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21-06-16, 21:07
L'Intellettuale Dissidente (http://www.lintellettualedissidente.it/) / Esteri (http://www.lintellettualedissidente.it/Esteri)
http://www.lintellettualedissidente.it/wp-content/uploads/2016/06/86834391_4dac4ca1-811e-4750-bcab-a83a500b351c-660x200.jpg Macri e il futuro incerto dell’Argentina Il bilancio del primo semestre di presidenza Macri non può di certo essere considerato positivo: il suo mandato è stato caratterizzato dall’esacerbarsi dei problemi politici ed economici che affliggono l’Argentina, mentre il paese è percorso da un diffuso senso di sfiducia nei confronti delle istituzioni e, sul campo istituzionale, la contesa è molto aspra, con la presidenza e l’esecutivo in perenne attrito con un Parlamento che diverse volte ha saputo remare contro le riforme proposte, in gran parte correlate ai desideri di restaurazione del neoliberismo.
di Andrea Muratore (http://www.lintellettualedissidente.it/redazione/a-muratore/) - 17 giugno 2016
Mese dopo mese, il presidente argentino Mauricio Macri sta vedendo naufragare tutti i suoi obiettivi politici e assistendo alle numerose difficoltà in cui si trova ad incorrere il progetto di “restaurazione” propugnato dal leader di Cambiemos, che a partire dal suo ingresso alla Casa Rosada nel dicembre scorso ha sin dall’inizio fatto intendere di essere intenzionato a smantellare gli istituti sociali e le riforme economiche varate in Argentina durante le presidenze dei coniugi Kirchner tra il 2003 e il 2015. Stanno venendo alla luce tutte le incongruenze e le debolezze di un progetto politico con ben pochi contenuti innovativi, capace di trarre la sua forza principalmente dalle spaccature interne al Frente para la Victoria nel periodo pre-elettorale e dal supporto garantitogli al ballottaggio tra Macri e il kirchnerista Daniel Scioli dal “dissidente” del FPV Sergio Massa. Macri ha commesso numerosi errori strategici e ha peccato di eccessiva ingordigia, vedendo rapidamente naufragare il consenso conquistato alle urne e assistere a vistosi cali di popolarità a seguito del tentativo di imporre riforme oltremodo impopolari, duramente contrastate dalle opposizioni parlamentari che, dopo alcune settimane di iniziale smarrimento, hanno ritrovato coesione e organicità. Recentemente, i kirchneristi sono riusciti a bloccare in Parlamento i progetti di riforma del mercato del lavoro portati avanti da Macri, desideroso di restaurare il predominio dell’ideologia neoliberista, trovando in questo caso sponda con il gruppo di Sergio Massa che, astenendosi, ha consentito alla Camera di approvare la Ley Antidespidos, la quale prevede l’istituzione di nuove e protettive garanzie contro i licenziamenti dei lavoratori, nei confronti della quale Macri è stato spinto all’inusuale prassi di imporre il veto presidenziale. Il governo dell’ex sindaco di Buenos Aires conosce dalle prime battute forzature o evidenti distorsioni del metodo democratico, dato che Macrì ha largamente abusato della possibilità di promulgare decreti leggi senza passare dalla discussione in Parlamento, giustificandosi con la necessità e l’urgenza che giustificavano i suoi provvedimenti, tentando di forzare in poche settimane una costruzione edificata dai Kirchner nel corso di dodici anni. L’eliminazione dei sussidi all’energia elettrica, la scelta di procedere con la svalutazione del peso al fine di attirare nuovi investitori nel paese e il citato tentativo di riforma del mercato del lavoro sono solo alcune tra le iniziative più significative di un governo che, proseguendo indomito nei suoi tentativi di ritorno al passato, di spostamento a ritroso delle lancette della Storia, ha sinora causato solo un rincaro delle disuguaglianze economiche e della crisi dell’occupazione senza per questo riuscire a risolvere annose questioni come la dilagante inflazione, l’inaccettabile stato della bilancia commerciale e la crisi del settore industriale. In questi campi, i dati riportati dal numero di giugno de “Almanacco Latinoamericano” testimoniano le grandi difficoltà in cui si dibatte l’Argentina di Macri: l’inflazione è al 19,5%, la produzione ha conosciuto un calo del 3,8% su base annua, i salari reali hanno perso l’8% del loro potere d’acquisto reale nel solo periodo compreso tra gennaio e aprile 2014 e, nel complesso, l’amministrazione non ha operato efficacemente in nessuno degli ambiti dove era richiesta un’azione incisiva per correggere le debolezze del sistema e, anzi, continuando ripetitivamente nella sua lotta di demonizzazione del passato ha finito per non capire cosa servisse veramente sviluppare per garantire all’Argentina un futuro stabile. Per cercare di parare i colpi inflittigli dalla repentina perdita di popolarità e dal subbuglio dell’opinione pubblica, manifestatasi negli ultimi giorni in marce di protesta nel centro di Buenos Aires avvicinatesi anche alla Casa Rosada, Macri non ha saputo fare di meglio che presentare il voluminoso dossiere intitolato El estado de l’Estado, un rapporto di 220 pagine preparato da funzionari del governo nel quale sono descritte puntigliosamente le principali carenze sistemiche e, al contempo, si tenta di scaricare la responsabilità per il loro insorgere alle mancanze delle amministrazioni dei coniugi Kirchner. El estado de l’Estado appare come un vero e proprio manifesto di giustificazione del mancato cambiamento di verso, nonché un documento che permette di capire come da un lato anche in Cambiemos vi sia consapevolezza circa il reale livello delle difficoltà del paese ma, dall’altro, nessuna reale volontà di mettersi all’opera per risolverle, dato che lo scaricabarile effettuato è il degno coronamento di una serie di politiche antitetiche rispetto alle concrete necessità dell’Argentina. Il fardello principale che né Nestor né Cristina Kirchner sono riusciti ad alleviare durante i loro mandati è stato quello della corruzione, endemica a livello sistemico e rivelatasi una grave pregiudiziale per il dispiegamento delle riforme progressiste, e diventata una delle principali motivazioni delle contestazioni subite da Cristina Kirchner nell’ultimo periodo della sua presidenza nonché, dato il carattere assunto dall’ultima elezione presidenziale come vero e proprio “referendum” sul kirchnerismo, una delle cause della mancata elezione di Scioli. La nuova classe media nata dalle riforme kirchneriste ha richiesto una maggiore trasparenza ed è cosciente della gravità del problema, tanto macroscopico da portare a un posizionamento dell’Argentina al 107° posto nella classifica degli stati per Indice di Corruzione Percepita, alla pari con Costa d’Avorio, Bielorussia, Ecuador e Togo ed alle spalle di numerosi paesi latinoamericani come Bolivia, Messico, Repubblica Dominicana, Colombia, Perù, Brasile. Un’istanza reale, imminente e sentita dalla popolazione, dunque, che avrebbe reso necessari tempestivi interventi da parte di un governo guidato da una coalizione che dal suo nome stesso si era presentata come il cambiamento: nel concreto, invece, Macri non ha mosso un dito sul campo della corruzione e, anzi, sul piano più generale della trasparenza del sistema si sono visti dei passi indietro piuttosto che dei progressi. Considerando la situazione a livello aggregato, le riforme di Macri hanno sinora intorbidito le acque e, anzi, bisogna registrare le ambigue e fortemente criticate prese di posizione del presidente sul tema della libertà d’informazione, concretizzatesi sin dalle prime settimane in ambigui decreti legge volti a limitare l’accesso alle informazioni da parte dei media e, inoltre, a porre fortissime restrizioni all’ingresso di nuovi attori nel campo televisivo. Ancora più gravi sono stati i provvedimenti di inizio giugno con cui il governo ha annunciato l’imminente chiusura delle emittenti TeleSUR e Russia Today, che entro due mesi cesseranno completamente le trasmissioni sul territorio argentino. La scelta va analizzata tanto dal punto di vista delle ripercussioni interne sull’informazione quanto da quello geopolitico, dato che la chiusura di TeleSUR e Russia Today rappresenta una mossa con cui Macri intende lanciare un chiaro messaggio riguardante il nuovo corso della sua politica estera. Entrambe le emittenti hanno ricevuto forti incentivi nella loro diffusione sul suolo argentino dagli sforzi diplomatici dei coniugi Kirchner, dato che se da un lato Nestor fu tra i principali sostenitori della nascita del canale di informazioni panamericano e finanziò con la maggior quota dopo quella venezuelana la nascita di TeleSUR dall’altro la moglie ammise ufficialmente Russia Today nell’etere dopo aver raggiunto un accordo in tal senso col presidente russo Vladimir Putin nel 2014. I due canali sono dunque due simboli della politica estera del kirchnerismo, sviluppatasi sul versante regionale attraverso la convergenza con gli altri paesi governati da partiti riferibili al socialismo del XXI secolo e su quello globale sulla base dell’avvicinamento progressivo alla Russia e alla Cina, divenute i principali riferimenti commerciali e diplomatici di Buenos Aires a scapito degli Stati Uniti. Macri intende invertire la rotta e, essendo deciso a considerare Washington l’interlocutore principale, non esita a lanciare messaggi attraverso azioni ambigue come quelle recentemente messe in atto, che inoltre hanno permesso al governo di silenziare due voci di opposizioni rilevanti e dai forti appoggi internazionali. La deriva antidemocratica che nel corso dei mesi sta assumendo la presidenza reazionaria argentina è sotto gli occhi di tutti, e viene da pensare che putiferio sarebbe stato messo in atto dal Dipartimento di Stato USA o da altre cancellerie occidentali se governi sudamericani come quello venezuelano o boliviano avessero deciso, da un giorno all’altro, di sospendere le trasmissioni di due televisioni estere. Il bilancio del primo semestre di presidenza Macri non può di certo essere considerato positivo: il suo mandato è stato caratterizzato dall’esacerbarsi dei problemi politici ed economici che affliggono l’Argentina, mentre il paese è percorso da un diffuso senso di sfiducia nei confronti delle istituzioni e, sul campo istituzionale, la contesa è molto aspra, con la presidenza e l’esecutivo in perenne attrito con un Parlamento che diverse volte ha saputo remare contro le riforme proposte, in gran parte correlate ai desideri di restaurazione del neoliberismo. Il destino della reazione argentina sarà cruciale per capire quali saranno il futuro comportamento e le future mosse che verranno intraprese dagli emuli latinoamericani, primo fra tutti il presidente brasiliano ad interim Temer: egli si è già lanciato, con celerità ancora maggiori di quella di Macri, sulla strada verso la riedificazione dell’ordine neoliberista, tentando di screditare il Brasile di Lùla e Dilma Rousseff nella stessa maniera con cui l’esecutivo argentino demonizza il suo recente passato. Il nichilismo divenuto forma di governo non può che condurre in un vicolo cieco: se i partiti politici latinoamericani facenti riferimento al socialismo del XXI secolo non riusciranno a opporre progetti innovativi ai loro avversari, tuttavia, questo andazzo è destinato a diventare una prassi a livello continentale.
Macri e il futuro incerto dell?Argentina (http://www.lintellettualedissidente.it/esteri-3/macri-e-il-futuro-incerto-dellargentina/)
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di Andrea Muratore (http://www.lintellettualedissidente.it/redazione/a-muratore/) - 17 giugno 2016
Mese dopo mese, il presidente argentino Mauricio Macri sta vedendo naufragare tutti i suoi obiettivi politici e assistendo alle numerose difficoltà in cui si trova ad incorrere il progetto di “restaurazione” propugnato dal leader di Cambiemos, che a partire dal suo ingresso alla Casa Rosada nel dicembre scorso ha sin dall’inizio fatto intendere di essere intenzionato a smantellare gli istituti sociali e le riforme economiche varate in Argentina durante le presidenze dei coniugi Kirchner tra il 2003 e il 2015. Stanno venendo alla luce tutte le incongruenze e le debolezze di un progetto politico con ben pochi contenuti innovativi, capace di trarre la sua forza principalmente dalle spaccature interne al Frente para la Victoria nel periodo pre-elettorale e dal supporto garantitogli al ballottaggio tra Macri e il kirchnerista Daniel Scioli dal “dissidente” del FPV Sergio Massa. Macri ha commesso numerosi errori strategici e ha peccato di eccessiva ingordigia, vedendo rapidamente naufragare il consenso conquistato alle urne e assistere a vistosi cali di popolarità a seguito del tentativo di imporre riforme oltremodo impopolari, duramente contrastate dalle opposizioni parlamentari che, dopo alcune settimane di iniziale smarrimento, hanno ritrovato coesione e organicità. Recentemente, i kirchneristi sono riusciti a bloccare in Parlamento i progetti di riforma del mercato del lavoro portati avanti da Macri, desideroso di restaurare il predominio dell’ideologia neoliberista, trovando in questo caso sponda con il gruppo di Sergio Massa che, astenendosi, ha consentito alla Camera di approvare la Ley Antidespidos, la quale prevede l’istituzione di nuove e protettive garanzie contro i licenziamenti dei lavoratori, nei confronti della quale Macri è stato spinto all’inusuale prassi di imporre il veto presidenziale. Il governo dell’ex sindaco di Buenos Aires conosce dalle prime battute forzature o evidenti distorsioni del metodo democratico, dato che Macrì ha largamente abusato della possibilità di promulgare decreti leggi senza passare dalla discussione in Parlamento, giustificandosi con la necessità e l’urgenza che giustificavano i suoi provvedimenti, tentando di forzare in poche settimane una costruzione edificata dai Kirchner nel corso di dodici anni. L’eliminazione dei sussidi all’energia elettrica, la scelta di procedere con la svalutazione del peso al fine di attirare nuovi investitori nel paese e il citato tentativo di riforma del mercato del lavoro sono solo alcune tra le iniziative più significative di un governo che, proseguendo indomito nei suoi tentativi di ritorno al passato, di spostamento a ritroso delle lancette della Storia, ha sinora causato solo un rincaro delle disuguaglianze economiche e della crisi dell’occupazione senza per questo riuscire a risolvere annose questioni come la dilagante inflazione, l’inaccettabile stato della bilancia commerciale e la crisi del settore industriale. In questi campi, i dati riportati dal numero di giugno de “Almanacco Latinoamericano” testimoniano le grandi difficoltà in cui si dibatte l’Argentina di Macri: l’inflazione è al 19,5%, la produzione ha conosciuto un calo del 3,8% su base annua, i salari reali hanno perso l’8% del loro potere d’acquisto reale nel solo periodo compreso tra gennaio e aprile 2014 e, nel complesso, l’amministrazione non ha operato efficacemente in nessuno degli ambiti dove era richiesta un’azione incisiva per correggere le debolezze del sistema e, anzi, continuando ripetitivamente nella sua lotta di demonizzazione del passato ha finito per non capire cosa servisse veramente sviluppare per garantire all’Argentina un futuro stabile. Per cercare di parare i colpi inflittigli dalla repentina perdita di popolarità e dal subbuglio dell’opinione pubblica, manifestatasi negli ultimi giorni in marce di protesta nel centro di Buenos Aires avvicinatesi anche alla Casa Rosada, Macri non ha saputo fare di meglio che presentare il voluminoso dossiere intitolato El estado de l’Estado, un rapporto di 220 pagine preparato da funzionari del governo nel quale sono descritte puntigliosamente le principali carenze sistemiche e, al contempo, si tenta di scaricare la responsabilità per il loro insorgere alle mancanze delle amministrazioni dei coniugi Kirchner. El estado de l’Estado appare come un vero e proprio manifesto di giustificazione del mancato cambiamento di verso, nonché un documento che permette di capire come da un lato anche in Cambiemos vi sia consapevolezza circa il reale livello delle difficoltà del paese ma, dall’altro, nessuna reale volontà di mettersi all’opera per risolverle, dato che lo scaricabarile effettuato è il degno coronamento di una serie di politiche antitetiche rispetto alle concrete necessità dell’Argentina. Il fardello principale che né Nestor né Cristina Kirchner sono riusciti ad alleviare durante i loro mandati è stato quello della corruzione, endemica a livello sistemico e rivelatasi una grave pregiudiziale per il dispiegamento delle riforme progressiste, e diventata una delle principali motivazioni delle contestazioni subite da Cristina Kirchner nell’ultimo periodo della sua presidenza nonché, dato il carattere assunto dall’ultima elezione presidenziale come vero e proprio “referendum” sul kirchnerismo, una delle cause della mancata elezione di Scioli. La nuova classe media nata dalle riforme kirchneriste ha richiesto una maggiore trasparenza ed è cosciente della gravità del problema, tanto macroscopico da portare a un posizionamento dell’Argentina al 107° posto nella classifica degli stati per Indice di Corruzione Percepita, alla pari con Costa d’Avorio, Bielorussia, Ecuador e Togo ed alle spalle di numerosi paesi latinoamericani come Bolivia, Messico, Repubblica Dominicana, Colombia, Perù, Brasile. Un’istanza reale, imminente e sentita dalla popolazione, dunque, che avrebbe reso necessari tempestivi interventi da parte di un governo guidato da una coalizione che dal suo nome stesso si era presentata come il cambiamento: nel concreto, invece, Macri non ha mosso un dito sul campo della corruzione e, anzi, sul piano più generale della trasparenza del sistema si sono visti dei passi indietro piuttosto che dei progressi. Considerando la situazione a livello aggregato, le riforme di Macri hanno sinora intorbidito le acque e, anzi, bisogna registrare le ambigue e fortemente criticate prese di posizione del presidente sul tema della libertà d’informazione, concretizzatesi sin dalle prime settimane in ambigui decreti legge volti a limitare l’accesso alle informazioni da parte dei media e, inoltre, a porre fortissime restrizioni all’ingresso di nuovi attori nel campo televisivo. Ancora più gravi sono stati i provvedimenti di inizio giugno con cui il governo ha annunciato l’imminente chiusura delle emittenti TeleSUR e Russia Today, che entro due mesi cesseranno completamente le trasmissioni sul territorio argentino. La scelta va analizzata tanto dal punto di vista delle ripercussioni interne sull’informazione quanto da quello geopolitico, dato che la chiusura di TeleSUR e Russia Today rappresenta una mossa con cui Macri intende lanciare un chiaro messaggio riguardante il nuovo corso della sua politica estera. Entrambe le emittenti hanno ricevuto forti incentivi nella loro diffusione sul suolo argentino dagli sforzi diplomatici dei coniugi Kirchner, dato che se da un lato Nestor fu tra i principali sostenitori della nascita del canale di informazioni panamericano e finanziò con la maggior quota dopo quella venezuelana la nascita di TeleSUR dall’altro la moglie ammise ufficialmente Russia Today nell’etere dopo aver raggiunto un accordo in tal senso col presidente russo Vladimir Putin nel 2014. I due canali sono dunque due simboli della politica estera del kirchnerismo, sviluppatasi sul versante regionale attraverso la convergenza con gli altri paesi governati da partiti riferibili al socialismo del XXI secolo e su quello globale sulla base dell’avvicinamento progressivo alla Russia e alla Cina, divenute i principali riferimenti commerciali e diplomatici di Buenos Aires a scapito degli Stati Uniti. Macri intende invertire la rotta e, essendo deciso a considerare Washington l’interlocutore principale, non esita a lanciare messaggi attraverso azioni ambigue come quelle recentemente messe in atto, che inoltre hanno permesso al governo di silenziare due voci di opposizioni rilevanti e dai forti appoggi internazionali. La deriva antidemocratica che nel corso dei mesi sta assumendo la presidenza reazionaria argentina è sotto gli occhi di tutti, e viene da pensare che putiferio sarebbe stato messo in atto dal Dipartimento di Stato USA o da altre cancellerie occidentali se governi sudamericani come quello venezuelano o boliviano avessero deciso, da un giorno all’altro, di sospendere le trasmissioni di due televisioni estere. Il bilancio del primo semestre di presidenza Macri non può di certo essere considerato positivo: il suo mandato è stato caratterizzato dall’esacerbarsi dei problemi politici ed economici che affliggono l’Argentina, mentre il paese è percorso da un diffuso senso di sfiducia nei confronti delle istituzioni e, sul campo istituzionale, la contesa è molto aspra, con la presidenza e l’esecutivo in perenne attrito con un Parlamento che diverse volte ha saputo remare contro le riforme proposte, in gran parte correlate ai desideri di restaurazione del neoliberismo. Il destino della reazione argentina sarà cruciale per capire quali saranno il futuro comportamento e le future mosse che verranno intraprese dagli emuli latinoamericani, primo fra tutti il presidente brasiliano ad interim Temer: egli si è già lanciato, con celerità ancora maggiori di quella di Macri, sulla strada verso la riedificazione dell’ordine neoliberista, tentando di screditare il Brasile di Lùla e Dilma Rousseff nella stessa maniera con cui l’esecutivo argentino demonizza il suo recente passato. Il nichilismo divenuto forma di governo non può che condurre in un vicolo cieco: se i partiti politici latinoamericani facenti riferimento al socialismo del XXI secolo non riusciranno a opporre progetti innovativi ai loro avversari, tuttavia, questo andazzo è destinato a diventare una prassi a livello continentale.
Macri e il futuro incerto dell?Argentina (http://www.lintellettualedissidente.it/esteri-3/macri-e-il-futuro-incerto-dellargentina/)