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Visualizza Versione Completa : Globalizzazione e diseguaglianze



Logomaco
01-07-16, 14:58
Eugenio Occorsio per “la Repubblica” (http://www.repubblica.it/)



Globalizzazione e diseguaglianze, due facce della medaglia. Come valorizzare la prima senza accentuare le seconde, un'equazione intorno alla quale si scervellano da anni economisti di tutto il mondo. E la missione di una vita per Angus Deaton, classe 1945, nato a Edimburgo e oggi docente a Princeton dopo aver insegnato a Cambrige e Brixton, che grazie ai suoi studi sulla povertà e le ingiustizie insite nella globalizzazione ha vinto il Nobel per l' economia nel 2015.

«Quello che non riesco a spiegarmi, che non mi dà pace, è che a favore della conservazione più retriva, da Farage a Trump, si siano schierate le fasce più svantaggiate, dagli abitanti di Tower Hamlets, il distretto degli immigrati di Londra dove il 30% dei bambini vive sotto la soglia di povertà, a quelli di Sunderland, una cittadina che grazie alla globalizzazione vive quasi esclusivamente in virtù di una fabbrica della Honda». Lei ha conservato la doppia cittadinanza: ha votato?«Macché. C'è una strana legge nel Regno Unito che impedisce di votare agli expat che vivono da più di 15 anni all'estero. La legge viene bypassata di solito con misure ad hoc del governo. Stavolta, niente. L'ennesimo autogol di Cameron. Ero sicuro di poter votare Remain». Come la maggior parte dei suoi connazionali scozzesi.
«La Scozia ha legami con l'Europa più forti dell'Inghilterra, pensi solo che prevale la religione cattolica. Ha anche una tradizione illuministica di rispetto. Ma a parte la Scozia, il pericolo è quello di tornare a un'Europa divisa e preda dei nazionalismi come all' inizio del Novecento. Roba da rabbrividire. Vede? Stiamo qui a parlare di scenari di guerra, mentre l'Europa è nata dalla pace e per la pace». La Brexit avrà effetti sulla globalizzazione?
«Innanzitutto non sono sicuro che la Brexit ci sarà. Anzi. Ci sono tante circostanze che possono evitarla che, a mio giudizio, alla fine non se ne farà nulla. Certo, se invece si andrà fino in fondo, il colpo alla globalizzazione sarà pesante, per la semplice ragione che ci sarà un brusco calo degli interscambi commerciali e quindi un rallentamento dell' economia mondiale. Al quale si accompagnerà una riduzione dei movimenti di personale qualificato all'interno dell'Europa, che è un fattore trainante della crescita. L'incertezza continuerà a lungo, il che è un male per tutti. Meno soldi saranno in circolazione e su di essi si avventeranno con maggior cupidigia i soliti già ricchi e potenti». Potrebbe essere un'occasione per ripensare ai tanti errori in tema di diseguaglianze?
«Veramente sarebbero accentuate. Ma la realtà è difficile da prevedere. La Gran Bretagna è diventata, dai tempi della Thatcher, il terreno di coltura europeo delle diseguaglianze. In altri Paesi, dalla Scandinavia al Mediterraneo, la situazione è meno drammatica. Ma la Gran Bretagna sembra aver preso il peggio dall'America, campione mondiale delle diseguaglianze. Londra ha ora abbinato questa leadership negativa a una imperdonabile insofferenza contro gli immigrati. Nel mondo occidentale si diffonde anziché ridursi quello che Thomas Piketty chiama "capitalismo patrimoniale": sono i ricchi a fare le leggi, a loro beneficio.
Si innescano reazioni a catena, e la stessa democrazia finisce col soffrirne perché si diffonde la sensazione che il proprio voto non conti nulla per modificare la situazione. Da diseguaglianza nasce diseguaglianza: oltretutto questo rallenta la crescita mondiale e riduce le possibilità che la globalizzazione sia davvero un fattore di sviluppo. Se a dominare il quadro restano i ricchi, finisce che lo stesso welfare state ne soffre perché ai ricchi non interessa la copertura assicurativa pubblica. Vede perchè sono interconnesse globalizzazione e diseguaglianze?»

Lei "nasce" matematico. Quali sono i conti attuali delle diseguaglianze?«Ho combattuto battaglie strenue perché l' occidente non si facesse illusioni. Nel 2011 la Banca Mondiale mi ha finalmente ascoltato e ha portato da un irrealistico dollaro al giorno a 1,90 la soglia di povertà. Di colpo i poveri balzarono da 1,3 a 1,8 miliardi, oggi fortunatamente si sono ridotti, secondo questo standard, a 887 milioni. Un numero ancora gigantesco, inaccettabile. Il benessere e l' egoismo dei pochi al top sono una minaccia alla sopravvivenza di tutti gli altri».

Nel suo ultimo libro The Great Escape ("La grande fuga", pubblicato in Italia dal Mulino nel 2015) lei racconta proprio la disperazione e l' inarrestabilità di questa marea umana che si riversa da sud a nord. C'è qualche rimedio? Forse gli investimenti in loco proposti dall' Italia con il migration compact?«Vede, mandare incentivi a quei Paesi ha avuto certo grandi effetti positivi. In India quattro quinti delle donne vanno a scuola, delle loro madri solo la metà. Un bambino dell' Africa sub-sahariana ha più possibilità di arrivare al suo primo anno di vita di quante non ne avessero i figli dei minatori dello Yorkshire, qual era mio padre, un secolo fa (sia il nonno che il padre di Deaton lavoravano nella miniera di Thurcroft, una delle più pericolose, chiusa nel 1991, ndr).

Il problema è che spesso i fondi di solidarietà indirizzati nei Paesi più disagiati del pianeta - e parliamo di aiuti dell' ordine dei 100 miliardi annui - o rispondono a interessi dei donatori o finiscono nelle tasche di qualche potentato locale senza arrecare benefici adeguati alla popolazione interessata.

La globalizzazione sana è un' altra cosa, e potrebbe essa sì contribuire al riscatto di quelle aree: dovrebbe preoccuparsi di diffondere sia infrastrutture di base come autostrade o linee telefoniche, che conoscenza e formazione. È un vero prendersi cura con partecipazione delle vicende del resto del mondo, anche le più imbarazzanti. E non lasciare che il destino degli individui sia affidato al caso. Finché la vita offrirà opportunità o fortune che non tutti possono afferrare, il progresso creerà fatalmente diseguaglianze, e non distribuirà equamente la possibilità di vivere a lungo con tranquillità. E altrettanto imperfetta sarà la globalizzazione».

Logomaco
02-07-16, 14:20
LA DISUGUAGLIANZA PROPULSIVA DI ANGUS DEATON. INTERVISTA A FRANCESCO SCHETTINO



Ottobre 30, 2015
di Pasquale Vecchiarelli


Nell’ultima lezione del corso di Critica al Capitalismo [1], è stato affrontato il tema della circolazione nel modo di produzione capitalistico. Il Capitale dopo aver oggettivato valore all’interno della merce per mezzo della forza lavoro, cioè, detto più brutalmente, dopo aver prodotto le merci sfruttando i lavoratori, deve realizzare questo valore attraverso i prezzi e il plusvalore sotto la forma di profitto mediante lo scambio con la merce denaro.

Questo processo di trasformazione della merce in denaro (la vendita della merce) è soggetto a fenomeni aleatori incontrollabili per lo stesso capitale. È probabile che alcune categorie di merci in determinati periodi storici siano maggiormente o minimamente sensibili alla crisi del capitale e quindi siano più o meno ricercate sul mercato. Quindi lo scambio M-D’ [2] dovrebbe permette al capitale di realizzare il profitto; pertanto, una o più merci invendute implicano un profitto non realizzato*.

Siccome in questo scambio intervengono fattori estremamente complessi ** conoscere la legge esatta che lega le fluttuazioni del consumo individuale con la fase storico-politico-economica è estremamente complesso ma con una certa approssimazione ciò è possibile e i numerosi lavori del neo-premio Nobel all’economia A. Deaton [3][4] ce lo confermano.

Ne parliamo con Francesco Schettino, ricercatore di economia politica alla Seconda Università di Napoli e redattore della rivista La Contraddizione.

di Pasquale Vecchiarelli

Angus Deaton ha ricevuto il premio Nobel in economia. Indubbiamente la sua produzione scientifica è stata di altissimo spessore, ma il filo che lega tutta la sua opera di ricerca sembra essere l’ossessione ai modelli di consumo individuale. Taglio con l’accetta, con tutto il rispetto per Deaton, ma perché dedicare tutto questo tempo a capire se e in che modo la crisi o l’IVA (imposta sul valore aggiunto) sono legate all’aumento o alla riduzione del consumo di caviale o di tonno? Davvero dobbiamo osservare il consumo di uova per capire se c’è disuguaglianza e povertà? Non basterebbe studiare le contraddizioni del capitale.

Prima di tutto è sempre importante tenere a mente che i Nobel per l’economia hanno molto di ideologico – soprattutto per quel che concerne la creatura più fedele alla classe dominante, ossia l’economista: pertanto vien da sé che è una premiazione che può coinvolgere esclusivamente economisti borghesi. Nello specifico, come dici tu, Deaton ha prodotto dei lavori di importanza straordinaria dal punto di vista scientifico fornendo la possibilità concreta di studiare ed analizzare, attraverso lehousehold surveys non già i generici comportamenti di consumo, quanto più le empiriche unità abitative (o individuali o familiari). Su questo bisogna far chiarezza: analizzare i micro dati non significa affatto impostare un discorso “individualista” poiché l’obiettivo è invece quello contrario di utilizzare dati “più reali del re” poiché frutto di dichiarazioni direttamente rilasciate dai lavoratori (in sostanza una vera e propria inchiesta, benché mai di classe) e dalle altre classi sul proprio modo di vivere (e di guadagnare, in forma di profitti o salari) per poi sintetizzarlo statisticamente. Si tratta certamente di dati più affidabili di quelli fiscali o raggruppati da statistiche, che sono, dal mio punto di vista, meno attendibili anche concettualmente come Pil etc. Le contraddizioni del capitale vanno certamente studiate (ma non lo farebbe mai un economista borghese, altrimenti sarebbe sconosciuto, altro che Nobel) ma dai dati su cui lui ha lavorato per una vita è possibile tirar fuori uno spaccato materialisticamente ineccepibile che altrimenti sarebbe sconosciuto.

In altri termini, parliamo del contributo scientifico di Deaton, ad una prima superficiale osservazione sembrerebbe un contributo più utile alla guerra interna tra capitali, utile a scovare il “buon mercato” in tempo di crisi, che ad indagare le cause delle “diseguaglianze” è così?

Questa potrebbe essere una chiave di lettura opportuna. La scienza è al servizio del capitale, che ne siano coscienti i cosiddetti “scienziati” coinvolti nella questione, poco conta. Di certo, ripeto, l’aver permesso (sicuramente involontaria) di mostrare inconfutabilmente che la legge generale dell’accumulazione (accumulazione di miseria e accumulazione di capitale) di Marx non è roba proprio da nulla…

La sua opera “La grande fuga” viene elogiata da destra [5] per l’esaltazione della disuguaglianza e del capitalismo concorrenziale come motore dello sviluppo. Ora se da un certo punto di vista ci sentiamo in dovere di tranquillizzare Deaton sul fatto che nel capitalismo non corriamo certo il rischio di avere l’uguaglianza sostanziale, da un altro punto di vista è utile chiarire una questione : cos’è lo sviluppo di cui parla Deaton?

Beh, di certo se il capitalismo fosse in grado di permettere una uguaglianza sostanziale, probabilmente noi avremmo speso gran parte della nostra vita a parlare e a ragionare su paradigmi errati. Ma siccome così non potrà mai essere, di fatto – al di là del giudizio morale sulla disuguaglianza che piace anche alla asinistra – è assolutamente corretto sostenere che il capitalismo si sviluppa (cioè accumula) solo quando genera miseria ossia quando riduce le condizioni di vita della classe subalterna (e dunque aumenta la disuguaglianza); questione che inevitabilmente poi genera una contraddizione insanabile che è quella della sovrapproduzione, ossia dell’impossibilità di vendere la merce prodotta per assenza di domanda pagante.

Il motore dello “sviluppo” risiede nelle disuguaglianze o al contrario i grandi passaggi rivoluzionari della storia, che hanno segnato il passo in avanti dell’umanità, sono coincisi con l’unità dialettica tra condizioni oggettive di crisi profonde dei modi di produzione e soggettività rivoluzionarie mature e intenzionate proprio ad abbandonare la condizione di sfruttamento e subalternità?

Se parliamo di Deaton, le sue affermazioni sono interne al modo di produzione del capitale (per quanto probabilmente neanche lo riconosca). Pertanto limiterei il discorso al concetto di “sviluppo” del capitale.

La disuguaglianza per superare la disuguaglianza, l’analisi dei consumi individuali in sostituzione dello studio complessivo ed organico della produzione sociale, ma non è che si stanno ribaltando le questioni? Non è che per caso applicando la statistica per capire la storia e la politica si corre il rischio di affermare, con tanto di solennità, che il sole sorge perché il gallo canta?

Lo studio dei dati microeconomici è quello che più precisamente e senza filtri riesce a fornire informazioni su ogni singolo soggetto di un sistema economico, aziende comprese. Pertanto non è un problema di strumento statistico, bensì di mancanza di conoscenza concettuale e categoriale di ciò che è l’economia e di come funziona nel modo di produzione attuale.

NOTE

*La mancata realizzazione del profitto è immediata su quello specifico settore ma in ultima istanza si riversa su tutto il capitale.

** come ad esempio le variazioni del salario reale in tutte le sue forme (diretto, indiretto, differito) , dell’occupazione ma anche di comportamenti sociali.

[1]Critica al Capitalismo seminario dell’Università Popolare A. Gramsci anno accademico 2015/2016

[2] Il Capitale, Karl Marx

[3] Deaton, Angus; ,Panel data from time series of cross-sections, Journal of econometrics, 30, 1, 109-126, 1985, North-Holland

[4] Deaton, Angus; The analysis of household surveys: a microeconometric approach to development policy, 1997, World Bank Publications

[5] Viva la diseguaglianza (http://www.ilfoglio.it/economia/2015/10/12/nobel-economia-angus-deaton-viva-la-diseguaglianza___1-v-133776-rubriche_c242.htm)





La disuguaglianza propulsiva di Angus Deaton. Intervista a Francesco Schettino - La Città Futura (http://www.lacittafutura.it/economia/la-disuguaglianza-propulsiva-di-angus-deaton-intervista-a-francesco-schettino.html)

LupoSciolto°
02-07-16, 15:12
LA DISUGUAGLIANZA PROPULSIVA DI ANGUS DEATON. INTERVISTA A FRANCESCO SCHETTINO



Ottobre 30, 2015
di Pasquale Vecchiarelli


Nell’ultima lezione del corso di Critica al Capitalismo [1], è stato affrontato il tema della circolazione nel modo di produzione capitalistico. Il Capitale dopo aver oggettivato valore all’interno della merce per mezzo della forza lavoro, cioè, detto più brutalmente, dopo aver prodotto le merci sfruttando i lavoratori, deve realizzare questo valore attraverso i prezzi e il plusvalore sotto la forma di profitto mediante lo scambio con la merce denaro.

Questo processo di trasformazione della merce in denaro (la vendita della merce) è soggetto a fenomeni aleatori incontrollabili per lo stesso capitale. È probabile che alcune categorie di merci in determinati periodi storici siano maggiormente o minimamente sensibili alla crisi del capitale e quindi siano più o meno ricercate sul mercato. Quindi lo scambio M-D’ [2] dovrebbe permette al capitale di realizzare il profitto; pertanto, una o più merci invendute implicano un profitto non realizzato*.

Siccome in questo scambio intervengono fattori estremamente complessi ** conoscere la legge esatta che lega le fluttuazioni del consumo individuale con la fase storico-politico-economica è estremamente complesso ma con una certa approssimazione ciò è possibile e i numerosi lavori del neo-premio Nobel all’economia A. Deaton [3][4] ce lo confermano.

Ne parliamo con Francesco Schettino, ricercatore di economia politica alla Seconda Università di Napoli e redattore della rivista La Contraddizione.

di Pasquale Vecchiarelli

Angus Deaton ha ricevuto il premio Nobel in economia. Indubbiamente la sua produzione scientifica è stata di altissimo spessore, ma il filo che lega tutta la sua opera di ricerca sembra essere l’ossessione ai modelli di consumo individuale. Taglio con l’accetta, con tutto il rispetto per Deaton, ma perché dedicare tutto questo tempo a capire se e in che modo la crisi o l’IVA (imposta sul valore aggiunto) sono legate all’aumento o alla riduzione del consumo di caviale o di tonno? Davvero dobbiamo osservare il consumo di uova per capire se c’è disuguaglianza e povertà? Non basterebbe studiare le contraddizioni del capitale.

Prima di tutto è sempre importante tenere a mente che i Nobel per l’economia hanno molto di ideologico – soprattutto per quel che concerne la creatura più fedele alla classe dominante, ossia l’economista: pertanto vien da sé che è una premiazione che può coinvolgere esclusivamente economisti borghesi. Nello specifico, come dici tu, Deaton ha prodotto dei lavori di importanza straordinaria dal punto di vista scientifico fornendo la possibilità concreta di studiare ed analizzare, attraverso lehousehold surveys non già i generici comportamenti di consumo, quanto più le empiriche unità abitative (o individuali o familiari). Su questo bisogna far chiarezza: analizzare i micro dati non significa affatto impostare un discorso “individualista” poiché l’obiettivo è invece quello contrario di utilizzare dati “più reali del re” poiché frutto di dichiarazioni direttamente rilasciate dai lavoratori (in sostanza una vera e propria inchiesta, benché mai di classe) e dalle altre classi sul proprio modo di vivere (e di guadagnare, in forma di profitti o salari) per poi sintetizzarlo statisticamente. Si tratta certamente di dati più affidabili di quelli fiscali o raggruppati da statistiche, che sono, dal mio punto di vista, meno attendibili anche concettualmente come Pil etc. Le contraddizioni del capitale vanno certamente studiate (ma non lo farebbe mai un economista borghese, altrimenti sarebbe sconosciuto, altro che Nobel) ma dai dati su cui lui ha lavorato per una vita è possibile tirar fuori uno spaccato materialisticamente ineccepibile che altrimenti sarebbe sconosciuto.

In altri termini, parliamo del contributo scientifico di Deaton, ad una prima superficiale osservazione sembrerebbe un contributo più utile alla guerra interna tra capitali, utile a scovare il “buon mercato” in tempo di crisi, che ad indagare le cause delle “diseguaglianze” è così?

Questa potrebbe essere una chiave di lettura opportuna. La scienza è al servizio del capitale, che ne siano coscienti i cosiddetti “scienziati” coinvolti nella questione, poco conta. Di certo, ripeto, l’aver permesso (sicuramente involontaria) di mostrare inconfutabilmente che la legge generale dell’accumulazione (accumulazione di miseria e accumulazione di capitale) di Marx non è roba proprio da nulla…

La sua opera “La grande fuga” viene elogiata da destra [5] per l’esaltazione della disuguaglianza e del capitalismo concorrenziale come motore dello sviluppo. Ora se da un certo punto di vista ci sentiamo in dovere di tranquillizzare Deaton sul fatto che nel capitalismo non corriamo certo il rischio di avere l’uguaglianza sostanziale, da un altro punto di vista è utile chiarire una questione : cos’è lo sviluppo di cui parla Deaton?

Beh, di certo se il capitalismo fosse in grado di permettere una uguaglianza sostanziale, probabilmente noi avremmo speso gran parte della nostra vita a parlare e a ragionare su paradigmi errati. Ma siccome così non potrà mai essere, di fatto – al di là del giudizio morale sulla disuguaglianza che piace anche alla asinistra – è assolutamente corretto sostenere che il capitalismo si sviluppa (cioè accumula) solo quando genera miseria ossia quando riduce le condizioni di vita della classe subalterna (e dunque aumenta la disuguaglianza); questione che inevitabilmente poi genera una contraddizione insanabile che è quella della sovrapproduzione, ossia dell’impossibilità di vendere la merce prodotta per assenza di domanda pagante.

Il motore dello “sviluppo” risiede nelle disuguaglianze o al contrario i grandi passaggi rivoluzionari della storia, che hanno segnato il passo in avanti dell’umanità, sono coincisi con l’unità dialettica tra condizioni oggettive di crisi profonde dei modi di produzione e soggettività rivoluzionarie mature e intenzionate proprio ad abbandonare la condizione di sfruttamento e subalternità?

Se parliamo di Deaton, le sue affermazioni sono interne al modo di produzione del capitale (per quanto probabilmente neanche lo riconosca). Pertanto limiterei il discorso al concetto di “sviluppo” del capitale.

La disuguaglianza per superare la disuguaglianza, l’analisi dei consumi individuali in sostituzione dello studio complessivo ed organico della produzione sociale, ma non è che si stanno ribaltando le questioni? Non è che per caso applicando la statistica per capire la storia e la politica si corre il rischio di affermare, con tanto di solennità, che il sole sorge perché il gallo canta?

Lo studio dei dati microeconomici è quello che più precisamente e senza filtri riesce a fornire informazioni su ogni singolo soggetto di un sistema economico, aziende comprese. Pertanto non è un problema di strumento statistico, bensì di mancanza di conoscenza concettuale e categoriale di ciò che è l’economia e di come funziona nel modo di produzione attuale.

NOTE

*La mancata realizzazione del profitto è immediata su quello specifico settore ma in ultima istanza si riversa su tutto il capitale.

** come ad esempio le variazioni del salario reale in tutte le sue forme (diretto, indiretto, differito) , dell’occupazione ma anche di comportamenti sociali.

[1]Critica al Capitalismo seminario dell’Università Popolare A. Gramsci anno accademico 2015/2016

[2] Il Capitale, Karl Marx

[3] Deaton, Angus; ,Panel data from time series of cross-sections, Journal of econometrics, 30, 1, 109-126, 1985, North-Holland

[4] Deaton, Angus; The analysis of household surveys: a microeconometric approach to development policy, 1997, World Bank Publications

[5] Viva la diseguaglianza (http://www.ilfoglio.it/economia/2015/10/12/nobel-economia-angus-deaton-viva-la-diseguaglianza___1-v-133776-rubriche_c242.htm)





La disuguaglianza propulsiva di Angus Deaton. Intervista a Francesco Schettino - La Città Futura (http://www.lacittafutura.it/economia/la-disuguaglianza-propulsiva-di-angus-deaton-intervista-a-francesco-schettino.html)

Interessante. Comunque, dal basso della mia ignoranza, concordo: i dati microeconomici sono i più affidabili