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Avamposto
31-07-10, 11:42
Franco Giorgio Freda -

LA DISINTEGRAZIONE DEL SISTEMA

I. ANALISI

"È inevitabile che in questo mondo di sfruttatori e di sfruttati non sia possibile alcuna grandezza che per ultima istanza non abbia il fatto economico. Vengono bensì contrapposte due specie di uomini, di ani, di morali, ma non occorre avere molto acume per accorgersi che unica è la sorgente che le alimenta. Così è anche da un medesimo tipo di progresso che i protagonisti della lotta economica traggono la loro giustifi cazione. Essi si incontrano nella pretesa fondamentale di essere ognuno il vero autore della prosperità sociale per cui ognuno è convinto di poter minare le posizioni dell'avversario quando riesce a contestargli ogni diritto di presentarsi come tale." La ragione fondamentale che ci ha indotto a convocare questo Congresso è determinata dal profondo convincimento - mio e vostro - che il momento presente imponga alla - mio e vostro - che il momento presente imponga alla nostra organizzazione l'esigenza di "serrare i ranghi" attorno ai motivi centrali della nostra idea della vita e del mondo. L'esigenza, in primo luogo, di riconoscere quali siano realmente i piani di riferimento, i cànoni da cui derivare la nostra presenza politica - di scorgere la direzione ideale da assumere. In secondo luogo - o, meglio, conseguentemente e simultaneamente -, l'esigenza di articolare in uno schieramento elastico, agile, senza complessi, senza inibizioni - in una parola: spregiudicato -la nostra vocazione, la nostra volontà di lotta politica. Noi ci troviamo al punto in cui la necessità di rappresentare gli errori trascorsi, di comprendere i motivi fondamentali che hanno potuto permetterli, si incrocia col dovere di affondare le nostre radici - "nostre", cioè di uomini che si dedicano alla politica senza riserve mentali, senza equivoci intendimenti, senza alibi minuscole-borghesi: con l'anima, vorrei quasi dire, disincantata e impersonale di chi compie il proprio dovere perché esso deve essere compiuto - al centro della nostra dottrina politica e di rimanere a essa aderenti negli elementi essenziali, senza esitazioni. Una lucida adesione all'essenziale che deve permettere, o, piuttosto, tonifi care la nostra capacità di rimanere elastici e agili in quel che è funzionale e strumentale. Credo, infatti, di non affermare nulla di nuovo, sostenendo che quanto più intensamente noi siamo radicati nel centro, tanto più agevolmente possiamo muoverci sui punti della lontana circonferenza, senza distanziarci - per ciò che vale, per l'essenziale - dal centro. Ho detto prima: serrare i ranghi, per dar vita a una organizzazione politica elastica. Ora voglio aggiungere: serrare i ranghi per possedere una organizzazione politica in grado di dare un colpo d'ala a uomini destinati alla conquista del potere. Noi abbiamo sinora camminato. Non dobbiamo temere le conseguenze di un'autocritica quando essa sia libera e dignitosa e, perciò, diremo: siamo regrediti! Siamo rimasti passivamente uniti agli "altri", agli schemi politici degli "altri", ai falsi problemi degli "altri", alla réclame ideologica degli "altri": abbiamo riconosciute come nostre le fi nalità - che erano, quanto meno, equivoche - degli "altri". Il comportamento di tutti - prima dei capi, poi, di conseguenza, del loro seguito - è stato, nella migliore delle ipotesi, quello degli ingenui, nella peggiore, quello degli ottusi. Il nostro discorso politico, agli inizi, si imperniava sull'Europa, e noi credevamo che l'Europa fosse veramente un mito e rappresentasse una autentica idea-forza: mentre solo molto tardi ci siamo persuasi che questa parola rifl etteva una semplice defi nizione geografi ca, cui nemmeno era lecito attribuire una capacità propagandistica originale, in un'epoca in cui anche le copisterie, le lavanderie, le tavole calde e gli hotels delle stazioni termali si chiamano "Europa"!! Noi parlavamo di concezione politica europea da contrapporre alle varie concezioni nazionalistiche patriottarde, ma non ci siamo accorti (o non abbiamo voluto accorgerci?) che questo poteva valere solo nei confronti della destra nazionalistica minuscolo-borghese -sopra tutto quella nostrana - e che, perciò, tutto si esauriva nei termini di una polemica qualunquistica (anch'essa superata, ormai, dal momento che gli stessi ragazzotti neofascisti guaiscono: Europa - Fascismo - Rivoluzione!!). Abbiamo parlato in termini di "civiltà europea", senza scalfi re neanche la superfi cie di questa espressione e senza verifi care, calandoci nel fondo del problema, se esista, in realtà, una omogenea civiltà europea, e quali ne siano gli autentici coeffi cienti di signifi cato - alla luce di una situazione storica mondiale per cui il guerrigliero latino-americano aderisce alla nostra visione del mondo molto più dello spagnolo infeudato ai preti e agli U.S.A.; per cui il popolo guerriero del Nord-Vietnam, col suo stile sobrio, spartano, eroico di vita, è molto più affine alla nostra fi gura dell'esistenza che il budello italiota o franzoso o tedesco-occidentale; per cui il terrorista palestinese è più vicino alle nostre vendette dell'inglese (europeo? ma io ne dubito!) giudeo o giudaizzato. Noi abbiamo propugnata l'egemonia europea, rivolgendoci a un'Europa che era stata ormai americanizzata o sovietizzata, senza considerare che questa Europa era diventata serva degli U.S.A. o dell'U.R.S.S. perché i popoli e le nazioni europee avevano assorbite - successivamente, ma non conseguentemente, alla sconfi tta militare - le esportazioni ideologiche degli U.S.A. e dell'U.R.S.S. Senza considerare che il collasso culturale-politico-economico era intervenuto proprio perché era cessata quella tensione, era franato quel supporto che aveva suscitato in alcuni popoli, in alcuni uomini europei, in certe epoche storiche (e soltanto in alcuni e solo in determinate epoche storiche!) quella dimensione superiore di civiltà che noi pretendevamo di attribuire tout court all'Europa. È giunto il momento di terminare di baloccarci col fantoccio "Europa" o di fare i gargarismi colla sua espressione vocale. Con l'Europa illuministica noi non abbiamo nulla a che fare. Con l'Europa democratica e giacobina noi non abbiamo nulla a che vedere. Con l'Europa mercantilistica, con l'Europa del colonialismo plutocratico: nulla da spartire. Con l'Europa giudea o giudaizzata noi abbiamo solo vendette da fare. Eppure, allorché si parla in termini di "civiltà europea", si considera tutto questo: non ditemi che si parla anche di questo: si parla, purtroppo, solo di questo! O, forse, noi "volevamo" mirare ad altro? Comunque, se si voleva mirare ad altro, noi di quest'"altro", fi nora, non abbiamo mai realmente, compiutamente parlato. E io sono sicuro che se avessimo veramente considerato e posseduto quest'"altro", noi non avremmo a questo contenuto fornito un contenente, o, meglio, un'etichetta, o, meglio ancora, una "immagine di marca" rappresentata dalla parola "Europa". Sono affi orate tali e tante componenti spurie, da respingere, da sotterrare; sono intervenuti tanti - oso dire: troppi - fattori, che hanno adulterato e corrotto questo liquido europeo sino a renderlo liquame, perché esso possa ancora subire positivamente un processo di decantazione. L'Europa e una vecchia baldracca che ha puttaneggiato in tutti i bordelli e che ha contratto tutte le infezioni ideologiche - da quelle delle rivolte medievali dei Comuni a quelle delle monarchie nazionali antimperiali; dall'illuminismo al giacobinismo, alla massoneria, al giudaismo, al sionismo, al liberalismo, al marxismo. Una baldracca, il cui ventre ha concepito e generato la rivoluzione borghese e la rivolta proletaria; la cui anima e stata posseduta dalla violenza dei mercanti e dalla ribellione degli schiavi. E noi, a questo punto, vorremmo redimerla, sussurrandole parole magiche: dicendole, per esempio, che essa deve concedersi esclusivamente agli "europei"... da Brest a Bucarest??!! Noi abbiamo alzata la bandiera dell'Europa senza comprendere che questa non poteva rappresentare per noi alcun signifi cato valido e omogeneo: senza osservare quanti fossero i fi li e i lacci da cui era composto il suo tessuto stracciato e quanto stereo esso nascondeva! Abbiamo preferito, insomma, nascondere la nostra incapacità di voler scegliere ciò che per noi vi era di autentico e vero, e di saper respingere quanto vi era di spurio e di equivoco in seno alla tradizione (cioè, in questo caso, alla storia) europea, illudendoci di colmare tale vuoto col ricorso alla formula, alla parola "Europa". Senza considerare, come prima elicevo, che esiste oggi una Europa democratica- borghese o democratica-socialista; così come ieri esisteva una Europa fascista e nazionalsocialista e una Europa democratica; così come l'altro ieri esisteva una Europa giacobina e una Europa controrivoluzionaria. Senza considerare che molti, anche i tecnocrati del M.E.C., vagheggiano una loro Europa: una Europa fondata sulla sinistra gerarchla che imporrebbe alla base della piramide lo sfruttamento "razionale" del lavoro italiano e, al vertice, 1 investimento del capitale internazionale. Invece di adottare questa formula equivoca (che doveva servire solo a distinguerci da coloro che sostenevano altre formule - quelle nazionalistiche - altrettanto equivoche), era necessario dire in nome di quali principi, attorno a quale idea del mondo, secondo quale direzione di effi cacia, i migliori tra gli uomini europei dovevano vincolarsi in una o r g a n i c a u n i t à p o l i t i c a s u p e r n a z i o n a l e . E a questa diversa realtà avremmo potuto ancora dare il nome di "Europa" se la "vecchia Europa" - l'Europa dei secoli bui (per capovolgere il signifi cato di una nota frase di un vecchio buffone), l'Europa dei comuni antimperiali, l'Europa della chiesa romana, l'Europa protestantica, del mercantilismo, dell'illuminismo, del democratismo borghese e proletario, l'Europa massonica e giudaica -, questo spettro mostruoso non si fosse parato dinanzi a quegli uomini di ben diversa razza. Mi sono soffermato su questo punto, perché esso segnala il carattere più evidente dei nostri errori, e perché il motivo dell'"Euro-pa" ha costituito, negli anni di attività politica della nostra organizzazione, il punto focale in cui confl uivano le nostre prospettive politiche. Ritengo quindi inutile soffermarmi a considerare specifi camente gli altri elementi del nostro cosiddetto programma, dal momento che anch'essi sono le conseguenze, su piani distinti, di quegli equivoci già accennati. Ora, dopo aver riconosciuto la nostra miopia e i nostri errori, occorre procedere, prima di verifi care la direzione da assumere, ad analizzare la situazione attuale e i criteri operativi che gli altri seguono. Continuo a dire "gli altri" - e non i nostri avversari o i nostri nemici - proprio perché voglio insistere e chiarire sino alle estreme rappresentazioni che i vocaboli possono rendere o le immagini evocare, come tra noi e gli altri vi sia (e vi debba essere) molto più di una semplice differenza di mentalità, di modo di agire, di "ideologia" politica. E un'anima diversa, è una razza diversa quella che consente alle nostre azioni il loro signifi cato tipico e vi attribuisce la fi sionomia propria, irreducibile ai termini e alle fi gure comuni alle varie "ideologie" politiche della nostra epoca. La considerazione da cui noi prendiamo le mosse è questa: noi oggi viviamo nel mondo degli altri, circondati dagli altri, da questi degni rappresentanti dell'epoca borghese, sotto il dominio della più squallida e avvilente delle dittature: quella borghese, quella dei mercanti. Tutto quel che ci circonda è borghese: società politica, economia, cultura, famiglia, comportamenti sociali, manifestazioni "religiose". Nelle democrazie "occidentali" lo spettacolo che ci si para dinanzi è vincolato da una rivoltante coerenza ai cànoni più ortodossi della concezione di vita borghese. In queste democrazie, l'organizzazione del potere serve a mantenere immutato, attraverso i più vari strumenti oppressivi e repressivi, il rapporto egemonico di una classe - quella dei borghesi, e, particolarmente, di una parte di essa, quella costituitasi in oligarchia plutocratica - sul popolo. Il supporto esclusivamente classista su cui esse si fondano non permette realtà e valori diversi da quelli economici: la dittatura borghese, emersa vittoriosa secondo un processo di potenziamento e di intensifi cazione egemonica dalla rivoluzione francese*(* È ovvio che tale punto di riferimento storico risponde soltanto alla esigenza funzionale di rappresentare in termini storicamente relativi un fenomeno generale, le cui origini superano, pertanto, il suo momento di manifestazione.) , conserva da circa duecento anni inalterato l'unico vincolo che leghi il borghese a un uomo: vincolo che è da padrone a servo, da sfruttatore a sfruttato. Nonostante tutte le edulcorazioni assistenziali, previdenziali, paternalistiche in genere, questa è la vera realtà del sistema borghese. È la medesima realtà che già nel 1849 Marx tracciava magistralmente nel Manifesto del partito comunista: "L'attuale potere politico dello Stato moderno non e se non una giunta amministrativa degli affari comuni di tutta la classe borghese [...] Dovunque e giunta al dominio essa ha distrutto senza pietà tutti quei legami multicolori, che nel regime feudale avvincevano gli uomini ai loro naturali superiori, e non ha lasciato tra uomo e uomo altri vincoli all'infuori del nudo interesse e dello spietato pagamento in contanti [...} Ha risolto la dignità personale in un semplice valore di scambio; e alle molte e varie libertà bene acquisite e consacrate in documenti, essa ha sostituito la sola e unica libertà del commercio, di dura e spietata coscienza. " Se la società**(** Riteniamo più opportuno usare il termine società, nel suo signifi cato naturalistico o mercantilistico, per destinare, invece, il termine Stato a signifi care realtà diverse e superiori a quelle costituite dalla ricerca e dal soddisfacimento di bisogni economici) borghese concede ai dominati un miglioramento delle condizioni di vita vegetativa (qui includendo anche quelle comprese nel regno del mentale!), non è che i presupposti esclusivamente egoisticoeconomicistici su cui la società borghese si fonda siano venuti a mancare. Si suole giustamente dire che il "diavolo" è tanto più pericoloso quanto più è divenuto rispettabile! E, infatti, il maggior benessere è dovuto, per conseguenza, al fatto che, nello svolgimento storico della società borghese, le tendenze all'egemonia politica da parte del borghese, consolidatesi in un effettivo "prepotere" politico, hanno semplicemente assunto modalità di forza diverse dalle precedenti, ma, come le precedenti, esse esprimono coerenti manifestazioni di una medesima e identica realtà: serrata in schemi, appunto, di tensione produttivistico-con-sumistica. Il capitalista, cioè, comprende che, aumentando il salario al lavoratore, questi acquisterà il frigorifero o l'automobile prodotta dal capitalista; questi si rende conto che, stordendo chi lavora con l'ossessione di bisogni sempre nuovi - e, perciò, non reali ma illusori, artifi ciali - e costringendolo a preoccuparsi per acquisirli, egli potrà intossicare completamente di lavoro il lavoratore. Quest'ultimo, allora, mite e buono, tranquillo come un bove (un bove che, periodicamente, potrà muggire per rivendicazioni salariali: al quale, talvolta, sarà anche consentita l'illusione di comportarsi come un libero toro e verrà concesso di danneggiare la stalla!), non svolgerà alcun tentativo per sostituire la "propria" egemonia a quella del borghese. Lo Stato, quindi, nelle democrazie "rappresentative" borghesi, è il luogo politico solo del borghese: la sua unica reale destinazione e funzione è determinata dall'economia borghese, consiste nella difesa dell'economia borghese, nella sublimazione dell'economia borghese. Aiutata dai mezzi di penetrazione che le applicazioni tecniche della "scienza" borghese le offrono, la borghesia, dopo aver ridotto l'uomo al livello di lavoratore, è riuscita a completare il processo di identifi cazione tra il momento "individuale" e quello "sociale" e a riempire di sé ogni dominio. Il mercante ha imposto a tutti le proprie inclinazioni, le proprie aspirazioni: diverse, estranee vocazioni (non diremmo superiori, ma solo diverse!) non posseggono margine alcuno nello spazio politico che è del borghese, che appartiene soltanto a chi è "borghese". L'arte stessa, nonostante la ipocrita giustifi cazione (o dignifìcazione?) in schemi di autonomia che i borghesi si preoccupano di attribuirle, è rigorosamente funzionalizzata per il diletto (o, meglio, per le masturbazioni intellettuali) dei borghesi. La "libera" scienza non è altro che ricerca volta al progresso del sistema borghese, cioè al potenziamento delle strutture della società borghese: ovvero, effi ciente tecnologia asservita alle "conquiste" di quest'ultima. La giustizia medesima non è altro che la cristallizzazione nei codici delle idee dominanti in seno alla società borghese, delle idee della classe "prepotente", che è la borghese. Qualsiasi distonia, qualsiasi disfunzione del sistema viene da essa attribuita al sabotaggio operato dai nemici del sistema, dai pochi per cui l'ordine tout court non è l'idolo da adorare, per cui le sublimazioni legalitarie signifi cano solo profonde e avvilenti ingiustizie. Qualora, infi ne, tutti questi coeffi cienti di equilibrio non bastino, la società borghese pone in funzione la sua massima e risolutiva valvola di sicurezza, lo sport, fenomeno massifi cato di transfert, di deviazione, di esaurimento delle energie superstiti verso un obiettivo, comunque destato, quasi demoniaco. D'altronde, se l'economia è il destino dei borghesi, essa rimane, allo stesso modo, il destino dei diseredati, cioè degli sfruttati (o, se si vuole, dei proletari). Non è in nome di una diversa realtà, o di un diverso feticcio, che i proletari muovono all'assalto del refettorio borghese. E la coscienza rabbiosa di non voler più servire ai borghesi, di non voler più concimare le fortune di costoro, che suscita la rivolta proletaria. Se i borghesi recitano il leit-motiv dell'eguaglianza, come concetto giuridico-culturale-sentimentale, i proletari non si appagano della "buona intenzione", ma esigono che la formula, divenendo modulo di azione concreta, elimini la distinzione tra chi ha e chi non ha, o tra chi possiede di più e chi possiede di meno. Il presupposto, tuttavia, economicistico e quantitativo, rimane! E sempre in nome della "realtà" economica, è sempre sotto l'effetto del "mistico" delirio dell'economia, che il proletario tende a imporre una "sua" articolazione di rapporti economici, una "sua" organizzazione della giustizia, un "suo" modo di concepire - di conseguenza - la produzione artistica, i rapporti tra i cittadini etc. L'apparente antitesi tra le democrazie borghesi e quelle socialiste(* Noi consideriamo, qui, i modelli europei di democrazia socialista, perché, per i paesi asiatici, africani e latino-americani, altri elementi devono introdursi, con effi cacia assorbente, per spiegare il processo politico in atto) si scioglie - come il muro di ghiaccio - di fronte a questo carattere dominante produttivistico-consumistico. II "primato" che nelle democrazie borghesi viene esercitato da chi ha il potere economico e, perciò, ha il potere politico (chi possiede, comanda), nelle democrazie socialiste è costituito da chi tiene il potere politico e, perciò, ha a disposizione - come distorto privilegio della funzione di comando politico - quegli stessi mezzi di produzione che, nel campo sedicente "opposto", formano il patrimonio dei borghesi. Da una parte, i detentori del capitale, i quali posseggono - in nome della libertà, della giustizia, dell'ordine - il potere politico e mirano a conservarlo, cioè ad accrescerlo per accrescere il loro capitale; dall'altra parte, gli unici detentori del capitale, i quali, servendosi di diverse immagini di marca, reclamizzano il medesimo prodotto. La regola economicistica del processo abnorme produzione-consumo è quindi presente in entrambi*.(* La nuova classe dei tecnocrati che pare stia affi orando paurosamente dalla società sovietica, muovendo alla conquista della direzione "politica" dei paesi socialisti, non ha nulla da invidiare nelle intenzioni agli stregoni dell'industria borghese del "libero occidente".) Non è questo il luogo di analizzare - sia pur brevemente - le connessioni imperialistiche tra tali sistemi, la cui logica necessaria pone, per l'appunto, la soluzione d'assalto imperialistico come unico e fatale veicolo di protezione dell'organizzazione capitalistica. Non bisogna quindi meravigliarsi se, come nella società borghese, anche nella società socialista i ruoli di potere si qualifi chino e si esprimano esclusivamente in termini di ricchezza; né potrebbe essere altrimenti quando si attribuisca allo Stato soltanto la funzione di ordinatore di ricchezza (d'altronde, quali Stati diversi da loro stessi potrebbero fondare i borghesi e i proletari?); quando sia funzione dello Stato eccitare alla ricchezza, a impadronirsi della ricchezza, e proporre esclusivamente la soddisfazione dei bisogni fi sici dell'esistenza vegetativa (comprendendo, si ripete, nel termine "fi sici" anche quelle complicazioni irrequiete che il borghese si compiace di qualifi care come bisogni "spirituali"). In entrambi i modelli, perciò, il fenomeno identico ammette solo delle alterne "sbavature di immagine". Tensione che oppone borghesi a proletari, da una parte; tensione che oppone i burocrati (i funzionari tecnocrati) ai governati, dall'altra. Da una parte, la proprietà privata che non viene compresa nello Stato (che, cioè, non si limita a rappresentare uno dei possibili coeffi cienti della sua organizzazione), ma è lo Stato stesso - per cui lo Stato è "proprietà dei proprietari"; dall'altra, la proprietà di Stato che si risolve nella proprietà di chi amministra lo Stato - per cui lo Stato e l'astratta eguaglianza si risolvono in una prevaricazione burocratica e tecnocratica. A questo punto, sarebbe ridicolo contrapporre a tale analisi il sottile "distinguo" secondo cui a una identità sul piano dei risultati fra le due forme organizzative - quella borghese e quella socialista - non corrisponderebbe una sostanziale identità sul piano dei "principi". Per cui, mentre il rapporto sfruttatore-sfruttato sarebbe la conseguenza tipica e normale, derivante naturalmente dalle premesse del sistema capitalistico borghese, lo sfruttamento del governato da parte del governante nel sistema capitalistico socialista sarebbe da qualifi carsi come una disfunzione abnorme e una degenerazione non riconducibile all'essenza stessa del sistema! La verità, invece, è che l'essenza nei due fenomeni è la medesima perché il principio è lo stesso: l'economia è il destino dell'uomo, l'unica realtà elementare - naturale - dell'uomo, l'unica sua dimensione esistenziale. E questa primordiale "realtà", avente nel proprio centro l'immagine ossessiva del tubo digerente (un tubo con due aperture: una per ingoiare e l'altra per evacuare, altre eventuali aperture non servendo che ad abbellire o a facilitare la "buona digestione" e a stimolare secrezioni gastriche, quando ve ne sia necessità) ammette, tuttavia, due diverse interpretazioni di voracità: l'una, secondo cui tutti i tubi digerenti sono uguali*(* In tal caso l'orientamento è verso il "principio" della società dell'eguale benessere per tutti: la mandria degli eguali.); l'altra, secondo cui non tutti i budelli sono eguali, ma alcuni grossi e altri più ristretti (e per questo è opportuno che la giustizia, l'ordine ecc. ecc. veglino affi nchè non si provochi una pericolosa e "sovversiva" dilatazione)**. (** Ovviamente, in questa ipotesi, l'obiettivo sarà rappresentato dalla società del benessere)

Virgilio Xoom - Sito non trovato (http://xoomer.virgilio.it/controvoce/do) ... azione.htm

Avamposto
31-07-10, 11:44
Franco Freda
La disintegrazione del sistema

Collana Adel
€ 14
Il suo autore, richiesto di ribadire quali fossero le mire di questo testo, così si è espresso in una recente intervista (in F.G. Freda, In alto le forche!): “Quelle della Disintegrazione erano, in essenza, le proposizioni del comunismo aristocratico di matrice platonica, applicate alla vicenda di un segmento storico.” E, di fronte alle opinioni della vulgata, che ancora lo ritiene uno scritto ‘eccitante’ e ‘sociale’, ha obiettato: “Che cosa c’è invece di più ordinato, ascetico, essenziale, silenzioso, del comunismo castrense cui mirava quel testo?”


http://www.edizionidiar.com/images/disintegrazione_old.jpg



La disintegrazione del sistema - Franco Freda (Edizioni di Ar) (http://www.edizionidiar.com/disintegrazione-sistema-franco-freda.asp)

Avamposto
31-07-10, 11:45
da "Avanguardia" n°185 - Giugno 2001



F. G. Freda
La disintegrazione del Sistema
Edizioni di Ar, Padova 2000, pp. 192, lire 25.000



A distanza di trentadue anni dalla sua pubblicazione, è ancora attuale la valenza rivoluzionaria in chiave antisistemica de "La disintegrazione del sistema". Lo affermiamo, pur dovendo nutrire delle forti perplessità sui moventi della sua stesura, compiuta in un contesto socio politico influenzato dalle perverse logiche della strategia della tensione. Lo scritto di Freda apparve (è stato un caso?) negli anni in cui i servizi di sicurezza atlantici, dopo la riunione del “club di Berna”, organizzazione che raggruppava i servizi segreti occidentali -la presidenza onoraria fu affidata al defunto e non compianto Umberto Federico D’Amato, responsabile dell’Ufficio Affari Riservati del Viminale ed intimo di James Jesus Angleton, numero uno dell’OSS-, pianificarono in funzione antisovietica la strategia di infiltrazione a sinistra creando dei gruppi «revisionisti» filocinesi definiti «nazi-maoisti», alimentando e creando ex-novo una sinistra extraparlamentare con l’obiettivo di indebolire il PCI. Tra gli «amici» di Freda, si prestarono a questo «gioco» Claudio Mutti e Claudio Orsi, in quel di Parma. Non ci spieghiamo nemmeno i perchè della costituzione da parte di Freda di un movimento xenofobo quale il Fronte Nazionale, la cui prassi politica si delineava in netto contrasto con i postulati dottrinari esposti ne "La disintegrazione del sistema".

Ma, al di là di questo, noi riteniamo che il significato essenziale sovraindividuale di ogni opera travalichi il valore esistenziale individuale dell’autore. La disintegrazione, infatti, è la coerente proiezione politica rivoluzionaria «dedotta» dai princìpi tradizionali e dai «canoni» di comportamento individuale «pre-destinati» all’uomo differenziato ed esposti da Julius Evola in "Cavalcare la tigre". Lo scritto di Freda è l’agile e incisivo breviario di lotta rivoluzionaria per ogni soldato politico che intenda affrontare attivamente il nichilismo contemporaneo con l’intenzione di portarsi oltre il punto zero dei valori, oltrepassando il «valico» epocale che prelude alla futura restaurazione tradizionale. Freda traduce -per la prima volta- la radicale «alterità» delle categorie metafisiche del mondo della Tradizione, nel quadro di una prassi politica di lotta al Sistema per l’annientamento del Sistema. Egli proporrà una prospettiva politica volta a realizzare la totale mobilitazione del fronte antisistema entro unitarie linee di condotta operativa. Questo tentativo, benchè formulato nel 1969, durante gli anni della «contestazione» giovanile, non risulta datato, anzi custodisce inalterato il suo oggettivo valore di lucida ed elastica proposta rivoluzionaria.

Secondo l’Autore, la razza interiore giudeo-borghese rappresenta la sintesi antropologica individuale «elaborata» alla dinamica interazione etico-sociale intervenuta fra la forma mentis giudaica e le illimitate potenzialità espansive dell’unità sociale borghese. Gli effetti «epidemici» dell’infezione mercantile, «scanditi» secondo i moduli dell’omologazione onnicomprensiva, hanno infatti inesorabilmente contaminato le masse dell’Occidente sionista, le quali hanno costituito, a loro volta, la base di «decantazione» da cui è «fermentato» il processo di «distillazione» sociale dell’oligarchia plutocratica, strutturalmente organizzata nei presidî istituzionali del partito unico della borghesia. Al di là delle istituzioni sistemiche (e non statuali ...), la forza aggregante dell’oligarchia plutocratica risiede nella incontrollata efficacia di condizionamento massificante che procede dalla mentalità mercantile e dai suoi modelli di comportamento, i quali, avendo ormai trasceso l’originario ambito razziale e sociale (ebraismo e borghesia) di provenienza, sono «straripati» sulla quasi totalità della società civile. La borghesia è prima di tutto una mentalità -e su questo siamo d’accordo; ma non è solo «questo», poichè essa si esprime simultaneamente anche nella detenzione del potere e del privilegio da parte di stratificate «concrezioni» sociali agevolmente individuali: «... noi oggi -scrive l’autore [1]- viviamo nel mondo degli altri, circondati dagli altri, da questi degni rappresentanti dell’epoca borghese, sotto il dominio della più squallida e avvilente delle dittature: quella borghese, quella dei mercanti. Tutto quel che ci circonda è borghese: società, politica, economia, cultura, famiglia, comportamenti sociali, manifestazioni religiose. Nelle democrazie occidentali lo spettacolo che ci si para dinanzi è vincolato da una rivoltante coerenza ai canoni più ortodossi della concezione di vita borghese. In queste democrazie, l’organizzazione del potere serve a mantenere immutato, attraverso i più vari strumenti oppressivi e repressivi, il rapporto egemonico di una classe -quella dei borghesi, e, particolarmente, di una parte di essa, quella costituitasi in oligarchia plutocratica- sul popolo».

Assistiamo ad una salutare cesura con l’immaginario socio-politico del cosiddetto interclassismo neofascista (antidemocrazia e anticapitalismo sì, ma la proprietà privata ... l’imprenditore «laborioso» ... il commerciante onesto ... e via rincretinendo ...), desunto da fasi politiche -per altro provvisorie e transeunti- «interne» alle esperienze storiche del Fascismo e del Nazionalsocialismo [2]. Freda pronuncia una radicale negazione politica della dittatura borghese, individuando nel Sistema -ovvero nell’insieme di interrelazioni politiche e socioeconomiche finalizzate al conseguimento di scopi di conservazione e di accrescimento del meccanismo produzione/consumo- il luogo egemonico sul quale l’oligarchia giudeo-plutocratica e mondialista «fissa» la sua prassi di sfruttamento dei popoli.

Con riferimento alla concezione mitico-politica dell’Europa dell’Ordine Nuovo, Freda rileva la «sovrapposizione» -effettuata dall’estrema destra- della valenza archetipa dell’idea europea alle «effettuale» situazione politica dell’euro-occidente sionista. Si verificherà così un classico esempio di eterofilia dei fini: infatti l’intenzione rivoluzionaria (al di là delle ipotesi di scoperta malafede ...), aderendo ad una realtà politicamente aliena, si «commuterà» in una attiva azione di sostegno reazionario in favore di istituzioni, ambienti e scelte politiche asserviti agli interessi plutocratici dell’Occidente giudeo-mondialista. «Vi è in ciò -scrive Eric Houllefort [3]- un ammonimento di fondamentale importanza per un ambiente che, vedendo l’Europa sul banco degli imputati, si crede obbligato, per una sorta di riflesso imbecille, ad esaltare sistematicamente tutto quel che è nato in Europa o, peggio ancora, tutto quanto ha la pelle bianca». E, ancora: «Noi abbiamo propugnato l’egemonia europea -scrive Freda [4]-, rivolgendoci ad una Europa che era stata ormai americanizzata o sovietizzata, senza considerare che questa Europa era diventata serva degli USA e dell’URSS. [...] Sono affiorate tali e tante componenti spurie, da respingere, da sotterrare; sono intervenuti tanti -oso dire: troppi- fattori che hanno adulterato e corrotto questo liquido europeo sino a renderlo liquame, perchè esso possa ancora subire positivamente un processo di decantazione». Il crollo verticale dei regimi burocratico-marxisti dell’Est, nonchè la «diluizione» dell’espressione geografica europea all’interno della koinè mondialista giudeo-americana, rafforza l’incisiva trasparenza dell’analisi di Freda, rendendo oggi ancor più impraticabile qualsivoglia proposta politica che, sia pure articolata sulla «centralità» dei valori tradizionali europei, non «attraversi», preliminarmente, la totale distruzione del sistema occidentale euro-americano e sionista.

L’autore tratteggia quindi la categoria intemporale dell’Idea di Stato, concepita quale spazio politico di manifestazione inerente a valori etico-spirituali assoluti che trascendono il singolo, e nei quali questi -«bruciando» ogni residuo interiore individualistico e aderendo ad un’etica di vita sovraindividuale- deve integrarsi per «scolpire» la propria forma etica e per «riconoscere» la propria essenza spirituale. «In altre parole -scrive Freda [5]-, noi vogliamo riconoscere l’essenza dello Stato, superando le mediazioni costituite dal fenomeno storico dell’esistenza degli stati ...». Si tratta di una fondamentale distinzione tra il referente dell’azione politica rivoluzionaria, identificato nell’Idea archetipa dello Stato tradizionale e la struttura amministrativa del Sistema borghese, adibita a coefficiente funzionale del progetto strategico finalizzato alla conservazione degli equilibri oligarchici nei quali «consiste» la dittatura egemonica del partito unico della borghesia. Poichè l’estrema destra italiana ha spesso «confuso» i due concetti, noi affermiamo che il soldato politico portatore dell’Idea di Stato non ha alcun obbligo di fedeltà, nè di lealtà, nè tantomeno, di collaborazione nei confronti dei servi prezzolati dell’Alta Finanza giudaico-mondialista, i quali bivaccano nelle istituzioni del governatorato coloniale italiota convenzionalmente denominato repubblica italiana. «Lo Stato -scrive Freda [6]- nelle democrazie rappresentative ‘borghesi’, è il luogo politico solo del borghese: la sua unica reale destinazione e funzione è determinata dall’economia borghese, consiste nella difesa dell’economia borghese, nella sublimazione dell’economia borghese.»

Secondo Freda, nella fase organizzativa, cioè nella fase inerente alla regolamentazione dei rapporti tra i membri della comunità popolare, lo Stato si configura come Stato popolare, forma di comunismo aristocratico di tipo spartano presupponente l’abolizione della proprietà privata in ogni forma di manifestazione. All’interno di questa struttura economica comunistica, la totalità popolare, plasmata dallo «stilema» educativo della disciplina rivoluzionaria e «illuminata» da una visione del mondo eroico-aristocratica, proietterà -al di fuori di ogni orientamento economicistico- i migliori esponenti di essa ai vertici dell’ordine piramidale ierocratico, formando così un’aristocrazia politica capace di farsi portatrice e simbolo vivente dei valori inerenti alla sfera dello Stato. Fin dalla nascita (sette anni sono già troppo ...), il membro della comunità sarà affidato alle organizzazioni popolari dello Stato, nelle quali riceverà un'educazione politica ispirata a princìpi trascendenti, oggettivi e solidaristici, simmetricamente opposti ai criteri comportamentali immanenti, soggettivi ed egoistici, «suggeriti» dalla putrescente famiglia matriarcale borghese a fini di corruzione individualistica dell’infante: questi diventerà, «fatalmente», un adulto imbecille ... nel senso etimologico ...

Di fronte alle meccaniche sequenze della «scomposizione» sociale individualistica della società borghese, si palesa l’improponibilità relativa al mantenimento di un regime giuridico fondato sulla titolarità privata dei beni, delle attività di servizio e dei mezzi di produzione, sia pure nell’ambito di un ordinamento economico tradizionale. Solo l’avvenuto compimento dell’opera di «ri-generazione» razziale dei migliori uomini europei, sottratti al putrido flutto delle masse subumane occidentali, potrebbe legittimare l’attribuzione della titolarità privata dei beni economici, evitando la produzione di fenomeni frazionistico-oligarchici, i quali frenerebbero il processo rivoluzionario orientato verso la realizzazione storica dell’Idea di Stato. L’organizzazione comunistica dello Stato popolare non sarà destinata soltanto all’adempimento di scopi esclusivamente economici, ma sarà prevalentemente subordinata al conseguimento di obiettivi politici, rappresentati dalla radicale soppressione dei supporti strutturali che, oggettivamente, propiziano la tendenziale involuzione mercantile delle attività economiche individuali e di gruppo. Sul piano specificamente economico-sociale, l’ordinamento comunistico «coinciderà» con il punto zero successivo all’epilogo ciclico del nichilismo. Si «aprirà» uno spazio libero dai condizionamenti economicistici dell’era borghese, consentendo la riedificazione dell’Ordine tradizionale: «... nessuna vera tensione -afferma Freda [7]- a tradurre nella realtà i princìpi del vero Stato potrà mai sorgere [...], sino a che permangano forti gli elementi anche residuali e intatta la sostanza costitutiva (ovvero il substrato economico della società borghese). Deve essere isterilito l’«ambiente» da cui il borghese trae vita: ecco il motivo di un ordinamento economico comunistico!» Banche e industrie private, contratti e usura, libera iniziativa imprenditoriale e proprietà privata, compongono l’habitat istituzionale preposto alla «contagiosa» propagazione della forma mentis borghese/capitalistica. L’annientamento delle articolazioni giuridico-economiche del neocapitalismo, concretizzerà il «disarmo» materiale del giudeo-borghese, privandolo dell’«intreccio» strutturale idoneo a sollecitarne le scomposte «es-agitazioni» mercantili: è, insomma, la «sterilizzazione» dell’ambiente di cui parla Freda. Ad essa, evidentemente, si accompagnerà un’opera di ri-fondazione razziale culminante nell’«approdo» antropologico definito dalla figura archetipica dell’uomo nuovo arioeuropeo.

Freda delinea quindi i profili di una realistica metodologia operativa mirante -previa mobilitazione di ogni potenziale forza antisistema- alla radicale eversione del Sistema plutocratico: «... dobbiamo affermare -scrive Freda [8]- che la condizione -non sufficiente ma, comunque, necessaria- per porre gli elementi di fondazione del vero Stato, è la eversione di tutto ciò che oggi esiste come sistema politico. Occorre, infatti, propiziare e accelerare i tempi di questa distruzione, esasperare l’opera di rottura del presente equilibrio e dell’attuale fase di assestamento politico. Vigilare affinchè gli eventuali veicoli, le potenziali forze che debbono determinare il collasso dei centri nervosi del sistema borghese, non vengano assorbite e integrate in una delle tante possibilità di cristallizzazione che il mondo borghese offre».

Ogni forza di opposizione interna al Sistema, propone correttivi alle linee di politica istituzionale, sociale o economica elaborate dall’oligarchia, al fine di innescare controtendenze politiche che si oppongano alla operatività dei processi disgregativi alimentati dai meccanismi del Sistema.

Ogni movimento rivoluzionario, al contrario, favorisce o, quanto meno, non inibisce la patologica dilatazione dei fermenti dissolutivi, riservandosi invece di intervenire sul piano della mobilitazione politica riguardante gli effetti sociali prodotti dalle perverse dinamiche del Sistema. Il movimento, dunque, raccoglierà le scorie sociali respinte ai margini della società borghese, per organizzare la rappresaglia vendicativa contro i presidî oligarchici del partito unico della borghesia. Negli strati sociali subalterni si radicherà il contropotere antagonistico di massa che modificherà in favore del movimento rivoluzionario i complessivi rapporti di forza oggi favorevoli al Sistema. Essi «confliggeranno» anche contro la borghesia di massa urbana, per seminare lo scompiglio tra le vischiose fila di un oggetto sociale che -non si dimentichi- rappresenta il primario «collante» sociologico del Sistema plutocratico. Freda dimostra di privilegiare questa seconda opzione: «... il male rappresentato dalla società borghese è inguaribile: [...] nessuna terapia è possibile, [...] nemmeno un’operazione chirurgica riesce ormai efficace; [...] occorre accelerare l’emorragia e sotterrare il cadavere ...». [9]

I diseredati, «confinati» nelle periferie metropolitane della società dei mercanti, rappresentano la negazione dell’oligarchia plutocratica e della borghesia di massa urbana, dunque: la negazione della negazione (la Via della Mano sinistra che Freda ha «traslato» dalla teoria di Cavalcare la tigre alla prassi de La disintegrazione del Sistema), veleno distillato dai fatiscenti alambicchi del Sistema e suscettibile di trasformarsi in «farmaco» antisistema. Si tratta di un potenziale di lotta popolare di massa, laddove con il termine popolare definiamo un insieme sociale che, mediante la disciplina politica, nel corso della lotta al Sistema si «tramuti» in comunità organica di popolo, mentre con il termine massa ci riferiamo al rovinoso «impatto» quantitativo che l’avanguardia rivoluzionaria di un movimento nazionalpopolare dovrà guidare contro le istituzioni culturali, politiche e socioeconomiche del Sistema per frantumarne i presidî oligarchici e scardinarne le fondamenta strutturali fino al crollo verticale, definitivo e irreversibile ...

Sul piano macro-politico, occorre procedere alla «saldatura» politica fra i desperados delle periferie urbane dell’Occidente e i diseredati della periferia planetaria, i quali, vittime designate della strategia di sfruttamento neocolonialistico della giudeo-plutocrazia mondialista, alimentano i massicci flussi sociali che concorrono alla formazione del fenomeno immigratorio extraeuropeo. [10] È necessario ricomporre nell’unico fronte antisistema le spinte eversive generate dai vettori sociali antagonistici costituiti dai marginali delle periferie metropolitane dell’Occidente e dai marginali delle periferie continentali del pianeta: entrambe queste componenti rappresentano «potenziali forze» destabilizzanti, ossia la «risultante» che affiora alla superficie delle devastazioni sociali prodotte dai virulenti riflessi operativi ispirati dalla logica politica plutocratica e neocolonialista, mondialista e sionista.

Bisogna dunque procedere alla «revisione» valutativa del giudizio politico maturato nei confronti del fenomeno immigratorio extraeuropeo, nel cui ambito distingueremo fra gli «sradicati» che agognano all’integrazione con l’Occidente e i gruppi islamici «radicati» nelle rispettive identità razziali, religiose e culturali. Quanto ai primi, essi rappresentano comunque una forza d’urto quantitativa naturalmente destinata a scuotere la «statica» oligarchica del Sistema borghese; costoro, inoltre, non sarebbero pregiudizialmente refrattari -proprio a causa della condizione di sradicamento in cui versano- ad una mirata azione di coinvolgimento politico conflittuale nel «segno» dell’antisistema. Quanto ai secondi, essi rappresentano una qualificata forza di opposizione dal punto di vista tradizionale; occorre quindi stabilire organici raccordi politici con gli immigrati autenticamente musulmani -combattenti del Jihâd algerini, tunisini, senegalesi ...-, a noi accomunati dalla omologa razza dello spirito che funge da discriminante spirituale, etica e politica al di sopra e contro il rimasuglio biologico europoide, la cui integrazione razziale (quale?) non costituisce più oggetto degno di alcuna azione politica di difesa condotta in nome della defunta razza arioeuropea.

Lo «scontro» metafisico fra Islâm e Occidente -«drammatizzato» dalla superba ed eroica resistenza del popolo Palestinese all’invasore sionista, «scolpito» nella storica cacciata dei sionisti dal Sud del Libano ad opera degli Hezbollah filoiraniani- ha introdotto la categoria schmittiana dell’opposizione Amico/Nemico, imponendo, obbligatoriamente, una radicale scelta di campo: o si sta con l’Islâm o con l’Occidente. Tertium non datur ... I migliori uomini della razza arioeuropea hanno quindi il dovere di conferire una minimale, unitaria ed autonoma connotazione organizzativa all’identità politica dell’area nazionalrivoluzionaria, al fine di consentire una concreta confluenza operativa nell’unico plausibile fronte antimondialista: l’Islâm tradizionale e rivoluzionario.

Sul piano micro-politico, invece, una «potenziale forza» suscitata dal sistema e suscettibile di essere «rovesciata» contro le sue strutture, è quella dei ribelli della domenica (e gli altri giorni?), ossia dei sostenitori oltranzisti delle squadre di calcio. Il Sistema, infatti, ha adibito gli stadi di calcio a riserve, cioè a «contenitori» dell’alienazione giovanile metropolitana, la quale, benchè in essi «imprigionata», è spesso costretta a subìre, in sovrappiù, la violenza legalista degli apparati repressivi del Sistema. É una gioventù aggressiva e violenta, simboleggiata dalle periodiche e frequenti immagini televisive del tifoso che, insofferente nei confronti delle vili percosse subite, si è «fermato», manifestando legittime intenzioni reattive che hanno messo in fuga l’individuo in divisa che lo seguiva...

Lo stadio di calcio è uno spazio politico eversivo, un «catalizzatore» di sintesi intorno al quale convergono -ancora episodicamente- tensioni sociali che, ove integrate nel quadro di un progetto politico rivoluzionario, assumerebbero la forma di un contropotere conflittuale di massa antisistema. Gli skinheads potrebbero quindi rappresentare (senza escludere nemmeno i cosiddetti «casinisti da stadio» ... anzi ...) l’anello di congiunzione e il vettore militante di penetrazione propagandistica all’interno delle associazioni e dei gruppi di tifosi oltranzisti, al fine di «convertire» la rabbia delle gradinate in coscienza politica antisistema, operando un permanente collegamento politico con i quartieri periferici metropolitani che costituiscono le aree urbane di provenienza dei cosiddetti «ultras».

Queste considerazioni provocheranno certamente obiezioni e critiche ma, tant’è, malgrado la presenza di ipertrofici «cerebri» traboccanti sapienza politica e accortezza tattica, siamo arrivati agli «spiccioli» ... Quanto a noi, ci limitiamo ad affermare che la validità del tipo umano incarnato dal soldato politico della Tradizione, deve conformarsi all’archetipo tradizionale -mentre il progetto politico (sarebbe ora di «scorgerne» qualcuno ...) deve individuare, mobilitare e orientare, ottemperando a criteri di valutazione che corrispondano ad un funzionale parametro di efficacia, le potenzialità antisistema presenti in concreti «veicoli» sociali ravvisabili anche nel multicolore fronte dei ribelli della domenica ...

In conclusione, noi riconduciamo la causa efficiente della crisi che ha ormai «minato», forse irreversibilmente, le scomposte e disorientate fazioni dell’estrema destra italiana, proprio all’incomprensione politica che ha circondato testi come La disintegrazione e Cavalcare la tigre. Lo scritto di Freda, infatti, non ha sollecitato la necessaria attenzione critica da parte dei suoi «naturali» destinatari: per l’inattualità del testo o per l’inettitudine antropologica dei lettori?

Note:

1] F. G. Freda, "La disintegrazione del Sistema", Ed. di Ar, Padova 1980;

2] vedi Maurizio Lattanzio, "Nazionalsocialismo ed economia", in René Dubail "L’ordinamento economico Nazionalsocialista", Ed. di Ar, Parma 1991;

3] Eric Houllefort, pref. a “La disintegrazione del Sistema”;

4] F. G. Freda, op. cit.;

5] ibidem;

6] ibidem;

7] ibidem;

8] ibidem;

9] ibidem;

10] In occasione del Forum di Davos (30 gennaio - 7 febbario 1991), convegno tenutosi in Svizzera e organizzato da ambienti vicini alla Commissione Trilaterale - Lester Turow, decano del MIT, ha caldeggiato l’adozione di una linea politica restrittiva nei confronti del fenomeno immigratorio ... ("Lectures Françaises", aprile 1991);




La disintegrazione del sistema (http://avanguardia.altervista.org/la_disintegrazione.htm)

Avamposto
31-07-10, 11:46
Franco Giorgio Freda – La Disintegrazione del Sistema

Wednesday, December 16, 2009 at 7:38am

SULL’AUTORE:

Di origini irpine, Franco Giorgio Freda nasce a Padova, l’11 febbraio 1941. Attento alla politica fin dal ginnasio, presiede il Fuan San Marco (l’organizzazione degli studenti universitari del Movimento Sociale Italiano), rendendolo poi autonomo da quel partito – che ritiene non ‘in ordine’.
Dopo essersi laureato in giurisprudenza, discutendo con il professor Enrico Opocher la tesi su “Platone: lo Stato secondo giustizia”, costituisce, nel 1963, il Gruppo di Ar. Tale sodalizio balza subito ai rumori delle cronache diffondendo un opuscolo che compendia alcune teorie revisioniste sull’“Olocausto” e spinge il senatore ebreo comunista Terracini a formulare ai ministri dell’Interno e di Grazia e Giustizia una faconda interrogazione (dove si parla di “un immondo fascicolo antisemita” e si domanda quali misure fossero state prese “per cauterizzare la piaga fetida e purulenta prima ch’essa allarghi la sfera della propria azione”). Sempre nel 1963, Freda fonda le Edizioni di Ar, che aprono il proprio catalogo con il Saggio sull’ineguaglianza delle razze umane di Arthur de Gobineau. Nel 1969, pubblica La disintegrazione del sistema, nota sua scrittura di contrasto.
Le Edizioni di Ar – il cui catalogo raccoglie centinaia di titoli e si ramifica ora in venti collane – riuniscono i classici del pensiero antiumanistico e antidemocratico (antimoderno), da de Gobineau, a Nietzsche, a Spengler, a Evola. Verso la fine degli anni ‘70, durante la lunga inclaustrazione, Freda tornisce la collana per lui capitale, ‘Paganitas’, che comprende le voci più significative della non-cristianità, da Celso (la prima traduzione in Italia del Discorso di verità appare, nel 1978 appunto, a cura sua), a Giuliano Imperatore, a Porfirio, a Pitagora, fino ai contemporanei.
Dal 1971, il processo (politico e quindi giudiziario) per la strage di Piazza Fontana vede l’Editore tra i principali imputati, fino al 1987, quando la Corte di Cassazione stabilisce la sua non-responsabilità per la strage, confermando le due sentenze assolutorie di appello di Catanzaro e Bari.
Nel 1982, viene condannato definitivamente a quindici anni di carcere per associazione sovversiva.
Attento studioso dell’etnicità, Freda definisce, nelle proprie opere più recenti, i principii di un razzismo “morfologico”. Nel 1989, fonda il movimento politico-culturale “Fronte Nazionale” – il cui atto costitutivo ufficiale reca la data del 1990 – e pubblica L’Antibancor (rivista periodica di studi economici e finanziari) e numerosi volumi dedicati alla questione razziale connessa con i problemi migratorii.
Il Fronte Nazionale esprime la propria preveggente apprensione di fronte alla mostruosità del disegno di una (pretesa) società multietnica e all’inumanità della globalizzazione. Esso si propone soprattutto come scuola, come luogo di formazione politica. Ma alcuni magistrati ritengono che sediziose e nocive siano le parole di Freda (“ontologicamente criminale”? domanda allibito alla corte il difensore di questi, l’avvocato Carlo Taormina) – e irridono la sua previsione dei conflitti razziali che pur vanno profilandosi. Freda viene condannato, così, a tre anni di carcere e il Fronte Nazionale è sciolto dal Consiglio dei Ministri, nel 2000, sulla base della legge Mancino-Modigliani.
Nel 2004, l’Editore inaugura la collezione di Ar, che ospita i testi di Friedrich Nietzsche con l’originale tedesco a fronte (e mira a ripulire le scritture nietzscheane dall’invadenza dei ‘passatori’ infedeli), dando alle stampe L’anticristiano.
Attualmente il concerto di voci da lui ordinate varia dal libretto per fanciulli sul come astenersi igienicamente dal Dio-unico, alla calligrafia erotica, ai testi filosofici, politici, genealogici, a volumi sull’arte e l’estetica, a vigorosi pamphlet d’assalto. [da http://www.edizionidiar.com/]



SULL’OPERA:

Nel 1969 pubblicò La disintegrazione del sistema (intervento di Freda nella riunione del comitato di reggenza del Fronte Europeo Rivoluzionario, avvenuto a Regensburg il 17.08.1969), vero e proprio “libro-guida” per i nazimaoisti. Si tratta di un manifesto che avrà una grande importanza nell’ambiente neofascista degli anni a venire, costituendo un elemento di rottura con le ideologie ispirate al Ventennio, ai nazionalismi europei e ordinovisti.

Freda giungerà addirittura a teorizzare un comunismo aristocratico, una via di mezzo tra la repubblica di Platone, il Terzo Reich e la Cina di Mao.

Il sistema del quale Freda predica e intende perseguire la distruzione è il sistema borghese. Ne La disintegrazione del sistema si auspica che certi settori della sinistra “rivoluzionaria” attuino un’alleanza tattica, al fine di creare un unico fronte comune antiborghese.

Freda, richiamandosi a una aristocrazia ariana e sostenitore di teorie nazionalsocialiste, sino dagli anni ‘60 iniziò a contestare la direzione dell’MSI, accusandola di ‘tortuosità’ e di compromesso con «la democrazia moribonda della Repubblica». Nella sua casa editrice ha pubblicato, oltre ai classici del pensiero antimoderno, da de Gobineau a Spengler, a Nietzsche, a Evola. Definitosi uno ’studioso dell’etnicità’, propone i principi di un “razzismo morfologico”. [da http://it.wikipedia.org/]

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Avamposto
31-07-10, 11:46
GIORGIO FREDA,LA DISINTEGRAZIONE DEL SISTEMA,EDIZIONE AR,RISTAMPA ANASTATICA 2005

gennaio 10, 2010 at 3:48 pm

(POLITICA)

(destra radicale, edizioni ar, GAGLIANO, giorgio freda, msi, nazimaoismo)

Scritto originariamente nell’agosto del 1969 durante la riunione del comitato di reggenza del Fronte Europeo Rivoluzionario,costituisce un vero e proprio manifesto politico e metapolitico della destra radicale. Se la finalità ultima dello scritto era quella di affermare la necessità della disintegrazione del sistema capitalistico attraverso l’eversione-al di fuori dei vili compromessi della destra missina ed entrista-,attraverso l’esasperazione delle contraddizioni del sistema di potere borghese accelerandone in tal modo il declino inevitabile e se il modello di soldato indicato da Freda era quella di volta in volta del terrorista palestinese,del vietcong e del guerrigliero latino-americano,i bersagli di questa guerra ideologica non potevano che essere da un lato lo stato borghese e socialista e dall’altro lato l’Europa dei mercanti .Non è infatti all’Europa sovietizzata o americanizzata -quella derivata storicamente dall’illuminismo,dal giacobinismo-che bisogna rivolgersi ma ad un’Europa da costruire,di là da venire.Quanto allo stato democratico-borghese la critica impietosa e radicale insieme compiuta dall’autore riprende ora esplicitamente o implicitamente i rilievi marxiani(là dove l’autore sottolinea-per esempio-l’ossessione consumistica alimentata ad arte dallo stato capitalistico e determinata dalla centralità della dimensione economica su quella spirituale analoga a quella dello stato socialista,centralità che trasforma per esempio lo sport in uno strumento narcotizzante per le masse)e quelli platonico-hegeliani sotto il profilo metapolitico mentre sotto il profilo strettamente politico il richiamo all’esperienza totalitaria maoista e nazi-fascista appare evidente là dove Freda pone l’enfasi sulla necessità della programmazione economica,sulla necessità di realizzare una sola banca di stato,sulla eliminazione di una scuola intellettualistica che andrà al contrario sostituita con una in grado di formare l’individuo secondo l’esigenza produttiva dello stato popolare,là dove ritiene necessaria la programmazione delle nascite e la sopressione dei tribunali ordinari da sostituire con quelli popolari che-dal punto di vista sanzionatorio-prevederanno la pena di morte e i lavori forzati,là dove infine -seguendo l’esperienza del socialismo rivoluzionario-indica nella milizia popolare l’alternativa agli eserciti attuali.La dimensione metapolitica del saggio emerge con chiarezza allorché l’autore sottolinea-seguendo la lezione di Platone e di Hegel(massimi teorici -secondo l’interpretazione popperiana-dello stato organico)- come gli individui non abbiano valore alcuno se non come uomini-membri dello stato e là dove sottolinea come lo stato-autenticamente inteso- non abbia che una dimensione spirituale e sacra .

gagliano giuseppe




GIORGIO FREDA,LA DISINTEGRAZIONE DEL SISTEMA,EDIZIONE AR,RISTAMPA ANASTATICA 2005 « RECENSIONI SAGGISTICA (http://recensioni1.wordpress.com/2010/01/10/giorgio-fredala-disintegrazione-del-sistemaedizione-arristampa-anastatica-2005/)

Avamposto
31-07-10, 11:48
Franco Freda, La disintegrazione del sistema


Nel 1969, uscì nelle librerie un lavoro di Franco Freda La disintegrazione del sistema, che influenzò in maniera rilevante i giovani neofascisti di quegli anni. Secondo la ricostruzione di Freda, il risultato dello sviluppo europeo è il mondo capitalista-borghese, governato dall’istanza economica e dal principio dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo. In tale contesto, l’esistenza della borghesia dipenderebbe dalla sopravvivenza dello stesso sistema statale, da cui essa trarrebbe sostentamento e protezione. Contro questa degenerazione Freda auspicava la costituzione di uno Stato Popolare, molto simile a quelli del cosiddetto socialismo reale. In politica estera, il nuovo Stato avrebbe dovuto denunciare il Patto Atlantico, rompere le alleanze con le «strutture neocapitalistiche supernazionali» e stipulare trattati con «gli Stati realmente anticapitalisti». Freda teorizzava così l’eversione totale del sistema politico esistente attraverso un’«azione rapida» che conducesse ad «accelerare l’emorragia» e, quindi, a «sotterrare il cadavere». In quel contesto – in cui l’attacco alla società borghese era parte integrante della cultura neofascista come, lo era stato, di quella fascista – l’originalità dell’impostazione frediana dipese anche dalla teorizzazione del cosiddetto «fronte unito rivoluzionario». Questo va inteso non come una mera ipotesi teorica, ma come una concreta proposta strategica. Così, forgiando dei «soldati politici» in cui la «purezza giustifica ogni durezza e il disinteresse ogni astuzia», dovrebbe essere instaurata un’unità operativa con tutte le forze antisistema di forze di estrema destra e di estrema sinistra.

F. Freda, La disintegrazione del sistema, Padova, Edizioni di AR, Padova 2000, 34-49.

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Franco Freda, La disintegrazione del sistema (http://www.storicamente.org/07_dossier/sessantotto-guerrieri_link18.htm)

Patria
31-07-10, 12:06
Franco Giorgio Freda -

LA DISINTEGRAZIONE DEL SISTEMA

I. ANALISI

"È inevitabile che in questo mondo di sfruttatori e di sfruttati non sia possibile alcuna grandezza che per ultima istanza non abbia il fatto economico. Vengono bensì contrapposte due specie di uomini, di ani, di morali, ma non occorre avere molto acume per accorgersi che unica è la sorgente che le alimenta. Così è anche da un medesimo tipo di progresso che i protagonisti della lotta economica traggono la loro giustifi cazione. Essi si incontrano nella pretesa fondamentale di essere ognuno il vero autore della prosperità sociale per cui ognuno è convinto di poter minare le posizioni dell'avversario quando riesce a contestargli ogni diritto di presentarsi come tale." La ragione fondamentale che ci ha indotto a convocare questo Congresso è determinata dal profondo convincimento - mio e vostro - che il momento presente imponga alla - mio e vostro - che il momento presente imponga alla nostra organizzazione l'esigenza di "serrare i ranghi" attorno ai motivi centrali della nostra idea della vita e del mondo. L'esigenza, in primo luogo, di riconoscere quali siano realmente i piani di riferimento, i cànoni da cui derivare la nostra presenza politica - di scorgere la direzione ideale da assumere. In secondo luogo - o, meglio, conseguentemente e simultaneamente -, l'esigenza di articolare in uno schieramento elastico, agile, senza complessi, senza inibizioni - in una parola: spregiudicato -la nostra vocazione, la nostra volontà di lotta politica. Noi ci troviamo al punto in cui la necessità di rappresentare gli errori trascorsi, di comprendere i motivi fondamentali che hanno potuto permetterli, si incrocia col dovere di affondare le nostre radici - "nostre", cioè di uomini che si dedicano alla politica senza riserve mentali, senza equivoci intendimenti, senza alibi minuscole-borghesi: con l'anima, vorrei quasi dire, disincantata e impersonale di chi compie il proprio dovere perché esso deve essere compiuto - al centro della nostra dottrina politica e di rimanere a essa aderenti negli elementi essenziali, senza esitazioni. Una lucida adesione all'essenziale che deve permettere, o, piuttosto, tonifi care la nostra capacità di rimanere elastici e agili in quel che è funzionale e strumentale. Credo, infatti, di non affermare nulla di nuovo, sostenendo che quanto più intensamente noi siamo radicati nel centro, tanto più agevolmente possiamo muoverci sui punti della lontana circonferenza, senza distanziarci - per ciò che vale, per l'essenziale - dal centro. Ho detto prima: serrare i ranghi, per dar vita a una organizzazione politica elastica. Ora voglio aggiungere: serrare i ranghi per possedere una organizzazione politica in grado di dare un colpo d'ala a uomini destinati alla conquista del potere. Noi abbiamo sinora camminato. Non dobbiamo temere le conseguenze di un'autocritica quando essa sia libera e dignitosa e, perciò, diremo: siamo regrediti! Siamo rimasti passivamente uniti agli "altri", agli schemi politici degli "altri", ai falsi problemi degli "altri", alla réclame ideologica degli "altri": abbiamo riconosciute come nostre le fi nalità - che erano, quanto meno, equivoche - degli "altri". Il comportamento di tutti - prima dei capi, poi, di conseguenza, del loro seguito - è stato, nella migliore delle ipotesi, quello degli ingenui, nella peggiore, quello degli ottusi. Il nostro discorso politico, agli inizi, si imperniava sull'Europa, e noi credevamo che l'Europa fosse veramente un mito e rappresentasse una autentica idea-forza: mentre solo molto tardi ci siamo persuasi che questa parola rifl etteva una semplice defi nizione geografi ca, cui nemmeno era lecito attribuire una capacità propagandistica originale, in un'epoca in cui anche le copisterie, le lavanderie, le tavole calde e gli hotels delle stazioni termali si chiamano "Europa"!! Noi parlavamo di concezione politica europea da contrapporre alle varie concezioni nazionalistiche patriottarde, ma non ci siamo accorti (o non abbiamo voluto accorgerci?) che questo poteva valere solo nei confronti della destra nazionalistica minuscolo-borghese -sopra tutto quella nostrana - e che, perciò, tutto si esauriva nei termini di una polemica qualunquistica (anch'essa superata, ormai, dal momento che gli stessi ragazzotti neofascisti guaiscono: Europa - Fascismo - Rivoluzione!!). Abbiamo parlato in termini di "civiltà europea", senza scalfi re neanche la superfi cie di questa espressione e senza verifi care, calandoci nel fondo del problema, se esista, in realtà, una omogenea civiltà europea, e quali ne siano gli autentici coeffi cienti di signifi cato - alla luce di una situazione storica mondiale per cui il guerrigliero latino-americano aderisce alla nostra visione del mondo molto più dello spagnolo infeudato ai preti e agli U.S.A.; per cui il popolo guerriero del Nord-Vietnam, col suo stile sobrio, spartano, eroico di vita, è molto più affine alla nostra fi gura dell'esistenza che il budello italiota o franzoso o tedesco-occidentale; per cui il terrorista palestinese è più vicino alle nostre vendette dell'inglese (europeo? ma io ne dubito!) giudeo o giudaizzato. Noi abbiamo propugnata l'egemonia europea, rivolgendoci a un'Europa che era stata ormai americanizzata o sovietizzata, senza considerare che questa Europa era diventata serva degli U.S.A. o dell'U.R.S.S. perché i popoli e le nazioni europee avevano assorbite - successivamente, ma non conseguentemente, alla sconfi tta militare - le esportazioni ideologiche degli U.S.A. e dell'U.R.S.S. Senza considerare che il collasso culturale-politico-economico era intervenuto proprio perché era cessata quella tensione, era franato quel supporto che aveva suscitato in alcuni popoli, in alcuni uomini europei, in certe epoche storiche (e soltanto in alcuni e solo in determinate epoche storiche!) quella dimensione superiore di civiltà che noi pretendevamo di attribuire tout court all'Europa. È giunto il momento di terminare di baloccarci col fantoccio "Europa" o di fare i gargarismi colla sua espressione vocale. Con l'Europa illuministica noi non abbiamo nulla a che fare. Con l'Europa democratica e giacobina noi non abbiamo nulla a che vedere. Con l'Europa mercantilistica, con l'Europa del colonialismo plutocratico: nulla da spartire. Con l'Europa giudea o giudaizzata noi abbiamo solo vendette da fare. Eppure, allorché si parla in termini di "civiltà europea", si considera tutto questo: non ditemi che si parla anche di questo: si parla, purtroppo, solo di questo! O, forse, noi "volevamo" mirare ad altro? Comunque, se si voleva mirare ad altro, noi di quest'"altro", fi nora, non abbiamo mai realmente, compiutamente parlato. E io sono sicuro che se avessimo veramente considerato e posseduto quest'"altro", noi non avremmo a questo contenuto fornito un contenente, o, meglio, un'etichetta, o, meglio ancora, una "immagine di marca" rappresentata dalla parola "Europa". Sono affi orate tali e tante componenti spurie, da respingere, da sotterrare; sono intervenuti tanti - oso dire: troppi - fattori, che hanno adulterato e corrotto questo liquido europeo sino a renderlo liquame, perché esso possa ancora subire positivamente un processo di decantazione. L'Europa e una vecchia baldracca che ha puttaneggiato in tutti i bordelli e che ha contratto tutte le infezioni ideologiche - da quelle delle rivolte medievali dei Comuni a quelle delle monarchie nazionali antimperiali; dall'illuminismo al giacobinismo, alla massoneria, al giudaismo, al sionismo, al liberalismo, al marxismo. Una baldracca, il cui ventre ha concepito e generato la rivoluzione borghese e la rivolta proletaria; la cui anima e stata posseduta dalla violenza dei mercanti e dalla ribellione degli schiavi. E noi, a questo punto, vorremmo redimerla, sussurrandole parole magiche: dicendole, per esempio, che essa deve concedersi esclusivamente agli "europei"... da Brest a Bucarest??!! Noi abbiamo alzata la bandiera dell'Europa senza comprendere che questa non poteva rappresentare per noi alcun signifi cato valido e omogeneo: senza osservare quanti fossero i fi li e i lacci da cui era composto il suo tessuto stracciato e quanto stereo esso nascondeva! Abbiamo preferito, insomma, nascondere la nostra incapacità di voler scegliere ciò che per noi vi era di autentico e vero, e di saper respingere quanto vi era di spurio e di equivoco in seno alla tradizione (cioè, in questo caso, alla storia) europea, illudendoci di colmare tale vuoto col ricorso alla formula, alla parola "Europa". Senza considerare, come prima elicevo, che esiste oggi una Europa democratica- borghese o democratica-socialista; così come ieri esisteva una Europa fascista e nazionalsocialista e una Europa democratica; così come l'altro ieri esisteva una Europa giacobina e una Europa controrivoluzionaria. Senza considerare che molti, anche i tecnocrati del M.E.C., vagheggiano una loro Europa: una Europa fondata sulla sinistra gerarchla che imporrebbe alla base della piramide lo sfruttamento "razionale" del lavoro italiano e, al vertice, 1 investimento del capitale internazionale. Invece di adottare questa formula equivoca (che doveva servire solo a distinguerci da coloro che sostenevano altre formule - quelle nazionalistiche - altrettanto equivoche), era necessario dire in nome di quali principi, attorno a quale idea del mondo, secondo quale direzione di effi cacia, i migliori tra gli uomini europei dovevano vincolarsi in una o r g a n i c a u n i t à p o l i t i c a s u p e r n a z i o n a l e . E a questa diversa realtà avremmo potuto ancora dare il nome di "Europa" se la "vecchia Europa" - l'Europa dei secoli bui (per capovolgere il signifi cato di una nota frase di un vecchio buffone), l'Europa dei comuni antimperiali, l'Europa della chiesa romana, l'Europa protestantica, del mercantilismo, dell'illuminismo, del democratismo borghese e proletario, l'Europa massonica e giudaica -, questo spettro mostruoso non si fosse parato dinanzi a quegli uomini di ben diversa razza. Mi sono soffermato su questo punto, perché esso segnala il carattere più evidente dei nostri errori, e perché il motivo dell'"Euro-pa" ha costituito, negli anni di attività politica della nostra organizzazione, il punto focale in cui confl uivano le nostre prospettive politiche. Ritengo quindi inutile soffermarmi a considerare specifi camente gli altri elementi del nostro cosiddetto programma, dal momento che anch'essi sono le conseguenze, su piani distinti, di quegli equivoci già accennati. Ora, dopo aver riconosciuto la nostra miopia e i nostri errori, occorre procedere, prima di verifi care la direzione da assumere, ad analizzare la situazione attuale e i criteri operativi che gli altri seguono. Continuo a dire "gli altri" - e non i nostri avversari o i nostri nemici - proprio perché voglio insistere e chiarire sino alle estreme rappresentazioni che i vocaboli possono rendere o le immagini evocare, come tra noi e gli altri vi sia (e vi debba essere) molto più di una semplice differenza di mentalità, di modo di agire, di "ideologia" politica. E un'anima diversa, è una razza diversa quella che consente alle nostre azioni il loro signifi cato tipico e vi attribuisce la fi sionomia propria, irreducibile ai termini e alle fi gure comuni alle varie "ideologie" politiche della nostra epoca. La considerazione da cui noi prendiamo le mosse è questa: noi oggi viviamo nel mondo degli altri, circondati dagli altri, da questi degni rappresentanti dell'epoca borghese, sotto il dominio della più squallida e avvilente delle dittature: quella borghese, quella dei mercanti. Tutto quel che ci circonda è borghese: società politica, economia, cultura, famiglia, comportamenti sociali, manifestazioni "religiose". Nelle democrazie "occidentali" lo spettacolo che ci si para dinanzi è vincolato da una rivoltante coerenza ai cànoni più ortodossi della concezione di vita borghese. In queste democrazie, l'organizzazione del potere serve a mantenere immutato, attraverso i più vari strumenti oppressivi e repressivi, il rapporto egemonico di una classe - quella dei borghesi, e, particolarmente, di una parte di essa, quella costituitasi in oligarchia plutocratica - sul popolo. Il supporto esclusivamente classista su cui esse si fondano non permette realtà e valori diversi da quelli economici: la dittatura borghese, emersa vittoriosa secondo un processo di potenziamento e di intensifi cazione egemonica dalla rivoluzione francese*(* È ovvio che tale punto di riferimento storico risponde soltanto alla esigenza funzionale di rappresentare in termini storicamente relativi un fenomeno generale, le cui origini superano, pertanto, il suo momento di manifestazione.) , conserva da circa duecento anni inalterato l'unico vincolo che leghi il borghese a un uomo: vincolo che è da padrone a servo, da sfruttatore a sfruttato. Nonostante tutte le edulcorazioni assistenziali, previdenziali, paternalistiche in genere, questa è la vera realtà del sistema borghese. È la medesima realtà che già nel 1849 Marx tracciava magistralmente nel Manifesto del partito comunista: "L'attuale potere politico dello Stato moderno non e se non una giunta amministrativa degli affari comuni di tutta la classe borghese [...] Dovunque e giunta al dominio essa ha distrutto senza pietà tutti quei legami multicolori, che nel regime feudale avvincevano gli uomini ai loro naturali superiori, e non ha lasciato tra uomo e uomo altri vincoli all'infuori del nudo interesse e dello spietato pagamento in contanti [...} Ha risolto la dignità personale in un semplice valore di scambio; e alle molte e varie libertà bene acquisite e consacrate in documenti, essa ha sostituito la sola e unica libertà del commercio, di dura e spietata coscienza. " Se la società**(** Riteniamo più opportuno usare il termine società, nel suo signifi cato naturalistico o mercantilistico, per destinare, invece, il termine Stato a signifi care realtà diverse e superiori a quelle costituite dalla ricerca e dal soddisfacimento di bisogni economici) borghese concede ai dominati un miglioramento delle condizioni di vita vegetativa (qui includendo anche quelle comprese nel regno del mentale!), non è che i presupposti esclusivamente egoisticoeconomicistici su cui la società borghese si fonda siano venuti a mancare. Si suole giustamente dire che il "diavolo" è tanto più pericoloso quanto più è divenuto rispettabile! E, infatti, il maggior benessere è dovuto, per conseguenza, al fatto che, nello svolgimento storico della società borghese, le tendenze all'egemonia politica da parte del borghese, consolidatesi in un effettivo "prepotere" politico, hanno semplicemente assunto modalità di forza diverse dalle precedenti, ma, come le precedenti, esse esprimono coerenti manifestazioni di una medesima e identica realtà: serrata in schemi, appunto, di tensione produttivistico-con-sumistica. Il capitalista, cioè, comprende che, aumentando il salario al lavoratore, questi acquisterà il frigorifero o l'automobile prodotta dal capitalista; questi si rende conto che, stordendo chi lavora con l'ossessione di bisogni sempre nuovi - e, perciò, non reali ma illusori, artifi ciali - e costringendolo a preoccuparsi per acquisirli, egli potrà intossicare completamente di lavoro il lavoratore. Quest'ultimo, allora, mite e buono, tranquillo come un bove (un bove che, periodicamente, potrà muggire per rivendicazioni salariali: al quale, talvolta, sarà anche consentita l'illusione di comportarsi come un libero toro e verrà concesso di danneggiare la stalla!), non svolgerà alcun tentativo per sostituire la "propria" egemonia a quella del borghese. Lo Stato, quindi, nelle democrazie "rappresentative" borghesi, è il luogo politico solo del borghese: la sua unica reale destinazione e funzione è determinata dall'economia borghese, consiste nella difesa dell'economia borghese, nella sublimazione dell'economia borghese. Aiutata dai mezzi di penetrazione che le applicazioni tecniche della "scienza" borghese le offrono, la borghesia, dopo aver ridotto l'uomo al livello di lavoratore, è riuscita a completare il processo di identifi cazione tra il momento "individuale" e quello "sociale" e a riempire di sé ogni dominio. Il mercante ha imposto a tutti le proprie inclinazioni, le proprie aspirazioni: diverse, estranee vocazioni (non diremmo superiori, ma solo diverse!) non posseggono margine alcuno nello spazio politico che è del borghese, che appartiene soltanto a chi è "borghese". L'arte stessa, nonostante la ipocrita giustifi cazione (o dignifìcazione?) in schemi di autonomia che i borghesi si preoccupano di attribuirle, è rigorosamente funzionalizzata per il diletto (o, meglio, per le masturbazioni intellettuali) dei borghesi. La "libera" scienza non è altro che ricerca volta al progresso del sistema borghese, cioè al potenziamento delle strutture della società borghese: ovvero, effi ciente tecnologia asservita alle "conquiste" di quest'ultima. La giustizia medesima non è altro che la cristallizzazione nei codici delle idee dominanti in seno alla società borghese, delle idee della classe "prepotente", che è la borghese. Qualsiasi distonia, qualsiasi disfunzione del sistema viene da essa attribuita al sabotaggio operato dai nemici del sistema, dai pochi per cui l'ordine tout court non è l'idolo da adorare, per cui le sublimazioni legalitarie signifi cano solo profonde e avvilenti ingiustizie. Qualora, infi ne, tutti questi coeffi cienti di equilibrio non bastino, la società borghese pone in funzione la sua massima e risolutiva valvola di sicurezza, lo sport, fenomeno massifi cato di transfert, di deviazione, di esaurimento delle energie superstiti verso un obiettivo, comunque destato, quasi demoniaco. D'altronde, se l'economia è il destino dei borghesi, essa rimane, allo stesso modo, il destino dei diseredati, cioè degli sfruttati (o, se si vuole, dei proletari). Non è in nome di una diversa realtà, o di un diverso feticcio, che i proletari muovono all'assalto del refettorio borghese. E la coscienza rabbiosa di non voler più servire ai borghesi, di non voler più concimare le fortune di costoro, che suscita la rivolta proletaria. Se i borghesi recitano il leit-motiv dell'eguaglianza, come concetto giuridico-culturale-sentimentale, i proletari non si appagano della "buona intenzione", ma esigono che la formula, divenendo modulo di azione concreta, elimini la distinzione tra chi ha e chi non ha, o tra chi possiede di più e chi possiede di meno. Il presupposto, tuttavia, economicistico e quantitativo, rimane! E sempre in nome della "realtà" economica, è sempre sotto l'effetto del "mistico" delirio dell'economia, che il proletario tende a imporre una "sua" articolazione di rapporti economici, una "sua" organizzazione della giustizia, un "suo" modo di concepire - di conseguenza - la produzione artistica, i rapporti tra i cittadini etc. L'apparente antitesi tra le democrazie borghesi e quelle socialiste(* Noi consideriamo, qui, i modelli europei di democrazia socialista, perché, per i paesi asiatici, africani e latino-americani, altri elementi devono introdursi, con effi cacia assorbente, per spiegare il processo politico in atto) si scioglie - come il muro di ghiaccio - di fronte a questo carattere dominante produttivistico-consumistico. II "primato" che nelle democrazie borghesi viene esercitato da chi ha il potere economico e, perciò, ha il potere politico (chi possiede, comanda), nelle democrazie socialiste è costituito da chi tiene il potere politico e, perciò, ha a disposizione - come distorto privilegio della funzione di comando politico - quegli stessi mezzi di produzione che, nel campo sedicente "opposto", formano il patrimonio dei borghesi. Da una parte, i detentori del capitale, i quali posseggono - in nome della libertà, della giustizia, dell'ordine - il potere politico e mirano a conservarlo, cioè ad accrescerlo per accrescere il loro capitale; dall'altra parte, gli unici detentori del capitale, i quali, servendosi di diverse immagini di marca, reclamizzano il medesimo prodotto. La regola economicistica del processo abnorme produzione-consumo è quindi presente in entrambi*.(* La nuova classe dei tecnocrati che pare stia affi orando paurosamente dalla società sovietica, muovendo alla conquista della direzione "politica" dei paesi socialisti, non ha nulla da invidiare nelle intenzioni agli stregoni dell'industria borghese del "libero occidente".) Non è questo il luogo di analizzare - sia pur brevemente - le connessioni imperialistiche tra tali sistemi, la cui logica necessaria pone, per l'appunto, la soluzione d'assalto imperialistico come unico e fatale veicolo di protezione dell'organizzazione capitalistica. Non bisogna quindi meravigliarsi se, come nella società borghese, anche nella società socialista i ruoli di potere si qualifi chino e si esprimano esclusivamente in termini di ricchezza; né potrebbe essere altrimenti quando si attribuisca allo Stato soltanto la funzione di ordinatore di ricchezza (d'altronde, quali Stati diversi da loro stessi potrebbero fondare i borghesi e i proletari?); quando sia funzione dello Stato eccitare alla ricchezza, a impadronirsi della ricchezza, e proporre esclusivamente la soddisfazione dei bisogni fi sici dell'esistenza vegetativa (comprendendo, si ripete, nel termine "fi sici" anche quelle complicazioni irrequiete che il borghese si compiace di qualifi care come bisogni "spirituali"). In entrambi i modelli, perciò, il fenomeno identico ammette solo delle alterne "sbavature di immagine". Tensione che oppone borghesi a proletari, da una parte; tensione che oppone i burocrati (i funzionari tecnocrati) ai governati, dall'altra. Da una parte, la proprietà privata che non viene compresa nello Stato (che, cioè, non si limita a rappresentare uno dei possibili coeffi cienti della sua organizzazione), ma è lo Stato stesso - per cui lo Stato è "proprietà dei proprietari"; dall'altra, la proprietà di Stato che si risolve nella proprietà di chi amministra lo Stato - per cui lo Stato e l'astratta eguaglianza si risolvono in una prevaricazione burocratica e tecnocratica. A questo punto, sarebbe ridicolo contrapporre a tale analisi il sottile "distinguo" secondo cui a una identità sul piano dei risultati fra le due forme organizzative - quella borghese e quella socialista - non corrisponderebbe una sostanziale identità sul piano dei "principi". Per cui, mentre il rapporto sfruttatore-sfruttato sarebbe la conseguenza tipica e normale, derivante naturalmente dalle premesse del sistema capitalistico borghese, lo sfruttamento del governato da parte del governante nel sistema capitalistico socialista sarebbe da qualifi carsi come una disfunzione abnorme e una degenerazione non riconducibile all'essenza stessa del sistema! La verità, invece, è che l'essenza nei due fenomeni è la medesima perché il principio è lo stesso: l'economia è il destino dell'uomo, l'unica realtà elementare - naturale - dell'uomo, l'unica sua dimensione esistenziale. E questa primordiale "realtà", avente nel proprio centro l'immagine ossessiva del tubo digerente (un tubo con due aperture: una per ingoiare e l'altra per evacuare, altre eventuali aperture non servendo che ad abbellire o a facilitare la "buona digestione" e a stimolare secrezioni gastriche, quando ve ne sia necessità) ammette, tuttavia, due diverse interpretazioni di voracità: l'una, secondo cui tutti i tubi digerenti sono uguali*(* In tal caso l'orientamento è verso il "principio" della società dell'eguale benessere per tutti: la mandria degli eguali.); l'altra, secondo cui non tutti i budelli sono eguali, ma alcuni grossi e altri più ristretti (e per questo è opportuno che la giustizia, l'ordine ecc. ecc. veglino affi nchè non si provochi una pericolosa e "sovversiva" dilatazione)**. (** Ovviamente, in questa ipotesi, l'obiettivo sarà rappresentato dalla società del benessere)

Virgilio Xoom - Sito non trovato (http://xoomer.virgilio.it/controvoce/do) ... azione.htm

I. Analisi: Disintegrazione del sistema (Giorgio Franco Freda)- Fronte Patriottico (http://xoomer.virgilio.it/controvoce/doc-1disintegrazione.htm)

Inserisco il link giusto perchè quello non funziona

Avamposto
15-09-10, 17:28
http://www.militiacomo.org/joomla/images/stories/disintegrazionesistema.jpg

Avamposto
15-09-10, 17:29
FRANCO G. FREDA


Di origini irpine, Franco Giorgio Freda nasce a Padova, l'11 febbraio 1941. Attento alla politica fin dal ginnasio, presiede il Fuan San Marco (l'organizzazione degli studenti universitari del Movimento Sociale Italiano), rendendolo poi autonomo da quel partito – che ritiene non ‘in ordine'.

Dopo essersi laureato in giurisprudenza, discutendo con il professor Enrico Opocher la tesi su “Platone: lo Stato secondo giustizia”, costituisce, nel 1963, il Gruppo di Ar. Tale sodalizio balza subito ai rumori delle cronache diffondendo un opuscolo che compendia alcune teorie revisioniste sull'“Olocausto” e spinge il senatore ebreo comunista Terracini a formulare ai ministri dell'Interno e di Grazia e Giustizia una faconda interrogazione (dove si parla di “un immondo fascicolo antisemita” e si domanda quali misure fossero state prese “per cauterizzare la piaga fetida e purulenta prima ch'essa allarghi la sfera della propria azione”). Sempre nel 1963, Freda fonda le Edizioni di Ar, che aprono il proprio catalogo con il Saggio sull'ineguaglianza delle razze umane di Arthur de Gobineau. Nel 1969, pubblica La disintegrazione del sistema, nota sua scrittura di contrasto.

Le Edizioni di Ar - il cui catalogo raccoglie centinaia di titoli e si ramifica ora in venti collane - riuniscono i classici del pensiero antiumanistico e antidemocratico (antimoderno), da de Gobineau, a Nietzsche, a Spengler, a Evola. Verso la fine degli anni ‘70, durante la lunga inclaustrazione, Freda tornisce la collana per lui capitale, ‘Paganitas', che comprende le voci più significative della non-cristianità, da Celso (la prima traduzione in Italia del Discorso di verità appare, nel 1978 appunto, a cura sua), a Giuliano Imperatore, a Porfirio, a Pitagora, fino ai contemporanei.

Dal 1971, il processo (politico e quindi giudiziario) per la strage di Piazza Fontana vede l'Editore tra i principali imputati, fino al 1987, quando la Corte di Cassazione stabilisce la sua non-responsabilità per la strage, confermando le due sentenze assolutorie di appello di Catanzaro e Bari.

Nel 1982, viene condannato definitivamente a quindici anni di carcere per associazione sovversiva.

Attento studioso dell'etnicità, Freda definisce, nelle proprie opere più recenti, i principii di un razzismo "morfologico". Nel 1989, fonda il movimento politico-culturale “Fronte Nazionale” – il cui atto costitutivo ufficiale reca la data del 1990 - e pubblica L'Antibancor (rivista periodica di studi economici e finanziari) e numerosi volumi dedicati alla questione razziale connessa con i problemi migratorii.

Il Fronte Nazionale esprime la propria preveggente apprensione di fronte alla mostruosità del disegno di una (pretesa) società multietnica e all'inumanità della globalizzazione. Esso si propone soprattutto come scuola, come luogo di formazione politica. Ma alcuni magistrati ritengono che sediziose e nocive siano le parole di Freda (“ontologicamente criminale”? domanda allibito alla corte il difensore di questi, l'avvocato Carlo Taormina) - e irridono la sua previsione dei conflitti razziali che pur vanno profilandosi. Freda viene condannato, così, a tre anni di carcere e il Fronte Nazionale è sciolto dal Consiglio dei Ministri, nel 2000, sulla base della legge Mancino-Modigliani.

Nel 2004, l'Editore inaugura la collezione di Ar, che ospita i testi di Friedrich Nietzsche con l'originale tedesco a fronte (e mira a ripulire le scritture nietzscheane dall'invadenza dei ‘passatori' infedeli), dando alle stampe L'anticristiano.

Attualmente il concerto di voci da lui ordinate varia dal libretto per fanciulli sul come astenersi igienicamente dal Dio-unico, alla calligrafia erotica, ai testi filosofici, politici, genealogici, a volumi sull’arte e l’estetica, a vigorosi pamphlet d’assalto.



Edizioni di Ar (http://www.edizionidiar.com/francofreda.asp)

Avamposto
15-09-10, 17:30
http://www.edizionidiar.com/images/Freda.jpg

Gianky
15-09-10, 17:33
Grande Camerata Avamposto.

E' quello che volevo leggere. Lo farò con calma.

Antonio
16-09-10, 11:20
http://www.militiacomo.org/joomla/images/stories/disintegrazionesistema.jpg

Io ho letto proprio questa edizione.
E' uno dei testi che più ha influenzato, allontanandomi definitivamente dalla democrazia liberale.
Credo che gli orientamenti espressi da Freda nel suddetto libro siano assolutamente fondamentali.
Un punto di riferimento politico ed esistenziale.

Giò
16-09-10, 12:23
Un libro che - purtroppo - in ben pochi hanno capito.

Antonio
16-09-10, 14:54
Un libro che - purtroppo - in ben pochi hanno capito.

Specie quelli che oggi votano Berlusconi....

P.s. sto scherzando! Ma mi hai servito un assist clamoroso a porta vuota, dovevo solo spingerla dentro! :D:D:D

Giò
16-09-10, 20:26
Specie quelli che oggi votano Berlusconi....

P.s. sto scherzando! Ma mi hai servito un assist clamoroso a porta vuota, dovevo solo spingerla dentro! :D:D:D

Ma vedi, il problema è che chi vota Berlusconi non lo fa in nome della 'disintegrazione del sistema' frediana, mentre invece molti giustificano le loro commistioni dottrinali con il testo frediano (frainteso).

Italiano
16-09-10, 21:53
Bisogna dunque procedere alla «revisione» valutativa del giudizio politico maturato nei confronti del fenomeno immigratorio extraeuropeo, nel cui ambito distingueremo fra gli «sradicati» che agognano all’integrazione con l’Occidente e i gruppi islamici «radicati» nelle rispettive identità razziali, religiose e culturali. Quanto ai primi, essi rappresentano comunque una forza d’urto quantitativa naturalmente destinata a scuotere la «statica» oligarchica del Sistema borghese; costoro, inoltre, non sarebbero pregiudizialmente refrattari -proprio a causa della condizione di sradicamento in cui versano- ad una mirata azione di coinvolgimento politico conflittuale nel «segno» dell’antisistema. Quanto ai secondi, essi rappresentano una qualificata forza di opposizione dal punto di vista tradizionale; occorre quindi stabilire organici raccordi politici con gli immigrati autenticamente musulmani -combattenti del Jihâd algerini, tunisini, senegalesi ...-, a noi accomunati dalla omologa razza dello spirito che funge da discriminante spirituale, etica e politica al di sopra e contro il rimasuglio biologico europoide, la cui integrazione razziale (quale?) non costituisce più oggetto degno di alcuna azione politica di difesa condotta in nome della defunta razza arioeuropea.

Lo «scontro» metafisico fra Islâm e Occidente -«drammatizzato» dalla superba ed eroica resistenza del popolo Palestinese all’invasore sionista, «scolpito» nella storica cacciata dei sionisti dal Sud del Libano ad opera degli Hezbollah filoiraniani- ha introdotto la categoria schmittiana dell’opposizione Amico/Nemico, imponendo, obbligatoriamente, una radicale scelta di campo: o si sta con l’Islâm o con l’Occidente. Tertium non datur ... I migliori uomini della razza arioeuropea hanno quindi il dovere di conferire una minimale, unitaria ed autonoma connotazione organizzativa all’identità politica dell’area nazionalrivoluzionaria, al fine di consentire una concreta confluenza operativa nell’unico plausibile fronte antimondialista: l’Islâm tradizionale e rivoluzionario.

Sul piano micro-politico, invece, una «potenziale forza» suscitata dal sistema e suscettibile di essere «rovesciata» contro le sue strutture, è quella dei ribelli della domenica (e gli altri giorni?), ossia dei sostenitori oltranzisti delle squadre di calcio. Il Sistema, infatti, ha adibito gli stadi di calcio a riserve, cioè a «contenitori» dell’alienazione giovanile metropolitana, la quale, benchè in essi «imprigionata», è spesso costretta a subìre, in sovrappiù, la violenza legalista degli apparati repressivi del Sistema. É una gioventù aggressiva e violenta, simboleggiata dalle periodiche e frequenti immagini televisive del tifoso che, insofferente nei confronti delle vili percosse subite, si è «fermato», manifestando legittime intenzioni reattive che hanno messo in fuga l’individuo in divisa che lo seguiva...

Lo stadio di calcio è uno spazio politico eversivo, un «catalizzatore» di sintesi intorno al quale convergono -ancora episodicamente- tensioni sociali che, ove integrate nel quadro di un progetto politico rivoluzionario, assumerebbero la forma di un contropotere conflittuale di massa antisistema. Gli skinheads potrebbero quindi rappresentare (senza escludere nemmeno i cosiddetti «casinisti da stadio» ... anzi ...) l’anello di congiunzione e il vettore militante di penetrazione propagandistica all’interno delle associazioni e dei gruppi di tifosi oltranzisti, al fine di «convertire» la rabbia delle gradinate in coscienza politica antisistema, operando un permanente collegamento politico con i quartieri periferici metropolitani che costituiscono le aree urbane di provenienza dei cosiddetti «ultras».

Queste considerazioni provocheranno certamente obiezioni e critiche ma, tant’è, malgrado la presenza di ipertrofici «cerebri» traboccanti sapienza politica e accortezza tattica, siamo arrivati agli «spiccioli» ... Quanto a noi, ci limitiamo ad affermare che la validità del tipo umano incarnato dal soldato politico della Tradizione, deve conformarsi all’archetipo tradizionale -mentre il progetto politico (sarebbe ora di «scorgerne» qualcuno ...) deve individuare, mobilitare e orientare, ottemperando a criteri di valutazione che corrispondano ad un funzionale parametro di efficacia, le potenzialità antisistema presenti in concreti «veicoli» sociali ravvisabili anche nel multicolore fronte dei ribelli della domenica ...


Se ho capito bene questo Freda vorrebbe sostituire all'attuale Europa etnicamente europea, secolare, borghese e mercantile, un Europa etnicamente levantino-africana, islamica, feudale e comunistica.

L'equivalente di spararsi in testa per curare una cefalea. :sese:

Giò
17-09-10, 00:37
Se ho capito bene questo Freda vorrebbe sostituire all'attuale Europa etnicamente europea, secolare, borghese e mercantile, un Europa etnicamente levantino-africana, islamica, feudale e comunistica.

L'equivalente di spararsi in testa per curare una cefalea. :sese:

E' vero esattamente il contrario.
Freda è colui che è stato condannato per violazione della Legge Mancino poiché la sua colpa è stata quella di aver parlato del problema migratorio per ciò che era realmente: un'invasione demografica ed una minaccia per l'esistenza dei popoli europei di razza bianca.

Purtroppo, è questo il problema di avere degli 'esegeti' :D

Avanguardia
17-09-10, 09:02
Non ho mai letto in testo in questione.
Intervengo solo per dire che votare Berlusconi, nell' ottica di una consapevole volontà di disintegrare l' ordine costituito, ha senso: gente come Berlusconi, come Bush, come Sarah Palin, sono i nostri migliori alleati. Perchè? Sono arroganti, tracotanti, presuntuosi, mezzo-matti, stupidi (non è il caso di Berlusconi), inetti, amani circondarsi di incompetenti e tonti; quindi fanno emergere con più facilità le contraddizioni del sistema, aiutano a sputtanarlo, e fanno quegli errori che ne facilitano il crollo.

Antonio
17-09-10, 14:59
Non ho mai letto in testo in questione.
Intervengo solo per dire che votare Berlusconi, nell' ottica di una consapevole volontà di disintegrare l' ordine costituito, ha senso: gente come Berlusconi, come Bush, come Sarah Palin, sono i nostri migliori alleati. Perchè? Sono arroganti, tracotanti, presuntuosi, mezzo-matti, stupidi (non è il caso di Berlusconi), inetti, amani circondarsi di incompetenti e tonti; quindi fanno emergere con più facilità le contraddizioni del sistema, aiutano a sputtanarlo, e fanno quegli errori che ne facilitano il crollo.

Il tuo ragionamento è condivisibile.
Bisognerebbe allora creare una forza politica e sociale capace di utilizzare queste contraddizioni del Sistema contro il Sistema stesso.
E dico "creare" perchè penso - ahimè - che essa non esista ancora, nonostante siano in tanti ad avversare il Sistema.

uomo di destra
18-09-10, 15:03
Il tuo ragionamento è condivisibile.
Bisognerebbe allora creare una forza politica e sociale capace di utilizzare queste contraddizioni del Sistema contro il Sistema stesso.
E dico "creare" perchè penso - ahimè - che essa non esista ancora, nonostante siano in tanti ad avversare il Sistema.

totalmente condivisibile!

Nazionalistaeuropeo
18-09-10, 16:57
Ma vedi, il problema è che chi vota Berlusconi non lo fa in nome della 'disintegrazione del sistema' frediana, mentre invece molti giustificano le loro commistioni dottrinali con il testo frediano (frainteso).
E non è una commistione dottrinale appoggiare sion o le idee sioniste e/o liberali?

Malaparte
18-09-10, 18:22
E non è una commistione dottrinale appoggiare sion o le idee sioniste e/o liberali?

Non è demenziale leggere La disintegrazione del sistema come se fosse stato scritto nel 2010, quando gli opposti estremismi che secondo le tesi di Freda si sarebbero dovuti unire sono agonizzanti?

Nazionalistaeuropeo
19-09-10, 11:40
Non è demenziale leggere La disintegrazione del sistema come se fosse stato scritto nel 2010, quando gli opposti estremismi che secondo le tesi di Freda si sarebbero dovuti unire sono agonizzanti?
Non direi che sono agonizzanti..quanto ahimè inconcludenti.

Giò
19-09-10, 17:13
E non è una commistione dottrinale appoggiare sion o le idee sioniste e/o liberali?
Si tratta di commistioni che non esistono, mentre invece ci sono i 'socialisti' nazionalitari che giustificano le loro idee con Freda.

Italiano
22-09-10, 16:17
E' vero esattamente il contrario.
Freda è colui che è stato condannato per violazione della Legge Mancino poiché la sua colpa è stata quella di aver parlato del problema migratorio per ciò che era realmente: un'invasione demografica ed una minaccia per l'esistenza dei popoli europei di razza bianca.

Me lo ricordo ma leggendo questo testo credevo che avesse cambiato idea con gli anni di fronte al rimbambimento delle masse europee.


Purtroppo, è questo il problema di avere degli 'esegeti' :D

Esegeti con idee suicide.

stanis ruinas
26-12-10, 21:55
Un libro che ancora, a rileggerlo a tanti anni di distanza dalla sua pubblicazione, mette i brividi.

Un libro senz'altro scomodo per ciò che teorizzava e per quello che avrebbe potuto significare.

A mio avviso un testo di riferimento valido ancora oggi per quanto datato ma da prendere con le dovute avvertenze per l'uso che se ne potrebbe fare ma, io penso, per le scelte anche individuali ricavabili.

Ottima guida e interessante strumento di analisi del sistema democratico e dei suoi meccanismi contro i quali Freda oppone un comunismo aristocratico, formula che può forse fare paura ma solo a qualche neoconservatore di destra e a qualche borghese.

A me personalmente "La Disintegrazione" piace.

stanis ruinas
26-12-10, 21:56
Non è demenziale leggere La disintegrazione del sistema come se fosse stato scritto nel 2010, quando gli opposti estremismi che secondo le tesi di Freda si sarebbero dovuti unire sono agonizzanti?

Verissimo. Infatti è un libro che va contestualizzato e inserito all'epoca e per l'epoca in cui venne scritto.