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Visualizza Versione Completa : La crociata antilaica di Togliatti



Frescobaldi
20-12-16, 21:25
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Palmiro Togliatti




Da M. Teodori, “Il vizietto cattocomunista. La vera anomalia italiana”, Marsilio, Venezia 2015.


Per non intralciare la strategia dell’attenzione verso i cattolici, Roderigo di Castiglia [alias Palmiro Togliatti, ndr] concentrò i suoi attacchi contro le personalità della democrazia laica e liberalsocialista. Per anni il leader comunista tentò di colpire soprattutto i maggiori esponenti della Resistenza antifascista: “I socialisti degni di questo nome, cioè tutti i socialisti che vogliono lottare perché l’Italia si rinnovi sul serio e proceda innanzi”, devono “combattere le ‘correnti socialiste-liberali’” che esistono anche in seno alle organizzazioni socialiste. Il marxismo, l’ideologia filosofico-politica del proletariato deve essere “il pensiero che guida la sua lotta per l’avvenire”, e pertanto vanno respinte le idee del socialismo liberale proposte da Carlo Rosselli sulla rivista “Quarto Stato”, che non sono altro che “un neorevisionismo del marxismo, apparentemente di sinistra, in realtà molto più a destra di quelle alle quali era arrivato Piero Gobetti”[1] (https://forum.termometropolitico.it/#_ftn1).



Salvemini, Ernesto Rossi e Jemolo, rei di laicismo

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Gaetano Salvemini


Nella polemica contro gli intellettuali e i politici che rifiutarono di divenire “compagni di strada”, Togliatti attaccò in particolare coloro che si erano opposti a Mussolini da fila diverse da quelle comuniste. Accusò Gaetano Salvemini, il grande vecchio anticlericale, di “portare persino nelle aule universitarie alcune tra le più infami calunnie della libellistica anticomunista”, e di avere trovato il modo “di ricordare Camillo Bernieri ‘soppresso in Spagna dai comunisti nel 1937’ […] È evidente che quest’uomo o beve tutte le panzane, purché siano di marca americana e anticomunista, o è disonesto”. Roderigo concludeva ricorrendo a un paragone sprezzante: “Così faceva la storia, prima di Salvemini, il gesuita padre Bresciani”[2] (https://forum.termometropolitico.it/#_ftn2).



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Ernesto Rossi



Insieme allo storico, “Rinascita” tentò di mettere alla berlina il suo più caro discepolo, Ernesto Rossi, che si era permesso di argomentare su ciò che distingue i comunisti dai democratici. Sarebbe stato, questo “un ragionamento che contribuisce al trionfo dei reazionari e dei clericali. Non per niente gli argomenti a sostegno del ragionamento hanno come fonte principale i bollettini parrocchiali e i giornali dell’Azione cattolica”. La colpa di Ernesto Rossi agli occhi dei comunisti fu, in realtà, il rifiuto di divenire un indipendente di sinistra come facevano altri intellettuali antifascisti. Secondo Roderigo, “I liberali e i democratici sinceri non ebbero mai nemici ‘a sinistra’, considerando sempre utile e giusto che la libertà venisse conquistata e difesa dal fucile dell’operaio”[3] (https://forum.termometropolitico.it/#_ftn3)



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Arturo Carlo Jemolo


Anche il caso di Arturo Carlo Jemolo, il giurista di Stato e Chiesa, è significativo. L’intellettuale che aveva militato nel Partito d’azione appoggiò nel 1948 il Fronte popolare socialcomunista insieme ad altri laici nell’intento di arginare l’invadenza clericale. Quando poi, due anni dopo osò esprimere un’opinione positiva sugli Stati Uniti quale Paese leader del mondo libero, venne immediatamente scomunicato dalla chiesa comunista. “Da che cosa deriva dunque questo suo cadere nel fango della volgare agitazione anticomunista, da cui poi diventa impossibile risollevarsi senza essere tutto imbrattato?”, si chiese Togliatti aggiungendo: “Nei gruppi intermedi [cioè i terzaforzisti che non accettano di schierarsi né con i comunisti né con i clericali] è subentrato lo smarrimento, e tra gli smarriti vi è anche l’intellettuale Jemolo […] incapace di prendere, verso il movimento comunista e i suoi alleati, e cioè verso forze che sinceramente lavorano per un rinnovamento della società, quella posizione di completa obiettività che sola può consentire una collaborazione generale e quindi permettere di risalire la china per la quale si è precipitati”[4] (https://forum.termometropolitico.it/#_ftn4).




I reprobi: Vittorini, Ragghianti, Gorresio, Garosci


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Elio Vittorini



Elio Vittorini, lo scrittore che aveva fondato e diretto nel biennio postbellico “Il Politecnico”, rivista pragmatica della sinistra eterodossa, fu anch’egli paragonato a fascisti e clericali allorché prese le distanze dal PCI alla chiusura dell’esperienza editoriale che era stata condivisa anche da intellettuali non di stretta osservanza comunista: “Coraggio, Vittorini, lo avevano già detto i manifesti di Salò, lo ripetono oggi quelli del [clericale] Gedda: mettici anche la tua firma e non se ne parli più”[5] (https://forum.termometropolitico.it/#_ftn5).
Con analogo sentimento di inimicizia, Roderigo di Castiglia inondò di insulti quegli intellettuali terzaforzisti provenienti dal Partito d’azione o dal Partito liberale che nella Guerra fredda avevano scelto l’Occidente.
Il giornalista liberal-radicale Vittorio Gorresio, colonna portante del “Mondo” di Pannunzio, all’uscita del libro I carissimi nemici[6] (https://forum.termometropolitico.it/#_ftn6) meritò una serie di insulti: “Quando passa per le strade del mondo, brillante e rumorosa, una schiera di cavalieri, è inevitabile che tra la polvere e il fango, dove sono passati, rimangono immondezze e altre trascurabili tracce […] Questa è la vita dello scarafaggio [che] per fortuna non scrive libri. Vittorio Gorresio invece, per sfortuna, ne scrive”[7] (https://forum.termometropolitico.it/#_ftn7). A sua volta, il critico d’arte Carlo Ludovico Ragghianti, leader azionista del Comitato di liberazione toscano, venne definito, insieme ai redattori della rivista “Selearte” da lui diretta, “i pigmei della Guerra fredda”[8] (https://forum.termometropolitico.it/#_ftn8).
Quando poi Aldo Garosci, il diretto discepolo di Rosselli, pubblicò nel 1953 la Storia dei fuoriusciti, la critica togliattiana tentò ancora una volta di screditare le idee del socialismo liberale e la memoria del movimento Giustizia e Libertà che nella lotta antifascista si era distinto con formazioni autonome. “La prima cosa da chiarire è se questo libro, che l’autore ha voluto chiamare Storia, sia veramente libro di storia: è un falso che i comunisti rappresentavano una minoranza nella emigrazione italiana in Francia del 1925-27 rispetto ai socialisti, repubblicani e democratici di sinistra raccolti nella Concentrazione e nella Lega italiana dei Diritti dell’uomo”[9] (https://forum.termometropolitico.it/#_ftn9).
Roderigo di Castiglia sostenne che “un anticomunista non può trattare con serietà e liberamente questo tema” e che era inutile confutare “tutte le cose sciocche e le bugie grandi e piccine che il Garosci ha esposto con sicumera” sul Fronte popolare pilotato dai russi, sui comunisti che non sono andati a battersi in Spagna se non quando Mosca ne ha dato l’ordine, e sui socialisti che sarebbero stati al rimorchio dei comunisti. L’irrilevanza di quell’antifascismo, diverso da quello comunista, stava nel fatto che “il movimento Giustizia e Libertà a un certo punto è scomparso quasi senza lasciar tracce” insieme al “Partito d’azione, sua filiazione politica, che ha fallito dopo la caduta del fascismo e la ripresa democratica”[10] (https://forum.termometropolitico.it/#_ftn10).



Terzaforzismo laico vs. connubio cattocomunista



A fronte di tanta acrimonia, è legittimo chiedersi per quali motivi negli anni cinquanta il bersaglio preferito dai comunisti fossero le terze forze laiche, quasi un contraltare del vagheggiato connubio tra la sinistra marxista e il mondo cattolico. Il punto è che in quel quindicennio postbellico gli antitotalitari rappresentavano l’alternativa politica e culturale ai comunisti togliattiani. Mentre i primi governi postfascisti furono composti dai partiti del CLN (gabinetti Bonomi, Parri e De Gasperi I) e poi dai tre partiti di massa (De Gasperi II e III), nella primavera 1947 con la Guerra fredda iniziò la serie dei governi democristiani con socialdemocratici, repubblicani e liberali, e senza i comunisti e i socialisti.
Con il nuovo equilibrio internazionale gli esponenti laici filoccidentali ebbero un ruolo decisivo nella politica interna ed estera del Paese: Luigi Einaudi, Giuseppe Saragat, Carlo Sforza, Randolfo Pacciardi, solo per fare i nomi dei leader dei partiti cosiddetti “minori” che rivestirono importanti ruoli istituzionali. Oltre ai tre partiti laici, le polemiche comuniste investirono anche quegli ex azionisti come Leo Valiani e Aldo Garosci che, nel mondo diviso ini blocchi, scelsero di schierarsi sul fronte occidentale piuttosto che a fianco dei socialcomunisti.
Le terze forze antifasciste, anticomuniste e talora anticlericali professavano un occidentalismo molto più convinto di alcuni settori del mondo cattolico che accettarono il Patto atlantico solo quando Pio XII dette il via libera per paura dei “cosacchi a San Pietro”. Al centro della filosofia politica dei laici v’erano le libertà individuali e il moderno riformismo sperimentato in America (New Deal) e in Inghilterra (Welfare State), e non già il populismo socializzante che doveva servire da base per l’alleanza tra comunisti e cattolici.

Quanto alla nostra posizione verso i cosiddetti gruppi di “terze forze” [scriveva Togliatti nell’anno del rapporto Kruscev sui crimini di Stalin] essa è sempre consistita nel criticare e denunciare che questi gruppi, mentre dicevano di volere essere una forza intermedia tra la sinistra socialista e comunista e la Democrazia cristiana, di fatto concentrassero tutto il loro fuoco contro la sinistra e appoggiassero invece senza riserva alcuna tutto ciò che i democristiani facevano, e soprattutto approvassero con entusiasmo tutto ciò che venisse fatto contro di noi[11] (https://forum.termometropolitico.it/#_ftn11).

Quarant’anni dopo, Claudia Mancina, dirigente del PCI e parlamentare dei Democratici di sinistra, definiva l’ostilità profonda verso le forze laiche come “forse il cuore più profondo della cultura comunista [e] che sopravvive ancora dentro i suoi eredi”[12] (https://forum.termometropolitico.it/#_ftn12). Alla nascita del Partito radicale nel 1956, la formazione che si proponeva come terza forza laica insieme ai repubblicani di Ugo La Malfa, “Rinascita” commentava: “Siamo noi che ci chiediamo se vale la pena di diventare, da liberali, radicali, per continuare a ripetere, a proposito del più importante fatto politico della storia italiana degli ultimi dieci anni, la spiegazione che ne danno i Comitati civici e la ‘Civiltà cattolica’”[13] (https://forum.termometropolitico.it/#_ftn13).
La polemica contro socialisti liberali e democratico-laici mirava anche a difendere il monopolio dell’antifascismo dei comunisti che deploravano chiunque mettesse in dubbio la loro versione del mito resistenziale. L’antifascismo doveva necessariamente identificarsi con la sinistra comunista, e qualsiasi atteggiamento non-filocomunista doveva essere bollato come espressione della destra reazionaria.




Gli insulti agli antitotalitari



L’accanimento di Togliatti contro l’intellettualità terzaforzista non era mosso soltanto da esigenze tattico-politiche interne ma anche dalla situazione internazionale. Al tempo della Guerra fredda si sviluppò in Europa un’aspra battaglia delle idee che vide impegnati schiere di intellettuali intenti a orientare l’opinione pubblica da una parte o dall’altra.
Lo scontro ideologico fu accelerato dalle iniziative prese dal movimento comunista internazionale su diretta disposizione di Mosca. Nel settembre 1947 il COMINFORM impartì ai comunisti occidentali le direttive per la battaglia culturale da ingaggiare nei Paesi liberi:

Si sono costituiti nel mondo due campi: da una parte il campo imperialista e antidemocratico, che ha per scopo essenziale ristabilire il dominio mondiale dell’imperialismo americano e di schiacciare la democrazia, e dall’altra, il campo antimperialista e democratico […] I partiti comunisti devono mettersi alla testa della resistenza ai piani imperialistici d’espansione e d’aggressione in tutti i campi: governativo, politico, economico, ideologico […] Devono raggruppare intorno a sé tutte le forze democratiche e patriottiche del popolo[14] (https://forum.termometropolitico.it/#_ftn14).

Fu quello il segnale dell’aggressione che le propaggini culturali del comunismo ingaggiarono contro il Congresso internazionale per la libertà della cultura, formato da liberali e democratici legati all’Occidente con l’obiettivo di controbattere l’espansionismo comunista e fare luce sulla realtà dell’Unione Sovietica. Il Congresso, che aveva il patrocinio di personalità tra cui Benedetto Croce, Bertrand Russel, Raymond Aron, Jacques Maritain, Albert Camus, Salvador de Madariga e Denis De Rougemont, era animato da ex comunisti che avevano abbandonato il partito fin dai processi staliniani degli anni trenta, da resistenti al fascismo, da dissidenti ed esuli dell’Est e da federalisti europei che guardavano a un futuro unitario dei Paesi in cui si era combattuto in Europa.



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Ignazio Silone


Nel 1950 fu fondata in Italia l’Associazione per la libertà della cultura come ramo dell’omonimo Congresso internazionale[15] (https://forum.termometropolitico.it/#_ftn15) per iniziativa del socialista cristiano Ignazio Silone, che nel 1930 aveva abbandonato il Partito comunista di cui era stato giovanissimo fondatore insieme a Togliatti e Gramsci, e dell’azionista Nicola Chiaromonte, combattente repubblicano in Spagna nelle fila dei libertari. Su di loro e i loro amici all’estero si appuntarono le ire di Roderigo di Castiglia, che non gradiva le pubbliche testimonianze di chi aveva conosciuto gli eccidi del comunismo.
Silone fu apostrofato con gli epiteti di “rinnegato”, “rammollito”, “doppiogiochista” e “machiavellico ripugnante”, che mai prima erano stati usati contro il più noto ex comunista d’Italia. Nell’attaccare frontalmente il suo ex compagno, Togliatti abbandonò il riserbo che aveva mantenuto per vent’anni, mosso probabilmente dalla decisione dello scrittore di promuovere un’iniziativa per la libertà della cultura volta a raggruppare gli intellettuali antitotalitari di matrice liberale, cattolica e socialista.
Immerso nell’orizzonte culturale di marca moscovita, il capo del PCI rivolse altre invettive contro sei famosi intellettuali che avevano pubblicato una raccolta di saggi, Il Dio che è fallito. Testimonianze sul comunismo[16] (https://forum.termometropolitico.it/#_ftn16), per denunziare il totalitarismo sovietico:

Sei figure di saccenti che fanno ridere. Soprattutto fa ridere la loro pretesa di giudicare tutto e tutti, quando poi nel giudicare non sono capaci, nel migliore dei casi, che di fare ricorso ai più banali tra i luoghi comuni del giornalismo piccolo borghese […] Questo è lo spirito dei sei falliti presentati da Richard Crossman (“impiegato nei servizi di propaganda del generale Eisenhower”): un abisso di corruzione e degenerazione che osa presentarsi con la maschera di intellettualità raffinata[17] (https://forum.termometropolitico.it/#_ftn17).

Il gruppo degli intellettuali, definiti “I sei che sono falliti”, era composto da famose personalità che meritarono, uno a uno, le più sferzanti contumelie. L’ebreo ungherese Arthur Koestler, autore di Buio a mezzogiorno, venne così apostrofato: “Quando si parte da Freud si può andare a finire molto lontano, in una casa Merlin o in un manicomio”. Lo scrittore nero americano Richard Wright fu definito un “raccattatore di spazzatura”; gli inglesi Stephen Spender, che aveva visto gli orrori comunisti nella guerra civile spagnola, e Louis Fischer, già corrispondente del “New York Post” a Mosca, furono accusati di essere “imbevuti di tutti i pregiudizi e creduli di tutte le panzane che la propaganda borghese mette in giro contro i comunisti”. La perla finale fu riservata ad André Gide, che nel 1936 aveva pronunciato sulla Piazza Rossa di Mosca l’elogio funebre di Maksim Gor’kij sotto gli occhi di Stalin, Molotov e Dimitrov, a cui Togliatti consigliò elegantemente “di occuparsi di pederastia dove è specialista”[18] (https://forum.termometropolitico.it/#_ftn18).



Massimo Teodori


[1] (https://forum.termometropolitico.it/#_ftnref1) Roderigo di Castiglia, Socialismo liberale, in “Rinascita”, a. II, n. 3, 1945.

[2] (https://forum.termometropolitico.it/#_ftnref2) Roderigo di Castiglia, in “Rinascita”, a. VII, n. 3, 1950.

[3] (https://forum.termometropolitico.it/#_ftnref3) Roderigo di Castiglia, A ciascuno il suo, in “Rinascita”, a. IX, n. 10, 1952.

[4] (https://forum.termometropolitico.it/#_ftnref4) Roderigo di Castiglia, Jemolo, o l’anticomunista tormentato, in “Rinascita”, a. VIII, n. 4, 1951.

[5] (https://forum.termometropolitico.it/#_ftnref5) Roderigo di Castiglia, Vittorini se n’è ghiuto, e soli ci ha lasciato… (canzone napoletana), in “Rinascita, a. VIII, nn. 8-9, 1951.

[6] (https://forum.termometropolitico.it/#_ftnref6) I carissimi nemici di Vittorio Gorresio fu pubbicato nel 1949 da Longanesi (Milano), poi ristampato da Bompiani (Milano) nel 1978 con il titolo I carissimi nemici, il primo, vero, insuperato, ritratto dei comunisti italiani.

[7] (https://forum.termometropolitico.it/#_ftnref7) Mario Sansone, La cultura, in Piero Calamandrei, Dieci anni, Bari, Laterza, 1955, p. 574, citato in Nello Ajello, Intellettuali e PCI 1944/1958, Roma-Bari, Laterza, 1979, p. 259.

[8] (https://forum.termometropolitico.it/#_ftnref8) Ajello, Intellettuali e PCI 1944/1958, cit., p. 259.

[9] (https://forum.termometropolitico.it/#_ftnref9) Roderigo di Castiglia, Una storia che non è storia (recensione ad A. Garosci, Storia dei fuoriusciti, Bari, Laterza, 1953), in “Rinascita”, a. X, n. 7, 1953.

[10] (https://forum.termometropolitico.it/#_ftnref10) Ibidem.

[11] (https://forum.termometropolitico.it/#_ftnref11) Roderigo di Castiglia, Il Pci e le terze forze, in “Rinascita”, a. XIII, n. 1, 1956.

[12] (https://forum.termometropolitico.it/#_ftnref12) Claudia Mancina, Il lungo errore, in “Liberal”, 25 marzo 1999.

[13] (https://forum.termometropolitico.it/#_ftnref13) Roderigo di Castiglia, Il Pci e le terze forze, cit.

[14] (https://forum.termometropolitico.it/#_ftnref14) Risoluzione comune approvata alla conferenza di organizzazione di alcuni partiti comunisti europei, in La politica dei comunisti dal quinto al sesto congresso. Risoluzioni e documenti, a cura dell’Ufficio di segreteria del PCI, Roma, s.n., s.d., pp. 300-305; citato anche in Massimo Teodori, Storia dei laici, Venezia, Marsilio, 2008, p. 73.

[15] (https://forum.termometropolitico.it/#_ftnref15) Per il Congresso internazionale per la libertà della cultura e dell’omonima associazione italiana, vedi Teodori, Storia dei laici, cit.

[16] (https://forum.termometropolitico.it/#_ftnref16) Richard Crossman (a cura di), The God That Failed, New York, Harper & Brothers, 1949, pubblicato in Italia originariamente a Firenze da Vallecchi nel 1965; l’ultima ristampa di Baldini & Castoldi (Milano) risale al 1992 con un’introduzione di Giorgio Bocca.

[17] (https://forum.termometropolitico.it/#_ftnref17) Roderigo di Castiglia, I sei che sono falliti, in “Rinascita”, a. VII, n. 5, maggio 1950.

[18] (https://forum.termometropolitico.it/#_ftnref18) Ibidem.

Rotwang
31-12-16, 14:05
La dimostrazione che il PCI fallì totalmente come partito ed era una DC rossiccia.