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Majorana
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Majorana
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Riflessioni didattiche di Stelvio Dal Piaz

E’ un termine che ricorre sempre più frequentemente nel linguaggio politico attuale, ma non é raro il caso – anche storicamente parlando – che ognuno ne dia una interpretazione talmente soggettiva e parziale da alterarne spesso il significato originario. Al punto che é difficile ormai trovarlo isolato senza una qualche aggettivazione: democratico, riformista, massimalista, liberale, nazionale, tricolore, lib-lab, e così via.
Comunque, al di là delle aggettivazioni e delle diverse interpretazioni del momento, una cosa é certa: un popolo socialista esiste ed é quella parte viva della nazione che più sta soffrendo proprio la crisi attuale, ma che non ha voce e rappresentanza e che non ha alternativa se non la ripresa e la realizzazione concreta di quel progetto interrotto nel 1945. Si tratta, con molta umiltà e consapevolezza, di riprendere il filo della Storia, senza interessate pregiudiziali di parte, senza lasciare nulla al caso e all’improvvisazione, anzi ripartendo proprio dall’analisi storica del socialismo in Italia, una storia che non é lineare e che é fatta di luci e di ombre, ma spesso anche di mancati appuntamenti con la Storia a causa della pochezza e della faziosità degli uomini.
Per molte cause, non ultima quella che si riferisce al temperamento degli italiani ed al carattere stesso della tradizione politica nostra, il socialismo in Italia s’é sviluppato tardi e di riflesso, anche se idee e motivi sociali son fioriti da noi forse prima che altrove. Basti pensare al contenuto sociale delle opere di molti scrittori del Cinquecento, U. Foglietta, A.F. Doni, per tacer degli utopisti, tanto che in quegli scrittori si é voluto perfino trovar qualche spunto pre-marxista o, quantomeno, socialista. Per la verità si trattava d’altro e cioè di fremiti – ancorché solitari – che scuotevano dalle fondamenta la nazione che appariva invecchiata. Tanto é vero che, quando nel secolo XVIII il rinnovamento nazionale esplose, quei motivi sociali divennero più saldi e, sia pure sotto l’influenza illuministica o giusnaturalistica, si accompagnarono al sorgere del pensiero unitario.
Il fondo del movimento riformatore italiano del ’700 é carico di motivi sociali: il problema della disuguaglianza economica, quello dell’ingiustizia distributiva, quello delle riforme economiche, quello della proprietà, agitarono il pensiero di economisti, filosofi, giuristi, storiografi. Progetti di riforme sociali audaci per quei tempi: previdenza, assistenza, terra ai contadini, dilagarono nella seconda metà del secolo e qualche cenno sulla proprietà come un segno dell’ingiustizia umana si trova in molti di quei scrittori, taluno dei quali, come il Pini di Genova, giunse a soluzioni estreme.
Ma di tali correnti va colto lo spirito che era e voleva essere rivolto a gettar le basi di un rinnovamento sostanziale della nazione. Gli artefici del primo Risorgimento, in effetti, da Verri a Beccaria, da Genovesi a Filangeri, da Parini ad Alfieri, da G.B. Vico a V. Russo, soprattutto accomunarono, nel loro tentativo di svegliare la nazione, motivi politici e motivi sociali, quasi a rendere più evidente la scossa che doveva far fremere l’Italia. E, in realtà, nemmeno quando parve che il motivo più schiettamente politico prevalesse, quegli aneliti di carattere sociale scomparvero, giacché proprio i principali artefici della Unità, Gioberti, lo stesso Cavour ma soprattutto Mazzini, non tralasciarono, sia pure con modalità diverse, di valutare l’esigenza sociale e cioè problema economico, problema operaio, problema associativo e via via, in rapporto proprio al voto di una soluzione integrale della questione italiana. Non tanto come movimento “socialista” dunque, ma attenzione viva alle cose umane, alle esigenze, che soglion chiamarsi sociali, del paese e che riflettono le condizioni di vita individuali e collettive.
Comunque mai socialismo antinazionale o materialistico o bruto; lo stesso Pisacane, taluni accenni del quale sono stati dimostrati precorritori del meglio di C. Marx, si sacrificò in un tentativo supremo per la rivoluzione nazionale. Mancavano altresì molti fattori perché il socialismo sorgesse ed allignasse: fattori positivi e negativi, industria, protezionismo, problema terriero; e poi la struttura stessa dell’economia del paese, più regionale che nazionale, ed infine, come già accennato, il temperamento degli italiani a valutare il rapporto politico, sempre nello stato e per lo stato anche quando poteva sembrare che l’individuo fosse prima e più dello stato.
Per lo stato e per la nazione, quindi. Mazzini, che può considerarsi il primo organizzatore operaio nostro, il fondatore nel 1848 delle prime società di mutuo soccorso, sottomise pur sempre ogni idea di rivoluzione o di rinnovamento sociale all’idea di Patria; e gli stessi germi socialistici che affiorarono in Lui, lotta di classe, miseria crescente, organizzazione di classe, sbocciano nella più grande idea dello Stato nazionale. Quando Bakunin giunse in Italia (1865) trovò assenti le masse dal campo d’azione politico; trovò che il terreno era vergine o quasi e quel che si faceva era quasi dovunque mazziniano o di influenza mazziniana.
Il conflitto che esplose qualche anno dopo (1871) tra Mazzini e Bakunin, stava ad attestare l’inconciliabilità delle due ideologie, l’una aderente all’idea di nazione, l’altra staccata da quell’idea. Tuttavia, Bakunin, qualche cosa riuscì a fare in Italia. Esagerate erano, senza dubbio, le espressioni di Engels che, nella lettera premessa all’edizione italiana del Manifesto, augurava all’Italia di avere un Dante del socialismo, ed esagerata l’affermazione di Marx che scriveva in quel tempo (1871) ad un amico che in Italia si facevano “dei progressi vertiginosi a scapito dei mazziniani. ”
Lo stesso Marx, scrivendo ad altri della sezione italiana dell’internazionale fondata da Bakunin, diceva trattarsi “di una truppa di spostati, rifiuto della borghesia.” Giudizio inesatto anche questo. Quei primi socialisti, nonostante la vernice rivoluzionaria, furon soprattutto dei sentimentali. Un romantico fu Andrea Costa (1846-92), il bardo del primo movimento socialista italiano; un utopista sentimentale ed umanitario che dopo il 1879 passò decisamente all’evoluzionismo, come si diceva allora, e cioè al legalitarismo, tanto che nel 1882 entrò alla Camera. Un mistico, Davide Lazzaretti, il profeta del Monte Amiata, la propaganda religioso-sociale del quale non fece praticamente proseliti e che fu ucciso (1878) in un conflitto con la forza pubblica. A sfondo umanitario l’adesione di Garibaldi al socialismo (1871), inteso quale moto di redenzione umana e sociale.
Fino quasi alla fine del secolo il socialismo in Italia fu poca cosa e diverso dai movimenti degli altri paesi. Si parlava soprattutto di “questione sociale”, che era altra cosa del socialismo e cioè volontà o aspirazione a risolvere per via legale disparità e situazioni economiche ed a venire incontro alle esigenze dei lavoratori. I libri di P. Ellero, che parevano incendiari e contro la borghesia, (La questione sociale 1874, La riforma civile, 1881) in fondo erano pieni di accenti patrii e nazionali. E un pò tutti furono per risolvere la questione sociale, argomento caro in quel tempo, a tutti coloro che non erano o non volevano passare per retrogradi. La letteratura e l’arte furono invase da questa mistica sociale: si descrisse e si dipinse la miseria delle famiglie operaie (inchieste varie, quadri di T. Patini e di altri), si inneggiò all’elevamento morale e sociale degli umili.
Un esponente tipico di questa mentalità umanitaria fu il De Amicis, che restò un letterato garbato e non assunse mai il ruolo di un incitatore alla rivoluzione. Qualche moto, in verità, vi fu: nel 1874 ad Imola, nel 1877 nel beneventano, nel 1880 a Milano si costituiva il Fascio operaio di composizione esclusivamente proletaria. Il governo nel 1874 aveva sciolto le sezioni dell’Internazionale. Ma il movimento operaio che seguì non fu ancora né organizzato né sentito dalle masse. Crispi ed altri potevano ben dire che non c’era in Italia la “materia combustibile” per un incendio. Mancava un indirizzo, mancava la ragione ideale di un partito rivoluzionario o innovatore. La stessa cultura, oltre gli “scritti” genericamente sociali di cui s’é fatto cenno, non rivelava motivi nuovi o capaci di suscitare una fede politica.
Qualche interpretazione antiborghese, come quella del Puviani ( Del sistema economico borghese in rapporto alla civiltà, 1883), non conteneva tuttavia delle forze suscitatrici di orientamento. Gli scritti del Lorìa ( La teoria economica della costituzione politica, 1886, Analisi della proprietà capitalistica, 1889), dimostrati successivamente in parte plagi di Marx, in parte frutto di materialismo empirico, attestano lo stato assai mediocre della cultura socialistica. E’ dopo il 1890 che il movimento prende un indirizzo, sia pure non nostrano, di imitazione. Nel 1891 iniziava le pubblicazioni “Critica sociale” del Turati, che era coadiuvato da Anna Kulisciov e si tradusse il “Capitale” di Marx e si diffuse il “Manifesto dei comunisti”.
Nel 1896 usciva “L’Avanti” diretto da Bissolati. Intorno a quegli anni si tentò una fusione delle forze socialiste in un Partito dei lavoratori italiani (congresso di Genova, 1892) che modificava successivamente (Congresso di Reggio Emilia, 1893) il suo nome in Partito socialista dei lavoratori italiani, accentuando il distacco dei rivoluzionari antiparlamentari che si allearono con gli anarchici. Furono anni di irrequietezza, di ansie, di tentativi per il socialismo, che non trovava una sua via e una sua identità. I moti dei Fasci siciliani, (animati da uno strano ideale nel quale Dio, Marx e il Re venivano posti uno accanto all’altro ) e quelli di Massa Carrara, tra il 1889 e il 1894, portavano l’anno successivo allo scioglimento delle sezioni del partito.
Momenti di crisi, di rielaborazione anche dottrinaria, di conflitti interni nel partito che abbandonò il nome che si era dato nel congresso di Reggio Emilia e si chiamò ” Partito Socialista Italiano” (1895) Poi, nel 1898, i fatti di Milano: 400 morti, 688 condanne, repressioni. Di contraccolpo, nel 1900, 33 Deputati socialisti entrano alla Camera. Ma il socialismo italiano annaspava ancora nel buio, privo di una coscienza nazionale, avverso ad ogni rivendicazione morale o politica che innalzasse la patria ( si ricordino le parole di Filippo Turati che, a proposito dell’impresa africana si augurava che ” le nostre bandiere siano battute così solennemente da togliere ai manigoldi che ci guidano…la possibilità morale di ricominciare“); incerto tra la rivoluzione e il parlamentarismo.
Nel 1902, al congresso di Imola, trionfava il “riformismo”; nel 1904 a Bologna, trionfava la corrente rivoluzionaria; chi per la purezza del partito, chi per i connubi con altri partiti, (si ricordino le alleanze socialradicalmassoniche, i blocchi elettorali). Diverse le posizioni teoriche degli stessi capi corrente del movimento: F.S. Merlino ( Pro e contro il socialismo, 1897), in sostanza antimarxista, antideterminista; determinista, invece, il Graziadei (La produzione capitalistica, 1899); originalissimo Antonio Labriola, che tentava una interpretazione nuova di Marx e del materialismo storico inteso come identico al socialismo ricondotto, tuttavia, ad una filosofia della storia. Influenze di questo indirizzo si ebbero nella cultura, specie nella storiografia, nel diritto, nelle discipline sociali, volte tutte a considerare anche gli aspetti e le forme economiche dei gruppi nella storia e nella vita.
Ma esagerazioni, anche qui, poiché nel fondo c’era poco o nulla. Non a caso il Morgari, al congresso di Roma (1906), influenzato dalla cosiddetta “crisi” provocata dal revisionismo del Bernstein, poteva dire che il socialismo italiano aveva accolto da Marx soltanto il metodo della lotta di classe e nulla più. Poco tempo dopo Giolitti annunciava solennemente che Marx era “in soffitta”. Nuovi motivi di rivolta s’erano sovrapposti all’incerto socialismo italiano: il sindacalismo rivoluzionario E. Leone, A. O. Olivetti, P. Orano ) svilluppatosi sotto l’influenza di Sorel; il movimento operaio rinato quasi come autonomo di fronte al partito; nel 1906 si costituiva la Confederazione Generale del Lavoro, che non voleva saperne del partito, che restò vuoto ed astratto. In seno a quel movimento, scissioni o quantomeno diversità da regione a regione. Sorsero e si accentuarono voci di organizzatori che, come il Prampolini, invocavano solidarietà, creazione del costume, senso nuovo della vita. D’altro lato si iniziava una forte corrente cristiano-sociale, anzi nettamente cattolica, a sfondo quasi socialistico (Albertario, Toniolo).
Contemporaneamente il sindacalismo, pur diverso da tendenza a tendenza, agitava il mito dell’azione, nel quale forse confluiva lo spirito in parte deluso del Risorgimento. Il vecchio socialismo sembrava sconvolto. Al Congresso del partito di Milano (1910) Mussolini rilevava una tale situazione: ” Il partito socialista ufficiale - egli disse – é una grande ditta….che si avvia al fallimento” Intorno al 1911, mentre si discuteva sull’impresa di Tripoli, sul “ministerialismo” di Bissolati, la polemica rivelò meglio le fratture: ci fu chi disse (T. Colucci) che il ” socialismo si é spento in un’azione utilitaria “; chi rispondeva (Turati) che non c’era da rimpiangere nulla. Enrico Fermi, il bardo del socialismo positivistico, lanciava la sua massima edonistica: ” Ciascuno agisca secondo il suo utile economico ! ”
Al Congresso di Reggio Emilia (1912) doveva esplodere l’urto irreconciliabile. Fu un giovane a porre il dilemma: ” Volete i compromessi ? Preferite la collaborazione col vecchio mondo ? O preferite l’insurrezione che apra nuove vie alla storia del popolo italiano ? “. La netta impostazione data da Mussolini al problema portò alla scissione: da un lato Treves e Turati presero la direzione delle sconvolte forze che divennero poi il partito riformista; dall’altra Mussolini ed i rivoluzionari, “Facendo inorridire i sedentari del socialismo di allora, che sono quelli di oggi ( dirà 13 anni dopo Mussolini ) io patrocinavo nettamente la necessità di un mito insurrezionale che avesse dato alle masse operaie il senso della tragedia. ” E concludeva: ” Fu quello l’ultimo sussulto di giovinezza del Partito socialista italiano ” (Scritti e discorsi, V, pag. 68).
Un sussulto, s’aggiunga, che fu opera proprio di Mussolini, che dalle pagine dell’Avanti, di cui era divenuto direttore dal dicembre di quell’anno, tentava di dare un’anima nuova al movimento, intricato nelle pastoie dei compromessi, delle alleanze e, soprattutto per liberarlo dalle ideologie socialdemocratiche, materialistiche, astratte. E’ sempre Mussolini che ad Ancona, nel 1914, ottiene la netta separazione tra socialismo e massoneria.
E’ Mussolini che lotta contro i “blocchi”, i tentennamenti, le incertezze. Di quel tempo é la profezia di Sorel sul ruolo che dovrà avere quest’uomo nella storia d’Italia. I “vecchi” del socialismo protestano: lo accusano di “miracolismo”. Scoppia la guerra europea: la frattura fra i due mondi, quello che resta abbarbicato ai miti incerti, barcollanti e quello che ha un programma di azione rivoluzionaria dal quale già si staglia la grande “Proletaria ” in cammino, é un fatto acquisito. Il socialismo italiano ha perso la sua spinta innovatrice e tutto quello che di esso poteva ancora essere considerato utile e valido, quel porre, cioè, grandi problemi nel paese, quello svegliare anime e coscienze anche di fronte alle esigenze economiche oltreché spirituali, assume altra forma ed altra denominazione.
Questa la realtà che ancora oggi si vuole negare.
I fatti di Ancona (giugno 1914), lo sciopero generale che ne seguì, l’atteggiamento assunto di fronte alla guerra, distaccarono sempre più il vecchio socialismo dal paese. La guerra, che si iniziò contro quel socialismo che la avversò ed in parte ne profittò, anziché creare le condizioni favorevoli per l’instaurazione rivoluzionaria del proletariato, portò alla netta decomposizione morale del paese in lotta: da un lato gli assertori dell’idea di nazione e di stato, dall’altro i negatori di quell’idea. E ciò si vide alla fine del grande conflitto. In apparenza pareva che, invece di essere quella l’ora della risorta nazione, fosse l’ora del socialismo “disfattista”, ove socialismo significava dispregio dei valori ideali e morali della vita e della patria; le masse, per un complesso di fattori, forse anche spiegabili ma paradossali nelle loro risultanze estreme, credettero fosse venuto il momento di impadronirsi delle fabbriche, dei mezzi di produzione e di tutto quello che l’odiato “borghese” possedeva.
Da un lato l’esempio ( che avrebbe dovuto essere, viceversa, ammonitore ) della Russia; dall’altro il fenomeno stesso della smobilitazione connesso ai diversi problemi che il paese si trovava ad affrontare dopo quattro anni durissimi di guerra; infine, altri fenomeni di varia natura, economica e psicologica, di ambiente ( notevole, ad esempio, il fatto che per quattro anni milioni di uomini di vario livello sociale e provenienza geografica avevano vissuto a contatto nelle trincee, dividendo “pane e morte “) ed altresì spirituale influirono, in Italia come altrove, a dare l’illusione che il socialismo materialista ed antinazionale trionfasse.
Il partito si ingrossò di iscritti; ma la pletora lo fece crepare in vari pezzi e si scisse, e si ebbero: riformisti, centristi, massimalisti, senza dire degli anarcoidi o dei radico-socialisti o dei demosocialisti. Alla Camera i rappresentanti di questi vari socialismi andarono numerosi nel 1919 e specie nel 1921. E proprio nel 1921, quando il sorgente “fascismo”, nato anch’esso dalla costola socialista, sembrava sopraffatto e battuto, George Sorel, il teorico del socialismo francese, ebbe a scrivere: ” Io conosco un giovanotto, un certo Mussolini socialista, che é il solo socialista che io conosca capace di non fare sciocchezze. Egli saprà guidare i suoi compagni nel senso giusto e nel loro interesse.
Non é meno straordinario di Lenin. Anche lui é un genio politico di dimensioni tali che sorpassano quelle di tutti gli uomini politici attuali, a parte Lenin. Già avevo sentito parlare di lui prima della guerra. Non é certo un socialista di salsa borghese. Non ha mai creduto al socialismo parlamentare: ha una straordinaria capacità di comprendere il popolo italiano ed ha inventato qualcosa che non é nei miei libri: l’unione del nazionalismo col socialismo” Lasciando l’inciso, per riprendere il filo dell’analisi storica, dobbiamo ricordare il tentativo di occupazione delle fabbriche proprio in quell’anno (1921); scioperi particolari e generali paralizzarono il paese: E’ la vittoria del proletariato, si gridava da molte parti; é la conferma del marxismo si diceva da altre parti.
Accanto alle agitazioni, ai conflitti, agli assalti fatti da ogni parte alle amministrazioni, allo stato stesso, fiorivano discussioni teoriche. Erano gli stessi socialisti a giustificare le loro posizioni differenziate o a cercare le vie dell’azione sui loro giornali, tentando soprattutto di dimostrare, ciascuno di loro, che Marx era dalla loro parte; ed erano anche taluni esponenti della borghesia, del clericalismo e del conservatorismo a gettare le passerelle della loro grande viltà ai trionfanti castelli socialcomunisti. Gli stessi governi che si succedevano al potere si mostravano remissivi e compiacenti di fronte a questo, in apparenza, potente antistato, che aveva creato una vera bardatura al paese.
Ore tristi per la nazione, che pareva già ai primi del 1919 dover soccombere sotto i colpi di grandi masse inconsapevoli, aizzate da capi accecati dall’odio e dal temporaneo successo. Il vecchio socialismo romantico nulla aveva da fare con questa idra dalle molte teste che, agitando il mito della dittatura del proletariato, aveva già incatenato i proletari ad una dittatura faziosa, inconcludente ed internazionalista. La nazione intera, vittoriosa in guerra e sui campi di battaglia, pagava un umiliante tributo di rinunce al tavolo della pace, anche per questa disastrosa e vergognosa situazione interna oltre che per l’insipienza ed il servilismo dei governanti.
Ma quando pareva che il successo fosse sicuro, la crisi era già aperta. L’aveva aperta lo stesso decomporsi del socialismo in gruppi, tendenze, partiti; l’aveva aperta la parte viva e consapevole della nazione vittoriosa che aveva resistito alla marea montante e, ove aveva potuto, reagito; ma, soprattutto, l’aveva aperta una nuova forza politica, sorta proprio per arginare la decadenza della nazione e salvare così il progetto di quella giustizia sociale che era stato alla base del sorgere del socialismo italiano.
Era stato proprio il Mussolini individuato da Sorel, il socialista ribelle del 1914, ad interpretare l’anima vera della nazione, opponendo alle forze disgregatrici e distruttive la serena visione di un’Italia degna della Vittoria. E’ l’azione politica e rivoluzionaria del fondatore dei Fasci che smantella uno ad uno i miti e i falsi idoli della teoria. Lotta di classe, miseria crescente, materialismo storico, stato amministrativo, dittatura del proletariato, tutte roccaforti delle teorie socialistiche e marxistiche, vengono smantellate in maniera risolutiva negli anni tragici della vigilia ed ancora in quelli immediatamente seguenti alla marcia su Roma, pur in una situazione politica e ambientale difficilissima, soprattutto per le condizioni economiche e sociali dell’Italia post bellica.
E’ questo un giudizio di parte ?
Può darsi, ed é per questo che chiedo il sostegno delle valutazioni sull’uomo Mussolini, sulla sua azione e sul suo progetto, di avversari autorevoli proprio sul piano ideologico-dottrinario Durante il suo esilio in Svizzera, il capo del bolscevismo, Nikolai Vladimir Illic Uljanov detto Lenin conobbe Mussolini, anch’egli esiliato. Dopo aver assistito ad una conferenza del socialista romagnolo, disse: ” Sono certo che per causa sua e delle idee che egli ha, il marxismo sarà un giorno non lontano battuto e definitivamente rovinato. ” Più tardi, dopo l’uscita di Mussolini dal Partito socialista, dirà ai socialisti italiani recatisi a Mosca (1919-20) : E Mussolini ? Perché lo avete perduto ? Male, molto male. E’ un peccato. Era un uomo deciso che vi avrebbe portato alla vittoria. ”
Lo stesso Trotski, braccio destro di Lenin nella rivoluzione russa, espresse identico concetto rivolto ai socialisti italiani: ” Avete perduto l’unica carta seria; l’unico uomo che avrebbe potuto fare la rivoluzione sul serio”. Il celebre romanziere russo, Massimo Gorky, ebbe ad affermare: ” Debbo riconoscere che Mussolini é un uomo di intelligenza e volontà superiori che ha contribuito grandemente alla ricostruzione dell’Italia dopo la guerra e che perseverò nel suo lavoro per la grandezza del suo Paese. E ciò é ammirevole. ”
Dopo appena mezzo secolo di vita il partito socialista, nelle sue varie articolazioni, tendenze e organizzazioni, perdeva la partita politica perché non aveva saputo comprendere ed interpretare la dinamica della realtà del momento e le esigenze della nazione, rimanendo vincolato a metodi di lotta, schemi teorici e postulati dottrinari d’importazione. In sostanza, perché il partito era invecchiato precocemente.
Quello che, viceversa, non muore, é l’essenza e l’anima del progetto socialista, che inizia il suo faticoso cammino proprio per volontà del socialista Mussolini, fondatore del Fascismo. Le critiche postume alla fase realizzativa di questo progetto sono note e, personalmente, le giudico superficiali ed ingenerose. Sicuramente qualche errore é stato commesso ed alcuni ritardi si sono verificati. Ma nella valutazione complessiva dell’azione di governo dobbiamo superare il vizio tutto italiano di non saper contestualizzare i fatti e gli avvenimenti.
In sintesi: Mussolini mobilita le camice nere, accelera la crisi dello Stato liberale, e quindi mette il re nella condizione di chiamarlo a formare il governo con atto costituzionale. Il movimento fascista é minoritario nel Parlamento, ma nonostante ciò il governo formato da Mussolini ottiene la fiducia. Sul piano istituzionale dobbiamo tenere presente che l’Italia era al tempo, una monarchia costituzionale democratico parlamentare retta dallo Statuto Albertino, Statuto che riservava al re alcune prerogative, tra le quali – non dimentichiamolo quando vengono valutati certi comportamenti durante la seconda guerra mondiale – la nomina del Capo di Stato Maggiore.
Da quel momento, quindi, si instaura una “diarchia” che – ovviamente, in alcune fasi – può creare dei limiti alla stessa azione di governo. Si poteva realisticamente, nel momento insurrezionale delle camice nere, travolgere anche la monarchia e instaurare la repubblica attraverso una guerra civile, fra l’altro dall’esito quasi sicuramente infausto per lo stesso movimento fascista ? La risposta é un no netto e categorico. Vittorio Emanuele III era il re vittorioso e Casa Savoia aveva un seguito anche popolare e anche in una parte del movimento. La stessa sinistra estrema poi, in nome dell’antifascismo, si sarebbe schierata a difesa della monarchia. Altro elemento da considerare il fatto che l’Italia, nell’ambito della burocrazia, sia civile che militare, era il paese più massonizzato del continente.
A documentare questa asserzione ci sono le statistiche settoriali degli apparati civili e militari. Mussolini, già da socialista, aveva sollevato il problema della massoneria e questo era stato anche uno dei motivi della sua espulsione dal partito. Quindi c’era da fronteggiare anche questa situazione non certamente favorevole. D’altra parte il movimento fascista non era nella condizione di sostituire, nel momento, tali apparati con elementi fidati anche perché, lo stesso movimento, non era immune da tale “infezione” e questo lo verificheremo successivamente nel momento in cui le sorti della guerra sono compromesse e l’azione eterodiretta dei “fratelli” innesca la crisi del regime. L’Italia é anche la sede papale, e Mussolini deve affrontare – da subito e attraverso una trattativa lunga e difficile soprattutto per quanto riguarda l’educazione giovanile – la cosiddetta questione romana che si trascina insoluta da anni, tenendo conto che l’apparato clericale ha molta influenza nella popolazione rurale ( che rappresenta la maggioranza della popolazione italiana in un paese prevalentemente agricolo ), e che lo stesso apparato gestisce larga parte dell’istruzione, in particolare quella superiore di eccellenza.
Altro elemento fortemente negativo l’alta percentuale di analfabeti con il fenomeno di un analfabetismo di ritorno a causa delle peggiorate condizioni socio-economiche dovute all’economia di guerra. Una massa incolta di contadini e di salariati non é “popolo ” consapevole dei propri doveri e dei propri diritti. In tale situazione é proponibile e realizzabile da subito, per esempio, la socializzazione delle imprese ?
Ma questa massa, purtroppo, non é soltanto incolta, é anche in situazione igienico-sanitaria disastrosa: Rachitismo, malaria, pellagra, tubercolosi sono vere e proprie piaghe sociali che stanno minando la sopravvivenza della stirpe italica. In breve sintesi, ho elencato problemi reali e urgenti perché sottovalutati, trascurati e fatti incancrenire e che, messi tutti insieme, avrebbero annientato e scoraggiato chiunque non fosse dotato di una volontà superiore.
Questa la situazione interna; vogliamo adesso prendere in esame la politica estera con tutte le questioni aperte e lasciate insolute o, peggio ancora, compromesse, dalla classe politica vile e rinunciataria dell’Italietta liberale ?
Questo il contesto in cui ha inizio l’attuazione graduale di un progetto autenticamente socialista e nazionale, in un Paese in cui lo Stato unitario é ancora in fase di faticosa, concreta realizzazione perfino da un punto di vista linguistico.
Vogliamo indicare, a grandi linee ed in estrema sintesi, alcune tappe fondamentali dell’attuazione del progetto ?
- Riforma della scuola
- Assicurazione invalidità e vecchiaia-
- Assicurazione contro la disoccupazione
- Assistenza ospedaliera ai non abbienti
- Tutela del lavoro minorile e delle donne
- Opera nazionale maternità e infanzia
- Assistenza illegittimi e abbandonati
- Assicurazione obbligatoria contro la TBC
- Esenzione tributaria per le famiglie numerose
- Assicurazione obbligatoria malattie professionali
- Opera nazionale Orfani di guerra
- Istituto nazionale infortuni sul lavoro
- Istituto nazionale per la previdenza sociale
- Riforma del sistema bancario per la tutela dei risparmiatori
- Settimana lavorativa di 40 ore
- Ente comunale di assistenza
- Assegni familiari
- Casse rurali ed artigiane
- Istituto nazionale assistenza malattia ai lavoratori
- Legge urbanistica – Legge di tutela dei beni artistici e culturali
- Riforma dei codici
- Socializzazione delle imprese
In contemporanea: opere pubbliche con costruzione di strade, autostrade, ferrovie, porti, ospedali e sanatori, scuole, palestre, campi sportivi, collegi di ogni ordine e specializzazione, creazione e fondazione di città, riforma agraria e lotta al latifondo, riforestazione del territorio e risanamento idrogeologico; in campo igienico-sanitario: medicina scolastica, colonie marine, montane, elioterapiche onde mettere il bambino e l’adolescente al centro di tutti i problemi che riguardano la tutela, da parte dello Stato, del benessere dei cittadini.
L’elenco potrebbe continuare a lungo e tutto questo in un breve periodo storico e senza dissestare il bilancio dello Stato. Anzi a questo proposito non possiamo dimenticare il miracolo economico-finanziario della Repubblica Sociale Italiana in cui, per la prima volta venne posto e risolto, proprio nel quadro più generale della socializzazione della economia nazionale, il problema della proprietà della moneta.
Infatti il Ministro delle Finanze, Domenico Pellegrini Giampietro, – come documentato anche recentemente dal dott. Antonio Pantano- costrinse la Banca Centrale italiana a mettere a disposizione dello Stato la liquidità monetaria, gestita per conto dello Stato ma ” dichiarata propria dalla Banca “, ponendo così in attivo il bilancio della R.S.I in anno di guerra e di inimmaginabili obbligazioni di spesa.
Oggi c’é qualche governante, di sinistra o di destra, socialista o liberale non ha importanza, disposto a risolvere il problema dell’enorme debito pubblico che grava come una spada di Damocle sui cittadini italiani, con il metodo messo in atto dal Ministro delle Finanze della R.S.I ?
Chi é disposto a sfidare il potere usuraio della Banca d’Italia e, ancor più, della Banca Centrale Europea e di tutte le Banche centrali ?
E’ una sfida quella della sovranità monetaria che noi noi Socialisti Nazionali, quale continuità ideale dei postulati della Repubblica Sociale Italiana, dobbiamo porre alla base di un programma autenticamente socialista e quale elemento fondamentale per la riconquista della sovranità nazionale. Socialismo, quindi, anche perché il contenuto concettuale e dottrinario di tale termine ci appartiene storicamente e dobbiamo sentire l’orgoglio di rivendicarlo perché concretamente sperimentato e realizzato, ancorché non compiutamente, a causa dell’esito infausto del 2° conflitto mondiale, di quello scontro titanico che ha visto contro di noi quattro continenti e mezzo e che dovrà passare alla Storia come la “guerra del sangue contro l’oro : ” La socializzazione altro non é se non la realizzazione italiana, umana, nostra, effettuabile del socialismo; dico nostra in quanto fa del lavoro il soggetto unico dell’economia ma respinge le meccaniche livellazioni di tutto e di tutti, livellazioni inesistenti nella natura ed impossibili nella storia…”.

Majorana
26-07-10, 22:50
MANIFESTO CULTURALE

VALORI DEL SOCIALISMO NAZIONALE

“Il simbolo che rappresenta il Centro Studi SN è formato da un cerchio rosso recante all’interno, sulla parte alta la scritta: SOCIALISMO, sulla parte bassa la scritta: NAZIONALE con all’interno un campo rotondo a sfondo bianco in cui campeggia al centro una grafica nera composta da una S stilizzata con freccia tendente verso il basso che interseca una N e tra loro collegate nella prima linea e la scritta RSI inserita sotto tra l’inizio della S e la fine della N, così come appare.”

Rispetto ai presunti “valori di destra” che identificano gruppi politici che fanno riferimento ad aree reazionarie ed economiciste venate da teo-conservatorismo, si conclude una fase in cui – per necessaria e dovuta contrapposizione ad un progetto che non ricalcava gli intendimenti iniziali di alternativa sociale – siamo stati costretti in principio ad inventarci un nome – “Sinistra Nazionale” – che servisse chiaramente nella sua parte nominalistica (e solo in quella) a eliminare ogni contiguità con un percorso che si andava allontanando pericolosamente e pervicacemente da un progetto originario non sufficientemente, secondo noi, difeso con coerenza da tutti i soggetti di quel cartello (a partire dall’ambigua Floriani Mussolini).

Nella fase nuova che va ad aprirsi con il partito popolare italiano ispirato da Berlusconi, e con il coinvolgimento interno alla sua destra a figure e gruppi che si richiamano a non chiare ispirazioni semplicisticamente “nazionaliste”, noi non sentiremo più la necessità di marcare una distanza che sarà palese per tutti proprio a partire dai contenuti progettuali e programmatici e di modelli ispiratori.

Tanto più che tale operazione é speculare a sinistra con il Partito Democratico e la reiterazione di una estrema “cosa rossa” (grettamente socialista massimalista con venature marxiste-leniniste e di integralismo ambientalista), che – DI FATTO – assume l’egemonia del nome sinistra pur con varie desinenze: “democratica”, ” europea”, “arcobaleno”, “critica” con ciò marginalizzando anche una desinenza (perché tale rimane) come “nazionale” che perde ogni originale propulsione.

Inoltre linea dirimente per ogni logica di appartenenza di schieramento é allo stato attuale rappresentato dal modello di approccio alla politica estera: per quanto ci riguarda esso non ci può vedere che distinti e distanti da ogni “servitù” filo-atlantica – CHE NON CI APPARTIENE PER STORIA,CULTURA, TRADIZIONE, COMUNITA’ E PRINCIPI DOTTRINARI – e il conseguente appiattimento “occidentale” che rimane un’altra parola vuota e senza senso, oggi molto più di ieri. A questa “idolatria” – che comunque investe tutti; dai “neo-popolari” per passare al centro ed arrivare anche a SINISTRA – noi contrapponiamo la Dignità di appartenenza alla Comunità europea dei Popoli ed una visione eurocentrica nel solco dell’epopea rivoluzionaria socialnazionale del XX secolo che deve ancora essere compiutamente portata a termine.

La battaglia continua perché la guerra non é mai finita. Dunque nel prosieguo della nostra azione politica ciò che potevamo definire anche – a maglie larghe – “Sinistra Nazionale” non é più compatibile con i nuovi scenari e perciò, più compiutamente e più sinteticamente, dobbiamo rimarcare la unicità e l’originalità del; “SOCIALISMO NAZIONALE ” CHE VERIFICHERA’ NEI CONTENUTI E NEL PROGETTO SE OFFRIRE IL PROPRIO CONTRIBUTO DI IDEE E DI MILITANZA A FORZE POLITICHE DICHIARATAMENTE ALTERNATIVE AL PENSIERO UNICO DEL PD E PDL CHE NON RINNEGHINO RADICI STORICHE FONDAMENTALI DELLA NOSTRA NAZIONE E CHE RIFIUTANO L’ASSERVIMENTO ALLA OMOLOGAZIONE DELLA “CASTA”.

Coordinamento “MARIO GRAMSCI”

rete di COMUNITA’ di SOCIALISMO NAZIONALE 28 ottobre

Sì, siamo fatti così, eretici e stramaledetti rompicoglioni, ed é per questo che abbiamo deciso di intitolare il nostro “Coordinamento delle Comunità Socialiste Nazionali” al nome glorioso, anche se oggi sconosciuto ai più, di MARIO GRAMSCI , fratello del più noto e celebrato Antonio (da morto, perché in vita ebbe anche lui le sue disavventure con i compagni comunisti, come andremo a raccontare in seconda battuta !). Mario fu nominato federale della Federazione fascista di Varese subito dopo la Marcia su Roma. Fu un Italiano autentico ed un valoroso combattente in Africa orientale e in Africa settentrionale, dove si guadagnò decorazioni al V.M. Preso prigioniero dagli alleati anglo-americani venne portato in Australia. Qui, essendosi rifiutato di collaborare con il nemico , venne confinato in un campo di punizione insieme ad altri irriducibili.

Il duro trattamento ricevuto e la lunga prigionia minarono fortemente la sua salute. Rientrò in Italia gravemente malato e morì poco dopo a soli 52 anni. Essendo morto da mussoliniano – da socialista nazionale – convinto, il P.C.I. fece sparire a suo tempo, lettere, scritti e persino il ricordo. Lo ricordiamo noi ai pochi italiani mentalmente sopravvissuti alla barbarie mediatica affinché lo onorino, ma lo indichiamo anche, come esempio di coerenza, ai numerosi cialtroni versipelle del nostro cosiddetto paese.

Stelvio Dal Piaz

IL NOSTRO ONORE SI CHIAMA FEDELTA’

Milano: 23 Marzo 1919 Fondazione dei Fasci Italiani di Combattimento

Il 23 Marzo del 1919, quando ebbe luogo a Milano la prima Assemblea costitutiva dei Fasci Italiani di Combattimento, nessuno o quasi, in Italia ed all’estero, si accorse di quella riunione, né tanto meno della portata storica, politica, economica, sociale, culturale ed esistenziale di quell’avvenimento. Prova ne è, le classiche ed asettiche dieci righe di formale resoconto che apparvero il giorno dopo sull’esclusiva cronaca locale di alcuni quotidiani milanesi. Ed era normale che così fosse stato!

Convocata a soli quattro mesi dalla firma dell’armistizio di Villa Giusti (4 Novembre 1918) e dalla fine per l’Italia della Prima Guerra mondiale, quella storica «adunata» – non solo era stata distrattamente equivocata o confusa dagli osservatori esterni con uno qualunque dei tanti convegni patriottici organizzati in quell’epoca dagli ex-interventisti e/o ex-combattenti, ma – non aveva nemmeno avuto il tempo materiale di essere adeguatamente pubblicizzata né ponderatamente ed appropriatamente organizzata dai suoi stessi specifici promotori. In altre parole, considerando che le situazioni di contingenza del Paese fossero più che mai imperiose ed incalzanti, l’allora direttore del “Popolo d’Italia”, Benito Mussolini, e quello sparuto manipolo di camerati che lo attorniava e lo sosteneva sin dal 1914-15, avevano per così dire tentato di anticipare gli eventi che immancabilmente si avvereranno nei mesi successivi e, di conseguenza, avevano goliardicamente e copiosamente improvvisato.

L’annuncio per la convocazione di quell’Assemblea, infatti, dopo un primo fugace appello lanciato dal futuro Duce l’11 Gennaio del 1919, aveva incominciato ad essere sistematicamente pubblicizzato, sul «Popolo d’Italia», soltanto a partire dal 2 Marzo dello stesso anno. Cioè, esattamente diciannove giorni prima dell’incontro preparatorio (21 Marzo ) di quel convegno e ventuno, dall’effettiva data di quel fatidico raduno (23 Marzo). Risultato: alla vigilia di quell’ «importantissima riunione» (come lo stesso Mussolini l’aveva fin lì definita), l’iniziativa in questione era riuscita a malapena ad attirare o a suscitare, in tutta la Penisola , soltanto 400 adesioni individuali (verbali o scritte) ed una trentina di conferme collettive di sostegno da parte di qualche associazione di reduci, di mutilati e di studenti.

Il 23 Marzo del 1919 – la data scelta dai futuri Sansepolcristi – era una domenica come tante altre. Milano – svestitasi temporaneamente del suo tradizionale e laborioso dinamismo feriale – si era, in quel giorno, apaticamente risvegliata sotto un’intermittente e noiosa pioggerellina primaverile. E piazza San Sepolcro, raramente frequentata nei giorni festivi, appariva agli occasionali passanti, appena un po’ più animata del solito. Già dalle prime ore del mattino, infatti, diversi capannelli di persone, incuriosite o interessate, si erano spontaneamente costituiti dal lato opposto dello stretto piazzale che tuttora fronteggia la prominente basilica affiancata dai due caratteristici campanili romanici. E quell’inconsueto e sorprendente assembramento – con la sua attenzione principalmente rivolta all’indaffarato andirivieni che regnava davanti al portone d’ingresso del neoclassico ed, in quel tempo, abbastanza malridotto e fatiscente Palazzo Castagni (sede designata per quella riunione) – faceva da estemporanea e surreale cornice al quadro piuttosto assembleare e senz’altro effervescente di quel rumoroso e singolare convegno.

All’interno di Palazzo Castagni – sede in quel tempo del Circolo per gli Interessi Industriali, Commerciali e Agricoli della provincia di Milano ed i cui locali erano stati regolarmente presi in affitto e non certo «benevolmente concessi» dai responsabili del Capitalismo lombardo, come ebbero più tardi a pretendere i cosiddetti antifascisti della venticinquesima ora! – c’era di tutto: combattenti, arditi, volontari e mutilati della Prima Guerra mondiale, studenti, operai, commercianti, imprenditori, liberi professionisti, disoccupati, poeti, artisti, ex-interventisti, socialisti rivoluzionari, sindacalisti, anarchici, nazionalisti, futuristi, repubblicani, monarchici, massoni e, perfino, alcuni israeliti. E fu davvero un «miracolo» che la risicata e tetra «sala dei Commercianti» di quel Circolo riuscisse addirittura quasi a riempirsi con un centinaio di presenze effettive,tra cui – oltre i soliti curiosi e qualche poliziotto in borghese – soltanto 53 o 54 delegati dei nascituri Fasci.

Un reale fallimento, da un punto di vista formale. Ed uno strabiliante ed incalcolabile successo, se viene presa in considerazione la specifica qualità e la profonda sostanzialità di quell’avvenimento! Quel giorno, infatti, al di là delle roboanti e bellicose dichiarazioni di principio che furono immancabilmente pronunciate dai diversi intervenuti, non furono soltanto gettate le basi di quello che più tardi diventerà il Fascismo Italiano.

Quel giorno, se vogliamo, venne ri-inaugurato l’antico, naturale, umano e sempre valido metodo di fare politica all’interno della società: fissare, cioè, un obiettivo o uno scopo da raggiungere e chiamare indistintamente ed indiscriminatamente a raccolta tutti coloro che direttamente o indirettamente – al di là di qualunque schema ideologico, politico o partitico preconcetto – sono pronti con il loro cuore, il loro spirito, la loro mente e/o le loro braccia ad implicarsi personalmente e concretamente in quell’impresa comune, per tentare di contribuire quotidianamente e fattivamente alla libertà, all’indipendenza, all’autodeterminazione ed alla sovranità del proprio Stato, nonché al benessere, alla fierezza ed alla dignità del Popolo e della Nazione di cui si fa parte.

Ancora oggi, persino tra gli stessi «Fascisti» o presunti tali (il più delle volte, politicamente ottenebrati dalla rituale e ciclica “corsa alle sedie” democratica o ideologicamente forviati da più di cinquant’anni di quotidiana e ossessionante propaganda antifascista.), ci si continua a meravigliare che un tale avvenimento abbia potuto effettivamente realizzarsi. Oppure, che – in quell’occasione – “tutto” ed il “contrario di tutto” abbia potuto incoerentemente ed inverosimilmente confluire in quel modesto e contraddittorio alveolo e, da irrisorio e maldestro ruscello, trasformarsi dapprima in torrente impetuoso ed, in seguito, in fiumana straripante e travolgente.

Oggi, tentare di descrivere quel particolare episodio della nostra Storia, sembra davvero come raccontare una favola. Eppure, fu semplicemente Storia. Storia di uomini e di volontà umane che tenacemente vollero ed arditamente e decisamente seppero raggiungere l’obiettivo che si erano liberamente e sinceramente imposto di conseguire.

Quella loro Storia, ancora oggi, se ancora ce ne fosse bisogno, è là per dimostrare al mondo che quando si vuole, si può. E che il semplice buon senso e l’antica «arte del fare», quando sono opportunamente «conditi» con un po’ di coraggio e di abnegazione umana, oltre ad essere la migliore ricetta di ogni sana politica, sono sempre in grado, in ogni momento della Storia, di sconfessare qualunque tipo di teoria preconcetta ed, allo stesso tempo, di contraddire, inficiare o stravolgere qualsiasi preteso, inevitabile o dogmatico “senso della storia”!

Alberto B. Mariantoni

IN MEMORIA DI BEPPE NICCOLAI

“Denunciare i nemici mortali che sono dentro di noi: la partitocrazia che genera professionismo politico contro la militanza; la casta contro l’impegno morale; la burocratizzazione; la corte e i cortigiani; la tendenza a ridurre il partito periferico ad un rete di piazzisti del voto, e che conduce ad una selezione verticistica della classe dirigente secondo le fedeltà, non alle linee ideali, ma alle persone che hanno il potere”. Beppe Niccolai “Io sono più a sinistra dei comunisti, anche di Ingrao; il PCI è uno dei più a destra dei partiti italiani poiché ormai è diventato anch’esso il braccio secolare del neo-conservatorismo americano”.

Beppe Niccolai.

«Se n’andò in Africa, leticando con Buffarini Guidi, abbandonando il Corso Allievi Ufficiali e lasciando quella Divisione Folgore in formazione a Tarquinia, nei cui ranghi era corso primo fra i volontari universitari italiani, insieme a Luigi Bertini e Luciano Ciucci. Anche l’andare in guerra era ritenuto bisogno primario della Nazione, sacrificio di sé, quindi, in pro d’Altro». (su “Beppe Niccolai”, Vito Errico, da “Tabularasa”, anno IV, n° 4) Nel ventesimo anniversario della sua scomparsa la comunità politica di Socialismo Nazionale, non può certo mancare di rammentare la memoria del grande pensatore, camerata toscano Beppe Niccolai prematuramente scomparso il 31 ottobre di cui vent’anni or sono all’età di 69 anni, proprio di più perché molti sono oggi (troppi) coloro che intendono strumentalizzarlo a loro beneficio insultandolo con l’accostamento alla parola “destra”.

Non possiamo certo dimenticarlo sicuramente come nostro padre spirituale, nonché profeta e predecessore della nostra azione politica; ma allo stesso tempo non possiamo certo dimenticarlo come esempio morale di lealtà e giustizia nei rapporti umani, nella chiara militanza politica, e nella sua indiscussa fedeltà all’idea. La sua valorosa esistenza di soldato politico sempre leale di fronte a tutto e a tutti, non può che aver tracciato un solco preponderante e non sottovalutabile nei nostri cuori di Uomini Liberi e nelle nostre battaglie d’oggi. Nato in quel di Pisa il 26 novembre 1920 Beppe Niccolai cresce velocemente nel clima umanistico di casa sua, grazie soprattutto al padre, preside di liceo e provveditore agli studi. Nella grande biblioteca paterna si formò presto una coscienza politica e divenne fascista, nel suo significato rivoluzionario del termine. Laureato in giurisprudenza e militante nelle organizzazioni giovanili fasciste, Niccolai ne sposò in pieno il pensiero e l’azione partendo giovanissimo come volontario di guerra in Africa Settentrionale distinguendosi per il suo coraggio e valore.

A seguito al Colpo di Stato borghese del 25 luglio ed al tradimento dell’8 settembre 1943 Giuseppe Niccolai matura la sua adesione politica morale e militare alla Repubblica Sociale Italiana, intravedendo fin da subito nei suoi programmi sociali il trionfo del proprio fascismo e la piena affermazione di quel Socialismo Nazionale da lui sempre attesa. Combattente repubblicano, al momento della disfatta della 1ª Armata Italiana, viene catturato dagli inglesi e insieme ad altri volontari italiani come Roberto Mieville finisce nel “Fascist’s criminal camp” di Hereford, nel Texas. Molti anni prima delle rivelazioni di Bacque sul genocidio dei soldati tedeschi, Niccolai aveva altresì più volte evocato le dure condizioni degli italiani nei campi di prigionia americani nonché l’inciviltà ed il freddo cinismo degli statunitensi, una realtà da svelare, sempre più scomoda per chi da anni detiene il potere nel mondo. In effetti la vita fu molto dura per i 15.000 italiani che rifiutarono di collaborare con gli alleati, non pochi furono quelli presto passati per le armi, ancor di più del resto quelli deceduti a seguito delle disastrose malattie contratte in campo di concentramento, basti ricordare l’infelice e pure nascosta sorte che colpì il malcapitato Mario Gramsci (fratello minore del leader comunista).

Dal dopoguerra membro del Movimento Sociale Italiano Niccolai dedica la propria battaglia politica alla ricerca dei principi sociali e nazionali accarezzati come altri nelle file della Repubblica di Mussolini. Sempre in contrasto verso i deviazionismi a destra dei vertici missini, Niccolai anche da parlamentare missino agirà sempre rispondendo alla propria coscienza di Uomo Libero e socialista nazionale, prima ancora che al partito ormai indirizzato verso una deriva liberal-conservatrice , clericale e massonica. Un partito che indubbiamente da tempo non era più il suo, ma che mai abbandonerà nel vano e disperato tentativo di riportarlo alla propria fonte, e alle proprie radici identitarie e sociali.

Purtroppo la storia è andata come è andata, ma certamente la memoria di Beppe Niccolai non potrà mai essere cancellata dai vari arrivisti e manutengoli del sistema; una memoria spesso strumentalizzata anche ai nostri giorni da parte di chi più volte facendone appello, gioca in realtà le carte del nemico comune, facendo buon viso a cattivo gioco. Estraneo dall’identificarsi e porsi sotto qualsiasi aggettivazione della “destra”, per anni si dichiarerà un “fascista di sinistra” sempre alla ricerca di quella mitica Terza Via con cui la storia mantiene ancora un conto in sospeso. Una persona Niccolai che non aveva certo dimenticato le proprie radici e la propria storia per la malefica strada del potere e della tentazione.

Discepolo del fascismo “eretico” di Berto Ricci, Niccolai intravide nel pensiero e nell’opera del poeta fiorentino la stella guida delle sue avventure politiche; ma il suo nome non manca di riecheggiare neanche l’immensa biografia di Nicolino Bombacci, da lui spesso ricordato e riportato come esempio di vita in non pochi dei suoi focosi interventi. Sempre in lotta sia all’interno del partito cui rappresentava, sia al di fuori verso chiunque venisse a meno alla propria coscienza morale; certamente nella sua vita breve ma intensa di passione, il suo ultimo grido di voce fuori dal coro si farà sentire attraverso le pagine de “L’eco della Versilia”, di cui presto lascerà il timone nelle mani del suo grande affettuoso amico e compagno di lotta che pure ricordiamo Antonio Carli (scomparso nel 2000), che ne tramuterà il nome in “Tabularasa”.

Stimato per la sua onestà e schiettezza anche dai suoi avversari politici, Niccolai ha sempre mantenuto il suo volto di coerenza e franchezza, anche quando si scagliò apertamente senza remore o timori a difesa del leader comunista di Lotta Continua Adriano Sofri. Che dire infine su di un uomo di cui non basterebbero le pagine di un libro per riesumarlo a giusto titolo; se non che la sua figura e la sua traccia di maestro politico e umano vive tutt’oggi e per sempre nei nostri cuori e nel nostro spirito di socialisti nazionali, non sapremo. Un’impronta la sua che non potrà mai abbrunire col passare del tempo, poiché nel nostro percorso a distanza di vent’anni dal suo addio tale impronta risplende sempre viva di luce, e per sempre risplenderà ogni giorno della nostra militanza e della nostra esistenza.

Un esempio per le presenti e le future generazioni.

CAMERATA BEPPE NICCOLAI: PRESENTE!

GIACOMO CIARCIA

Majorana
26-07-10, 22:51
Riflessioni didattiche di Stelvio Dal Piaz

E’ un termine che ricorre sempre più frequentemente nel linguaggio politico attuale, ma non é raro il caso – anche storicamente parlando – che ognuno ne dia una interpretazione talmente soggettiva e parziale da alterarne spesso il significato originario. Al punto che é difficile ormai trovarlo isolato senza una qualche aggettivazione: democratico, riformista, massimalista, liberale, nazionale, tricolore, lib-lab, e così via.
Comunque, al di là delle aggettivazioni e delle diverse interpretazioni del momento, una cosa é certa: un popolo socialista esiste ed é quella parte viva della nazione che più sta soffrendo proprio la crisi attuale, ma che non ha voce e rappresentanza e che non ha alternativa se non la ripresa e la realizzazione concreta di quel progetto interrotto nel 1945. Si tratta, con molta umiltà e consapevolezza, di riprendere il filo della Storia, senza interessate pregiudiziali di parte, senza lasciare nulla al caso e all’improvvisazione, anzi ripartendo proprio dall’analisi storica del socialismo in Italia, una storia che non é lineare e che é fatta di luci e di ombre, ma spesso anche di mancati appuntamenti con la Storia a causa della pochezza e della faziosità degli uomini.
Per molte cause, non ultima quella che si riferisce al temperamento degli italiani ed al carattere stesso della tradizione politica nostra, il socialismo in Italia s’é sviluppato tardi e di riflesso, anche se idee e motivi sociali son fioriti da noi forse prima che altrove. Basti pensare al contenuto sociale delle opere di molti scrittori del Cinquecento, U. Foglietta, A.F. Doni, per tacer degli utopisti, tanto che in quegli scrittori si é voluto perfino trovar qualche spunto pre-marxista o, quantomeno, socialista. Per la verità si trattava d’altro e cioè di fremiti – ancorché solitari – che scuotevano dalle fondamenta la nazione che appariva invecchiata. Tanto é vero che, quando nel secolo XVIII il rinnovamento nazionale esplose, quei motivi sociali divennero più saldi e, sia pure sotto l’influenza illuministica o giusnaturalistica, si accompagnarono al sorgere del pensiero unitario.
Il fondo del movimento riformatore italiano del ’700 é carico di motivi sociali: il problema della disuguaglianza economica, quello dell’ingiustizia distributiva, quello delle riforme economiche, quello della proprietà, agitarono il pensiero di economisti, filosofi, giuristi, storiografi. Progetti di riforme sociali audaci per quei tempi: previdenza, assistenza, terra ai contadini, dilagarono nella seconda metà del secolo e qualche cenno sulla proprietà come un segno dell’ingiustizia umana si trova in molti di quei scrittori, taluno dei quali, come il Pini di Genova, giunse a soluzioni estreme.
Ma di tali correnti va colto lo spirito che era e voleva essere rivolto a gettar le basi di un rinnovamento sostanziale della nazione. Gli artefici del primo Risorgimento, in effetti, da Verri a Beccaria, da Genovesi a Filangeri, da Parini ad Alfieri, da G.B. Vico a V. Russo, soprattutto accomunarono, nel loro tentativo di svegliare la nazione, motivi politici e motivi sociali, quasi a rendere più evidente la scossa che doveva far fremere l’Italia. E, in realtà, nemmeno quando parve che il motivo più schiettamente politico prevalesse, quegli aneliti di carattere sociale scomparvero, giacché proprio i principali artefici della Unità, Gioberti, lo stesso Cavour ma soprattutto Mazzini, non tralasciarono, sia pure con modalità diverse, di valutare l’esigenza sociale e cioè problema economico, problema operaio, problema associativo e via via, in rapporto proprio al voto di una soluzione integrale della questione italiana. Non tanto come movimento “socialista” dunque, ma attenzione viva alle cose umane, alle esigenze, che soglion chiamarsi sociali, del paese e che riflettono le condizioni di vita individuali e collettive.
Comunque mai socialismo antinazionale o materialistico o bruto; lo stesso Pisacane, taluni accenni del quale sono stati dimostrati precorritori del meglio di C. Marx, si sacrificò in un tentativo supremo per la rivoluzione nazionale. Mancavano altresì molti fattori perché il socialismo sorgesse ed allignasse: fattori positivi e negativi, industria, protezionismo, problema terriero; e poi la struttura stessa dell’economia del paese, più regionale che nazionale, ed infine, come già accennato, il temperamento degli italiani a valutare il rapporto politico, sempre nello stato e per lo stato anche quando poteva sembrare che l’individuo fosse prima e più dello stato.
Per lo stato e per la nazione, quindi. Mazzini, che può considerarsi il primo organizzatore operaio nostro, il fondatore nel 1848 delle prime società di mutuo soccorso, sottomise pur sempre ogni idea di rivoluzione o di rinnovamento sociale all’idea di Patria; e gli stessi germi socialistici che affiorarono in Lui, lotta di classe, miseria crescente, organizzazione di classe, sbocciano nella più grande idea dello Stato nazionale. Quando Bakunin giunse in Italia (1865) trovò assenti le masse dal campo d’azione politico; trovò che il terreno era vergine o quasi e quel che si faceva era quasi dovunque mazziniano o di influenza mazziniana.
Il conflitto che esplose qualche anno dopo (1871) tra Mazzini e Bakunin, stava ad attestare l’inconciliabilità delle due ideologie, l’una aderente all’idea di nazione, l’altra staccata da quell’idea. Tuttavia, Bakunin, qualche cosa riuscì a fare in Italia. Esagerate erano, senza dubbio, le espressioni di Engels che, nella lettera premessa all’edizione italiana del Manifesto, augurava all’Italia di avere un Dante del socialismo, ed esagerata l’affermazione di Marx che scriveva in quel tempo (1871) ad un amico che in Italia si facevano “dei progressi vertiginosi a scapito dei mazziniani. ”
Lo stesso Marx, scrivendo ad altri della sezione italiana dell’internazionale fondata da Bakunin, diceva trattarsi “di una truppa di spostati, rifiuto della borghesia.” Giudizio inesatto anche questo. Quei primi socialisti, nonostante la vernice rivoluzionaria, furon soprattutto dei sentimentali. Un romantico fu Andrea Costa (1846-92), il bardo del primo movimento socialista italiano; un utopista sentimentale ed umanitario che dopo il 1879 passò decisamente all’evoluzionismo, come si diceva allora, e cioè al legalitarismo, tanto che nel 1882 entrò alla Camera. Un mistico, Davide Lazzaretti, il profeta del Monte Amiata, la propaganda religioso-sociale del quale non fece praticamente proseliti e che fu ucciso (1878) in un conflitto con la forza pubblica. A sfondo umanitario l’adesione di Garibaldi al socialismo (1871), inteso quale moto di redenzione umana e sociale.
Fino quasi alla fine del secolo il socialismo in Italia fu poca cosa e diverso dai movimenti degli altri paesi. Si parlava soprattutto di “questione sociale”, che era altra cosa del socialismo e cioè volontà o aspirazione a risolvere per via legale disparità e situazioni economiche ed a venire incontro alle esigenze dei lavoratori. I libri di P. Ellero, che parevano incendiari e contro la borghesia, (La questione sociale 1874, La riforma civile, 1881) in fondo erano pieni di accenti patrii e nazionali. E un pò tutti furono per risolvere la questione sociale, argomento caro in quel tempo, a tutti coloro che non erano o non volevano passare per retrogradi. La letteratura e l’arte furono invase da questa mistica sociale: si descrisse e si dipinse la miseria delle famiglie operaie (inchieste varie, quadri di T. Patini e di altri), si inneggiò all’elevamento morale e sociale degli umili.
Un esponente tipico di questa mentalità umanitaria fu il De Amicis, che restò un letterato garbato e non assunse mai il ruolo di un incitatore alla rivoluzione. Qualche moto, in verità, vi fu: nel 1874 ad Imola, nel 1877 nel beneventano, nel 1880 a Milano si costituiva il Fascio operaio di composizione esclusivamente proletaria. Il governo nel 1874 aveva sciolto le sezioni dell’Internazionale. Ma il movimento operaio che seguì non fu ancora né organizzato né sentito dalle masse. Crispi ed altri potevano ben dire che non c’era in Italia la “materia combustibile” per un incendio. Mancava un indirizzo, mancava la ragione ideale di un partito rivoluzionario o innovatore. La stessa cultura, oltre gli “scritti” genericamente sociali di cui s’é fatto cenno, non rivelava motivi nuovi o capaci di suscitare una fede politica.
Qualche interpretazione antiborghese, come quella del Puviani ( Del sistema economico borghese in rapporto alla civiltà, 1883), non conteneva tuttavia delle forze suscitatrici di orientamento. Gli scritti del Lorìa ( La teoria economica della costituzione politica, 1886, Analisi della proprietà capitalistica, 1889), dimostrati successivamente in parte plagi di Marx, in parte frutto di materialismo empirico, attestano lo stato assai mediocre della cultura socialistica. E’ dopo il 1890 che il movimento prende un indirizzo, sia pure non nostrano, di imitazione. Nel 1891 iniziava le pubblicazioni “Critica sociale” del Turati, che era coadiuvato da Anna Kulisciov e si tradusse il “Capitale” di Marx e si diffuse il “Manifesto dei comunisti”.
Nel 1896 usciva “L’Avanti” diretto da Bissolati. Intorno a quegli anni si tentò una fusione delle forze socialiste in un Partito dei lavoratori italiani (congresso di Genova, 1892) che modificava successivamente (Congresso di Reggio Emilia, 1893) il suo nome in Partito socialista dei lavoratori italiani, accentuando il distacco dei rivoluzionari antiparlamentari che si allearono con gli anarchici. Furono anni di irrequietezza, di ansie, di tentativi per il socialismo, che non trovava una sua via e una sua identità. I moti dei Fasci siciliani, (animati da uno strano ideale nel quale Dio, Marx e il Re venivano posti uno accanto all’altro ) e quelli di Massa Carrara, tra il 1889 e il 1894, portavano l’anno successivo allo scioglimento delle sezioni del partito.
Momenti di crisi, di rielaborazione anche dottrinaria, di conflitti interni nel partito che abbandonò il nome che si era dato nel congresso di Reggio Emilia e si chiamò ” Partito Socialista Italiano” (1895) Poi, nel 1898, i fatti di Milano: 400 morti, 688 condanne, repressioni. Di contraccolpo, nel 1900, 33 Deputati socialisti entrano alla Camera. Ma il socialismo italiano annaspava ancora nel buio, privo di una coscienza nazionale, avverso ad ogni rivendicazione morale o politica che innalzasse la patria ( si ricordino le parole di Filippo Turati che, a proposito dell’impresa africana si augurava che ” le nostre bandiere siano battute così solennemente da togliere ai manigoldi che ci guidano…la possibilità morale di ricominciare“); incerto tra la rivoluzione e il parlamentarismo.
Nel 1902, al congresso di Imola, trionfava il “riformismo”; nel 1904 a Bologna, trionfava la corrente rivoluzionaria; chi per la purezza del partito, chi per i connubi con altri partiti, (si ricordino le alleanze socialradicalmassoniche, i blocchi elettorali). Diverse le posizioni teoriche degli stessi capi corrente del movimento: F.S. Merlino ( Pro e contro il socialismo, 1897), in sostanza antimarxista, antideterminista; determinista, invece, il Graziadei (La produzione capitalistica, 1899); originalissimo Antonio Labriola, che tentava una interpretazione nuova di Marx e del materialismo storico inteso come identico al socialismo ricondotto, tuttavia, ad una filosofia della storia. Influenze di questo indirizzo si ebbero nella cultura, specie nella storiografia, nel diritto, nelle discipline sociali, volte tutte a considerare anche gli aspetti e le forme economiche dei gruppi nella storia e nella vita.
Ma esagerazioni, anche qui, poiché nel fondo c’era poco o nulla. Non a caso il Morgari, al congresso di Roma (1906), influenzato dalla cosiddetta “crisi” provocata dal revisionismo del Bernstein, poteva dire che il socialismo italiano aveva accolto da Marx soltanto il metodo della lotta di classe e nulla più. Poco tempo dopo Giolitti annunciava solennemente che Marx era “in soffitta”. Nuovi motivi di rivolta s’erano sovrapposti all’incerto socialismo italiano: il sindacalismo rivoluzionario E. Leone, A. O. Olivetti, P. Orano ) svilluppatosi sotto l’influenza di Sorel; il movimento operaio rinato quasi come autonomo di fronte al partito; nel 1906 si costituiva la Confederazione Generale del Lavoro, che non voleva saperne del partito, che restò vuoto ed astratto. In seno a quel movimento, scissioni o quantomeno diversità da regione a regione. Sorsero e si accentuarono voci di organizzatori che, come il Prampolini, invocavano solidarietà, creazione del costume, senso nuovo della vita. D’altro lato si iniziava una forte corrente cristiano-sociale, anzi nettamente cattolica, a sfondo quasi socialistico (Albertario, Toniolo).
Contemporaneamente il sindacalismo, pur diverso da tendenza a tendenza, agitava il mito dell’azione, nel quale forse confluiva lo spirito in parte deluso del Risorgimento. Il vecchio socialismo sembrava sconvolto. Al Congresso del partito di Milano (1910) Mussolini rilevava una tale situazione: ” Il partito socialista ufficiale - egli disse – é una grande ditta….che si avvia al fallimento” Intorno al 1911, mentre si discuteva sull’impresa di Tripoli, sul “ministerialismo” di Bissolati, la polemica rivelò meglio le fratture: ci fu chi disse (T. Colucci) che il ” socialismo si é spento in un’azione utilitaria “; chi rispondeva (Turati) che non c’era da rimpiangere nulla. Enrico Fermi, il bardo del socialismo positivistico, lanciava la sua massima edonistica: ” Ciascuno agisca secondo il suo utile economico ! ”
Al Congresso di Reggio Emilia (1912) doveva esplodere l’urto irreconciliabile. Fu un giovane a porre il dilemma: ” Volete i compromessi ? Preferite la collaborazione col vecchio mondo ? O preferite l’insurrezione che apra nuove vie alla storia del popolo italiano ? “. La netta impostazione data da Mussolini al problema portò alla scissione: da un lato Treves e Turati presero la direzione delle sconvolte forze che divennero poi il partito riformista; dall’altra Mussolini ed i rivoluzionari, “Facendo inorridire i sedentari del socialismo di allora, che sono quelli di oggi ( dirà 13 anni dopo Mussolini ) io patrocinavo nettamente la necessità di un mito insurrezionale che avesse dato alle masse operaie il senso della tragedia. ” E concludeva: ” Fu quello l’ultimo sussulto di giovinezza del Partito socialista italiano ” (Scritti e discorsi, V, pag. 68).
Un sussulto, s’aggiunga, che fu opera proprio di Mussolini, che dalle pagine dell’Avanti, di cui era divenuto direttore dal dicembre di quell’anno, tentava di dare un’anima nuova al movimento, intricato nelle pastoie dei compromessi, delle alleanze e, soprattutto per liberarlo dalle ideologie socialdemocratiche, materialistiche, astratte. E’ sempre Mussolini che ad Ancona, nel 1914, ottiene la netta separazione tra socialismo e massoneria.
E’ Mussolini che lotta contro i “blocchi”, i tentennamenti, le incertezze. Di quel tempo é la profezia di Sorel sul ruolo che dovrà avere quest’uomo nella storia d’Italia. I “vecchi” del socialismo protestano: lo accusano di “miracolismo”. Scoppia la guerra europea: la frattura fra i due mondi, quello che resta abbarbicato ai miti incerti, barcollanti e quello che ha un programma di azione rivoluzionaria dal quale già si staglia la grande “Proletaria ” in cammino, é un fatto acquisito. Il socialismo italiano ha perso la sua spinta innovatrice e tutto quello che di esso poteva ancora essere considerato utile e valido, quel porre, cioè, grandi problemi nel paese, quello svegliare anime e coscienze anche di fronte alle esigenze economiche oltreché spirituali, assume altra forma ed altra denominazione.
Questa la realtà che ancora oggi si vuole negare.
I fatti di Ancona (giugno 1914), lo sciopero generale che ne seguì, l’atteggiamento assunto di fronte alla guerra, distaccarono sempre più il vecchio socialismo dal paese. La guerra, che si iniziò contro quel socialismo che la avversò ed in parte ne profittò, anziché creare le condizioni favorevoli per l’instaurazione rivoluzionaria del proletariato, portò alla netta decomposizione morale del paese in lotta: da un lato gli assertori dell’idea di nazione e di stato, dall’altro i negatori di quell’idea. E ciò si vide alla fine del grande conflitto. In apparenza pareva che, invece di essere quella l’ora della risorta nazione, fosse l’ora del socialismo “disfattista”, ove socialismo significava dispregio dei valori ideali e morali della vita e della patria; le masse, per un complesso di fattori, forse anche spiegabili ma paradossali nelle loro risultanze estreme, credettero fosse venuto il momento di impadronirsi delle fabbriche, dei mezzi di produzione e di tutto quello che l’odiato “borghese” possedeva.
Da un lato l’esempio ( che avrebbe dovuto essere, viceversa, ammonitore ) della Russia; dall’altro il fenomeno stesso della smobilitazione connesso ai diversi problemi che il paese si trovava ad affrontare dopo quattro anni durissimi di guerra; infine, altri fenomeni di varia natura, economica e psicologica, di ambiente ( notevole, ad esempio, il fatto che per quattro anni milioni di uomini di vario livello sociale e provenienza geografica avevano vissuto a contatto nelle trincee, dividendo “pane e morte “) ed altresì spirituale influirono, in Italia come altrove, a dare l’illusione che il socialismo materialista ed antinazionale trionfasse.
Il partito si ingrossò di iscritti; ma la pletora lo fece crepare in vari pezzi e si scisse, e si ebbero: riformisti, centristi, massimalisti, senza dire degli anarcoidi o dei radico-socialisti o dei demosocialisti. Alla Camera i rappresentanti di questi vari socialismi andarono numerosi nel 1919 e specie nel 1921. E proprio nel 1921, quando il sorgente “fascismo”, nato anch’esso dalla costola socialista, sembrava sopraffatto e battuto, George Sorel, il teorico del socialismo francese, ebbe a scrivere: ” Io conosco un giovanotto, un certo Mussolini socialista, che é il solo socialista che io conosca capace di non fare sciocchezze. Egli saprà guidare i suoi compagni nel senso giusto e nel loro interesse.
Non é meno straordinario di Lenin. Anche lui é un genio politico di dimensioni tali che sorpassano quelle di tutti gli uomini politici attuali, a parte Lenin. Già avevo sentito parlare di lui prima della guerra. Non é certo un socialista di salsa borghese. Non ha mai creduto al socialismo parlamentare: ha una straordinaria capacità di comprendere il popolo italiano ed ha inventato qualcosa che non é nei miei libri: l’unione del nazionalismo col socialismo” Lasciando l’inciso, per riprendere il filo dell’analisi storica, dobbiamo ricordare il tentativo di occupazione delle fabbriche proprio in quell’anno (1921); scioperi particolari e generali paralizzarono il paese: E’ la vittoria del proletariato, si gridava da molte parti; é la conferma del marxismo si diceva da altre parti.
Accanto alle agitazioni, ai conflitti, agli assalti fatti da ogni parte alle amministrazioni, allo stato stesso, fiorivano discussioni teoriche. Erano gli stessi socialisti a giustificare le loro posizioni differenziate o a cercare le vie dell’azione sui loro giornali, tentando soprattutto di dimostrare, ciascuno di loro, che Marx era dalla loro parte; ed erano anche taluni esponenti della borghesia, del clericalismo e del conservatorismo a gettare le passerelle della loro grande viltà ai trionfanti castelli socialcomunisti. Gli stessi governi che si succedevano al potere si mostravano remissivi e compiacenti di fronte a questo, in apparenza, potente antistato, che aveva creato una vera bardatura al paese.
Ore tristi per la nazione, che pareva già ai primi del 1919 dover soccombere sotto i colpi di grandi masse inconsapevoli, aizzate da capi accecati dall’odio e dal temporaneo successo. Il vecchio socialismo romantico nulla aveva da fare con questa idra dalle molte teste che, agitando il mito della dittatura del proletariato, aveva già incatenato i proletari ad una dittatura faziosa, inconcludente ed internazionalista. La nazione intera, vittoriosa in guerra e sui campi di battaglia, pagava un umiliante tributo di rinunce al tavolo della pace, anche per questa disastrosa e vergognosa situazione interna oltre che per l’insipienza ed il servilismo dei governanti.
Ma quando pareva che il successo fosse sicuro, la crisi era già aperta. L’aveva aperta lo stesso decomporsi del socialismo in gruppi, tendenze, partiti; l’aveva aperta la parte viva e consapevole della nazione vittoriosa che aveva resistito alla marea montante e, ove aveva potuto, reagito; ma, soprattutto, l’aveva aperta una nuova forza politica, sorta proprio per arginare la decadenza della nazione e salvare così il progetto di quella giustizia sociale che era stato alla base del sorgere del socialismo italiano.
Era stato proprio il Mussolini individuato da Sorel, il socialista ribelle del 1914, ad interpretare l’anima vera della nazione, opponendo alle forze disgregatrici e distruttive la serena visione di un’Italia degna della Vittoria. E’ l’azione politica e rivoluzionaria del fondatore dei Fasci che smantella uno ad uno i miti e i falsi idoli della teoria. Lotta di classe, miseria crescente, materialismo storico, stato amministrativo, dittatura del proletariato, tutte roccaforti delle teorie socialistiche e marxistiche, vengono smantellate in maniera risolutiva negli anni tragici della vigilia ed ancora in quelli immediatamente seguenti alla marcia su Roma, pur in una situazione politica e ambientale difficilissima, soprattutto per le condizioni economiche e sociali dell’Italia post bellica.
E’ questo un giudizio di parte ?
Può darsi, ed é per questo che chiedo il sostegno delle valutazioni sull’uomo Mussolini, sulla sua azione e sul suo progetto, di avversari autorevoli proprio sul piano ideologico-dottrinario Durante il suo esilio in Svizzera, il capo del bolscevismo, Nikolai Vladimir Illic Uljanov detto Lenin conobbe Mussolini, anch’egli esiliato. Dopo aver assistito ad una conferenza del socialista romagnolo, disse: ” Sono certo che per causa sua e delle idee che egli ha, il marxismo sarà un giorno non lontano battuto e definitivamente rovinato. ” Più tardi, dopo l’uscita di Mussolini dal Partito socialista, dirà ai socialisti italiani recatisi a Mosca (1919-20) : E Mussolini ? Perché lo avete perduto ? Male, molto male. E’ un peccato. Era un uomo deciso che vi avrebbe portato alla vittoria. ”
Lo stesso Trotski, braccio destro di Lenin nella rivoluzione russa, espresse identico concetto rivolto ai socialisti italiani: ” Avete perduto l’unica carta seria; l’unico uomo che avrebbe potuto fare la rivoluzione sul serio”. Il celebre romanziere russo, Massimo Gorky, ebbe ad affermare: ” Debbo riconoscere che Mussolini é un uomo di intelligenza e volontà superiori che ha contribuito grandemente alla ricostruzione dell’Italia dopo la guerra e che perseverò nel suo lavoro per la grandezza del suo Paese. E ciò é ammirevole. ”
Dopo appena mezzo secolo di vita il partito socialista, nelle sue varie articolazioni, tendenze e organizzazioni, perdeva la partita politica perché non aveva saputo comprendere ed interpretare la dinamica della realtà del momento e le esigenze della nazione, rimanendo vincolato a metodi di lotta, schemi teorici e postulati dottrinari d’importazione. In sostanza, perché il partito era invecchiato precocemente.
Quello che, viceversa, non muore, é l’essenza e l’anima del progetto socialista, che inizia il suo faticoso cammino proprio per volontà del socialista Mussolini, fondatore del Fascismo. Le critiche postume alla fase realizzativa di questo progetto sono note e, personalmente, le giudico superficiali ed ingenerose. Sicuramente qualche errore é stato commesso ed alcuni ritardi si sono verificati. Ma nella valutazione complessiva dell’azione di governo dobbiamo superare il vizio tutto italiano di non saper contestualizzare i fatti e gli avvenimenti.
In sintesi: Mussolini mobilita le camice nere, accelera la crisi dello Stato liberale, e quindi mette il re nella condizione di chiamarlo a formare il governo con atto costituzionale. Il movimento fascista é minoritario nel Parlamento, ma nonostante ciò il governo formato da Mussolini ottiene la fiducia. Sul piano istituzionale dobbiamo tenere presente che l’Italia era al tempo, una monarchia costituzionale democratico parlamentare retta dallo Statuto Albertino, Statuto che riservava al re alcune prerogative, tra le quali – non dimentichiamolo quando vengono valutati certi comportamenti durante la seconda guerra mondiale – la nomina del Capo di Stato Maggiore.
Da quel momento, quindi, si instaura una “diarchia” che – ovviamente, in alcune fasi – può creare dei limiti alla stessa azione di governo. Si poteva realisticamente, nel momento insurrezionale delle camice nere, travolgere anche la monarchia e instaurare la repubblica attraverso una guerra civile, fra l’altro dall’esito quasi sicuramente infausto per lo stesso movimento fascista ? La risposta é un no netto e categorico. Vittorio Emanuele III era il re vittorioso e Casa Savoia aveva un seguito anche popolare e anche in una parte del movimento. La stessa sinistra estrema poi, in nome dell’antifascismo, si sarebbe schierata a difesa della monarchia. Altro elemento da considerare il fatto che l’Italia, nell’ambito della burocrazia, sia civile che militare, era il paese più massonizzato del continente.
A documentare questa asserzione ci sono le statistiche settoriali degli apparati civili e militari. Mussolini, già da socialista, aveva sollevato il problema della massoneria e questo era stato anche uno dei motivi della sua espulsione dal partito. Quindi c’era da fronteggiare anche questa situazione non certamente favorevole. D’altra parte il movimento fascista non era nella condizione di sostituire, nel momento, tali apparati con elementi fidati anche perché, lo stesso movimento, non era immune da tale “infezione” e questo lo verificheremo successivamente nel momento in cui le sorti della guerra sono compromesse e l’azione eterodiretta dei “fratelli” innesca la crisi del regime. L’Italia é anche la sede papale, e Mussolini deve affrontare – da subito e attraverso una trattativa lunga e difficile soprattutto per quanto riguarda l’educazione giovanile – la cosiddetta questione romana che si trascina insoluta da anni, tenendo conto che l’apparato clericale ha molta influenza nella popolazione rurale ( che rappresenta la maggioranza della popolazione italiana in un paese prevalentemente agricolo ), e che lo stesso apparato gestisce larga parte dell’istruzione, in particolare quella superiore di eccellenza.
Altro elemento fortemente negativo l’alta percentuale di analfabeti con il fenomeno di un analfabetismo di ritorno a causa delle peggiorate condizioni socio-economiche dovute all’economia di guerra. Una massa incolta di contadini e di salariati non é “popolo ” consapevole dei propri doveri e dei propri diritti. In tale situazione é proponibile e realizzabile da subito, per esempio, la socializzazione delle imprese ?
Ma questa massa, purtroppo, non é soltanto incolta, é anche in situazione igienico-sanitaria disastrosa: Rachitismo, malaria, pellagra, tubercolosi sono vere e proprie piaghe sociali che stanno minando la sopravvivenza della stirpe italica. In breve sintesi, ho elencato problemi reali e urgenti perché sottovalutati, trascurati e fatti incancrenire e che, messi tutti insieme, avrebbero annientato e scoraggiato chiunque non fosse dotato di una volontà superiore.
Questa la situazione interna; vogliamo adesso prendere in esame la politica estera con tutte le questioni aperte e lasciate insolute o, peggio ancora, compromesse, dalla classe politica vile e rinunciataria dell’Italietta liberale ?
Questo il contesto in cui ha inizio l’attuazione graduale di un progetto autenticamente socialista e nazionale, in un Paese in cui lo Stato unitario é ancora in fase di faticosa, concreta realizzazione perfino da un punto di vista linguistico.
Vogliamo indicare, a grandi linee ed in estrema sintesi, alcune tappe fondamentali dell’attuazione del progetto ?
- Riforma della scuola
- Assicurazione invalidità e vecchiaia-
- Assicurazione contro la disoccupazione
- Assistenza ospedaliera ai non abbienti
- Tutela del lavoro minorile e delle donne
- Opera nazionale maternità e infanzia
- Assistenza illegittimi e abbandonati
- Assicurazione obbligatoria contro la TBC
- Esenzione tributaria per le famiglie numerose
- Assicurazione obbligatoria malattie professionali
- Opera nazionale Orfani di guerra
- Istituto nazionale infortuni sul lavoro
- Istituto nazionale per la previdenza sociale
- Riforma del sistema bancario per la tutela dei risparmiatori
- Settimana lavorativa di 40 ore
- Ente comunale di assistenza
- Assegni familiari
- Casse rurali ed artigiane
- Istituto nazionale assistenza malattia ai lavoratori
- Legge urbanistica – Legge di tutela dei beni artistici e culturali
- Riforma dei codici
- Socializzazione delle imprese
In contemporanea: opere pubbliche con costruzione di strade, autostrade, ferrovie, porti, ospedali e sanatori, scuole, palestre, campi sportivi, collegi di ogni ordine e specializzazione, creazione e fondazione di città, riforma agraria e lotta al latifondo, riforestazione del territorio e risanamento idrogeologico; in campo igienico-sanitario: medicina scolastica, colonie marine, montane, elioterapiche onde mettere il bambino e l’adolescente al centro di tutti i problemi che riguardano la tutela, da parte dello Stato, del benessere dei cittadini.
L’elenco potrebbe continuare a lungo e tutto questo in un breve periodo storico e senza dissestare il bilancio dello Stato. Anzi a questo proposito non possiamo dimenticare il miracolo economico-finanziario della Repubblica Sociale Italiana in cui, per la prima volta venne posto e risolto, proprio nel quadro più generale della socializzazione della economia nazionale, il problema della proprietà della moneta.
Infatti il Ministro delle Finanze, Domenico Pellegrini Giampietro, – come documentato anche recentemente dal dott. Antonio Pantano- costrinse la Banca Centrale italiana a mettere a disposizione dello Stato la liquidità monetaria, gestita per conto dello Stato ma ” dichiarata propria dalla Banca “, ponendo così in attivo il bilancio della R.S.I in anno di guerra e di inimmaginabili obbligazioni di spesa.
Oggi c’é qualche governante, di sinistra o di destra, socialista o liberale non ha importanza, disposto a risolvere il problema dell’enorme debito pubblico che grava come una spada di Damocle sui cittadini italiani, con il metodo messo in atto dal Ministro delle Finanze della R.S.I ?
Chi é disposto a sfidare il potere usuraio della Banca d’Italia e, ancor più, della Banca Centrale Europea e di tutte le Banche centrali ?
E’ una sfida quella della sovranità monetaria che noi noi Socialisti Nazionali, quale continuità ideale dei postulati della Repubblica Sociale Italiana, dobbiamo porre alla base di un programma autenticamente socialista e quale elemento fondamentale per la riconquista della sovranità nazionale. Socialismo, quindi, anche perché il contenuto concettuale e dottrinario di tale termine ci appartiene storicamente e dobbiamo sentire l’orgoglio di rivendicarlo perché concretamente sperimentato e realizzato, ancorché non compiutamente, a causa dell’esito infausto del 2° conflitto mondiale, di quello scontro titanico che ha visto contro di noi quattro continenti e mezzo e che dovrà passare alla Storia come la “guerra del sangue contro l’oro : ” La socializzazione altro non é se non la realizzazione italiana, umana, nostra, effettuabile del socialismo; dico nostra in quanto fa del lavoro il soggetto unico dell’economia ma respinge le meccaniche livellazioni di tutto e di tutti, livellazioni inesistenti nella natura ed impossibili nella storia…”.

Majorana
26-07-10, 22:53
MANIFESTO CULTURALE DEL SOCIALISMO NAZIONALE

1) Sia convocata la Costituente, potere sovrano di origine popolare, che riconfermi la forma repubblicana dello Stato e l’unità indivisibile della Nazione; la Costituente sia composta dai rappresentanti di tutte le associazioni politiche, sindacali e professionali nonché da quelle della Magistratura, delle Università, degli italiani all’estero e di ogni altro corpo o istituto la cui partecipazione contribuisca a fare della Costituente la sintesi di tutti i valori della Nazione. La Costituzione repubblicana dovrà assicurare al cittadino – lavoratore e contribuente – il diritto di controllo e di responsabile critica sugli atti di Governo e della pubblica amministrazione. Ogni cinque anni il cittadino sarà chiamato a pronunziarsi sulla nomina del Capo della Repubblica. Nessun cittadino, arrestato in flagrante o fermato per misure preventive, potrà essere trattenuto oltre le 24 ore senza un ordine dell’Autorità giudiziaria. Tranne il caso di flagranza, anche per le perquisizioni domiciliari e personali occorrerà un ordine dell’autorità giudiziaria. Nell’esercizio delle sue funzioni la magistratura agirà con piena indipendenza.

2) Sia previsto un sistema elettorale di tipo proporzionale, che preveda l’elezione popolare della rappresentanza politica al Senato e quella della rappresentanza organica degli interessi e delle esigenze dei produttori alla Camera; nomina dei Ministri da parte del Capo della Repubblica. La Repubblica riconosce e promuove le autonomie locali quali entità territoriali intermedie e le assume come valore sia contro il mondo dell’appiattimento e della massificazione consumistica al servizio del mondialismo economico, sia con la vocazione a riaffermare il principio corporativo che si esprime nel riconoscimento delle realtà sociali esistenti e nel principio dell’autodisciplina; attua, nei servizi che dipendono dallo Stato, il più ampio decentramento amministrativo.

3) Base della Repubblica e suo oggetto primario é il lavoro manuale, tecnico, intellettuale, in ogni sua manifestazione ed espressione e inteso quale diritto-dovere del cittadino al quale, come concreto riconoscimento di sovranità, deve essere attribuita la proprietà effettiva della moneta della quale dovrà beneficiare direttamente mediante un codice dei redditi sociali; la proprietà privata, frutto del lavoro e del risparmio individuale, integrazione della personalità umana, é garantita dallo Stato. Essa non deve però diventare disintegratrice della personalità fisica e morale di altri uomini, attraverso l’usura o lo sfruttamento del loro lavoro.

4) Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati da Patti accettati dalle due parti. Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge. I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze.

5) Nell’economia nazionale tutto ciò che per dimensione o funzioni esce dall’interesse singolo per entrare nell’interesse collettivo, appartiene alla sfera d’azione che é propria dello Stato; in ogni azienda le rappresentanze dei tecnici e degli operai coopereranno attivamente – attraverso una conoscenza diretta della gestione – all’equa fissazione dei salari, nonché all’equa ripartizione degli utili tra il fondo di riserva, il frutto al capitale azionario e la partecipazione agli utili stessi per parte dei lavoratori. In alcune imprese ciò potrà avvenire trasformando i Consigli di fabbrica e i Consigli di amministrazione in Consigli di Gestione con la partecipazione di tecnici ed operai. In altre ancora in forma di cooperativa. Si realizza così la socializzazione delle imprese, per poter poi socializzare l’intera economia e, quindi, socializzare lo Stato, che é la formula che si pone in netta antitesi alla attuale burocratizzazione centralista della macchina statuale in tutte le sue strutture e diramazioni. Nell’agricoltura, l’iniziativa privata trova il suo limite là dove l’iniziativa stessa viene a mancare. L’esproprio delle terre incolte e delle aziende mal gestite può portare alla lottizzazione fra braccianti da trasformare in coltivatori diretti , o alla costituzione di aziende cooperative. E’ pienamente riconosciuto ai coltivatori diretti, agli artigiani, ai professionisti, agli artisti il diritto di esplicare le proprie attività produttive e professionali individualmente, per famiglie o per nuclei associati, nell’ambito delle leggi che regoleranno queste attività.

6) Quello della casa non é soltanto un diritto di proprietà, ma deve essere riconosciuto soprattutto come un diritto alla proprietà. Lo Stato repubblicano iscrive nel suo programma la creazione di un Ente Nazionale che provveda a fornire in proprietà la casa alle famiglie dei lavoratori di ogni categoria mediante diretta costruzione di nuove abitazioni o graduale riscatto di quelle esistenti. In proposito viene riaffermato il principio più generale che l’affitto, una volta rimborsato il capitale pagato nel giusto frutto, costituisce titolo di acquisto.

7) La scuola di ogni ordine e grado, dalla materna all’università, deve tornare ad essere la struttura portante della società nazionale proiettata verso il terzo millennio in una prospettiva europea e pertanto essa, nei contenuti e negli ordinamenti, dovrà risultare funzionale ad un disegno politico che si deve realizzare attraverso una istituzione educativa che stimoli e favorisca la partecipazione attiva e propositiva di tutte le componenti scolastiche e delle categorie professionali interessate, secondo ruoli e funzioni ben definite.

8) La Repubblica dovrà promuovere e garantire, anche attraverso un adeguato sostegno economico, lo sviluppo della cultura e della ricerca scientifica e tecnologica nonché la tutela del paesaggio, dell’ambiente e del patrimonio storico e artistico della Nazione.

9) La tutela della salute dei cittadini dovrà essere compito primario dello Stato e delle strutture a questo compito demandate. Gli immigrati – il cui numero dovrà essere rigidamente programmato anche allo scopo di garantire loro adeguata protezione sociale e condizioni dignitose di vita – al momento della concessione del visto di ingresso, dovranno essere sottoposti a visita medica per accertarne lo stato di salute, onde evitare che siano portatori delle malattie endemiche tipiche dei loro paesi d’origine.

10) Fine essenziale della politica estera della Repubblica dovrà essere l’unità, l’indipendenza, l’integrità territoriale della Patria nei termini marittimi ed alpini segnati dalla natura, dal sacrificio di sangue e dalla Storia. Tale politica si adopererà inoltre per la concreta realizzazione di una Comunità europea con la federazione di tutte le nazioni che accettino i seguenti principi fondamentali:

a) rifiuto della subordinazione della grande cultura europea alle subculture disumanizzanti: utilitarismo; economicismo; materialismo positivistico; materialismo dialettico; plutocratismo; clericalismo.

b) ripudio della politica e della logica del mondialismo;

c) rivendicazione dell’autonomia politica e militare dell’Europa come nazione cosciente della sua missione storica. Con questo preambolo alla nuova Costituzione repubblicana si intende porre le basi per la creazione dello Stato nazionale del lavoro, sia come integrazione nelle istituzioni delle specifiche competenze tecnico-artistico-professionali, sia come riconoscimento del valore dell’umanesimo del lavoro, della scienza, della tecnica e della cultura.

Majorana
26-07-10, 22:55
TAVOLA DEI VALORI DEL CENTRO STUDI SOCIALISMO NAZIONALE

1) Lottiamo per la realizzazione di una Repubblica presidenziale a democrazia partecipativa.

2) Sosteniamo l’autonomia delle entità territoriali intermedie e la rappresentanza organica delle realtà sociali nei centri decisionali.

3) Difendiamo il Lavoro quale diritto/dovere e propugniamo che abbia proprietà effettiva sulla moneta.

4) Rifiutiamo ogni confessionalismo nella sfera politica; lo Stato é laico e ogni religione é egualmente libera davanti alla legge. I rapporti tra Stato e religioni devono essere regolamentati da appositi patti.

5) Operiamo perché la gestione sia interamente statale nell’industria strategica nazionale e auspichiamo la concomitante gestione socializzata nelle imprese pubbliche e private. I beni primari, come l’acqua e l’energia, devono essere gestiti da enti pubblici che si avvalgano del bilancio partecipativo.

6) Crediamo al diritto alla proprietà della casa di abitazione e che sia diritto di tutti poter usufruire di mutuo sociale per accedere a questa primaria necessità per ogni cittadino.

7) Intendiamo la Scuola come istituzione educativa nazionale a partire da quella materna fino alle istituzioni universitarie.

8) Siamo per la salvaguardia e il sostegno dello Stato: della Cultura, della ricerca scientifica e tecnologica, della tutela del paesaggio, dell’ambiente e del patrimonio storico ed artistico.

9) Difendiamo il diritto alla salute senza oneri a carico del cittadino contribuente. Indichiamo la necessità di una rigida programmazione del fabbisogno di mano d’opera straniera utilizzando lo strumento dei visti d’ingresso con preventiva visita medico-ispettiva.

10) Concepiamo la Comunità europea come federazione di tutte le nazioni euroasiatiche che rifiutino la subcultura dell’ economicismo e dello sfruttamento, per esso, dell’Uomo; ripudino la politica e la logica del mondialismo; e dunque – viceversa – desiderino rivendicare l’autonomia politica e militare dell’Europa.

Gianky
27-07-10, 08:43
Il Centro Studi Socialismo Nazionale è una realtà interessantissima. Una domanda politica terra terra: mi sembrava che dal CSSN avesse avuto vita il MdAP (Movimento di azione popolare) che si presentava, diciamo, come l'espressione politica del Centro studi. E' così? Il MdAP è ancora attivo? Rappresenta sempre l'azione "partitica" del CSSN?

E ancora: mi sembra di aver capito che Paolo Signorelli, uno dei fondatori del CSSN non è più della partita. Sbaglio?

Etrvsco
27-07-10, 10:18
Il connubio con il Mdap si è sciolto da diverso tempo per motivi puramente politici in quanto il MDAP ha un suo modo di concepire il Fascismo in maniera "spezzatina" ossia preferendo esclusivamente quello del 1919-1921 e quello della repubblica sociale (assolutamente meritorio), dimenticandosi i 20 anni passati nel mezzo e dimenticandosi tutto quello che è stato il Ventennio nella sua interezza, mischiando a freddo il Fascismo con altre ideologie.
Bisogna guardarsi anche intorno ma senza particolari "mischling" forzati,
ma con il rispetto delle proprie posizioni in cammini comuni e modernamente rivoluzionari.
Ma non è in questa sede che vogliamo parlare di altri che non sono presenti. Semplicemente ognuno va per la sua strada e noi consideriamo che la strada giusta sia la nostra.

Peraltro la struttura del CSSN che si sta formando sul territorio è molto interessante.

STRUTTURA | CENTRO STUDI SOCIALISMO NAZIONALE (http://socialismonazionale.wordpress.com/struttura/)

Per quanto riguarda Paolo Signorelli è ASSOLUTAMENTE DELLA PARTITA a fianco del CSSN e di altre realtà nuove all'interno di una Confederatio che pian piano presenteremo.
E' presente, ora come non mai, con varie iniziative e laboratori politici

Presiede l'associazione Giustizia Giusta

Giustizia Giusta N.3 Anno 2010 | CENTRO STUDI SOCIALISMO NAZIONALE (http://socialismonazionale.wordpress.com/2010/07/01/giustizia-giusta-n-3-anno-2010/)

Nel prossimo bollettino Gerarchia troverete numerosi suoi interventi

G E R A R C H I A (http://gerarchia.wordpress.com/)

saluti per ora
e grazie per l'interesse.

Majorana
01-08-10, 12:23
Comunicato Stampa del 31.07.2010

Il Centro Studi Socialismo Nazionale come è evidente segue oltre che la meta politica anche il susseguirsi degli eventi dell’attuale partitocrazia e ritiene di verificare nello scontro in atto tra Fini e Berlusconi semplicemente un riassestamento di alcuni assetti determinati dalle logge di diverso “rito” che non produrranno altro che l’ennesimo rimescolamento delle carte più utile al mantenimento delle prerogative in uso nella casta al servizio degli interessi anti-nazionali piuttosto che ad un beneficio di chiarezza ad uso del nostro Popolo che continuerà a soffrire socialmente, economicamente ed eticamente il suo status di colonia.

Perciò denunciamo realisticamente che ogni futura presa di posizione a favore dell’uno o dell’altro soggetto da parte di formazioni della cosiddetta “destra” (con tutti gli affissi che vorranno adoperare) non saranno altro che gli ultimi sussulti di meschineria e incapacità culturale e politica ad ergersi antagonisticamente per una prospettiva di reale alternativa fuori dalla palude di merda che sta investendo l’istituzione repubblicana antifascista nel suo insieme considerato che l’opposione della cosiddetta “sinistra” è da sempre etero diretta da centrali estere (ieri sovietiche, oggi atlantiche).

Non reputiamo nemmeno interessante l’idea che viene dai nazionalpopolari di considerare l’eventualità di prossime elezioni anticipate come foriere di possibile unità d’intenti con chi – pur coerentemente postosi finalmente in una chiarezza di linea “terza” rispetto a destra e sinistra – intende rimarcare ancora una sua “unicità” di ruolo che di fatto non ha mai realmente concretizzato sul piano strettamente numerico oltre che di metodo.

Pertanto il Centro Studi Socialismo Nazionale prosegue nell’intento di continuare il percorso della “confederatio” con altri soggetti idealmente proiettati sulla medesima LINEA RETTA di contrapposizione antiparlamentare – senza “se” e senza “ ma” – contro l’attuale partitocrazia “costituzionale” fino a quando non vi saranno condizioni adatte ad un cambiamento epocale del modello di sviluppo etico, culturale e politico promosso da tutte le reali forze antagoniste non più prigioniere di “antifascismo” ed “anticomunismo” ma unite nel principio sacrale della Liberazione Nazionale.

Maurizio Canosci

Portavoce nazionale C.S.S.N.

Il comunicato stampa viene immesso anche come post nel nostro blog di riferimento per dare la possibilità a chi lo volesse di commentarlo liberamente “senza filtri”.

stanis ruinas
16-11-10, 13:16
Ottimo!

Portiamo avanti le istanze socialiste e nazionali: è necessario ridare dignità a questa nazione.

http://socialismonazionale.files.wordpress.com/2010/06/cerco-lavoro.jpg?w=284&h=385

Avanguardia
03-11-13, 17:10
C'è anche quest' altra. Precisando al nuovo arrivato Eriol che noi come forum Socialismo Nazionale non siamo megafono di nessun partito o movimento. Io personalmente non milito in alcuna associazione.

RibelleInEsilio
03-11-13, 17:40
Nemmeno io milito in nessun partito-movimento, perché nessuno segue una linea non tanto programmatica quanto prettamente politica che possa rappresentarmi.

E' bene sottolineare come ha fatto Avanguardia che il Forum Socialismo Nazionale è cosa diversa e indipendente rispetto alla formazione politica Socialismo Nazionale, che, correggetemi se sbaglio, da Centro Studi è diventata movimento politico con il nome di Unione per il Socialismo Nazionale.

Eriol
03-11-13, 19:21
Buono a sapersi, dallo scambio di mp con Caligola mi pareva d'aver capito il contrario.
Una domanda mi sorge spontanea: perché non militate in USN? cosa non vi convince? e quali sono realtà Socialiste Nazionali in Italia?
So che non siete culo e camicia con quelli di Destra Radicale ( e meno male!), però ho notato che vi rifate -SOLO ECONOMICAMENTE PARLANDO- al Nazionalsocialismo...ecco, io mi trovo sostanzialmente concorde con Ruinas : Hitler è stato il miglior agente segreto che il capitalismo internazionale abbia mai avuto, il vero responsabile della scomparsa del fascismo

Avanguardia
03-11-13, 20:03
Specificando che questo forum non è un associazione, quindi ognuno per non fare militanza ha le sue motivazioni personali.
Parlando per me, il raggruppamento più vicino dell' USN è troppo distante da dove abito, con in più curve e deviazioni lungo la strada. Altrimenti ci avrei fatto un salto, ne escludo che un giorno lo faccia. Comunque, nei miei orizzonti la militanza non c'è più, perché a 34 anni ho capito che nell' Italia del 2013 è totalmente inutile e fai sempre la figura del fesso, sopratutto bisogna lasciare andare avanti le cose, come dice Massimo Fini, fino alla loro naturale conclusione, per esempio, il modello di sviluppo capitalista ha reso fragile il terreno su cui l' umanità poggia, alterando velocemente il peso delle placche tettoniche, che sono le porzioni in cui è divisa la crosta terrestre. Mancherebbe non molto tempo allo sfracello e questo avverrà indipendentemente da noi, qualunque cosa faremo. Cosa noi dobbiamo fare è la testimonianza storica e culturale.

Quanto alla tua considerazione del Terzo Reich come responsabile della fine del fascismo, non so cosa tu intendi. Se ti riferisci al fatto che i soldati tedeschi furono di ostacolo alla socializzazione durante gli anni della RSI, è che trovandosi in guerra avevano bisogno del sistema paese completamente funzionante per cui rivolgimenti rivoluzionari erano visti come un intrico. Anche nelle zone dell' est europeo furono riluttanti ad appoggiare direttamente i movimenti fascisti e nazionalsocialisti per motivi analoghi. Gli appoggiavano definitivamente solo quando gli altri, più legati al vecchio sistema, si dimostravano inefficienti e ambigui.
Comunque, c'è tutto quel contenitore di discussioni a tematica storica e quello che consiglia libri, per approfondire l' argomento del nazionalsocialismo tedesco.

RibelleInEsilio
03-11-13, 20:51
Io non milito nell'USN perché, nonostante mi senta abbastanza vicino al movimento con il quale ho avuto anche scambi di opinioni e collaborazione e del quale mi sento amico (forse più degli altri), c'è un punto di divergenza fondamentale.

L'USN promuove l'astensionismo. A mio avviso l'astensionismo non è peccato mortale, anzi, secondo me è una scelta che viene spontanea quando ci si ritrova davanti al pattume parlamentare. Infatti io alle scorse elezioni ho annullato il voto. Ma se da una parte l'astensionismo diventa unica fuga, io quello dipinto di "lotta politica" davvero non lo capisco. Se la soluzione non è il voto può esserlo il non voto, che è praticamente l'annullamento della propria figura davanti allo Stato? Vale a dire, non essere sconfitti da qualcosa equivale davvero al non ingaggiare la lotta? Nello specifico dico che, se da un punto di vista elettorale nazionale il non essere presenti alle urne diventa quasi moralmente obbligatorio non ci trovo nulla di male, invece, nel potersi organizzare sul territorio e rivolgersi ai piccoli nuclei elettorali circoscritti.

Astensionismo è passività quando non è contrapposto da azione concreta, anche se nel piccolo. Mi sembra davvero un volersi scrollare di dosso ogni responsabilità tramite l'astensionismo ad oltranza, in più questo non consentirà mai di misurare la propria forza politica.

Un movimento è vero, può fare politica senza elezioni, ma non ha senso indicare l'astensionismo come "lotta" politica e definirlo come prassi attiva quando invece non è di certo l'astensionismo che delegittima il potere. Chi crede che la rivoluzione nel 2013 nasca con forconi e fucili, in Italia, sogna e s'illude. Non siamo più a metà '900. Questo non significa vendere il culo, ma non significa nemmeno fare politica con il nulla, perché l'astensionismo è nullità davanti al potere.

Adriano
03-11-13, 20:56
A mio avviso l'astensionismo non è peccato mortale, anzi, secondo me è una scelta che viene spontanea quando ci si ritrova davanti al pattume parlamentare. Infatti io alle scorse elezioni ho annullato il voto.

la dimostrazione che sei un PALLONARO :ghigno:
mi hai fatto una testa così per mesi dicendomi che quelli di SN sbagliano, che bisogna votare, che qua che là, bla bla bla..
poi ti chiedo "che hai votato?"
"ho annullato il voto"
ma va in mona dai :facepalmi:

Eriol
03-11-13, 21:34
Specificando che questo forum non è un associazione, quindi ognuno per non fare militanza ha le sue motivazioni personali.
Parlando per me, il raggruppamento più vicino dell' USN è troppo distante da dove abito, con in più curve e deviazioni lungo la strada. Altrimenti ci avrei fatto un salto, ne escludo che un giorno lo faccia. Comunque, nei miei orizzonti la militanza non c'è più, perché a 34 anni ho capito che nell' Italia del 2013 è totalmente inutile e fai sempre la figura del fesso, sopratutto bisogna lasciare andare avanti le cose, come dice Massimo Fini, fino alla loro naturale conclusione, per esempio, il modello di sviluppo capitalista ha reso fragile il terreno su cui l' umanità poggia, alterando velocemente il peso delle placche tettoniche, che sono le porzioni in cui è divisa la crosta terrestre. Mancherebbe non molto tempo allo sfracello e questo avverrà indipendentemente da noi, qualunque cosa faremo. Cosa noi dobbiamo fare è la testimonianza storica e culturale.

Quanto alla tua considerazione del Terzo Reich come responsabile della fine del fascismo, non so cosa tu intendi. Se ti riferisci al fatto che i soldati tedeschi furono di ostacolo alla socializzazione durante gli anni della RSI, è che trovandosi in guerra avevano bisogno del sistema paese completamente funzionante per cui rivolgimenti rivoluzionari erano visti come un intrico. Anche nelle zone dell' est europeo furono riluttanti ad appoggiare direttamente i movimenti fascisti e nazionalsocialisti per motivi analoghi. Gli appoggiavano definitivamente solo quando gli altri, più legati al vecchio sistema, si dimostravano inefficienti e ambigui.
Comunque, c'è tutto quel contenitore di discussioni a tematica storica e quello che consiglia libri, per approfondire l' argomento del nazionalsocialismo tedesco.

Ipotizzavo che la non militanza all'USN fosse dovuta a diverse vedute ideologiche, per questo ho domandato.
Non sono propriamente d'accordo con il tuo ragionamento pseudo-catastrofista e pseudo-marxista. Scrivo pseudo-marxista perché anche Marx pensava che il capitalismo fosse destinato all'autoestinzione. Niente di più falso, e l'andamento della storia del 900' lo ha dimostrato.
Io credo semmai che il capitalismo per natura conosca momenti di bassa marea e di alta marea, l'uno determina l'altro conseguenzialmente.
Ed a pagarne lo "scotto" che permette questa flessibilità (e quindi la sempre rinnovata vitalità) del sistema sono sempre i soliti sfigati del ceto medio-basso.
Parlando di Nazionalsocialismo:
La considerazione che faccio mia in merito al nazionalsocialismo non è mia ma di Ruinas, ed è una considerazione che abbraccia i connotati della politica Hitleriana a tutto campo: dalla notte dei lunghi coltelli in poi il NS perde la matrice socialista-rivoluzionaria e si sposta decisamente a destra, in seguito Il razzismo da propaganda diventa obbiettivo mentre il socialismo diventa da obbiettivo a propaganda. Ed ecco che per seguire i suoi "ideali ariani" Hitler cade nella trappola tesagli delle potenze capitaliste e si suicida contro l'Urss, trascinandosi dietro pure l'Italia, l'invalida "alleata" . E Bye Bye Fascismo.
Il NS fu un mancato appuntamento con la storia.

Eriol
03-11-13, 22:01
Io non milito nell'USN perché, nonostante mi senta abbastanza vicino al movimento con il quale ho avuto anche scambi di opinioni e collaborazione e del quale mi sento amico (forse più degli altri), c'è un punto di divergenza fondamentale.

L'USN promuove l'astensionismo. A mio avviso l'astensionismo non è peccato mortale, anzi, secondo me è una scelta che viene spontanea quando ci si ritrova davanti al pattume parlamentare. Infatti io alle scorse elezioni ho annullato il voto. Ma se da una parte l'astensionismo diventa unica fuga, io quello dipinto di "lotta politica" davvero non lo capisco. Se la soluzione non è il voto può esserlo il non voto, che è praticamente l'annullamento della propria figura davanti allo Stato? Vale a dire, non essere sconfitti da qualcosa equivale davvero al non ingaggiare la lotta? Nello specifico dico che, se da un punto di vista elettorale nazionale il non essere presenti alle urne diventa quasi moralmente obbligatorio non ci trovo nulla di male, invece, nel potersi organizzare sul territorio e rivolgersi ai piccoli nuclei elettorali circoscritti.

Astensionismo è passività quando non è contrapposto da azione concreta, anche se nel piccolo. Mi sembra davvero un volersi scrollare di dosso ogni responsabilità tramite l'astensionismo ad oltranza, in più questo non consentirà mai di misurare la propria forza politica.

Un movimento è vero, può fare politica senza elezioni, ma non ha senso indicare l'astensionismo come "lotta" politica e definirlo come prassi attiva quando invece non è di certo l'astensionismo che delegittima il potere. Chi crede che la rivoluzione nel 2013 nasca con forconi e fucili, in Italia, sogna e s'illude. Non siamo più a metà '900. Questo non significa vendere il culo, ma non significa nemmeno fare politica con il nulla, perché l'astensionismo è nullità davanti al potere.

Cosa vuoi dire più precisamente con quella frase che ho sottolineato?
Grazie.

"Chi crede che la rivoluzione nel 2013 nasca con forconi e fucili, in Italia, sogna e s'illude"
Hai perfettamente ragione su questo punto.

"non è di certo l'astensionismo che delegittima il potere."
Qui invece non sono proprio d'accordo, perché i vari partitucoli merdaliani si dipingono ancora ( per forza! merdalia si basa sulla "democrazia") come sani baluardi di "democrazia", ed il "fascismo" con la f minuscola, fa ancora paura alla gente. Se invece di adottare il metodo del voto alla meno peggio gli italiani cominciassero a fare assenteismo di massa non solo il sistema scricchiolerebbe pesantemente, ma il sottobosco politico (di cui fa parte USN e co) ne gioverebbe e non di poco.

RibelleInEsilio
03-11-13, 22:04
la dimostrazione che sei un PALLONARO :ghigno:
mi hai fatto una testa così per mesi dicendomi che quelli di SN sbagliano, che bisogna votare, che qua che là, bla bla bla..
poi ti chiedo "che hai votato?"
"ho annullato il voto"
ma va in mona dai :facepalmi:

No, non ho mai detto che bisogna votare in ogni caso, anzi. Ho detto che l'atteggiamento dell'USN non riesco a comprenderlo per le motivazioni sopracitate. Io avrei votato M5S, per dare peso praticamente a un partito-protesta o a Casapound, che ha un buon programma e che potrebbe rafforzarsi in questa fase politica.

Il fatto che io non abbia votato significa che ancora non mi ritengo soddisfatto di chi si presenta, ma non che non voterei mai. La differenza sostanziale è tra l'astensione momentanea-transizionale e quella a oltranza. L'astensionismo come pratica significa che in ogni caso esprimere una preferenza su carta non ha valore. Il che a mio avviso può essere anche vero, ma se vogliamo essere pratici e soprattutto realisti stiamo pretendendo che dall'oggi al domani cambi legge elettorale, cambi Parlamento, venga abolito il Senato, e che l'Italia diventi Repubblica Sociale in un paio di giorni: leggasi "utopia".

E ripeto, non trovo nulla di sbagliato nel presentarsi con una lista in piccole circoscrizioni. E' ovvio che davanti a questa situazione la scelta personale è di non votare o annullare il voto, ma portare l'astensionismo come bandiera a mio parere davvero non ha senso.

Il popolo che lotta al posto di votare non s'è visto nemmeno con la Rivoluzione Fascista, ribadisco quanto detto riguardo al fatto che chi crede che si arrivi davvero a sommosse popolari a mo' presa della Bastiglia è un illuso, ma illuso forte.

Pallonaro è chi vuole dipingere il fare nulla al posto di segnare una croce (e viceversa) come azione rivoluzionaria, perché non lo è.

Avanguardia
03-11-13, 22:42
Ipotizzavo che la non militanza all'USN fosse dovuta a diverse vedute ideologiche, per questo ho domandato.
Non sono propriamente d'accordo con il tuo ragionamento pseudo-catastrofista e pseudo-marxista. Scrivo pseudo-marxista perché anche Marx pensava che il capitalismo fosse destinato all'autoestinzione. Niente di più falso, e l'andamento della storia del 900' lo ha dimostrato.
Io credo semmai che il capitalismo per natura conosca momenti di bassa marea e di alta marea, l'uno determina l'altro conseguenzialmente.
Ed a pagarne lo "scotto" che permette questa flessibilità (e quindi la sempre rinnovata vitalità) del sistema sono sempre i soliti sfigati del ceto medio-basso.
Parlando di Nazionalsocialismo:
La considerazione che faccio mia in merito al nazionalsocialismo non è mia ma di Ruinas, ed è una considerazione che abbraccia i connotati della politica Hitleriana a tutto campo: dalla notte dei lunghi coltelli in poi il NS perde la matrice socialista-rivoluzionaria e si sposta decisamente a destra, in seguito Il razzismo da propaganda diventa obbiettivo mentre il socialismo diventa da obbiettivo a propaganda. Ed ecco che per seguire i suoi "ideali ariani" Hitler cade nella trappola tesagli delle potenze capitaliste e si suicida contro l'Urss, trascinandosi dietro pure l'Italia, l'invalida "alleata" . E Bye Bye Fascismo.
Il NS fu un mancato appuntamento con la storia.
Ogni sistema umano ha un inizio e una fine. Premessa banale ma doverosa. Il capitalismo oggi sta incontrando i problemi della finitezza delle risorse e dell' impatto ambientale sull' ecosistema. Senza risorse e con un pianeta che diventa instabile sismicamente e climaticamente il capitalismo come l' abbiamo conosciuto noi non può esistere. Più realistica invece la riconfigurazione delle oligarchie, l' adattamento di esse alla nuova situazione che permetterà loro, spero di no, di conservare il potere: così il capitalismo di cui detenevano le leve diventerà un neo-feudalesimo.

Durante la Notte dei Lunghi Coltelli furono colpite non solo le SA e gli strasseriani, i quali impensierivano l' esercito al punto da metterli in testa aspirazioni golpiste, ma pure la destra conservatrice e il mondo cattolico. Non ci fu un abbandono della rivoluzione, ma un contemporaneo compromesso con il capitale industriale di cui si volle la collaborazione per risolvere 2 urgenze pressanti: la disoccupazione e il riarmo della Germania. Appena si risolvettero questi 2 problemi si affrontarono le situazioni sempre in una direzione dirigista-statalista riducendo via via le prerogative della proprietà privata, fino alla guerra mondiale quando si accelerò verso una trasformazione comunistica. Circa l' operazione Barbarossa, non è che fu condotta al di là della propaganda, per chissà quale odio anti-bolscevico o anti-slavo, ma perché l' alleato russo diventava sempre più esigente e infido.
Non è che Mussolini quando prese il potere partì in quarta con la rivoluzione socialista, ma procedette per gradi, con gravosi compromessi che furono forse una delle cause principali della difficoltà a fascistizzare l' Italia.

Majorana
03-11-13, 22:56
Buono a sapersi, dallo scambio di mp con Caligola mi pareva d'aver capito il contrario.
Una domanda mi sorge spontanea: perché non militate in USN? cosa non vi convince? e quali sono realtà Socialiste Nazionali in Italia?
So che non siete culo e camicia con quelli di Destra Radicale ( e meno male!), però ho notato che vi rifate -SOLO ECONOMICAMENTE PARLANDO- al Nazionalsocialismo...ecco, io mi trovo sostanzialmente concorde con Ruinas : Hitler è stato il miglior agente segreto che il capitalismo internazionale abbia mai avuto, il vero responsabile della scomparsa del fascismo


Ti consiglio caldamente di guardare questi video di Pucciarelli (magari di acquistare i libri che propone):

http://forum.termometropolitico.it/movimenti-e-cultura-politica/socialismo-nazionale/157924-video-e-scritti-di-gianpaolo-pucciarelli.html

Gianky
04-11-13, 10:09
Riguardo al USN personalmente non mi soddisfa, sono più portato verso il socialismo patriottico e sovranista di estrazione "para-bolscevica" (di "sinistra" se vogliamo usare questo orrendo e assai poco appropriato termine) e non di estrazione fascista (di "destra", sempre se vogliamo usare questo altrettanto orrendo ed altrettanto poco appropriato termine), l'USN ed il Centro studi SN ha chiaramente i connotati di questa ultima provenienza. Sinceramente è altro il socialismo nazionale a cui io mi riferisco, chiaramente, però, il confronto e l'interesse verso il CSSN e verso l'USN è d'obbligo.

RibelleInEsilio
04-11-13, 15:07
Cosa vuoi dire più precisamente con quella frase che ho sottolineato?
Grazie.

Intendo dire che non ci vedo nulla di male nel presentare il proprio simbolo su piccole porzioni territoriali.

La questione è una: essere un movimento politico non coincide con l'agire. Mi spiego meglio: un movimento, come l'USN, ha molte idee e molti propositi chiari e dei punti fissi su cui basarsi. Benissimo, è già tanto. Ma dal momento che scegli di non partecipare alla vita politica del paese (questo è l'astensione) non hai la possibilità di agire politicamente. Cosa significa agire politicamente? Significa scrivere sulla realtà ciò che è sui tuoi programmi. Come puoi farlo senza avere un minimo di presenza fisica? Come puoi parlare di concetti netti e radicali come socializzazione, corporativismo e quant'altro senza avere il benché minimo peso politico?

Io tendo ad essere una persona concreta, perché la concretezza è propria del fascista: se Benito Mussolini non avesse creato terreno fertile in campo istituzionale per la Rivoluzione chi se li sarebbero cagati, scusa la volgarità, i Fasci? Se Mussolini non avesse prima messo in gioco l'astuzia avrebbe avuto modo di rendere il PNF tale? Possiamo definire S.E Benito Mussolini un venduto perché si presentò in coalizione contro la barbarie marxista pronta a vendere l'Italia a Mosca?

Il Fascismo fu starnazzare alla Grillo o fu pensiero coniugato ad azione politica?

Il sistema partitocratico non funziona. Bene. Aspettiamo davvero che arrivi il Messia o che risorga il Duce d'Italia per riprendere le armi? O pensiamo ad organizzarci in senso strutturale? E' una scelta. C'è chi come Avanguardia dice: "No, il mio percorso politico mi ha portato a perdere completamente la speranza. Pensiamo a noi, salviamo il salvabile, per il resto è una battaglia contro i mulini a vento. Astensione." Rispettabilissima opinione che deriva dal proprio vissuto e dal proprio modo di vedere le cose. Ma c'è un ramo più aperto e possibilista o meglio oltranzista, il mio, che crede invece che sia ancora possibile tentare di radicarci sul territorio. Non significa fare accordi con gli altri partiti o fare campagne elettorali: significa pensare in piccolo, agire in piccolo, laddove ciò che è Stato è piccolo, circoscritto, alla portata. Sia chiaro, io non dispenso verità, il mio è solo un modo di vedere.


Qui invece non sono proprio d'accordo, perché i vari partitucoli merdaliani si dipingono ancora ( per forza! merdalia si basa sulla "democrazia") come sani baluardi di "democrazia", ed il "fascismo" con la f minuscola, fa ancora paura alla gente. Se invece di adottare il metodo del voto alla meno peggio gli italiani cominciassero a fare assenteismo di massa non solo il sistema scricchiolerebbe pesantemente, ma il sottobosco politico (di cui fa parte USN e co) ne gioverebbe e non di poco.

Potrebbe essere come dici tu. Potrebbe. Sta di fatto che negli USA l'astensionismo arriva al 60%, in alcune zone addirittura oltre. Ti sembra il sistema americano delegittimato da ciò?

Gente viviamo nel 2013, nella Repubblica Italiana, nell'Unione Europea. Pensare che nel mondo di Windows 8, degli smartphone e del consumismo sfrenato e dell'imbecillità diffusa si arrivi a rivolte modello primavera araba è quanto di più filmesco e pittorico possa esistere. Non si può far finta di niente, non si possono prendere schemi novecenteschi e trasportarli nell'era dello streaming e pensare che tutto funzionerà nelle nostre modalità.

E' uno schema iperuranico mentale. La democrazia partitica, i Governi, gli Stati si legittimano da soli e con la forza.

Pensare ad un'astensionismo che toglierà legittimità all'insediamento di un Governo è pensare alle pecore che sbranano le tigri. Il solo presentarsi di una sola persona alle elezioni sancisce meccanicamente l'inutilità dell'astensionismo come mezzo. E noi sappiamo che i partiti ovviamente prima o poi diranno "ok, noi non contiamo più nulla: sciogliamoci, potere al popolo". Sappiamo benissimo che l'Italia diventerà dall'oggi al domani un paese sovrano estraneo al contesto di forze geopolitico attuale.

Se l'USN si presentasse alle elezioni per ciò che è e contando sui propri punti non la voteremmo? Non la supporteremmo?

Il popolo non vota, lotta, come dicevano Lotta Continua e anarchici 50 anni fa. Ecco come oggi il potere è in mano al proletariato.

Se il popolo non ha lottato quando gli operai davvero erano alla fame, figuriamoci se il popolo lotta oggi. Lotta dove? Su Facebook?

Poi ognuno giustamente si fa la sua idea e pensa come vuole...

Avanguardia
05-11-13, 01:49
Lotta nelle strade, nelle piazze, e partecipazione alle procedure elettorali, sono 2 modi entrambi validissimi, ma nel 2013 entrambi appunto inutili, il sistema è fortissimo, ti stoppa quando diventi pericoloso, la gente è rincoglionita, cose scritte un milione di volte! Al più fai indignare i soliti benpensanti, basta così.
Se fai qualcosa impegnandoti per qualche battaglia, rischi di ridurti a zimbello, a soggetto (passivo), a strumento del sistema, qualunque posizione tu prenda. La società di oggi è molto sfaccettata, complessa, poliedrica, ambivalente, per cui è facilissimo essere strumento del potere quando cerchi di contrastarlo.
Le aree antagoniste hanno fallito, forse la dipartita è ben meritata. La piega che ha preso nel corso dei decenni, in Italia e anche nel resto del mondo, l' area che avrebbe dovuto (o si dice avesse dovuto) farsi carico sulle spalle dell' eredità dei movimenti nazional-popolari e nazional-rivoluzionari degli anni '20-30-40 del secolo scorso non mia piace, non mi attizza, senza polemica nei confronti di chi è stato giovane e meno giovane duranti i caldi anni sessanta e settanta, trovandosi quindi in un contesto che io che ho 34 anni non posso capire, posso solo dire mi piace o non mi piace. Avrei voluto che coloro si sentissero eredi in qualche modo, in qualche gradazione, dell' IDEA, avessero dato vita a movimenti che si incamminassero sulla scia di Peron e Nasser, poi di Thomas Shankara e Gheddafi, secondo uno schema di nazionalismo progressista (oggi diciamo che un pò di regresso negli stili di vita viene attuale, si pensi alla decrescita e al ritorno alla terra, comunque avete capito ...). Così non è stato. Pazienza, dell' "area" nazional-rivoluzionaria non mi importa granché. Sin ci calinti in su cunnu (tradotto dal sardo all' italiano: si attacchino alla figa).

Gianky
05-11-13, 16:31
Lotta nelle strade, nelle piazze, e partecipazione alle procedure elettorali, sono 2 modi entrambi validissimi, ma nel 2013 entrambi appunto inutili, il sistema è fortissimo, ti stoppa quando diventi pericoloso, la gente è rincoglionita, cose scritte un milione di volte! Al più fai indignare i soliti benpensanti, basta così.
Se fai qualcosa impegnandoti per qualche battaglia, rischi di ridurti a zimbello, a soggetto (passivo), a strumento del sistema, qualunque posizione tu prenda. La società di oggi è molto sfaccettata, complessa, poliedrica, ambivalente, per cui è facilissimo essere strumento del potere quando cerchi di contrastarlo.
Le aree antagoniste hanno fallito, forse la dipartita è ben meritata. La piega che ha preso nel corso dei decenni, in Italia e anche nel resto del mondo, l' area che avrebbe dovuto (o si dice avesse dovuto) farsi carico sulle spalle dell' eredità dei movimenti nazional-popolari e nazional-rivoluzionari degli anni '20-30-40 del secolo scorso non mia piace, non mi attizza, senza polemica nei confronti di chi è stato giovane e meno giovane duranti i caldi anni sessanta e settanta, trovandosi quindi in un contesto che io che ho 34 anni non posso capire, posso solo dire mi piace o non mi piace. Avrei voluto che coloro si sentissero eredi in qualche modo, in qualche gradazione, dell' IDEA, avessero dato vita a movimenti che si incamminassero sulla scia di Peron e Nasser, poi di Thomas Shankara e Gheddafi, secondo uno schema di nazionalismo progressista (oggi diciamo che un pò di regresso negli stili di vita viene attuale, si pensi alla decrescita e al ritorno alla terra, comunque avete capito ...). Così non è stato. Pazienza, dell' "area" nazional-rivoluzionaria non mi importa granché. Sin ci calinti in su cunnu (tradotto dal sardo all' italiano: si attacchino alla figa).


Non hai torto, quel che dici è verissimo, però io non riesco a rassegnarmi anche se la realtà vorrebbe che ci si rassegnasse in attesa dell'inevitabile. Questo sistema è obbiettivamente troppo forte, per cause oggettive, ed affrontarlo è inutile, si sprecano solamente energie, si perde tempo, si prende rabbia ma non si riesce a sciogliere nessun nodo. La frammentazione della società impedisce la formazione di un soggetto politico-sociale potenzialmente rivoluzionario e questo non riguarda solamente l'area nazional-popolare ma tutte le aree potenzialmente alternative al "sistema". Detto questo e preso atto di tutto questo rimane però insopprimibile un "inconscio ribellistico" che, almeno per me, mi impedisce di scivolare in una ben più tranquilla e razionale rassegnazione.

RibelleInEsilio
05-11-13, 19:54
Detto questo e preso atto di tutto questo rimane però insopprimibile un "inconscio ribellistico" che, almeno per me, mi impedisce di scivolare in una ben più tranquilla e razionale rassegnazione.

Esattamente il mio stato d'animo...

Uno dice "massì, lasciamo perdere, non ne vale la pena" ma poi non sai più staccarti da questa specie di bushido sotto forma esistenziale come dici tu "ribellistico", questo stato d'animo dove ti ritrovi solo, con un pugnale, contro un esercito di carri armati, dove hai la certezza della ragione ma non i mezzi per farla valere...

Etrvsco
07-11-13, 23:59
vi ringrazio per l'interesse.

leggo il post interessato.

Etrvsco
08-11-13, 00:21
Riguardo al USN personalmente non mi soddisfa, sono più portato verso il socialismo patriottico e sovranista di estrazione "para-bolscevica" (di "sinistra" se vogliamo usare questo orrendo e assai poco appropriato termine) e non di estrazione fascista (di "destra", sempre se vogliamo usare questo altrettanto orrendo ed altrettanto poco appropriato termine), l'USN ed il Centro studi SN ha chiaramente i connotati di questa ultima provenienza. Sinceramente è altro il socialismo nazionale a cui io mi riferisco, chiaramente, però, il confronto e l'interesse verso il CSSN e verso l'USN è d'obbligo.

gianky cosa sono i connotati...?


METAPOLITICA | UNIONE PER IL SOCIALISMO NAZIONALE (http://socialismonazionale.wordpress.com/metapolitica/)

RibelleInEsilio
10-11-13, 13:07
gianky cosa sono i connotati...?

Credo si riferisca ai molti richiami all'esperienza della Repubblica Sociale Italiana e al Fascismo in generale rispetto a un'ala più rivolta a modelli propriamente socialisti-eurasiatisti e a matrice internazionalista com'è, ad esempio, quella di Stato & Potenza.