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Frescobaldi
24-12-16, 01:04
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Piero Gobetti e Benedetto Croce





di Norberto Bobbio - Da “Italia fedele. Il mondo di Gobetti”, Passigli, Firenze 1986





Piero Gobetti appartenne alla terza generazione di giovani educati da Croce: la prima fu quella dei leonardeschi, che venne attratta dall’autore dell’Estetica, ma poi prese alte vie; la seconda, quella dei vociani: Croce autore ormai di un sistema compito, idealismo contro positivismo, spiritualismo contro naturalismo, più storia e meno astratta filosofia, respiro universale del dotto contro il provincialismo asfittico e ringhioso dei dilettanti; Croce insomma maestro di cultura e di vita morale.

La terza generazione, cui appartiene Gobetti, era stata maturata dalla guerra e si stava preparando con nuovo vigore, con “energie nove” alla crisi dello Stato e di un’epoca. Di fronte ad essa il magistero di Croce assunse un diverso aspetto di cui Gobetti fu l’interprete più acuto e sensibile. Pur non rifiutando nulla dell’insegnamento crociano di cui si era nutrita la generazione precedente Gobetti vi colse nuovi simboli e nuovi valori.

Nel momento stesso in cui non voleva essere confuso coi crociani, - ma era una polemica a freddo, un po’ di maniera – e diceva: “Odio i crociani: sono vuoti, parolai inerti quanto gli anticrociani… Chi sono i crociani in Italia? Sono i professori privi di originalità, pedanti, meccanici che si sono studiata a memoria l’Estetica dell’intuizione, facendone il nuovo Vangelo”[1] (https://forum.termometropolitico.it/#_ftn1), Gobetti aveva iniziato il suo tirocinio di scrittore (a 18 anni) esaltando Croce, alla maniera dei più anziani, come Serra, come Cecchi, per il suo esempio inimitabile di serietà negli studi e di superiore intelligenza nelle cose della cultura. Sin dal secondo numero di “Energie nove”, in un articolo intitolato B. Croce e i pagliacci della cultura, difendendo Croce dai “botoli ringhiosi” che lo avevano attaccato per oltraggio alla “patria nostra”, definiva la Filosofia dello spirito, come “l’opera più italiana (cioè più seria) che noi abbiamo dato alla civiltà negli ultimi anni”[2] (https://forum.termometropolitico.it/#_ftn2), chiamava Croce “formatore di coscienze in Italia”[3] (https://forum.termometropolitico.it/#_ftn3), e concludeva affermando che “combattere Croce vuol dire combattere la serietà degli studi e l’educazione nazionale”[4] (https://forum.termometropolitico.it/#_ftn4). Il mese dopo, ritornando sull’argomento, ripeteva: “Difendendo B. Croce (che come uomo non ha bisogno di difesa) difendiamo la serietà e la genialità degli studi”[5] (https://forum.termometropolitico.it/#_ftn5).

Da Croce (uno dei suoi tre maestri, insieme con Einaudi e Salvemini) Gobetti aveva appresa anche qualche altra cosa, una lezione di filosofia che sarebbe servita a lui non filosofo da bussola nel mare tempestoso della storia della filosofia e da salvagente nella maretta delle controversie di casa nostra. Cercando di chiarire in una lettera aperta a Lombardo-Radice la diversità del suo atteggiamento rispetto alle filosofie di Croce e di Gentile, dichiarò: “Ho sempre accettato da Croce la risoluzione della filosofia nella storia e la sua limitazione al momento metodologico”[6] (https://forum.termometropolitico.it/#_ftn6): questa dichiarazione, pur nella sua brevità, esprimeva un’adesione intera al nucleo essenziale del pensiero crociano. Fuor dal contesto culturale in cui fu pronunciata, la formula crociana della risoluzione della filosofia a storiografia o a momento metodologico della storiografia è oggi quasi incomprensibile, ma Gobetti in un noto passo del suo saggio su Cattaneo ne diede una interpretazione personale ma non arbitraria, che mostra quanto egli fosse entrato dentro lo spirito del sistema (non come i “crociani” pedissequi!) e volesse trarne tutte le conseguenze, tra le quali vi era la soppressione (non nel senso di superamento ma di eliminazione pacifica) della stessa filosofia: “Se la filosofia è storia – si domandava – perché la filosofia?”. E commentava subito dopo: “Se la filosofia si identifica con la storia non c’è più filosofia fuor dello svolgimento e della risoluzione dei problemi dell’esperienza attuale”.

Ma anche questo Croce non differiva da quello che aveva avviato la generazione precedente all’abbandono dei facili schemi concettuali poggiati con mezzi inadeguati dai positivisti, a rendersi conto della complessità dei fatti umani e quindi della necessità di studiarli storicamente, di ritornare indietro da Spencer a Hegel. L’altro noto passo, alla fine della Introduzione al libro La rivoluzione liberale in cui Gobetti contrapporrà la propria generazione come generazione di storici a quella dei vociani come generazione di poligrafi, è poco più di una battuta polemica: il rinnovamento filosofico guidato da Croce e da Gentile era già avvenuto, con una rapidità sorprendente, negli anni avanti la prima guerra mondiale. Checché ne dica Gobetti, la generazione precedente non era stata soltanto una generazione di poligrafi e la sua sarebbe stata qualcosa di più che una generazione di storici: l’immagine che resta viva di Gobetti però è tanto quella dello spirito quanto quella di un agitatore di idee, di un missionario, di un protagonista della storia in atto e magari di una guida della storia futura.

Ma proprio a questo punto sorge la domanda principale: che cosa avrebbe avuto ancora da dire Croce a questi giovani che si erano dovuti buttare nella mischia prima di farsi le ossa con studi severi e non avevano potuto fare troppo sottili disquisizioni sulla differenza tra il compito dell’uomo di cultura e quello del politico? L’interesse che ha ancora per noi la posizione assunta da Gobetti di fronte a Croce sta proprio nell’aver dato una risposta a questa domanda: in questa risposta c’è un Croce nuovo non soltanto maestro di cultura e di studi, educatore e filosofo, ma diventa lo spartiacque tra dittatura e libertà, tra barbarie e civiltà, tra l’antistoria e la storia, tra la violenza e la ragione. Diventa più che un esempio un simbolo, più che una persona-guida un’idea regolativa.

In uno degli ultimi scritti gobettiani, dedicato a Croce politico (settembre 1925) c’è un passo mirabile che mi è sempre parso come l’espressione particolarmente felice e sintetica di un nuovo modo di vedere Croce, di valutarne la sua funzione in un’età di lunga crisi e di incerto rinnovamento. Dopo aver cercato di definire l’antifascismo di Croce (“il più perfetto tipo europeo espresso dalla nostra cultura”) la “ribellione dell’europeo e dell’uomo di cultura”, e dopo aver detto che le “sue preoccupazioni sono tutte volte al futuro”, perché sente che “nella battaglia di oggi sono impegnati gravi destini” e avverte “dolorosamente” che è in pericolo non questo o quel valore ma la Civiltà stessa che è la sintesi di tutti i valori creduti, conquistati e sofferti, conclude: “L’uomo di libri e di scienza cercherà dunque di tenere lontane le tenebre del nuovo Medioevo continuando a lavorare come se fosse in un mondo civile”[7] (https://forum.termometropolitico.it/#_ftn7). Come se… C’è in quel “come se” la percezione della catastrofe ormai inevitabile (e si tratterà di una catastrofe non di una semplice crisi) e la previsione illuminante del compito del filosofo, dell’uomo libero, che è quella di tenere accesa una lampada nell’oscurità che si va addensando. Sarà l’insegnamento di Croce, appunto, - e Gobetti ancora una volta coglie il segno con una precisione infallibile – per la generazione che si formerà tra il ’30 e il ’40 (e sarà la quarta generazione crociana), leggendo le storie d’Italia e d’Europa, accettando come teoria, come regola d’azione e come previsione l’affermazione che la storia è storia della libertà. Il Croce così intravisto da Gobetti era un Croce nuovo perché non era più soltanto la ripetizione di un’interpretazione passata ma addirittura l’anticipazione di una lezione futura.

Dal punto di vista di questa nuova lezione anche la “rivoluzione liberale” sarebbe diventata un momento della storia come storia della libertà, se pure un momento incompiuto, più che altro una speranza, una sfida e un vaticinio.

Norberto Bobbio


https://www.facebook.com/notes/norberto-bobbio/gobetti-e-croce/1314521305257948


[1] (https://forum.termometropolitico.it/#_ftnref1) P. GOBETTI, Note e polemiche. (I crociani), in “Energie nove”, serie I, n. 4, 1-15 gennaio 1919, p. 80, firmato “P. G.”, ora in Scritti politici, Einaudi, Torino, 1960, p. 46.

[2] (https://forum.termometropolitico.it/#_ftnref2) P. GOBETTI, B. Croce e i pagliacci della cultura, in “Energie nove”, serie I, n. 2, 15-30 novembre 1918, p. 26, ora in Scritti politici, cit., p. 19.

[3] (https://forum.termometropolitico.it/#_ftnref3) P. GOBETTI, B. Croce e i pagliacci della cultura, cit., p. 27, ora in Scritti politici, cit., p. 20.

[4] (https://forum.termometropolitico.it/#_ftnref4) Ibid.

[5] (https://forum.termometropolitico.it/#_ftnref5) P. GOBETTI, Commenti e giustificazioni, in “Energie nove”, serie I, n. 4, 15-31 dicembre 1918, p. 51, ora in Scritti politici, cit., p. 34.

[6] (https://forum.termometropolitico.it/#_ftnref6) P. GOBETTI, I miei conti con l’idealismo attuale, in “La rivoluzione liberale”, II, n. 2, 18 gennaio 1923, p. 5, ora in Scritti politici, cit., pp. 444-445.

[7] (https://forum.termometropolitico.it/#_ftnref7) P. GOBETTI, Croce oppositore, in “La rivoluzione liberale”, IV, n. 31, 6 settembre 1925, p. 125, ora in Scritti politici, cit., p. 881.