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Visualizza Versione Completa : Esiste ancora la lotta di classe?



antoninus
20-05-02, 21:07
Secondo voi, la lotta di classe (di cui si parlava e dibatteva in continuazione negli anni quaranta , cionquanta sessanta e settanta) in Italia (ed in occidente in genere) esiste ancora?
O invece ormai non ha piu senso?

Imperituro
03-09-12, 20:23
La lotta di classe del XXI secolo è tra le persone comuni e i vari politici/politicanti/baroni universitari/capi e capetti delle amministrazioni pubbliche ecc che detengono il potere e frenano l'economia e la società italiana in ogni settore.Purtroppo tra le persone comuni il90% è collaborazionista dei potenti,disposto a vendere il proprio voto al mafioso di turno per una pagnotta di pane o un posto pubblico,quindi non cambierà mai un cazzo e affonderemo sempre di più.Si spera in un'invasione della Merkel o in una futura Europa unita del tutto sia politicamente che economicamente che fiscalmente.

Perseo
05-09-12, 08:36
La lotta di classe di tutti i secoli è sempre quella tra chi si guadagna da vivere e chi toglie agli altri.

Poi capita che i grandi parassiti si circondino di parassiti più piccoli cui viene concessa una briciola di privilegi per renderli fedeli.
Ma la lotta di classe può andare a buon fine solo se si capisce che quei piccoli privilegiati non sono nient'altro che la superficie e che molto più in profondità bisogna mirare.

Southern Comfort
06-09-12, 17:05
Alla lotta di classe preferisco la stretta di mano.
La lotta la faccio fare a classi che vogliono il potere statale e temporale, io sono interessato al sincero rapporto con il prossimo.
http://rationallibertariancorner.com/wp-content/uploads/2011/12/V-for-Voluntaryism.gif

John Orr
08-09-12, 09:10
La lotta di classe è sempre la stessa dai tempi che furono: tra chi pretende le tasse con le scuse della magia, della religione, della ragion di stato, dell'utilità generale, dell'uguaglianza e tra chi le tasse deve pagarle a suon di sacrifici, ingiustizie, minacce, espropri.

La lotta di classe è sempre quella tra il bene e il male, tra i violenti estorsori del regime e i cittadini, tra i violenti depredatori e i pacifici lavoratori, tra lo stato e l'essere umano. E' sempre stato così, lo sarà ancora per parecchi secoli.

Anticapitaslista
03-12-12, 10:54
Sciopero Fiom 5-6 dicembre
La classe lavoratrice può difendersi solo con la lotta di classe contro il Capitale

La crisi economica continua inesorabile. Licenziamenti per ristrutturazioni o fallimenti e cassa integrazione colpiscono sempre più lavoratori. Cresce l'esercito dei disoccupati e il ricatto sugli occupati. Le aziende, per sopravvivere nella competizione capitalistica sempre più aspra, cercano di imporre salari più bassi, massima flessibilità d'orario e mansioni, ritmi più intensi.

Industriali e sindacati di regime, con l'appoggio del Governo,firmano accordi e contratti per distruggere il Contratto nazionale di lavoro e accrescere così la competizione al ribasso fra i lavoratori. A questo servono gli accordi del 28 giungo 2011, quello sulla produttività del 19 novembre scorso e il rinnovo del contratto che Federmeccanica si accinge a firmare con FIM e UILM.

Il riformismo politico e sindacale, cioè la sinistra borghese, ha illuso i lavoratori prospettando un capitalismo con benessere e progresso sempre in crescita. Oggi è platealmente sbugiardato. Nel capitalismo i lavoratori sono proletari, senza alcun potere politico e senza nulla da perdere se non le proprie catene.

Come sempre, a maggior ragione di fronte alla crisi, i lavoratori possono difendersi solo se lottano sempre più uniti, superando le divisioni fra aziende, categorie, nazionalità e AGENDO COME CLASSE.

L'UNITÀ DELLA CLASSE LAVORATRICE può essere raggiunta solo coi METODI CHE APPARTENGONO SOLO AD ESSA ED ALLA SUA TRADIZIONE DI LOTTE GLORIOSE, con scioperi a oltranza, senza preavviso e che cerchino di estendersi al di sopra delle aziende e delle categorie: ciò che più teme il padronato non è il danno economico di una lotta, anche forte, ma chiusa entro l’azienda, quanto la possibilità che essa si contagi agli altri lavoratori, con danno economico generale per tutta la borghesia.

L'unificazione di vere lotte, non di scioperi solo rituali, è possibile attraverso la quotidiana fatica di un lavoro sindacale che non si limiti alle rivendicazioni più particolari per indicare la necessità di perseguire gli obiettivi generali che li uniscono veramente:

– DIFESA INTRANSIGENTE DEL SALARIO, con aumenti maggiori per le categorie peggio pagate;
– RIDUZIONE DELL'ORARIO DI LAVORO, a parità di salario e da estendere a livello europeo;
– SALARIO PIENO AI LAVORATORI LICENZIATI, a carico di industriali e banchieri mediante il loro Stato.
È evidente che la CGIL ha definitivamente rigettato questi metodi ed indicazioni ed è un sindacato non riconquistabile dai lavoratori, come CISL, UIL e UGL. La classe lavoratrice oggi è debole perché non è organizzata per lottare. Peggio: è debole perché controllata da false organizzazioni sindacali che impediscono una sua lotta generale.
Per tornare a lottare veramente i lavoratori devono unirsi e organizzarsi alla loro base, al di fuori di questi sindacati di regime, dentro le aziende ma soprattutto FUORI, in organismi territoriali che li uniscano al di sopra delle aziende e delle categorie. Questo è il primo passo per la rinascita di un vero e forte SINDACATO DI CLASSE, cioè di quella organizzazione indispensabile per condurre lotte generali della classe lavoratrice.


Operai, lavoratori, compagni !

Questa crisi non è un fenomeno passeggero e contingente: è la crisi storica e generale del capitalismo. Questo significa che essa continuerà e in modo sempre più grave. Il capitalismo non ha soluzioni sul piano della politica economica. La crisi precedente, analoga a questa, quella del 1929, insegna a chi non vuole tapparsi gli occhi: la strada che ha il capitalismo per restare in piedi è la guerra. Solo la Seconda Guerra Mondiale permise al capitalismo il “ritorno alla crescita”, che non è altro che la “crescita del Capitale”.

È il capitalismo stesso la causa della crisi. Non può esistere un capitalismo senza crisi e guerre catastrofiche. La sovrapproduzione e il calo del saggio del profitto sono le cause: il capitalismo immiserisce e affama la gran parte dell'umanità non per penuria di beni ma perché ne ha prodotti troppi!

Lo sviluppo della capacità produttiva, che dovrebbe portare benessere e riduzione dell'orario di lavoro, nel capitalismo diventa la fonte delle più disastrose barbarie. Le fasi di crescita economica sono solo il preambolo di quelle di recessione. Invocare la crescita per uscire dalla crisi è privo di senso. Il capitalismo, per tornare a crescere, deve distruggere le troppe merci prodotte, prima fra tutte la merce forza lavoro! La lotta economica fra gli Stati borghesi conduce inevitabilmente alla lotta militare: la guerra.

Per i lavoratori porsi sul piano della concorrenza capitalistica, facendosi carico dell’efficienza dell’economia nazionale, abbracciando un nazionalismo economico che è solo il preambolo di quello politico e militare, significa solo sacrificarsi per gli interessi del Capitale, della borghesia.

Alla via della guerra, a questa soluzione borghese della crisi capitalistica, la classe lavoratrice può e deve contrapporre la sua strada: la Rivoluzione contro il capitalismo.

Solo la Rivoluzione potrà fermare la guerra. Solo con la Rivoluzione i lavoratori possono prendere il potere politico e imporre le riforme dell'originale programma comunista rivoluzionario necessarie a emancipare l'umanità dal capitalismo:

– abolizione del lavoro salariato, con la conseguente estinzione del suo opposto, il Capitale, e quindi del denaro, e la distribuzione gratuita dei beni e dei servizi;
– obbligo sociale del lavoro, con la scomparsa della disoccupazione;
– drastica riduzione del lavoro a poche ore giornaliere;
– regolazione della produzione secondo i bisogni umani e non più secondo gli assurdi calcoli mercantili e aziendali;
– soppressione di interi settori di attività prettamente capitalistiche e parassitarie: da quelle legate alla contabilità monetaria e alla finanza, a quelle, ad es., pubblicitarie, con la conseguente liberazione di enormi energie per scopi realmente utili.
Lottando intransigentemente a difesa delle proprie condizioni di vita senza farsi carico delle sorti dell'economia nazionale, che altro non è che l'economia capitalistica, per i lavoratori significa porsi già oggi sulla strada che li condurrà alla costruzione della società senza Capitale e le sue leggi economiche disumane e antistoriche.
A questo scopo la lotta sindacale, il Sindacato di Classe, sono necessari ma non sono sufficienti. Il proletariato ha bisogno del SUO Partito.

Il Partito Comunista Internazionale è il solo che ha difeso e saputo mantenere l'originale programma comunista rivoluzionario contro l'ultima e peggiore delle sconfitte rivoluzionarie: quella culminata con lo stalinismo e la menzogna del falso socialismo russo, cinese, ecc. È il solo che da quella sconfitta ha potuto trarre le lezioni necessarie alla riscossa proletaria futura e che possa condurre vittoriosamente i lavoratori al superamento rivoluzionario del capitalismo.

Partito Comunista Internazionale
PARTITO COMUNISTA INTERNAZIONALE (http://www.international-communist-party.org/ItalianPublications.htm)
icparty@international-communist-party.org

amaryllide
08-03-13, 23:05
Domenico Losurdo è uno degli studiosi di filosofia italiani più tradotti al mondo. Tutti i suoi libri hanno visto, infatti, edizioni in inglese, americano, tedesco, francese, spagnolo, ma anche portoghese, cinese, giapponese, greco. Qualche lingua la dimentichiamo sicuramente. Il Financial Times e la Frankfurter Allgmeine Zeitung, fra gli altri, gli hanno dedicato pagine intere. Un trattamento che stride oltremodo con quello che gli viene riservato in patria, dove spesso e volentieri i suoi lavori sono fatti oggetto di un silenzio studiato. Che pur tuttavia non incide sulle vendite, viste le reiterate edizioni dei suoi libri.
In questi giorni sta dando alle stampe, per i tipi di Laterza, la sua nuova fatica intitolata La lotta di classe? Una storia politica e filosofica (388 pagine), e per questo Critica liberale lo è andato a intervistare nella sua casa/biblioteca sulle colline intorno a Urbino.
Professor Losurdo, ci spieghi questa idea di un libro sulla lotta di classe, concetto che da molte parti era stato dato per morto.
Mentre la crisi economica infuria, si infittiscono i saggi che evocano il «ritorno della lotta di classe». Era dileguata? In realtà, gli intellettuali e i politici che proclamavano il tramonto della teoria marxiana della lotta di classe commettevano un duplice errore. Per un verso abbellivano la realtà del capitalismo. Negli anni ’50 Ralf Dahrendorf affermava che si stava verificando un «livellamento delle differenze sociali» e che quelle stesse modeste «differenze» erano solo il risultato del merito scolastico; sennonché, bastava leggere la stampa statunitense anche la più allineata, per rendersi conto che anche nel paese-guida dell’Occidente sussistevano sacche paurose di una miseria che si trasmetteva ereditariamente da una generazione all’altra. Ancora più grave era il secondo errore, quello di carattere più propriamente teorico. Erano gli anni in cui si sviluppava la rivoluzione anticoloniale in Vietnam, a Cuba, nel Terzo Mondo; negli USA i neri lottavano per porre fine alla white supremacy, al sistema di segregazione, discriminazione e oppressione razziale che ancora pesava su di loro. I teorici del superamento della lotta di classe erano ciechi dinanzi alle aspre lotte di classe che si svolgevano sotto i loro occhi.
Se non capiamo male, quindi, lei amplia oltremodo il campo semantico dell’espressione «lotta di classe, comprendendo al suo interno una gamma di problemi e questioni molto più ampia?
Sì, Marx ed Engels richiamano l’attenzione non solo sullo sfruttamento che ha luogo nell’ambito di un singolo paese, ma anche sullo «sfruttamento di una nazione da parte di un’altra». Anche in questo secondo caso abbiamo a che fare con una lotta di classe. In Irlanda, dove i contadini erano sistematicamente espropriati dai coloni inglesi, la «questione sociale» assumeva la forma di «questione nazionale», e la lotta di liberazione nazionale del popolo irlandese non solo era una lotta di classe, ma una lotta di classe particolare rilievo: è nelle colonie infatti – osserva Marx – che «l’intrinseca barbarie della civiltà borghese» si rivela nella sua nudità e in tutta la sua ripugnanza.
Ci può spiegare meglio la genesi storico-filosofica di questa sua lettura così desueta rispetto alle categorie tradizionali?
La cultura dell’Ottocento era chiamata a rispondere a tre sfide teoriche. In primo luogo, in che modo spiegare la marcia irresistibile dell’Occidente, che col suo espansionismo coloniale assoggettava l’intero pianeta, travolgendo anche paesi di antichissima civiltà come la Cina? Mentre conseguiva il trionfo sul piano internazionale, l’Occidente si vedeva minacciato al suo interno dalla rivolta di masse popolari che per la prima volta irrompevano, e in modo rovinoso, sulla scena della storia. Ebbene, quali erano le cause di questo fenomeno inaudito e angosciante? In terzo luogo l’Occidente presentava un quadro assai differenziato da paese a paese. Se in Inghilterra e negli Stati Uniti si assisteva a uno sviluppo graduale e pacifico all’insegna di una libertà ben ordinata, del tutto diverso era il caso della Francia: qui alla rivoluzione faceva seguito la controrivoluzione, spazzata a sua volta da una nuova rivoluzione; a partire dal 1789, i regimi politici più diversi (monarchia assoluta, monarchia costituzionale, terrore giacobino, dittatura militare napoleonica, Impero, repubblica democratica, bonapartismo) si susseguivano l’uno all’altro, senza che mai si realizzasse la libertà ordinata. Ebbene, qual era la maledizione che pesava sulla Francia? A tutte tre queste sfide teoriche la cultura dominante dell’Ottocento rispondeva rinviando in modo più o netto alla «natura». Per dirla con Disraeli, la razza è «la chiave della storia» e «tutto è razza e non c'è altra verità» e a definire una razza «è solo una cosa, il sangue»; e questa era anche l’opinione di Gobineau. Si spiegavano così il trionfo dell’Occidente ovvero della superiore razza bianca e ariana, la rivolta di quei «barbari» e «selvaggi» che erano gli operai, le convulsioni incessanti di un paese come la Francia devastato dal miscuglio razziale. Altre volte, la natura a cui si rinviava aveva un significato più blando. Per Tocqueville non c’erano dubbi: il trionfo della «razza europea» su «tutte le altre razze» era voluto dalla Provvidenza; il più ordinato svolgimento di Inghilterra e Stati e Uniti era la prova del più robusto senso morale e senso pratico degli anglosassoni rispetto ai francesi, i quali ultimi erano devastati dalla follia rivoluzionaria ovvero da un «virus di una specie nuova e sconosciuta». Come si vede, il paradigma razziale in senso stretto (caro a Gobineau e Disraeli) tendeva a essere sostituito dal paradigma etnologico-razziale e da quello psicopatologico. Restava fermo il rinvio a una «natura» più o meno immaginaria e l’abbandono del terreno della storia.
È sull’onda della lotta contro questa visione che Marx ed Engels elaboravano la teoria della lotta di classe. La marcia trionfale dell’Occidente non si spiegava né con la gerarchia razziale né con i disegni della Provvidenza; essa esprimeva l’espansionismo della borghesia industriale e la sua tendenza a costruire il «mercato mondiale» travolgendo e sfruttando i popoli e i paesi più deboli e più arretrati. I protagonisti delle rivolte popolari in Occidente non erano né barbari né folli; erano piuttosto i proletari che, in seguito allo sviluppo industriale, diventavano sempre più numerosi e acquisivano una più matura coscienza di classe. In un paese come gli Stati Uniti il conflitto sociale borghesia/proletariato era meno acuto, ma solo perché l’espropriazione e la deportazione dei nativi consentiva di trasformare in proprietari terrieri una parte consistente di proletari, mentre la schiavizzazione dei neri rendeva possibile il ferreo controllo delle «classi pericolose». Ma tutto ciò non aveva nulla a che fare con un superiore senso morale e pratico degli americani, com’era confermato dalla sanguinosissima guerra civile, che nel 1861-65 vedeva scontrarsi la borghesia industriale del Nord contro l’aristocrazia terriera e schiavistica del Sud e, nell’ultima fase del conflitto, gli schiavi (arruolatisi nell’esercito dell’Unione) contro i loro padroni o ex-padroni.
Per comprendere lo svolgimento storico occorre rinviare alla storia e alla lotta di classe, anzi alle «lotte di classe» che assumono forme molteplici e variegate, si intrecciano l’una all’altra in modo peculiare e conferiscono una configurazione sempre diversa alle diverse situazioni storiche.
Il suo discorso sembra, quindi, partire anzitutto da una lettura nuova del lascito di Marx ed Engels?
La mia lettura di Marx ed Engels può stupire ma rileggiamo il Manifesto del partito comunista: «La storia di ogni società sinora esistita è la storia delle lotte di classe», e queste assumono «forme diverse». Il ricorso al plurale fa intendere che quella tra proletariato e borghesia o tra lavoro dipendente e classi proprietarie è solo una delle lotte di classe. C’è anche la lotta di classe di una nazione che si scuote di dosso lo sfruttamento e l’oppressione coloniale. Non bisogna infine dimenticare un punto su cui Engels insiste in modo particolare: «la prima oppressione di classe coincide con quella del sesso femminile da parte di quello maschile»; nell’ambito della famiglia tradizionale «la donna rappresenta il proletariato» Siamo dunque in presenza di tre grandi lotte di classe: gli sfruttati e gli oppressi sono chiamati a modificare radicalmente la divisione del lavoro e i rapporti di sfruttamento e di oppressione che sussistono a livello internazionale, in un singolo paese e nell’ambito della famiglia.
Un discorso che porta lontano, ma che anzitutto può aiutare a leggere il passato con un’ottica nuova.
Solo così possiamo comprendere il secolo alle nostre spalle. Ai giorni nostri, uno storico di grande successo, Niall Ferguson, scrive che nella grande crisi storica della prima metà del Novecento, la «lotta di classe», anzi le «presunte ostilità tra proletariato e borghesia» hanno svolto un ruolo ben modesto; ben più rilevanti sarebbero state «le divisioni etniche». Sennonché, argomentando in tal modo, si rimane fermi al punto di vista del nazismo che leggeva la guerra a Est come una «grande guerra razziale». Ma quali erano gli obiettivi reali di tale? Espliciti sono i Discorsi segreti di Heinrich Himmler: «Se non colmiamo i nostri campi di lavoro di schiavi – in questa stanza posso definire le cose in modo netto e chiaro – di operai-schiavi che costruiscano le nostre città, i nostri villaggi, le nostre fattorie, senza riguardo alle perdite», il programma di colonizzazione e germanizzazione dei territori conquistati in Europa orientale non potrà essere realizzato. La lotta di un intero popolo o di interi popoli per evitare il destino di schiavi cui vorrebbe consegnarlo una presunta razza di signori e di padroni è chiaramente una lotta di classe!
Una vicenda analoga si svolge in Asia, dove l’Impero del Sol Levante imita il Terzo Reich e riprende e radicalizza la tradizione coloniale. La lotta di classe di interi popoli che lottano per sfuggire alla schiavizzazione trova il suo interprete in Mao Zedong, che nel novembre del 1938 sottolinea l’«identità fra la lotta nazionale e la lotta di classe» che si è venuta a creare nei paesi investiti dall’imperialismo giapponese. Come nell’Irlanda di cui parla Marx la «questione sociale» si presenta concretamente come «questione nazionale», così nella Cina del tempo la forma concreta assunta dalla «lotta di classe» è la «lotta nazionale».
La sua è un’interpretazione oltremodo eterodossa, che potrebbe attirare su di lei, come peraltro è avvenuto spesso, in passato, le critiche accese anche della sinistra, oltre a quelle del mondo liberale.
Disgraziatamente anche nella sinistra “radicale” è diffusa la visione per cui la lotta di classe rinvierebbe esclusivamente al conflitto tra proletariato e borghesia, tra lavoro dipendente e classi proprietarie. Si fa avvertire in modo negativo l’influenza di un’eminente filosofa, Simone Weil, secondo cui la lotta di classe sarebbe «la lotta di coloro che obbediscono contro coloro che comandano». Non è questo il punto di vista di Marx ed Engels. In primo luogo, ai loro occhi, è lotta di classe anche quella condotta da coloro che sfruttano e opprimono. Anche a volersi concentrare sulla lotta di classe emancipatrice, essa può ben essere condotta dall’alto, da «coloro che comandano». Si prenda la Guerra di secessione negli USA. Sul campo di battaglia si fronteggiavano non i potenti e gli umili, i ricchi e i poveri, bensì due eserciti regolari. E, tuttavia, sin dagli inizi, Marx additava nel Sud il campione dichiarato della causa del lavoro schiavistico e nel Nord il campione più o meno consapevole della causa del lavoro «libero». In modo del tutto inaspettato, la lotta di classe per l’emancipazione del lavoro prendeva corpo in un esercito regolare, disciplinato e potentemente armato. Nel 1867, pubblicando il primo libro del Capitale, Marx indicava nella Guerra di secessione «l’unico avvenimento grandioso della storia dei giorni nostri», con una formulazione che richiama alla memoria la definizione della rivolta operaia del giugno 1848 come «l’avvenimento più colossale nella storia delle guerre civili europee». La lotta di classe, la stessa lotta di classe emancipatrice, può assumere le forme più diverse.
Dopo la rivoluzione d’ottobre Lenin sottolinea ripetutamente: «La lotta di classe continua; ha soltanto cambiato le sue forme». L’impegno a sviluppare le forze produttive, migliorando le condizioni di vita delle masse popolari, ampliando la base sociale di consenso del potere sovietico e rafforzando la sua capacità di attrazione sul proletariato occidentale e sui popoli coloniali, tutto ciò costituiva la forma nuova assunta nella Russia sovietica dalla lotta di classe.
Come spiegare questo impressionante fraintendimento della teoria della lotta di classe proprio di una parte, la sinistra, che sulla teoria del conflitto sociale ha costruito buona parte della propria azione storica?
La sinistra anche radicale fa fatica a comprendere la teoria della lotta di classe in Marx ed Engels perché è influenzata dal populismo. Il populismo si presenta qui in due forme tra loro connesse. La prima abbiamo già cominciato a vederla: è la trasfigurazione dei poveri, degli umili, visti come gli unici depositari degli autentici valori morali e spirituali e gli unici possibili protagonisti di una lotta di classe realmente emancipatrice. È una visione di cui si fa beffe già il Manifesto del partito comunista, che critica l’«ascetismo universale» e il «rozzo egualitarismo» e aggiunge: «nulla di più facile che dare all’ascetismo cristiano una mano di vernice socialista». Secondo Marx ed Engels questa visione caratterizza i «primi moti del proletariato». In realtà, questa prima forma di populismo sì è manifestata con forza nella Russia sovietica, allorché molti operai, anche iscritti al partito bolscevico, hanno condannato la NEP come un tradimento degli ideali socialisti. Una replica di tali processi e conflitti si è manifestata in Cina allorché, in polemica contro la trasfigurazione del pauperismo e della visione del socialismo quale distribuzione «egualitaria» della miseria, Deng Xiaoping ha chiamato a realizzare la «comune prosperità» da conseguire tappa dopo tappa (e sia pure attraverso molteplici contraddizioni). È in questo quadro che va collocato lo slogan «Diventare ricchi è glorioso!», che ha suscitato tanto scandalo anche nella sinistra occidentale.
La seconda forma di populismo trova la sua espressione più eloquente, e più ingenua, di nuovo in Simone Weil allorché negli anni ’30 immagina uno scontro omogeneo sul piano planetario e risolutore una volta per sempre: a fronteggiarsi sarebbe «l’insieme dei padroni contro l’insieme degli operai»; si tratterebbe una «guerra condotta dall’insieme degli apparati di Stato e degli stati maggiori contro l’insieme degli uomini validi e in età di imbracciare le armi», di una guerra che vede scontrarsi l’insieme dei generali contro l’insieme dei soldati! In questa prospettiva non c’è più il problema dell’analisi delle forme di lotta di classe di volta in volta diverse nelle diverse situazioni nazionali e nei diversi sistemi sociali. Dappertutto è all’opera un’unica contraddizione allo stato puro: quella che contrappone ricchi e poveri, potenti e umili.
È evidente l’influenza che questa seconda forma di populismo continua a svolgere ancora ai giorni nostri in particolare sulla sinistra occidentale: quando nel fortunatissimo libro di Hardt e Negri, Impero, leggiamo la tesi secondo cui nel mondo di oggi a una borghesia sostanzialmente unificata a livello planetario si contrapporrebbe una «moltitudine» essa stessa unificata dal dileguare delle barriere statali e nazionali, quando leggiamo ciò non possiamo non pensare alla visione cara a Simone Weil.
Questa sua impegnativa ricostruzione del problema fornisce una chiave di lettura anche per l’oggi?
Certamente! Sono tuttora all’opera le tre forme fondamentali di lotta di classe analizzate da Marx ed Engels. Nei paesi capitalistici avanzati la crisi economica, la polarizzazione sociale, la crescente disoccupazione e precarizzazione, lo smantellamento dello Stato sociale, tutto ciò acutizza il conflitto tra lavoro dipendente e una élite privilegiata sempre più ristretta. È una situazione che compromette alcune delle conquiste sociali delle donne, la cui lotta di emancipazione risulta però particolarmente difficile in paesi che non hanno ancora raggiunto lo stadio della modernità. Per quanto riguarda il Terzo Mondo, la lotta di classe continua ancora a manifestarsi in misura considerevole quale lotta nazionale. Ciò è immediatamente evidente per il popolo palestinese, i cui diritti nazionali sono calpestati dall’occupazione militare e dagli insediamenti coloniali. Ma la dimensione nazionale della lotta di classe non è dileguata neppure nei paesi che si sono liberati dall’assoggettamento coloniale. Essi sono chiamati a lottare non contro uno bensì contro due tipi diseguaglianza: per un verso devono ridurre le disparità sociali al loro interno; per un altro verso devono colmare o attenuare il distacco che li separa dai paesi più avanzati. I paesi che, soprattutto in Africa, hanno trascurato questo secondo compito e che non hanno compreso la necessità di passare a un certo momento dalla fase militare a quella economica della rivoluzione anticoloniale, tali paesi non hanno alcuna reale indipendenza economica e sono esposti all’aggressione o alla destabilizzazione promossa o favorita dall’esterno.
Abbiamo dunque tre forme di lotta di classe emancipatrice, tra le quali non c’è armonia prestabilita: come combinarle nelle diverse situazioni nazionali e a livello internazionale in modo che possano confluire in unico processo di emancipazione, è questa la sfida con cui deve misurarsi una sinistra autentica.

Mister Libertarian
19-05-14, 19:33
LA TEORIA LIBERALE DELLA LOTTA DI CLASSE DA SIEYES A MIGLIO

19 maggio 2014





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I produttori contro lo Stato

L’accusa agli Stati nazionali centralizzati di essere delle macchine mostruose che consumano in maniera insaziabile le ricchezze prodotte dalla società accomuna, in forme più o meno consapevoli, gli obiettivi politici dei movimenti libertari e dei movimenti indipendentisti. Lo Stato contro cui si ribellano però non è un’astrazione, ma è un sistema organizzato di interessi personali, costituito dalle persone in carne ed ossa che lo gestiscono: una vera e propria classe sociale che vive grazie al prelievo obbligatorio su coloro che lavorano nel settore privato.

Questa contrapposizione è particolarmente visibile in Italia, dove il peso fiscale complessivo sulle imprese ha raggiunto quasi il 70 per cento del reddito, e dove alcune regioni produttive come il Veneto e la Lombardia subiscono un trasferimento forzato di ricchezza che probabilmente non ha equivalenti al mondo. Solo in Italia, ha fatto notare recentemente Aldo Canovari, esiste una distinzione di rango così marcata tra chi lavora dentro e chi lavora fuori dal perimetro della pubblica amministrazione. Da una parte ci sono i privilegiati che occupano posti super retribuiti e per di più sicuri e garantiti in organismi pubblici centrali o territoriali di natura politica, giudiziaria, amministrativa. Sono queste le persone che nel corso degli ultimi decenni hanno edificato il debito pubblico attraverso sperperi e folli deficit. Dall’altra ci sono i tanti cittadini che producono effettivamente ricchezza e che operano nelle condizioni di rischio tipiche dell’economia: piccoli e medi imprenditori, artigiani, commercianti, agricoltori, autonomi, professionisti, e i milioni di individui che lavorano alle loro dipendenze.

La “cupola” al vertice della casta statale è costituita da circa 500mila/un milione di persone retribuite mediamente cinque volte di più rispetto agli altri paesi occidentali, con redditi e pensioni superiori dalle 10 alle 30 volte quelle di molti lavoratori privati. Queste stesse persone, inoltre, decidono quale debba essere la tassazione necessaria per conservare o accrescere i propri privilegi. Il meccanismo di cui costoro si servono per alimentare i propri stipendi è fondato su metodi fiscali estorsivi a danno dei lavoratori non garantiti (accertamenti induttivi fondati su semplici presunzioni, spesometro, redditometro, tassazione su redditi non conseguiti, solve et repete, ecc.): pratiche incivili e vessatorie sancite dalla legge e supinamente accettate da chi le subisce (Aldo Canovari, “Ghigliottiniamo l’alta burocrazia!”, Il Foglio, 28 febbraio 2014).

Per contrastare questa intollerabile forma di sfruttamento è fondamentale sviluppare una convincente teoria esplicativa dell’attuale fase storica della lotta fra le classi. A tal fine ripercorreremo una serie di contributi intellettuali, elaborati da studiosi di diverse epoche e di diverse nazionalità, che raccolti insieme costituiscono l’impalcatura di quella che si potrebbe definire “teoria liberale della lotta di classe”.

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Murru
20-11-15, 18:18
Il padronato per metterci i piedi in testa a noi proletari ci riempie di cazzate tipo il sogno ammmmmmmmerecano che tutti possono diventare come Bill Gates oppure dibattiti futili come quelli tra vegani e anti-animalisti o tra cristiani e musulmani creati ad arte da loro attraverso i servizi segreti (11 settembre e recenti attentati di Parigi) o la le tensioni tra i vari stati imperialisti che non fanno altro che farci scannare tra noi fino a trasformarci in carne da cannone o stare zitti di fronte agli abusi del padronato (tanto si ragiona così "se sto zitto e lavoro sodo divento uno di loro" credici ahhahahaah) e anzi fare lo sgambetto a nostri possibili compagni di lotta.
E' ora di dire basta a tutto ciò e riprendere la lotta di classe interrotta dopo il crollo del muro di Berlino. In Italia fortunatamente non siamo messi male in confronto ad altri paesi visto che abbiamo istituzioni come Sant' Equitalia che stanno facendo il loro dovere per fare un po' di giustizia sociale ma non basta , ancora ci sono i Salvini , i Berlusconi e i Renzi di mezzo e bisogna levarseli dalle palle.

manihi
20-11-15, 19:04
lotta di classe?


ma che anno è? :confused:

Murru
20-11-15, 19:06
lotta di classe?


ma che anno è? :confused:

Per i capitalisti questo è un tema più attuale che mai, siamo noi proletari che l' abbiamo abbandonata per i motivi che ho elencato nel post iniziale.

Ucci Do
20-11-15, 19:14
Mi son fermato a "padronato"...

Corrado
21-11-15, 16:40
Per i capitalisti questo è un tema più attuale che mai, siamo noi proletari che l' abbiamo abbandonata per i motivi che ho elencato nel post iniziale.
No.
La domanda di manihi è pertinente.
Le classi sono cambiate, e profondamente.
Quindi anche la lotta di classe.

Il termine "capitalista" nel senso originario della parola non è più attuale.

Oggi l'imprenditore, per lo più, non è un capitalista: cioè non possiede, se non in minima parte, il capitale per attivare la produzione.
Capitaliste sono le banche, cioè i clienti depositanti.

Quindi è cambiata la struttura produttiva di un tempo.
Cambiata di molto: non possiamo usare i termini vecchi.

Degtyaryov
21-11-15, 17:43
No.
La domanda di manihi è pertinente.
Le classi sono cambiate, e profondamente.
Quindi anche la lotta di classe.

Il termine "capitalista" nel senso originario della parola non è più attuale.

Oggi l'imprenditore, per lo più, non è un capitalista: cioè non possiede, se non in minima parte, il capitale per attivare la produzione.
Capitaliste sono le banche, cioè i clienti depositanti.

Quindi è cambiata la struttura produttiva di un tempo.
Cambiata di molto: non possiamo usare i termini vecchi.
Parlare di Marx oggi e' come sarebbe stato parlare di Spartaco nell'europa di fine 800.

Degtyaryov
21-11-15, 17:47
Le intersezioni tra le categorie sociali che caratterzzano l'oggii potrebbero essere superate soltanto parlando di "ricchi e poveri". La qualcosa ha senso solo contstualizzando, puoi essere povero in occidente ma appartenere comunque al 20 per cento di privilegiati del pianeta.

jack9
21-11-15, 18:45
Il padronato per metterci i piedi in testa a noi proletari ci riempie di cazzate tipo il sogno ammmmmmmmerecano che tutti possono diventare come Bill Gates oppure dibattiti futili come quelli tra vegani e anti-animalisti o tra cristiani e musulmani creati ad arte da loro attraverso i servizi segreti (11 settembre e recenti attentati di Parigi) o la le tensioni tra i vari stati imperialisti che non fanno altro che farci scannare tra noi fino a trasformarci in carne da cannone o stare zitti di fronte agli abusi del padronato (tanto si ragiona così "se sto zitto e lavoro sodo divento uno di loro" credici ahhahahaah) e anzi fare lo sgambetto a nostri possibili compagni di lotta.
E' ora di dire basta a tutto ciò e riprendere la lotta di classe interrotta dopo il crollo del muro di Berlino. In Italia fortunatamente non siamo messi male in confronto ad altri paesi visto che abbiamo istituzioni come Sant' Equitalia che stanno facendo il loro dovere per fare un po' di giustizia sociale ma non basta , ancora ci sono i Salvini , i Berlusconi e i Renzi di mezzo e bisogna levarseli dalle palle.
Ancora con Marx? Ormai il comunismo è una ideologia vintage

Lèon Kochnitzky
28-04-16, 16:22
amigos, oggi ho comprato questo libro. Lo devo iniziare. E' il primo che leggo del filosofo di Lubjana (tendenzialmente evito libri sull'attualità sociale, ma questo è interessante, perché sul fenomeno della lotta di classe privato della logica marxista ce ne sarebbe da dire, e soprattutto riattualizzare). costa pure poco. lo consiglio.

http://giotto.ibs.it/cop/copj170.asp?f=9788868335175

LupoSciolto°
25-01-17, 19:37
Contro chi va condotta? Quali gli alleati di classe e quali , al contrario, i nemici o i soggetti poco affidabili?

C@scista
23-03-17, 12:33
Negli anni quaranta e conquanta le differenze di classe sociali erano abissali (poi nei decenni successivi si sono sempre piu attenuate) ed oggi anche se esistono differenze di reddito altissime tra i ceti sociali non c'è piu una rigida narriera di classe. Certo oggi esiste un generico e confuso ceto medio (anche se in via di impoverimento progressivo) . Esistono (per me) quindi ancora oggi le differenze di classe sociale ma il concetto di lotta di classe (cosi come lo intendevano nel passato) direi proprio di no.

Lord Attilio
23-03-17, 20:52
Esiste ancora la lotta di classe, si chiama "populismo"

La variante populista, di Carlo Formenti. Il video « (http://www.militant-blog.org/?p=13745)

Corrado
24-03-17, 16:20
Il padronato per metterci i piedi in testa a noi proletari ci riempie di cazzate tipo il sogno ammmmmmmmerecano che tutti possono diventare come Bill Gates oppure dibattiti futili come quelli tra vegani e anti-animalisti o tra cristiani e musulmani creati ad arte da loro attraverso i servizi segreti (11 settembre e recenti attentati di Parigi) o la le tensioni tra i vari stati imperialisti che non fanno altro che farci scannare tra noi fino a trasformarci in carne da cannone o stare zitti di fronte agli abusi del padronato (tanto si ragiona così "se sto zitto e lavoro sodo divento uno di loro" credici ahhahahaah) e anzi fare lo sgambetto a nostri possibili compagni di lotta.
E' ora di dire basta a tutto ciò e riprendere la lotta di classe interrotta dopo il crollo del muro di Berlino. In Italia fortunatamente non siamo messi male in confronto ad altri paesi visto che abbiamo istituzioni come Sant' Equitalia che stanno facendo il loro dovere per fare un po' di giustizia sociale ma non basta , ancora ci sono i Salvini , i Berlusconi e i Renzi di mezzo e bisogna levarseli dalle palle.
Scusa, ma fai una analisi troppo superficiale.

Infatti parli di "padronato" e di "proletariato".

Non parli della classe intermedia, che è poi quella che costituisce (o costituiva sino a pochi anni fa) la realtà più vivace del nostro Paese.

I coltivatori diretti: sono dei biechi agrari oppure dei miseri zappatori?
Gli artigiani: il muratore che possiede gli strumenti di lavoro piò essere assimilato ad un operaio? (specie se guadagna molto meno di lui)
E un dipendente che guadagna 3.000 €uro al mese (caso non raro) è assimilabile ad un bracciante? Tutti e due sono schiavizzati dal padrone.

Potrei continuare con gli esempi; ma voglio solo dirti di ampliare la gamma proposta.
Oppure, se non vuoi ampliarle, dirci in quale delle due classi collocheresti gli individui che restano.

FrancoAntonio
24-03-17, 18:03
se esistono i comunisti e i sindacati esiste ancora, che poi abbia meno seguito è un altro conto, per fortuna

FrancoAntonio
24-03-17, 18:07
La lotta di classe è stato uno dei piu' gravi errori della storia umana moderna: alle concessioni ci si poteva arrivare diversamente e senza lotte di classe che hanno portato a bruciare miliardi, a guerre a non finire, dolori, sofferenze, morte.

Il mio sarà un discorso corporativo ma la società è come un corpo umano con la testa, le braccia i muscoli, le gambe e tutto il resto, se solo uno di questi membri sta male stanno male tutti

Per cui niente sindacati ma contrattatzioni bilaterali tra datori di lavori e lavoratori e mediazione dello stato

Giusto che ci sia un minimo di contratto nazionale ma se un'azienda e i suoi dipedenti decidono forme di orari o di collaborazioni particolari è giusto che cio' sia possibile e senza sindacati

Il sindacato è una nicchia di resistenza del comunismo del XIX e XX secolo, totalmente inutile cosi' com'è al giorno d'oggi, se non per pagare bei salari, bei pasti e belle trasferte a chi ci lavora

Supermario
24-03-17, 20:21
No.
La domanda di manihi è pertinente.
Le classi sono cambiate, e profondamente.
Quindi anche la lotta di classe.

Il termine "capitalista" nel senso originario della parola non è più attuale.

Oggi l'imprenditore, per lo più, non è un capitalista: cioè non possiede, se non in minima parte, il capitale per attivare la produzione.
Capitaliste sono le banche, cioè i clienti depositanti.

Quindi è cambiata la struttura produttiva di un tempo.
Cambiata di molto: non possiamo usare i termini vecchi.

Non esiste neppure più il termine "proletario" ovvero quello che non possiede niente oltre che la propria prole se è per questo..

22gradi
24-03-17, 23:32
Ormai si vedono più lotte tra poveri che tra poveri e ricchi.

Lord Attilio
24-03-17, 23:42
La lotta di classe è stato uno dei piu' gravi errori della storia umana moderna: alle concessioni ci si poteva arrivare diversamente e senza lotte di classe che hanno portato a bruciare miliardi, a guerre a non finire, dolori, sofferenze, morte.

Il mio sarà un discorso corporativo ma la società è come un corpo umano con la testa, le braccia i muscoli, le gambe e tutto il resto, se solo uno di questi membri sta male stanno male tutti

Per cui niente sindacati ma contrattatzioni bilaterali tra datori di lavori e lavoratori e mediazione dello stato

Giusto che ci sia un minimo di contratto nazionale ma se un'azienda e i suoi dipedenti decidono forme di orari o di collaborazioni particolari è giusto che cio' sia possibile e senza sindacati

Il sindacato è una nicchia di resistenza del comunismo del XIX e XX secolo, totalmente inutile cosi' com'è al giorno d'oggi, se non per pagare bei salari, bei pasti e belle trasferte a chi ci lavora

Sei un fan di Agrippa, eh? :)

Comunque, storicamente quando si vuole una società ordinata e olistica si vuole semplicemente abolire gli strumenti attraverso cui le classi meno abbienti possono ottenere una qualche forma di riconoscimento di fronte ad un'altra classe che invece in quanto proprietaria dei mezzi di produzione possiede mass media, giornali, eserciti ecc. In questi strumenti non ci trovo nulla di sbagliato o rivoluzionario, anzi sarebbero anche accettabili in una prospettiva liberale come quella di Popper per esempio.

Alle concessioni, poi, non si poteva arrivare senza pressioni: in questo momento infatti, con le lotte di classe sconfitte, queste concessioni stanno venendo piano piano abolite, e ciò dimostra che se non c'è lotta di classe non c'è alcun motivo per fare concessioni.

Sulla mediazione statale: lo stato non è mai super partes, è quasi sempre dalla parte dei padroni! Come si può pretendere per esempio che un governo come quello attuale faccia da mediatore? Il sindacato riveste (o almeno dovrebbe farlo) la rappresentanza dei lavoratori, senza di esso ci sono solo i singoli lavoratori che sono più facilmente sfruttabili singolarmente.

LupoSciolto°
25-03-17, 18:54
Quoto Attilio e ritengo attualissima la lotta di classe. Il ceto medio, del quale tanto s'è parlato, si sta proletarizzando e questo accade grazie al grande capitale (che lo eliminerebbe senza molti problemi) e all'azione dei governi al suo servizio. Sta poi alla partita IVA decidere se combattere il capitalismo, ovviamente moooolto diverso da quello analizzato da Marx e Lenin, oppure seguire gli appelli di Salvini.

Corrado
25-03-17, 19:17
Contro chi va condotta? Quali gli alleati di classe e quali , al contrario, i nemici o i soggetti poco affidabili?
Bella domanda.

Chi sa rispondere ha risposto ad almeno metà delle discussioni sul forum.

Kavalerists
25-03-17, 19:58
... se non c'è lotta di classe non c'è alcun motivo per fare concessioni.
E questa, purtroppo o per fortuna, che piaccia o non piaccia, è la pura verità.

Jerome
25-03-17, 20:13
esistono le classi ma non la lotta

Jerome
25-03-17, 20:15
E questa, purtroppo o per fortuna, che piaccia o non piaccia, è la pura verità.

Infatti è proprio il pericolo incipiente che spinge il ricco a far concessioni riformiste per evitare la rivoluzione. Senza, con poca ribellione basta la normale repressione per mantenere lo status quo tanto la massa segue i populisti magici oppure il grande fratello televisivo e quello del produci-consuma-consuma-consuma

Jerome
25-03-17, 20:18
Il padronato per metterci i piedi in testa a noi proletari ci riempie di cazzate tipo il sogno ammmmmmmmerecano che tutti possono diventare come Bill Gates oppure dibattiti futili come quelli tra vegani e anti-animalisti o tra cristiani e musulmani creati ad arte da loro attraverso i servizi segreti (11 settembre e recenti attentati di Parigi) o la le tensioni tra i vari stati imperialisti che non fanno altro che farci scannare tra noi fino a trasformarci in carne da cannone o stare zitti di fronte agli abusi del padronato (tanto si ragiona così "se sto zitto e lavoro sodo divento uno di loro" credici ahhahahaah) e anzi fare lo sgambetto a nostri possibili compagni di lotta.
E' ora di dire basta a tutto ciò e riprendere la lotta di classe interrotta dopo il crollo del muro di Berlino. In Italia fortunatamente non siamo messi male in confronto ad altri paesi visto che abbiamo istituzioni come Sant' Equitalia che stanno facendo il loro dovere per fare un po' di giustizia sociale ma non basta , ancora ci sono i Salvini , i Berlusconi e i Renzi di mezzo e bisogna levarseli dalle palle.

che Murru è questo? La parte evidenziata comunque è vera, tranne per chi vive nel magico mondo di Pedro e Nordista

Lèon Kochnitzky
25-03-17, 20:29
Infatti è proprio il pericolo incipiente che spinge il ricco a far concessioni riformiste per evitare la rivoluzione. Senza, con poca ribellione basta la normale repressione per mantenere lo status quo tanto la massa segue i populisti magici oppure il grande fratello televisivo e quello del produci-consuma-consuma-consuma
Le classi subalterne seguono oggi i neopopulisti come seguivano il fascismo 80 anni fa, non solamente perché oggi non c'è un referente politico (ipotizziamo i PC) che sappia farsi portavoce, ma anche perché le tentazioni autoritarie hanno sempre affascinato le masse, ma qui va scomodata la psicologia (forse Freud e Lacan sapevano dirci qualche cosa).
Motivo per cui (in un certo senso, ma non le giustifica) le sinistre popolari hanno mutato il loro percorso ed oggi preferiscono le élite.

Jerome
25-03-17, 21:06
Le classi subalterne seguono oggi i neopopulisti come seguivano il fascismo 80 anni fa, non solamente perché oggi non c'è un referente politico (ipotizziamo i PC) che sappia farsi portavoce, ma anche perché le tentazioni autoritarie hanno sempre affascinato le masse, ma qui va scomodata la psicologia (forse Freud e Lacan sapevano dirci qualche cosa).
Motivo per cui (in un certo senso, ma non le giustifica) le sinistre popolari hanno mutato il loro percorso ed oggi preferiscono le élite.

Vogliono la soluzione facile, affidare tutto al gran capo, senza doversene occupare

LupoSciolto°
26-03-17, 19:15
Bella domanda.

Chi sa rispondere ha risposto ad almeno metà delle discussioni sul forum.

Io penso che le masse popolari (dai sottoproletari al mondo delle partite IVA) debbano compattarsi attorno a un progetto serio. Recuperare l'idea di partito-avanguardia ma rinnovare completamente linguaggio, abitudini e gettare al macero certi dogmi immobilizzanti. Recuperare, inoltre, talune tattiche tipiche dei movimenti e dei comitati di base, onde evitare derive che già conosciamo e che oggi non potrebbero funzionare né essere comprese. Abbandonare , aspetto importantissimo, l'idelogia politically correct e diritto-umanista. Affiancare alla lotta di classe quella di liberazione nazionale. I nemici sono: la grande industria, le banche, i potentati economici di vario tipo e il blocco imperialista U$A. I loro servi, può piacere o meno, sono tutti i governi.

Pestis nigra
26-03-17, 19:24
Nietzsche aveva già previsto quel che è accaduto, cioè la deproletarizzazione del proletariato e conseguentemente il livellamento sociale con morte delle classi sociali.

"Il popolo è lontanissimo dal socialismo come dottrina del cambiamento del profitto derivato dalla proprietà e una volta che, con le grandi maggioranze dei suoi parlamentari, abbia in mano la ruota del timone, assalirà con l'imposta progressiva i principati del capitale, del commercio e della Borsa, e in realtà creerà lentamente un ceto medio che potrà dimenticare il socialismo come una malattia oramai superata" [Umano troppo umano, II, II, 292].


Chi si appella alle classi sociali non viene considerato da nessuno, manco dai più poveri, proprio perché non esistono più le c. sociali, che per esistere necessitano di coscienza di classe, cioè di una gamma di tradizioni sociali, linguistiche, culinarie etc. che definiscano chi appartiene a quale classe.
Oramai tutti fan le stesse cose e fan parte dello stesso sostrato culturale, che è quello capitalistico.
Io conduco la stessa vita del Berlusca, solo che lui la conduce meglio e fa meglio e più volte le cose che faccio io, come viaggiare, come mangiare in modo sano e costoso, come scoparsi una puttana di lusso etc.

Jerome
26-03-17, 19:35
Nietzsche aveva già previsto quel che è accaduto, cioè la deproletarizzazione del proletariato e conseguentemente il livellamento sociale con morte delle classi sociali.

"Il popolo è lontanissimo dal socialismo come dottrina del cambiamento del profitto derivato dalla proprietà e una volta che, con le grandi maggioranze dei suoi parlamentari, abbia in mano la ruota del timone, assalirà con l'imposta progressiva i principati del capitale, del commercio e della Borsa, e in realtà creerà lentamente un ceto medio che potrà dimenticare il socialismo come una malattia oramai superata" [Umano troppo umano, II, II, 292].


Chi si appella alle classi sociali non viene considerato da nessuno, manco dai più poveri, proprio perché non esistono più le c. sociali, che per esistere necessitano di coscienza di classe, cioè di una gamma di tradizioni sociali, linguistiche, culinarie etc. che definiscano chi appartiene a quale classe.
Oramai tutti fan le stesse cose e fan parte dello stesso sostrato culturale, che è quello capitalistico.
Io conduco la stessa vita del Berlusca, solo che lui la conduce meglio e fa meglio e più volte le cose che faccio io, come viaggiare, come mangiare in modo sano e costoso, come scoparsi una puttana di lusso etc.

quindi Nietzsche è un apologeta del capitalismo meritocratico come forma migliore di governo tipo Ayn Rand?

Lèon Kochnitzky
26-03-17, 19:36
Nietzsche aveva già previsto quel che è accaduto, cioè la deproletarizzazione del proletariato e conseguentemente il livellamento sociale con morte delle classi sociali.

"Il popolo è lontanissimo dal socialismo come dottrina del cambiamento del profitto derivato dalla proprietà e una volta che, con le grandi maggioranze dei suoi parlamentari, abbia in mano la ruota del timone, assalirà con l'imposta progressiva i principati del capitale, del commercio e della Borsa, e in realtà creerà lentamente un ceto medio che potrà dimenticare il socialismo come una malattia oramai superata" [Umano troppo umano, II, II, 292].


Chi si appella alle classi sociali non viene considerato da nessuno, manco dai più poveri, proprio perché non esistono più le c. sociali, che per esistere necessitano di coscienza di classe, cioè di una gamma di tradizioni sociali, linguistiche, culinarie etc. che definiscano chi appartiene a quale classe.
Oramai tutti fan le stesse cose e fan parte dello stesso sostrato culturale, che è quello capitalistico.
Io conduco la stessa vita del Berlusca, solo che lui la conduce meglio e fa meglio e più volte le cose che faccio io, come viaggiare, come mangiare in modo sano e costoso, come scoparsi una puttana di lusso etc.

Questo è vero, la differenza di classi è scomparsa, perché il capitalismo, attraverso il benessere, ha livellato le necessità e i gusti di tutti. Ha dato a tutti la possibilità di avere un'auto decente, una casa decente, una tv, un cellulare e dei vestiti di marca.
E questo ha fatto apparentemente scomparire i bisogni derivati dal pauperamento delle masse proletarie.
Il punto è che il capitalismo non è immune alle crisi ed ai difetti, e infatti sta crollando e con sé si porta dietro quelle contraddizioni e illusioni con le quali ha nutrito i non abbienti, facendoli sentire, per qualche decennio, non proprio come i loro miti (che sono sempre i ricchi), ma quasi.
Ora il proletariato è disorientato e ovviamente non avendo una capacità di lettura del reale e delle sue dinamiche, non sa a chi dare la colpa e non la dà al vero responsabile, che è il capitale, che li ha solo illusi per meglio sfruttarli. E a causa delle loro incapacità di analisi della realtà socio-economica, cosa fanno? Si votano al solito uomo forte che promette loro di ricondurle allo stesso stato in cui erano sotto il capitalismo. Perché sostanzialmente l'unico scopo che hanno gli uomini nella vita è possedere cose materiali e fare una vita agiata, non hanno altri obiettivi. E certamente non sono filosofici o spirituali. La chiesa prima, e politicamente i fascismi (ma anche i comunismi) poi, per convincere le masse dei loro progetto hanno dovuto comunque illuderli di condizioni di vita migliori.
Io sono convinto che pure le masse che sono state comuniste negli anni in cui essere comunisti era normale ed auspicabile, sotto sotto speravano che se il comunismo veniva, li avrebbe comunque fatti vivere da pascià. Mentre il comunismo, si sa, punta alla frugalità, che è l'unica prospettiva che renderebbe possibile l'egualitarismo.

Jerome
26-03-17, 19:38
Questo è vero, la differenza di classi è scomparsa, perché il capitalismo, attraverso il benessere, ha livellato le necessità e i gusti di tutti. Ha dato a tutti la possibilità di avere un'auto decente, una casa decente, una tv, un cellulare e dei vestiti di marca.
E questo ha fatto apparentemente scomparire i bisogni derivati dal pauperamento delle masse proletarie.
Il punto è che il capitalismo non è immune alle crisi ed ai difetti, e infatti sta crollando e con sé si porta dietro quelle contraddizioni e illusioni con le quali ha nutrito i non abbienti, facendoli sentire, per qualche decennio, non proprio come i loro miti (che sono sempre i ricchi), ma quasi.
Ora il proletariato è disorientato e ovviamente non avendo una capacità di lettura del reale e delle sue dinamiche, non sa a chi dare la colpa e non la dà al vero responsabile, che è il capitale, che li ha solo illusi per meglio sfruttarli. E a causa delle loro incapacità di analisi della realtà socio-economica, cosa fanno? Si votano al solito uomo forte che promette loro di ricondurle allo stesso stato in cui erano sotto il capitalismo. Perché sostanzialmente l'unico scopo che hanno gli uomini nella vita è possedere cose materiali e fare una vita agiata, non hanno altri obiettivi. E certamente non sono filosofici o spirituali. La chiesa prima, e politicamente i fascismi (ma anche i comunismi) poi, per convincere le masse dei loro progetto hanno dovuto comunque illuderli di condizioni di vita migliori.
Io sono convinto che pure le masse che sono state comuniste negli anni in cui essere comunisti era normale ed auspicabile, sotto sotto speravano che se il comunismo veniva, li avrebbe comunque fatti vivere da pascià. Mentre il comunismo, si sa, punta alla frugalità, che è l'unica prospettiva che renderebbe possibile l'egualitarismo.

certo, il pauperismo forzato e l'austerità eterna non piacciono a nessuno, per questo sono crollati i socialismi storici

Lèon Kochnitzky
26-03-17, 19:45
certo, il pauperismo forzato e l'austerità eterna non piacciono a nessuno, per questo sono crollati i socialismi storici
L'obiettivo non era quello. Quando parlo di austerità non intendo dire che bisogna morire di fame, ma non si può negare che il comunismo sia un'ideologia decrescista e per questo non piace ai liberisti. Decrescita non vuol dire povertà, vuol dire solo produrre meno e consumare meno e non avere quello come unico obiettivo

Extab
26-03-17, 20:08
Il comunismo reale, non è mai esistito.
Nessuno stato dell'ex-blocco comunista, nessun altro stato in giro per il mondo che si sia mai dichiarato comunista, ha messo in pratica alla lettera Marx .

Jerome
26-03-17, 20:40
Il comunismo reale, non è mai esistito.
Nessuno stato dell'ex-blocco comunista, nessun altro stato in giro per il mondo che si sia mai dichiarato comunista, ha messo in pratica alla lettera Marx .

Il vero comunismo è consiliarista Kavalerists

Kavalerists
26-03-17, 21:04
Quando si dice che nessuno stato ha messo in pratica alla lettera le teorie di Marx, bisognerebbe anche chiedersi se ciò sia una cosa possibile da attuare.
A mio avviso, il Marxismo puro, al di là dell'etichetta di scientifico resta abbastanza utopico, come i socialismi che l'hanno preceduto. Anche se resta sempre valida la parte economica e di analisi del funzionamento complessivo del sistema capitalistico. Poi la previsione che la rivoluzione proletaria possa scoppiare al culmine dello sviluppo capitalistica è pura fantasia, la rivoluzione comunista scoppia per la fame, è successo così in Russia, e anche con l' aggiunta di motivi di liberazione nazionale, come in Cina, a Cuba, o in VietNam.
Ed infatti non parliamo neanche di marxismo, ma di marxismo-leninismo.
Quanto al consiliarismo stendiamo un velo pietoso, e lasciamo a baloccarsi i giullari dell'utopia più spinta e fantasiosa.
O forse tu tirando in ballo il consiliarismo volevi intendere che il tizio è un probabile nuovo clone di Nazkol/Comunardo°? ;)

Extab
26-03-17, 21:12
Forse gli Esseni furono gli unici veri "comunisti" della storia, assieme ai proto-cristiani.
E a altre sette più o meno note, sempre e un ica,mente ispirate da religioni, credenti mistici e non politici certamente

Jerome
26-03-17, 21:21
Quando si dice che nessuno stato ha messo in pratica alla lettera le teorie di Marx, bisognerebbe anche chiedersi se ciò sia una cosa possibile da attuare.
A mio avviso, il Marxismo puro, al di là dell'etichetta di scientifico resta abbastanza utopico, come i socialismi che l'hanno preceduto. Anche se resta sempre valida la parte economica e di analisi del funzionamento complessivo del sistema capitalistico. Poi la previsione che la rivoluzione proletaria possa scoppiare al culmine dello sviluppo capitalistica è pura fantasia, la rivoluzione comunista scoppia per la fame, è successo così in Russia, e anche con l' aggiunta di motivi di liberazione nazionale, come in Cina, a Cuba, o in VietNam.
Ed infatti non parliamo neanche di marxismo, ma di marxismo-leninismo.
Quanto al consiliarismo stendiamo un velo pietoso, e lasciamo a baloccarsi i giullari dell'utopia più spinta e fantasiosa.
O forse tu tirando in ballo il consiliarismo volevi intendere che il tizio è un probabile nuovo clone di Nazkol/Comunardo°? ;)

Non credo sia NazKol

Kavalerists
26-03-17, 21:38
Non credo sia NazKol
Ma sì, in fondo, seppur raramente, qualche nuovo utente reale arriva...

Pestis nigra
27-03-17, 00:41
quindi Nietzsche è un apologeta del capitalismo meritocratico come forma migliore di governo tipo Ayn Rand?

No, perché ci sono aforismi in cui attacca i borghesi venali. Sapeva semplicemente quel che stava accadendo, come quando disse che la democratizzazione d'Europa era inarrestabile (Umano, II, II, 275), pur lui odiando la democrazia come espressione di decadenza umana (Al di là, 203).


Questo è vero, la differenza di classi è scomparsa, perché il capitalismo, attraverso il benessere, ha livellato le necessità e i gusti di tutti. Ha dato a tutti la possibilità di avere un'auto decente, una casa decente, una tv, un cellulare e dei vestiti di marca.
E questo ha fatto apparentemente scomparire i bisogni derivati dal pauperamento delle masse proletarie.
Il punto è che il capitalismo non è immune alle crisi ed ai difetti, e infatti sta crollando e con sé si porta dietro quelle contraddizioni e illusioni con le quali ha nutrito i non abbienti, facendoli sentire, per qualche decennio, non proprio come i loro miti (che sono sempre i ricchi), ma quasi.
Ora il proletariato è disorientato e ovviamente non avendo una capacità di lettura del reale e delle sue dinamiche, non sa a chi dare la colpa e non la dà al vero responsabile, che è il capitale, che li ha solo illusi per meglio sfruttarli. E a causa delle loro incapacità di analisi della realtà socio-economica, cosa fanno? Si votano al solito uomo forte che promette loro di ricondurle allo stesso stato in cui erano sotto il capitalismo. Perché sostanzialmente l'unico scopo che hanno gli uomini nella vita è possedere cose materiali e fare una vita agiata, non hanno altri obiettivi. E certamente non sono filosofici o spirituali. La chiesa prima, e politicamente i fascismi (ma anche i comunismi) poi, per convincere le masse dei loro progetto hanno dovuto comunque illuderli di condizioni di vita migliori.
Io sono convinto che pure le masse che sono state comuniste negli anni in cui essere comunisti era normale ed auspicabile, sotto sotto speravano che se il comunismo veniva, li avrebbe comunque fatti vivere da pascià. Mentre il comunismo, si sa, punta alla frugalità, che è l'unica prospettiva che renderebbe possibile l'egualitarismo.
Il popolo contemporaneo, che ha conosciuto gli agi del capitalismo, non accetterà mai il pauperismo cristiano-socialista. Quindi un impoverimento della gente non condurrà mai più al marxismo, che se prima era morto ora lo è di più, come forma di riscatto. Molto più furbi gli estremisti di destra che vogliono ridare gli agi capitalistici al popolo, ma in modo selezionato ("gli agi a voi e non agli altri, ché non ce n'è abbastanza per tutti") e questo attira consenso perché è fattibile e d'altronde nella storia è sempre stato fatto.

Non c'è soluzione, la sinistra pauperistica può andar forte solo fra qualche migliais di ragazzi ricchi e annoiati che vogliono fare i poveri. I veri poveri non hanno più voglia di fare i poveri. Il capitalismo ha distrutto tutto, oramai è finita per tutti. Avete viziato la plebe, ora son cazzi vostri.
Avreste dovuto sapere cosa significa viziare un bambino scemo.

Jerome
27-03-17, 09:00
Però lui viveva da borghese tipico.

Che il socialismo nazionale sia estremismo di destra non è mica vero.