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carter
01-04-17, 18:29
I mezzi corazzati italiani della Seconda guerra mondiale (http://www.warfare.it/storie/carri_armati_ita_ww2.html)

L'Italia aveva aperto la strada all'impiego bellico dei mezzi a motore nella Guerra italo-turca del 1912: l'8 giugno di quell'anno, durante la battaglia di Zanzur, erano stati infatti utilizzati per la prima volta nella storia reparti trasportati da autocarri. Sempre per la Guerra libica, alcuni autocarri furono trasformati in autoblindo, anche se il primo vero mezzo italiano di questo tipo fu l'autoblindo Lancia IZ del 1915. Costruita in 120 esemplari furono inquadrati in specifici reparti, che vennero messi in campo anche nella guerra contro l'Austria-Ungheria,

Rispetto alle altre nazioni, invece, l'Italia arrivò in ritardo nello sviluppo e nell'impiego dei carri armati.

Nel 1917, quando gli eserciti alleati già ricorrevano ai primi "Tank" per sfondare le difese tedesche, in Italia si iniziavano solo ad effettuare test di studio sui mezzi campione che gli alleati avevano sottoposto al Regio Esercito per una valutazione, primo dei quali un carro Schneider CA1 francese, da 13,6 tonnellate.

Nel 1918 la Fiat produsse il primo carro armato italiano, il Fiat 2000 da 40 tonnellate, fornito di un cannone da 65mm in torretta e 7 mitragliatrici disposte attorno allo scafo, ma i vertici militari lo giudicarono troppo lento e ingombrante.

Migliore accoglienza ebbe il corazzato francese Renault FT 17: per l'epoca un ottimo carro leggero da 6,5 tonnellate, con caratteristiche che anticipavano i carri moderni, come l'armamento in torretta girevole e il motore posteriore.

L'Italia terminò la Grande Guerra con un carro Schneider e 7 carri FT 17 francesi, e due carri Fiat 2000: uno di questi ultimi, portato in Cirenaica nel 1919 nella guerra contro i ribelli libici, si immobilizzò quasi subito e, data la sua mole, fu smontato e spostato un pezzo alla volta.

Nel dopoguerra la Fiat abbandonò la produzione di carri pesanti e iniziò quella su licenza (con alcune migliorie) dell'FT 17, denominato Carro d'assalto Fiat 3000 modello 1921 (armato con 2 mitragliatrici da 6,5mm), modificato nel 1930 e rinominato modello 1930 (alcuni modelli armati di cannone da 37mm, altri ancora solo di mitragliatrici), che rimase il principale, se non l'unico, carro italiano fino al 1933-35: l'ultimo combattimento di questo carro concepito nel 1916 avverrà però addirittura in Sicilia nel luglio del 1943, impegnato nel vano tentativo di contrastare lo sbarco degli Alleati.

Una vera e propria produzione in serie di carri armati in Italia iniziò solo negli anni Trenta con il Carro Veloce CV33 seguito due anni dopo dalla versione CV35 – denominati in seguito L3 perché pesanti 3 tonnellate – frutto della collaborazione tra l'Ansaldo e la Fiat: la prima era responsabile del progetto e di ogni altro principale elemento costruttivo ad esclusione del motore, prodotto dall'azienda torinese. Tutti i carri armati italiani costruiti negli anni successivi nasceranno da questa collaborazione, che assunse le caratteristiche del vero e proprio duopolio.

La produzione dei carri leggeri era conseguenza della politica di difesa italiana e della dottrina del Regio Esercito praticamente fino alla vigilia del Secondo conflitto mondiale. L'unico scenario strategico considerato era un'invasione nemica dalle Alpi, e ovviamente il territorio montuoso era precluso a qualsiasi mezzo che non fosse di dimensioni ridotte, capace di percorrere strade strette e di attraversare piccoli ponti senza farli collassare sotto il suo peso. Fu anche presa in considerazione l'eventualità di difendere i domini coloniali italiani in Africa (che il paese nel 1935-36 avrebbe ampliato con la conquista dell'Etiopia), ma gli alti comandi italiani, sulla base delle precedenti esperienze nei deserti della Libia, giudicarono i carri armati inadatti a questo scopo, soprattutto a causa delle difficoltà di rifornirli e della loro inaffidabilità meccanica in territori e climi estremi. Un aspetto, però, venne sottovalutato: la possibilità di combattimenti tra carri armati, e questo nonostante la possibilità che il nemico riuscisse a superare l'ostacolo alpino spostando i combattimenti nella Pianura Padana, dove i carri sarebbero risultati decisivi.

Benito Mussolini, d'altro canto, preferì avere mani libere in politica estera fino all'ultimo, tanto più perché convinto che la guerra sarebbe stata breve, in questo modo privando le Forze Armate italiane e l'industria dello stimolo di un chiaro indirizzo strategico che potesse prevedere tanto i prossimi avversari, quanto i possibili teatri delle operazioni.

Lo sviluppo ancora limitato dell'industria meccanica e siderurgica italiana, influì in primo luogo sulla quantità dei mezzi che si potevano produrre, ma anche sulla loro qualità. In Italia, ad esempio, non solo si producevano pochi motori per carro armato, ma la loro potenza era notevolmente inferiore rispetto a quelli prodotti dalle principali nazioni in conflitto, e ciò comportava minori velocità e capacità di carico. Questo dato era aggravato, tra l'altro, dalle difficoltà di produrre acciaio ad alta resistenza e dalla scelta dell'Ansaldo di produrre i mezzi con corazze a piastre imbullonate o rivettate a un telaio, un tipo di corazzatura non solo meno efficiente ma anche più pesante di quelle saldate, secondo l'orientamento prevalente nelle altre nazioni. E se la protezione aumenta la capacità di sopravvivenza dell'equipaggio e del mezzo, anche la velocità concorre a questo obiettivo, perché permette di sfuggire ad un inseguimento nemico, di disorientarlo con rapidi spostamenti quando si viene presi di mira, oltre che di raggiungerlo se fugge.

A metà degli anni Trenta il Regio Esercito aveva ripreso a considerare nella propria dottrina l'impiego di carri armati di maggior peso e meglio armati, almeno per sostituire gli antiquati Fiat 3000.

Definiti nei documenti "carri di rottura", a loro sarebbe stato affidato il compito di scardinare le difese più ostiche, affiancandoli ai "carri d'assalto", che avrebbero dovuto sostenere con il loro fuoco ravvicinato l'azione delle fanterie, e ai "carri veloci" il cui compito rientrava nell'azione di sfruttamento del successo delle formazioni "celeri", al momento ancora composte prevalentemente dalla cavalleria. Anche riguardo i carri d'assalto si iniziò a valutare la possibilità di renderli più pesanti e protetti, e armati con un cannone. Tuttavia queste ipotesi di aggiornamento dei mezzi non vennero perseguite con particolare energia: Ansaldo e Fiat sottoposero al Regio Esercito prototipi insoddisfacenti ma indubbiamente anche quest'ultimo non manifestò particolare sollecitudine nell'esaminarli.

Le ristrettezze del bilancio militare non consentivano di affrontare spese aggiuntive, tanto più che si era convinti che il carro L3, nonostante fosse armato solo di una coppia di mitragliatrici leggere montate sullo scafo e poco corazzato, potesse essere impiegato efficacemente nel doppio ruolo di carro d'assalto e di carro veloce. Ovviamente inadatto alla funzione di carro di rottura, il Comando Supremo riteneva che la necessità di questo tipo di carro sarebbe stata l'eccezione e non la regola, e che in ogni caso l'azione di rottura avrebbe dovuto essere sostenuta in primo luogo dalle artiglierie e dalla fanteria.

In Italia si privilegiavano i numeri a discapito della qualità, mentre i futuri belligeranti in quegli anni si dotavano, fabbricandoli o comperandoli, di carri da 10 tonnellate con un cannone in torretta, di buon calibro, normalmente un 37mm, che costava come tre L3 ma dal punto di vista bellico valeva molto più.

La guerra per la conquista dell'Etiopia 1935-36, e soprattutto la successiva partecipazione italiana alla Guerra civile spagnola (1936-39) resero evidenti l'inadeguatezza di questa impostazione e si cercò di correre ai ripari accelerando la produzione di carri medi "di rottura" e "d'assalto". Dopo molte incertezze e ritardi, appesantiti dalla cronica scarsità italiana di materie prime – ulteriormente aggravata dalle sanzioni internazionali comminate all'Italia per la conquista dell'Etiopia – il primo carro medio fu prodotto solo nel luglio del 1939. L'M11/39 era dotato di un cannone in casamatta e di due mitragliatrici in torretta, una scelta che lo faceva nascere già vecchio, e nell'ottobre di quello stesso anno l'Ansaldo produsse il prototipo di un nuovo carro, il futuro M 13/40.

Di fatto l'Italia rispetto alle altre nazioni era rimasta indietro di una generazione di carri armati: un paio di anni soltanto, ma che in un combattimento tra carri fanno la differenza tra la vittoria e la sconfitta.

Nel giugno 1940 all'entrata in guerra, l'Italia disporrà di circa 1.400 carri leggeri (tra i quali un centinaio obsoleti) e di 96 carri M11. La Gran Bretagna, futuro principale avversario dell'Italia nel teatro dell'Africa Settentrionale, contava invece su una forza corazzata molto meglio strutturata e più potente: carri leggeri sulle 4-5 tonnellate, analoghi allo L3 ma meglio armati, carri "Cruiser" destinati ad azioni indipendenti, pesanti dalle 12 alle 15 tonnellate e forniti di cannoni da 40mm, e un "carro di rottura", il Matilda, di 26 tonnellate e dotato anch'esso di un cannone da 40mm, che per quanto lento e soggetto a cedimenti meccanici, aveva il non piccolo pregio di essere praticamente invulnerabile ai cannoni controcarro italiani.

Il programma complessivo di riarmo del Regio Esercito, partito solo nel 1939, prevedeva la sostituzione dello L3 con un nuovo carro leggero da 6 tonnellate, lo L6, più protetto e armato con una mitragliera da 20mm, l'ingresso in servizio del carro medio M 13/40 – cui seguirono l'M14/41, il più impegnato in battaglia, e l'M15/42 che però combatté solo per la difesa di Roma – e un carro pesante da 26 tonnellate, il P 26/40, sollecitato nell'agosto del 1940 dallo stesso Mussolini. Se questo programma fosse stato realizzato prima dell'inizio della guerra, al di là di una limitata arretratezza nelle dottrine tattiche italiane (enfatizzata da scarsa esperienza e addestramento), è facile supporre che l'invasione dell'Egitto avrebbe conosciuto un andamento diverso e forse i 275 carri armati della 7ª divisione corazzata britannica non sarebbero riusciti ad avere ragione di una forza più che doppia di carri armati italiani durante la controffensiva britannica dell'inverno 1940-41 – l'operazione "Compass" – che costò all'Italia la perdita della Cirenaica, 6.000 morti, 10.000 feriti e quasi 120.000 prigionieri.

Ci furono anche felici sorprese, come il successo dei cannoni semoventi da 75/18, ma in generale il programma non ottenne i risultati attesi: il carro L6 fu distribuito solo nel 1942, quando era ormai superato sotto ogni aspetto, i carri del tipo medio (M13 e M14) furono sempre in numero troppo scarso rispetto alle esigenze e fu solo grazie all'impegno, alla sagacia tattica e allo spirito di sacrificio degli equipaggi che riuscirono a tenere testa agli avversari, almeno fino all'arrivo del carro americano M3 Grant da 27 tonnellate con un cannone da 75mm, e soprattutto dello M4 Sherman da 30 tonnellate. Alla data dell'armistizio, inoltre, esisteva un unico carro P26/40 e come le altre poche decine che vennero prodotte in seguito fu utilizzato dai tedeschi.

Carro d'assalto Fiat 3000 modello 1930 (L5)
Dati tecnici
Anno di entrata in servizio: 1930
Equipaggio: 2 uomini
Peso: t 5,1
Dimensioni: lunghezza m 3,61; larghezza m 1,64; altezza m 2,19
Motore: a benzina, potenza 63 hp
Velocità 24 kmh
Autonomia: 95 km
Corazzatura: frontale 16 mm, laterale 16 mm
Armamento: cannone Vickers-Terni da 37/40
Produzione: circa 150

Storia
Nato come versione migliorata del precedente modello 1921 era fornito solo in alcuni mezzi di un cannone da 37mm. La sua concezione risaliva praticamente al 1916, anno in cui era stato realizzato il carro francese FT 17, di cui era la versione italiana. Nonostante fosse tanto antiquato trovò impiego in molte azioni belliche durante la Seconda guerra mondiale, compresa una delle ultime combattute prima dell'armistizio: la difesa dell'invasione della Sicilia del luglio 1943. Le ultime due compagnie di Fiat 3000, di 9 carri ciascuna, infatti, vennero schierate per contrastare lo sbarco degli Alleati a Gela, il 10 luglio: la prima fu interrata per agire come bunker improvvisati, ma la seconda fu addirittura mandata al contrattacco della testa di ponte nemica. Un inutile sacrifico, schiacciato dalla combinazione del fuoco anticarro da terra e del bombardamento navale dal mare.

L3/35
Dati tecnici
Anno di entrata in servizio: 1935
Equipaggio: 2 uomini
Peso: t 3,2
Dimensioni: lunghezza m 3,15; larghezza m 1,40; altezza m 1,28
Motore: a benzina, potenza 43 hp
Velocità 42 kmh
Autonomia: 120 km
Corazzatura: frontale 13,5 mm, laterale 8,5 mm
Armamento: 2 mitragliatrici Fiat 35 o Breda 38
Produzione: 1.320

Storia
Il carro leggero L3 venne schierato su tutti i fronti di guerra dell'Italia fascista, dall'Etiopia alla Russia, e impiegato in ogni tipo di missione: dall'appoggio della fanteria, in coppie o piccoli gruppi, all'avanzata in profondità sostenendo colonne motorizzate. In combattimento manifestò i suoi limiti di corazzatura e di potere di fuoco, quest'ultimo aggravato dal posizionamento dell'arma sullo scafo che riduceva l'arco di tiro, e le perdite di mezzi ed equipaggi furono sempre considerevoli. Tuttavia il suo basso profilo lo rendeva difficilmente avvistabile dal nemico e particolarmente versato per i compiti di esplorazione: purtroppo l'assenza di alternative non lo limitava solo a questi. In Africa Settentrionale gli uomini rimediarono al suo debole potere controcarro installando su alcuni mezzi un "fucilone" Solothurn da 20mm al posto delle mitragliatrici di ordinanza.

L6/40
Dati tecnici
Anno di entrata in servizio: 1942
Equipaggio: 2 uomini;
Peso: t 6,8 circa
Dimensioni: lunghezza m 3,78; larghezza m 1,92; altezza m 2,03
Motore: a benzina, potenza 70 hp
Velocità: 42 kmh
Autonomia: 200 km
Corazzatura: frontale 30 mm, laterale 14,5 mm
Armamento: 1 cannone automatico 20/65 cal. 20 mm, 1 mitragliatrice cal. 8 mm;
Produzione: 402

Storia
Il carro leggero L6/40, grazie al suo cannoncino in torretta, rappresentava un deciso passo avanti rispetto al precedente L3, ma fu consegnato ai reparti troppo in ritardo quando ormai era già obsoleto. Questi mezzi costituirono l'ossatura del Raggruppamento esplorante corazzato (RECo), un'unità il cui scopo tattico era quello di prendere il primo contatto con il nemico e di iniziare lo scontro, preparando il campo di battaglia all'arrivo di mezzi più pesanti. Gli L6 in avanguardia subivano così altissime perdite anche perché spesso erano costretti a condurre l'azione non come semplici carri da ricognizione, ma come veri e propri carri d'assalto, per la carenza di mezzi idonei a questa funzione. Con il suo telaio venne anche realizzato il semovente L40, dotato di un pezzo da 47/32: un mezzo di scarsissima utilità.

M 11/39
Dati tecnici
Anno di entrata in servizio: 1939
Equipaggio: 3 uomini
Peso 11 t circa
Dimensioni: lunghezza m 4,85; larghezza m 2,18; altezza 2,11
Motore: Diesel, potenza 105 hp
Velocità: 32 kmh
Autonomia: 210 km su strada, 12 ore fuori strada
Corazzatura: frontale 30 mm, laterale 14,5 mm
Armamento: 1 cannone da 37 mm, 2 mitragliatrici cal. 8 Breda 38; apparati radio: interfono per comunicazioni interne, 1 complesso radio Marelli RF 1 CA
Produzione: 100

Storia
Alle ore 7:45 del 9 dicembre 1940, i 47 carri Mk II Matilda del 7° Royal Tank Regiment e una brigata indiana attaccarono alle spalle il campo fortificato italiano di Nibeiwa, dove stazionava la principale forza corazzata del Regio Esercito in quel settore del fronte: il "Raggruppamento Maletti", costituito da due battaglioni, con 35 carri medi M11/39 e 35 carri leggeri L3/35. Gli italiani furono presi completamente di sorpresa e lo stesso generale Maletti ucciso prima ancora di essere riuscito a entrare nel suo carro. Il cannoni dei Matilda distrussero 23 M11 e catturarono gli altri. La corazza da 70mm dei Matilda si rivelò impenetrabile sia per i cannoni da 37 mm degli M11 e sia per i cannoni da fanteria degli artiglieri del campo. La battaglia si svolse in condizioni di particolare svantaggio per l'M11, ma la sua inferiorità rispetto ai mezzi britannici era comunque troppo netta.

M 13/40
Dati tecnici
Anno di entrata in servizio: 1940
Equipaggio: 4 uomini
Peso 14 t circa
Dimensioni: lunghezza m 4,91; larghezza m 2,28; altezza 2,37
Motore: Diesel, potenza 125 hp
Velocità: 32 kmh, fuori strada 15 kmh
Autonomia: 200 km su strada, 12 ore fuori strada
Corazzatura: frontale 30 mm, laterale 25 mm
Armamento: 1 cannone semiautomatico da 47/32, 3 mitragliatrici cal. 8 Breda 38
Produzione: 710

Storia
Il carro M13 aveva indubbiamente dei difetti, ma sulle sue prestazioni in battaglia durante il contrattacco britannico dell'inverno 1940-41 pesò negativamente anche l'impreparazione del Regio Esercito. Il 5 febbraio 1941 i britannici avevano bloccato a Beda Fomm i 20.000 superstiti della 10ª armata italiana in fuga verso la Tripolitania. La mattina del giorno successivo i 60 carri M13 della brigata Babini vennero impiegati nel tentativo di superare lo sbarramento. Un primo attacco fu portato con determinazione, ma senza l'appoggio di fanteria e artiglieria, venendo inevitabilmente respinto con gravi perdite. Nel pomeriggio l'attacco fu ripetuto, questa volta con l'adeguato supporto di fanteria e artiglieria: gli M13, nonostante altre pesanti perdite, sfondarono il dispositivo nemico, ma la fanteria di appoggio fu fermata e l'attacco fallì. Nove mesi dopo a Bir el Gubi con un migliore addestramento e maggiore esperienza, l'M13 conquistò invece una brillante vittoria.

M 14/41
Dati tecnici
Anno di entrata in servizio: 1941
Equipaggio: 4 uomini
Peso 14,5 t
Dimensioni: lunghezza m 4,91; larghezza m 2,28; altezza 2,37
Motore: Diesel, potenza 145 hp
Velocità: 35 kmh su strada, 15,6 kmh fuori strada
Autonomia: 200 km su strada, 12 ore fuori strada
Corazzatura: frontale 30 mm, laterale 25 mm
Armamento: 1 cannone semiautomatico da 47/32, 3 mitragliatrici cal. 8 Breda 38
Produzione: 695

Storia
L'M14 era una versione leggermente migliorata dell'M13: sostanzialmente era un M13 con un motore un po' più potente. Si trovò subito impegnato in una delle battaglie più difficili e cruente della guerra, dando un sostanziale contributo alla vittoria: la Battaglia di Gazala (26 maggio – 21 giugno 1942). La divisione Ariete disponeva di 138 M14, e altri 90 erano nella Littorio. L'Ariete ne perse 55 il primo giorno della battaglia: dopo aver sopraffatto la 3ª brigata motorizzata indiana si trovò ad affrontare, senza successo, le difese di Bir Hacheim, saldamente tenute dalla Legione Straniera francese e protette da campi minati. Nonostante le perdite, l'Ariete riuscì a contrastare il successivo tentativo britannico di isolare l'Afrika Korps di Rommel. L'M14 combatterà poi con minore fortuna ad el Alamein, ormai superato in modo troppo deciso dalla qualità e dai numeri dei mezzi nemici.

Semovente da 75/18 M40 e M41
Dati tecnici:
Anno di entrata in servizio: 1941
Equipaggio: 3 uomini;
Peso: t 13 circa
Dimensioni: lunghezza m 4,915
Motore: M40 Diesel, potenza 125 hp, M41 Diesel potenza 145 hp
Velocità: su strada 25 kmh, fuori strada 12 kmh
Autonomia: 10 ore in terreno vario, 200 km su strada
Corazzatura: massima 25+25 mm, minima 15 mm
Armamento: 1 cannone da 75/18 in casamatta, 1 mitragliatrice Breda 38 cal. 8
Produzione: 60 M40 e 162 M41

Storia
I semoventi furono senza dubbio i migliori mezzi corazzati del Regio Esercito. Realizzati sullo scafo dei carri M13 e M14 e denominati rispettivamente M40 e M41, erano molto simili, e dotati in casamatta di un cannone da 75/18. Questo pezzo era di calibro sufficiente a perforare le corazze della maggior parte dei carri nemici: quando vennero introdotti i proiettili anticarro "Effetto Pronto" ed "Effetto Pronto Speciale" l'efficacia raggiunse addirittura i 120mm di spessore. Il successo di questi mezzi non era stato previsto e ne vennero prodotti troppo pochi per avere un impatto sul corso del conflitto. Inizialmente sorse anche il problema di come utilizzarlo, vista l'inesperienza da parte delle unità carriste con questo tipo di artiglierie semoventi. Quando si compresero le loro capacità anticarro, gli M40/41 vennero schierati in seconda linea dietro i carri armati, agendo come loro determinante supporto.

Furono anche realizzati due altri carri armati, ma vennero impiegati praticamente solo dopo l'armistizio dell'8 settembre:

M 15/42
Dati tecnici
Anno di entrata in servizio: 1942
Equipaggio: 4 uomini
Peso: 15,5 t
Dimensioni: lunghezza m 5,09; larghezza m 2,28; altezza m 2,37
Motore: a benzina, potenza 190 hp
Velocità: 38 kmh su strada, fuori strada 20 kmh
Autonomia: 220 km su strada, 130 km fuori strada
Corazzatura: frontale 50 mm, laterale 42 mm
Armamento: 1 cannone da 47/40, 3 mitragliatrici cal. 8 Breda 38
Produzione: 220

P 26/40
Dati tecnici
Anno di entrata in servizio: 1943
Equipaggio: 4 uomini
Peso: 26 t
Dimensioni: lunghezza m 5,8; larghezza m 2,8; altezza m 2,5
Motore: diesel, potenza 420 hp
Velocità: 42 kmh su strada, fuori strada 15 kmh
Autonomia: 275 km
Corazzatura: frontale 50 mm, laterale 42 mm
Armamento: 1 cannone da 75/34, 2 mitragliatrici cal. 8 Breda 38
Produzione: 1

Saturno
02-04-17, 10:23
A parte il semovente 75/18 gli altri mezzi erano totalemnte inadeguati per una guerra moderna

massena
03-04-17, 17:02
A parte il semovente 75/18 gli altri mezzi erano totalemnte inadeguati per una guerra moderna

ma anche il semovente non era un gran che.
viene enfatizzato perché meno scandalosamente inadeguato rispetto ai carri, ma era utilizzato come un carro da combattimento invece che come pezzo d'artiglieria semovente ed era scarsamente corazzato.
e poi erano pochissimi. ad el Alamein erano meno di 30 (se non sbaglio), contro centinaia di mezzi armati con cannoni da 75 lungo.
senza contare che un cannone anticarro da 57 lo distruggeva senza problemi e anche il cannone da 40 millimetri ne aveva ragione a breve distanza.

nei rapporti dei carristi (carri medi) si leggevano lamentele del tipo "come è possibile che un'industria in grado di costruire le migliori automobili del mondo non sia in grado di fare un carro armato almeno paragonabile a quelli dell'avversario?"

Saturno
03-04-17, 18:00
Diciamo che era decente ed il cannone da 75 faceva male a tutti carri angloamericani in circolazione. L'unico carro armato appena decente fu il p26, che però arrivò nel 43 ed in troppo pochi esemplari., oltre al fatto che nel 43 era già superato.

massena
04-04-17, 14:12
Diciamo che era decente ed il cannone da 75 faceva male a tutti carri angloamericani in circolazione. L'unico carro armato appena decente fu il p26, che però arrivò nel 43 ed in troppo pochi esemplari., oltre al fatto che nel 43 era già superato.

il pezzo da 75 era lungo 18 calibri, praticamente un obice da montagna (da cui derivava). i carri nemici avevano cannoni anticarro ad alta velocità iniziale, in grado di perforare corazze maggiori a maggiore distanza. è una questione di fisica.
vorrei aggiungere una cosa: il cannone dei carri (come tutti gli armamenti) va considerato in funzione di quello che ci devi fare e non in valore assoluto. esempio tipico è il paragone che si fa tra il nostro pezzo da 47/32 dei carri e della fanteria e il pezzo da 40mm (lungo 50 calibri, se non ricordo male) che usavano gli inglesi. ecco, indipendentemente dalle caratteristiche dei cannoni, resta il fatto che il pezzo nostro distruggeva a fatica i carri nemici, mentre quello inglese da 40mm non aveva problemi con i nostri carri e se la cavava bene anche con quelli tedeschi.
allo stesso modo il cannone da 57 mm degli inglesi era probabilmente meglio del nostro da 75 in funzione anticarro. era nato per quel motivo e svolgeva bene il suo compito.


tornando al P26, credo che nessun carro "pesante" (in realtà erano medi) italiano abbia mai combattuto nelle mani di carristi italiani. pare che una cinquantina di carri siano stati completati e usati dai tedeschi, ma non ho mai letto niente sulle loro azioni belliche, se mai ce ne sono state.
quindi il carro P26 è come se non fosse mai esistito, perché il suo peso sugli eventi bellici è nullo.