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Visualizza Versione Completa : Morto Dario Fo. Due differenti giudizi



LupoSciolto°
14-10-16, 11:01
Dario Fo, addio al meraviglioso giullare che reinventò la parola teatrale per sbeffeggiare i potentidi Davide Turrini (http://www.ilfattoquotidiano.it/blog/dturrini/ptype/articoli/) | 13 ottobre 2016

Mescolando cultura popolare, misteri medioevali e parabole evangeliche in un perfetto guazzabuglio di lingue padane e grammelot, l'attore drammaturgo e poeta diede vita a un racconto in cui la commedia dell’arte fiancheggia feconda la satira e irride il potere e le ipocrisie della religione. Dagli esordi nel 1954 al Nobel per la Letteratura nel 1997, con la compagna di sempre Franca Rame pose le basi per il teatro di narrazione dei Paolini, Baliani e Celestini: “Se hai campato bene - disse - la morte è la giusta conclusione della vita”

Sempre allegri bisogna stare, che il nostro piangere fa male al re, fa male al ricco e al cardinale, diventan tristi se noi piangiam”. Risiede nel ritornello di Ho visto un re, ballata malinconica e beffarda, tutta la forza, il pensiero, il senso, dell’artista universale che è stato Dario Fo, morto la scorsa notte a 90 anni dopo un ricovero in ospedale per un’infezione polmonare (http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/10/13/dario-fo-morto-addio-al-premio-nobel-per-la-letteratura-innovatore-e-uomo-libero-dal-teatro-alla-politica/3095037/).
Lì ci sono la gioiosità e l’ingegno dell’inventore del grammelot; come l’eterna traiettoria politica del mondo, l’alto e il basso, i miserabili (“villani”) e i potenti, gli sfruttati e gli sfruttatori. E Dario Fo nel suo immenso, infinito, irripetibile teatro, assieme a Franca Rame, ha recitato questo per tutta la vita, mostrando al mondo intero cosa significasse reinventare anche solo per un attimo, una parola, un guizzo, una lingua fittizia fatta solo di suoni che nella loro apparente e vivace incomprensibilità sono poi diventati comprensibili al mondo.



Perché sotto, oltre la performance c’era il pensiero, la riflessione, lozeitgeist di quel mezzo secolo della ricostruzione che diede briglia sciolta ad artisti e cantastorie, a intellettuali e briganti del sapere. E il Nobel per la Letteratura arrivato nel 1997, ne fece capire forse anche troppo avanti negli anni, la grandezza e la profondità di linguaggio ben oltre le nostre beghe paesane.
Drammaturgo, poeta, pittore, attore, impresario teatrale,giullare saltellante e piroettante, quel movimento col collo che si avvita e la pupilla che splende inquisitrice, Dario Fo iniziò a farsi notare nel 1954 con la Compagnia Fo-Franco Parenti-Giustino Durano (Dito nell’occhio e Sani da legare). L’uso energico della parola e della voce, come la rivoluzione sulla scena arrivano però un po’ dopo.
Tempo di una fugace apparizione cinematografica protagonista deLo Svitato di Carlo Lizzani, una comica alla Tatì immersa in una Milano strampalata; dell’incontro con Franca Rame, che diventerà mamma di Jacopo, compagna di vita e di poesia, di impegno e di sventura; della censura subita in Rai a Canzonissima ’62 (lo sketch su un imprenditore edile che non dotava i suoi operai delle misure di sicurezza sul luogo di lavoro) e relativo certificato di allontanamento per almeno quindici anni, che Fo passa all’età adulta e nel 1968 trasforma l’arte del teatro.



Brandelli di cultura popolare rimasti qua e là su testi e sussurri di paese, Ruzzante e Molière, l’espressività di un corpo mai domo, iperattivo, coreografico e danzante, ed ecco il Mistero Buffo dei papi tronfi e dei popolani mica tanto sciocchi, misteri medioevali e parabole evangeliche, mescolanza apparente di lingue padane che oggi riconoscono anche in Giappone meglio dell’esperanto. Segno politico del racconto popolare dove lacommedia dell’arte fiancheggia feconda la satira e sbeffeggia ilare potere e ipocrisie della religione.
Il teatro di narrazione dei Paolini, Baliani e Celestini è nato qui. “Quello del giullare è un mestiere a rischio. Le mie idee non erano sempre condivise da tutti, ma sempre le ho difese. Anche quando piovevano minacce di ogni tipo, allarmi di bombe in teatro, telefonate intimidatorie”, raccontò Fo. Un testo poi duplicato nel 1992 con Johan Padan a la descoverta de le Americhe, tonalità minore di un’arte ancora fresca e irreverente dopo venticinque anni.
Però a vederlo in scena questo Mistero Buffo, in una delle centinaia di repliche sparse tra palchi ufficiali o meno del mondo, cambia l’ottica della rappresentazione tutta. Dario e Franca già avanti con l’età, che faticano a reggere il ritmo dei trent’anni, che entrano ed escono dalla scena, per bere un bicchier d’acqua, per sedersi e riposare qualche minuto, mostrarono a chi ebbe la fortuna di seguire lo spettacolo da dietro le quinte, a tre metri dal duo, la magia del sodalizio della compagnia Fo/Rame.
Dario che abbraccia la sua amata Franca, la rincuora, la bacia amorevolmente, la spinge a ricordare e reinterpretare capitoli del testo nascosti nella memoria d’artista, quasi sorreggendola con quell’immenso corpo da atleta. Poi quando il sipario cala si stringono in un lungo, infinito abbraccio, che vediamo in cinque invece che in cinquemila. “La morte non la corteggio, ma non la temo”, ha spiegato l’attore nel recentissimo libro intervista Dario e Dio (Guanda). “Se hai campato bene, la morte è la giusta conclusione della vita”.


di Davide Turrini (http://www.ilfattoquotidiano.it/blog/dturrini/ptype/articoli/) | 13 ottobre 2016





Dario Fo, addio al meraviglioso giullare che reinventò la parola teatrale per sbeffeggiare i potenti - Il Fatto Quotidiano (http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/10/13/dario-fo-morto-addio-al-meraviglioso-giullare-che-reinvento-la-parola-teatrale-per-sbeffeggiare-i-potenti/3095179/)

LupoSciolto°
14-10-16, 11:02
FO, UNA STORIA ARCI-ITALIANA. QUANDO IL RIBELLISMO FA RIMA CON CONFORMISMOFustigatore della borghesia, ne divenne l'idolo. Una commedia degli equivoci finita col Nobel.
di Stenio Solinas - 14 ottobre 2016


Come antidoto a una rivoluzione che non arrivava mai e a uno Stato borghese che non si decideva a tirare le cuoia, negli anni Settanta si andava a vedere Dario Fo (http://www.lintellettualedissidente.it/inevidenza/cronache-dalloltretomba/). Gli spettacoli di solito erano in periferia, una fabbrica occupata o dismessa, una Camera del lavoro, un centro sociale, una cooperativa, un tendone I titoli erano a volte chilometrici, Grande pantomima con bandiere e pupazzi piccoli e grandi, L’operaio conosce solo 300 parole il padrone 1000 per questo lui è il padrone, altre sintetici, Fedayn, Il Fanfani rapito, ma lunghi o corti che fossero sul palcoscenico succedeva sempre la stessa cosa: gli attori correvano, i tamburi rullavano, c’erano bandiere e marce e canti, smorfie e sberleffi, volti stralunati, concitazione. Anche il pubblico era identico. Tante barbe, clarks e eskimo in quello maschile, zoccoli olandesi, gonnellone, borse di tolfa e capelli crespi per quello femminile. Dieci anni prima, Fo era stato il beniamino della piccola e media borghesia milanese dei teatri di centro, Comica finale, Gli arcangeli non giocano a flipper, Chi ruba un piede è sfortunato in amore, un Feydeau alla meneghina che ancora non si era reincarnato in un Brecht alla cassoeula, e dieci anni dopo lo era dei loro figli e questo passaggio di consegne era in fondo un modo simbolico per uccidere il padre, in platea come sulla scena.

Ancora un decennio e i componenti della prima si sarebbero limitati fisicamente a prenderne il posto, negli uffici pubblici, in banca, in azienda,l’eterno ribellismo italiano che fa rima con il conformismo e permette di vivere al potere facendo finta di essere all’opposizione. Quanto al giullare della borghesia divenuto poi teatrante irregolare e militante, ad attenderlo ci sarà addirittura il Nobel per la letteratura e insomma, «a caval donato non si guarda in bocca», come già aveva detto Emilio Cecchi quando la scelta era caduta su Quasimodo. Al netto del talento, quella di Dario Fo è una storia arci-italiana (http://www.ilbestiariorivista.it/). A diciott’anni è un «ragazzo di Salò», a trentacinque gli affidano Canzonissima alla televisione di Stato, a quaranta vuole radere al suolo lo Stato borghese, a cinquanta è di nuovo alla televisione di Stato con Mistero buffo, «opera in cui un giullare contemporaneo si è posto senza riserve al servizio del popolo per esprimerne i bisogni di autonomia dalla cultura borghese con le sue diverse varianti dal fascismo al revisionismo. Un intervento sul fronte culturale che assolve al suo compito di strumento per la ricomposizione ideologica e politica del proletariato in lotta per il comunismo». Esemplare, è il caso di dire. In questo curioso intreccio c’è la filigrana di un carattere. Nelle note biografiche descritte negli anni caldi della contestazione, di Salò naturalmente non c’è traccia e quella di Dario Fo è «una famiglia proletaria di tradizioni democratiche e antifasciste». Il padre è ferroviere, poi capo stazione, e probabilmente il Regime per tutto il Ventennio gli pagherà lo stipendio senza accorgersi che sotto la camicia nera ce n’è una rossa. Quanto al figlio, che alla Rai comincerà a collaborare già nel 1952, la sfortunata esperienza di Canzonissima, censura e licenziamento, viene presentata come «una lezione pratica sulla natura profondamente reazionaria dello Stato e dei suoi strumenti di oppressione e controllo delle masse popolari», e il suo teatro borghese rivisto come «teatro sempre più politico dove la cultura popolare è individuata nel presente del movimento reale della lotta di classe».
Più semplicemente, Fo era entrato in rotta di collisione con quello stesso potere di cui faceva parte, si era illuso di poter fare la contestazione con l’appoggio dei carabinieri. A suo onore va detto che ne accettò e ne pagò le conseguenze, ma la estremizzazione del suo teatro, demagogico, retorico, chiassoso e logorroico, se da un lato rispecchiava il suo nuovo ed esacerbato estremismo politico, era dall’altro funzionale alla ricerca di un pubblico alternativo a quello tradizionale ormai precluso. «Da artista amico del popolo ad artista al servizio del movimento rivoluzionario proletario, giullare del popolo in mezzo al popolo, nei quartieri, nelle fabbriche occupate, nelle piazze, nei mercati coperti, nelle scuole» recitano le note cronologiche a Mistero buffo del 1974. Ora, solo in Italia si è verificato il curioso fatto della sovversione fatta con la connivenza e/o l’indifferenza dell’ordine costituito (http://www.circoloproudhon.it/shop/un-comunista-a-parigi-nel-68/) e gli anni Settanta in Italia sono stati proprio questo, una gigantesca commedia degli equivoci dove si strillava di voler abbattere il potere e si ristrillava se poi il potere non ci stava a farsi abbattere, un’opera dei pupi spesso e volentieri sanguinosa, politicamente parlando, ma,intellettualmente parlando, sempre opera dei pupi: nessun artista moriva di fame per le sue idee «rivoluzionarie», nessun artista finiva in galera per le sue idee «rivoluzionarie» e per ogni porta che si chiudeva ce n’era un’altra pronta ad aprirsi come camera di compensazione. Il giuoco delle parti avrebbe detto Pirandello (http://www.lintellettualedissidente.it/letteratura-2/pirandello-lultimo-uomo-in-un-mondo-di-automi/), premio Nobel come Fo. Appunto.

http://www.lintellettualedissidente.it/rassegna-stampa/fo-una-storia-arci-italiana-quando-il-ribellismo-fa-rima-con-conformismo/

RibelleInEsilio
14-10-16, 12:37
Fascista coi fascisti, comunista coi comunisti, grillino coi grillini.

Che dire.

Egomet
14-10-16, 14:32
Al di là dei giudizi politici, credo sia stata una delle figure più sopravvalutate della cultura italiana del ventesimo secolo.
Scrittori come Pavese, la cui opera è oggi relegata -almeno per il grande pubblico- tra le forzate letture estive dei liceali, avrebbero meritato e meriterebbero maggior attenzione.

Grubach-Kléber
14-10-16, 15:04
Salverei solo il militare con la RSI, dovere ma in molti all'epoca in posizioni ben più importanti di lui preferirono disertare; per il resto, concordo sull'italianità, anche se preferirei dire italiesità, della sua storia.

Carlos Wieder
14-10-16, 16:52
nessuno si preoccupi. tempo pochi anni ed entrerà nella nutrita schiera dei cani morti a cui nessuno pensa più...

LupoSciolto°
14-10-16, 16:57
Chiedo gentilmente di evitare certi commenti sulla figura di Dario Fo. Può piacere come non piacere, ma certe esternazioni non sono in linea con lo spirito del forum.

Carlos Wieder
14-10-16, 17:04
mah...trattasi di espressione metaforica di antichissimo uso, addirittura scritturistico...comunque nessun problema...adieu

LupoSciolto°
14-10-16, 17:07
Da par mio credo che Fo abbia avuto sia meriti che demeriti. Senz'altro sopravvalutato, e su questo punto concordo con Egomet, ma non certo un personaggio losco o doppiogiochista. Riguardo la sua giovanile adesione alla RSI , poco c'è dato sapere. Fo ha dichiarato di aver aderito all'ultimo fascismo per paura di rappresaglie da parte dei tedeschi contro suo padre. Verità o rinnegamento? Non mi esprimo. Per quanto concerne il suo recente avvicinamento al Movimento 5 Stelle, credo che sia un gesto comprensibile anche se non del tutto giustificabile per chi dovrebbe ritenere di stretta attualità la lotta di classe (ma non sappiamo nemmeno se l'ultimo Fo era ancora marxista). La cosa che non ho mai apprezzato è quel famoso premio Nobel. Sartre lo rifiutò. Perché anche il giullare dei "poveri" non fece lo stesso?

Parlando di fatti concomitanti, ritengo inaccettabile la recente assegnazione del summenzionato premio a Bob Dylan. Pacifista ad intermittenza e autore di una canzone filo-sionista https://guidovitiello.com/2006/07/26/un-misconosciuto-bob-dylan-sionista/

LupoSciolto°
14-10-16, 17:10
mah...trattasi di espressione metaforica di antichissimo uso, addirittura scritturistico...comunque nessun problema...adieu

No, non è una cacciata. E' solo un invito a non denigrare aprioristicamente Fo. Capisco che la tua idea politica è distante anni luce da quella del "Premio Nobel"...ma non per questo si può minimizzare la sua intera opera (che, anche per il sottoscritto, contiene ambiguità di non poco conto)

Kavalerists
14-10-16, 19:32
Personaggio sicuramente sopravvalutato come artista in generale; a me personalmente non mi ha mai entusiasmato. Poi delle sue vicende politiche giovanili e non, ed eventuali cambi di casacca veri o presunti, non mi sono mai interessato più di tanto.

Kavalerists
14-10-16, 19:38
Quanto poi al premio nobel a Bob Dylan bisogna concedergli che sicuramente le sue liriche sono infinitamente superiori alla sua voce ed al suo stile di canto, questo bisogna riconoscerglielo indipendentemente dal filosionismo, poi se lui fosse realmente il meglio tra quelli in lizza per il premio questa è un'altra questione.