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Avamposto
31-07-10, 12:06
RIFLESSIONI SULLA VIOLENZA di Georges Sorel



Le "Riflessioni sulla violenza" (1908) sono senz'altro il migliore e il più grande libro di Georges Sorel (1847-1922).
Vi si trovano pagine ammirevoli sul socialismo, sulla moralità della violenza, sull'avvenire della civiltà, sui miti socialisti; prospettive precise sui suoi metodi e sulle sue intenzioni; è la sola opera che conservi, contemporaneamente, una qualche unità interna sia a proposito dell'idea di violenza che a quella di sciopero.

Le "Riflessioni" hanno procurato a Sorel la maggior parte dei suoi lettori e dei suoi ammiratori; tuttavia molti di essi sono stati delusi dalla lettura di questo libro, scoraggiati forse dal lato frammentario ed estemporaneo della sua composizione.
Si adatta bene a "questo" Sorel il giudizio che egli, seguendo Croce, formulava su Marx: "Bisogna riconoscere che il sistema di Marx presenta notevoli difficoltà per la critica, poichè l'autore non ne ha dato un esposto didattico. Benedetto Croce afferma che "Il Capitale" sia una strana mescolanza di teorie generali, di polemiche e di satire amare, di illustrazioni e di digressioni storiche. Occorre andare alla ricerca del pensiero dell'autore, e ciò non manca di offrire numerosi motivi di errore".
Sorel, anch'egli, non ha esposto didatticamente il proprio pensiero. Egli respingeva tutto quello che vagamente potesse incutere il sentore di qualcosa di educazionistico, pedagogico, precettistico. Le "Riflessioni", come "Il Capitale", sono pertanto una mescolanza bizzarra e suadente di teorie generali, di virulente polemiche, di motti di spirito e di digressioni. Bisogna ricercare il pensiero di Sorel con tutti i rischi di anticipazioni e di errori che la sua ermeneutica comporta.
Tuttavia, è proprio partendo dalle "Riflessioni" che si può più proficuamente comporre un quadro del pensiero, della personalità morale ed intellettuale di Sorel. Si potrebbero dare le definizioni più varie del socialismo di Sorel; basterebbe trarle dalle sue opere: ma se vogliamo dare una definizione onesta del suo socialismo, presa in un'epoca in cui il suo pensiero, ondivago per antonomasia e per questo a noi particolarmente gradito e caro, è relativamente stabilizzato, ci si accorge che essa può essere formulata in poche parole: il socialismo, con tutte le sue speranze e le sue possibilità, è interamente contenuto nella lotta di classe -la sistemazione della lotta di classe è il solo apporto reale, enorme, tuttavia, del marxismo- e nel concetto di sciopero generale che permette di cogliere la lotta di classe nel suo aspetto più evidente e più crudo, esprimendone la più vivida e adamitica integralità.

Il socialismo, mentre per Marx è "una filosofia della storia delle istituzioni contemporanee", viene essenzialmente e primariamente definito da Sorel come "una filosofia morale" e una metafisica dei costumi, "un'opera grave, temibile, eroica, il più alto ideale morale che l'uomo abbia mai concepito, una causa che si identifica con la rigenerazione del mondo". I socialisti non devono formulare teorie, costruire utopie più o meno seducenti, "la loro unica funzione consiste nell'occuparsi del proletariato per spiegare ad esso la grandezza dell'azione rivoluzionaria che gli compete".

"Il socialismo è diventato una preparazione delle masse impiegate nella grande industria, le quali vogliono sopprimere lo Stato e la proprietà; ormai non si cercherà più il modo in cui gli uomini si adatteranno alla nuova e futura felicità: tutto si riduce alla scuola rivoluzionaria del proletariato, temprato dalle sue dolorose e caustiche esperienze".

Per Sorel, dunque, il marxismo è soprattutto una "filosofia delle braccia", cioè una tattica e un metodo di lotta, fondata senza dubbio su un'analisi filosofica e sociologica orientata verso l'azione diretta e l'energia, una filosofia anti-intellettualistica e vitalistica-conquistatrice, soggiacente all'influenza della lezione migliore lasciataci dagli scritti nietzscheani.
Impegnato su questa via Sorel scopre la violenza; ne scopre l'imperio, la crescente importanza nei rapporti umani e sociali -era l'epoca in cui nelle lotte operaie ogni anno decine di scioperanti cadevano sotto le pallottole della sbirraglia e della soldataglia- ed egli pensa che non sia più possibile parlare di socialismo senza filosofare sulla violenza e più particolarmente sulla violenza proletaria:

"Il socialismo tende sempre più a configurarsi come una teoria del sindacalismo rivoluzionario -o meglio come una filosofia della storia moderna nella misura in cui quest'ultima subisca il fascino del sindacalismo. Risulta da questi dati incontestabili che, per ragionare seriamente del socialismo, bisogna prima di tutto preoccuparsi di definire l'azione che compete alla violenza nei rapporti sociali di oggi".
La guerra di classe è dunque per lui l'essenza e la speranza del socialismo.

Egli non oppone due sistemi, socialismo e capitalismo, libera concorrenza e collettivismo, per sottolineare i difetti e i vizi dell'uno e le qualità e i meriti dell'altro; egli oppone in una guerra eroica e leale, all'ultimo sangue, una nozione proudhoniana, questa, sempre sovrapposta al marxismo e sostanzialmente dominantelo, il proletariato alla borghesia. Dal loro urto scaturirà il Sublime.

Sorel si occupa assai poco di economia. Egli tuona contro la borghesia vigliacca, arrogante, invidiosa e avida, i cui costumi, negli ultimi trent'anni presi in considerazione, lo hanno definitivamente irritato e che lascia perire il retaggio sacro della umanità contrario al sistema economico di cui non è neppure beneficiaria.

Sorel si vieta ogni previsione sull'avvenire: egli aveva in grande orrore le utopie e gli utopisti: "Con che si fanno le utopie? Col passato, e spesso con un passato assai remoto". Spesso gli è stato rimproverato di non aver tenuto conto dell'organizzazione produttiva -descrizione che è generalmente richiesta ai teorici del socialismo- che in modo troppo semplicista. Nella prospettiva soreliana tale rimprovero è assurdo. Egli si accontenta deliberatamente di un atto di Fede sulla capacità di gestione della classe operaia, affinata dalla suprema lotta. L'idea dello sciopero generale produce presso i lavoratori "uno stato d'animo epico, che tende tutte le forze dell'Anima verso condizioni che permettano di realizzare un'officina che funzioni liberamente e che sia prodigiosamente progressiva".

Egli si rifiuta altresì di tracciare, anche solo a grandi linee, l'immagine della società futura. Sorel ha bersagliato di sarcasmi e dileggi gli scrittori socialisti che avevano tentato di descriverla con un'ingegnosità più o meno felice, in particolare scagliandosi contro Jean Jaures e Charles Fourier: "Sembrava loro che le proprie invenzioni fossero tanto più convincenti quanto più l'esposizione era conforme alle esigenze di un libro scolastico".
Il più grande merito attribuito a Marx da Sorel e che invece contrapponeva il Nostro in maniera feroce agli epigoni del rivoluzionario tedesco, i cosiddetti marxisti, si concretava proprio su questo punto: "Non si saprebbe troppo insistere sul fatto che Marx condanna tutte le ipotesi costruite dagli utopisti circa l'avvenire". "Ho detto che Marx rifiutava tutti i tentativi orientati verso la determinazione delle condizioni di una società futura; non si saprebbe abbastanza insistere su questo argomento, poichè noi vediamo che in tal modo Marx si collocava al di fuori della società borghese".

La società futura per Sorel scaturirà del tutto naturaliter dall'azione del movimento operaio. Più il movimento operaio saprà essere Eroico e Puro, più la società che si elaborerà in seno al medesimo raggiungerà un elevato livello.
Il diritto operaio non è dunque il diritto che fabbricano i legislatori borghesi amanti delle scienze sociali nel loro Parlamento, è il diritto che nasce nelle attività sindacali: "Si dovrebbero definire diritto operaio gli usi che si formano nella classe lavoratrice, e che possono, perfezionandosi, diventare il diritto futuro".

Ragionando per analogia, Sorel crede di cogliere delle affinità spirituali sorprendenti tra le qualità dei soldati delle guerre napoleoniche per la Libertà, quelle suscitate tra i lavoratori dallo sciopero generale e quelle che dovrebbero possedere i membri di un'officina socialista. L'operaio di un'officina socialista, come il soldato delle guerre per la Libertà, il militante sindacalista, non regola il suo sforzo su una misura esteriore; egli tende piuttosto a superare i modelli che gli si offrono, a voler spingere il proprio sforzo più in alto; soltanto un paragone con l'Arte considerata come "un'anticipazione della più alta produzione" potrebbe, secondo Sorel, permetterci di capire vagamente quello che accadrebbe in un'officina -a questo termine va esteso un significato lato, si intende- libera.
D'altra parte "l'industria moderna è caratterizzata da una preoccupazione sempre maggiore dell'esattezza".

Altra analogia con lo spirito delle armate rivoluzionarie nelle quali i soldati delle guerre per la Libertà "attribuivano un'importanza quasi superstiziosa all'adempimento delle più piccole consegne". Sorel afferma: "Quando si lancia una colonna d'assalto, gli uomini che marciano in testa sanno che sono votati alla morte, e che la gloria sarà per quelli che, calpestando i loro cadaveri, entreranno in territorio nemico. Tuttavia essi non pensano a questa grande ingiustizia e vanno avanti".
I soldati delle armate rivoluzionarie che procedevano senza sperare ricompensa, i grandi artisti sconosciuti che hanno edificato le cattedrali, gli inventori che hanno assicurato il trionfo dell'industria moderna senza attendere una rimunerazione per le loro scoperte, hanno tutti vissuto senza ricevere una ricompensa personale immediata e adeguata del loro eroismo, del loro genio, del loro sforzo.

Il sacrificio più assoluto e dedito di se stessi in nome di un Ideale indicibile: non possono che emergere nella nostra mente le figure misteriose, fulgide ed altere di due Incomparabili Genii, immeritatamente per noi italiani: Bruno Filippi e Carlo Michelstaedter. Nel nostro mondo marcio, esiste ancora una forza d'entusiasmo ad essi confrontabile? Sorel lo crede: egli pensa che l'entusiasmo e la fede che sono stati la forza motrice del movimento rivoluzionario saranno domani le forze vive della "morale dei produttori": responsabilità personale, eroismo invincibile, disciplina interiore, abnegazione, rifiuto del mondano osceno e scurrile.


Sorel prosegue nel suo discorso enunciando: "La morale non è destinata a scomparire perchè le sue forze motrici saranno cambiate; essa non è condannata a diventare una semplice raccolta di didascalici precetti, se può allearsi ancora a un entusiasmo capace di vincere tutti gli ostacoli opposti dall'abitudine, dai pregiudizi e dal bisogno di vantaggi immediati-portati di una logica utilitaristica-benthamiana. Ma è certo che non si potrà conquistare questa forza sovrana seguendo le vie nelle quali vorrebbero farci entrare i filosofi contemporanei, gli esperti in scienza sociale e gli inventori di riforma profonda. Oggi non vi è che una sola forza che possa provocare quell'entusiasmo senza il cui aiuto non vi è morale possibile: è la forza che si sviluppa dalla propaganda in favore dello sciopero generale. Abbiamo così riconosciuto che vi sono degli stretti legami tra i sentimenti provocati dallo sciopero generale e quelli che sono necessari per innescare il processo della produzione. Abbiamo il diritto di sostenere che il mondo moderno possiede il movente primo che può assicurare la morale dei produttori".
Ma perchè il socialismo possa adempiere alla sua funzione soteriologica, dopo il crollo degli antichi valori e il processo nietzscheano che prevede la Trasvalutazione degli stessi, occorre che esso sia perfettamente autonomo e puro, occorre che non debba nulla alle ideologie tradizionaliste della borghesia.
Il movimento socialista rivoluzionario deve essere immune da ogni elemento estraneo, deve includere e prevedere presso di sè il vituperato ma sempre valido concetto di epurazione, nonchè la prassi derivante da quello, che sia nell'accezione nietzscheana che in quella staliniana lo conduce al suo repente rafforzamento. Deve essere un movimento anti-intellettualistico, rigorosamente ed esclusivamente rivoluzionario e proletario: deve destituire quindi intellettuali, commercianti, piccoli borghesi, funzionari.

Due pericoli minacciano il socialismo secondo Sorel: il primo, sul piano politico, costituito da tutte le deviazioni democratiche, riformiste e parlamentari possibili; il secondo, sul piano economico, costituito invece da tutti gli squallidi tentativi di collaborazione fra le classi che Sorel simboleggia e compendia in una sola espressione, la vigliaccheria borghese.
Il socialismo riformista e parlamentare cerca indifferentemente la clientela elettorale fra tutte le classi sociali. Esso mira alla conquista dello Stato mediante il suffragio universale, ennesima frale menzogna, illusione democratica, vuotando il socialismo di ogni contenuto classista e togliendo al marxismo le sue poche potenzialità liberatrici:

"La letteratura elettorale sembra ispirata dalle più pure dottrine demagogiche: il socialismo di questo tipo si rivolge agli scontenti, qualsiasi sia la loro appartenenza di classe; per questo troviamo dei socialisti laddove non ci aspetteremmo di rinvenirli. Il socialismo parlamentare parla tanti linguaggi quanti sono i tipi delle clientele. Esso si rivolge agli operai, ai piccoli padroni, ai contadini, a dispetto di Engels anche agli affittuari; talvolta è patriota, talvolta declama contro l'esercito; nessuna contraddizione lo ferma, perchè l'esperienza ha dimostrato che si può, in una campagna elettorale, riunire le forze che dovrebbero essere normalmente antagoniste, secondo le stesse concezioni marxiste. D'altra parte un deputato non può rendere servizi a elettori di ogni situazione economica".

"I socialisti parlamentari - prosegue ancora Sorel - non possono avere grande influenza se non giungono ad imporsi a gruppi molto dissimili parlando un linguaggio volutamente confuso: a loro occorrono degli elettori operai abbastanza ingenui da lasciarsi ingannare dalle frasi roboanti sul futuro collettivismo. Essi devono presentarsi come profondi filosofi ai borghesi stupidi che vogliono sembrare esperti in questioni sociali; devono poter sfruttare persone ricche che credono di ben meritare dall'umanità attuando imprese di politica socialista. Quest'influsso è fondato sull'arruffio e i nostri grandi uomini lavorano con successo spesso troppo grande a creare la confusione nelle idee dei loro elettori".

Queste pratiche elettorali portano con sè la più larga corruzione. I deputati socialisti non sono certo da meno dei parlamentari più esplicitamente borghesi nell'arte dell'inganno e dell'imbroglio. E le "Riflessioni sulla violenza" costituiscono parimenti un libello antidemocratico d'una violenza e d'una vivacità raramente in seguito raggiunti.

Già nel 1906, Sorel, dopo le delusioni indottegli dalla campagna dreyfusarda, non ha più alcun riguardo per la democrazia; è risolutamente antidemocratico, e tale resterà fino alla morte. "Il suo antidemocraticismo resterà sempre -ha scritto Pirou- quanto mai saldo e risoluto. Esso è il perno fisso intorno al quale girerà ormai la sua dottrina". La democrazia che trascina il socialismo nella via delle transazioni e dei compromessi è il nemico principale del movimento operaio, il suo principale agente di confusione e di dissoluzione:

"L'esperienza ha finalmente dimostrato che un accordo fra il socialismo e la democrazia non permette all'ideologia rivoluzionaria di mantenersi all'altezza che essa dovrebbe avere perchè il proletariato possa compiere la sua missione storica. La liquidazione della rivoluzione dreyfusarda doveva portarmi a riconoscere che il socialismo proletario o Sindacalismo non realizza pienamente la sua natura se non quando è volontariamente un movimento operaio rivolto contro i demagoghi".

"La democrazia elettorale - scrive ancora, e in questo passo che è di un'attualità sconcertante, veramente in maniera magistrale, Sorel - assomiglia molto al mondo della Borsa. In un caso, come nell'altro, bisogna operare sull'ingenuità delle masse, comprarsi l'appoggio della grande stampa e aiutare il caso con un'infinità di astuzie; non c'è grande differenza fra un finanziere che immette nel mercato dei clamorosi affari che poi crollano in pochi anni, e il politicante che promette ai suoi concittadini un'infinità di riforme che non sa come attuare e che si ridurranno a un mucchio di carte parlamentari. Gli uni e gli altri non capiscono nulla della produzione e cercano tuttavia di imporsi ad essa, di dirigerla male, e di sfruttarla spudoratamente; essi sono abbagliati dalle meraviglie della industria moderna e pensano che il mondo sia abbastanza provvisto di ricchezze perchè lo si possa derubare largamente, senza far troppo gridare i produttori. Spennare il contribuente senza che si ribelli: ecco tutta l'arte del grande statista e del grande finanziere. Democratici e affaristi hanno una capacità tutta particolare per fare approvare i loro imbrogli dalle assemblee deliberanti; il regime parlamentare è mistificato come le riunioni di azionisti. Probabilmente è a causa dalle affinità psicologiche profonde risultanti da questi modi di agire, che gli uni e gli altri s'intendono così perfettamente: la democrazia è il paese di cuccagna sognato dai finanzieri senza scrupoli".

Ed inoltre: "I politicanti sono gente navigata, nei quali la perspicacia è resa singolarmente aguzza dagli appetiti voraci e fra i quali la caccia ai buoni posti sviluppa scaltrezze da apache".

Le "Riflessioni" sono colme di centinaia di aforismi dello stesso tipo, magnifici e fulminanti. Giuseppe La Ferla, nel suo "Renan politico" (Firenze 1953, pagina 66) sostiene che Renan, con la romantica affermazione già nel 1849 di un "compito provvidenziale della barbarie", consistente nel restituire allo spirito e alla cultura il loro primigenio vigore, sia il primo ispiratore delle "Riflessioni" soreliane, insieme a Marx e a Vico. Se così fosse, noi lo ringraziamo per questo: l'esigenza di una riforma intellettuale e morale, antecedente al rovesciamento dei rapporti sociali ed economici dominanti, comune secondo il giudizio di Gramsci sia a Sorel che a Renan medesimo, è rimasta tale quale era, un'esigenza, non c'è stata, non ci sarà; non abbiamo altra speranza nell'avvenire se non nel Caos, ci insegna Ernest Coeurderoy. Ma rimane l'impronta ferma di quest'opera colossale, somma e sontuosa, le "Riflessioni sulla violenza" di Sorel, ed incancellabile il merito che il nostro Maestro Sorel ha avuto nell'espungere dal marxismo tutte le aspirazioni teleologiche, scientiste, positiviste, nell'eliminare da esso qualsiasi traccia di filosofia della storia, nell'assegnare alla violenza la virtù, l'onere e l'onore della azione creatrice, o se preferite, seguendo Georges Palante, della Bontà Creatrice, il compito di una nuova fondazione etica. L'avvenire si divarica enigmatico innanzi a noi, la Volontà nostra o del Fato - l'amor fati nietzscheano- lo determinerà; ma anche se lo scoramento e lo sgomento sono i sentimenti odiernamente prevalenti nei nostri pensieri, il debito di riconoscenza nostro nei confronti di Sorel non verrà mai meno.
Egli fu il nostro maestro di libertà e di rivolta. Non cesserà mai di esserlo. Ed io, timido auleda, non posso esimermi dal cantarne la venustà prima di sprofondare rigenerato nella mia familiare catabasi. Poichè il mio lene delirio nell'inesausta caldezza del Sole non si perita di risparmiare neppure il socialismo, fosse pure codesto, eresiarchico, di Georges Sorel, a cui le ingiurie del Tempo edace non potranno sottrarre le faville dell'eversività.

"Penso che il desiderio di ricondurre tutto al punto di vista scientifico conduca - quasi necessariamente - all'utopia o al socialismo di stato".


(Georges Sorel, "La rovina del mondo antico", I edizione Parigi 1902)



RIFLESSIONI SULLA VIOLENZA (http://www.cmostia.org/Considerazioni%20sulla%20violenza%20(Sorel).htm)

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"In ogni problema la scienza agisce in modo potente dando all'uomo un'intelligenza completa delle sue azioni ed eliminando le illusioni parafisiche che vengono, ad ogni momento, a turbare il nostro spirito. Tuttavia, perchè si produca il cambiamento è necessario ben altro che la scienza; ci vuole l'evoluzione dell'ambiente artificiale nel quale viviamo: i bisogni della vita economica dell'ambiente sono i motori diretti. Non possiamo dire che cosa sarà la società collettivista come non possiamo dire che cosa sarà la macchina a vapore tra un secolo: sforziamoci piuttosto di comprendere e giudicare quello che facciamo".

(Georges Sorel, "L'antica e la nuova metafisica", 1894)


"Il socialismo, mantenendo le forme, il nome, gli schemi delle argomentazioni, - tutto il frasario di Marx - ha ridotto la sua negazione della società borghese a un elemento di riforma nella società borghese, volto a scopi più o meno particolari e materiali: più o meno mite, a seconda che più o meno i capi del partito avevano bisogno della società borghese e, approfittando della forza che loro concedeva il partito, ambivano a un posto in quella. Così che in Francia il socialismo è giunto al governo, in Germania ha creato una classe benestante più borghese dei borghesi, in Italia... dell'Italia è pietoso tacere".

(Carlo Michelstaedter, "La Persuasione e la Rettorica", 1910)



L'ERESIA SORELIANA

Noi siamo in linea di massima comunisti anarchici per quel che concerne l'aspetto economico, anche se propriamente l'anarchico individualista deve ignorare l'economia, anzi professare il disprezzo dell'economia; utilizziamo pro domo nostra questa espressione tipicamente evoliana rigettando la turpe ideologia che soggiace ad essa. L' unico interesse nostro appo la questione economica ci deriva dallo stirnerismo, naturalmente in maniera paradossale; mi riferisco alla prima embrionale teorizzazione, operata da Stirner, del concetto di sciopero generale nelle pagine dell' "Unico" (1845) e che poi sara' Sorel a portare a magnificenti conclusioni in una traiettoria teoretica che parte dall' "Avvenire socialista dei sindacati"(1898) e arriva alle imprescindibili "Riflessioni sulla violenza" (1908). Quindi, pensare l'economia per distruggere l'economia; ma è ancora troppo, un eccessivo coinvolgimento nelle cose, per coloro i quali hanno fondato la loro causa sul Nulla.

Ad ogni modo Sorel, come Nietzsche, considerava la sua epoca come un periodo di fiacchezza culturale e di decadimento umano e morale e credeva suo dovere combattere la mediocrità' borghese propugnando una morale eroica e rivoluzionaria piu' severa e rigida. Percio' molto di quello che oggi i borghesi, i politicanti e gli esponenti di quella obbrobriosa e nauseabonda pseudopolitica culturale della cosiddetta sinistra trovano ripugnante in Sorel, particolarmente il suo odio per il socialismo partitico e burocratico e per la democrazia parlamentare, nono solo puo' essere attribuito alla situazione in cui egli scriveva, ma è cio' che noi nemici dell' Ordine rivendichiamo con forza e asprezza come attualmente ancora valido e come "nostro". Il socialismo francese cosi' come ogni socialismo organizzatore meritava ampiamente gli strali soreliani e li merita ancora. Nulla vi è di piu' infame del riformismo. In ogni caso la separazione dall'economico è un privilegio dell'individualista, concessogli dalla sua tragica ed inappellabile visione del mondo edella vita: per le masse invece l'Economico rimane indispensabile, Sorel infatti scrive:

"Una collettivita' è inchiodata alle categorie economiche come l'individuo è inchiodato al suo sistema nervoso".

Nella concezione soreliana sussiste una antinomia o piu' precisamente una coppia opposizionale le cui due polarita' sono la violenza proletaria da un lato e la forza statale dall'altro. La violenza è sempre proletaria e la forza è sempre dello Stato; è uno sviluppo teorico chiaramente piu' ancora anti-statale che anti-capitalistico, e pertanto di chiara matrice proudhoniana. Su di esso si inserisce pero' in maniera originale l'analisi marxista, della quale viene difesa piu' lo spirito della lettera, e per la quale lo Stato non è un organo neutrale e al di sopra delle classi come in Proudhon bensi' e' espressione diretta delle classi dominanti. Perno di tutto e motore della Storia essendo beninteso la lotta di classe per una societa' socialista autogovernata dai liberi produttori, perchè in Marx, "l'emancipazione della classe operaia non puo' che essere opera della stessa".

In seguito Filippo Corridoni, ripecorrendo queste orme, per distorgliersene appena, diede il suo originale contributo condensato nella formula dell'"autogoverno delle categorie produttive". Sono questi degli ibridi sublimi ed affascinanti da un punto di vista formale ed estetico, sconfitti purtroppo se mirati da una prospettiva sostanziale.
Ma di questo, della pars costruens del sistema soreliano, in fondo poco mi importa. Sorel, cosi' come scrive lo squallido scrittore borghese H.Stuart Hughes nel suo "Coscienza e societa'. Storia delle idee in Europa dal 1890 al 1930" (1), ma in questo caso a ragione, "appartiene alla tradizione dei grandi suscitatori di dubbi, dei grandi eversori delle opinioni gia' fatte e comunemente accettate, di uomini come Pietro Abelardo e Nietzsche e Socrate": il suo pensiero eversivo ci insegna a decostruire, decomporre, demolire, distruggere, perche' l'opera di distruzione deve essere radicale in questa societa', perche' l'opera di distruzione deve essere radicale di questa societa', perche cio' che ci unisce è lo sdegno morale per tutto quello che di ingiusto e di fetido quivi impera. Spetta a noi, élite di ribelli aristocratici e sprezzanti, fanatici del dubbio, cultori delle incertezze, scuotere le alme schiave e avvilite, condurle alla stirneriana rivolta con una lunga serie di tentativi, spesso vani e insensati, mai abbastanza numerosi alla bisogna.

E concludiamo con una citazione soreliana tanto superba esteticamente quanto è nell' intero corpus della sua opera la piu' direttamente ed esplicitamente di filiazione nietscheana:

"Io non sono tra coloro che credono destinato a sparire il tipo acheo, cantato da Omero, l'eroe indomito, che fiducioso nella propria forza, si colloca di la' dalle leggi. Se di frequente si è creduto alla sua futura sparizione, cio' dipende dal fatto che i valori omerici sono stati considerati come inconciliabili con altri valori, derivanti da un principio completamente diverso. Molti problemi morali cesserebbero di spingere gli uomini al progresso, se alcune persone ribelli non costringessero il popolo a ritrovar se' stesso."

(Georges Sorel, "Riflessioni sulla violenza", I edizione 1908)

Il revisionista riformista del marxismo, Edouard Bernstein, per semplificare e sloganizzare il suo discorso e i suoi assunti, sosteneva che il movimento è tutto, il fine è nulla. Io per molto tempo ho cercato di controbattere che il movimento è nulla, il fine è tutto, ed ho tentato di agire in questo senso. Mestamente ho concluso, oggi ed invece, che il movimento è nulla, il fine è nulla.



(1). Einaudi Editore,Torino 1967



RIFLESSIONI SULLA VIOLENZA (http://www.cmostia.org/Considerazioni%20sulla%20violenza%20(Sorel).htm)

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31-07-10, 12:10
Sorel George

Considerazioni sulla violenza

Gio, 28/09/2006 - 19:49 — franchi
Autore: Sorel George





GENESI e STRUTTURA

“Il libro è nato da una serie di articoli pubblicati, dapprima in Italia, nel 1906, sotto lo stimolo dell’esperienza del movimento operaio francese, quale si era manifestato e si andava manifestando nei primi tentativi di sciopero generale e di lotta politica e di classe, nella sopravveniente crisi della democrazia rappresentativa e della pace sociale, sotto la guida dei «sindacalisti». Integrati l’anno successivo, quei primi saggi sulla violenza e lo sciopero acquistarono la fisionomia e il taglio di un lavoro organico, e diedero luogo, infine, ad un unico volume, che fu poi tradotto, nel 1909, per i tipi dell’Editore Laterza, con una presentazione di Benedetto Croce” (tratto dalla prefazione di Enzo Santarelli, p. 8).

Sorel sosteneva, nell’introduzione all’opera, di non aver avuto intenzione di comporre un libro, quando pubblicava gli articoli ne “Il divenire sociale”. Preferiva ricordare di non essere né professore, né volgarizzatore, né aspirante capopartito: “sono un autodidatta, che presenta a pochi i quaderni che hanno servito alla sua propria istruzione” (p. 55). Asseriva di aver scritto “per appunti”, formulando pensieri “così come sorgono”. Si proponeva solo di “svegliare qualche volta la ricerca personale”, affermando che “forse nell’animo di ogni uomo vive, nascosto dalla cenere, un fuoco vivificatore, tanto più minacciato di spegnersi, quanto più lo spirito abbia accolto, belle e fatte, un maggior numero di teorie. Evocatore è colui che allontana le ceneri e libera la fiamma.
Non senza ragione credo potermi vantare di essere riuscito, qualche volta, a svegliare lo spirito di ricerca in alcuni lettori; e tale spirito bisognerebbe, innanzitutto, suscitare nel mondo. Ottenere questo risultato val meglio che riscuotere l’approvazione banale di gente ripetitrice di formule, o avvilire il proprio pensiero in vuote dispute di scuola” (p. 58).

“Considerazioni sulla violenza” è strutturato in un’introduzione (“Lettera a Daniel Halévy”), una prefazione, sette capitoli (“Lotta di classe e violenza”; “La decadenza borghese e la violenza”; “Pregiudizi contro la violenza”; “Lo sciopero proletario”; “Lo sciopero generale politico”; “La moralità della violenza”; “La morale dei produttori”) e tre appendici (“Unità e molteplicità”; “Apologia della violenza”; “Per Lenin”).

APPUNTI

Nella prefazione, Sorel afferma: “Il sindacalismo rivoluzionario tien vivo nelle masse lo spirito di lotta proletaria e non prospera se non dove si sono prodotti scioperi notevoli o violenti (…). Se si vuole seriamente discutere di socialismo (è necessario) cercare quale sia l’azione propria della violenza nelle attuali condizioni sociali” (p. 91). Non si tratta, scrive, di giustificare i violenti, ma di “ sapere quale compito è proprio della violenza delle masse operaie nel socialismo contemporaneo” (p. 94).
Sorel ha cieca fiducia nel sindacalismo rivoluzionario: ritiene che la violenza proletaria sia un fattore essenziale per il marxismo (p. 141), denuncia e condanna il distacco tra i “socialisti parlamentari”, “raffinati e grossolani” (p. 125), e le reali istanze e necessità rivoluzionarie. La scheda elettorale ha “sostituito il fucile” (p. 104), e non è più tempo per cincischiare e difendere le istituzioni statali: i sindacalisti non devono riformare, ma distruggere lo Stato (p. 170).
Il libro è una testimonianza fondamentale, per il contemporaneo, di quanto grande e quanto assurda e tragica fosse la possibilità che il dogma marxista insudiciasse le menti degli uomini di Lettere. Sorel è morboso e ossessionato: convinto com’è che il socialismo debba “illuminare il proletariato”, illustrando la “grandezza” dell’incombente (come sempre) azione rivoluzionaria, si batte per propagandare l’opportunità dello sciopero come prima rappresaglia nei confronti dello Stato borghese. I capitoli – non di rado di difficile comprensibilità per il lettore contemporaneo, per via di reiterati richiami a uomini politici e questioni politiche contingenti alla stesura del testo – vagano, foschi e torbidi, sempre attorno allo stesso concetto: fede in quel marxismo rivoluzionario che s’è tenuto leale alla lettera del buon Dio Karl e ha rifiutato compromessi con il grande nemico – la borghesia, e il suo totem: lo Stato.
Perché tornare a esaminare questo libro? Semplice: per comprendere meglio cosa stia avvenendo nella sinistra parlamentare ed extra-parlamentare del nostro tempo. La questione, a ben guardare, non è mutata: c’è chi ancora s’aggrappa al vangelo secondo Marx e non può non rifiutare la liceità e l’opportunità della violenza, e l’essenzialità dello sciopero a oltranza, pur di contribuire alla creazione del promesso paradiso in terra (a quello nei cieli pensano le religioni, è evidente): c’è chi, con un pizzico di buon senso e di umanità in più, comprende che il sangue, le violenze e la barbarie possono e devono essere rifiutate; e che quel regime che nasce nel sangue, nel sangue morirà.
Nel 2005, assistiamo ancora – pur con minor intensità d’un tempo, ammettiamolo – all’angosciante e tragicomico fenomeno dell’evangelizzazione marxista, per via di intellettuali neo-soreliani e nostalgici leninisti vari (all’insegna dell’adagio: Stalin era narcisista e accentratore: un compagno che ha sbagliato. Lenin, invece, ah…): dogma fondato sull’esistenza d’un nemico (lo Stato, in ogni sua forma: e le multinazionali, tutte), d’una razza inferiore (il non comunista: ergo, il fascista), d’una razza eletta (i compagni), con un chiaro traguardo “rivoluzionario” che garantirebbe un’adeguata libertà e finalmente assicurerebbe “l’uguaglianza” ai cittadini (“fascisti” a parte: andremmo, immagino, rieducati in apposite strutture: ameni e accoglienti gulag).
Io voglio essere profeta: in tempi come questi, con qualche italiota che torna a parlare della liceità degli “espropri proletari”, con altri che s’uncinano alla vecchia dottrina del “compagno che sbaglia” (eccesso di zelo?), un saggio come questo non potrà che tornare di moda e venire ristampato. È ora.
Mi spiace solo per quelle menti della nuova generazione che sognano d’umiliare “democrazie borghesi”, e d’opporsi al “socialismo parlamentare”: meno per quei borghesi che, mimetizzandosi da proletari, da anni cercano di guarirsi dalla noia della loro esistenza infilandosi nei centri sociali. Torneranno a casa, dissociandosi. Come sempre. (V’aspetto!)
Come in passato, non saranno loro a correre rischi: ma quei figli del popolo che, prestando fede alle fandonie marxiste-leniniste (oggi: tonynegriane) e alle enigmatiche e sempre fumose ambizioni “rivoluzionarie”, pregiudicheranno la loro intelligenza e la loro vita.
Valga, per Sorel, la vecchia regola: conosci il tuo nemico.
Ogni libro va letto: un libro come questo è uno scrigno di idee.
Si possono, ad esempio, interiorizzare interessanti lezioni di comunicazione: Sorel temeva che si potessero “rubare” e riadattare le parole appartenenti al pensiero e al lessico marxista, per screditarne l’originaria (per così dire) accezione, e rinnovarle.
Splendido suggerimento. Nutrirsi di quel lessico per rovesciare quel dogma.
Un borghese ti saluta.



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EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

George Sorel (Cherbourg, France 1847 – Boulogne-sur-Seine, France 1922), ingegnere di ponti e strade, filosofo francese. Maestro del sindacalismo rivoluzionario.

George Sorel, “Considerazioni sulla violenza”, Laterza, Bari, 1970.
Traduzione di Antonio Sarno. Prefazione di Enzo Santarelli.
Con una introduzione di Benedetto Croce alla prima edizione (1909).
Prima edizione: “Réflexions sur la violence”, Marcel Rivière, Paris 1908.
(edizioni successive, con integrazioni: 1910; 1913; 1919; 1921; 1923; 1926. L’edizione Laterza si basa sull’edizione del 1926)




Considerazioni sulla violenza | Lankelot (http://www.lankelot.eu/letteratura/sorel-considerazioni-sulla-violenza.html)

Avamposto
08-09-10, 10:13
http://4.bp.blogspot.com/_-M5PyYHH2kk/Sc88WE_aaUI/AAAAAAAABNA/1JRR3bITYQk/s320/sorel+reflections+on+violence.JPG





http://homepage.newschool.edu/het//profiles/image/sorel.jpg

Avamposto
08-09-10, 10:14
GEORGES SOREL

A cura di Diego Fusaro





Oltre che sul terreno religioso, il pensiero di Bergson esercita una viva influenza anche sul terreno sociale, per il singolare innesto che dei motivi bergsoniani ha operato in seno al marxismo il celebre autore delle "Réflexions sur la violence" (1906) Georges Sorel (1847-1922). La coscienza, cui gli spiritualisti fanno riferimento, è solitamente intesa come la via interiore che porta alla conoscenza delle più profonde regioni dello spirito e, anche quando viene interpretata in senso pratico, cioè come volontà e azione, essa ha genericamente esiti intimistici e religiosi. Nel caso di Sorel, invece, che si richiama esplicitamente a Bergson, la coscienza è anche la sede di un "mondo fantastico" in cui si esprime la volontà di un'azione politica tutta esteriore, intesa a promuovere quella rivoluzione che libererà le masse oppresse dal capitalismo. In Sorel si realizza pertanto una strana commistione di temi spiritualistici e di fede marxista, da lui abbracciata nell'ultimo decennio dell'Ottocento. Anche per Sorel la realtà dell'uomo si riduce all'azione: un'azione che scaturisce spontaneamente dalla libera volontà dell'uomo. Ma a questo scopo occorre che nella coscienza umana sia presente un complesso di immagini in grado di agire sull'istinto, sprigionando in questo modo l'azione. A questo complesso di immagini spontanee ed istintive Sorel dà il nome di mito . Benchè entrambi rivolti alla prassi futura, il mito si definisce attraverso la sua contrapposizione all'utopia: mentre quest'ultima è una rappresentazione intellettuale che può essere razionalmente esaminata e discussa, e che quindi non ha un effetto pratico dirompente (siamo negli anni in cui sul Positivismo prevale il vitalismo), il mito è l'espressione immediata per immagini della volontà che attende di tradursi in azione. In questo senso, non ha alcuna rilevanza il fatto che il contenuto del mito sia o non sia realizzabile: in ogni caso esso diventa il potente motore dell'azione dell'uomo e la sola fonte di creazione di nuova realtà: " si può parlare all'infinito di rivolte senza mai provocare un movimento rivoluzionario, fin tanto che non vi sono miti accettati dalle masse […] il mito è un'organizzazione di immagini capaci di evocare istintivamente tutti i sentimenti che corrispondono alle diverse manifestazioni della guerra intrapresa dal socialismo contro la società moderna ". Nei tempi passati hanno svolto la funzione di mito la credenza dei primi cristiani nella prossima fine del mondo, oppure i sogni di rinnovamento nutriti dai grandi riformatori religiosi. Oggi il mito riveste la forma di "mito sociale" e trova il suo soggetto nelle masse popolari oppresse dal capitalismo e il suo oggetto nello sciopero generale : " lo sciopero generale è proprio ciò che ho detto: il mito nel quale si racchiude tutto intero il socialismo ". L'azione che il mito deve sprigionare è, dunque, l'azione rivoluzionaria e la "guerra di classe". Lo sciopero generale è infatti sentito come un'attività catastrofica, che porta alla paralisi, all'inceppamento e alla distruzione del vecchio regime capitalistico, creando le condizioni per la formazione di una nuova umanità. Per questo, dice Sorel, esso viene rifiutato dai socialisti riformisti, che sono piuttosto guidati da un'utopia da realizzare, intellettualisticamente, attraverso trasformazioni graduali. Al socialismo riformistico Sorel contrappone pertanto il suo sindacalismo rivoluzionario e anarchico . T7 Il pensiero di Sorel si prefigge dunque una giustificazione della violenza , intesa però non come forza impiegata con calcolo razionale per ottenere risultati specifici (quale è quella usata dal sistema capitalistico per imporre il suo dominio), ma piuttosto come un bergsoniano slancio vitale e creatore che sprigiona energie spirituali in attesa di manifestazione: la violenza è la condizione e il mezzo per l'istituzione di forme via via più alte di organizzazione. E tutta la storia dell'umanità è solcata, nel suo processo, da fratture violente: il Cristianesimo, la Riforma, la Rivoluzione francese, il Mazzinianesimo; e a far sì che avvengano queste fratture sono le rappresentazioni da parte degli uomini di mondi fantastici, cioè di miti. Di qui il carattere profondamente etico della violenza, che assolve una funzione di liberazione e di creazione. L'impianto concettuale del pensiero di Sorel è particolarmente debole, risolvendosi in una forma di volontarismo e di spontaneismo irrazionalistico che ben si inquadra nel clima di avversione per il razionalismo positivistico che aleggiava in quegli anni. L'impatto che le sue teorie ebbero soprattutto sul mondo politico dei primi decenni del Novecento fu tuttavia enorme, anche se (proprio per via del suo carattere sfuggente) esso si prestò ad essere utilizzato sia da parte comunista sia da parte fascista (Sorel era la lettura preferita di Mussolini). Del resto, le stesse posizioni personali di Sorel non furono esenti da ambiguità: dopo aver difeso l'anarco-sindacalismo, egli si accostò, verso il 1910, al movimento di destra dell' "Action française" e non mancò di manifestare le sue simpatie per il nascente fascismo italiano. Con il sindacalismo rivoluzionario di Sorel emerge in primo piano la rivoluzione in quanto tale, quasi come se si verificasse una sorta di mitizzazione del cambiamento della società, una volontà cieca di fare la rivoluzione a mano armata e in modo violento. L'obiettivo, però, viene perso di vista e questo è molto importante perché farà sì che si ispirino a Sorel sia esponenti dell'ala progressista sia esponenti dell'ala reazionaria e fascista.




GEORGES SOREL (http://www.filosofico.net/sorel.htm)