Avamposto
28-07-10, 15:23
CONFERENZE
«A Beppe Niccolai, non un ricordo, ma una speranza!»
la Federazione del MSI-DN di Forlì
Prefazione
Questo opuscolo, che raccoglie gli Atti della Conferenza tenuta da Beppe Niccolai a Forlì nel Maggio dello scorso anno, è la testimonianza autentica d'amore e d'affetto che Beppe ebbe sempre per il personaggio Bombacci.
Del grande agitatore politico romagnolo, Niccolai non pretese di ricostruire, nella sua indagine politica e storica, l'immagine di una personalità e di una vita (peraltro così complesse), ma piuttosto indicare la traccia dell'Uomo prima del politico, che si fece carico, fino al sacrificio estremo e con totale dedizione, dei bisogni della gente che lavora e che soffre.
Queste pagine, se verranno meditate, potranno aiutare il lettore come contributo e suggestione alla ricerca della verità.
Del resto, l'opera e la vita di Nicola Bombacci costituiscono una buona garanzia di verità.
Oggi, a un mese dalla morte di Beppe Niccolai, ci è sembrato doveroso pubblicare, sia pure in veste dimessa, questo libretto.
Bombacci e Niccolai: due vite così lontane nel loro cammino apparente, quanto vicine nella prospettiva di un mondo migliore e nel contributo pagato a questo scopo fino all'ultimo respiro.
Forlì, 30 novembre '89
Sergio Montalti
Nota:
La pubblicazione della conferenza tenuta da Giuseppe Niccolai a Forlì, in Palazzo Gaddi, il 14 maggio 1988, è fatta in base al testo scritto dell'autore. Si è preferito rispettare il tono orale, lasciando alla forma il carattere espositivo proprio della comunicazione verbale.
Nicola Bombacci
Passione e rivoluzione
Giuseppe Niccolai
Ringrazio, di cuore, la Federazione di Forlì, in particolare il suo Segretario Federale, l'ISPES, di avermi dato la possibilità di ricordare, qui nella sua terra, Nicola Bombacci.
Ciò accade dopo 43 anni dalla sua morte. Per la prima volta, dopo questo lunghissimo e tormentato dopoguerra, torna un suo ricordo.
E lo fa una Comunità che questo «personaggio» disegna, o meglio interpreta come nessuna analisi politica potrebbe fare; la Comunità, dentro la quale, per amore dell'Italia, ci si è, spesso, fatti trasgressivi; e che in questa Comunità si può stare, a condizione che si sia trasgressivi specie nei momenti che contano.
Per farmi intendere, per rendere attuale il mio pensiero dirò, anche per rispondere a chi in questi giorni, ci interroga e ci dipinge, in relazione alle vicende francesi, che è Nicola Bombacci che costruisce, modella il nostro volto, non Jean Marie Le Pen.
Il primo è sangue, sangue nostro, è storia, radici; il secondo è cronaca, cronaca vivace ma destinata a passare, che insomma non ci costruisce, anche se ci interessa.
* * *
Nicola Bombacci o se si vuole, così come amava chiamarlo Mussolini, Nicolino Bombacci.
Risuonano, nel pronunciare il suo nome, tempi lontani ma per una contrapposizione che ha la forza di un urto violento; dentro coloro che quei tempi vissero e che questi tempi vivono; quel nome pone subito un confronto che, se ci fate caso è già, d'un colpo, tutto favorevole a Nicolino Bombacci e a coloro che 70-60-50-40 anni fa vissero, dalle varie sponde politiche, la passione del fare politica.
Il confronto fra quegli uomini di allora, gli uomini del Secolo delle Rivoluzioni e gli uomini di oggi; di questa Democrazia consociativa che, al posto delle idee si nutre di affari, di tangenti che, al posto delle passioni e delle idee, si accorda in ordine al motto «io da una cosa a Te e Tu dai una cosa a me», nel migliore dei casi perché, nel peggiore, la filosofia che oggi ispira la condotta politica e civile è quella della violenza.
Il cinismo ha demistificato tutto, al punto che i rapporti politici altro non sono che puri rapporti di forza per cui la mafia, in tutti i suoi comportamenti, non ultimo quello del linguaggio (il linguaggio ermetico dei politici che è fatto per ingannare) è divenuta cardine della vita politica italiana e Torino non è meno palermitana di Palermo.
Gli uomini politici dei tempi di Bombacci e quelli di Nicolazzi.
Cosa era la politica per Nicolino Bombacci? Un mestiere per fare soldi? Una professione? Una cultura, come si dice in giro?
Nulla di tutto questo. Era passione civile. La politica, lo scriverà senza vergognarsene, non era per lui cultura, ma, semplicemente, quella cosa per cui uno si occupa dei guai degli altri come se fossero propri.
E per quei guai è disposto a dare la vita.
* * *
Il Secolo delle Passioni e i tempi del temporeggiare, dell'allusione, del dire e del non dire, della parola predicata che non è quella vissuta, del fraseggio in cui ci puoi leggere tutto e il suo contrario.
Le parole di Moro, Spadolini, De Mita, le parole che si pronunciano adesso, le parole che si dicevano allora quando Bombacci si pronunciava per la Rivoluzione Sociale.
Gli uomini politici: il loro mestiere, nelle due epoche. Il mestiere oggi dell'uomo politico. È squallido. Perché? Perché è legato al grigiore delle proprie opere, alla inconcludenza del proprio mandato.
Come infatti rendersi, oggi, utili alla gente che lavora, che fatica, che pensa, che studia, che, in fondo, manda avanti la barca di quest'Italia ?
Si può dissentire sulla vita che Nicolino Bombacci si è costruita. Si può condannarla.
Il suo passato di rivoluzionario, di comunista, di amico di Mussolini, di socialista tutto particolare; ma su una cosa è difficile dissentire: la carica di umana simpatia che da tutta la sua tormentata vicenda sprigiona.
Ricorda quella di Filippo Corridoni, il rivoluzionario sindacalista morto a trent'anni alla trincea delle Frasche. Anche a lui, che passa gran parte della sua vita nelle carceri per la «redenzione del lavoro», quando è per l'intervento, gli gridano «traditore»; come faranno con Bombacci; ebbene in quella invettiva c'è odio e amore insieme... Perché dietro i comportamenti di Bombacci e Corridoni, dietro la loro scelta che li porterà alla morte, tutto può esserci, anche la passione sbagliata, mai però calcolo, opportunismo, doppio gioco.
Alla base della vita di Nicola Bombacci, anche dei suoi errori, vi è la bontà, mai la cattiveria. «Simpatia umana» che è forza morale
Significa essere nati per sentire i bisogni degli uomini, di chi soprattutto soffre. Capire e soffrire i bisogni di una Città, di una Regione, di una Nazione. Avere il dono e la capacità di rappresentare concretamente, dentro di sè, gli uomini che vanno nel campo, nell'officina, nell'ufficio, nella scuola, dovunque si lavora, si pensa e si soffre.
Simpatia umana: sapersi rappresentare concretamente dentro di sè, il dolore dell'altro, vicino o lontano, qualunque credo professi, qualunque ingiustizia patisca.
* * *
Si vive il tempo delle demonizzazioni. Si criminalizza la storia per farne strumento di lotta politica. È toccato a Mussolini, è toccato a Bombacci. Tocca ora a Togliatti. La demonizzazione investe perfino la Chiesa di Cristo. Chi è nel giusto?
Comunque questo: gli uomini di allora possono essere stati scossi, nel tentativo del riscatto umano definitivo, da passioni, sogni disperati, ma hanno scritto -perdenti o vincenti che siano risultati- storia, sanguinosa quanto volete carica di dolore, ma storia che ha tentato di cambiare il mondo, e con quella storia gli uomini di oggi devono, volenti o no, fare i conti.
Non saranno, certo, ricordati per il fascino della tangente. La tangente, per i politici di oggi è l'occasione più gratificante di una grigia vita politica. Non si riesce a costruire storia. La tangente, il furto, è il surrogato di una Storia che non si riesce più a scrivere.
I rossi fiumi della Storia. Di oggi si può dire, perdonate la crudezza delle parole con Louis Ferdinand Cèline, "L'Ecole des Cadavres":
«Noi spariremo, corpi e anime, da questo territorio al pari dei Galli, questi folli eroi, i nostri grandi antenati in futilità, i peggiori zimbelli del cristianesimo. Non ci hanno lasciato neppure una ventina di parole del loro linguaggio. Di noi se si conserverà la parola "merda", sarà già una grande cosa»
Pier Paolo Pasolini: «Noi ci troviamo alle origini di quella che sarà la più brutta epoca della storia dell'uomo: l'epoca della alienazione industriale» ("Vie Nuove", 69)
Per capire Bombacci e i suoi tempi, è necessario partire da questi tempi, quanto essi siano lontani da quelli.
Siamo su un altro pianeta. Le mollezze del consumismo del darvinismo tipo "Dallas", "Dinasty" che spesso ci portano nel benessere, (non nella felicità, che è un'altra cosa!), alla noia e i nostri figli alla droga, rendono difficile capire quegli uomini che vissero il secolo del ferro e del fuoco, ma la loro vita non fu certo squallida.
Siamo qui a parlarne. Fra anni, a parlarne, saranno molti di più.
Nella ancora calda disputa del fascismo-antifascismo, il giornalista Domenico Campana su "il Giorno" (4-1-88) ha scritto: «Che si debba recitare il De profundis tanto al fascismo che all'antifascismo è una cosa che prima o poi deve accadere. Fascismo e antifascismo rappresentano due isole culturali "eroiche" in un paese che di eroico non vuole avere più nulla. Perché considera l'eroismo pericoloso, sciocco retaggio del passato e soprattutto portatore di guai. Si sono sbriciolati i fiori sulle tombe delle camicie nere adolescenti che affrontavano a mani nude i carri armati inglesi nel Sahara. Si sbriciolano le lapidi dei ragazzi partigiani fucilati. Viviamo nel tempo opaco e confortevole del centrismo, delle buone intenzioni e dei buoni affari. L'attuale dibattito su fascismo e antifascismo non serve che a demonizzare l'uno e l'altro, mostrandone ancora una volta i difetti, le colpe, il fanatismo, a tutto vantaggio di chi tende all'ordine, a un ordine senz'anima, che non saranno certo tisiche e indecise riforme istituzionali a rendere nuovo».
Nicola Bombacci è da collocarsi nell'isola «eroica»?: fa anzi parte di tutte e due, le due rivoluzioni che scossero il XX Secolo: il fascismo e il comunismo.
Le due Isole eroiche e l'Italia che sta alla finestra e scende per strada, a cose fatte, per dire: «c'ero anch'io, e ho diritto di comandare».
Vecchia storia. L'arroganza del potere, sotto tutte le divise, quella liberale, quella democratica, quella socialista, quella fascista. Sto dalla parte giusta, posso permettermi tutto. Le arroganze patite, sofferte, provocate «da chi è stato alla finestra», hanno distrutto, nel popolo, ogni fiducia nei propri governanti, fino in se stessi. Nessun rispetto per la collettività, genuflessioni, il baciar la scarpa al potente di turno: perché può tutto. Ciò viene da lontano.
Curzio Malaparte, ne "I Santi Maledetti" (un libro tre volte sequestrato da Giolitti, Bonomi e dal fascismo) traduceva la parola d'ordine interventista di Mussolini: guerra per la rivoluzione! Malaparte difendeva la Fanteria di Caporetto, dandovene una versione di classe, contro le accuse di vigliaccheria lanciate da Cadorna alla truppa, una rivolta del proletariato delle trincee ai maltrattamenti dei comandi (carneficine nelle battaglie campali, migliaia di morti messi in bilancio per conquistare poche centinaia di metri, rancori per angherie inenarrabili, divieto ai Fanti di entrare in un caffè, di uscire in compagnia di donne, feriti trattati come rognosi, ammalati curati come bestie, disprezzati, nutriti di brodaglie immonde).
«In quel libro -scrive Malaparte- la storia del popolo italiano dal 1918 in qua. Poiché tutte le vicende della vita italiana, negli ultimi 40 anni, nascono dalla dolorosa esperienza di quella guerra e soprattutto dalla scoperta che v'erano due Italie. L'Italia dei codini, dei bigotti, degli sbirri, dei ladri, degli Alti Comandi (e per Alti Comandi non intendo solo quelli militari), di tutti coloro che disprezzano il popolo italiano, lo sfruttano, lo opprimono, l'umiliano, l'ingannano, lo tradiscono, quella Ignobile Italia che la mia generazione, e tutte le generazioni del Carso e del Piave, hanno rifiutato e rifiutano. È l'Italia -questa del mio libro- della fanteria, l'Italia della povera gente, generosa, leale, onesta, coraggiosa, nemica d'ogni sopruso, d'ogni privilegio, nella quale abbiamo creduto e crediamo».
Se fate attenzione qui è racchiuso quel nazionalpopulismo di cui, nel tramonto sanguigno del fascismo, si fece portatore Nicola Bombacci. E che dà -cercheremo di spiegarne le ragioni- nella storia degli anni del nostro Paese che vanno dal 1900 al 1945 (e se si vuole fino ai giorni nostri) un posto e un ruolo a Nicola Bombacci moralmente più alto e di grande significanza di quello che hanno avuto e avranno i Capi del PCI, finiti per essere oggi dei pallidi riformisti del neo-liberalismo americano. Il capitalismo, per loro, ha vinto e va accettato.
Nicolino Bombacci viene da loro, comunisti, e per conto della V^ Armata americana, fucilato, sul lago di Como.
Grida, morendo, «viva il socialismo». Oggi, a oltre 40 anni, il socialismo di Bombacci è tutt'altro che morto. Quello del PCI è sepolto. Ed è il capitalismo a sotterrarlo. Non è un'affermazione di parte, avventata. Sono i fatti che, nella loro eloquenza, parlano. E non temono smentite.
Bombacci, il rivoluzionario. Il tentativo di svalutarlo su due piani. Si argomenta: non era nulla. Non rappresentava nulla. Tutt'al più una immagine folcloristica.
(continua)
Nicola Bombacci (http://www.beppeniccolai.org/Bombacci.htm)
«A Beppe Niccolai, non un ricordo, ma una speranza!»
la Federazione del MSI-DN di Forlì
Prefazione
Questo opuscolo, che raccoglie gli Atti della Conferenza tenuta da Beppe Niccolai a Forlì nel Maggio dello scorso anno, è la testimonianza autentica d'amore e d'affetto che Beppe ebbe sempre per il personaggio Bombacci.
Del grande agitatore politico romagnolo, Niccolai non pretese di ricostruire, nella sua indagine politica e storica, l'immagine di una personalità e di una vita (peraltro così complesse), ma piuttosto indicare la traccia dell'Uomo prima del politico, che si fece carico, fino al sacrificio estremo e con totale dedizione, dei bisogni della gente che lavora e che soffre.
Queste pagine, se verranno meditate, potranno aiutare il lettore come contributo e suggestione alla ricerca della verità.
Del resto, l'opera e la vita di Nicola Bombacci costituiscono una buona garanzia di verità.
Oggi, a un mese dalla morte di Beppe Niccolai, ci è sembrato doveroso pubblicare, sia pure in veste dimessa, questo libretto.
Bombacci e Niccolai: due vite così lontane nel loro cammino apparente, quanto vicine nella prospettiva di un mondo migliore e nel contributo pagato a questo scopo fino all'ultimo respiro.
Forlì, 30 novembre '89
Sergio Montalti
Nota:
La pubblicazione della conferenza tenuta da Giuseppe Niccolai a Forlì, in Palazzo Gaddi, il 14 maggio 1988, è fatta in base al testo scritto dell'autore. Si è preferito rispettare il tono orale, lasciando alla forma il carattere espositivo proprio della comunicazione verbale.
Nicola Bombacci
Passione e rivoluzione
Giuseppe Niccolai
Ringrazio, di cuore, la Federazione di Forlì, in particolare il suo Segretario Federale, l'ISPES, di avermi dato la possibilità di ricordare, qui nella sua terra, Nicola Bombacci.
Ciò accade dopo 43 anni dalla sua morte. Per la prima volta, dopo questo lunghissimo e tormentato dopoguerra, torna un suo ricordo.
E lo fa una Comunità che questo «personaggio» disegna, o meglio interpreta come nessuna analisi politica potrebbe fare; la Comunità, dentro la quale, per amore dell'Italia, ci si è, spesso, fatti trasgressivi; e che in questa Comunità si può stare, a condizione che si sia trasgressivi specie nei momenti che contano.
Per farmi intendere, per rendere attuale il mio pensiero dirò, anche per rispondere a chi in questi giorni, ci interroga e ci dipinge, in relazione alle vicende francesi, che è Nicola Bombacci che costruisce, modella il nostro volto, non Jean Marie Le Pen.
Il primo è sangue, sangue nostro, è storia, radici; il secondo è cronaca, cronaca vivace ma destinata a passare, che insomma non ci costruisce, anche se ci interessa.
* * *
Nicola Bombacci o se si vuole, così come amava chiamarlo Mussolini, Nicolino Bombacci.
Risuonano, nel pronunciare il suo nome, tempi lontani ma per una contrapposizione che ha la forza di un urto violento; dentro coloro che quei tempi vissero e che questi tempi vivono; quel nome pone subito un confronto che, se ci fate caso è già, d'un colpo, tutto favorevole a Nicolino Bombacci e a coloro che 70-60-50-40 anni fa vissero, dalle varie sponde politiche, la passione del fare politica.
Il confronto fra quegli uomini di allora, gli uomini del Secolo delle Rivoluzioni e gli uomini di oggi; di questa Democrazia consociativa che, al posto delle idee si nutre di affari, di tangenti che, al posto delle passioni e delle idee, si accorda in ordine al motto «io da una cosa a Te e Tu dai una cosa a me», nel migliore dei casi perché, nel peggiore, la filosofia che oggi ispira la condotta politica e civile è quella della violenza.
Il cinismo ha demistificato tutto, al punto che i rapporti politici altro non sono che puri rapporti di forza per cui la mafia, in tutti i suoi comportamenti, non ultimo quello del linguaggio (il linguaggio ermetico dei politici che è fatto per ingannare) è divenuta cardine della vita politica italiana e Torino non è meno palermitana di Palermo.
Gli uomini politici dei tempi di Bombacci e quelli di Nicolazzi.
Cosa era la politica per Nicolino Bombacci? Un mestiere per fare soldi? Una professione? Una cultura, come si dice in giro?
Nulla di tutto questo. Era passione civile. La politica, lo scriverà senza vergognarsene, non era per lui cultura, ma, semplicemente, quella cosa per cui uno si occupa dei guai degli altri come se fossero propri.
E per quei guai è disposto a dare la vita.
* * *
Il Secolo delle Passioni e i tempi del temporeggiare, dell'allusione, del dire e del non dire, della parola predicata che non è quella vissuta, del fraseggio in cui ci puoi leggere tutto e il suo contrario.
Le parole di Moro, Spadolini, De Mita, le parole che si pronunciano adesso, le parole che si dicevano allora quando Bombacci si pronunciava per la Rivoluzione Sociale.
Gli uomini politici: il loro mestiere, nelle due epoche. Il mestiere oggi dell'uomo politico. È squallido. Perché? Perché è legato al grigiore delle proprie opere, alla inconcludenza del proprio mandato.
Come infatti rendersi, oggi, utili alla gente che lavora, che fatica, che pensa, che studia, che, in fondo, manda avanti la barca di quest'Italia ?
Si può dissentire sulla vita che Nicolino Bombacci si è costruita. Si può condannarla.
Il suo passato di rivoluzionario, di comunista, di amico di Mussolini, di socialista tutto particolare; ma su una cosa è difficile dissentire: la carica di umana simpatia che da tutta la sua tormentata vicenda sprigiona.
Ricorda quella di Filippo Corridoni, il rivoluzionario sindacalista morto a trent'anni alla trincea delle Frasche. Anche a lui, che passa gran parte della sua vita nelle carceri per la «redenzione del lavoro», quando è per l'intervento, gli gridano «traditore»; come faranno con Bombacci; ebbene in quella invettiva c'è odio e amore insieme... Perché dietro i comportamenti di Bombacci e Corridoni, dietro la loro scelta che li porterà alla morte, tutto può esserci, anche la passione sbagliata, mai però calcolo, opportunismo, doppio gioco.
Alla base della vita di Nicola Bombacci, anche dei suoi errori, vi è la bontà, mai la cattiveria. «Simpatia umana» che è forza morale
Significa essere nati per sentire i bisogni degli uomini, di chi soprattutto soffre. Capire e soffrire i bisogni di una Città, di una Regione, di una Nazione. Avere il dono e la capacità di rappresentare concretamente, dentro di sè, gli uomini che vanno nel campo, nell'officina, nell'ufficio, nella scuola, dovunque si lavora, si pensa e si soffre.
Simpatia umana: sapersi rappresentare concretamente dentro di sè, il dolore dell'altro, vicino o lontano, qualunque credo professi, qualunque ingiustizia patisca.
* * *
Si vive il tempo delle demonizzazioni. Si criminalizza la storia per farne strumento di lotta politica. È toccato a Mussolini, è toccato a Bombacci. Tocca ora a Togliatti. La demonizzazione investe perfino la Chiesa di Cristo. Chi è nel giusto?
Comunque questo: gli uomini di allora possono essere stati scossi, nel tentativo del riscatto umano definitivo, da passioni, sogni disperati, ma hanno scritto -perdenti o vincenti che siano risultati- storia, sanguinosa quanto volete carica di dolore, ma storia che ha tentato di cambiare il mondo, e con quella storia gli uomini di oggi devono, volenti o no, fare i conti.
Non saranno, certo, ricordati per il fascino della tangente. La tangente, per i politici di oggi è l'occasione più gratificante di una grigia vita politica. Non si riesce a costruire storia. La tangente, il furto, è il surrogato di una Storia che non si riesce più a scrivere.
I rossi fiumi della Storia. Di oggi si può dire, perdonate la crudezza delle parole con Louis Ferdinand Cèline, "L'Ecole des Cadavres":
«Noi spariremo, corpi e anime, da questo territorio al pari dei Galli, questi folli eroi, i nostri grandi antenati in futilità, i peggiori zimbelli del cristianesimo. Non ci hanno lasciato neppure una ventina di parole del loro linguaggio. Di noi se si conserverà la parola "merda", sarà già una grande cosa»
Pier Paolo Pasolini: «Noi ci troviamo alle origini di quella che sarà la più brutta epoca della storia dell'uomo: l'epoca della alienazione industriale» ("Vie Nuove", 69)
Per capire Bombacci e i suoi tempi, è necessario partire da questi tempi, quanto essi siano lontani da quelli.
Siamo su un altro pianeta. Le mollezze del consumismo del darvinismo tipo "Dallas", "Dinasty" che spesso ci portano nel benessere, (non nella felicità, che è un'altra cosa!), alla noia e i nostri figli alla droga, rendono difficile capire quegli uomini che vissero il secolo del ferro e del fuoco, ma la loro vita non fu certo squallida.
Siamo qui a parlarne. Fra anni, a parlarne, saranno molti di più.
Nella ancora calda disputa del fascismo-antifascismo, il giornalista Domenico Campana su "il Giorno" (4-1-88) ha scritto: «Che si debba recitare il De profundis tanto al fascismo che all'antifascismo è una cosa che prima o poi deve accadere. Fascismo e antifascismo rappresentano due isole culturali "eroiche" in un paese che di eroico non vuole avere più nulla. Perché considera l'eroismo pericoloso, sciocco retaggio del passato e soprattutto portatore di guai. Si sono sbriciolati i fiori sulle tombe delle camicie nere adolescenti che affrontavano a mani nude i carri armati inglesi nel Sahara. Si sbriciolano le lapidi dei ragazzi partigiani fucilati. Viviamo nel tempo opaco e confortevole del centrismo, delle buone intenzioni e dei buoni affari. L'attuale dibattito su fascismo e antifascismo non serve che a demonizzare l'uno e l'altro, mostrandone ancora una volta i difetti, le colpe, il fanatismo, a tutto vantaggio di chi tende all'ordine, a un ordine senz'anima, che non saranno certo tisiche e indecise riforme istituzionali a rendere nuovo».
Nicola Bombacci è da collocarsi nell'isola «eroica»?: fa anzi parte di tutte e due, le due rivoluzioni che scossero il XX Secolo: il fascismo e il comunismo.
Le due Isole eroiche e l'Italia che sta alla finestra e scende per strada, a cose fatte, per dire: «c'ero anch'io, e ho diritto di comandare».
Vecchia storia. L'arroganza del potere, sotto tutte le divise, quella liberale, quella democratica, quella socialista, quella fascista. Sto dalla parte giusta, posso permettermi tutto. Le arroganze patite, sofferte, provocate «da chi è stato alla finestra», hanno distrutto, nel popolo, ogni fiducia nei propri governanti, fino in se stessi. Nessun rispetto per la collettività, genuflessioni, il baciar la scarpa al potente di turno: perché può tutto. Ciò viene da lontano.
Curzio Malaparte, ne "I Santi Maledetti" (un libro tre volte sequestrato da Giolitti, Bonomi e dal fascismo) traduceva la parola d'ordine interventista di Mussolini: guerra per la rivoluzione! Malaparte difendeva la Fanteria di Caporetto, dandovene una versione di classe, contro le accuse di vigliaccheria lanciate da Cadorna alla truppa, una rivolta del proletariato delle trincee ai maltrattamenti dei comandi (carneficine nelle battaglie campali, migliaia di morti messi in bilancio per conquistare poche centinaia di metri, rancori per angherie inenarrabili, divieto ai Fanti di entrare in un caffè, di uscire in compagnia di donne, feriti trattati come rognosi, ammalati curati come bestie, disprezzati, nutriti di brodaglie immonde).
«In quel libro -scrive Malaparte- la storia del popolo italiano dal 1918 in qua. Poiché tutte le vicende della vita italiana, negli ultimi 40 anni, nascono dalla dolorosa esperienza di quella guerra e soprattutto dalla scoperta che v'erano due Italie. L'Italia dei codini, dei bigotti, degli sbirri, dei ladri, degli Alti Comandi (e per Alti Comandi non intendo solo quelli militari), di tutti coloro che disprezzano il popolo italiano, lo sfruttano, lo opprimono, l'umiliano, l'ingannano, lo tradiscono, quella Ignobile Italia che la mia generazione, e tutte le generazioni del Carso e del Piave, hanno rifiutato e rifiutano. È l'Italia -questa del mio libro- della fanteria, l'Italia della povera gente, generosa, leale, onesta, coraggiosa, nemica d'ogni sopruso, d'ogni privilegio, nella quale abbiamo creduto e crediamo».
Se fate attenzione qui è racchiuso quel nazionalpopulismo di cui, nel tramonto sanguigno del fascismo, si fece portatore Nicola Bombacci. E che dà -cercheremo di spiegarne le ragioni- nella storia degli anni del nostro Paese che vanno dal 1900 al 1945 (e se si vuole fino ai giorni nostri) un posto e un ruolo a Nicola Bombacci moralmente più alto e di grande significanza di quello che hanno avuto e avranno i Capi del PCI, finiti per essere oggi dei pallidi riformisti del neo-liberalismo americano. Il capitalismo, per loro, ha vinto e va accettato.
Nicolino Bombacci viene da loro, comunisti, e per conto della V^ Armata americana, fucilato, sul lago di Como.
Grida, morendo, «viva il socialismo». Oggi, a oltre 40 anni, il socialismo di Bombacci è tutt'altro che morto. Quello del PCI è sepolto. Ed è il capitalismo a sotterrarlo. Non è un'affermazione di parte, avventata. Sono i fatti che, nella loro eloquenza, parlano. E non temono smentite.
Bombacci, il rivoluzionario. Il tentativo di svalutarlo su due piani. Si argomenta: non era nulla. Non rappresentava nulla. Tutt'al più una immagine folcloristica.
(continua)
Nicola Bombacci (http://www.beppeniccolai.org/Bombacci.htm)