Connessione tra militarismo e sessismo. Sindaco, perché?»

https://www.ravennaedintorni.it/societa/2018/10/16/legione-romana/?fbclid=IwAR30aeOUM0yywi28OKpuTgujoDHHNEGifuqnfE9J jBScZ5IXckDvs2rBoWI

LupoSciolto°
17-10-18, 14:09
A spaccar pietre!

Sparviero
17-10-18, 20:00
A spaccar pietre!

che ti han fatto di male le pietre?

Lèon Kochnitzky
17-10-18, 23:30
A spaccar pietre!

Ai miei tempi (20 anni fa eh) tutte queste menate non c'erano! Poveri giovani d'oggi

LupoSciolto°
18-10-18, 13:03
che ti han fatto di male le pietre?

E anche tu hai ragione.

LupoSciolto°
18-10-18, 13:08
Ai miei tempi (20 anni fa eh) tutte queste menate non c'erano! Poveri giovani d'oggi

Io non invidio un diciottenne dei giorni nostri. Sarà costretto a fare lavori di merda e a tempo determinato (a volte nemmeno retribuiti). Sarà costretto ad accettare l'immigrazione di massa come "fenomeno positivo". Sarà costretto a sentire i deliri delle pazze femministe o i piagnistei dei dirittoumanisti col culo al caldo. Infine sarà costretto a immagazzinare tonnellate di merda grazie a TV, smartphone, social e altri flagelli massmediateci.

Un mondo di atomi precari e smarriti, ecco quello che il capitale ha edificato.

Benacus
18-10-18, 15:13
1991: 1.900 omicidi.
2016: Meno di 400.

Serve altro per stabilire che non esiste alcuna emergenza e che al contrario il fenomeno si è ridotto a meno di un terzo rispetto a 25 anni fa?

LupoSciolto°
18-10-18, 16:13
1991: 1.900 omicidi.
2016: Meno di 400.

Serve altro per stabilire che non esiste alcuna emergenza e che al contrario il fenomeno si è ridotto a meno di un terzo rispetto a 25 anni fa?

Avresti un link?

Sparviero
18-10-18, 20:35
1991: 1.900 omicidi.
2016: Meno di 400.

Serve altro per stabilire che non esiste alcuna emergenza e che al contrario il fenomeno si è ridotto a meno di un terzo rispetto a 25 anni fa?

"Visto che sono finiti il terrorismo e le guerre di mafia non c'è problema ad importare delinquenti stranieri, no?"
Mona.

Lèon Kochnitzky
18-10-18, 22:54
Io non invidio un diciottenne dei giorni nostri. Sarà costretto a fare lavori di merda e a tempo determinato (a volte nemmeno retribuiti). Sarà costretto ad accettare l'immigrazione di massa come "fenomeno positivo". Sarà costretto a sentire i deliri delle pazze femministe o i piagnistei dei dirittoumanisti col culo al caldo. Infine sarà costretto a immagazzinare tonnellate di merda grazie a TV, smartphone, social e altri flagelli massmediateci.

Un mondo di atomi precari e smarriti, ecco quello che il capitale ha edificato.
Quello è il meno. Il più è lo stravolgimento totale delle identità fondamentali. Non saprai cosa sei, da dove vieni, che tradizioni avevi ecc

LupoSciolto°
19-10-18, 16:36
Quello è il meno. Il più è lo stravolgimento totale delle identità fondamentali. Non saprai cosa sei, da dove vieni, che tradizioni avevi ecc

D'accordo, ma la precarietà e la povertà sono bestie nere.

don Peppe
22-10-18, 18:16
che ti han fatto di male le pietre?

non hanno fato nulla di male, ma per estrarre il carbone dalle miniere dei gulag, scavare il canale del mar baltico, costruire il terrapieno per una nuova linea ferroviaria o compiere altri lavori utili alla società, nell'ambito di un programma di rieducazione, è necessario anche spaccare le pietre


http://2.bp.blogspot.com/-zg6zVvlHqmo/UABrO7ShF1I/AAAAAAAAAG0/hKk7c9kXeM4/s1600/stalin+2.jpg

https://www.istitutostorico.com/sites/default/images/articles/media/221/information_items_142113.jpg

https://www.telegraph.co.uk/content/dam/news/2018/09/11/TELEMMGLPICT000174172241_trans_NvBQzQNjv4Bq-cZgJ2M1SOi2p5-857wdFQQsn7ijl1lepxOmkMJUPq4.jpeg?imwidth=450

http://3.citynews-forlitoday.stgy.ovh/~media/original-hi/64396209155755/gulag.jpg

https://filecdn.tempi.it/wp-content/uploads/2014/11/lavori-forzati-gulag-mar-baltico.jpg

detenuti nel campo di kaviei per la rieducazione di delinquenti, parssiti e nemici del popolo di Kolyma

http://www.ilgiornale.it/sites/default/files/styles/large/public/foto/2017/03/19/1489920716-gulag.jpg


detenute nel campo di lavoro per la rieducazione per delinquenti e nemici del popolo delle isole Solovki

http://gulaghistory.org/nps/onlineexhibit/stalin/women-src/images/womenbarracks_detail.jpg

detenute in un gulag femminile, destinato alla rieducazione ed al recupero sociale di delinquenti, parassiti e nemici del popolo

Lord Attilio
22-10-18, 19:06
Quello è il meno. Il più è lo stravolgimento totale delle identità fondamentali. Non saprai cosa sei, da dove vieni, che tradizioni avevi ecc

Quello te lo garantisce solo la Grande Madrepatria Socialista che ti toglie dalla circolazione pornografia e droghe pesanti e ti mette a darti da fare per rendere grande il tuo popolo. Non certo il post-femminismo individualista.

LupoSciolto°
22-10-18, 19:30
Beh , io non intendevo i gulag...ma per Asia Argento sono pronto a fare un'eccezione :D

Lèon Kochnitzky
22-10-18, 23:31
Quello te lo garantisce solo la Grande Madrepatria Socialista che ti toglie dalla circolazione pornografia e droghe pesanti e ti mette a darti da fare per rendere grande il tuo popolo. Non certo il post-femminismo individualista.

Si si per carità, purtroppo non condivido tutto della Grande Madrepatria Socialista, ma in comune abbiamo la stessa visione etica dello Stato e della comunità. Dirò un'eresia, ma io che provengo teoricamente dalla ex destra sociale, ho più cose in comune con un socialista che con un liberale democratico. (basti vedere che Fusaro gode di simpatie più tra i sovranisti che tra gli arcobalenati)

LupoSciolto°
19-11-18, 20:22
«Gli uomini sono pezzi di m..»: la battuta di Angela Finocchiaro fa infuriare la Lega


https://video.corriere.it/gli-uomini-sono-pezzi-m-battuta-angela-finocchiaro-fa-infuriare-lega/b4b20d1a-ec13-11e8-a70c-410ca07c6063

LupoSciolto°
19-11-18, 20:23
Non solo fa infuriare la Lega, ma tutte quelle persone (donne comprese) che non ne possono più di questo clima di odio creato dai soliti idioti radical shit.

Lèon Kochnitzky
20-11-18, 00:33
la rai adesso non è dei "populisti"?

e che è cambiato?

Sparviero
20-11-18, 03:27
la rai adesso non è dei "populisti"?

e che è cambiato?

Contratti pluriennali, direi.

Lord Attilio
20-11-18, 14:52
la rai adesso non è dei "populisti"?

e che è cambiato?

Foa si è rivelato solo come il baciapile di Salvini. E dire che l'unico cambiamento che mi aspettavo da questo governo era almeno sulla gestione Rai e Foa sembrava in controtendenza, ma va beh...

Tyler Durden
20-11-18, 20:37
Contro il femminismo di regime
di Carlo Formenti

Sull’ultimo numero del 2017, nel suo Almanacco di Filosofia, “MicroMega” ospita la dura polemica che ha opposto, da un lato, lo storico Vojin Saša Vukadinovič e Alice Schwarzer (direttrice di EMMA, rivista storica del femminismo tedesco), dall’altro, la filosofa statunitense Judith Butler e la sociologa tedesca Sabine Hark[i]. Prendendo spunto da letture dissonanti del noto episodio della notte del 31 dicembre 2015, allorché una folla di immigrati musulmani invase il centro di Colonia esercitando molestie sessuali nei confronti delle cittadine tedesche che festeggiavano il capodanno, i due fronti si sono scambiati accuse di razzismo (Butler - Hark contro Vukadinovič - Schwarzer) e di un relativismo culturale giustificatorio, se non complice, nei confronti delle pulsioni maschiliste dell’islamismo (Vukadinovič – Schwarzer contro Butler – Hark). Al netto della virulenza verbale (con insulti reciproci degni di una rissa fra stalinisti e trotskisti), il confronto sollecita una riflessione in merito a ciò che mi pare caratterizzi buona parte del dibattito teorico, tanto nel campo femminista “ortodosso” quanto in quello dei gender studies, vale a dire una sorta di oscillazione fra cattivo universalismo e cattivo relativismo. Cercherò di argomentare quanto appena affermato commentando, oltre che i testi sopra citati, la beffa architettata da Peter Boghossian e James Lindasy ai danni delle derive postmoderne negli studi di genere[ii], alcuni passaggi di un recente libro di Judith Butler[iii], un’intervista rilasciata dalla filosofa Luisa Muraro nel 2016[iv], infine un articolo di Nancy Fraser pubblicato su “Micromega” online[v].
Parto dall’esilarante “fake paper” del duo Boghossian - Lindsay. Si tratta di un testo intenzionalmente delirante che i due hanno sottoposto al vaglio di una rivista “scientifica” di studi di genere, ottenendone la pubblicazione in barba alla bibliografia in larga parte falsa, se non inventata di sana pianta, e all’incredibile florilegio di affermazioni insensate (si va dalla tesi che la postura dei maschi che siedono a gambe larghe è il riflesso di un atteggiamento di “stupro dello spazio vuoto circostante”, alla denuncia della responsabilità del pene come “propulsore concettuale del cambiamento climatico”, in quanto quest’ultimo è l’esito inevitabile “di uno stupro della natura da parte di una mentalità maschile predominante”). Gli autori spiegano di aver tratto ispirazione da un’operazione effettuata anni fa dal fisico Alan Sokal, il quale si proponeva di denunciare l’uso improprio di metafore mutuate dalle scienze naturali da parte degli studiosi postmodernisti di scienze sociali (il bersaglio era il gergo dei cultural studies con particolare riferimento agli studi postcoloniali). Boghossian e Lindsay sostengono che, a far accettare come ovvie verità le insensatezze inserite nel loro testo (alcune delle quali formulate ricorrendo al Generatore Postmoderno, un algoritmo creato da Alan Sokal), è stato il tono “moraleggiante” (leggi: la denuncia della natura intrinsecamente malvagia della mascolinità), mentre aggiungono di non nutrire illusioni in merito all’effetto demistificante della provocazione, in quanto il campo dei gender studies è affetto da dissonanza cognitiva, si fonda cioè su certezze aprioristiche che sfidano ogni smentita empirica. Una di tali certezze coincide con la convinzione secondo cui il pene anatomico avrebbe poco o nulla a che fare, non solo con il genere, ma persino con il sesso.
Contro tale dogma si rivolgono a loro volta Vukadinovič e Schwarzer, mettendo in luce come i teorici del gender facciano derivare dalla consapevolezza della storicità dei ruoli di genere, e dall’assunto che dietro di essi non si darebbero alcuna natura né alcuna realtà, la libera e arbitraria modificabilità degli stessi (costoro, scrive Schwarzer in proposito, “scambiano i propri giochi mentali per la realtà, suggeriscono che ogni essere umano può essere, qui e ora, esattamente quello che sente di essere”). Fin qui siamo nell’ambito del dibattito filosofico. Le cose si surriscaldano e assumono valenza politica laddove Vukadinovič sottolinea come dalle rivendicazioni del diritto a essere ciò che si sente di essere, venga fatta discendere la richiesta di “ripulire” testi accademici e letterari, linguaggio quotidiano, fenomeni sociali e problemi politici di tutto ciò che può essere ritenuto offensivo nei confronti di questo o quel gruppo di “emarginati”, fino all’invito a strappare le pagine dei testi incriminati (quando il politicamente corretto tocca vette che evocano sinistri ricordi dei roghi nazisti di libri). E il calore sale ulteriormente laddove alla Butler viene rimproverato di non avere preso una posizione chiara e netta contro “l’orda di Colonia”, un’ambiguità che la filosofa statunitense giustifica con la necessità di tenere conto dell’esistenza di una differenza culturale che – nella misura in cui venisse ignorata – rischierebbe di far slittare l’indignazione femminista verso l’indignazione razzista.
Per cercare di precisare meglio il punto di vista di Judith Butler – a mio avviso più complesso rispetto a quello esposto dai suoi critici nel contesto appena illustrato, ma soprattutto non omologabile a quello degli esponenti più deliranti della gender theory – preferisco fare riferimento, invece che alla breve replica apparsa su “Micromega” (resa meno efficace dal risentimento nei confronti dei detrattori, che vengono persino accusati di “trumpismo”), a uno dei suoi libri più recenti[vi]. Le critiche che Butler rivolge all’universalismo del femminismo mainstream (facendo riferimento, per esempio, all’appoggio nei confronti delle leggi francesi che puniscono le donne che indossano il velo) prendono le mosse dalla convinzione che le donne dovrebbero riconoscere: 1) che esse non sono l’unico segmento di popolazione esposto a condizioni di precarietà e di privazione dei diritti; 2) che la popolazione sussumibile sotto la denominazione minoranze di genere e sessuali (quindi non solo le donne ma la comunità LGBTQ) è differenziata al proprio interno in termini di classe, razza, religione, appartenenze comunitarie linguistiche e culturali. Da questa duplice presa d’atto, viene fatta derivare un’importante conseguenza politica: il movimento femminista dovrebbe diffidare delle forme di riconoscimento pubblico (riconoscimenti, aggiungo io, che oggi gli piovono generosamente addosso da partiti e governi di centro, destra e sinistra, media, canzoni, film, programmi televisivi, aule parlamentari e di tribunale, ecc.) soprattutto se e quando tali riconoscimenti servono a deviare l’attenzione dal massiccio disconoscimento dei diritti di altri soggetti. In conclusione: se Butler parla della necessità, in casi come quello della notte di Colonia, di trovare il modo di portare avanti un discorso antisessista che sia al tempo stesso antirazzista, non lo fa per negare la gravità dell’episodio, bensì perché si ritiene impegnata a indagare le vie attraverso le quali “a precarietà potrebbe operare come luogo di alleanza fra gruppi di persone che, al di là di essa, hanno poco in comune, o tra i quali c’è talvolta persino diffidenza o antagonismo”.
Non discuterò qui le strategie politiche che, secondo Butler, dovrebbero consentire di costruire tale alleanza (personalmente non le condivido, e in ogni caso non sono qui il tema principale). Sta di fatto che, almeno a mio parere, la sua critica a un certo cattivo universalismo coglie nel segno. Nel mio ultimo libro[vii], riferendomi agli attentati terroristici effettuati da immigrati di terza e quarta generazione in Francia, ho a mia volta sostenuto la necessità di non appiattirsi sul coro delle esecrazioni contro il fanatismo islamico in nome dei “valori universali” incarnati dalle democrazie occidentali[viii], rimuovendo, fra gli altri fatti: 1) che molti di quei ragazzi non solo non erano stati assidui praticanti religiosi fino a poco prima di commettere attentati, ma avevano condotto vite simili a quelle dei coetanei occidentali; 2) che in molti casi avevano vissuto esperienze radicali di esclusione e marginalità, alle quali, non solo le élite dominanti, ma nemmeno le sinistre tradizionali avevano saputo offrire risposte; 3) che la scelta di luoghi di consumo e divertimento come bersagli rispecchiava la frustrazione per la loro condizione di esclusi per cui poteva essere letta anche come espressione di un odio di classe (rafforzato dal conflitto razziale) “pervertito” in fanatismo religioso. Ciò non ha nulla a che fare con una “giustificazione” del terrorismo, così come penso che l’invito della Butler di andare al di là dell’esecrazione contro “l’orda di Colonia” non abbia nulla a che fare con una giustificazione della violenza maschilista. Il problema di un certo cattivo universalismo femminista deriva a mio parere dall’eredità che il femminismo degli anni Sessanta - Settanta ha mutuato dalla visione delle sinistre neomarxiste, mettendo in atto una sorta di slittamento dalla classe operaia al genere femminile come incarnazioni dell’interesse generale dell’umanità. Questa visione – variamente trasfigurata – si è perpetuata fino ai giorni nostri in barba alla progressiva disarticolazione delle strutture e delle identità sociali, fino all’attuale frammentazione di soggettività economiche, politiche, ideologiche, culturali, religiose, etniche, sessuali, ecc. Ma la sua riproposizione in condizioni storiche mutate finisce di fatto per sposare i valori dell’universalismo borghese occidentale, con la conseguenza di tracciare confini amico/nemico semplificati, che neutralizzano il groviglio di antagonismi sempre più complessi e intrecciati cui ci troviamo di fronte.
Tutto questo significa che la ragione sta tutta dalla parte di Judith Butler, mentre gli argomenti dei suoi critici sono inconsistenti? Assolutamente no, perché – ancorché più sofisticata di altri e altre esponenti della teoria gender – la visione della Butler incarna l’altro corno della contraddizione che richiamavo poco sopra, vale a dire quello del “cattivo relativismo”. Criticando l’universalismo femminista, la Butler rivendica infatti la propria opposizione a “un pensiero che astrae dalla persona nella sua individualità e dalle circostanze in cui si colloca”. Ma tale affermazione conferma che ci troviamo di fronte al tentativo “estremo e individualistico”, per usare le parole di Luisa Muraro[ix], di assumere nell’identità personale qualunque identità. L’esaltazione delle “singolarità” - che accomuna i gender studies alle correnti mainstream delle teorie postcoloniali, delle filosofie poststrutturaliste e del postoperaismo – è infatti un tratto caratterizzante di quel pensiero “americanizzato” che tende a neutralizzare le differenze <<forti>> – di classe, genere, etnia, religione, ecc. – sostituendole con la galassia delle microidentità, che vengono fatte proliferare fino a coincidere, appunto, con la singola persona. Riferendosi agli effetti politici delle concezioni egemoni nel campo delle teorie del gender, Muraro ha dichiarato: “è da tanto tempo che mi porto dietro l’idea che si procedesse nella direzione di far fuori la differenza sessuale irriducibile alla logica del capitalismo finanziario”[x]. Tornerò più avanti – discutendo le tesi di Nancy Fraser – su questa tendenza alla neutralizzazione della differenza sessuale da parte del modo di produzione tardocapitalista -, per ora mi limito a sottolineare la lucidità con cui Muraro coglie la contraddizione di un femminismo che, mentre punta alla parità togliendo di mezzo la differenza sessuale in quanto la ritiene la maggior fonte di discriminazione a danno delle donne, non sembra rendersi conto del fatto che “la parità è un concetto mutilante”, e che il carattere delle libertà civili “ha in sé qualcosa di intrinsecamente discriminatorio” che non può essere corretto dall’equiparazione. Il “travestitismo generalizzato” promosso dalla sistematica sostituzione del linguaggio sessuato con il linguaggio gender, rincara Muraro, appare del tutto funzionale ai rapporti di potere che si illude di scalzare (soprattutto perché – chioserei io – una volta frantumate nel pulviscolo delle singolarità, le soggettività antagoniste non sono più in grado di costruire alleanze politiche, in barba ai discorsi di Negri sulla fantomatica “moltitudine” o di Butler sulla non meno fantomatica “alleanza dei corpi”).
Chiudo questa prima parte del mio intervento, ricordando che l’intervista da cui ho tratto le citazioni da Luisa Muraro risale al periodo in cui la filosofa aveva pubblicamente denunciato il business della maternità surrogata come un attacco diretto alla relazione materna, beccandosi (a conferma della furia censoria sopra denunciata da Vukadinovič) l’accusa di “seminare odio contro gli omosessuali”. Sempre in quella occasione, aveva affermato, a proposito dell’illusione di poter scegliere arbitrariamente di essere quello che si vuole/crede di essere: “Cos’è la differenza sessuale? È la vita stessa. Ben prima che apparissero gli esseri umani la vita si è biforcata in maschio e femmina. Vogliamo cancellare questa cosa o la vogliamo tradurre in cultura? Io dico: non buttiamoci sulla differenza sessuale secondo le interpretazioni che di essa abbiamo ereditato. Poniamoci davanti, in tutta tranquillità e libertà, il problema che noi siamo esseri radicati nella vita naturale e la sessualità è eredità che la natura ci affida (sottolineatura mia). Non rimuoviamo questa evidenza e andiamo avanti, al di là di ogni stereotipo, a interpretarla culturalmente”[xi].
Intendo ora spostare il discorso su un piano meno filosofico e più politico. Il momento di rilancio che il movimento femminista sta vivendo grazie alle mobilitazioni promosse dalle militanti di “Non una di meno” sembra avere rimesso al centro dell’attenzione i temi del lavoro, riattivando la vocazione anticapitalista del femminismo anni Sessanta/Settanta. Una vocazione che era andata esaurendosi, sia perché la lotta per l’acquisizione di diritti individuali e civili nell’ambito del sistema esistente aveva preso il posto della lotta al sistema in quanto tale, sia perché si assumeva che lottare contro il patriarcato implicasse automaticamente lottare contro il capitalismo (tornerò più avanti sull’insostenibilità di questa identificazione fra sistema patriarcale e sistema capitalistico). Il ritorno di temi e obiettivi chiaramente anticapitalisti al centro della cultura e della pratica femministe è un evento di grande peso politico, ma finora tale svolta non è coincisa con l’abbandono di temi, obiettivi e valori tipici del femminismo identitario, emancipazionista-paritario nonché della cultura “genderista” di cui ho cercato di evidenziare limiti e contraddizioni. La domanda è: esistono, all’interno del campo femminista, punti di vista teorici in grado di superare tali contraddizioni, contribuendo a creare le premesse per la costruzione di un blocco sociale anticapitalista che non può prescindere dall’apporto del movimento delle donne? Credo si possa rispondere positivamente, grazie al lavoro di una serie di autrici che stanno gettando le basi di un nuovo “femminismo socialista” di cui Nancy Fraser rappresenta, a mio parere, l’esponente più significativa[xii]. Sintetizzerò qui di seguito alcune sue tesi, concentrando l’attenzione sull’articolo di “MicroMega” citato in apertura.
Il nodo centrale attorno al quale si sviluppa la riflessione di Fraser nel testo in questione è l’estensione del concetto di crisi capitalistica, estensione che avviene integrando nell’idea di crisi capitalistica generale il concetto di “crisi della cura”. Si tratta di un’operazione che comporta, da un lato, il superamento delle interpretazioni “economiciste” della società capitalista, dall’altro lo spostamento delle contraddizioni principali del sistema all’esterno del modo di produzione e delle relazioni di mercato (Fraser richiama in particolare l’attenzione sulla contraddizione che si genera al confine fra produzione e riproduzione). Si potrebbe osservare che lo spostamento delle radici della crisi al di fuori della sfera della produzione e del mercato non è una novità. In merito basti citare: 1) la tesi di Polanyi[xiii] sul carattere anomalo del capitalismo, in quanto unica formazione sociale che abbia tentato di fondare l’intero sistema delle relazioni umane sullo scambio mercantile, tesi che interpreta le crisi come effetto, non tanto e non solo delle contraddizioni immanenti al modo di produrre, quanto del conflitto fra capitalismo e mondi della vita (i quali lottano per la sopravvivenza manifestando la propria irriducibile estraneità alle relazioni economiche); 2) la tesi di Rosa Luxemburg[xiv] secondo cui l’accumulazione capitalistica può avvenire solo grazie allo sfruttamento di strati sociali, Paesi, attività e relazioni umane ad essa esterne (tesi che presenta analogie con quelle dei teorici dello scambio ineguale centro-periferia[xv]); 3) la rilettura della categoria gramsciana di egemonia da parte del filosofo argentino Ernesto Laclau[xvi], il quale propone di sostituire il concetto di modo di produzione con quello di “formazione egemonica”, concetto fondato sull’idea che l’antagonismo non sia interno ai rapporti di produzione ma abbia luogo fra i rapporti di produzione e qualcosa di esterno ad essi; 4) infine va ricordato che lo stesso femminismo degli anni Sessanta e Settanta aveva richiamato l’attenzione sulla sfera riproduttiva come presupposto indispensabile all’esistenza del modo di produzione capitalista. Tuttavia l’approccio di Fraser, pur presentando analogie con le tesi appena elencate, ha il merito di proporre una versione originale della coppia oppositiva dentro/fuori.
Come Polanyi, Fraser sostiene che, fin dall’inizio, la società capitalistica ha separato il lavoro di riproduzione sociale dal lavoro di produzione economica. Il primo si svolge al di fuori del mercato – nelle case, nei quartieri, nelle reti informali e nelle istituzioni pubbliche - e solo in minima parte assume la forma del lavoro salariato. Al tempo stesso, come Luxemburg e altri, sostiene che queste attività “non economiche”, rappresentano una precondizione dell’esistenza stessa del sistema economico. Tuttavia, aggiunge, la propensione del capitalismo all’accumulazione illimitata tende a destabilizzare i processi di riproduzione sociale da cui pure dipende, ed è appunto da questa contraddizione antagonistica - che si colloca sul confine che separa e unisce al tempo stesso produzione e riproduzione - che nasce la “crisi della cura”, una crisi che assume modalità e intensità inedite nel contesto dall’attuale capitalismo finanziarizzato. Per afferrare meglio il senso dell’ultima affermazione, occorre seguirla nel suo tentativo di distinguere fra tre differenti fasi storiche del moderno sviluppo capitalistico. Il capitalismo liberale del secolo XIX lascia alle classi lavoratrici il compito di riprodursi autonomamente al di fuori del circuito mercantile. In questa fase le sfere produttiva e riproduttiva si separano e vengono rispettivamente affidate al lavoro salariato maschile e al lavoro gratuito delle donne. Il sistema capitalistico regolato dallo Stato del XX secolo “re-internalizza” la riproduzione sociale attraverso le istituzioni del welfare, il “salario familiare” sostituisce il salario dei capifamiglia, anche se le relazioni di subordinazione femminile restano più o meno immutate. L’attuale capitalismo finanziarizzato e globalizzato arruola in massa le donne nella forza lavoro salariata, promuove lo smantellamento del welfare e ri-esternalizza il lavoro di cura nelle famiglie – ora divenute bi-reddito - e nelle comunità, ma al tempo stesso diminuisce radicalmente la capacità di queste ultime di sostenerlo (a parte le minoranze di coloro che possono permettersi di mercificarlo). “Se il regime precedente alleava la mercatizzazione con la protezione sociale contro l’emancipazione, scrive Fraser, questo genera una configurazione anche più perversa, in cui l’emancipazione si unisce alla mercatizzazione per indebolire la protezione sociale”[xvii].
È proprio cogliendo questa combinazione perversa di emancipazione e mercatizzazione che Fraser offre quello che forse è il suo contributo più importante all’analisi delle contraddizioni del capitalismo contemporaneo. La “perversione” è il frutto della convergenza fra la “guerra di classe dall’alto” - per usare le parole di Luciano Gallino[xviii] - del capitale contro le ridotte capacità di resistenza della forza lavoro dei paesi occidentali e le rivendicazioni dei nuovi movimenti sociali (femministe, ecologisti, LGBTQ, ecc.) i quali, sostiene Fraser riprendendo e approfondendo le tesi di Boltanski e Chiapello[xix] , hanno dato vita a un paradossale “neoliberismo progressista” che celebra la diversità, la meritocrazia e l’emancipazione mentre accetta o addirittura considera come positivo lo smantellamento delle forme di protezione sociale tipiche della precedente fase capitalistica. La critica contro ogni tipo di gerarchia – di sesso, genere, etnia, razza e religione – viene fatta propria da un capitalismo gauchiste che si incarna nelle imprese della Silicon Valley, nell’industria culturale di Hollywood e nelle produzioni immateriali di servizi avanzati, mentre trova espressione politica nei Democratici alla Clinton, nel New Labour di Tony Blair e nelle sinistre socialdemocratiche europee. Al tempo stesso la rabbia delle classi subalterne che, abbandonate dai loro rappresentanti storici, si rivolgono ai populismi di destra, viene liquidata con disprezzo come fascista, razzista e sessista da questa sinistra sex and the city.
Questo equivoco connubio, aggiungerei, esercita tuttora un’influenza negativa anche nei confronti di quell’ala femminista che pure, come sopra ricordato, sta riscoprendo i temi della lotta anticapitalista, nella misura in cui l’immaginario del “femminismo di regime” - come l’ho definito nel mio ultimo libro[xx], contribuisce a dirottare l’attenzione e le energie verso una lotta al “patriarcato” che suona anacronistica nel contesto di una società capitalista il cui immaginario dominante, scrive la Fraser, “è liberale-individualista ed egualitarista rispetto al genere: le donne sono considerate uguali agli uomini in ogni sfera, meritevoli di uguali opportunità per realizzare i loro talenti, compreso – forse in modo particolare – nella sfera della produzione. La riproduzione, per contro, appare come un residuo arretrato, un ostacolo al progresso da eliminare, in un modo o nell’altro, nella strada verso la liberazione”. Liberazione di chi? Dietro l’aura “femminista” dell’attuale società capitalista avanzata si nasconde non tanto la disparità salariale e di opportunità di carriera (prodotto di una strategia di divisione fra lavoratori più che del permanere di pregiudizi di genere), quanto il permanere d’una separazione produzione-riproduzione su basi di genere che non riguarda più le famiglie della middle class e gli strati superiori del proletariato dei Paesi occidentali, bensì le lavoratrici migranti “importate” dalle nazioni povere. “Lungi dal colmare il divario della cura, l’effetto netto è di delocalizzarlo – dalla famiglie più ricche alle più povere, dal Nord globale al Sud globale”. Si potrebbe dire che, da un lato, il capitalismo come forma sociale “pura” - così come è evoluto nei suoi centri storici – non ha di per sé alcuna relazione necessitante con le gerarchie di genere: ha convissuto con il patriarcato finché questo è stato funzionale alla sua autoriproduzione, ma oggi può farne tranquillamente a meno (potrebbe persino convivere con inedite forme di matriarcato, anche se la verità è – vedi sopra quanto affermato da Luisa Muraro – che il suo interesse ultimo sarebbe la neutralizzazione della differenza sessuale e dei suoi effetti destabilizzanti). Dall’altro lato, nella misura in cui non può sopravvivere senza attingere risorse di ogni tipo (naturali, umane, cognitive, ecc.) al proprio esterno, è costretto a tenere in vita il patriarcato esternalizzandolo, esattamente come esternalizza la produzione materiale verso i Paesi in via di sviluppo.
A mo’ di conclusione non mi resta che auspicare che le analisi di Nancy Fraser funzionino da riferimento teorico per le correnti anticapitaliste interne al femminismo, aiutandole a ricavarsi un ruolo egemonico nel movimento delle donne e a contenere l’influenza delle correnti “emancipazioniste” e dell’estremismo “genderista” (che funzionano da vie di penetrazione dell’immaginario neoliberista nel movimento). Aggiungo solo alcune brevi considerazioni sul contributo che un approccio come quello della Fraser può dare al superamento di quella oscillazione fra cattivo universalismo e cattivo relativismo di cui mi sono occupato nella prima parte. Da un lato, tematizzare le contraddizioni alto/basso, centro/periferia, produzione/riproduzione che attraversano i confini di genere implica superare qualsiasi concezione dell’universalità come dato apriori, ascrivibile a questo o a quel soggetto di classe, genere, sesso, razza, etnia, religione ecc. per assumere viceversa l’universale come prodotto di una costruzione politica o, per usare le parole di Laclau, di un “processo di universalizzazione egemonica”. Al tempo stesso, consente di non cadere in una visione “orizzontalista” dei conflitti che metta sullo stesso piano tutte le rivendicazioni di riconoscimento identitario – associate alla progressione insensata e illimitata dei “diritti” di una miriade di sottoculture –, per costruire invece l’unità delle soggettività antagoniste nella contrapposizione contro un nemico comune che altri non può essere se non il sistema di dominio e sfruttamento capitalistico.


NOTE:

[i] Cfr. <<MicroMega>> 8/2017 pp. 175 – 197
[ii] Cfr. Il pene concettuale come costrutto sociale, in <<MicroMega>> 6/2017, pp. 225 – 249.
[iii] J. Butler, L’alleanza dei corpi, nottetempo, Milano 2017.
[iv] Cfr. La sacra differenza. Intervista a Luisa Muraro, http://www.tempi.it/sacra-differenza-intervista-a-luisa-muraro
[v] N. Fraser, Contraddizioni del capitale e del ‘lavoro di cura’ Contraddizioni del capitale e del ?lavoro di cura? » Il rasoio di Occam - MicroMega (http://ilrasoiodioccam-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/2017/12/11/contraddizioni-del-capitale-e-del-%E2%80%98lavoro-di-cura%E2%80%99/)
[vi] L’alleanza dei corpi, cit.
[vii] C: Formenti, La variante populista, DeriveApprodi, Roma 2016.
[viii] Fra gli altri, anche Mario Tronti ha preso le distanze dagli inviti a convergere tutti sotto le bandiere dei valori occidentali. Cfr. Dello spirito libero, il Saggiatore, Milano 2015.
[ix] Cfr. intervista citata in nota IV.
[x] Ivi.
[xi] Ivi.
[xii] Cfr. fra le altre, A. Iris, D’Atri, Il pane e le rose. Femminismo e lotta di classe, Red Star Press, Roma 2106; N. Fraser, Fortune of feminism. Verso, London-New York 2014; S. Federici, Il punto zero della rivoluzione. Lavoro domestico, riproduzione e lotta femminista, ombre corte, Verona 2014.
[xiii] Cfr. C. Polanyi, La grande trasformazione, Einaudi, Torino 1974.
[xiv] Cfr. R. Luxemburg, L’accumulazione del capitale, Einaudi, Torino 1960
[xv] Mi riferisco, fra gli altri, ai lavori di Samir Amin, Gunder Frank, Giovanni Arrighi, Emmanuel Wallerstein.
[xvi] Laclau sviluppa il concetto della società capitalistica come formazione egemonica soprattutto nel suo ultimo libro: Le fondamenta retoriche della società, Mimesi, Milano 2017.
[xvii] Contraddizioni del capitale…op. cit.
[xviii] Cfr. L. Gallino, La lotta di classe dopo la lotta di classe, Laterza, Roma-Bari 2012.
[xix] Cfr. L. Boltanski – E. Chiapello, Il nuovo spirito del capitalismo, Mimesis, Milano 2014.
[xx] Cfr. La variante…op. cit.

Contro il femminismo di regime » Il rasoio di Occam - MicroMega (http://ilrasoiodioccam-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/2018/01/19/contro-il-femminismo-di-regime/)

LupoSciolto°
21-11-18, 18:07
Bentornato Tyler! Buon articolo.

don Peppe
21-11-18, 18:11
Cara Angela Finocchiaro - l'interferenza (http://www.linterferenza.info/in-evidenza/cara-angela-finocchiaro/?fbclid=IwAR3spg9VOLoPT8g-o3ACNhr3I8I4-47NdgwwEPUlqpPIAcxyZm7H8dn-mAc)

Cara Angela Finocchiaro
Francesco Toesca • 20 novembre 2018 • 16 Commenti

Cara Angela,

Mi chiamo Francesco Toesca e voglio ricordarti in due parole cos’è l’abuso di potere, o l’abuso di posizione dominante.

Quando un datore di lavoro sfrutta un operaio sottopagandolo, mentre l’operaio non può ribellarsi e non può fare altrettanto nei suoi confronti, c’è abuso di potere. Quando quattro poliziotti picchiano a sangue un sospettato, mentre il sospettato non può fare altrettanto con loro, c’è abuso di posizione dominante. Quando un presentatore in tv può insultare qualcuno, e quel qualcuno non può difendersi o fare altrettanto, c’è abuso di potere, e cosi via.

Ora, il fatto che tu, donna, possa permetterti di dire ciò che hai detto e ricevere applausi mentre io, uomo, mai potrei fare lo stesso verso le donne (ammesso di averne l’intenzione…), è abuso di potere. E non tanto perché sei in TV ma proprio perché sei donna. Ovunque, in qualsiasi sede, tu puoi insultarmi, puoi essere sessista, io no. Io passo i guai, tu prendi applausi, presenti fattura, fai carriera, diventi famosa. Io se va bene finisco in mezzo ad una strada.

Il tuo programma può insultare gli uomini, il programma della Perego non può dire che le donne straniere sono migliori di quelle italiane. Per aver “criticato” le donne, quel programma venne chiuso. Il tuo, se insulta gli uomini, va avanti. Se io scrivo la tua stessa parola su un social, vengo bannato. Se tu la dici in tv, contro tutti gli uomini, ti applaudono e ti pagano. Chi detiene quindi il potere, io o tu?

Ecco, questo è il tuo, il vostro abuso di potere.

Saggio è colui che amministra il potere con equilibrio, malvagio è colui che ne abusa.

Ora, tre domande:

Il tuo abuso di potere, la tua oggettiva posizione di genere dominante (in quanto può permettersi di tutto senza pagare conseguenze) sul mio (che non può fare altrettanto), non ti dice niente sugli equilibri di potere uomo-donna oggi? Non ti fa riscrivere nemmeno una frase nel capitolo “Tutte le donne sono oppresse dagli uomini”?
La tua aggressività insultante non ti fa riflettere sul fatto che la violenza non è solo degli uomini, ma semmai appartiene all’umanità tutta? Le tue guerre, personali o di genere, non fanno di te e di alcune voi, delle guerrafondaie? Sei proprio sicura che solo gli uomini vengano da Marte? Non sarà mica che le guerre nelle quali gli uomini sono da sempre stati spediti a morire appartengono anche a voi donne?
Se la tv – come i giornali, il cinema, la letteratura e l’arte – è espressione di una cultura, sei proprio sicura che la cultura dominante sia maschilista? Mi sai citare un programma dove si possa impunemente dire che “le donne sono tutte delle merde, soprattutto tua madre”? Tu lo hai fatto. Chi rappresenta la cultura, dunque, tu donna che fai tv e che puoi insultarmi, o io uomo che verrei processato? Qual è il messaggio che la società incoraggia, il tuo o il mio? Chi fa la nostra cultura, tu od io?



Insomma, per abusare del potere, lo devi avere; e se ne abusi, significa che lo hai. Ecco, ciò che mi fa schifo ancora di più dei tuoi insulti, è il tuo abuso di potere esercitato con l’alibi di essere un’oppressa. Un doppio insulto, inaccettabile.


https://www.youtube.com/watch?v=cK5pmR3LyHg

LupoSciolto°
21-11-18, 19:55
Perfettamente d'accordo con l'Interferenza.

Lord Attilio
25-11-18, 15:29
Questa piaga di #nonunadimeno ha scassato u' cazzo...

Lèon Kochnitzky
25-11-18, 17:34
Ho messo due secondi Raiuno, e per carità. Immaginate l'argomento. metti il tg5, idem. metti studio aperto, pure.

L'orrore.
Odio questa società del cazzo.

Kavalerists
25-11-18, 18:22
Ho messo due secondi Raiuno, e per carità. Immaginate l'argomento. metti il tg5, idem. metti studio aperto, pure.

L'orrore.
Odio questa società del cazzo.

Per fortuna mi piace il calcio,e seguo altro...
Da notare che seguendo i vari campionati, tipo spagnolo e inglese, non ho notato nessun giocatore con la "macchia rossa" di adesione a sta stronzata sulla faccia, solo in Italia... ovviamente imposta dalla FIGC, immagino, e zerbinescamente accettata da tutte le società.

Sparviero
25-11-18, 19:41
Suggerisco una legge che renda obbligatorio fare le pernacchie a chiunque usi il termine femminicidio.

Si chiama OMICIDIO, capre.

LupoSciolto°
25-11-18, 19:59
Dunque, ieri mi son visto un bel concerto e ora sto guardando i video che ho girato. Oggi non aprirò la pagina de "Il Fatto" e , a tavola, non accenderò la tv nemmeno per un nanosecondo.

Lèon Kochnitzky
25-11-18, 20:06
Io la tele non la guardo con interesse da anni.

RibelleInEsilio
29-11-18, 05:12
Premessa: prendo PN come una delle tante fonti, con tutte le riserve del caso.

Donne soldato in prima linea? Meglio di no, ecco perchè

https://www.ilprimatonazionale.it/cronaca/donne-soldato-prima-linea-meglio-no-perche-70845/

Sparviero
29-11-18, 16:17
Le differenze di forza fisica (specialmente nella parte superiore del corpo), nonché i problemi di coabitazione bastano ed avanzano a cestinare ideucole del genere, direi.

LupoSciolto°
29-11-18, 16:40
Pure le femministe marxiste sono contrarie

contro la leva per le donne (http://www.tightrope.it/user/chefare/archivcf/cf51/rifleva.htm)

don Peppe
30-11-18, 01:15
Le differenze di forza fisica (specialmente nella parte superiore del corpo), nonché i problemi di coabitazione bastano ed avanzano a cestinare ideucole del genere, direi.

ci sono innegabili differenza che rendono difficile alle donne di combattere in prima linea, ma i redattori del primato nazionale, fanno finta di dimenticare del milione di donne sovietiche che hanno combattuto come volontarie durante la guerra di cui trecentoventimila in prima linea,di cui 320.000 combatterono in prima linea, a cui conferite 150.000 decorazioni tra cui 91 Stelle d’oro da Eroe dell’Unione Sovietica, ed hanno contribuito non poco a cacciare a calci in culo i beniamini dei redattori del primato nazionale e del loro partito di riferimento, ed arrivare fino a Berlino

https://static.boredpanda.com/blog/wp-content/uploads/2017/04/20soviet-female-snipers-colourised-photos-20.jpg

Lyudmila Pavlichenko, cecchina sovietca, uccise trecento nemici in un anno

https://i.pinimg.com/originals/46/30/8b/46308bb3c1c892f2bc1813dc10cae1d6.jpg

Ziba Ganiyeva, cecchina, spia e radiofonista, mezza azera e mezza uzbeka, si distinse per eroismo durante la difesa di Mosca, quando oltrepassò e tornò dalle linee nemiche per sedici volte

https://noicomunisti.files.wordpress.com/2016/06/143e99bed08bcde42c36543153cad7e5.jpg

artigliere antiaeree, la difesa contraerea a Mosca, Stalingrado e Leningrado fu affidata essenzialmente a donne, le settantacinque artigliere del reggimento di artiglieria contaerea femminile a cui fu affidata la difesa dell'aereoporto di Stalingrado pur essendo state tagliate fuori dalle linee sovietiche, riuscirono a resistere per due giorni ad un attacco tedesco, distrugendo trentatrè carri armati tedeschi, pur dispondendo solo di cannoni antiaerei con proiettili a frammentazione, poco adatti contro i mezzi corazzati, pochissime di loro riuscirono a salvarsi, quaranta di loro catturate dai tedeschi furono gettate in un pozzo ancora vive

https://cdni.rbth.com/rbthmedia/images/web/it-rbth/images/2015-05/top/TASS_1209777_952.jpg

http://www.magzine.it/wp-content/uploads/2018/05/una-donna-770x360.jpg

https://prensapcv.files.wordpress.com/2014/11/brujas-nocturnas-imag.jpg?w=474&h=306

588° reggimento bombardamento notturno, meglio noto come le streghe della notte, interamente composto da donne, che prima della guerra erano semplici lavoratrici, quasi sempre di umile origine, iscritte all'aereoclub, cosa che nei paesi capitalisti è un lusso per pochi benestanti, ma in Unione Sovietica era alla portata di tutti, guidando di notte rudimentali biplani con telaio in legno e copertura di tela, che avevano una velocità massima di 150 km/h. orientandosi solo con la bussola ed il goniometro, furono il più grande incubo degli invasori tedeschi, il primato nazionale probabilmente non le cita, poiché le loro gesta eroiche, fanno ancora bruciare il culo ai suoi redattori ed ai militanti del suo partito di riferimento, oltre a contraddire l'assurda affermazione della recente propaganda anticomunista, secondo cui i sovietici combattevano per paura che i comunisti nelle seconde linee li saparassero come disertori

Sparviero
30-11-18, 01:20
Quella era una situazione di emergenza nazionale per l'Unione Sovietica che aveva bisogno di tutta la manodopera possibile per affrontare la Germania, non mi pare che ci troviamo in un contesto simile.

E comunque l'epoca della guerra di massa è passata.

don Peppe
30-11-18, 01:34
http://78.media.tumblr.com/3d760736572e9bc919101b03860dde46/tumblr_nlmiwvjR4u1rj6mfgo1_250.jpg



https://img-9gag-fun.9cache.com/photo/axDp2MY_700b.jpg


https://www.youtube.com/watch?v=8NeONQlq57k

lasciando da parte le donne che hanno combattuto in guerra con l'armata rossa, verso cui per ovvie ragioni non posso essere considerato al di sopra delle parti, parlando di donne che hanno combattuto in prima linea, ci sono le donne samurai che al comando di Nakano Takeko armate di naginata, combatterono eroicamente per difendere lo shogunato contro l'esercito imperiale fantoccio degli usa

Lèon Kochnitzky
30-11-18, 02:02
Mi spiace ma sta volta sono d'accordo con don Peppe. Io sono a favore delle donne nelle milizie, e d'altronde il fiumanesimo insegna come ciò sia possibile. Differenze? certo, ci sono. Ma per me ogni cittadino (e quando dico ogni, intendo proprio ogni, a me non che non abbia gravi problemi) deve compartecipare alla difesa della comunità. Anche dal più minimo contributo in forme d'assistenza o segretariato...

Lord Attilio
30-11-18, 03:39
Pure le femministe marxiste sono contrarie

contro la leva per le donne (http://www.tightrope.it/user/chefare/archivcf/cf51/rifleva.htm)

Sì però solo perché è un esercito borghese, dicono.

Lord Attilio
30-11-18, 03:43
Mah, alla fine nella guerra moderna la forza fisica conta meno che in passato. In realtà qualsiasi persona con un fucile, qualche rovina e un po' di esplosivo è in grado di dare un bel grattacapo anche ad un esercito molto addestrato. Insomma, mica parliamo della falange macedone...

Sparviero
01-12-18, 01:22
Mah, alla fine nella guerra moderna la forza fisica conta meno che in passato. In realtà qualsiasi persona con un fucile, qualche rovina e un po' di esplosivo è in grado di dare un bel grattacapo anche ad un esercito molto addestrato. Insomma, mica parliamo della falange macedone...

Se vuoi fare la guerriglia, d'accordo (circa).
Se parli dell'esercito regolare, sogni.

P.S.: Lo sapevi che i soldati di Alessandro o Cesare avevano a che fare con carichi molto meno pesanti di quelli moderni? Sapevilo.

LupoSciolto°
01-12-18, 17:03
Qualcuno dia un pene a Michela Murgia. E' urgente!

https://ilsarrabus.news/lintervento-colpevole-perche-maschio-la-nuova-trovata-di-michela-murgia-va-presa-sul-serio/

Sparviero
01-12-18, 17:05
Qualcuno dia un pene a Michela Murgia. E' urgente!

https://ilsarrabus.news/lintervento-colpevole-perche-maschio-la-nuova-trovata-di-michela-murgia-va-presa-sul-serio/

piuttosto mi faccio ricchione, quasi

LupoSciolto°
01-12-18, 17:08
piuttosto mi faccio ricchione, quasi

Era un appello rivolto a candidati estremamente coraggiosi :glee:

don Peppe
05-03-19, 00:48
8 marzo: "Cattivi sono i tempi in cui si deve difendere l'ovvio" - l'interferenza (http://www.linterferenza.info/attpol/8-marzo-cattivi-tempi-cui-si-deve-difendere-lovvio/?fbclid=IwAR1NRd3N0AniwxJlA0MGRHDWKTYqR8Q4WjyI0Gt-jm9MXY3zNiFArdgTkMs)



Attualità e Politica
8 marzo: “Cattivi sono i tempi in cui si deve difendere l’ovvio”
Fabrizio Marchi • 4 marzo 2019 • 0 Commenti

“Cattivi sono i tempi in cui si deve difendere l’ovvio” (B. Brecht)

Ed eccomi qui a commentare, mio malgrado (vorrei tanto, credetemi, dedicarmi ad altro…), la scontata, che più scontata non si può, liturgia di una sinistra che si definisce “antagonista” ma che ripete come un disco rotto gli stessi mantra che vengono ripetuti quotidianamente e sistematicamente da tutti i media, da “sinistra” a destra passando per il “centro” (una categoria politica che in realtà non esiste né è veramente mai esistita…).

L’USB (Unione Sindacale di Base) ha promosso uno sciopero delle lavoratrici e dei lavoratori, questi ultimi chiamati a scioperare contro la condizione di privilegio di cui godrebbero (?!).

Infatti, come si legge in questo passaggio del documento dell’USB https://confederazione.usb.it/index.php?id=20&tx_ttnews[tt_news]=107826&cHash=1feec2341f&MP=63-552 “L’impronta pesantemente familistica…nega ancora alle donne quel diritto all’autodeterminazione che deriva dalla disponibilità di risorse economiche individuali legandole così, con doppio laccio a quel partner che spesso coincide con il soggetto maltrattante”.

Viene quindi riproposto (non è certo una novità) il teorema in base al quale le donne (concetto generico e sessista per definizione, come se le donne appartenessero tutte ad un’unica “categoria” o classe sociale…) sono sempre e comunque oppresse e discriminate e la violenza di cui alcune di loro sono vittime sarebbe il risultato di una oppressione generalizzata e sistematizzata degli uomini sulle donne (sorge spontaneo chiedersi qual è, a questo punto, l’origine e la causa della violenza agita dalle donne su altre donne, sui minori e anche sugli uomini, ma probabilmente ci risponderebbero che si tratta di donne che hanno interiorizzato la cultura maschilista e patriarcale…). E viene, ovviamente, ribadito il concetto in base al quale gli uomini, in quanto tali, sarebbero in una condizione di privilegio e di dominio, per il solo fatto di appartenere al genere “privilegiato” (dal momento che tuttora, secondo loro, il sistema capitalista sarebbe a dominio maschilista e patriarcale, il che denota, a dire poco, un ritardo nell’analisi della realtà di proporzioni macroscopiche…), cioè quello maschile. Lo stesso che crepa in esclusiva sul lavoro, che costituisce il 95% della popolazione carceraria, il 90% dei senza casa, dei ricoverati alla Caritas, la maggioranza degli infortunati sul lavoro, degli abbandoni scolastici nella scuola primaria e tanto altro ancora…Singolare, diciamo pure stupefacente, per chi si troverebbe in una condizione di privilegio e di dominio, ma tant’è…

Ma non è tutto. I lavoratori (maschi) dovrebbero scioperare per protestare contro la disparità salariale che li vedrebbe percepire un salario superiore a quello delle loro colleghe, a parità di qualifica e mansione. Invito un solo lavoratore o una solo lavoratrice, del comparto pubblico o privato, a mostrarci un contratto o una busta paga dove a parità di qualifica e mansione una donna percepirebbe un salario inferiore a quello degli uomini. Aspetto ancora che qualcuno o qualcuna si palesi in tal senso ma, ovviamente, non ho mai avuto riscontri né mai li avrò per ovvie ragioni, e cioè perché la cosa non sussiste.

Ho spiegato mille volte come si arriva, in modo falso ed ipocrita, a “determinare” (si fa per dire…) il presunto gap salariale fra uomini e donne ma sono costretto a ripetermi. Invito quindi caldamente a leggere i seguenti articoli, in particolare questo Un nuovo racconto maschile (e di classe) - l'interferenza (http://www.linterferenza.info/attpol/un-racconto-maschile-classe/) e, volendo, anche questi altri due Islanda, laboratorio del femminismo europeo - l'interferenza (http://www.linterferenza.info/attpol/islanda-laboratorio-del-femminismo-europeo/) e Gender pay gap: come stanno realmente le cose? - l'interferenza (http://www.linterferenza.info/radio/gender-pay-gap-stanno-realmente-le-cose/)

E’ quindi evidente (spero che almeno il primo articolo sia stato letto…) che siamo di fronte ad una gigantesca ipocrisia ma anche ad una altrettanto gigantesca contraddizione. Il documento dell’USB in oggetto, dopo aver ribadito la questione del presunto gap salariale, sottolinea come le donne siano occupate in misura nettamente inferiore rispetto agli uomini. Cito testualmente il documento:

“Tutto questo accade in un mercato del lavoro in cui l’occupazione femminile è al 49,5%, contro il 68,5% di quella maschile, nonostante siano più istruite degli uomini (63% le diplomate, 58,8% i diplomati). La disoccupazione femminile è al 10,4%, contro l’8,4%, numero che potrebbe sembrare relativamente basso, se non fosse che le donne, soprattutto le giovani (15-24 anni), scivolano rapidamente dalla disoccupazione all’inattività. Questa a fine 2018 raggiungeva il 44,8% (25% per gli uomini)”.

Ora, non ci vuole un genio o un campione di logica aristotelica per capire che le due questioni si elidono a vicenda. Perché, se fosse possibile retribuire una donna in misura minore di un uomo a parità di qualifica e mansione, dal momento che viviamo in una società ultra capitalistica dove la sola stella polare è il profitto, avremmo una occupazione femminile enormemente superiore a quella maschile, anche e soprattutto nell’economia sommersa, cosiddetta in nero, e sappiamo perfettamente che così non è. Del resto, ed è ovvio, qual è l’imprenditore, anche e soprattutto il più scalcinato che, potendo assumere una donna con un salario inferiore a quello di un uomo, a parità di qualifica e mansione, assumerebbe un uomo? Nessuno, ovviamente. Onde per cui, a meno che la logica non sia acqua fresca, delle due l’una. O è possibile retribuire una donna con un salario inferiore a quello di un uomo (e allora l’occupazione femminile sarebbe più che sensibilmente superiore a quella maschile), oppure l’occupazione femminile è inferiore (come è, in effetti, ma non per discriminazione sessuale…) a quella maschile, ma in tal caso viene automaticamente a decadere il teorema in base al quale è possibile retribuire una lavoratrice con un salario inferiore a quello di un uomo.

In realtà – come spiegato negli articoli linkati – il presunto “gap” è “ottenuto” con un procedimento a dir poco ipocrita. Lo stesso con cui si calcola il reddito medio pro capite. Quando si dice, infatti, che il reddito medio pro capite è ad esempio di 15.000 euro all’anno in un determinato paese, si sa perfettamente che c’è chi percepisce un reddito di milioni e chi non ne percepisce alcuno.

Nel caso del presunto “gap salariale” fra uomini e donne si fa la medesima ipocrita operazione. Si somma il reddito complessivo percepito dagli uomini e quello percepito dalle donne e si scopre che il primo è superiore al secondo, chi dice del 12%, chi del 7%, chi dell’1%, chi addirittura del 29% o del 38%, come sostengono quelli/e dell’USB, nel caso delle lavoratrici più istruite e qualificate, per poi raccontare che le lavoratrici, a parità di mansione e qualifica, percepirebbero un salario inferiore a quello dei loro colleghi.

Ma le ragioni di questo gap non hanno nulla a che vedere con la discriminazione sessuale. A questo punto mi trovo nuovamente costretto ad invitarvi a leggere il mio primo articolo già linkato Un nuovo racconto maschile (e di classe) - l'interferenza (http://www.linterferenza.info/attpol/un-racconto-maschile-classe/) di cui riporto un ampio stralcio:

“Le donne optano molto di più, rispetto agli uomini, per il lavoro part time, e svolgono molte meno ore di lavoro straordinario. Questo perché ancora molte preferiscono (comprensibilmente) dedicarsi alla famiglia e alla cura e alla crescita dei figli, e lasciano che sia il proprio marito o compagno a lavorare a tempo pieno. Nonostante i tempi siano radicalmente cambiati ci sono ancora molte donne (più numerose di quanto si crede…) che optano addirittura per non lavorare – potendolo fare – e lasciare questa “incombenza” ai mariti;

Per ragioni oggettive ma anche sociali e culturali, gli uomini, in misura molto maggiore rispetto alle donne – anche in questo caso sia per ragioni oggettive (ad esempio fisiche), che socio-culturali (l’obbligo morale di lavorare e di essere socialmente accettati, anche e soprattutto dalle donne…) accettano qualsiasi tipo di orario, turnazione, mole e condizione di lavoro, ecc. E’ ovvio quindi che un lavoro gravoso, rischioso, svolto magari di notte e che contempla un maggior numero di ore di straordinari, sarà complessivamente più retribuito rispetto a quello di una segretaria, di un insegnante o di un impiegata;

Il tasso di occupazione maschile è tuttora superiore a quello femminile perché l’ingresso massiccio e sistematico delle donne nel mondo del lavoro è iniziato solo relativamente di recente, in seguito alla rivoluzione tecnica e tecnologica, che ha in larga parte (ma non del tutto, tant’è, come ho già spiegato, che a morire sul lavoro continuano ad essere solo gli uomini che continuano a svolgere i mestieri più pesanti, rischiosi, inquinanti e mortali) consentito a tutti/e, uomini e donne, di poter svolgere le medesime mansioni. Prima di tale rivoluzione, e cioè per millenni, la grandissima parte del lavoro era svolto e poteva essere svolto – per ragioni fisiche, biologiche e ambientali OGGETTIVE e non certo per discriminazione (magari essere “discriminati”, se ciò significa evitare la lenta agonia in una miniera, in una fonderia o imbarcati a forza su un vascello per morire di frustate, denutrizione o scorbuto…) – soltanto dagli uomini.

Ed è normale che ogni processo, anche il più rapido, necessita dei suoi tempi. E quindi è ovvio che tuttora il tasso di occupazione femminile sia minore rispetto a quello maschile. Ed è quindi altrettanto ovvio che questo minor tasso di occupazione incida sul calcolo (ipocrita) del salario e della ricchezza complessiva percepita dalle donne.

Naturalmente ora bisognerebbe aprire un lungo e complesso discorso di natura storica, sociale, culturale e psicologica. Mi limito solo ad alcuni cenni.

Le donne hanno rivendicato il loro diritto all’indipendenza (e quindi al lavoro) da una settantina di anni a questa parte, da quando cioè il lavoro, in virtù della rivoluzione tecnologica-industriale di cui sopra, ha reso possibile il loro massiccio e sistematico inserimento nel mondo del lavoro. Prima di tale rivoluzione le donne che lavoravano, come operaie tessili, mondine, braccianti, addette alle pulizie ecc. non lo facevano per una libera scelta di autodeterminazione nè tanto meno di “realizzazione personale” (aspirazione, lusso o vezzo di cui la stragrande maggioranza degli uomini non ha mai goduto…) ma – esattamente come quasi tutti gli uomini con l’esclusione di una esigua minoranza di appartenenti alle elite sociali dominanti, delle quali facevano parte anche alcune donne – per una dolorosa necessità, quella cioè di sopravvivere. Una necessità alla quale, se avessero potuto, avrebbe volentieri rinunciato, e ne avrebbero avuto ben donde. Nessuna donna, infatti, ha mai rivendicato il diritto di lavorare in una miniera, in un cantiere edile, in una acciaieria, su un peschereccio, a riparare fogne o su un traliccio dell’alta tensione (e infatti le quote rosa vengono richieste solo per i consigli di amministrazione e per i parlamenti…). Questa rivendicazione di indipendenza economica (attraverso il lavoro) è stata avanzata dalle donne, come ripeto, quando le condizioni oggettive lo hanno reso possibile e anche desiderabile. A tutt’oggi, e soprattutto oggi, le donne costituiscono infatti la maggioranza e talvolta la grande maggioranza della forza lavoro in settori quali la pubblica amministrazione, la scuola, la comunicazione, la magistratura, il terziario più o meno avanzato, privato o pubblico, e naturalmente i lavori di cura alla persona (dove comunque non si rischia di morire o di perdere una mano…). Mentre gli uomini, nonostante la rivoluzione tecnologica, costituiscono tuttora la grande maggioranza della forza lavoro nell’industria pesante, edile, siderurgica, estrattiva, marittima, della sicurezza e via discorrendo, dove invece non solo si rischia ma molto spesso si muore per davvero…

A ciò si deve aggiungere un altro fondamentale elemento, sempre di natura culturale/psicologica. E cioè che per le donne, al contrario degli uomini, il lavoro non ha mai rappresentato un obbligo sociale e/o morale. Erano infatti gli uomini che incappavano e tuttora incappano nella scomunica e nella riprovazione sociale qualora non fossero stati e non siano in grado di mantenersi con le proprie forze e soprattutto non fossero stati e non siano in grado di mantenere la propria famiglia. Un obbligo che le donne non hanno mai avuto. Non è un caso che a tutt’oggi, a togliersi la vita per ragioni legate alla perdita del posto di lavoro o al non riuscire a trovarlo, sono quasi esclusivamente uomini in ragione del 98 o del 99%. Per una donna perdere il lavoro o non trovarlo, non comporta nessuna conseguenza dal punto di vista della sua considerazione sociale né tanto meno per la sua condizione psicologica (comunque non nelle forme drammatiche che assume in un uomo). Viceversa, un uomo senza lavoro è considerato un fallito, un “invisibile”, un buono a nulla. Vero o falso che sia (il più delle volte, falso) come tale si percepisce, a differenza di una donna che potrebbe anche percepirsi tale ma di certo non è gravata dalla pressione sociale e dal pubblico giudizio da cui è gravato un uomo con il suo stesso problema. Una donna senza lavoro è desiderabile e appetibile né più e né meno di una donna che lavora, perché sono di altra natura le “specificità” che la rendono desiderabile. Un uomo senza lavoro, cioè privo di reddito, semplicemente non è desiderabile (o forse solo per lo svago…) e sicuramente non appetibile (tanto meno come marito-padre)”.



Ma queste sono considerazioni che passano del tutto inosservate ai militanti e alle militanti dell’USB e in generale della sinistra “antagonista”. Ho provato a spiegarglielo in tanti altri articoli fra cui questo: L'insostenibile paradosso della sinistra "antagonista" - l'interferenza (http://www.linterferenza.info/editoriali/linsostenibile-paradosso-della-sinistra-antagonista/) ma, come sempre, non c’è stata risposta.

Dispiace tanta riluttanza e chiusura (e tanto opportunismo), per diverse ragioni. Intanto perché in quell’area abbiamo molti amici e amiche con cui per tanti anni siamo stati fianco a fianco e abbiamo anche portato avanti le stesse battaglie. E poi perché proprio quell’area politica dovrebbe essere munita di quella capacità critica e di analisi in grado di cogliere con lucidità le contraddizioni reali. Si preferisce invece tenere la testa sotto la sabbia, per dogmatismo, opportunismo, subalternità all’ideologia femminista. Un paradosso? Forse. Tendo però a pensare che le ragioni siano più profonde.

E così ci avviciniamo stancamente, come ogni anno, inesorabilmente, alla kermesse dell’8 marzo, ormai ridotta a parodia di sé stessa, nonostante i tentativi della “sinistra antagonista” di riportarla su binari che abbiano un significato e un fondamento politico (ma abbiamo appena visto su quali inconsistenti basi…). A proposito della festa dell’8 marzo lasciamo parlare due ricercatrici e storiche femministe, Tilde Capomazza e Marisa Ombra, che ci raccontano una storia (comprovata) per lo più sconosciuta (e se lo dicono loro…). Invito a leggere, ne vale la pena: La farsa dell'8 marzo - l'interferenza (http://www.linterferenza.info/editoriali/3409/)

Concludendo, onde evitare fraintendimenti (mi rendo conto che può essere letta come una excusatio non petita ma, dati i tempi, non abbiamo alternative…), ribadisco che il sottoscritto e tutti coloro che scrivono su questo giornale sostengono con convinzione la assoluta e universale eguaglianza di tutti gli esseri umani (politica, giuridica, economica e “ontologica”) a prescindere dall’appartenenza o dall’orientamento sessuale. Proprio per questa ragione mi chiedo come sia possibile perseverare in quello che non esito a definire un delirio ideologico ormai privo di ogni collegamento con la realtà.

don Peppe
05-03-19, 00:49
doppione

LupoSciolto°
05-03-19, 19:36
Grazi don. Gli articoli di Fabrizio Marchi sono gemme preziose se consideriamo lo schifo di informazione diffuso dai media. Come sempre è capace di far riflettere tutti. Donne comprese (almeno me lo auguro!).

don Peppe
06-03-19, 21:52
Grazi don. Gli articoli di Fabrizio Marchi sono gemme preziose se consideriamo lo schifo di informazione diffuso dai media. Come sempre è capace di far riflettere tutti. Donne comprese (almeno me lo auguro!).

Fabrizio Marchi riesce a dire cose di buon senso, senza scadere nel becero maschilismo che è l'altra faccia della medaglia del nazifemminismo

LupoSciolto°
07-03-19, 18:30
L'inquirente non può e non deve scrivere qui dentro
King Z. Rachel Walling potreste bannarlo dalla sezione?

LupoSciolto°
07-03-19, 18:32
Domani le borghesi diritto-umaniste di "Non Una Di Meno" scenderanno in piazza per ribadire , appunto, l'ovvio.

Kavalerists
11-03-19, 08:32
L'inquirente non può e non deve scrivere qui dentro
King Z. Rachel Walling potreste bannarlo dalla sezione?

Non sarà facile visto chd si clona peggio della pecora Dolly.

Kavalerists
11-03-19, 08:33
VIVA L’8 MARZO, ABBASSO NON UNA DI MENO!
di Daniela Di Marco
[ 08 marzo 2019 ]

Critica all’appello di Non una di meno per lo sciopero dell’otto marzo

8 marzo, Festa della Donna, o meglio, Giornata internazionale della donna.

Non festeggerò nulla né tantomeno parteciperò allo sciopero (trans)femminista indetto da Non una di meno.

Non sono fra quelle donne che in questi anni ha avallato il business commerciale, trastullandosi in consumistici festeggiamenti trasgressivi a base di cene in locali stracolmi di donne e spogliarelli maschili, contribuire a creare un uomo-oggetto pronto a far battere cassa a coloro da cui viene ingaggiato, non è nelle mie corde.

Che senso ha?

A ciò è stata per molto tempo relegata questa giornata il cui senso è stato totalmente stravolto, ma che trae origine dai sacrosanti movimenti femminili di inizio novecento che, rivendicando diritti fondamentali quali quello al voto, si battevano per l’emancipazione della donna.
Alcuni fanno risalire la data dell’otto marzo alla commemorazione degli incendi scoppiati in alcune fabbriche statunitensi, in cui perirono moltissime operaie (c’è discordanza storica su luogo e data: 1908 alla Cotton, una fabbrica di camice di New York che però sembra sia inesistente, o 1911 presso la fabbrica Triangle) altri, cui mi rifaccio, la ricollegano all’otto marzo 1917 (23 febbraio secondo il calendario giuliano) quando le donne di Mosca organizzarono un imponente manifestazione per chiedere “il pane e la pace”, l’inizio della fine per lo zarismo.

Per questo motivo nel 1921, la Seconda conferenza delle donne comuniste, fissò quel giorno come data celebrativa per la Giornata internazionale dell'operaia.

Ne è passata di acqua sotto i ponti, da allora; il movimento femminista ha percorso la sua strada.
Non c’è lo spazio per analizzare ciò che è stato, quali fratture lo hanno attraversato e i tanti rivoli in cui è diviso, una cosa è innegabile: da movimento rivoluzionario e socialista, si è trasformato oggi in movimento d’opinione e istituzionale, annullando le istanze rivoluzionarie. Non più movimento antisistema, niente più lotta contro padroni e sfruttatori, non più lotta di classe né progetti di trasformazione sociale, ma conflitto di genere.

Siamo oggi davanti ad un movimento a forte vocazione individualista che, in perfetto stile postmoderno decostruzionista, seguendo il femminismo radicale statunitense degli anni ’70 e l’esplosione dei Women’s e Gender Studies, sostenuti dai Cultural Studies, ha concentrato la sua attenzione sulla sessualità, arrivando, secondo me, a compiere il più grande femminicidio della storia: l’uccisone della donna in quanto tale, proprio per mano della donna.

E se non esiste più la donna, che senso ha una giornata internazionale a lei dedicata?

Ma spieghiamoci meglio.

Gli studi citati ci dicono che non c’è correlazione fra sesso biologico assegnato alla nascita e il genere di appartenenza conseguente, essendo il genere un costrutto socio-culturale, implicante da una parte la percezione che ciascuno ha di sé (identità di genere) dall’altro il sistema socialmente costruito intorno a quella identità (ruolo di genere). Dal momento che il sesso non è più sufficiente per individuare l’appartenenza al genere, sostenendo che dietro esso non vi sia nessuna natura e nessuna realtà, pervengono all’individuale e del tutto arbitraria modificabilità degli stessi grazie ai progressi tecnoscientifici e per di più ad una mobilità assoluta fra generi. Secondo il desiderio del momento, le infinite identità di ciascuno sarebbero libere scelte individuali sempre reversibili.

Il massimo dell’atomizzazione della persona, altro che donna, altro che genere!

E’ necessario secondo queste idee, che le convenzioni sociali si emancipino dalla natura, che le persone sleghino la loro identità dall’ordine sociale sottraendosi al dualismo sessuale di quello che definiscono eteronormatività (e il passo in direzione eterofobica è già avviato).
A tutto questo è collegata la rivendicazione di nuovi diritti sessuali dei moderni femminismi che individuano il nemico nel maschio, eterosessuale, bianco, occidentale e fanno del desiderio un imperativo categorico: scegliere il proprio sesso, difendere le cosiddette minoranze sessuali, battersi per il diritto al matrimonio omosessuale e all’adozione, il diritto ad avere un bambino a qualsiasi costo, chissenefrega se viene sfruttato qualche utero di qualche donna (!) di qualche parte povera del mondo. «E’ un gesto d’amore» dicono. Tutto è sovvertito.

In nome della libertà dell’individuo borghese, unico dogma e valore intoccabile nella società liquida contemporanea, è stato seppelito il femminismo storico per far nascere il Trans-femminismo (Queer): «Che 100 nuovi generi nascano».

Non più le rivendicazioni delle donne proletarie, né un semplice inglobare le rivendicazioni delle comunità LGBT di postmoderna memoria.

Queste ormai sono un reperto archeologico, soppiantate dal più includente e terribilmente fluido LGBT*QIAP+ [ 1 ], sigla per forza di cose in costante cambiamento.
Il fatto è che per i teorici di questo pensiero tutto sembra girare intorno all'identità di genere e quindi al sesso.

Mi chiedo: ma l’identità di un soggetto da cosa è determinata? Veramente dall'appartenenza di genere, come pensano le transfemministe? Penso di no, piuttosto credo che se si parla di "identità" ci sono di mezzo fattori come l'appartenenza di classe (sei un proletario o sei un capitalista), la funzione sociale (sei un funzionario del sistema o un suo nemico), sei un socialista o sei un liberista.


Non è un caso che questo radicale smantellamento del concetto di identità si inscriva dentro la visione globalista cosmopolita neoliberale («Porti aperti come i nostri culi»), con la sua esigenza di ingrassare il mercato promuovendo una mobilità internazionale che offre su un piatto d’argento paradisi fiscali, nazioni da depredare, forza-lavoro a basso costo, livellando sempre più i salari verso il basso e distruggendo quindi paesi, comunità, territori, madre natura, condizioni di lavoro e di vita, a unico beneficio di grandi imprese e multinazionali. Il passaggio da un genere all’altro è l’altra faccia della medaglia delle trasmigrazioni no border.

Per dirla con Formenti [ 2 ]: «I nuovi eroi di questa cultura sono gli appartenenti alle comunità LGBQT e i migranti (…) avanguardie cosmopolite di inedite comunità nomadi, figure che anticipano l’avvento di un cittadino del mondo destinato a rimpiazzare le vecchie identità nazionali etniche e culturali».

Ora, criticare questa brodaglia postmodernista è ritenuto non solo illecito, ma addirittura scabroso nei salotti elitari del Politicamente corretto, quelli, per capirci, di Jeff Bezos, di Marc Zuckemberg e Tim Cook.

Tutto ciò Non una di meno lo ha scritto nel suo dna.

Poteva sembrare che la nascita di questo movimento riportasse in auge dentro il movimento femminista italiano una battaglia politica degna di tale nome. Ma la confusione sotto il cielo è grande e grandi sono le contraddizioni di cui è portatore ben tradotte nell’Appello con cui hanno convocato lo sciopero di oggi.

Se guardate il sito di Non una di meno, vedrete in home il banner, in cui a caratteri cubitali è scritto: 8 marzo Sciopero Globale Transfemminista.

Hanno avuto l’accortezza di non usare la dicitura transfemminista nel testo dell'appello che indice lo sciopero, ma non siamo così stupidi da non tenere conto di ciò che da tanto tempo teorizzano, dicono e scrivono («la rivoluzione o sarà transfemminista o non sarà»). Hanno anche tolto il riferimento alle diverse possibili soggettività sessuali, ma sono ben incluse nel testo specifico che indice lo sciopero “dei e dai generi”.

Non si limitano a questo, sostengono lo sciopero “dei e dai consumi”, dal “lavoro produttivo e riproduttivo”, e, denunciando l’attuale reddito di cittadinanza, chiedono: reddito di autodeterminazione, un salario minimo europeo e un welfare universale, così da essere libere di andare dove vogliono, coperte dal “permesso di soggiorno europeo senza condizioni”.

Richieste nuove «per inventare un tempo nuovo».

La distanza siderale dalle masse di donne lavoratrici e precarie, è evidente, per non parlare della conclamata subalternità alla distopia europeistica.
Scommetto che la maggioranza delle donne che oggi sono in strada, non hanno idea di tutto ciò.

Stando così le cose, non solo non ho nulla da festeggiare, non ho motivazioni per aderire ad uno sciopero ideologico e politico di cui non condivido nulla, per di più sul tavolo ce ne stanno tante perché oggi osservi addirittura una giornata di lutto.

NOTE:

[ 1 ] LGBT*QIAP+ è l’acronimo per persone Lesbiche, Gay, Bisessuali, Trans o non binarie (*), Queer, Intersessuali, Asessuali, Pansessuali, il + finale sta a indicare l’apertura verso qualsiasi altra autodefinizione in relazione alla propria identità di genere e/o orientamento sessuale.

[ 2 ] Carlo Formenti, Il Socialismo è morto, viva il Socialismo!, Meltemi Editore, gennaio 2019

https://sollevazione.blogspot.com/2019/03/viva-l8-marzo-abbasso-non-una-di-meno.html

LupoSciolto°
11-03-19, 17:27
VIVA L’8 MARZO, ABBASSO NON UNA DI MENO!
di Daniela Di Marco
[ 08 marzo 2019 ]

Critica all’appello di Non una di meno per lo sciopero dell’otto marzo

8 marzo, Festa della Donna, o meglio, Giornata internazionale della donna.

Non festeggerò nulla né tantomeno parteciperò allo sciopero (trans)femminista indetto da Non una di meno.

Non sono fra quelle donne che in questi anni ha avallato il business commerciale, trastullandosi in consumistici festeggiamenti trasgressivi a base di cene in locali stracolmi di donne e spogliarelli maschili, contribuire a creare un uomo-oggetto pronto a far battere cassa a coloro da cui viene ingaggiato, non è nelle mie corde.

Che senso ha?

A ciò è stata per molto tempo relegata questa giornata il cui senso è stato totalmente stravolto, ma che trae origine dai sacrosanti movimenti femminili di inizio novecento che, rivendicando diritti fondamentali quali quello al voto, si battevano per l’emancipazione della donna.
Alcuni fanno risalire la data dell’otto marzo alla commemorazione degli incendi scoppiati in alcune fabbriche statunitensi, in cui perirono moltissime operaie (c’è discordanza storica su luogo e data: 1908 alla Cotton, una fabbrica di camice di New York che però sembra sia inesistente, o 1911 presso la fabbrica Triangle) altri, cui mi rifaccio, la ricollegano all’otto marzo 1917 (23 febbraio secondo il calendario giuliano) quando le donne di Mosca organizzarono un imponente manifestazione per chiedere “il pane e la pace”, l’inizio della fine per lo zarismo.

Per questo motivo nel 1921, la Seconda conferenza delle donne comuniste, fissò quel giorno come data celebrativa per la Giornata internazionale dell'operaia.

Ne è passata di acqua sotto i ponti, da allora; il movimento femminista ha percorso la sua strada.
Non c’è lo spazio per analizzare ciò che è stato, quali fratture lo hanno attraversato e i tanti rivoli in cui è diviso, una cosa è innegabile: da movimento rivoluzionario e socialista, si è trasformato oggi in movimento d’opinione e istituzionale, annullando le istanze rivoluzionarie. Non più movimento antisistema, niente più lotta contro padroni e sfruttatori, non più lotta di classe né progetti di trasformazione sociale, ma conflitto di genere.

Siamo oggi davanti ad un movimento a forte vocazione individualista che, in perfetto stile postmoderno decostruzionista, seguendo il femminismo radicale statunitense degli anni ’70 e l’esplosione dei Women’s e Gender Studies, sostenuti dai Cultural Studies, ha concentrato la sua attenzione sulla sessualità, arrivando, secondo me, a compiere il più grande femminicidio della storia: l’uccisone della donna in quanto tale, proprio per mano della donna.

E se non esiste più la donna, che senso ha una giornata internazionale a lei dedicata?

Ma spieghiamoci meglio.

Gli studi citati ci dicono che non c’è correlazione fra sesso biologico assegnato alla nascita e il genere di appartenenza conseguente, essendo il genere un costrutto socio-culturale, implicante da una parte la percezione che ciascuno ha di sé (identità di genere) dall’altro il sistema socialmente costruito intorno a quella identità (ruolo di genere). Dal momento che il sesso non è più sufficiente per individuare l’appartenenza al genere, sostenendo che dietro esso non vi sia nessuna natura e nessuna realtà, pervengono all’individuale e del tutto arbitraria modificabilità degli stessi grazie ai progressi tecnoscientifici e per di più ad una mobilità assoluta fra generi. Secondo il desiderio del momento, le infinite identità di ciascuno sarebbero libere scelte individuali sempre reversibili.

Il massimo dell’atomizzazione della persona, altro che donna, altro che genere!

E’ necessario secondo queste idee, che le convenzioni sociali si emancipino dalla natura, che le persone sleghino la loro identità dall’ordine sociale sottraendosi al dualismo sessuale di quello che definiscono eteronormatività (e il passo in direzione eterofobica è già avviato).
A tutto questo è collegata la rivendicazione di nuovi diritti sessuali dei moderni femminismi che individuano il nemico nel maschio, eterosessuale, bianco, occidentale e fanno del desiderio un imperativo categorico: scegliere il proprio sesso, difendere le cosiddette minoranze sessuali, battersi per il diritto al matrimonio omosessuale e all’adozione, il diritto ad avere un bambino a qualsiasi costo, chissenefrega se viene sfruttato qualche utero di qualche donna (!) di qualche parte povera del mondo. «E’ un gesto d’amore» dicono. Tutto è sovvertito.

In nome della libertà dell’individuo borghese, unico dogma e valore intoccabile nella società liquida contemporanea, è stato seppelito il femminismo storico per far nascere il Trans-femminismo (Queer): «Che 100 nuovi generi nascano».

Non più le rivendicazioni delle donne proletarie, né un semplice inglobare le rivendicazioni delle comunità LGBT di postmoderna memoria.

Queste ormai sono un reperto archeologico, soppiantate dal più includente e terribilmente fluido LGBT*QIAP+ [ 1 ], sigla per forza di cose in costante cambiamento.
Il fatto è che per i teorici di questo pensiero tutto sembra girare intorno all'identità di genere e quindi al sesso.

Mi chiedo: ma l’identità di un soggetto da cosa è determinata? Veramente dall'appartenenza di genere, come pensano le transfemministe? Penso di no, piuttosto credo che se si parla di "identità" ci sono di mezzo fattori come l'appartenenza di classe (sei un proletario o sei un capitalista), la funzione sociale (sei un funzionario del sistema o un suo nemico), sei un socialista o sei un liberista.


Non è un caso che questo radicale smantellamento del concetto di identità si inscriva dentro la visione globalista cosmopolita neoliberale («Porti aperti come i nostri culi»), con la sua esigenza di ingrassare il mercato promuovendo una mobilità internazionale che offre su un piatto d’argento paradisi fiscali, nazioni da depredare, forza-lavoro a basso costo, livellando sempre più i salari verso il basso e distruggendo quindi paesi, comunità, territori, madre natura, condizioni di lavoro e di vita, a unico beneficio di grandi imprese e multinazionali. Il passaggio da un genere all’altro è l’altra faccia della medaglia delle trasmigrazioni no border.

Per dirla con Formenti [ 2 ]: «I nuovi eroi di questa cultura sono gli appartenenti alle comunità LGBQT e i migranti (…) avanguardie cosmopolite di inedite comunità nomadi, figure che anticipano l’avvento di un cittadino del mondo destinato a rimpiazzare le vecchie identità nazionali etniche e culturali».

Ora, criticare questa brodaglia postmodernista è ritenuto non solo illecito, ma addirittura scabroso nei salotti elitari del Politicamente corretto, quelli, per capirci, di Jeff Bezos, di Marc Zuckemberg e Tim Cook.

Tutto ciò Non una di meno lo ha scritto nel suo dna.

Poteva sembrare che la nascita di questo movimento riportasse in auge dentro il movimento femminista italiano una battaglia politica degna di tale nome. Ma la confusione sotto il cielo è grande e grandi sono le contraddizioni di cui è portatore ben tradotte nell’Appello con cui hanno convocato lo sciopero di oggi.

Se guardate il sito di Non una di meno, vedrete in home il banner, in cui a caratteri cubitali è scritto: 8 marzo Sciopero Globale Transfemminista.

Hanno avuto l’accortezza di non usare la dicitura transfemminista nel testo dell'appello che indice lo sciopero, ma non siamo così stupidi da non tenere conto di ciò che da tanto tempo teorizzano, dicono e scrivono («la rivoluzione o sarà transfemminista o non sarà»). Hanno anche tolto il riferimento alle diverse possibili soggettività sessuali, ma sono ben incluse nel testo specifico che indice lo sciopero “dei e dai generi”.

Non si limitano a questo, sostengono lo sciopero “dei e dai consumi”, dal “lavoro produttivo e riproduttivo”, e, denunciando l’attuale reddito di cittadinanza, chiedono: reddito di autodeterminazione, un salario minimo europeo e un welfare universale, così da essere libere di andare dove vogliono, coperte dal “permesso di soggiorno europeo senza condizioni”.

Richieste nuove «per inventare un tempo nuovo».

La distanza siderale dalle masse di donne lavoratrici e precarie, è evidente, per non parlare della conclamata subalternità alla distopia europeistica.
Scommetto che la maggioranza delle donne che oggi sono in strada, non hanno idea di tutto ciò.

Stando così le cose, non solo non ho nulla da festeggiare, non ho motivazioni per aderire ad uno sciopero ideologico e politico di cui non condivido nulla, per di più sul tavolo ce ne stanno tante perché oggi osservi addirittura una giornata di lutto.

NOTE:

[ 1 ] LGBT*QIAP+ è l’acronimo per persone Lesbiche, Gay, Bisessuali, Trans o non binarie (*), Queer, Intersessuali, Asessuali, Pansessuali, il + finale sta a indicare l’apertura verso qualsiasi altra autodefinizione in relazione alla propria identità di genere e/o orientamento sessuale.

[ 2 ] Carlo Formenti, Il Socialismo è morto, viva il Socialismo!, Meltemi Editore, gennaio 2019

https://sollevazione.blogspot.com/2019/03/viva-l8-marzo-abbasso-non-una-di-meno.html

Analisi impeccabile. Articolo da stampare e da affiggere nelle strade.

LupoSciolto°
04-04-19, 17:11
Neanche il PCC tollera le nazifemministe :encouragement:

La Cina blocca le sue femministe nella giornata internazionale della donna

https://www.laogai.it/la-cina-blocca-le-sue-femministe-nella-giornata-internazionale-della-donna/

Kavalerists
07-04-19, 08:58
BUONANOTTE BAMBINE CONFORMISTE
di Alceste De Ambris
[ 6 aprile 2019 ]

L’ideologia dominante si annida anche nella recente letteratura per l’infanzia. In questo caso mi riferisco a quello pseudo-femminismo contemporaneo, che tanto va di moda (e che ha fatto mostra di sé l’ 8 marzo). In passato la rivendicazione di parità di genere andava di pari passo con istanze sociali e riformiste, ora è diventata perfettamente funzionale al discorso liberal-capitalista.

continua...

https://sollevazione.blogspot.com/2019/04/buonanotte-bambine-conformiste-di.html

LupoSciolto°
04-05-19, 14:44
Assegno mantenimento post divorzio, si cambia: stop se convivenza o nuovo matrimonio e via tenore di vita acquisito


Il testo di legge a firma della deputata del Pd Alessia Morani è stato modificato da Lega e M5S. Terminato l’esame degli emendamenti, per la prima approvazione si attendono soltanto i pareri delle altre commissioni competenti: arrivo in aula il 13 maggio

https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/05/04/assegno-mantenimento-post-divorzio-si-cambia-stop-se-convivenza-o-nuovo-matrimonio-e-via-tenore-di-vita-acquisito/5153781/

LupoSciolto°
22-09-19, 17:00
L’attrice Cuminetti colpita da un pugno: “Non provo rancore, il mio aggressore ha bisogno di aiuto”


https://www.lastampa.it/topnews/edizioni-locali/torino/2019/09/16/news/l-attrice-cuminetti-colpita-da-un-pugno-non-provo-rancore-il-mio-aggressore-ha-bisogno-di-aiuto-1.37470024

LupoSciolto°
22-09-19, 17:01
Eh sì. Però proverebbe rancore nei confronti di un comune cittadino italiano che oserebbe farle un complimento. La mentalità politically correct , oltre ad essere ipocrita, è martirizzante e autolesionista.

LupoSciolto°
26-11-19, 18:02
FEMMINISMO DELIRANTE di Roberto Vallepiano


https://1.bp.blogspot.com/-hfZqJiEL9yo/XdzihfZKywI/AAAAAAAAjvo/G1bJ0CW2D84D8bfR9RwL-sY8SLJTi5dmgCLcBGAsYHQ/s1600/non-1030x615.png

Il “curioso” caso di “Non una di meno” e “Se non ora quando”

Nelle foto pubblicate potete vedere come i due movimenti femministi più noti nel nostro paese e cioè NON UNA DI MENO e Se Non Ora Quando – News, fiancheggino attivamente le più ignobili campagne golpiste al servizio dell’imperialismo USA e della borghesia compradora latinoamericana.


Nel primo delirante post “Non una di meno” attacca frontalmente il Socialismo della Pacha Mama e l’ormai deposto Presidente indigeno Evo Morales bollandolo con l’incredibile insulto di “misogino e sessista”.

per proseguire: https://sollevazione.blogspot.com/2019/11/femminismo-delirante-di-roberto.html

LupoSciolto°
26-11-19, 18:02
Leggete l'articolo attentamente.

don Peppe
02-04-20, 09:36
questo messaggio non è un fake, è vero anche se è stato cancellato poiché sommerso dalle proteste.

L'ennesima dimostrazione che non una di meno, è un movimento le cui militanti sono affette da gravissime patologie psichiatriche, e contemporanemente come si dice a Napoli, hanno vissuto sempre con la mangiatoia bassa, nel senso che hanno passato la loro vita nella bambagia, senza alcun problema legato alla lotta per la sopravivenza, per cui non sanno distinguere i problemi seri dalle cazzate.
In un momento in cui in Italia e nel mondo, è in corso una pandemia che sta uccidendo moltissime persone e distruggendo l'economia, secondo le nazifemministe il problema principale è che i moduli di autocertificazione sono fatti senza gli asterischi

https://scontent.fnap2-1.fna.fbcdn.net/v/t1.0-9/91774474_1137193116612789_15797525369847808_n.jpg? _nc_cat=111&_nc_sid=110474&_nc_oc=AQkdnHA594n7UyzPm60DTEp7iOFZyfZRSePaYi_T00Q L7RbX0Ey_EJgyJ0U4hDFMxy8&_nc_ht=scontent.fnap2-1.fna&oh=1a0d1984383773601bc51e4ead590722&oe=5EABA986

Kavalerists
02-04-20, 11:41
questo messaggio non è un fake, è vero anche se è stato cancellato poiché sommerso dalle proteste.

L'ennesima dimostrazione che non una di meno, è un movimento le cui militanti sono affette da gravissime patologie psichiatriche, e contemporanemente come si dice a Napoli, hanno vissuto sempre con la mangiatoia bassa, nel senso che hanno passato la loro vita nella bambagia, senza alcun problema legato alla lotta per la sopravivenza, per cui non sanno distinguere i problemi seri dalle cazzate.
In un momento in cui in Italia e nel mondo, è in corso una pandemia che sta uccidendo moltissime persone e distruggendo l'economia, secondo le nazifemministe il problema principale è che i moduli di autocertificazione sono fatti senza gli asterischi

https://scontent.fnap2-1.fna.fbcdn.net/v/t1.0-9/91774474_1137193116612789_15797525369847808_n.jpg? _nc_cat=111&_nc_sid=110474&_nc_oc=AQkdnHA594n7UyzPm60DTEp7iOFZyfZRSePaYi_T00Q L7RbX0Ey_EJgyJ0U4hDFMxy8&_nc_ht=scontent.fnap2-1.fna&oh=1a0d1984383773601bc51e4ead590722&oe=5EABA986

Da abbattere a fucilate, come bestie infette quali sono.

Sparviero
02-04-20, 11:46
"una versione con asterischi del modulo di autocertificazione"

vaffancul*

Kavalerists
02-04-20, 13:01
"una versione con asterischi del modulo di autocertificazione"

vaffancul*

:77:

LupoSciolto°
02-04-20, 18:21
"una versione con asterischi del modulo di autocertificazione"


Ho sentito di questa storia. Pazzesco. le nazifemministe borghesi hanno il cervello putrefatto.

Sparviero
02-04-20, 18:32
Ho sentito di questa storia. Pazzesco. le nazifemministe borghesi hanno il cervello putrefatto.

si limitano a copiare i deliri delle loro controparti amerigane, come sempre

LupoSciolto°
02-04-20, 19:29
Laura Boldrini e il coronavirus, modulo di autocertificazione poco "inclusivo": "Aggiungere a/o, non solo maschi e femmine"


https://www.liberoquotidiano.it/news/politica/21695815/laura_boldrini_coronavirus_modello_autocertificazi one_maschio_femmina_poco_inclusivo.html

Questi sono i LORO problemi.

Blake
03-04-20, 09:18
Il genere maschile universale esiste e non è di certo una discriminazione verso le donne.I problemi delle donne serie sono altri.

LupoSciolto°
03-04-20, 10:41
Il genere maschile universale esiste e non è di certo una discriminazione verso le donne.I problemi delle donne serie sono altri.

Assolutamente.

LupoSciolto°
22-06-20, 17:45
L'egalitario zampillo di Nantes

https://www.lantidiplomatico.it/resizer/resiz/public/FB_IMG_1592812931235.jpg/700x350c50.jpg

di Jean De Mille

Finalmente il movimento femminista celebra una grande vittoria.


Questo purtroppo non accade da noi, ma in una nazione culturalmente matura come la Francia, dove la millenaria dittatura del patriarcato perde un altro fondamentale caposaldo.

Da oggi tutt* i progressist* del pianeta potranno gioire e guardare con ottimismo al radioso futuro che si prospetta.
Sono finiti infatti i tempi bui in cui era prerogativa del maschio mingere in posizione eretta, ossia pisciare in piedi.

Dalla statua innalzata nella città di Nantes, raffigurante una donna che libera il suo egalitario zampillo, si leva al cielo un grido di vittoria.

Un piccolo spruzzo per una donna, un grande passo per l'emancipazione femminile.

Notizia del: 22/06/2020

https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-legalitario_zampillo_di_nantes/82_35731/?fbclid=IwAR2RHSDmzSr09GtIApIU7Rtv4iTAWMQzWqi9FiJ0 _n0e16evmdrk8NOzbeE

LupoSciolto°
22-06-20, 17:46
Ecco a cosa porta il progressismo culturale euroamericano*. E siamo solo all'inizio.

*Nulla a che spartire con quello di Assad o Maduro.

LupoSciolto°
15-09-20, 10:51
La "gender Tax" della Ferrero e Inchino: l'abominio della "discriminazione compensativa"

https://www.lantidiplomatico.it/resizer/resiz/public/GENDERTAX02-k79--320x180@Corriere-Web-Nazionale.jpg/700x350c50.jpg

https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-la_gender_tax_della_ferrero_e_inchino_labominio__d ella_discriminazione_compensativa/82_37268/

Kavalerists
15-09-20, 11:06
Abominio, mai parola fu usata con più attinenza...
Purtroppo mi convinco ogni giorno di più che sarà difficile riuscire a fermare questa deriva umana, culturale e spirituale, questo obbrobrio finto-progressista attraverso il quale il capitale sparge il suo veleno per ottenebrare le coscienze.
Forse occorrerebbe un grave evento traumatico, tipo, che so, una guerra.

LupoSciolto°
16-09-20, 12:51
Abominio, mai parola fu usata con più attinenza...
Purtroppo mi convinco ogni giorno di più che sarà difficile riuscire a fermare questa deriva umana, culturale e spirituale, questo obbrobrio finto-progressista attraverso il quale il capitale sparge il suo veleno per ottenebrare le coscienze.
Forse occorrerebbe un grave evento traumatico, tipo, che so, una guerra.

E non è finita qui!

LupoSciolto°
16-09-20, 12:52
L'insegnamento femminista dalla Spagna: castrare alla nascita il 25% degli uomini per realizzare la Matria

https://www.lantidiplomatico.it/resizer/resiz/public/581.jpg/700x350c50.jpg

https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-linsegnamento_femminista_dalla_spagna_castrare_all a_nascita_il_25_degli_uomini_per_realizzare_la_mat ria/82_37286/

Kavalerists
16-09-20, 17:25
L'insegnamento femminista dalla Spagna: castrare alla nascita il 25% degli uomini per realizzare la Matria

https://www.lantidiplomatico.it/resizer/resiz/public/581.jpg/700x350c50.jpg

https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-linsegnamento_femminista_dalla_spagna_castrare_all a_nascita_il_25_degli_uomini_per_realizzare_la_mat ria/82_37286/

Vedi, la leggenda delle Amazzoni secondo me trae origine, come molti miti e leggende, da fatti e situazioni storiche vere. Per come la vedo io le amazzoni erano le antesignane delle nazifemministe moderne in quell'epoca del mondo. Finché gli uomini non si ruppero le palle di quella deriva folle e distruttiva per le loro società e le sterminarono tutte con lance, frecce, spade, e mazze ferrate ( a quel tempo per loro fortuna non avevano progressisti, self-haters, inginocchiatori, dirittumanisti, e anche le checche non erano gli sconci pagliacci che si vedono oggi ai gheipraid, vedi la famosa legione di Tebe... ).
Non resta che sperare che la storia si ripeta... anzi, non basta solamente sperare... :cool: :)

Letta l'intervista per intero, che dire? certi soggetti andrebbero davvero abbattuti come cani idrofobi.
E parliamoci chiaramente: se questo è il livello del pensiero culturale ed ideologico, se queste sono le idee che la "sinistra" europea ha come proprio programma politico e che vuole applicare ed imporre ai popoli delle nazioni occidentali, allora bisogna dirsi in tutta franchezza che questa "sinistra" va fermata a qualsiasi costo, senza se e senza ma!

LupoSciolto°
16-09-20, 18:32
Senza rievocare stragi e misfatti (probabilmente manifestatisi in epoche remote) , si dovrebbe togliere la cattedra a questa presunta docente e denunciarla per istigazione all'odio di genere. In ogni caso: questa sinistra va fermata.

RibelleInEsilio
17-09-20, 01:57
L'insegnamento femminista dalla Spagna: castrare alla nascita il 25% degli uomini per realizzare la Matria

https://www.lantidiplomatico.it/resizer/resiz/public/581.jpg/700x350c50.jpg

https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-linsegnamento_femminista_dalla_spagna_castrare_all a_nascita_il_25_degli_uomini_per_realizzare_la_mat ria/82_37286/

Quand'è che c'è la prossima corrida? Salviamo un toro e mettiamoci lei.

Kavalerists
17-09-20, 19:46
Quand'è che c'è la prossima corrida? Salviamo un toro e mettiamoci lei.

¡Salva al toro, mata la puta!

Ottima come parola d'ordine... :D

Sparviero
23-09-20, 19:26
Quand'è che c'è la prossima corrida? Salviamo un toro e mettiamoci lei.

In pratica si propone di passare dal toro alla vacca, o sbaglio?

LupoSciolto°
25-11-20, 16:28
“Femminicidio” e “maschicidio”: realtà o manipolazione?


https://www.uominibeta.org/articoli/femminicidio-e-maschicidio-realta-o-manipolazione/

don Peppe
25-11-20, 19:04
“Femminicidio” e “maschicidio”: realtà o manipolazione?


https://www.uominibeta.org/articoli/femminicidio-e-maschicidio-realta-o-manipolazione/

sempre di Fabrizio Marchi

https://www.facebook.com/fabrizio.marchi.75/posts/1680292572161067

don Peppe
25-11-20, 19:07
“Femminicidio” e “maschicidio”: realtà o manipolazione?
https://www.uominibeta.org/articoli/femminicidio-e-maschicidio-realta-o-manipolazione/

https://www.facebook.com/fabrizio.marchi.75/posts/1680292572161067
sempre di Fabrizio Marchi

https://www.facebook.com/fabrizio.marchi.75/posts/1680292572161067

don Peppe
25-11-20, 19:14
https://www.facebook.com/fabrizio.marchi.75/posts/1681040968752894


https://www.facebook.com/fabrizio.marchi.75/posts/1681040968752894

LupoSciolto°
25-11-20, 19:20
Grazie per la segnalazione.

LupoSciolto°
07-04-21, 07:09
La società non esiste, esistono solo gli individui e le loro molestie?


https://cdn.lantidiplomatico.it/resizer/resiz/public/AP-NO-CATCALLING-bebeto-matthews-940x5401.jpg/720x410c50.jpg

https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-la_societ_non_esiste_esistono_solo_gli_individui_e _le_loro_molestie/39602_40590/

don Peppe
01-05-21, 22:12
http://www.linterferenza.info/attpol/primo-maggio-festa-delle-lavoratrici/

Primo maggio: festa delle lavoratrici

Pier Luigi Alba • 1 maggio 2021 • 0 Commenti
Come per ogni ricorrenza repubblicana, anche la celebrazione del Primo Maggio, trascina con se la sua inevitabile quota di retorica.

In realtà la retorica, intesa come “arte del parlare in pubblico” sarebbe, o dovrebbe essere, una strumentazione per rappresentare in modo efficace una concettualizzazione, un pensiero articolato e compiuto.

In questo senso la retorica non vive, o meglio non dovrebbe vivere, di forza propria.

Poichè diverrebbe, come spesso accade, una forma di manipolazione delle coscienze.

Rimanendo su questo specifico ambito, ad esempio, Di Vittorio, nel famoso discorso alla Camera dei Deputati del 1921 diede una solenne dimostrazione delle sue capacità retoriche:

“Onorevoli colleghi, questa mattina qualcuno seduto in quest’aula, per dimostrare il suo disprezzo per la mia presenza qui, ha mormorato: “Un cafone in Parlamento…”. Ebbene sappiate che questo titolo non mi offende, anzi, mi onora, infatti se io valgo qualcosa, se io sono qua, lo devo ad Ambrogio, a Nicola, a Tonino, a tutti quei braccianti analfabeti che hanno dormito insieme a me nelle cafonerie e con me hanno mangiato pane e olio, che hanno lottato duramente per i diritti dei lavoratori, di tutti i lavoratori, perché la fame, la fatica, il sudore non hanno colore e il padrone è uguale dappertutto”.

Proseguendo…”C’è un sogno che mi ha portato qua, ed è quello di vedere un giorno i braccianti del Sud e gli operai del Nord camminare fianco a fianco e lottare per gli stessi diritti, e per questo sogno io sono disposto a lottare fino all’ultimo dei miei giorni”

Una “straordinaria” forma retorica che serviva a rafforzare un contenuto di per se dirompente.

Un discorso di classe. Che comunicava alle classi. Che partecipava alla costruzione di una identità di classe.

Di li a poco, la forza rivoluzionaria di quel discorso troverà, tragicamente, il suo riscontro.

Oggi, esattamente cent’anni dopo, nella giornata che celebra l’importanza dei lavoratori salariati e delle lavoratrici salariate, mi capita di ascoltare un’intervista effettuata a caldo in una piazza a fianco dei lavoratori, dell’attuale segretario generale della CGIL Maurizio Landini.

Immerso nelle bandiere rosse che (sventolanti sul suo volto) paiono insolentirlo, afferma enfaticamente che oggi le priorità in tema di lavoro, sono le donne ed i giovani.

Suppongo in rigoroso ordine d’importanza.

Guarda caso, questa proposizione coincide perfettamente con l’ossatura del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) [1] il programma dell’attuale “governo dei migliori”.

Guidato da uno dei migliori esponenti del capitalismo globalizzato. I padroni, avrebbe detto Di Vittorio.

Il discorso di classe scompare, per lasciare spazio a quello di genere e, necessariamente in subordine, a quello generazionale.

Non c’è spazio in questa retorica filogovernativa per i lavoratori uomini, che, se non proprio rimossi, rimangono stinti sullo sfondo.

E’ necessario distinguerli, per negazione.

E’ utile non includerli.

Eppure i lavoratori maschi di lavoro, da sempre ed in gran numero, in Italia ed in tutto l’occidente (il dato sessuale è pressoché omogeneo in tutti i paesi OCSE) ci muoiono.

Un dato terribile, costante nel tempo. Svariate centinaia di lavoratori ogni anno.

Una vera e propria ecatombe, definibile come “strage di genere” se si aderisse (ed io non aderisco) a questa chiave di lettura dei fatti sociali.

E che invece paradossalmente, proprio per non depotenziare, per non oscurare l’imperante retorica declinata al femminile, diretta emanazione del femminismo, a sua volta architrave della narrativa afferente al politicamente corretto, viene de facto cancellata.

Il risultato è che questo strategico oscuramento della composizione sessuale di questa mattanza, finisce, proprio per finalità retoriche, per cancellare tutto il suo contenuto.

Limitandola a semplice cronaca mortuaria. Casistica INAIL. Banca dati.



Voglio perciò operare una provocazione.

Immaginiamo, per un momento, che in Italia i morti sul lavoro siano ogni anno per il 97% di sesso femminile, anziché maschile.

Che numericamente significherebbe più di mille donne morte ogni anno (una media di circa tre ogni giorno) durante le fasi di lavoro.

Quale sarebbe la declinazione di questa odierna ricorrenza?

Quali toni avrebbero i discorsi istituzionali in questa giornata?

Chi sfilerebbe in prima fila nei cortei sindacali?

A quali campagne mediatico-istituzionali avremmo già assistito da tempo?

Quali approfondimenti troveremmo oggi sulle prime pagine dei più importanti media nazionali?

Quali film, docu-film, fiction, reportage, opere letterarie, festival, concorsi, borse di studio ecc…sarebbero state prodotte fino ad oggi?

Quali cogenti e specifiche norme sarebbero state proposte ed applicate, magari nelle solenni forme di DpR?

.



[1] – “Il Piano ha come principali beneficiari le donne, i giovani e il Mezzogiorno e contribuisce in modo sostanziale a favorire l’inclusione sociale e a ridurre i divari territoriali”.

https://www.governo.it/it/articolo/pnrr/16718

Sparviero
02-05-21, 00:54
Immaginiamo, per un momento, che in Italia i morti sul lavoro siano ogni anno per il 97% di sesso femminile, anziché maschile.

Eggià.

Purtroppo qui si richiede parità di gioie e mai di dolori.

LupoSciolto°
02-01-22, 20:25
“La violenza contro le donne è un atto contro Dio”


di Fabrizio Marchi


https://www.uominibeta.org/articoli/la-violenza-contro-le-donne-e-un-atto-contro-dio/

Vladimir Ilyich
02-01-22, 20:40
Ci sono due ordini di problemi:

1) se il punto che rende leciti trattamenti penali differenziati per la medesima condotta è l’allarme sociale, allora forse dovremmo introdurre “l’operaicidio” ben prima del femminicidio

2) ma comunque la cosa più grave - di cui le femministe radicalborghesi, accecate dall’odio e dall’ insipienza, sembrano non accorgersi - è che punire la medesima condotta con sanzioni diverse significa affermare una diversità antropologica sostanziale tra uomini e donne.

Poi però quando si tratta di diritti, si rivendica - giustamente - la più assoluta parità.

Quindi delle due l’una: o siamo eguali davanti alla legge, nel bene e nel male, allora dobbiamo essere puniti in maniera eguale per la stessa condotta, oppure, visto che siamo puniti in maniera diversa, non siamo eguali.

cimad5
02-01-22, 20:43
Non siamo uguali.

LupoSciolto°
02-01-22, 20:51
Ci sono due ordini di problemi:

1) se il punto che rende leciti trattamenti penali differenziati per la medesima condotta è l’allarme sociale, allora forse dovremmo introdurre “l’operaicidio” ben prima del femminicidio

2) ma comunque la cosa più grave - di cui le femministe radicalborghesi, accecate dall’odio e dall’ insipienza, sembrano non accorgersi - è che punire la medesima condotta con sanzioni diverse significa affermare una diversità antropologica sostanziale tra uomini e donne.

Poi però quando si tratta di diritti, si rivendica - giustamente - la più assoluta parità.

Quindi delle due l’una: o siamo eguali davanti alla legge, nel bene e nel male, allora dobbiamo essere puniti in maniera eguale per la stessa condotta, oppure, visto che siamo puniti in maniera diversa, non siamo eguali.

Perfettamente d'accordo.

LupoSciolto°
02-01-22, 20:52
Non siamo uguali.

Questo lo sanno tutti. Il fisico e il cervello di un uomo saranno sempre diversi da quelli di una donna. Il punto è un altro, e cioè che dovremmo essere tutti uguali di fronte alla legge.

Vladimir Ilyich
02-01-22, 21:00
Non siamo uguali.

Voi avete un gran coraggio, Milady