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Kavalerists
26-06-16, 07:30
Trump, Hofer, Nato, Loi Travail e Siria: la "finta sinistra" sempre più finta http://www.lantidiplomatico.it/resizer/resiz/public/635897804552595361-1191666929_clintondebate.jpg/700x350c50.jpg





di Vincenzo Brandi
Roma, 25 maggio 2016

Una serie di interessanti notizie, apparentemente non collegate tra loro, hanno colpito l’opinione pubblica nazionale ed internazionale in queste ultime settimane, ma sembra a chi scrive che esse abbiano in comune una serie di fili che le legano strettamente.

Esaminiamo per primo il fenomeno Trump. Per la prima volta questo vulcanico candidato alla presidenza USA supera di poco nelle previsioni di voto la “democratica” Hilary Clinton. Apriti cielo! Tutta la finta “sinistra” di regime a livello mondiale si strappa i capelli e si augura che gli Statunitensi si turino il naso e votino per la Clinton, una delle politicanti più guerrafondaie della storia americana (come del resto lo sono state l’ex Segretaria di Stato Madeleine Albright, la “consigliera per la sicurezza” di George Bush, Condoleeza Rice, e la vice della Clinton, Victoria Nuland, organizzatrice del colpo di stato nazista di Kiev). Parliamo di quella stessa Clinton che ballava di gioia quando massacrarono Gheddafi e premeva su Obama per una politica più “muscolare” verso la Siria. Per contro il “pazzo” Trump (come giustamente sottolineato dall’amico Mario Albanesi in un suo editoriale) ha fatto un’interessante apertura verso la Corea del Nord offrendo finalmente , in cambio della rinuncia coreana all’arma di dissuasione nucleare, un trattato di pace che gli USA hanno negato alla Repubblica “Popolare-Democratica” nordcoreana per più di 60 anni, caratterizzati da embargo e minacce militari continue. Trump ha anche aperto alla Russia e promesso addirittura un salario minimo e l’assistenza medica pubblica gratuita.

La finta “sinistra” di regime si è stracciata le vesti anche quando in Austria si è profilata una vittoria del populista di destra
Hofer, riuscendo a far eleggere – con una campagna mediatica basata sulla paura - per una manciata di voti un rassicurante candidato “verde”, in realtà fedele esecutore di tutti i diktat liberisti della UE ed amico fedele della NATO. Hofer è sicuramente un candidato fascistoide e xenofobo che predica la chiusura delle frontiere, ma dovrebbe far riflettere che per lui hanno votato l’86% (ottantasei per cento !!!) degli operai austriaci, mentre il vincitore ha avuto molti voti tra le classi borghesi medio-alte. Il fatto è che la finta “sinistra” affronta il problema dei rifugiati (impropriamente definiti “migranti”, come se fosse un fenomeno naturale come quello degli uccelli migratori) con grandi dosi di “buonismo” e tanta ipocrisia. Non vengono mai esaminate infatti le cause reali e le conseguenze del fenomeno “migratorio”. Non viene detto che questo fenomeno (in particolare quello che parte dalla Siria, dalla Libia, Iraq e Afghanistan) è causato proprio dalle guerre spietate e distruttive che noi paesi della NATO, europei e nordamericani, sotto la direzione degli USA, e con l’aiuto di orribili regimi dittatoriali locali (come l’Arabia Saudita e la Turchia), abbiamo condotto contro questi paesi.

Queste guerre non sono che episodi quella che è la politica globale del blocco imperialista USA-NATO, che pretende di continuare a dominare il mondo spazzando via ogni paese che si frapponga ai propri piani di potenza ed usando il ricatto militare verso i paesi più forti che non possono essere direttamente distrutti. Così prosegue l’accerchiamento della Russia con nuove installazioni di batterie di missili cosiddetti “difensivi” in Romania nella base di Deveselu ed in Polonia presso il confine russo sul Baltico, allo scopo di annullare la possibilità di risposta della Russia ad un eventuale “primo colpo” della NATO. Altre installazioni sorgono nella Corea del Sud, ancora militarmente occupata dagli USA da oltre
70 anni, con la scusa della “minaccia nord-coreana”. Proseguono le provocazioni anti-cinesi nel Mar Cinese Meridionale con operazioni navali e di spionaggio aereo, mentre, con manovre diplomatiche ed accordi militari, si cerca di portare dalla propria parte l’India, e persino il Vietnam, in funzione anti-cinese. Nelle basi italiane di Aviano e Ghedi si sostituiscono le vecchie bombe nucleari B61 con le più moderne bombe “tattiche” B61-12, mentre il nostro governo, completamente succubo della NATO, finge di ignorare anche le timide proteste antinucleari che si elevano da alcuni gruppi pacifisti.

Da parte sua la finta “sinistra” di regime si appresta, in Italia ed in Europa, a rinnovare il 1° giugno, nel silenzio generale, le durissime sanzioni che affamano la Siria, e che impediscono persino le rimesse in danaro alle famiglie rimaste in Siria e qualsiasi commercio (anche di medicinali di uso corrente) o operazione finanziaria (mentre non vengono applicate sanzioni sulle zone controllate dai “ribelli” islamici). Ci risulta che solo il Movimento 5 Stelle e (diamogliene atto!) la Lega abbiano presentato in Parlamento mozioni che invitano il governo a non rinnovare le sanzioni. E’ partito anche un appello in tal senso del Comitato Italiano contro le sanzioni alla Siria, che ha raccolto migliaia di firme, mentre molti gruppi finto-pacifisti legati alla “sinistra” di regime ignorano l’avvenimento, o continuano addirittura una campagna finto-umanitaria tesa a colpire il governo Assad, unico riconosciuto anche in sede ONU!

La finta “sinistra” finge anche di non accorgersi delle conseguenze destabilizzanti dell’ondata migratoria, indotta dalle guerre ( e concordata anche in certa misura con il regime fascista turco di Erdogan, che riceve in cambio miliardi di Euro) , che rischia obiettivamente di avere conseguenze destabilizzanti sui già fragili equilibri sociali europei. Benché sia doloroso dirlo, non si può infatti ignorare che un fenomeno così vasto rischia di favorire l’attacco in corso ai diritti dei lavoratori europei. Il vecchio Marx aveva sviluppato il concetto di “esercito dei lavoratori di riserva”, cioè una massa di diseredati sotto-occupati o disoccupati usata come arma di ricatto verso i lavoratori. Su questo occorre ragionare seriamente, cercando di agire sulle cause, senza lanciare parole d’ordine demagogiche e finto-umaniste, del tipo “facciamo entrare tutti”. Atteggiamenti del genere hanno indotto grandi avanzate dei movimenti populisti europei, come in Francia (dove moltissimi operai ex-comunisti votano per il “Front National” di Marie Le Pen), in Grecia, Polonia, Ungheria, Germania, Austria, ed anche in Italia con la Lega (zeppa di operai ex-comunisti).

La “sinistra” di regime modello Tony Blair- Renzi-Hollande, da parte sua, continua in Italia, Francia, Belgio, e altri paesi, ad attaccare i diritti dei lavoratori con nuove legislazioni-capestro sul lavoro, tipo “Jobs Act”. Per fortuna in Francia ed in Belgio alcuni settori di lavoratori protestano vivacemente. In Italia si nota una certa rassegnazione, mentre Renzi continua l’offensiva proponendo ulteriori tagli alla costituzione, l’istituzione di un docile Senato non elettivo, e difendendo a spada tratta una legge elettorale anti-democratica e ultra-maggioritaria. L’ex-Presidente Napolitano, scavalcando lo scialbo Mattarella, si fa padrino, con arroganza, di tutta l’operazione, tesa a dare poteri straordinari all’esecutivo.
Speriamo che gli Italiani, in un soprassalto di rabbia ed orgoglio, votino almeno NO al referendum di ottobre sullo stravolgimento costituzionale, e mandino a casa la banda che imperversa sulle nostre teste.

Trump, Hofer, Nato, Loi Travail e Siria: la "finta sinistra" sempre più finta - L'Analisi - L'Antidiplomatico (http://www.lantidiplomatico.it/dettnews.php?idx=5871&pg=15898)

Kavalerists
30-06-16, 23:51
L'Intellettuale Dissidente (http://www.lintellettualedissidente.it/) / Italia (http://www.lintellettualedissidente.it/Italia)

http://www.lintellettualedissidente.it/wp-content/uploads/2016/06/1467040983-leader-socialisti-europei-940x200-1467203208.jpg Quei figli del Pci incapaci di trovare sé stessi Di fronte al superamento liberista della società dello Stato-Nazione la sinistra occidentale ha abbracciato la globalizzazione. Incapace di essere fedele al suo materialismo costitutivo, non coglie il nuovo conflitto sociale in essere, che trova dunque la sua espressione nei populismi di destra.

di Alessio Sani (http://www.lintellettualedissidente.it/redazione/a-sani/) - 29 giugno 2016


Uno spettro si aggira per l’Europa, e rischia di non essere quello di Marx. Quella che si va aprendo ormai da qualche anno, in risposta alla pesante crisi economica e soprattutto spirituale dell’Occidente, è la stagione dei populismi di destra. C’è qualche bagliore di novità anche a sinistra, in verità, ma non sufficiente da dare adito a speranze ben riposte. Anche gli esperimenti di maggior successo, come Podemos e il Movimento 5 Stelle, sono soggetti politici strani, difficilmente inquadrabili nel classico orizzonte di senso della sinistra europea. C’è un ché di progressista, volto in qualche modo verso l’equità sociale e al superamento della democrazia rappresentativa come assetto istituzionale di riferimento, ma è difficile collocarne l’origine nel solco dell’ortodossia marxista. Sicuramente non c’è una continuità storica, difficile risulta trovare anche una qualche continuità ideologica. Di più certo c’è il fallimento di Tzipras in Grecia.
Eppure immaginare una stagione di cambiamento, forse anche profondo, senza sinistra sembrerebbe in apparenza un controsenso logico. Invece proprio quello che fu uno dei più grandi meriti di Marx rischia di esserne, nel lungo periodo, uno dei maggiori limiti. La riduzione della Storia al materialismo è stata un’intuizione geniale (che ha per la verità pagato un probabile tributo all’utilitarismo del secolo precedente). Identificarne il motore del dinamismo sociale nel conflitto di classe anche. Cristallizzare questa idea al classico conflitto novecentesco tra borghesia e proletariato, trascurando la contingenza, ne è stato l’errore fatale. Marx scrive a metà Ottocento, in Inghilterra, ed il lì e allora hanno particolare importanza. Oggi la realtà storica è completamente diversa. Va da sé, non possono essere ritenute valide le medesime categorie di analisi e soprattutto non possono essere impiegate nello stesso modo. E’ venuta meno, dunque, la capacità di analisi della sinistra, obnubilata dai figli spuri del progressismo stesso.
Non capire il presente, tuttavia, è stato solo l’ultimo passo di un lungo percorso. Forse la sinistra è stata vittima del proprio successo, proprio come temevano i massimalisti più intransigenti. Negli anni ’70 il riformismo raggiunge l’apice. Le classi subalterne occidentali conquistarono diritti che iniziarono ad apparire addirittura come privilegi rispetto alla scoperta dei nuovi sfruttati, il proletariato del Terzo Mondo. In Occidente la sinistra inizia dunque a distaccarsi dal proprio elettorato di riferimento, travolta da un vento culturale che soffia da nord-ovest, tra Said e Derrida. Tra uno studio post-coloniale e l’altro il pensiero progressista si ritrova a cedere tutti i suoi piacevoli barocchismi alla destra. L’internazionalismo proletario viene confuso col cosmopolitismo illuminista (borghese), ad esempio. La retorica dei diritti civili (individuali) soppianta quella dei diritti sociali (collettivi). La causa materialista viene dimenticata, sepolta in fretta assieme agli ultimi mattoni del muro di Berlino. Quelle che rimane è un pensiero vacuo, fighetto, da gauche caviar direbbero e dicono i francesi, prono alle istanze liberiste prodromiche della globalizzazione. Il processo di reciproca influenza valoriale, di reciproca contaminazione, tra destra e sinistra, è ovviamente graduale. Ne è esito la nascita di quello che oggi può esser definito il fronte globalista.
Fatto sta che, mentre la sinistra è impegnata a fornire i paludamenti necessari per le grandi occasioni alla destra, arriva la reazione del padronato. Questo è, analizzato da questo preciso punto di vista, quello della lotta di classe, il processo di globalizzazione. E’ un violentissimo contrattacco, dopo le concessioni keynesiane della Guerra Fredda. Lo dice lo stesso Piketty, uno dei campioni della gauche caviar. Tutto il suo “Il Capitale nel XXI secolo” è incentrato sulla nuova lotta di classe, sull’esplosione della quota di ricchezza detenuta dal celeberrimo uno percento dagli anni Ottanta ad oggi.
Ma se aumenta la disuguaglianza e se i piacevoli orpelli al progressismo come i diritti civili trovano tanto spazio sui media, perché la sinistra tradizionale è in crisi e quella antagonista ridotta all’irrilevanza? E’ qui che entra in gioco la capacità di analisi. Nel mentre è sparito il proletariato. Ha cambiato completamente forma, nel cedere il passo al precariato. Le filiere produttive si sono terribilmente complicate, disseminate come sono in tutto il globo. Molti lavoratori si sono visti esternalizzare il proprio impiego. L’altro, il subalterno di Said, il Terzo Mondo, è entrato in Occidente, ovvio corollario della mobilità di capitali, mettendo in crisi la già vacillante identità occidentale. In un contesto del genere, di intensa frammentazione sociale, pensare che possa esistere una coscienza di classe, dopo averla per di più trascurata per trent’anni, è semplicemente utopico.
Quella che sta emergendo, forse perché più forte, forse perché più inclusiva nei confronti del corpo sociale cui fa riferimento, è un’altra forma di identità, quella nazionale. E questo spiega perché a volare nei sondaggi siano i populismi di destra. Basta analizzare la demografia del voto della Brexit per rendersi conto di quale sia l’assetto assunto dal nuovo conflitto sociale che la sinistra non vuole e non può leggere. Tre dati sono fondamentali: le campagne erano per l’uscita, Londra no; gli anziani erano per il leave, al contrario dei giovani; i più istruiti (dunque, spesso, i più ricchi) erano per il remain, a differenza dei meno colti. E’ sostanzialmente la stessa dinamica all’origine del fenomeno Trump, e probabilmente è simile a quella alla base dell’uragano Le Pen. Il conflitto sociale sta aumentando la propria intensità, trovando sbocco politico, questo è il primo dato. Il secondo dato riguarda la fisionomia della polarizzazione. E’ evidente: vincenti (o speranzosi di vittoria) della globalizzazione contro sconfitti dalla globalizzazione. E’ questo il dato materiale, al quale per l’appunto il materialismo dovrebbe interessarsi per capire la nuova fisionomia assunta dal corpo sociale, le nuove classi. Da una parte i ricchi, i banchieri, i finanzieri, i manager, i laureati ad Harvard od Oxford, e chi spera di diventare come loro: i giovani della generazione erasmus, ormai antropologicamente mutati rispetto ai loro padri. Dall’altro i provinciali, i vecchi, i piccoli. Chiunque sia obbligato (dalla povertà o dall’ignoranza) a non muoversi, a non scegliere la fuga all’estero, assieme a chi è radicato, per meriti propri o per rendite di posizione. Dunque operai come agricoltori, piccoli imprenditori come piccole partite iva. Anche quella borghesia provincialotta che tanto faceva Italia nei cinepattoni, quella dei medici e degli avvocati che si conoscono tutti tra di loro. Insomma, il Paese reale, l’Italia delle piccole città e dei piccoli vizi contro la generazione sovranazionale.
E’ pertanto chiaro che tra chi ha da sempre le categorie concettuali, gli idealtipi necessari all’analisi di un fenomeno come questo, e chi alcune di queste categorie le rifiuta a priori, la Storia scelga i primi. Quella che si va aprendo è un periodo in cui il cambiamento verrà incarnato dalla destra, e la governance dalla sinistra. E’ tale, il ribaltamento di valori, in una complessità di intrecci semantici ed ideologici, che il dado è definitivamente tratto.

Quei figli del Pci incapaci di trovare sé stessi (http://www.lintellettualedissidente.it/italia-2/quei-figli-del-pci-incapaci-di-trovare-se-stessi/)
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Non mi piace e non voglio concordare sulla conclusione finale, sui ruoli di destra e sinistra, ma allo stato attuale delle cose è purtroppo impossibile dar torto all'autore.

Hynkel
01-07-16, 01:06
Effettivamente pare che a destra ci sia un maggiore impulso a risolvere i problemi sociali, ma è una delle tante aberrazioni di quest'epoca

Avanguardia
01-07-16, 08:40
Effettivamente pare che a destra ci sia un maggiore impulso a risolvere i problemi sociali, ma è una delle tante aberrazioni di quest'epoca
E' tutta finta. Il tipico gioco delle parti della pseudo-democrazia.

LupoSciolto°
01-07-16, 11:15
Gli articoli de L'Intelletuale Dissidente, spesso, colgono nel segno. Qui sono descritti tutti gli aspetti deteriori della "sinistra" di governo e di quella più o meno radicale.

E' vero, inoltre, che non esiste un soggetto rivoluzionario come negli anni '60 e '70. Il neoproletariato è un insieme di sfruttati molto diversi tra loro (per interessi, provenienza, formazione e quant'altro), una massa priva di coscienza di classe.

Kavalerists
28-11-16, 22:37
La farsa dell’hate speech

L’ennesima trovata politicamente corretta che ridicolizza uno dei principi fondanti del vivere associato: il rispetto
di Lorenzo Pennacchi - 28 novembre 2016 http://www.lintellettualedissidente.it/wp-content/themes/ID/images/facebook.svg (http://www.facebook.com/share.php?u=http%3A%2F%2Fwww.lintellettualedisside nte.it%2Fsocieta%2Fla-farsa-dellhate-speech%2F&title=La%20farsa%20dell%E2%80%99hate%20speech) http://www.lintellettualedissidente.it/wp-content/themes/ID/images/twitter.svg (http://twitter.com/intent/tweet?status=La%20farsa%20dell%E2%80%99hate%20spee ch+http%3A%2F%2Fwww.lintellettualedissidente.it%2F hxnyf+@IntDissidente) http://www.lintellettualedissidente.it/wp-content/themes/ID/images/google+.svg (https://plus.google.com/share?url=http%3A%2F%2Fwww.lintellettualedissident e.it%2Fsocieta%2Fla-farsa-dellhate-speech%2F)
Abbiamo tutti ancora sotto gli occhi la campagna elettorale altisonante di Donald Trump. Provocatoria, autentica, politicamente scorretta, capace di colpire il cuore e la testa dei cittadini statunitensi. C’è chi l’ha apprezzata e chi l’ha denigrata in tutti i modi possibili, anche dopo la sua vittoria. Lo star system si è indignato contro il neocon, dipingendolo con gli stereotipi più banali, dopo avere aguzzato l’orecchio ad ogni sua affermazione. Riconosciuto come simbolo di odio universale, in quanto non disposto a ripetere le solite filastrocche a memoria, i “buoni” hanno finito con l’odiare il “cattivo”. E hanno perso. La parabola trumpista conferma una tematica presente a tutti i livelli sociali: la presenza degli autoproclamatisi paladini della libertà, i quali, identificandosi con il bene, dichiarano guerra ad un presunto male, da estirpare necessariamente per presunti fini collettivi. Questo esercito è composto da politici, intellettuali, personaggi dello spettacolo, attivisti, tutti impegnati ad apparire giusti, in una società immonda, che deve essere purificata. E così l’immaginario collettivo si riempie di sproloqui, di monologhi, di spot, volti a moralizzare il prossimo, riguardo temi di per sé molto complessi, ma che vengono presentati in maniera univoca: o li accetti così – sembrano dire i paladini – o rimarrai un immorale, razzista, omofobo, che picchia le donne e denigra i disabili. Insomma, viene dato per scontato che se non si condividono parte dei discorsi progressisti, o anche se non ne si vuole fare una bandiera da sventolare ovunque, si è un mostro, uno che vive nel passato, un Trump. È proprio da queste premesse che in Europa si sta importando in maniera sempre più sistematica dagli Stati Uniti una nuova trovata: l’hate speech.

Come si può intuire dal termine un hate speech è un discorso che attacca una persona o un gruppo in base a caratteristiche quali l’etnia, il sesso, la religione, e così via
Un piccolo inciso: è evidente come questi discorsi di odio permangono tutt’oggi nella società, reale e virtuale, e come siano un evidente intralcio allo sviluppo individuale e collettivo. Di conseguenza, non si vuole comprendere o giustificare questi atteggiamenti (qualora siano veramente offensivi), ma capovolgere la questione, mostrando come gli ardenti oppositori di queste modalità, i paladini descritti precedentemente, in verità rappresentano l’altra faccia della stessa medaglia, essendo loro stessi promotori di odio. Ma andiamo con ordine. Nella seconda metà degli anni Ottanta, negli Stati Uniti, viene creata la Critical race theory (CRT), una cornice teorica di scienze sociali, incentrata sulla tematica dell’odio verbale. Il manifesto di questo movimento è Words that Wound (1993), in cui la tesi principale è che le parole possono colpire, come fossero delle bacchette o delle pietre, e che per questo vadano considerate al pari delle azioni. Non volendo entrare troppo nei dettagli su questo non affatto scontato principio, è interessante notare come i sostenitori di questa teoria muovano una consistente critica al liberalismo, accusato di permettere la diffusione opinioni offensive, che secondo loro dovrebbero essere censurate. Un autore liberale come Mark Slagle risponderà che le parole non possono essere considerate come azioni e che per questo non dovrebbero mai essere limitate: di fatto, agli insulti si dovrebbe rispondere con altre motivazioni, non con la censura.
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Il dibattito accademico sull’hate speech si presenta dunque come variegato, intellettualmente interessante, ma ghettizzato e lontano dai radar delle persone comuni. A ben vedere, come spesso accade, sono proprio gli accademici a limitare la portata dei propri dibattiti, prima che essi spuntino da chissà dove, travolgendo una massa sociale impreparata. È successo coi gender studies e potrebbe succedere con l’hate speech. Si noti come in entrambi i casi i termini rimangano rigorosamente in inglese, quasi a sottolineare una prevalenza intrinseca, perché universale, degli argomenti. Inoltre, passando dal ghetto accademico alla piazza comune, ci si accorge immediatamente dell’uniformità di prospettiva: l’argomento in questione non è più un qualcosa da indagare da più punti di vista, ma un precetto da accettare all’unanimità. Ecco allora che i paladini, alcuni dei quali mascherati da intellettuali, fanno la propria comparsa pubblica. Tutta la società si mette in moto: vengono creati movimenti, progetti, blog, per combattere ciò che fino a poco prima nemmeno si considerava un problema, ma che adesso è divenuto un imperativo categorico per tutelare gli interessi di tutti. Così nasce il No hate speech movement, a livello nazionale e continentale, con il suo spot ricco di cuori e messaggi da adolescenti.
Vedendolo, un senso di nausea è inevitabile. È il trionfo delle parole facili, dei messaggi buonisti e del politicamente corretto che continua a fracassare l’immaginario collettivo. È l’ennesimo manifesto di quei paladini che hanno bisogno del loro contrario per vivere, e laddove questo non c’è, lo creano: lo generano per poi odiarlo. Sono le parabole dell’antifascismo in assenza di fascismo, degli spettri comunisti nell’Europa neoliberale, dei puri democratici contro il malefico Trump. I paladini sono anche tutti quelli che si indignano perché sentono la parola negro (http://www.lintellettualedissidente.it/rassegna-video/la-cultura-del-piagnisteo-per-chi-ha-letto-hughes/)usata tra amici, mentre si vantano di usare l’epiteto di colore, o quelli che non accettano il black humor, in quanto considerato offensivo, ma che riconoscono l’inalienabile diritto di un giornale come Charlie Hebdo di fare satira. Questi individui hanno la pretesa di imporre i loro limiti linguistici a tutti gli altri, perché credono di essere nel giusto e che la loro ricetta risolverà i contrasti (reali) all’interno della società. La verità è che l’odio nella società non si combatte con qualche anglicismo importato dall’altra parte dell’Oceano, né grazie a qualche pubblicazione accademica: si sconfigge con il rispetto, quello autentico, che fa seguire alle parole le azioni, non tese a dare spettacolo, ma a produrre risultati concreti. L’hate speech presentato alla società dunque non sarebbe altro che un pleonasmo, intrinseco alla nozione di rispetto, che dà la possibilità a centinaia di presunti paladini di sventolare le proprie bandiere. È un ghetto moralizzante al quale non vogliamo prendere parte, perché la vita, in fondo, non può essere limitata da queste scemenze.

La farsa dell?hate speech (http://www.lintellettualedissidente.it/societa/la-farsa-dellhate-speech/)