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Avamposto
27-07-10, 11:36
L’India e il Nazionalsocialismo

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di Savitri Devi






Coloro che hanno la mente offuscata

Mi tengono in dispregio, allorché sono entrato

In un corpo umano, perché non riconoscono

La Mia suprema realtà,

Né riconoscono in me il Signore Universale

Degli esistenti.

( Bahagavad Gita )







C’erano naturalmente, delle gerarchie fra gli eletti. (E’ significativo che il nome di questa élite di salute psichica e bellezza, di coraggio guerriero e, più o meno, di conoscenza segreta, di cui la maggior parte delle persone conosce solo le iniziali, significhi “ Gradi di Protezione”).

Ho, credo, menzionato ciò alludendo alle Ordensburgen, nelle quali avvenivano l’addestramento militare, l’educazione politica e, in una certa misura metafisica che la sottende. Ciò è tanto vero che un critico del Nazionalsocialismo e dell’opera di René Guénon ha potuto dire che quest’ultima era “l’Hitlerismo meno le divisioni blindate” (1) – e ciò senza che l’iniziato del Cairo avesse mai scritto una sola parola di “politica”

Tutti i candidati – dovrei dire i novizi – SS non erano addestrati ed educati nella stessa Ordensburgen. E non tutti quelli della stessa Ordensburgen ricevevano – soprattutto nei gradi superiori – lo stesso insegnamento. Ciò dipendeva dai compiti a cui li si giudicava idonei, in seno all’elitè stessa. Infatti questa comportava numerose organizzazioni, dalla Waffen SS, la più visibile, – anche la più celebre, per l’eroismo sovrumano di cui tante volte ha dato prova durante la Seconda Guerra Mondiale – fino alla più segreta, l’Ahnenerbe, (“ Eredità degli Avi”), fondata nel 1935, e tanto più difficile da conoscere in quanto molti documenti (pure essi segreti, è inutile dirlo) che vi si riferivano furono distrutti “prima dell’arrivo degli Alleati in Germania” e in quanto “i membri di questa organizzazione che sono sopravvissuti all’affossamento del Terzo Reich” …. “si chiudono in uno strano silenzio”(2).

E’ almeno logico pensare che fosse verosimilmente l’Ahnenerbe, nell’ “Ordine Nero” di Adolf Hitler, la depositaria della Tradizione – e in particolare alcune sezione dell’Ahnenerbe, dato che ne comprendeva numerose, di cui “52 scientifiche” (3), vale a dire che si occupavano di ricerche obbiettive, quantunque non necessariamente nello spirito e con l’aiuto dei metodi in uso nelle scienze sperimentali. Secondo le dichiarazioni rese da Wolfram Sievers davanti al tribunale dei vincitori a Norimberga, alle quali si deve questa precisazione, lo stesso Istituto “eseguiva o faceva eseguire più di 100 missioni di ricerca di grande ampiezza” (4). La natura di alcune di queste ricerche rivela un interesse notevole per i problemi esoterici. Così si studiò il simbolismo dell’arpa in Irlanda come la questione della sopravvivenza dei veri Rosacroce – ossia di gruppi iniziatici ancora in possesso della Tradizione (di cui i primi rosacroce avrebbero raccolto l’eredità). E’ per questo che si riesaminò la Bibbia e la Gabbala, tentando di coglierne il significato nascosto – domandandosi in particolare il ruolo che il simbolismo dei numeri può svolgere nell’una e nell’altra. E’ per questo, ancora, che si studiò la struttura fisica e mentale dei campioni umani delle diverse razze – quella dei Nordici, con la cura tutta speciale che si può indovinare – al fine di assicurare al concetto di eredità e di razza , così fondamentale nell’Hitlerismo, tutto il suo valore.

E’ per questo che si consacrarono sforzi sistematici e incessanti a tutte le ricerche aventi per scopo di rivelare ai Tedeschi la gloria della loro Antichità, storica e preistorica, – e del Medio Evo – e di mettere in rilievo l’importanza delle località corrispondenti.

Senza negare che ci sia nel Cristianesimo come nel Giudaismo stesso, e in tutte le religioni o filosofie che si ricollegano, da vicino o da lontano, alla Tradizione, una parte di verità esoterica, si metteva l’accento sulla forma tradizionale propria dei popoli germanici. Le tracce di questa si ritrovano nei simboli, incisi su roccia, dalla più lontana preistoria, e, dopo lo sradicamento sanguinoso del culto di Wotan da parte di Carlo Magno e dei suoi immediati successori, persino in certi riti praticati, nel Medio Evo, negli Ordini Cavallereschi o nella Santa Vheme. Sarebbe interessante sapere se quest’ultima, che non ha cessato di esistere come organizzazione segreta, abbia, o abbia avuto ad un dato momento, qualche rapporto con la società di Thule.

Heinrich Himmler, il capo delle SS – la cui carriera, tanto screditata fuori dalle cerchie hitleriane, è (a parte quella del Fuhrer stesso) seganta più di ogni altra da quel distacco nella violenza che è il segno di una qualità superiore d’essere – insiste su questo, per quanto “in modo velato”, “volontariamente vago” (5) nel suo discorso del gennaio 1937, che contiene il suo unico riferimento pubblico o semipubblico all’Ahnenerbe. Egli vi esalta l’importanza ideologica delle scoperte archeologiche fatte dall’Istituto avente questo nome ad Altchristenburg, in Prussia Orientale: scoperta di parecchi strati di fortificazioni germaniche, sempre più antichi, la quale confuta l’opinione secondo cui la Prussia sarebbe una terra slava. Ma c’è di più : egli vi preconizza il “ristabilirsi” e il “mantenimento di centri culturali consacrati “alla grandezza tedesca e al passato tedesco”…. “in ogni regione in cui si trovi una compagnia di SS”(6). E dà esempi di tali centri. Uno è il Saschsenhaim, vicino a Verden, in cui 4500 Sassoni. Decapitati là, sui bordi dell’Aller, nel 782, per ordine di Carlo Magno, poiché persistevano nel rifiutare il Dio straniero che egli voleva imporre loro. L’altro è il luogo delle Exstersteine, impressionanti massi verticali che indicavano, vicino a Horn, uno dei grandi centri spirituali del mondo, da sempre luogo sacro e santo del culto degli antichi Germani. Alla sommità del più alto dei massi, al posto dell’antico Irminsul d’oro caduto nel 772 nelle mani dei soldati dello stesso conquistatore cristiano, sventolava ormai vittorioso, liberatore, simbolo della riconciliazione di tutti gli aspetti opposti della storia tedesca, nella coscienza della sua unità profonda, il drappo rosso, bianco e nero con la Croce uncinata del Terzo Reich.

E gli esempi dimostrano a sufficienza che non si trattava solo di “cultura”, ma, per gli iniziati dell’Ordine delle SS e in particola dell’Ahnenerbe, di conoscenza segreta delle grandi verità cosmiche, apprese attraverso il simbolismo tradizionale come i popoli germanici l’hanno conosciuto, e come una minoranza silenziosa l’ha conservato.

Infatti, – ed è questo un punto da notare – malgrado la fortissima corrente “pagana” che sottende l’Hitlerismo, e che si manifesta soprattutto attraverso il rifiuto senza riserve di ogni antropocentrismo come di ogni Dio personale, non è mai esistito il problema di respingere, né sottovalutare, tutto quanto, nel patrimonio ancestrale tedesco – ed europeo – facesse onore al genio ario.

Il Fuhrer, ci dice André Brissaud, “sentiva” – io direi era certo – “che tutto quello che nell’Occidente più recente aveva preso la forma di una religione, e della religione cristiana in particolare”… “apparteneva al troppo umano”, dunque non aveva molto a che vedere con i valori veramente trascendenti e, per di più, “offriva un clima generale o una linea interiore poco compatibile con le sue inclinazioni e la sua vocazione, collocate al di là delle verità e dei dogmi della fede proposta all’uomo comune” (7). Ora, è tutto l’insieme della civiltà occidentale che è ad un tempo “recente” e “cristiano”. Non bisogna dimenticarlo.

Questo non impediva tuttavia ad Adolf Hitler, che era imparziale come lo è necessariamente ogni saggio (a maggior ragione ogni espressione umana del Divino), di ammirare Carlo Magno: il Saschsenschlater, o “sterminatore dei sassoni”, come lo chiamavano Alfred Rosenberg, Johann von Leers, Heinrich Himmler e un buon numero di alti dignitari, pensatori e uomini d’azione del Terzo Reich. Vedeva in lui il conquistatore dell’immensa volontà di potenza, e soprattutto il primo unificatore dei Germani; colui che, solo nella sua epoca, aveva avuto l’idea del Reich, anche se si era servito, per imporla, dell’unità artificiale della “fede”, ed anche se questa “fede” era la fede cristiana, vale a dire una fede straniera. Si ricordi che Adolf Hitler insisteva sull’azione del Cristianesimo sul mondo greco-romano e che lo qualificava di “prebolscevismo”.

Ma poco importa che cosa era stata ( e che cosa è ancora) questa fede, se essa fu il cemento di un Impero germanico conquistatore e, più tardi, l’occasione di tutta la fioritura artistica che si sia. Nella misura in cui è bella, quest’arte presuppone, in ogni modo, una certa conoscenza di ciò che è eterno. Il Fuhrer ricevette dunque con rispetto, come un eredità tedesca, una copia della spada dell’Imperatore d’Occidente.

Egli ammirava i grandi imperatori Hoenstaufen, soprattutto Federico Barbarossa, colui che deve ritornare, e che era ritornato, in lui (per pochissimo tempo ohimè!); e Federico II, Stupor Mundi, di cui tanti contemporanei avevano creduto di vedere l’Anticristo – come gli uomini dei nostri giorni, accecati dalla propaganda, dovevano vedere in lui, il Fondatore del Terzo Reich, l’incarnazione stessa del Male. Ammirava Federico II di Prussia, Bismark, tutti coloro nei quali si era espresso lo slancio conquistatore del popolo tedesco, la cui missione culturale, e ben più che culturale – non li procurava il minimo dubbio.

E Heinrich Himmler stesso, pur rendendo un omaggio clamoroso ai guerrieri sassoni, martiri dell’antica fede nazionale a Verden nell’anno 782 del Dio straniero, professava un vero culto nei confronti dell’Imperatore Enrico I, ed esaltava i Cavalieri dell’Ordine Teutonico, – non certamente per il fatto che questi ultimi avevano, a furia di brutalità, forzato gli Slavi (ed infine i Prussiani) (8) ad accettare il Cristianesimo, ma per il fatto che avevano, con la spada, “tracciato la strada alla cultura tedesca” e reso possibile la colonizzazione tedesca di vasti territori dell’est. Ciò che v’era d’altra parte di eterno, nella religione guerriera di Wotan e di Thor – e, prima di questa nell’antica religione nordica del Cielo, della Terra, e del “Figlio” dell’una e dell’altra, che è stata studiata dal dott. Hermann Wirth – , doveva sopravvivere all’esoterismo cristiano, e nell’esoterismo tout court.

Questo ha, parallelamente all’insegnamento delle Chiese, continuato per tutta la storia ad avere i suoi iniziati, sempre meno numerosi, senza dubbio, ma sempre presenti, e talvolta molto attivi. (Si annoverano in effetti, tra di loro, immortali creatori come il grande Durer e, più tardi, Goethe, Wagner, e fino ad un certo grado Nietzsche. E si sa che Federico II il Grande, re di Prussia – l’eroe per eccellenza del Fuhrer – fu il gran maestro delle Logge Antico-Prussiane). Il significato profondo dell’antico Irminsul, Asse del Mondo, non è, in fondo, diverso da quello della Croce distaccata da tutta la mitologia cristiana, vale a dire dalla storia del supplizio di Gesù considerato come un fatto nel tempo.

La punta del venerabile simbolo germanico indica in effetti la Stella Polare, che rappresenta “l’Uno” o Principio Supremo; e i suoi rami incurvati si ritiene sostengano il cerchio dello Zodiaco, simbolo del Ciclo della Manifestazione, muoventesi attorno al suo centro immobile. Esistono in alcune vecchissime chiese di Germania, delle “crocifissioni” nelle quali la croce stessa ha i rami incurvati dell’Irminsul “pagano” – l’insieme suggerendo come la fusione delle due religioni nel loro simbolismo più elevato e più universale. D’altra parte – secondo il Prof. Von Moth di Detmold – il Giglio, legato, come ognuno sa, all’idea del potere regale o imperiale, sarebbe, quanto alla sua forma, una ripetizione un poco stilizzata dell’Irminsul, o “Colonna del Tutto” avente come esso un significato polare e assiale. Ogni potere legittimo viene in effetti dall’Alto. E la Croce uncinata, essa stessa “essenzialmente simbolo del Polo”, simbolo del “movimento di rotazione che si compie attorno ad un centro o ad un asse immutabile” e – il movimento rappresentando la vita – simbolo “del ruolo vivificatore del Principio in rapporto all’ordine cosmico” (9), si apparenta così sia ad Irminsul che alla Croce.

Ciò che dunque contava, era esaltare tutto quello che aveva contribuito, o poteva contribuire a rafforzare la volontà di potenza germanica – condizione del “raddrizzamento” universale, che solo una Germania rigenerata poteva avviare. Si trattava d’altra parte di conservare vivo il deposito di verità tradizionale, vale a dire di verità più che umana – cosmica – trasmesso dal fondo delle età.

L’espressione di questa eredità, la forma sotto la quale era presentata, poteva certamente variare da un epoca all’altra secondo le fluttuazioni politiche del mondo visibile, ma la base rimaneva una e spiegava la suprema bellezza delle vecchie saghe nordiche come quella della musica, eminentemente cristiana, di Johann Sebastian Bach e, è inutile dirlo, quello dell’intera opera (musicale e letteraria), egualmente iniziatica, di Richard Wagner.

Questo deposito, più prezioso di ogni altro, proveniva dai misteriosi Iperborei, gli “uomini trasparenti” figli delle “Intelligenze Esterne”: quegli Iperborei il cui centro – la “capitale” – era Thule.

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E’ senza dubbio inutile far notare che la “trasparenza” di cui si tratta qui non ha niente di materiale e, di conseguenza, di visibile. Essa rappresenta uno stato d’essere più sottile di quello che noi conosciamo, più aperto al contatto diretto con l’Intangibile ed anche con l’informale. In altri termini, gli Iperborei detentori della Tradizione primordiale sarebbero stati capaci di intuizione intellettuale ad un livello che noi non concepiamo. Chi erano? E – se è veramente esistito – ove si estendeva il loro territorio? Le allusioni più o meno evocatrici al riguardo sono fatte dagli antichi – da Seneca nella sua Medea, da Plinio il Vecchio, Virgilio, Diodoro Siculo, Erodono, Omero (nell’Odissea) e l’autore o gli autori della Genesi e soprattutto l’enigmatico Libro di Enoch – sono abbastanza vaghe, per quanto tutte riferentisi al “Grande Nord”. E l’Evocazione del “biancore” estremo degli Iperborei, dell’indicibile bellezza delle loro donne e degli “straordinari doni di chiaroveggenza” (10) di alcuni tra essi, farebbe pensare ad una razza aria immensamente superiore alla media dei Nordici attuali, il che non ha niente di stupefacente, dato che si tratta di un passato che si perde nella notte dei tempi. Ma c’è di più: il sapiente Bal Gangadhar Tilak, più conosciuto sotto il nome di Lokamanya Tilak, erudito e saggio indù (11) ha, nella sua opera The Artic Home in the Vedas (“La patria artica dei Veda”), molto chiaramente ricollegato la più antica tradizione delle Indie ad una regione situata nelle alte latitudini, una regione che conosceva sia la lunga notte polare sia il sole di mezzanotte e…le aurore boreali; una regione in cui gli astri non sorgono né tramontano, ma si spostano o sembrano spostarsi, circolarmente all’orizzonte.

Il Rig – Veda, che egli ha studiato in modo particolare e da cui trae la maggior parte delle citazioni in appoggio alla sua tesi, sarebbe stato, come l’insieme dei Veda – o conoscenza “vista” cioè diretta – rivelato a questi Aryas, vale a dire “Signori” dell’estremo settentrione, e conservato preziosamente da loro nel corso delle migrazioni che li hanno, nel corso dei secoli, a poco a poco condotti fino in India.

Tilak colloca l’abbandono della patria artica nel momento in cui questa perse il suo clima temperato e al sua verdeggiante vegetazione, per diventare “ glaciale”, vale a dire nel momento in cui l’asse della terra si spostò di più di 23 gradi, circa 8000 anni fa. Egli non precisa se l’isola o la parte così colpita da improvvisa sterilità sia stata inghiottita, come vuole la leggenda di Thule, o continui ad esistere da qualche parte nelle vicinanze all’interno del Circolo polare. Non cita nemmeno le tappe che i custodi del Veda eterno – Saggezza nascosta sotto i testi sacri di questo nome – dovettero percorrere tra la loro patria artica e le prime colonie che essi fondarono nel Nord-Ovest dell’India. E, non dirigendosi la sua opera a iniziati, – che d’altra parte non ne avrebbero aln bisogno – ma solamente a orientalisti in buona fede, che egli sa insensibili ad ogni argomento non sostenuto da prove, non dice evidentemente nulla dei centri iniziatici “sotterranei”, Aggarttha e Shamballa, di cui si tratta così spesso nell’insegnamento segreto che la “Società di Thule” dava ai suoi membri – insegnamento che dunque hanno ricevuto, tra gli altri, Alfred Rosemberg, Rudolf Hess, Dietrich Eckart e, verosimilmente per mezzo di quest’ultimo, Adolf Hitler stesso. (Agarttha o Agartthi, sarebbe il centro collocato “sotto la ruota del Sole d’Oro”, vale a dire quello cui si rifanno i contemplativi che rifiutano per principio di partecipare alle cose di questo mondo: quello dei saggi che ho chiamato “uomini al di sopra del Tempo”. Shambala sarebbe, per contro, il centro spirituale degli uomini “contro il Tempo”: degli iniziati che, pur vivendo nell’eterno, accettano di agire in questo mondo “nell’interesse dell’Universo”, secondo i valori immutabili o, per usare le parole stesse del Fuhrer, secondo il “senso originario delle cose”.E’, naturalmente, a questo secondo centro dei Maestri dell’Azione che Adolf Hitler si ricollegherebbe).

E’ notevole che i nomi d’Agarttha e di Shamballa “appaiano più volte sulle labbra di più di un capo S S nel corso del processo di Norimberga e,più particolarmente, delle S S che furono tra i responsabili dell’Ahnenerbe” (12).

Questa organizzazione ha fra l’altro, si sa, inviato nel Thibet “una spedizione diretta dall’etnologo Standartenfuhrer SS Dott. Scheffer”(13). I reperti, i resoconti di questa, che esistono microfilmati “ negli Archivi nazionali a Washington” sono sembrati “straordinari” ad André Brissaud, che li ha letti. Perché una simile spedizione? Certamente non per tentare di ritrovare, in Asia Centrale, “le origini della razza nordica”, come sembra lasciar credere Brissaud. Sotto il Terzo Reich, anche i fanciulli delle scuole sapevano, per averlo letto nei loro manuali – alcuni dei quali come quello di Klagges/Blume So ward das Reich erano notevoli – , che questa razza si era sparsa dal Nord verso il Sud e verso l’Est e non viceversa (14). No. Quello che volevano senza dubbio il Dott. Scheffer e i suoi collaboratori era piuttosto tentare di penetrare il mistero di Agarttha e di Shamballa; forse tentare, con l’aiuto del capo o dei capi di un centro spirituale in cui si manifesta, di entrare in contatto con il principio (poiché è un principio e non un personaggio) che René Guénon chiama il “Re del Mondo” (15). Ciò sembra tanto più plausibile in quanto, fra queste sezioni dell’Ahnenerbe il cui lavoro era classificato “affare segreto del Reich” e “di cui si ignora tutto”, una comprendeva, oltre lo studio delle ligue antiche, della cosmologia e dell’archeologia, quello “dello Yoga e dello Zen” e un’altra si interessava “alle dottrine esoteriche e alle influenze magiche sul comportamento umano” (16).

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D’altra parte non è solamente con gli iniziati della Città proibita di Lassa ( e forse con il Dalai Lama stesso) che l’elite spirituale dell’Ordine SS – che era quella di una nuova civiltà tradizionale in potenza, se non in gestazione – cercava di prendere contatto. Secondo la mia modesta conoscenza, vi furono simili incontri anche nelle Indie: incontri che poche persone sospettano in Occidente, e ciò completamente al di fuori delle conversazioni politiche che poterono aver luogo con certi capi indù, come Sbhas Chandra Bose nelle Indie e in Germania, prima e dopo la Seconda guerra mondiale.

Compariva a Calcutta nel 1935, una rivista “culturale”, “The New Mercuri”, molto abilmente pubblicata da Sri Asit Krishna Mukherji, in collaborazione con Sri Vinaya Datta e alcuni altri.

I discorsi del Fuhrer, di cui la stampa ufficiale, tanto in inglese quanto in bengali, riportava solo estratti, vi erano riferiti in extenso, soprattutto se presentavano, come era spesso il caso, un interesse che oltrepassava la “politica”. Uno di essi, che aveva allora particolarmente attirato la mia attenzione, si intitolava: Architettura e nazione. Ma la suddetta rivista pubblicava anche studi su tutto ciò che poteva servire a mettere in luce una connessione profonda, non politica, risalente molto lontano e molto in alto, tra la civiltà tradizionale indù quale non ha cessato di esistere, e la civiltà tradizionale germanica, quale era esistita, per molto tempo prima del Cristianesimo, ed aspirava a rinascere in ciò che aveva di essenziale. Questi studi rivelavano nei loro autori, oltre all’erudizione archeologica indispensabile, una seria conoscenza del simbolismo cosmico. Molti erano, è inutile dirlo, incentrati sulla Croce uncinata. Essi sembravano voler mostrare – indirettamente il carattere eccezionale di un grande Stato moderno che riconosceva per “proprio” un Simbolo di tale portata universale, riprodotto sui tutti i monumenti pubblici, su tutte le bandiere. Essi suggerivano nello stesso tempo l’aspirazione di questo grande Stato a rinnovare con la Tradizione primordiale – da cui l’Europa si era distaccata già da secoli, ma di cui l’India aveva conservato il deposito inestimabile.

Non ho alcuna prova che i servizi dell’Ahnenerbe abbiano svolto un ruolo qualsiasi nella pubblicazione della Rivista “New Mercury”. Ciò mi sembra in effetti tanto meno probabile in quanto questa sezione speciale delle S S venne fondata essa stessa solo nel 1935 – lo stesso anno della suddetta rivista. Ma so che quest’ultima era, in parte almeno, sostenuta finanziariamente dal governo del Terzo Reich.

I Tedeschi e i rappresentanti – tedeschi o no – di industrie tedesche nelle Indie, erano tenuti ad abbonarvisi. Ed uno tra di loro almeno, a mia conoscenza, fu richiamato in Germania, dopo essere stato destituito dalla direzione della succursale che reggeva da anni, per aver rifiutato di farlo e dichiarato che “questa propaganda di nuovo stile” (sic) non lo interessava.

Il fondatore ed editore del periodico, Sri A. K. Mukherji restò in contatto diretto con Herr von Salzam, Console Generale di Germania a Calcutta, per tutto il tempo in cui questi rimase al suo posto. E questo rappresentante ufficiale di Adolf Hitler gli consegnò, alla vigilia della sua partenza, un documento rivolto alle autorità tedesche, nel quale era specificato chiaro e tondo che “nessuno in Asia aveva reso al Reich servizi confrontabili con i suoi”. Ho visto questo documento. L’ ho letto e riletto, con gioia, con fierezza – in quanto Aria, Hitleriana e moglie di Sri A. K. Mukherji . Vi ho già fatto allusione nel corso di queste note.

Non mi è possibile dire se i “servizi” di cui si trattava avessero o no superato i limiti, abbastanza stretti, delle attività di Sri A. K. Mukherji quale editore di una rivista bimensile, tradizionalista, ad un tempo indù e filo-germanica.

Sembrerebbe che li abbia superati – poiché la rivista era durata solo due anni, le autorità inglesi avendola vietata verso la fine del 1937, poco dopo la “svolta” definitiva nella evoluzione della politica britannica nei confronti del Reich. In ogni modo non conoscevo ancora personalmente Sri A. K. Mukherji a quest’epoca: il suo nome evocava solamente, per me, l’esistenza dell’unica rivista di tendenze nettamente hitleriane che conoscessi in India. Ma una cosa mi spinge a credere che la conoscenza che egli possedeva da allora, e anche prima, dell’Hitlerismo esoterico, vale a dire della conoscenza profonda della dottrina segreta del Fuhrer con la Tradizione eterna non avesse nulla in comune con le vaghe impressioni che potevo avere io sullo stesso argomento. Nel corso della primissima conversazione che ebbi con lui, dopo aver avuto l’onore di essergli presentata – il 9 Gennaio 1938 – colui che meno di due anni più tardi era destinato a darmi il suo nome e la sua protezione, mi domandò incidentalmente cosa pensassi di … Dietrich Eckart.

Sapevo che si trattava dell’autore del celebre poema Deutschland erwache, del combattente dei primissimi giorni della Kampfezeit morto alcune settimane dopo il fallito putsch del 9 Novembre 1923, all’età di 55 anni; del camerata al quale Adolf Hitler aveva dedicato la seconda parte del Mein Kampf. Ignoravo ancora persino l’esistenza della Thulegesellschaft, ed ero di conseguenza lungi dal sospettare il ruolo che il poeta della rivoluzione nazionale aveva potuto svolgere presso il Fuhrer. Esposi con entusiasmo la mia pietosa piccola erudizione. Il mio interlocutore, che aveva reso – e avrebbe ben presto reso – al Terzo Reich (e più tardi ai suoi alleati giapponesi) “servizi non confrontabili con nessun altro”, sorrise e passò ad altro argomento.


* * *

L’opinione secondo la quale Adolf Hitler sarebbe stato un agente delle Forze diaboliche, che la sua iniziazione sarebbe stata solo una mostruosa controiniziazione e il suo Ordine S S solo una sinistra confraternita di maghi neri, è diffusa al massimo fra gli antihitleriani più o meno infarinati di occultismo (e non ne mancano). L’argomento più probante mi sembra che venga dalle Indie. In Occidente, in effetti, la confusione sul piano della conoscenza dei principi è oggi tale che è difficile dire se vi esista ancora un gruppo che possa legittimamente vantare una vera filiazione tradizionale. Non ci sono dunque dei punti di confronto tra l’atteggiamento dei veri iniziati e quello dei ciarlatani. Secondo Renè Guenon, praticamente tutte le società europee che pretendono di essere ai nostri giorni “iniziatiche”, sarebbero da classificare sotto quest’ultima etichetta. Ora, sono i loro membri che si fanno sentire, che si agitano, che prendono posizione contro l’Hitlerismo – come hanno fattio, tutte le volte che hanno potuto Louis Pawuels e l’ebreo Bergier, sulla rivista “Planète”. In effetti, non conosco un solo gruppo europeo interessato alle dottrine esoteriche, che non sia nettamente antihitleriano. (Posso sbagliarmi, certamente. Vorrei, su questo punto, sbagliarmi.).

Ma non è la stessa cosa nelle Indie.

Innanzi tutto, ci si trova qui di fronte ad un “paesaggio spirituale” completamente differente. Invece di aver a che fare con gruppi dalle pretese più o meno “iniziatiche” che si muovono in mezzo ad una immensa società profana, infatuata dalle scienze sperimentali e dal “progresso” e preoccupata soprattutto dal suo benessere materiale, ci troviamo di fronte ad una civiltà tradizionale, ben viva malgrado l’influenza della tecnica. L’uomo della massa non avvelenato di propaganda poiché gode ancora del “beneficio dell’analfabetismo” (per riprendere qui un espressione cara al Fuhrer), pensa più profondamente dell’individuo dello stesso livello sociale in Occidente – il che, tra noi, non è eccezionale! Pensa soprattutto nello spirito della Tradizione.

L’Indù, anche se ha frequentato le scuole e ha compiuto i suoi studi in Europa o negli USA, non è ostile alla Tradizione. L’idea di gerarchia naturale, gli è familiare. E, nella grande maggioranza dei casi, vive secondo le regole immemorabili della sua casta – anche mentre il governo “progressista” di un’ India cosiddetta “libera” (in realtà: grottesca copia delle Democrazie Occidentali) ha proclamato la soppressione delle caste e imposto il suffragio universale. In certi casi, sicuramente, riporta dai suoi contatti con l’estero idee sovversive o abitudini urtanti. Ma allora è disprezzato dai suoi, e la società ortodossa si rivolge contro di lui, – nessun governo avendo il potere di forzare quest’ultima ad accettarlo suo malgrado. Quanto ai gruppi iniziatici tradizionali e ai padroni isolati di una vera scienza segreta, essi continuano ad esistere come nel passato: in silenzio, non visti dal grande pubblico. Essi si tengono per principio fuori dalla confusione della politica e non concedono conferenze-stampa. Tutt’al più una parola, una riflessione formulata in presenza di un visitatore rispettoso della Tradizione, anche se questi non è iniziato, può talvolta lasciar indovinare dove vadano le simpatie terrestri di tale o talaltro saggio.

Ci sono anche come ci si doveva attendere in un’epoca di decadenza universale, persone che fanno professione di “spiritualità” e gruppi che si richiamano a maestri trascendenti e pretendono di trasmetterne una presunta “iniziazione” senza averne il minimo diritto.

I ciarlatani in tunica arancione – o nudi, con il corpo coperto di ceneri – che si trascinano attorno ai templi, specialmente nei luoghi di pellegrinaggio, vivendo di elemosine o di truffe, atteggiandosi da guru nei confronti di vedove credule, non mancano. Sono dei furboni, ma di portata e nocività limitata. Infinitamente più pericolosi sono gli individui o i gruppi che lavorano a far penetrare nelle Indie – quanto è possibile – l’antropocentrismo inerente alle dottrine religiose o politiche influenzate più o meno direttamente dal Giudaismo o dagli Ebrei. Voglio alludere a tutti gli individui o gruppi che, sotto la copertura di una menzognera fedeltà alla Tradizione, da loro distorta e sfigurata a piacimento, predicano principi egualitari, la democrazia, l’orrore per ogni violenza, anche distaccata, quando questa è esercitata contro “uomini”, chiunque siano – mentre il mostruoso sfruttamento dell’animale (e dell’albero) da parte dell’uomo li disturba appena (se non sono totalmente indifferenti, quando pure non lo giustificano!). Penso a tutti coloro che pretendono di rendere omaggio alla “vera saggezza antica” negando ostinatamente ogni gerarchia razziale naturale, condannando il sistema delle caste perfino in via di principio, predicando il “diritto” delle persone di razze differenti a sposarsi, se credono con questo di trovare la loro “felicità”. Penso a quelli che vorrebbero sostituire presso gli Indù gli antichi privilegi di casta con privilegi basati sulla “istruzione” (nel senso occidentale della parola) e la volontà di ortodossia metafisica con una preoccupazione sempre più intensa del “sociale”, dell’ “economico”, del “miglioramento delle condizioni di vita delle masse”. Penso agli organizzatori di “Parlamenti delle religioni”, agli avvocati di una fusione tra “l’Oriente e l’Occidente” a spese dello spirito della Tradizione, ai missionari di una morale universale incentrata sull’ “uomo” come lo concepiscono l’Occidente cristiano e l’Occidente razionalista.

La “Missione” che si richiama al divino Ramakrishna – un vero iniziato, che visse nel secolo scorso – sembra orientarsi sempre più in questo senso, sotto l’influenza dei benefattori occidentali, soprattutto americani. Ma questa tendenza non risale a oggi. Sono più di 150 anni che si è manifestata , con la fondazione del Brahmo Samaj, società di deisti profondamente segnati dalla loro educazione universalista inglese e dalla forma “protestante” del Cristianesimo. Questa setta, con il pretesto di ricondurre l’Induismo ad una sedicente “purezza originale”, l’ ha interpretato secondo quello “spirito moderno” di cui René Guénon ha tanto giustamente deplorato l’ascendente sull’Europa. Ma, come dice ancora Guénon, i suoi aderenti sono, malgrado la posizione sociale e, ciò che conta maggiormente l’alta casta dei più noti tra loro, respinti dagli Indù ortodossi. Questi rifiutano di dar loro un bicchiere d’acqua – e, lo ripeto, nessun governo potrebbe costringerveli. Questo atteggiamento deriva dal fatto che i Brahmosamajisti rifiutano il principio del sistema delle caste: la diversa “dignità” degli uomini, secondo la loro eredità. Ciò deriva dal fatto che il Brahmo Samaji non è l’India – non più di quanto lo siano le altre sette di analogo orientamento, quali che siano (17).

Non voglio dilungarmi in particolari su queste ultime. Ciò porterebbe il lettore troppo lontano. Ma non mi è possibile passare sotto silenzio due organizzazioni che sono nate nell’India del Sud: l’una, la Società Teosofica, ad Adnyar vicino a Madras; l’altra, la comunità che si è formata a Pondicherry, attorno al saggio bengali Aurobindo Ghosh, oggi deceduto. La prima è una vasta istituzione internazionale di sovversione nel senso profondo della parola, come Guénon ha molto ben dimostrato nel suo libro Il Teosofismo, una falsa religione (18). Quello che si vorrebbe far passare per “dottrina” è un guazzabuglio di costruzioni mentali arbitrarie e di alcune nozioni e credenze i cui nomi – Karma, trasmigrazione delle anima etc. – sono tratti dalle tradizioni indù e buddista. Le nozioni e le credenze stesse sono tanto arbitrarie, tanto poco ortodosse, quanto le teorie di cui fanno parte – come per esempio, l’idea di “anima collettiva” (group soul) degli animali, cara a Leadbeater; come pure tanto ciò che insegnano i Teosofisti sui loro diversi “Maestri”: Kouthourn, Rajkoski e altri. L’illustre Lokamanya Tilak, di cui ho citato più sopra una delle opere, ha paragonato Annie Besant, Presidentessa del Congresso Nazionale Indiano – alla diavolessa Putna, inviata come nutrice del Fanciullo-Dio Krishna, al fine di ucciderlo con il suo latte velenoso. Tilak sperava che, simile al giovane Dio che, pur assimilando impunemente il veleno, ha infine ucciso Putna vuotandola di tutta la sua sostanza, la società indù saprebbe difendersi e confondere quelli che tentano di sedurla con delle contro-verità abilmente travestite.

L’altra istituzione si è sviluppata attorno ad un saggio apparentemente autentico. Tuttavia essa tendeva, già durante la vita di questo, a divenire molto lucrativa. Essa acquistava in effetti, una dopo l’altra, tutte le case di Pondicherry che erano in vendita, per quanto comprendesse nel 1960, al di fuori del centro in cui alcuni discepoli si dedicavano alla meditazione, numerosi laboratori di vasellame, di falegnameria, di tessitura etc. etc… ,i cui prodotti erano – e sono ancora oggi – venduti a vantaggio delle sue opere: suole miste, con classi sportive, una università, provvista di laboratori riccamente equipaggiati.

Questa proprietà sarebbe, mi dicono, in gran parte dovuta al genio affaristico che possiedono sia la “Madre” dell’ashram – donna di origine ebraica, vedova di un Ebreo, poi di un Francese(19) – sia il figlio che ella ha avuto dal suo primo marito. Altri membri dell’organizzazione, pieni ad un tempo di zelo e di senso pratico e godenti della fiducia di queste due persone, ne sono pure, forse, responsabili, ognuno secondo il proprio talento. In ogni modo, dalle sale di ricevimento, in cui sono in vendita numerose fotografie, grandi e piccole – per tutte le borse – del defunto guru e della “Madre”, si è impressionati dall’atmosfera business-like del luogo, impressione che si precisa e si intensifica nel corso di una visita alle botteghe. E se si ricorda, per contrasto, il fascino spirituale che emanano certi scritti di Aurobindo Ghosh – i suoi Commentari sulla Bhagavad-Gita, la sua Vita divina o la sua Sintesi degli Yoga – si ha il senso della profonda differenza tra questa organizzazione più che fiorente, la quale copre i due terzi di una città di più di 100.000 abitanti, e il saggio che ha vissuto nell’isolamento più completo: invisibile alla folla e anche ai discepoli, salvo per alcune ore all’anno.

Ora, c’è un fatto che mi sembra eloquente, ed è questo: nel seno delle civiltà tradizionali, come è ancora il caso delle Indie, è appunto dalle organizzazioni più profane, più “moderne”, in una parola più antitradizionali, che sono venuti gli atti, gli scritti o le dichiarazioni ostili all’Hitlerismo. Aurobido Ghosh non ha, a mia conoscenza mai espresso un giudizio “pro” o “contro” alcuna delle grandi figure o delle grandi fedi politiche (o più che politiche) contemporanee. Aveva definitivamente abbandonato l’azione – e quale azione!(20) – per la contemplazione, e si era ritirato nel campo spirituale. Ma sul finire del 1939 – o si era nel 1940? – i giornali di Calcutta pubblicavano che “l’Ashram di Pondicherry” aveva fatto al Governo coloniale delle Indie un dono di diecimila sterline “per aiutare lo sforzo bellico britannico”. Il signore di Saint-Hailaire, dice Pavitra, segretario dell’Ashram, che interrogai su questo punto nel 1960, mi rispose che “non poteva dirmi” se l’informazione raccolta e pubblicata sulla stampa di Calcutta fosse esatta. Ma mi dichiarò che “ ciò poteva ben essere”, visto che l’Hitlerismo andava, secondo lui (e senza dubbio anche secondo più di una persona che aveva sull’Ashram qualche influenza), “contro il senso dell’evoluzione umana”. Contro l’evoluzione? Eccome! Niente potrebbe essere più vero! Ma, lungi dall’essere una ragione per combatterlo, ne sarebbe questa, al contrario, una per sostenerlo. La decadenza universale è un segno, sempre più visibile, che il nostro ciclo avanza rapidamente verso la fine. Ogni battaglia contro di essa, ogni “ritorno ai principi eterni” va necessariamente “contro il senso dell’evoluzione umana” E’ una fase della lotta perpetua contro la corrente del tempo. Ma è questa, lo ripeto ed insisto, una ragione – la ragione maggiore – per esaltarla piuttosto che per condannarla.

D’altra parte i capi della Società Teosofica – secondo Réne Guénon maestri di contro-iniziazione, malgrado le loro pretese contrarie – hanno dimostrato durante e dopo la Seconda Guerra mondiale, quando odiassero (e odino ancora) la dottrina di Adolf Hitler. Arundale, allora presidente della suddetta Società, percorreva le Indie alla ricerca di preti complici, vale a dire comprabili, e commissionava loro preghiere per la vittoria dei “Crociati”(21) contro il Nazionalsocialismo. E non c’è che da aprire un numero qualsiasi di “Coscience”, l’organo ufficiale dei Teosofisti, per vedervi esibita, nero su bianco, una propaganda antihitleriana che non ha niente da invidiare a quella dei giornali d’Inghilterra o degli Usa della stessa epoca, e neanche a quella della stampa dell’URSS (dopo, s’intende, la rottura del patto germanico-russo del 23 agosto 1939). Non è necessario risalire agli ipotetici “maestri” invisibili dei teosofisti, Kouthami, Rajkoski e altri – ai quali si sono attribuite “attività nascoste” per il successo delle Nazioni Unite (22).

Fuori dalla Società Teosofica – essa stessa in legame stretto con certe logge massoniche occidentali – è fra gli Indù delle sette dissidenti come la Brahmo Samaj che ho incontrato i soli antihitleriani i quali abbiano, nelle Indie, intersecato il mio cammino – a parte, beninteso, la grande maggioranza degli Europei non-tedeschi, e tutti i marxisti senza eccezione. Citerò, a mo di esempio, solo quell’ambiente brahmosamajsta per eccellenza che era rappresentato allora, ed è tuttora rappresentato, dall’Università all’aperto si Shantiniketan.

Il poeta Rabindranath Tagore, il suo fondatore, era ancora vivo quando, nel 1935, passai sei mesi nella suddetta Università al fine di migliorarvi la mia conoscenza della lingua bengali e di apprendervi l’hindi. Non vi notai nulla di speciale ad eccezione della presenza, quale “professore di tedesco”, di un’Ebrea di Berlino, Margaret Spiegel, soprannominata Amala Bhen, che vi era venuta per diffondere il suo odio verso il Terzo Reich fra gli allievi che le erano affidati e presso i colleghi indù che avrebbe potuto indottrinare. Seppi ben presto che anche “Govinda”, il monaco buddista il cui vestito color zafferano e il bel parasole birmano aggiungevano una nota pittoresca al paesaggio, era un Ebreo venuto dalla Germania. Mi parlarono pure dell’amicizia profonda che legava il poeta ad Andrews, un britannico, ex missionario cristiano. Ma nessuno espresse ostilità verso la mia fede hitleriana – salvo Amala Bhen.

Questa, a cui si era creduto bene di presentarmi, “in quanto Europea”, fin dal mio arrivo a Shantiniketan, si era, in capo appena mezz’ora di conversazione, resa conto benissimo della natura “panaria” dell’Hitlerismo come io lo concepivo e lo concepisco sempre. Costei si affrettò a dichiararmi – lei che era venuta in capo al mondo “per non vedere l’ombra di un Nazi” – che io ero “peggio di tutta la banda riunita(23)” di coloro che voleva tanto evitare. Quelli là, in effetti, mi disse, sfilavano nelle vie delle città del Reich cantando : “ Oggi la Germania ci appartiene, domani, il mondo intero!”, ma pensavano soprattutto alla Germania, malgrado le parole del loro canto. Mentre io, insistendo sulla profonda identità dello spirito hitleriano e di quello dell’Induismo ortodosso, preparavo la via alla futura conquista militare e morale, e all’influenza illimitata di un Reich tedesco che si espanderebbe largamente sull’Asia.

Queste parole mi lusingavano ben al di là dei miei meriti. Ma l’ostilità di Margaret Spiegel, soprannominata Amala Bhen – e senza dubbio quella di “Govinda”, a cui si guardò bene dal presentarmi – mi sembrava ancora confinata all’elemento non indù dell’Università di Shantiketan.

Fu per me una sorpresa l’apprendere, alcuni mesi prima della Seconda guerra mondiale, che il poeta Rabindranath Tagore stesso aveva inviato un telegramma di protesta contro l’invasione della “sfortunata Cecoslovacchia” Di che si impicciava? – lui del quale non potevo impedirmi di esaltare l’opera in quanto artista? Non si rendeva dunque conto che erano soprattutto gli sfortunati Tedeschi dei Sudati ad avere il diritto di essere protetti? Non sapeva che la Cecoslovacchia era stata sempre uno Stato artificiale, un assembramento di elementi disparati al massimo, costruito con ogni specie di materiale, per servire da spina permanente al fianco del Reich tedesco? Ma che dico? Sarebbe stato capace di tracciarne la carta? Allora, perché questo intervento indiscreto? Gli era stato suggerito – o ispirato – dagli stranieri, cristiani o ebrei, che appena nominati, e da altri, tutti umanitari e antirazzisti – quanto meno anti-ari – che bazzicavano occasionalmente Shantiniketan o che vi vivevano? O non dovevo piuttosto ammettere che, per quanto artista potesse essere – per quanto luminosa e musicale abbia potuto rivelarsi sotto la sua penna geniale una lingua neo-sanscritta come il bengali – un Brahmana che rifiutava in blocco il sistema delle caste poteva solo essere un antihitleriano? La presa di posizione del poeta contro il Difensore dell’élite aria d’Europa, in un conflitto europeo, mi colpiva, tanto più che Rabindranath Tagore aveva un colorito d’avorio e i tratti più classici della razza bianca: segni fisici di una filiazione quasi senza mescolanze da quegli Ari conquistatori che hanno trasmesso all’India antica la Tradizione Iperborea. Ma avrei potuto – avrei dovuto –pensare che, se questi stessi segni visibili di nobiltà aria non gli avevano impedito di aggiungere la sua voce a quella dei corruttori della “legge del colore e della funzione sociale” – varnashram dharma – nelle Indie, era poco probabile che avessero potuto in lui diventare occasione di un risveglio di coscienza ancestrale legato, necessariamente, a una qualsiasi simpatia per quella forma europea e moderna dello “spirito brahmanico” che è l’Hitlerismo.

* * *

Per contro sono sempre stata favorevolmente colpita dalla comprensione che, in quanto hitleriana, ho incontrata presso gli Indù ortodossi di qualsiasi casta. Ho già citato Satyananda Swamy, fondatore della Hindu Mission, il quale considerava il nostro Fuhrer “una manifestazione di Vishnu, la sola in Occidente”

Potrei ricordare, inoltre, Pandit Rajwadè, un venrando Brahmana di Poona versato nella conoscenza dell’opera di Nietzsche come in quella dei testi sacri (che commentava due volte alla settimana davanti a una cerchia ristretta di discepoli), il quale professava ammirazione per “il Re Chakravartin d’Europa”, venuto “a ristabilire l’ordine vero” in un mondo alla deriva.

Potrei riferire le considerazioni di un altro uomo comune – meno letterato forse, ma dotato di uno strano potere di veggenza – che incontrai all’inizio della guerra in una famiglia amica, di cui era il guru, o maestro spirituale. Questo saggio mi disse: “ Il vostro Fuhrer non può che essere vittorioso, poiché sono gli Dei stessi che gli dettano la strategia. Tutte le sere egli si sdoppia e se ne viene qui, sull’Himalaya, a ricevere le loro istruzioni”.

Mi domandai che cosa Adolf Hitler avrebbe pensato di questa spiegazione inattesa delle vittorie dell’armata tedesca. Dissi allora al sant’uomo: “In questo caso è sicuro che vincerà la guerra”. “No” – mi rispose – “poiché verrà un tempo in cui i suoi generali rifiuteranno la sua ispirazione divina e gli disobbediranno – lo tradiranno!”. Ed aggiunse: “Non può che essere così: se è un Avatara, non è l’Avatara supremo – l’ultimo di questo ciclo” – Ahimè! Ma non è tutto. Come potrei dimentica l’atmosfera delle famiglie indù ortodosse che conoscevo meglio? Quella, per esempio, della casa di uno dei miei cognati, allora ancora vivente e medico a Medinipur(24), presso cui mi trovavo al momento della campagna di Norvegia all’inizio della campagna di Francia? Tutti accettarono con entusiasmo il mio suggerimento di andare al tempio della Dea Kalì – alla “Casa di Kalì” come si dice in bengali – per rendere grazie a Colui che ad un tempo benedice e uccide, per l’avanzata trionfale dei soldati del grande Reich tedesco. Vi andammo in processione, carichi di offerte di riso, di zucchero, di farina, di frutti, di ghirlande di fiori scarlatti – in mancanza del sacrificio sanguinoso di cui la famiglia rifiutava come me l’idea. Mi rivedo ancora, circondata da una gioventù fiera, anch’essa, della sua ascendenza aria, in piedi davanti alla terribile immagine della spada ricurva. Inspirando i profumi degli incensi, cullata dalla musicalità soggiogante delle formule liturgiche sanscritte, chiudevo gli occhi per meglio vedere in spirito, come in un affresco grandioso, la sfilata dei carri armati tedeschi lungo le strade d’Europa.

Vivevo intensamente il mio ruolo di collegamento tra la più antica civiltà aria rimasta in Oriente e quella d’Occidente ario che Adolf Hitler stava conquistando al fine di impadronirsene e di rigenerarlo. Poi volgevo lo sguardo sui miei nipoti e sui giovani Brahmanas loro vicini e colleghi di studio che mi avevano accompagnata. E sognavo il giorno in cui avrei visto infine il nuovo Imperatore – l’eterno Imperatore dei Paesi del Crepuscolo, risvegliato e uscito dalla sua misteriosa caverna, e in cui, salutando con il braccio teso, gli avrei detto: “Mein Fuhrer, vi porto la fedeltà dell’élite delle Indie”. Ciò non sembrava allora un sogno impossibile.

Come potrei dimentica la gioia generale a Calcutta – e senza dubbio anche nel resto della penisola – alla notizia dell’entrata delle truppe di Adolf Hitler a Parigi; o, circa due mesi più tardi, all’annuncio dell’avanzata folgorante dei nostri alleati giapponesi fino alla frontiera dell’Assam e oltre? I ragazzini stessi, venditori di giornali, il viso raggiante, gridavano i nomi delle città catturate – ogni giorno delle nuove: Kuala Lumpur, Singapore, Rangoon, Mandalay, Akyab, …. Imphal, in territorio indiano – le una dopo le altre. Il governo coloniale aveva vietato l’ascolto della radio tedesca. Le persone che comprendevano il tedesco l’ascoltavano clandestinamente. Conoscevo degli Indù che ascoltavano senza comprenderne una parola – semplicemente per ascoltare la voce del Fuhrer. Essi sentivano che Colui il quale parlava al mondo ario in una lingua “indoeuropea” loro sconosciuta, si rivolgeva anche a loro – o almeno all’élite razziale del loro continente.





(continua)





L’India e il Nazionalsocialismo (http://thule-italia.com/wordpress/archives/1499)

Avamposto
27-07-10, 11:37
* * *

Ma questo non è ancora niente. Ciò che v’è di più straordinario è il fatto che questo volto del Fuhrer è sopravvissuto, in questo paese, al crollo del Terzo Reich. L’ho ritrovato vivo, durante il mio soggiorno nelle Indie dal 1957 al 1960, e lo ritrovo, con mia gioia e malgrado una propaganda marxista intensificata, nel 1971, e ciò lo ripeto, soprattutto negli ambienti più fedeli alla Tradizione.

Nel libro che ha consacrato all’India, nella collezione “Petite Planète”, l’orientalista Madeleine Biardeau, pure lei nettamente ostile alla nostra Weltanschauung , si vede costretta a constatarlo – con rimpianto per non dire con amarezza: “In nessun paese – scrisse ho inteso più lodi di Hitler. Coi Tedeschi ci si complimenta per la sola ragione che sono suoi compatrioti”(25). E la Biardeau è anche obbligata ad ammettere che il risentimento degli Indù nei confronti della dominazione britannica – ora d’altra parte passata – non basta a giustificare questo culto. L’erudita ha a portata di mano, come ci si poteva attendere, una spiegazione che le è propria. L’Indù, dice, sente e saluta la presenza del Divino in tutto ciò che è “grande”, fosse anche “grande nel male”. In altre parole egli è libero da questo dualismo morale che sottende ancora, quasi sempre, i giudizi di valore dell’uomo occidentale.

Ciò è certamente vero. Ma ciò non basta come spiegazione. La sola giustificazione di queste lodi verso un Capo ario estraneo all’India si trova non nel fatto che l?indù trascende facilmente il dualismo morale, ma nella ragione che giustifica questo fatto. Questa ragione è da cercare nell’attaccamento dell’Indù alla Tradizione, nient’altro; nella sua accettazione della scienza sacra con una fiducia completa, anche se non l’ ha lui stesso acquisita. E’ in nome di questa sapienza sovrumana che egli trova naturale, in certe condizioni, che quanto a giudizio umano, sembrerebbe “un male”, non lo è. E’ alla luce della dottrina della violenza necessaria, esercitata senza passione “nell’interesse dell’Universo” – vale a dire della Vita, non dell’ “Uomo” -; è alla luce della venerabile Bhagava Gita, che proclama l’innocenza di una violenza di questo tipo, che l’Indù ortodosso può appunto vedere nel Signore del Terzo Reich – ciò malgrado tutte le storie dei campi di concentramento – qualcosa di diverso dalla “Incarnazione del Male”.

Per di più, la Biardeau rimane colpita dalla somiglianza spirituale esistente fra l’Hitlerismo e non le filosofie della non violenza, che si sono distaccate dal tronco brahmanico, o le sette indù dissidenti, ma il Bramanesimo più antico e più rigoroso. L’uno e l’altro sono incentrati sull’idea di purezza di sangue e di trasmissione indefinita della vita sana – soprattutto nella vita dell’elite razziale, della vita da cui può uscire l’uomo che la padronanza di se stesso eleva al rango di un Dio. L’uno e l’altro esaltano la guerra con un atteggiamento distaccato – “la guerra senz’odio”(26) – poiché “niente di meglio può capitare al perfetto Kshatriya – o al perfetto guerriero SS – “che un giusto combattimento” (27). L’uno e l’altro propongono alla Terra – come fanno d’altra parte tutte le “dottrine tradizionali” – un ordine visibile ricalcato sulle realtà cosmiche e le Leggi stesse della Vita.

Questo culto del Fuhrer, prolungato nelle Indie e, a dispetto di tanta propaganda nemica, ben al di là del disastro del 1945, è una prova di più – se ne occorreva una – che l’Hitlerismo, spogliato da quello che la sua espressione tedesca può avere di contingente, si ricollega, esso stesso, alla tradizione primordiale – iperborea -, di cui il Bramanesimo sembra essere la forma vivente più antica. Esso vi si ricollega senza dubbio attraverso ciò che è, malgrado l’imposizione del cristianesimo, sopravvissuto in Germania di una forma tradizionale molto antica e propriamente germanica, derivante da una fonte comune: dalla santa “patri artica” dei Veda e dell’Edda.


* * *

E’ impossibile dire in quale misura la Thulegesellschaft fosse in possesso di questa eredità inestimabile, venuta dalla notte dei tempi. Senza dubbio alcuni suoi membri – Dietrich Eckart, Rudolf Hess e , ben inteso, il Fuhrer stesso – lo erano. Uno dei tratti propri dell’iniziato sarebbe la capacità di fingersi, tutte le volte che lo giudica conveniente ai suoi disegni, la collera, la follia, l’imbecillità ed ogni altro stato umano. Ora il Fuhrer si costringeva, lo dice lui stesso (28), a “sembrare duro”. E i suoi troppo famosi eccessi di furore – sull’esistenza dei quali il nemico si è gettato con diletto, come su una fonte di ridicolo, sfruttabile ad infinitum – erano, secondo Rauschning, “accuratamente premeditati” e “destinati a sconcertare il suo entourage e a costringerlo a capitolare”(29). Hermann Rauschning, che nel momento in cui scriveva il suo libro manifestamente detestava il suo ex maestro, non aveva alcuna ragione di distruggere, come fa, con un tratto di penna, la leggenda che mirava a screditare quest’ultimo agli occhi di più di un uomo misurato. O piuttosto, se ne aveva una, questa non poteva essere, malgrado tutto, che una risonanza di onestà intellettuale.

Quanto a Rudolf Hess, la commedia dell’ “amnesia”, così magistralmente recitata a Norimberga, ha ingannato gli psichiatri più accorti. E il tono “normale”, talvolta anche vivace, delle sue lettere alla sposa e al figlio(30) – tono che sconcerta il lettore, in un uomo da più di trent’anni prigioniero – basterebbe a provare la sua sovrumanità. In effetti solo un iniziato può scrivere, dopo tre decadi passate in cella, nello stile leggero e distaccato di un marito e di un padre in vacanza lontano dalla famiglia per tre settimane.

Il Fuhrer, con ogni evidenza, ha superato i suoi maestri della Società di Thule (o di altrove), ed è sfuggito all’influenza che certuni tra loro – non si saprà mai precisamente quali – avrebbero voluta avere su di lui. Doveva farlo, essendo sovrano, essendo uno dei Volti di Colui che ritorna.

E se, improvvisamente, la guerra ha preso una piega, se – il che è perlomeno sconvolgente – l’irreparabile si è precisamente svolto a Stalingrado (che secondo alcuni, sarebbe il luogo stesso dell’Asgard, fortezza degli dei germanici), è senza dubbio per il fatto che, per qualche ragione nascosta, doveva essere così. E il giovane Adolf non ne aveva avuto la rivelazione sotto il cielo notturno, sulla sommità del Freienberg, alle porte della sua cara città Linz, all’età di sedici anni?

La causa materiale immediata, o piuttosto l’occasione della svolta fatale, è dovuta essere non un errore di strategia da parte del Fuhrer – è riconosciuto che non si sbagliò mai in questo campo -, ma un certo irrigidimento, improvviso quanto infausto, nel suo atteggiamento di fronte all’avversario.

Sigfrido, il superuomo, diede un tempo prova di una fierezza carica di conseguenze rifiutando, per non dare l’impressione di cedere alla minaccia, dunque alla paura, di rendere alle figlie del Reno l’Anello che apparteneva loro di diritto. Questo gesto avrebbe salvato Asgard e gli Dei. Il rifiuto dell’eroe ne affrettò il crollo.

Il nuovo Sigfrido, senza dubbio, pure lui, per non sembrare “debole”, per quanto nessuna sfida gli fosse stata lanciata, ha rifiutato di sfruttare, come avrebbe certamente potuto, la buona volontà di quei popoli dell’Ucraina – antimarxisti, aspiranti alla loro autonomia – che avevano fin dal primo momento accolto i suoi soldati da liberatori.

Che l’abbia fatto, coscientemente, rendendosi conto che la perdita della guerra, scritta negli astri, da sempre, era una catastrofe necessaria alla Germania e all’intero mondo ario, che solo la prova del fuoco potrebbe un giorno purificare? Solo gli Dei lo sanno. La rapidità con la quale la Germania ha, dai primi anni del dopoguerra, abboccato all’esca della prosperità materiale priva di ideali, dimostra come, malgrado l’entusiasmo dei grandi raduni nazionalsocialisti, essa fosse solo in modo incompleto liberata dal suo confortevole moralismo umanitario, e come fosse insufficientemente armata contro l’influenza giudaica, tanto “politica” quanto profonda, vale a dire esercitatesi nel campo dei valori.

E’ vero che, nel suo celebre Testamento, il Fuhrer fa appello agli Ari – a tutti gli Ari, ivi compresi i non-tedeschi – “ dei secoli a venire”, esortandoli a “conservare puro il loro sangue” e combattere le dottrine sovversive, in particolare il marxismo, e a rimanere fiduciosi in se stessi e invincibilmente attaccati all’ideale aristocratico per il quale ha lui stesso lottato. Il partito nazionalsocialista può essere sciolto, il nome del Fuhrer può essere proscritto, i suoi fedeli braccati, costretti al silenzio, dispersi. Ma l’Hitlerismo, nutrito alla Fonte della conoscenza sovrumana, non può morire.

E’ pure vero che gli uomini dell’Ahnenerbe non sono stati tutti impiccati come “criminali di guerra” o uccisi a fuoco lento nelle segrete o nei campi di concentramento dei vincitori. Alcuni sembrano pure aver goduto di una strana immunità, come se un cerchio magico li avesse avvolti e protetti, perfino davanti ai “giudici” del processo di Norimberga.

La sezione dell’Ahnenerbe che si occupava in modo particolare di dottrine esoteriche aveva, dice Andrè Brissaud, “un eminente collaboratore nella persona di Friedrich Hielscher, amico dell’esploratore svedese Sven Hedin, di Karl Haushofer, di Wolfram Sievers, d’Ernst Junger ed anche di……Martin Buber, filosofo ebreo”.( Perché no, se quest’Ebreo avesse raggiunto un certo grado di conoscenza della metafisica pura e non svolgesse alcuna attività politica? D.H Lawrence non scrive da qualche parte che “i fiori si incontrano e mescolano i loro colori alla sommità”?)(32) Andrè Brissaud “non sa” se Friedrich Hielscher fosse membro della Thulegesellschaft…..Lo presume. Ma sa che quest’ufficiale superiore SS “svolse certamente un grande ruolo nell’attività esoterica dell’Ahnenerbe ed ebbe una grande influenza sul suo discepolo, il Dott. Wolfram Sievers” (33), Standartenfuhrer SS e segretario generale di quest’Istituto. “Nel momento del processo di quest’ultimo a Norimberga – continua lo storico dell’ “Ordine Nero” – “Friedrich Hielscher, che non fu perseguitato, venne a testimoniare in modo curioso: fece delle digressioni politiche per distogliere l’attenzione e tenne discorsi razzisti volontariamente assurdi, ma non disse niente dell’Ahnenerbe. Nemmeno Sievers parlò. Ascoltò l’evocazione dei suoi “crimini” con un apparente distacco e si sentì condannare a morte con una indifferenza totale. Hielscher non parlò mai, né nel corso degli interrogatori né nel corso delle udienze processuali”(34)

Ci si può domandare quanti ex SS, appartenenti come Hielscher a qualche sezione dell’Ahnenerbe, siano sfuggiti alla vendetta dei vincitori e vivano ancora oggi sulla faccia della terra, non importa dove. Nessun libro come quello di Andrè Brissaud o di Renè Allau o di nessun altro fornirà mai, su questo punto, informazioni di cui i curiosi non sanno che fare e rischierebbero, una volta in loro possesso, di dar luogo a chiacchiere irresponsabili. Per gli autentici discepoli del Fuhrer, che questi lo abbiano o no incontrato nel mondo visibile, sull’esistenza di una tale rete ultrasegreta non vi è alcun dubbio. La ragion d’essere di questa confraternita invisibile e silenziosa consiste nella conservazione di quel nucleo di conoscenze tradizionali e più che umana sul quale è incentrato l’hitlerismo.






Savitri Devi Mukherji






Note:

(1) Louis Pauwels et Jacques Bergier, le matin des magiciens, gallimard 1960( il mattino dei maghi, prima ed. Mondadori, Milano 1963)

(2) Andrè Brissaud, Hitler et l’Ordre Noir,Paris 1969, p. 283.

(3) Ivi p.285

(4) Ibidem

(5) Ivi, p. 283.

(6) Ivi, p. 284.

(7) Ivi, p. 111

(8) I Prussiani erano ancora “pagani”, cioè fedeli ai loro dei germanici, nel quattordicesimo secolo.

(9) Renè Guenon, Symboles fondamentaux de la Science sacrée, Gallimard, Paris 1962. Trad. It. :Simboli della Scienza Sacra, Adelphi, 1975

(10) Andrè Brissaud, Op. Cit.,p. 58

(11) Nato il 3 luglio 1856, morto il 1 agosto 1920. Era un brahmana del Maharashtra, della sottocasta dei Chitpavan

(12) André Brissaud, Op. Cit., pp. 59-60

(13) Ibidem

(14) Klagges – Blume, So war das Reich, p. 15.

(15) René Guenon, Le Roi du Monde, Gallimard, Paris 1950, p. 13.

(16) André Brissaud, Op. cit., p. 285

(17) Per esempio l’ Arya Samaj, che di arya ha solo il nome, dato che anch’essa respinge l’idea della gerarchia naturale delle razze.

(18) Libro che oggi è praticamente introvabile. (L’opera, di cui il titolo esatto è Le Théosophisme, histoire d’une pseudo-religion, è stata edita per la seconda volta nel 1966 dalle Editions Traditionnelles(N.d.c) )

(19) Monsieur Paul Richard. Il suo primo marito si chiamava Alfassa. La “Madre”, ancora viva allorché furono scritte queste pagine, morì nel 1973 all’età di 95 anni.

(20) All’inizio del secolo aveva svolto un ruolo di primo piano nel movimento “terrorista” (antibritannico) del Bengala.

(21) Crusade to Europe è il titolo del libro scritto dal generale Eisenhower sulla sua campagna contro la Germania.

(22) Nel 1947 Grater Fels, presidente della Società Teosofica di Reykjavik, mi assicurava che il “maestro Rajkoski” aveva “aiutato gli Alleati” a comba ttere il Nazismo.

(23) “Worse than the whole pack rolled in one”

(24) Chi scrive ancora, spesso, Midnapore. Città del Begala occidentale.

(25) Madeleine Biardeau, L’Inde, collection “Petite Planete”.

(26) E’ questo il titolo apparso dopo la guerra del feldmaresciallo Rimmel

(27) Bhagavad Gita, II, 31.

(28) Hermann Rauschning, Hitler m’a dit, 13^ ed. Franc., p.34 ( Trad. It.: Hitler mi ha detto,Rizzoli, Milano 1945)

(29) Ivi, p.84

(30) Frau Ilse Hess ha pubblicato una raccolta del suo sposo prigioniero: Londra, Nurnberg, Spandau e Prigioniero della pace.

(31) André Brissaud, Op. cit., p. 285.

(32) Ne Il serpente piumato. (Ed italiana : Mondadori, Milano 1935 ; quarta ristampa della prima edizione Oscar Mondadori, giugno 1957)

(33) André Brissaud, loc. cit.

(34) Ibidem e p. 286.

Avamposto
27-07-10, 11:42
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Avamposto
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Avamposto
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Avamposto
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Avamposto
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Lupo
27-07-10, 13:22
aJsrAtbA0hs

msdfli
07-09-10, 23:41
a parte le foto...il primo post e' interessante

lo ritiro su