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Visualizza Versione Completa : Percezione e realtà



Josef Scveik
24-10-16, 11:30
Settanta, anzi settantun anni, di anarchismo organizzato si sono sviluppati all’ombra del sospetto che l’organizzazione costituisse una forma di deroga dall’identità anarchica. Pirandellianamente ognuno percepisce se stesso in base a come viene percepito dall’opinione pubblica, perciò se l’anarchia viene considerata dai più come disorganizzazione, l’organizzazione a sua volta non può essere ritenuta anarchica, e tale opinione finisce per influenzare indirettamente anche chi non la condivida sul piano teorico. L’ombra del sospetto perciò ha oscurato la visuale anche degli stessi anarchici organizzati, i quali spesso non si sono resi conto che i rischi di degenerazione autoritaria derivano soprattutto da una colonizzazione ideologica dall’esterno da parte di reclamizzate dottrine pseudo-eco-utopistiche che si spacciano come eredi dell’anarchismo storico...La risorsa dell’anarchismo non è il territorio in sé, ma l’anarchismo stesso, cioè la possibilità di demistificare il potere. Lo scontro di classe non è un mai un fatto interno ad un Paese : lo sa l’operaio che vive sotto il ricatto della delocalizzazione, come dovrebbe saperlo l’insegnante che ha di fronte un Dirigente Scolastico addestrato al “management” dalla multinazionale IBM.

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Egomet
24-10-16, 15:26
Secondo me, i problemi dell'"anarchismo organizzato" non risiedono nel suo essere, per l'appunto, organizzato, bensì nel dimostrarsi refrattario a qualsiasi novità e nel restare ancorato a prassi e modi d'essere ottocenteschi.

Josef Scveik
26-10-16, 10:00
Mi sembrava interessante la questione della percezione...cioè, la percezione comune rispetto all'anarchismo è che esso permetta a tutti di fare il cavolo che si vuole. Questo incredibilmente ha condizionato gli anarchici stessi, molti dei quali hanno cercato di allinearsi non ai principi dell'anarchia ma alla percezione comune che si ha della stessa.

Egomet
26-10-16, 11:59
Mi sembrava interessante la questione della percezione...cioè, la percezione comune rispetto all'anarchismo è che esso permetta a tutti di fare il cavolo che si vuole. Questo incredibilmente ha condizionato gli anarchici stessi, molti dei quali hanno cercato di allinearsi non ai principi dell'anarchia ma alla percezione comune che si ha della stessa.

Condivido l'idea che le pressioni esercitate dall'esterno possano condizionare, in negativo, qualsiasi posizione teorica o politica.
Allo stesso tempo, però, bisogna vedere quanto esse incidano rispetto agli smarrimenti individuali -sacrosanti- o alla mancanza di preparazione.
Dove noti di più questo "allineamento alla percezione comune"?
Nell'articolo scorgo, inoltre, tracce di una vecchia polemica, serpeggiante da anni nel mondo organizzato, di cui non mi sembra il caso di parlare (a meno che non ti interessi).

Josef Scveik
26-10-16, 16:50
Condivido l'idea che le pressioni esercitate dall'esterno possano condizionare, in negativo, qualsiasi posizione teorica o politica.
Allo stesso tempo, però, bisogna vedere quanto esse incidano rispetto agli smarrimenti individuali -sacrosanti- o alla mancanza di preparazione.
Dove noti di più questo "allineamento alla percezione comune"?
Ovunque, sia nel passato che nel presente. E' incredibile come il movimento anarchica si sia fatto così condizionare da chi anarchico non era.

Nell'articolo scorgo, inoltre, tracce di una vecchia polemica, serpeggiante da anni nel mondo organizzato, di cui non mi sembra il caso di parlare (a meno che non ti interessi).
Sì, m'interessa.

Egomet
28-10-16, 01:07
Ovunque, sia nel passato che nel presente. E' incredibile come il movimento anarchica si sia fatto così condizionare da chi anarchico non era

Sebbene il problema esista, non è certamente il più grave tra quelli che affliggono il movimento.



Sì, m'interessa

Da qualche decennio, l'anarchismo organizzato vive una sorta di crisi, speculare per certi versi a quella di alcune formazioni comuniste, a cui tenta di dar risposta arroccandosi nel passato.
Dopo il sisma degli anni sessanta-settanta, realtà come la F.A.Italiana hanno reagito allo sfrangiarsi del movimento (in Italia GAF, GIA, gruppi indipendenti etc., in Europa vari nuovi soggetti sorti in risposta all'immobilismo delle federazioni) dedicando anima e corpo alla trasmissione della memoria storica e rigettando qualsiasi forma d'innovazione.
Col perdurare della crisi, le attività del mondo organizzato si sono ridotte alla testimonianza e al proselitismo, accompagnati sovente da una cautela quasi democristiana.
Oggi, tolta qualche sporadica -quanto inutile- apparizione nelle piazze e la pubblicazione di un pessimo periodico (UN), che cosa resta?
Nulla, a parte la celebrazione del passato e la ricerca storica, di per sé interessante, ma non bastevole alla sopravvivenza.
Anziché analizzare criticamente il proprio percorso, le federazioni di sintesi attribuiscono ciclicamente la responsabilità della loro impasse a chi si è allontanato dai passi dei maestri e dai testi sacri.
Da qui il ripresentarsi della polemica.
Pur variando di paese in paese (in Grecia, ad esempio, e parzialmente in Spagna, le forze organizzate sono ben più vivaci), tale atteggiamento collega come un filo rosso gran parte delle frange "di sintesi" facenti capo all'I.F.A. e di quelle "piattaformiste" europee.