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Avamposto
27-07-10, 18:35
Lo Stato selettivo secondo Platone


L’attuale dibattito sulla bioetica è quantomai adatto a riconsiderare il concetto di uomo. Troppi sedimenti devozionali, morali e filosofici si sono innestati sulla naturale complessità dell’essere umano. Che è un organismo vivente fatto di una fisiologia e di un apparato razionale-sensitivo. Troppi interessi dogmatici e ideologici che, col tempo, hanno contribuito a offuscare questa immagine di totalità funzionale. Fino alle derive degli ultimi decenni, intese a frantumare l’idea olistica di uomo in una serie di proclamazioni astratte e razionali, all’origine di innaturali dualismi. Tra queste, ad esempio, si può citare l’ambiguo “diritto alla vita”. A pensarci bene, un assurdo logico, simile al “diritto alla felicità” presente nella Costituzione americana. Un’astrazione. Esso ci appare, piuttosto, come un rovesciamento della tradizionale “volontà di vita”. In base a questa, è infatti il bios che regola i diritti e non viceversa. Distribuendo il bene e il male, la salute e la malattia, la sanità mentale e la demenza, è il bios a decidere i destini, molto prima che una qualsiasi attività terapeutica intervenga poi “di diritto”, a correggere il tipo di esistenza cui ognuno di noi è assegnato.

Eppure, nonostante le preclusioni del pensiero contemporaneo, favorevole a un indiscriminato assegnamento di valore alla vita – sia questa un dono o una condanna –, è di anni recenti il rinato interesse per un ripensamento del significato di persona: sacra unità di corpo e anima, alla maniera antica, oppure scissione tra uomo e cittadino, tra vita e diritto, tra corpo e cura, secondo le intellettualizzazioni progressiste e umanitariste? Già Michel Faucault nel secolo scorso aveva sondato i significati della genealogia. Filosofia e storia, diceva, non sono dialettica democratica, ma lotta e affermazione del tipo. Qualcosa che investe tutto l’uomo, compreso il suo corpo. Lo scontro e il conflitto, dunque, sono alla base della realtà ben più della proclamazione teorica dei diritti, innestata sull’apologia dell’inerme e sulla coltivazione del patologico.

Il potere, la società, tutta la vicenda umana come sintomo di valori ereditari: Faucault arrivò a parlare di una «funzione genealogica del racconto storico». Su questa scia, segnaliamo gli studi recenti di Roberto Esposito: Terza persona. Politica della vita e filosofia dell’impersonale e, di poco precedente, Bìos. Biopolitica e filosofia (entrambi pubblicati da Einaudi), in cui si ripercorrono i tentativi moderni di ricucire la scissione “illuminista” tra corpo e anima. L’uomo come organismo, insomma, di cui fa parte a medesimo titolo sia l’elemento fisiologico sia quello anìmico o spirituale. Il lato “animale” dell’uomo, lungi dall’essere demonizzabile come “inferiore” in virtù di evasioni trascendenti o razionaliste, ha visto nel pensiero moderno – dalla biopolitica di Hobbes sugli impulsi del corpo, al vitalismo di Schopenhauer e alla biocrazia di Comte – tutta una serie di rivendicazioni. Terza persona sarà dunque l’individuata unità di biologia e di ragione che un tempo, con l’organicismo antico, era data per scontata, e che invece – soprattutto in forza della scissione cristiana e poi umanitarista tra corpo e anima – ha finito col costruire personalismi impolitici e astratti. Nel secondo dei libri segnalati, Esposito ha indagato ancora più da vicino il rapporto tra vita e politica. Sia pure da inamidate posizioni “democratiche”, Esposito avvicina i due grandi momenti della vita e della politica: il corpo e la psiche sono a contatto continuo e necessario, sono lo scenario su cui si muove l’uomo. L’uomo conosce la vita attraverso il suo corpo e attraverso la vita altrui, nella dimensione dello scambio comunitario. Vivere socialmente, essere politici, significa impegnare il proprio corpo, metterlo in gioco. L’autore naturalmente criminalizza la biopolitica e il biopotere nazionalsocialisti, che spuntano diremmo fatalmente al centro del discorso corpo-politica in epoca contemporanea. In essi viene osservato il paradigma negativo di un rapporto, che si vorrebbe positivo, tra il radicalismo delle leggi naturali e quello delle leggi politiche. Conciliare la natura e il conflitto con l’intangibilità del corpo: dal punto di vista “democratico”, un bel problema. Comunque, nel ripercorrere la storia dei collegamenti tra uomo, politica e corpo vivente, inevitabilmente, ci si imbatte in Platone. Il suo pensiero è infatti uno dei cardini della logica biopolitica.

È noto come Platone si augurasse pratiche di educazione fisica, eugenetica e igiene sociale molto precise, al fine di ottimizzare la struttura psico-fisica di scelte minoranze atte al comando politico. La sua idea di Stato ideale prevedeva che si attuasse una selezione dei caratteri migliori, ma secondo procedimenti non classisti: in alto come in basso, lo Stato ha il dovere di individuare i tipi più nobili – secondo i caratteri fisici e morali – e di avviarli a un’educazione superiore, così da riservare agli ottimi il governo politico e la guida della comunità. Esposito cita le frasi platoniche in cui si raccomanda il matrimonio soltanto ai “migliori”, evitando il proliferare di unioni tra tipi inferiori. E non nasconde che «Platone si dimostra sensibile all’esigenza di conservare puro il ghènos dei guardiani e in genere dei governanti della polis secondo i rigidi costumi spartiati tramandatici da Crizia e Senofonte». In questo quadro, non si esita a operare confronti tra lo Stato razziale greco e quello che più di ogni altro, in epoca moderna, ha concepito la politica soprattutto come biopolitica, cioè il Terzo Reich. Lo scritto dell’antropologo Hans F. K. Günther Platone custode della vita, del 1928, viene preso ad esempio di come l’igiene sociale, l’eugenetica, la selezione razziale, l’educazione aristocratica e persino l’eutanasia non fossero perversioni dello scientismo moderno, per altro già in atto dalla fine dell’Ottocento in nazioni democratiche come gli Stati Uniti, ma avessero un illustre precedente proprio in una delle più alte vette del pensiero umano, appunto Platone.
Esposito scrive che «quando Günther interpreta l’ekloghé platonica in termini di Auslese o di Zucht, cioè di “selezione”, in realtà non si può parlare di un vero e proprio tradimento del testo, ma piuttosto di una sua forzatura in senso biologistico in qualche modo autorizzata, o almeno consentita, dallo stesso Platone». La recente ristampa del testo di Günther da parte delle Edizioni di Ar – che segue la prima, risalente al 1977 – ci consente di vedere quanto poco forzata fosse l’interpretazione dello studioso tedesco, che in ogni suo punto rimane a diretto contatto col testo platonico.

Vediamo così scorrerci davanti tutta l’inquadratura dello Stato secondo giustizia, che assegna ad ognuno il suo ruolo e a tutti il rango dell’appartenenza alla medesima comunità. Secondo principi di bellezza e armonia esteriori, nobiltà d’animo, sanità fisica e morale. Se nelle Leggi Platone afferma che «i giovani sposi devono pensare a offrire allo Stato, per quanto è loro possibile, i figli più belli e migliori», questo si inserisce nella concezione che il corpo non è faccenda privata, ma bene pubblico: la comunità prospera se ognuno segue le leggi dell’eu-ghènos, della “buona razza”, affinata ereditariamente. Fino al punto di consigliare ai giovani di osservarsi nudi prima di scegliersi e di conoscere le famiglie di provenienza. Favorevole all’eutanasia per malati inguaribili e tarati ereditari («i criminali maggiori, incurabili ormai… e per colui che il legislatore riconosce inguaribile… per tutti costoro è meglio non continuare a vivere…», scrive nelle Leggi), Platone formula anche l’auspicio che la selezione dei caratteri diventi qualcosa di più di una politica, cioè un’arte di Stato: «bisogna che gli uomini migliori si uniscano alle donne migliori più spesso che possono e, al contrario, i peggiori con le peggiori; e si deve allevare la prole dei primi, non quella dei secondi…», si legge nella Repubblica. Tutto rientra infatti nel senso di ordine cosmico, di proporzione, di superiore armonia del tratto: è la kalokagathìa, la bellezza fusa con la bontà, due idee incarnate in un corpo. «Dove dunque a un nobile carattere dell’anima si uniscano analoghi e armonici caratteri nell’aspetto esteriore, partecipi dell’identico modello, là si avrà uno spettacolo assai bello per chi lo vorrà contemplare», afferma Platone l’idealista.

Nel suo breve libro, Günther non fa che riportare questi spunti del pensiero platonico, soltanto commentandoli e inserendoli in quella visione platonica che, più che volgare biologismo (ma perché poi la biologia dovrebbe essere volgare?), appare la manifestazione tangibile dell’Idea. E infatti Günther precisa che la protezione dei caratteri ereditari non è materialismo, tanto meno “zoologia”, ma idealismo realizzato: «Platone, da vero idealista, incoraggia una selezione regolata in maniera da propiziare il manifestarsi delle idee nelle leggi di natura». Su questa materia, Günther fu anticipato di decenni da molti altri. Ad esempio, da Nietzsche. Il concetto di Züchtung in Nietzsche ricorre spesso, e proprio nel senso di selezione razziale per minoranze destinate alla Führung, il comando. Come Platone, anche Nietzsche era favorevole all’eugenetica e all’eutanasia: «La grande politica… mette fine inesorabilmente a tutto quanto è degenerato e parassitario», sta scritto ad esempio nei Frammenti postumi. Ma quello di Nietzsche, come ha ricordato Domenico Losurdo, all’epoca non era un caso isolato, ma una cultura egemone. L’ideologia della selezione, tra Otto- e Novecento, era molto diffusa, tanto che, ad esempio, negli Stati Uniti la sterilizzazione degli incurabili era materia di legge, che rimase in vigore in molti casi – insieme all’apartheid – fino agli anni Sessanta del secolo scorso… Nulla di specificatamente “nazista”, insomma. Anzi, si direbbe che questo complesso di problemi affondi alle radici stesse della nostra cultura. Tanto che il grande classicista Werner Jaeger poté scrivere che «la selezione della razza… nelle teorie di Platone e di Aristotele si spogliò della limitatezza di casta, accompagnandosi all’esigenza dell’educazione statale della nazione intera». Un programma politico. Lo Stato greco non era l’amministratore di individui quali che fossero, ma il selezionatore del genio della stirpe, come diceva Nietzsche. E «il vero senso democratico di Platone – precisò Giorgio Colli – ha la sua giustificazione solo in quanto ha educato questi uomini superiori». L’educazione selettiva, l’ereditarietà, l’igiene della persona e dell’ambiente, la profilassi genetica, le qualità innate e quelle acquisite, nell’epoca del livellamento sembrano dunque fattori da non affidare all’emotività dei mutevoli pregiudizi, ma alla riflessione profonda circa le nostre origini e la qualità del destino che ci attende.

Tratto da Linea dell’11 luglio 2008.



Luca Leonello Rimbotti


Lo Stato selettivo secondo Platone | Luca Leonello Rimbotti (http://www.centrostudilaruna.it/lo-stato-selettivo-secondo-platone.html)

Avamposto
17-08-10, 15:43
La componente politica del platonismo






La componente "politica" del platonismo è stata compresa, in tutta la sua rilevanza e in tutta la sua portata, solamente nel nostro secolo. In primo luogo, fu rivendicata la autenticità della Lettera VII, in cui Platone dice espressamente, tracciando la propria autobiografia, che la politica fu la passione dominante della sua vita. Il Wilamowitz-Moellendorff, poi, nella sua biografia platonica ormai classica, mettendo a frutto il contenuto della Lettera VII, verificò che effettivamente, in tutto l'arco della sua vita, Platone alimentò questa passione politica. Infine, lo Jaeger compì il passo decisivo: egli cercò di dimostrare (sia pure cadendo in eccessi, ma in gran parte con successo) che il problema politico costituisce non solo l'interesse centrale dell'uomo Platone, ma la sostanza e l'essenza della stessa filosofia platonica.Socrate non aveva mai partecipato attivamente alla vita politica: e non solo non sentiva il bisogno di occuparsi di essa, ma la sentiva come qualcosa di estraneo e perfino di avverso. Per contro Platone, sia per nobiltà di nascita, sia per tradizione familiare, sia per spirituale ed intima vocazione si sentì fin da giovane fortemente attratto dalla vita politica. Ecco le affermazioni esplicite della Lettera VII: "Da giovane... provai un'esperienza comune a molti, fermamente deciso a una cosa: appena in grado di disporre della mia volontà, dedicarmi subito alla vita politica".Ma dal partecipare alla vita politica lo trattenne, ben presto, la profonda corruzione degli uomini di governo e del loro costume e delle stesse leggi che egli scoprì essere ingiuste in Atene, ma anche fuori di Atene. Ed ecco allora le sue conclusioni: "Io osservavo tutti questi fatti [si riferisce ad una serie di fatti di corruzione politica che culminarono nella condanna a morte di Socrate], osservavo pure gli uomini che agiscono sulla scena politica, così anche le leggi e le costumanze. E quanto più procedevo con la mia osservazione, e nello stesso tempo quanto più maturavano gli anni della mia vita, tanto m'appariva più manifesta un'immensa difficoltà per chi volesse governar come si deve uno stato. L'azione politica era impossibile, a prescindere da persone amiche e da collaboratori sicuri. E non era cosa agevole trovarne di questi collaboratori, tanto tra quelli che già erano nostri amici (la mia patria non essendo più governata secondo le costumanze degli antenati e secondo le prime istituzioni); così pure difficile, anzi impossibile, acquistarne di nuovi. Si aggiunga ancora che legislazione, costumanze, tutto, con incredibile rapidità, si dissolveva; e il processo era rapidissimo. In conseguenza, nonostante il mio trasporto iniziale verso la vita politica; proprio io, osservando quanto avveniva e vedendo bene come tutto in ogni luogo, in ogni modo, tutto era portato in un suo processo inevitabile d'involuzione: ebbene allora, di fronte a questa situazione, fui colto da un senso di vertigine e non pensai certo a distogliere il mio sguardo dagli eventi, in attesa che un giorno il corso ne diventasse migliore (e non solo questi singoli eventi, ma soprattutto migliore lo spirito delle singole costituzioni); ma differivo sempre il momento opportuno per agire. E così finii per comprendere in unico sguardo ogni città affermando che senza eccezione tutte soffrono per governi non convenienti. La legislazione infatti presenta da per tutto condizioni che si possono dire disperate; sarebbero necessari sistemi di riforme eccezionali, con l'aiuto anche di un concorso favorevole di fortuna. Insomma fui ineluttabilmente addotto ad apprezzar la buona filosofia e a concludere che solo dall'opera di lei è possibile sperar di vedere un giorno giusta la politica degli stati e giusta la vita dei cittadini. Oh! certo le sciagure e le sventure non avranno termine per il genere umano se non nel giorno in cui i veri e puri filosofi potranno pervenire a reggere il potere; nel giorno in cui le classi dirigenti nei vari stati verranno infiammate, per qualche grazia che Dio conceda, da amor verace di sapienza, costituite insomma da filosofi". Ecco, dunque, la convinzione che Platone ha maturato, come subito dopo ci dice, negli anni in cui venne per la prima volta in Italia, cioè, all'incirca, verso i quarant'anni, al momento della composizione del Gorgia, in cui viene sostenuta l'identica concezione. Questo dialogo, che è una esplosione di misticismo, è, nello stesso tempo, una esplosione di passione politica e un proclama di una nuova concezione della politica. Arte politica e concetto di Stato vanno ridimensionati in funzione delle istanze del socratismo. Mentre la vecchia politica e il vecchio Stato avevano il loro strumento più potente nella "retorica" (nel senso classico del termine che ben conosciamo), la nuova, vera politica e il nuovo Stato dovranno avere invece il loro strumento nella filosofia, perché questa rappresenta l'unica sicura via di accesso ai ualori di giustizia e di bene, che sono la vera base di ogni autentica politica e dunque del vero Stato E perciò Platone non esita a mettere in bocca a Socrate (con cui egli ormai si identifica) questa frase di sfida: "Io credo di essere tra quei pochi Ateniesi, per non dire il solo, che tenti la vera arte politica, e il solo tra i contemporanei che la eserciti".


La componente politica del platonismo (http://utenti.multimania.it/ferdinando83/page27.html)

Avamposto
17-08-10, 15:49
Hans F.K. Gunther - "Platone custode della vita"

Edizioni di "Ar" - Collana Paganitas
Padova - € 12,00


È nella sinergica unione di «selezione» e «educazione» che Hans E K. Gunther (1891-1968)
individua il nucleo della concezione platonica dello Stato. Con la sua sensibilità nordica, Platone cercò di opporsi allo spirito essenzialmente levantino
suggerendo agli Ateniesi di imparare dall'antica Sparta delle dottrine sofistiche,
la saggia idea della selezione, una sorta di tutela della salute ereditaria (eugenica), le cui intuizioni e
aspirazioni concordavano perfettamente con quelle della più recente ricerca scientifica sulla ereditarietà (eugenetica, igiene razziale).



http://www.edizionidiar.com/images/platone_custode.jpg

Avamposto
04-10-10, 11:22
http://philosophos73.files.wordpress.com/2007/12/parmenidesofista-platone.jpg





http://www.centrostudilaruna.it/wp-content/platone06.jpg

Avamposto
04-10-10, 11:24
La concezione politica di Platone -




Ci sarà un buon governo solo quando i filosofi diventeranno re o i re diventeranno filosofi.(Platone)




Per comprendere la politica di Platone, bisogna partire dalla concezione che Platone ha dell’anima e dell’uomo.
Fondamentale è il dualismo anima/corpo. Queste due entità sono nettamente separate e antitetiche.
L’anima è la parte pura dell’uomo, il copro è quella torbida.

“L’anima è in sommo grado simile a ciò che è divino,immortale,intelligibile,uniforme,indissolub ile,sempre identico a se medesimo, mentre il corpo è in sommo grado simile a ciò che è umano, mortale,multiforme, inintelligibile,dissolubile e mai identico a se medesimo”:

I mali dell’uomo sono dovuti principalmente al copro ed ai suoi desideri irrefrenabili.

“Infatti, il corpo ci procura innumerevoli preoccupazioni per la necessità del nutrimento; e poi le malattie, quando ci piombano addosso, ci impediscono la ricerca dell’essere. Inoltre, esso ci riempie di passioni,amori, di paure, di fantasmi di ogni genere e di molte vanità, di guisa che, come suol dirsi, veramente, per colpa sua, non ci è neppure possibile pensare in modo sicuro alcuna cosa. In effetti, guerre, tumulti e battaglie non sono prodotti da null’altro se non dal corpo e dalle sue passioni. Tutte le guerre si originano per brama di ricchezze e le ricchezze noi dobbiamo di necessità procacciarle a causa del corpo, in quanto siamo asserviti dalla cura del corpo.”

Il corpo viene visto come prigione dell’anima e,per questo, è ciò che causa i mali della società civile.
“Mi vergogno di avere un corpo” – dirà Plotino portando ad estreme conseguenza il dualismo platonico.

Dunque prima di tutto un buono Stato è quello che cura l’anima e tiene a bada il corpo e le sue volizioni. Lo Stato deve provvedere al sostentamento dei cittadini, ma evitare gli eccessi. È richiesta moderazione nei piaceri carnali e frugalità nell’alimentazione.
Il governo deve educare i cittadini e se necessario intervenire in mdo autoritario, per evitare che i desideri del corpo prendano il sopravvento sull’anima.
Ma la stessa anima,in realtà,non è unita. Essa è divisa in parti molto diverse tra loro: concupiscibile, irascibile e razionale.
L’anima concupiscibile è quell’anima che appetisce alla realizzazione di qualcosa. La sua virtù è la temperanza.
L’anima irascibile desidera combattere. La sua virtù è il coraggio.
L’anima razionale è quella che ama il pensiero. La sua virtù è il sapere.

L’uomo buono è quello che riesce a coordinare armonicamente le tre parti dell’anima in modo armonico.

“Come abbiamo detto più volte che in noi furono collocate tre specie d’anima in tre luoghi diversi, ciascuna con movimenti suoi propri, così anche ora si deve dire nel modo più breve che quella di esse, che rimane inattiva e lascia riposare i suoi movimenti, diviene necessariamente la più debole, e quella che invece si esercita, la più forte: e perciò si deve badare che ci sia proporzione fra i loro movimenti. (Timeo, 89 e 90 d)

Lo Stato buono è come uno specchio dell’uomo buono. Ognuno deve fare ciò che gli compete, in rapporto armonico con le altre componenti dello stato.

Come immagine del corpo, Platone divide lo Stato in tre classi che egli chiama funzioni, dato che i membri sono distinti solo dai compiti gli vengono assegnati, ma hanno parità di diritti. Tutte e tre le classi sono indispensabili nello svolgere bene quello che gli compete.
E così l’anima concupiscibile è più adatta al lavoro produttivo. L’anima irascibile è più adatta alla difesa della città. L’anima razionale è quella dei filosofi che devono governare. Perché proprio i filosofi?
In modo stupido (ma forse neanche troppo falso), potremmo dire perché Platone è un filosofo. Ed è caduto nello stesso errore che Socrate aveva tanto criticato: pensare che la propria disciplina sia l’unica che possa cogliere la verità, mentre le altre le sono inferiori.
In modo più benevole potremmo dire che il filosofo, in quanto amante disinteressato del sapere e della ragione, è in grado di determinare la verità ed, in termini platonici, è l’unico può cogliere l’idea del Bene: il filosofo è l’unico vero politico.

Dunque, gli uomini, vengono classificati in base ad alcune caratteristiche naturali. Bisogna tenere presente però che il possesso di un certo tipo di caratteristica non è esclusivo. L’uomo non è una sola delle tre parti, ma sono sempre presenti tutte, anche se c’è la predominanza dell’una o dell’altra parte. Lo stato ottimo è quello che riesce ad organizzare meglio le attività in funzione delle peculiarità proprie di ciascuno, per cui ognuno faccia ciò che gli compete in armonia e in sottomissione alla ragione dei filosofi, che a loro volta sono sottomessi all’idea del Bene.

Lo stato è quindi molteplicità, che si costituisce in unità. E unità che si sviluppa nella molteplicità dei singoli (procedimento dialettico).
La politica estera ricalca la struttura dell’organizzazione interna. La Grecia va unita, mantenendo l’autonomia delle parti. Le città nella loro unità devo essere in armonia con lo stato intero.
Se non ci sarà unità ma discordia,i barbari avranno la meglio.

Come abbiamo detto, tutti i cittadini sono uguali e Platone sottolinea come gli uomini siano tutti fratelli. Le opportunità nella società sono uguali per tutti,indipendentemente dalla nascita.
Un uomo può anche diventare parte di una classe differente da quella della famiglia.
Tutti devono avere con gli stessi privilegi dall’operaio al politico.
Tutti devono avere lo stesso quantitativo di beni materiali, in modo che non nascano gelosie ed invidie. I beni sono dello stato che li condivide con i cittadini, ma la proprietà privata è pericolosa. Addirittura anche le famiglie devono perdere la propria identità.

“Queste donne di questi nostri uomini siano tutte comuni a tutti e nessuna abiti privatamente con alcuno; e comuni siano poi i figli, e il genitore non conosca la propria prole, né il figlio il genitore. ” (Repubblica 457 d)

Non sapendo di chi è figlio un ragazzo, tutti gli appartenenti alla comunità lo tratteranno bene perché avranno sempre il dubbio che sia uno dei loro figli. La discriminazione non viene dunque fatta in base a privilegi di classe, ma solo in base alla realizzazione di sé, mediante una specifica funzione. In altre parole è un sistema basato sulla meritocrazia.

La definizione dello stato parte dell’idea di giustizia. La giustizia non ha senso se riferita a singolo, ma esiste solo in quanto si risolve in rapporti con lo Stato. L’uomo è, per sua natura, in rapporto con gli altri e dunque non c’è uomo senza società e senza stato.

“Secondo me, uno stato nasce perché ciascuno di noi non basta a se stesso, ma ha molti bisogni. Cosí per un certo bisogno ci si vale dell’aiuto di uno, per un altro di quello di un altro: il gran numero di questi bisogni fa riunire in un unica sede molte persone che si associano per darsi aiuto, e a questa coabitazione abbiamo dato il nome di stato.” (Repubblica 369 b-c)

Se rimanessi ancorati alla visione del singolo uomo, resteremmo chiusi nel mondo delle opinioni. Perché sia attuabile il Bene, occorre rendere la politica una scienza. Lo stato giusto è quello che rende giusti i cittadini, come singoli, ma facenti parte di un tutto (notiamo ancora una volta il discorso dialettico, unità nella molteplicità e molteplicità nell’unità). La giustizia si attua nello stato, se ognuno fa quello che gli compete. Lo stato esiste solo se i singoli svolgono bene le proprie funzioni. La giustizia è dunque “fare ognuno ciò che gli compete” per il Bene dello stato, in armonia con gli altri componenti della società.Dunque i cittadini devono sottomettersi all’ideale della Giustizia e operare in funzione del bene dello stato svolgendo bene le proprie mansioni.

“Il nostro scopo nel fondare lo Stato non è di rendere felice un unico tipo di cittadini, ma che sia felice quanto il più possibile lo stato nella sua totalità.”
(Repubblica, 420b-c)

Lo stato di Platone non è ne Democratico né Oligarchico. La democrazia è troppo dispersa nel conflitto dei “demi” e dei singoli. Con il passare del tempo, si genererebbe una lotta di potere che sfocerebbe in cicli di oligarchie e tirannidi. Anche queste ultime sono forme di governo negative in quanto non c’è conflitto, ma non c’è neanche armonia.
Più in particolare,le forme degeneri di stato sono:

Timocrazia :governo di chi aspira agli onori e al potere;essi sono un guaio per la città perché propongono una politica aggressiva ed imperialistica per avere onori.
Oligarchia: governo di chi aspira ai beni materiali e tende a impoverire gli altri per arricchirsi; provocano sofferenza nei poveri e instabilità (per la possibile nascita di ribellioni).
Democrazia: ogni gruppo tenta di imporre le proprie idee; lo Stato divine tanti stati separati tra loro. C’è dispersione e governa l’utile di chi si sa imporre.
Tirannide: potere dispotico di un singolo. È La peggiore forma di governo. E il tiranno è costretto a realizzare uno stato di terrore generalizzato, per mantenere il potere.
Platone propone uno stato razionale. La politica diventa scienza, non è più opinione.Lo stato deve essere ordine e misura, non disperso, conflitto opinione, ma scienza, armonia, governo di sé.

A questo punto, tutta la vita dello delle persone è regolata in ogni particolare. La vita dei cittadini è dello stato. Platone, nella Repubblica, e più a fondo nelle Leggi, arriva a sviluppare un’analisi minuziosa di ciò che dovrebbe essere vietato e permesso. E addirittura arriva a proibire alcuni tipi di arte. La poesia, sia quella omerica che quella contemporanea, per Platone, ostacolano la formazione dell’uomo perché tendono ad agire sugli affetti e sull’immediatezza sensibile, in quanto danno origine a pallide e fantasiose imitazioni della realtà (mimesi fantastica) che sollecitano la parte meno divina dell’anima. Il poeta è equiparato al sofista, entrambi sono illusionisti: incantano le persone con la menzogna. Ancora peggiore è il giudizio che Platone dà delle arti figurati che,essendo ancora più legate alla sensibilità, andrebbero bandite in modo definitivo.
Solo la poesia, se fosse tesa verso l’imitazione del bello e del giusto, potrebbe essere utile per avvicinare l’uomo al vero, come imitazione del vero (mimesi icastica).
Stesso percorso per la religione. Gli dei sono buoni, devono essere bandite tutte le opere che li rappresentano come uomini irascibili, voluttuosi e vendicativi.

“E allora torneremo a pregare Omero e tutti gli altri poeti di non mettere in scena un Achille, il figlio di una dea, mentre talora giace su un fianco , tal altra
si trova supino, tal altra ancora piegato innanzi,
oppure mentre ritto sui piedi, si aggira fuori di sé sulla spiaggia del mare agitato.

Neppure dovrebbe mostrarci, come in effetti ci ha presentato, un Achille che indulge a pianti e lamenti, e neppure un Priamo, un uomo di stirpe quasi divina, nell’atteggiamento di un supplice e di chi, avvoltolandosi nel fango chiama nome per nome ciascuno degli uomini”.

Gli Dei e gli eroi devono essere rappresentati come modelli di vita e di virtù. I modelli di comportamento negativi narrati dai poeti stimolano all’ingiustizia ed alla malvagità e finiscono per legittimare i comportamenti immorali degli uomini.
Insomma,la poesia e la religione devono educare l’uomo alla giustizia
(Se Platone avesse potuto conoscere il cinema, sarebbe morto di terrore. – Mario Andrea Rigoni)

Anche l’educazione, nella Repubblica, è piuttosto rigida e deve essere specifica per ogni classe.
Quella dei filosofi in particolare prevede: un primo periodo di educazione e di ginnastica che va fino ai 20 anni; dieci anno di studi (dai 20 ai 30) in varie discipline ed, in particolare, della matematica; a questo punto i più capaci possono essere avviati alla dialettica fino ai 35 anni. Dai 35 ai 50 anni devono iniziare a praticare attività politica; e infine, i veri dialettici,coloro che hanno raggiunto la conoscenza filosofica, potranno – dai 50 anni in poi – governare a turno la città, dedicando il resto del tempo alla filosofia.




La Politica di Platone (http://www.npensieri.it/index.php/filosofia/platone/la-concezione-politica-di-platone/)

Antonio
04-10-10, 11:55
La concezione politica di Platone è, riaggiornata e contestualizzata all'oggi, ancora utile e attuale.
La democrazia liberale non è l'unica forma di democrazia, anzi. Probabilmente è la peggiore, perchè dà il potere alla Massa invece che al Popolo.

Ottimo 3d, comunque.
Andrebbe sviscerato e approfondito parte per parte.

Avamposto
04-10-10, 12:05
La concezione politica di Platone è, riaggiornata e contestualizzata all'oggi, ancora utile e attuale.
La democrazia liberale non è l'unica forma di democrazia, anzi. Probabilmente è la peggiore, perchè dà il potere alla Massa invece che al Popolo.

Ottimo 3d, comunque.
Andrebbe sviscerato e approfondito parte per parte.

Concordo sulla necessità di approfondire parte per parte questa mole di dati e analisi sulla filosofia platonica del vero Stato.

Sicuramente quando parliamo di "democrazia" intendiamo attualmente esclusivamente quella prefigurata dalla scuola liberale contemporanea.

Un non senso degenerativo della visione livellatrice tipica delle scuole demo-liberiste moderne (originariamente liberalismo e democrazia sarebbero concetti difformi ma, non da oggi, l'uno si sovrappone oramai all'altro nel dibattito sui sistemi politici e la formulazione delle teorie del "vero Stato" moderno) .

Antonio
04-10-10, 17:15
Concordo sulla necessità di approfondire parte per parte questa mole di dati e analisi sulla filosofia platonica del vero Stato.

Sicuramente quando parliamo di "democrazia" intendiamo attualmente esclusivamente quella prefigurata dalla scuola liberale contemporanea.

Un non senso degenerativo della visione livellatrice tipica delle scuole demo-liberiste moderne (originariamente liberalismo e democrazia sarebbero concetti difformi ma, non da oggi, l'uno si sovrappone oramai all'altro nel dibattito sui sistemi politici e la formulazione delle teorie del "vero Stato" moderno) .

In grasseto hai evidenziato, ed io condivido, la truffa liberaldemocratica che si propone come unica democrazia.
Come certamente saprai, la Democrazia (dal greco Demos, popolo e Kratos, potere) significa Potere al popolo... invece dai liberali illuministi fu tradotta come Governo del Popolo. E' una differenza importante: nel secondo caso, il popolo per governare e governarsi necessiterebbe di una classe politica e di istituzioni come il parlamento (trapasso dalla democrazia organica greca alla democrazia indiretta liberale).

Serve una nuova democrazia che segni un ritorno alla democrazia organica e popolare, ovviamente riattualizzando quelle strutture e quei funzionamenti.

Per questo io non mi definisco antidemocratico... in quanto i veri antidemocratici sono i liberali!

msdfli
04-10-10, 18:30
segnalo nei supermarket rossi

LA REPUBBLICA DI PLATONE a € 4,90

praticamente regalato

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Antonio
05-10-10, 17:09
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Ottimo!

stanis ruinas
02-02-11, 09:39
Ottimo thread.

Andrebbero sviluppate discussioni come queste - specie in questi ultimi tempi di deriva del senso dello Stato di cui un pò tutti parlano ma solo ed esclusivamente in funzione di una faziosa lite da galline pro o anti-berlusconi - per cercare di dare direttive e indirizzi sicuri alle future generazioni e a chiunque sia alla ricerca di punti stabili, etici prima che morali; politici prima che sociali, sulla reale identificazione Stato-popolo-società.