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Visualizza Versione Completa : Carmelo Bene - "Sono apparso alla Madonna" - Pensieri poco per bene



Avamposto
04-08-10, 12:41
http://www.aforismario.it/immagini/bene-carmelo.jpg


Carmelo Bene -

(Campi Salentina 1937 – Roma 2002)

Attore, drammaturgo e regista italiano






Pensieri poco per bene


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("Sono apparso alla Madonna")



Se si vuole davvero cambiare qualcosa, bisogna cominciare a cambiare sé stessi, andare contro sé stessi fino in fondo. Il massimo impegno civile è l'auto-contestazione.

L'Europeo, 1968



Per uno che voglia fare l'attore, vale di più un anno di prigione che un anno di scuola: in prigione s'impara di più e ci si annoia molto meno.

Travail Théâtral, 1976



Il cosiddetto critico teatrale, questo signor malinteso o vice-equivoco può impunemente perseverare nella sua ostinata e inconcepibile sopravvivenza solo a condizione che un'altra analoga, squallida figura non scompaia: il regista.

Paese sera, 1978



Un teatro che si capisce è la prima garanzia non essere teatro.

Cos'è il teatr0, 1990



L'arte è sempre stata borghese, idiota, mentecatta, soprattutto cialtrona e puttanesca e ruffiana. L'arte deve essere incomunicabile, deve solamente superare se stessa.

Maurizio Costanzo Show, 1994



Non bisogna produrre capolavori, bisogna essere capolavori.

Maurizio Costanzo Show, 1994



Quando parlo di Dio lo intendo nel senso che Nietzsche invidiava a Stendhal: Dio ha una sola scusa, non esiste.

Maurizio Costanzo Show, 1994



Su questa terra ognuno di noi è un deserto senza limiti e perciò non cerchi fratellanze.

Maurizio Costanzo Show, 1994



Il talento fa quello che vuole, il genio fa quello che può. Del genio ho sempre avuto la mancanza di talento.

Autografia di un ritratto, 1995



Il culto della donna gravida, della puerpera e della mamma, è la più manicomiale abiezione della razza umanoide. Questa efferata "matrice" preferirei ammetterla come madre di Dio, purché fosse disposta a dimettersi come matrice dell'uomo.

Vita di Carmelo Bene, 1998



I nostri politici e il Vaticano fingono che Dio esista, ma non c'è Dio che ci ha creato. È l'uomo che ha creato Dio e può distruggerlo quando gli pare.

La Stampa, 1998



L'arte è quasi sempre consolatoria, decorativa. Di quest'arte non so che farmene.

Avvenimenti, 1999



La coscienza è la scoperta che noi non siamo, siamo un divenire ma non siamo un essere.

Avvenimenti, 1999



Nelle aristocrazie il principe non si fa eleggere, è lui che elegge il suo popolo. In democrazia il popolo è bastonato su mandato del popolo.

L'Espresso, 2000



Ci sono cose che devono restare inedite per le masse anche se editate.

L'Espresso, 2000



Da quando è per le plebi, l'arte è diventata decorativa, consolatoria. L'abuso d'informazione dilata l'ignoranza con l'illusione di azzerarla. Del resto anche il facile accesso alla carne ha degradato il sesso.

L'Espresso, 2000



Il corpo implora il ritorno all'inorganico. Nel frattempo non si nega nulla.

L'Espresso, 2000



Ormai il pubblico a teatro applaude soltanto per pietà, nella giusta convinzione che, con un po' di prove, quelli in platea farebbero meglio di quelli in scena.

la Repubblica, 2000



Dio è nelle nostre mani, in poche parole. Ancora non si riesce a rovesciare questo fatto. Non è Dio che crea noi, ma è sempre l'uomo che ha creato Dio.

Lo Straniero, 2002



Il novantanove per cento di me è contento di morire, ma c'è un uno per cento a cui invece rode. E io, quell'uno, proprio non lo capisco.

Io Donna, 2002




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Majorana
04-08-10, 22:10
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Majorana
04-08-10, 22:12
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Majorana
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Majorana
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Majorana
04-08-10, 22:20
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Majorana
04-08-10, 22:24
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Avamposto
04-08-10, 23:00
"Ci sono cretini che hanno visto la Madonna e ci sono cretini che non hanno visto la Madonna…
Io sono un cretino che la Madonna non l’ha vista mai.
Tutto consiste in questo, vedere la Madonna o non vederla."


CARMELO BENE - Nostra Signora dei Turchi

Avamposto
04-08-10, 23:02
VITA, MORTE E MIRACOLI DI CARMELO BENE



Vita -


Carmelo Bene nasce “nel sud del sud dei santi”, a Campi Salentina in provincia Lecce, il primo settembre 1937.

A vent’anni, dopo gli studi classici in un collegio di gesuiti, approda all’Accademia d’Arte Drammatica Silvio D’Amico. Colui che verrà considerato il più grande attore del novecento lascerà l’accademia dopo un anno, convinto della sua “inutilità”.

Nel 1959 debutta come protagonista del Caligola di Albert Camus per la regia di Alberto Ruggero.

Dopo questa esperienza, Carmelo Bene diventa regista di sé: reinventando il linguaggio teatrale, con uno stile ricercato e barocco, C.B. manifesta il suo genio di attore. Non si limita a recitare (citare una cosa) e comincia così il suo “massacro dei classici”. Di questi anni sono: Pinocchio (1961), Salomè (1964), Amleto (1961), Il rosa e il nero (1966).

Scoppia il caso Carmelo Bene: è considerato un affabulatore, un presuntuoso “massacratore” dalla critica, mentre l’intellighenzia dell’epoca (Alberto Moravia, Angelo Maria Ripellino, Ennio Flaiano e Pier Paolo Pasolini, per portare alcuni esempi) lo ritiene un genio. Un genio che si scaglia contro il teatro di testo, per un teatro da lui definito “scrittura di scena”; un teatro del dire e non del detto, perché per Bene il teatro del già detto non dice, appunto, niente di nuovo, è solo un citare a memoria parole scritte altrove, quello che Artaud, a cui Bene si ispirò, definì un “teatro di invertiti”.

Ai suoi critici Bene rispose mettendo in atto una serie di critiche alla critica, articoli, interviste televisive (in una di esse dichiarò: “Come può criticarmi chi vive il teatro due ore al giorno, io lo vivo sempre”); comprò addirittura pagine di giornale e pubblicò un libro con Feltrinelli nel 1972, L’Occhio mancante.

Anni prima, nel 1965 la casa editrice Sugar aveva pubblicato il suo romanzo paradossale Nostra signora dei Turchi, che l'anno dopo Bene metterà in scena al teatro Beat '62. Nel 1968 Nostra signora dei Turchi diventerà anche un film, che, mentre vince il premio speciale della giuria a Venezia, genererà tumulti durante la visione in alcune sale, forse per via della sua geniale "inguardabilità". Nostra signora dei Turchi, citando Carmelo Bene, “è dichiaratamente anti ’68, in dispregio non solo a quel maggio italo-gallico, ma a tutti i maggi socialmondani della Storia, in saecula saeculorum”.

Si apre la parentesi del cinema di Carmelo Bene: Capricci (1969) e Don Giovanni (1970), Salomé (1972) e Un Amleto in meno (1973). Sempre citando Bene: “Il cinema è sempre servito a spacciare storielle, ma nessuno ha mai spacciato la pellicola”.



Dopo la meteora cinematografica (che verrà ripresa, per così dire, in alcuni lavori televisivi), Bene ritorna al teatro: negli anni ‘70, egli ottiene un tangibile successo anche di pubblico mettendo in scena La cena delle beffe da Sem Benelli (1974), Amleto (1975), Romeo e Giulietta da Shakespeare (1976), S.A.D.E. (1977), Manfred da Byron (1979).

Mai si era visto interpretare Shakespeare in quel modo. Amleto/Bene ad esempio recitava le parti più importanti della pièce “buttandole via”. Carmelo Bene distruggeva l'Io sulla scena, immedesimandosi nel ruolo che voleva demolire. “Attore Artifex”, cioè attore artefice di tutto, Bene si autodefinì con un neologismo significativo: MACCHINA ATTORIALE…







Morte -


Dal 1990 al 1994 Carmelo Bene è assente dalle scene: in questo periodo, come egli stesso affermerà (ritornando in pubblico nella prima delle due scandalose trasmissioni a lui dedicate dal Maurizio Costanzo Show) si è disoccupato di sé.

Per le cronache (sconfessate da Bene) dopo un lungo legame con Lydia Mancinelli, attrice dei suoi film e sua impresaria, nel 1992 Bene sposa Raffaella Baracchi, incinta di sei mesi, ex miss Italia. Raffaella Baracchi, già protagonista del film di Tinto Brass Snack Bar Budapest, fu voluta da Bene come attrice in Cena delle beffe (1989).

Dopo due mesi la Baracchi lo denuncia per botte a mezzo di sedia. La bambina che porta in grembo, fortunatamente, non patisce conseguenze. In caserma, Bene insulta i carabinieri (che lo denunciano), controquerela la moglie per “truffa, estorsione, tentato omicidio e omissione di soccorso”; infine controquerela anche l’Arma dei Carabinieri.

Nel 1995 torna sotto i riflettori e in particolare nelle librerie con la sua opera omnia, pubblicata da Bompiani nella collana I Classici (collocazione che lo confermava nella sua orgogliosa autodefinizione di essere “un classico in vita”), cui farà seguito nel 2000 il poemetto l mal de' fiori.

Muore dando “vita” ad un’incredibile ennesima rappresentazione il 16 marzo del 2002: con la bara ancora aperta, tra il dolore di pochi amici intimi e di Luisa Viglietti (donna che lo ha accompagnato, curato e accudito negli ultimi anni della sua vita) entrano in casa Raffaella Baracchi e la figlia Salomè, con tanto di avvocato.

Roberto D’Agostino, che con Bene da Costanzo ebbe due noti e simpatici e affettuosi scambi, descrive così l’ultima performance che si costruì intorno la “macchina attoriale”:

“Il dolore per la scomparsa di Bene si trasforma in rissa di nervi. Volano insulti tra Luisa Viglietti e Raffaella Baracchi, che pretende di sbatterla fuori di casa. Devono intervenire i presenti per separarle, prima che dalle parolacce si passi agli schiaffoni. I sodali di Bene quindi invitano (con determinazione) Raffaella Baracchi ad uscire di scena con la figlia e il legale.”

A quel che mi risulta, per via di alcune incomprensioni tra parenti, Carmelo Bene ha due tombe: una ad Otranto ed una nel vicino paese di Santa Cesarea.

Comunque, come disse Enrico Ghezzi, che con C.B. aveva scritto il libro calciofilo Discorso su due piedi (il calcio):





Miracoli -


Disponibili a questo link:

Miracoli di Carmelo Bene (http://www.carmelobene.it/MIRACOLICarmeloBene.htm)

Avamposto
04-08-10, 23:03
Altre citazioni -


"Detesto la nazionale azzurra, pero' lo dico. Non me ne fotte nulla del Ruanda, pero' lo dico. Voi no, non ve ne fotte, ma non lo dite. Non sono eroico, me ne infischio di me stesso, del governo, della politica, del teatro."


"In quanto al mio amico Vittorio Gassman gli dissi una volta scherzando: Non puoi accontentarti di essere il meglio del peggio cioe' il pessimo"



"Non voglio essere interrotto da chi mi rompe i coglioni con l'essere e con l'esserci, non voglio parlare con l'ontologia; abbasso l'ontologia, me ne strafotto"



"La letteratura maggiore o minore e' comunque, non soltanto menzogna, e' chirurgia scongiurata, devitalizzata, guazzabuglio di vita simulata"



"Noi siamo nel linguaggio e il linguaggio crea dei guasti; anzi e' fatto solo di buchi neri, di guasti"

Avamposto
04-08-10, 23:06
Il sito ufficiale:


immemorialecarmelobene (http://www.immemorialecarmelobene.it/images/intro.html)

Avamposto
04-08-10, 23:07
Il sito della fondazione Carmelo Bene:


www.fondazionecarmelobene.it (http://www.fondazionecarmelobene.it/)

Avamposto
04-08-10, 23:13
Altre citazioni:


"La libertà di stampa mi sta bene se è libertà dalla stampa."


"Ci sono cose che devono restare inedite per le masse anche se editate. Pound o Kafka diffusi su Internet non diventano più accessibili, al contrario. Quando l'arte era ancora un fenomeno estetico, la sua destinazione era per i privati. Un Velazquez, solo un principe poteva ammirarlo. Da quando è per le plebi, l'arte è diventata decorativa, consolatoria. L'abuso d'informazione dilata l'ignoranza con l'illusione di azzerarla. Del resto anche il facile accesso alla carne ha degradato il sesso."


"Il pensiero è un risultato del linguaggio."

"Il talento fa quello che vuole, il genio fa quello che puo'. Del genio ho sempre avuto la mancanza di talento "

"I giornalisti sono impermeabili a tutto. Arrivano sul cadavere caldo, sulla partita, a teatro, sul villaggio terremotato, e hanno già il pezzo incorporato. Il mondo frana sotto i loro piedi, s'inabissa davanti ai loro taccuini, e tutto quanto per loro è intercambiale letame da tradurre in un preconfezionato compulsare di cazzate sulla tastiera. Cinici? No frigidi."

"Tieniti la tua coerenza, vecchio! Sono incoerente, come l'aere, più dell'aere!"

"Il mio epitaffio potrebbe essere quel passaggio di Sade: mi ostino a vivere perché "Anche da morto io continui a essere la causa di un disordine qualsiasi"."

"Per capire un poeta, un artista, a meno che questo non sia soltanto un attore, ci vuole un altro poeta e ci vuole un altro artista."

"È decorazione l'arte, è volontà di esprimersi."


"Sono apparso alla Madonna."

Avamposto
04-08-10, 23:14
E dulcis in fondo..............


"Se Carmelo Bene e' apparso alla madonna allora Maurizio Lattanzio e' apparso a tutta la corte celeste!"

Avamposto
04-08-10, 23:25
http://www.aforismario.it/immagini/bene-bene-crudele.jpg



http://www.aforismario.it/immagini/bene-carmelo.jpg

Avamposto
05-08-10, 02:00
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Avamposto
05-08-10, 03:12
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Avamposto
05-08-10, 03:13
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Avamposto
05-08-10, 03:14
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Avamposto
05-08-10, 03:19
Bibliografia di Carmelo Bene


1) "Un dio assente. Monologo a due voci sul teatro"

Artioli Umberto; Bene Carmelo

Medusa Edizioni, 2006



2) "Nostra signora dei Turchi"

Bene Carmelo

Bompiani, 2005



3) "Sono apparso alla Madonna"

Bene Carmelo

Bompiani, 2005




4) "Opere. Con l'Autografia d'un ritratto"

Bene Carmelo

Bompiani, 2002




5) "Sovrapposizioni - «Riccardo III» di Carmelo Bene. «Un manifesto di meno» di Gilles"

Bene Carmelo; Deleuze Gilles

Quodlibet, 2002




6) "I mal de' fiori"

Bene Carmelo

Bompiani, 2000




7) "Discorso su due piedi (il calcio)"

Bene Carmelo; Ghezzi Enrico

Bompiani, 1998





8) "Vita di Carmelo Bene"

Bene Carmelo; Dotto Giancarlo

Bompiani, 2005

Majorana
20-08-10, 02:57
http://giotto.ibs.it/cop/copj13.asp?f=9788845251665

Opere. Con l'Autografia d'un ritratto

Indefinibile per principio, la vita e l'opera di Carmelo Bene trova in questa raccolta, secondo le stesse parole dell'attore-autore, la sua espressione compiuta. Dall'autobiografismo di "Sono apparso alla Madonna" ai testi polisenso di "Lorenzaccio", "Nostra Signora dei Turchi", "Otello", "Pentesilea", "Hamlet Suite", si compone qui il monumento dell'anti-teatro italiano.

Comprende:

* Autografia di un ritratto
* Lorenzaccio
* Nostra Signora dei Turchi
* Credito italiano V.E.R.D.I.
* L'orecchio mancante
* S.A.D.E.
* Ritratto di Signora del cavaliere Masoch per intercessione della beata Maria Goretti
* Giuseppe Desa da Copertino (A boccaperta)
* Pinocchio e proposte per il Teatro
* Arden of Feversham
* Il Rosa e il Nero
* Riccardo III
* Otello
* Manfred
* Egmont
* La voce di Narciso
* Sono apparso alla Madonna
* Macbeth
* Adelchi
* Lorenzaccio da Alfred de Musset
* La ricerca teatrale nella rappresentazione di Stato
* Pentesilea
* Hamlet Suite

* Fortuna critica (articoli ed estratti di saggi di Goffredo Fofi, Ennio Flaiano, Alberto Arbasino, Giuseppe Bartolucci, Gilles Deleuze, Oreste Del Buono, Franco Quadri, Pierre Klossowski, Jean-Paul Manganaro, Umberto Artioli, André Scala, Camille Dumoulié, Piergiorgio Giacché, Edoardo Fadini, Enrico Ghezzi)
* Riferimenti biliografici (cinema, discografia, televisione, bibliografia, radiofonia, spettacoli teatrali)

Avamposto
27-08-10, 16:50
http://www.taxidrivers.it/wp-content/uploads/2009/11/Carmelo-Bene1.jpg




CARMELO BENE



A cura di Andrea Pesce



"Non appena, volendo tentare, scendiamo in noi stessi e, drizzando la conoscenza verso il nostro interno, vogliamo renderci di noi consci appieno, ci perdiamo in un vuoto senza fondo, simili a cava sfera di vetro dal cui vuoto parli una voce, della quale non è possibile trovar nella sfera una causa: e mentre facciamo per ghermire noi stessi, rabbrividendo non afferriamo altro che un vano fantasma" (A. Schopenhauer, Il Mondo come volontà e rappresentazione, IV).






“È con infinita agape, molto più che schopenhaueriana, che ho compreso, senza per questo immedesimarmi, di essere di fronte a una platea di morti”. Questa è la frase d’esordio alla puntata del Maurizio Costanzo show del 27 giugno 1994, in cui Carmelo Bene (1937 - 2002) fu, come egli stesso affermava, “presente-assente” per la seconda e ultima volta. Due apparizioni memorabili, due serate probabilmente irripetibili in cui l’attore-filosofo pugliese, conscio del fatto di essere in un contesto assolutamente non pre-disposto per l’ascolto e la comprensione di tematiche filosofiche di alto spessore teoretico, per di più applicate al teatro, al cinema, all’arte e all’esistenza in genere, incantò, per oltre due ore il distratto pubblico televisivo. Chi mai si era spinto prima di allora, durante una trasmissione televisiva, in un discorso tanto complesso e articolato sull’estetica, la morale, il gusto, denso dei più alti riferimenti culturali contemporanei? Chi mai, in televisione, citerà ancora brani tratti dalle opere di Aristotele, Nietzsche, Deleuze, Derrida, Lacan, Foucault dichiarando apertamente, e con coraggio anticonformistico, il proprio insanabile distacco culturale dalla massa stipata all’interno dei “loculi domestici”? Il centro della riflessione beniana è una drastica riconsiderazione del linguaggio e della comunicazione in genere. Egli applica ai suoi spettacoli teatrali la stessa erudizione, lo stesso impegno teoretico, la stessa energia mentale che il filosofo dimostra nei suoi trattati. Con l’ausilio di una sofisticatissima apparecchiatura elettronica costituita da amplificatori, microfoni ipersensibili, monitor-spie da diecimila watt, egli tenta il superamento della dimensione linguistico-comunicativa attraverso la manipolazione tecnica del significante. Spesso l’attore fa riferimento all’opera del pittore inglese Francis Bacon, per illustrare visivamente il suo intento: così come Bacon modifica la dimensione corporea portandola ai confini della carne, in un tentativo estremo di fuga dei corpi da se stessi (si pensi al famoso ciclo dei “Papi urlanti” ripresi dal dipinto di Innocenzo X di Velazquez del 1650) , allo stesso modo Bene dà vita ad una deformazione della phonè, una disarticolazione dell’atto linguistico che dovrebbe alterare a tal punto la comunicazione e consentire di interloquire direttamente da un interno (quello dell’attore in scena) a un altro interno (quello dello spettatore in sala). I continui riferimenti di Carmelo Bene all’estasi mistica, e il ricorrente rimando nel suo teatro alle opere scultoree di Gianlorenzo Bernini come la Beata Ludovica Albertoni ammirabile nella chiesa di S. Francesco a Ripa in Roma o la Transverberazione di S. Teresa in Santa Maria della Vittoria, consentono a Bene di raggiungere una dimensione di abbandono della parola in favore di uno scorporamento della medesima, che non ha più funzione comunicativa nel senso comune, ma diviene alone del suono di una lettura-oblio. Eppure, paradossalmente, il massimo di amplificazione sonora, che sembra spacciare ogni comprensione, coincide col massimo di penetrazione acustica… Un esempio di Carmelo Bene forse ci aiuterà a capire:


“Ho tra le mani un foglio, scritto o disegnato. A distanza, ne decifro perfettamente i margini e il significato totale. Lo accosto a venti centimetri dagli occhi e ne decifro il senso dei dettagli. Avvicino questo foglio al mio naso e qualunque leggibilità è sbiancata. Il massimo del blow-up ottico-acustico coincide con il minimo dell’ingrandimento (visibilità-udibilità zero). Ecco l’amplificazione come risonanza. La fenomenologia del soggetto è finalmente solarizzata. È accecato l’ascolto” .

Il “misticismo irreligioso” di Bene permette all’attore di proiettarsi in una finzione scenica che non coincide più con il tempo storico, il kronos dei greci, ma entra in contatto con il tempo aiòn (concetto di cui Bene si dichiara debitore nei confronti del Deleuze di Logica del senso del 1969), l’immediato, l’attimo degli stoici. In tutto ciò l’irrappresentabile coincide con l’impossibile, l’atto diventa primario e l’azione si sconcretizza nel baratro del nulla scenico. L’immediato, secondo Bene, è quel momento sublime avvertibile dallo spettatore (disposto anche a pagare milioni di lire a serata per questo istante) non solo a teatro ma anche durante un evento sportivo come una partita di calcio: gli assist di un Van Basten o le invenzioni geniali di Maradona avvengono proprio nell’aion, e sono momenti di non consapevolezza degli attori-calciatori medesimi, estraniati da se stessi come nell’estasi mistica. Per questo motivo, per questa epochè dell’azione, sublimata dall’atto inconsapevole, egli sostiene che della parola “attore” si sia confuso l’etimo. Bene afferma infatti che “attore” deriva dal verbo agere, perorare e non da “agire”, immensamente distante dallo sfaccendare dei protagonisti di molte pellicole d’azione; os oris, atto-retorico in quanto, come voleva Lacan, “il discorso non è l’essere parlante”. L’attore diventa discorso avulso dall’essere che lo pronuncia, pura macchina estatica, senza più testi di riferimento e, seguendo l’insegnamento di Nietzsche:

“Ciò che nel linguaggio meglio si comprende non è la parola, bensì il tono, l’intensità, la modulazione, il ritmo con cui una serie di parole vengono pronunciate. Insomma la musica che sta dietro le parole, la passione dietro questa musica, la personalità dietro questa passione: quindi tutto quanto non può essere scritto. Per questo lo scrivere ha così poca importanza”.

Carmelo Bene sembra aver preso alla lettera queste frasi di Nietzsche anche attraverso la lettura che ne diede l’amico Gilles Deleuze nel suo Nietzsche e la filosofia del 1962, ad esempio per quanto concerne l’interpretazione della “volontà di potenza” intesa come disfacimento del concetto di soggetto, o sul “cogito” cartesiano, estromesso da ogni privilegio gnoseologico o assiologico. C. B., come lo sintetizzava l’amico Deleuze nei suoi saggi, per rimarcare il proposito dell’attore di essere presente-assente in scena, considerava la megalomania un dovere dell’uomo e, inevitabilmente, molti dei suoi interventi pubblici possono apparire iperbolici e paradossali. Non così per le sue opere artistiche che familiarizzano a tal punto con la filosofia da divenire esse stesse testi su cui riflettere. Riportiamo un brano dal film “Nostra Signora dei Turchi” del 1968, pellicola parodica sulla distruzione dell’io, della vita interiore, temi sviluppati come se ci si trovasse al cospetto di specchi deformanti del concetto stesso di Santità:

“Ci sono cretini che hanno visto la Madonna e ci sono cretini che non hanno visto la Madonna. Io sono un cretino che la Madonna non l’ha vista mai. Tutto consiste in questo, vedere la Madonna o non vederla. […] I cretini che vedono la Madonna hanno ali improvvise, sanno anche volare e riposare a terra come una piuma. I cretini che la Madonna non la vedono, non hanno le ali, negati al volo eppure volano lo stesso, e invece di posare ricadono. […] Ma quelli che vedono non vedono quello che vedono, quelli che volano sono essi stessi il volo. Chi vola non si sa. Un siffatto miracolo li annienta: più che vedere la Madonna, sono loro la Madonna che vedono. E’ l’estasi questa paradossale identità demenziale che svuota l’orante del suo soggetto e in cambio lo illude nella oggettivazione di sé, dentro un altro oggetto. Tutto quanto è diverso, è Dio. Se vuoi stringere sei tu l’amplesso, quando baci la bocca sei tu. […] Ma i cretini che vedono la Madonna, non la vedono, come due occhi che fissano due occhi attraverso un muro: miracolo è la trasparenza. Sacramento è questa demenza, perché una fede accecante li ha sbarrati, questi occhi, ha mutato gli strati -erano di pietra gli strati- li ha mutati in veli. E gli occhi hanno visto la vista. Uno sguardo. O l’uomo è così cieco, oppure Dio è oggettivo. […] I cretini che non hanno visto la Madonna, hanno orrore di sé, cercano altrove, nel prossimo, nelle donne – in convenevoli del quotidiano fatti di preghiere – e questo porta a miriadi di altari. Passionisti della comunicativa, non portano Dio agli altri per ricavare se stessi, ma se stessi agli altri per ricavare Dio. L’umiltà è la conditio prima. I nostri contemporanei sono stupidi, ma prostrarsi ai piedi dei più stupidi di essi significa pregare. Si prega così oggi. Come sempre. Frequentare i più dotati non vuol dire accostarsi all’assoluto comunque. Essere il più gentile dei gentili. Essere finalmente il più cretino. Religione è una parola antica. Al momento chiamiamola educazione”.

Il “volo” di cui parla Bene, oltre al significato metaforico di distanziamento da sé e dal mondano, va attribuito al Santo di Copertino Giuseppe Desa, nato nelle Puglie nel 1603, “illetterato et idiota”. Si dice che questo frate avesse il dono della levitazione, e che tale fenomeno si verificasse soprattutto durante le preghiere che venivano rivolte alla Madonna. Più volte i suoi confratelli (così narra la leggenda) furono costretti a trattenerlo al suolo per evitare che “frate asino” si dileguasse in cielo.

“Giuseppe da Copertino - racconta Bene - è personaggio controverso, la chiesa aspetterà duecento anni prima di farlo santo. […] Sempre circondato da poveri. Chi orbo, chi storpio, chi deforme. Si aggrappano alla sua tonaca e lui se li porta in alto, salvo poi lasciarli sfracellare al suolo quando la presa dei malcapitati manca. […] Si risvegliava, frate Asino, quasi sempre in cima al cornicione della chiesa o sopra un ramo d’ulivo, in posizioni molto precarie. […] Analfabeta totale, parlava da ignorante ma, nella sua ignoranza, è degno di San Giovanni della Croce. Morì a Osimo. Disteso su un catafalco, appena coperto da un velo fu esposto ai fedeli. La ressa nella cattedrale era tanta e tale che scoppiò improvviso un grande incendio. Fu una carneficina, morti, ustionati. Il cadavere di frate Asino rimase intatto. Gli fu asportato il cuore e tagliato un dito. Fanatismo devozionale d’un conterraneo. Si possono ammirare queste reliquie nella bacheca sacra della “grottella” a Copertino” .

Il motto di Eduardo De Filippo, “complicarsi la vita”, sembra essere il motivo principale dell’opera di Carmelo Bene sia teatro e sia al cinema. Caligola, Lorenzaccio, Otello, Macbeth, Pinocchio sono tutti personaggi rappresentati da Bene con l’intento paradossale di non lasciare traccia nella memoria dello spettatore; questi, durante la sua presenza in sala, si deve abbandonare al flusso dei significanti e, per quanti sforzi possa compiere nel ricordo, non potrà mai raccontare ciò che ha udito a teatro. La perfetta idiosincrasia che la “macchina attoriale” di Bene opera tra scritto e orale, come non ricordo della pagina scritta, diventa intestimoniabile per lo spettatore. L’attore pugliese sostiene inoltre che anche l’occhio è ascolto (da qui il suo impegno anche in arti meramente visive come cinema e televisione) che si sviluppa attraverso tutta una serie di frantumazioni dei gesti durante la rappresentazione, movenze che consentono l’ascolto del corpo inteso come “dis-essere”, come “malessere fisico”. In tal senso, il teatro è oscenità, modalità che Bene fa risalire all’etimo greco di o-skenè, ciò che è fuor di scena, estromesso dall’azione dell’attore (egli tenterà addirittura una recita “impossibile” di una edizione del Lorenzaccio sostituendosi con una controfigura sul palco; grazie a questa “protesi corporea” incarnata dall’attore sostituto, tenterà di realizzare al massimo grado lo spettacolo dell’abbandono nella presenza-assenza). Osceno dunque. Teatro pornografico inteso come mescolanza e unione tra enti, in una dissoluzione dell’io e passaggio alla dimensione di “oggettità carnale” tra gli attori in scena. A differenza dell’erotismo, che si regge sempre sul dualismo soggetto-oggetto, in un avvicinamento impossibile (qui Bene sembra riecheggiare la teoria lacaniana sull’impossibilità del rapporto sessuale tra uomo e donna, tanta è la distanza tra l’appagamento del desiderio e la nostra costitutiva “mancanza a essere”), sempre destinato allo scacco dell’identità tra i due poli che si mantengono in posizione antitetica e inconciliabile, il porno garantisce l’unione tra oggetto e oggetto. Risultato: dissoluzione della soggettività e oblio dell’identità nella differenza. Carmelo Bene si è spento la sera del 16 marzo del 2002 a Roma (era nato il 1 settembre 1937 a Campi Salentina in provincia di Lecce). Da molto tempo era malato di cuore a causa delle troppe sigarette e della sua esistenza condotta sempre molto vicino al limite del tracollo fisico. Anche nell’ultimo periodo della sua vita, Bene riesce ad essere originale e provocatorio con tutti i giornalisti che cercano un ultimo e disperato conciliante dialogo con questo straordinario drammaturgo. Avrebbe voluto un “funerale da vivo” tanta era la sua ira nei confronti della “necrofilia dei vivi”. In una intervista all’Espresso del 13.1.2000 così ha risposto ad alcune domande sulla vita e la morte:

“Il corpo implora il ritorno all’inorganico. Nel frattempo non si nega nulla. […] È tutta la vita che tolgo di scena il burattino, l’incubo d’un pezzo di legno che ci si ostina a voler farcire con carne marcia. Precipitare nell’umano - che parola schifosa - questa è la disavventura. Gli anatomisti gridano al miracolo quando parlano del corpo umano. Ma quale miracolo?! Un’accozzaglia orrenda, inutilmente complicata, piena di imperfezioni e di cose che si guastano. […] Me ne fotto di quel che mi riguarda. Malati gravi si è per definizione”.

Carmelo Bene non cercava il consenso. Non era nato per divertire il pubblico con consolatori spettacoli teatrali nella vana ricerca di un perché alla vita. La sua opera, tra le poche che resteranno nella storia del teatro mondiale, è stata una summa di tentativi (a volte riusciti appieno, altre volte meno) di compiere un “massacro dei classici” (Bartolucci) che consentisse un approccio ai testi teatrali oltre il testo stesso, con l’appoggio della più alta riflessione contemporanea. Così si esprime Goffredo Fofi a proposito dell’opera di Bene:

“Nasce così la vera interrogazione che non è della letteratura ma della filosofia del secolo: oltre Nietzsche e ben oltre Freud, e ovviamente ben oltre Marx, a confronto con Heidegger, dentro la coscienza dell’essere detti e del non poter più dire e dirsi ma tuttavia dicendo e dicendosi. […] Narciso si specchia in sé per capire, e precipita del non capire, del non esserci oggetto del capire.”

In alcuni casi, l’esito non coincide con l’intento. Il drammaturgo pugliese non lascia scuole (anche se molti di quelli che lui chiamava “similattori” cercano vanamente di imitarlo), non ha fatto proseliti d’alcun tipo e si è sempre dichiarato completamente estraneo alle sue opere artistiche, non riconoscendosi mai autore d’alcunchè. “Non si può produrre un capolavoro - sosteneva l’attore -, si è capolavori”, affermazione che testimonia ancora una volta il suo debito nei confronti dell’insegnamento di Nietzsche che considerava l’unione tra etica ed estetica come il vertice della volontà di potenza. Tecnicamente egli ha fallito. Malgrado i suoi propositi, la straordinarietà della sperimentazione teatrale di Carmelo Bene in favore di un teatro filosofico, resterà oggetto di studio e di attenzione ancora per molte generazioni dei suoi tanto odiati postumi.



CARMELO BENE come filosofo (http://www.filosofico.net/carmelobene.htm)

Avamposto
27-08-10, 21:32
Carmelo Bene, Kafka e noi.
- di Giacomo Pellizzari
Monday, 09 January 2006



http://www.la-pecheronza.com/immagini/Carmelo%20Bene/Carmelo%20Bene.jpg



Parlando di "citazioni", siamo, ci sembra, entrati in un territorio dove una cosa tira l'altra. Talvolta per la giacchetta, tal'altra invece per il verso giusto. Ce ne siamo fregati di quale fosse il verso giusto e di quale la giacchetta. E, tanto per gettare ulteriore carne al fuoco (leggasi "scompiglio"), come anticipato in un commento in risposta ad un altro commento (interessantissimo, vi obblighiamo a leggerlo) al nostro post sulla citazione, abbiamo deciso che era giunto il momento di parlare di Bene. Carmelo Bene. Già, sì, proprio lui.

Parlare di Bene è già, di per sé, un male: che senso ha parlare di chi non ha parlato o, meglio, di chi ha abortito la parola, mettendo in discussione il concetto stesso di "parlare"? Chi parla? C'è qualcuno che parla? O siamo parlati?
Noi, come introdotto in quel commento, abbiam detto di esser di quelli per cui "le parole non appartengono a chi le dice". Facciamo un passo indietro: abbiam detto prima di tutto di amare chi odia, ovvero chi distrugge, chi rade al suolo, chi fa piazza pulita. Come la citazione. Grande forza distruttrice. Perché chi distrugge, in realtà, è chi più costruisce, perché ovunque vede una strada nuova da percorrere (Walter Benjamin, Il carattere distruttivo). Abbiamo così esposto il nostro manifesto sul citare come esordio di questo percorso in difesa di un radere al suolo, che crediamo sia un mettere al mondo. Ecco, da questo punto di vista non potevamo che imbatterci in Bene e nella sua Macchina Attoriale.
Bene fu un grande distruttore e lo fu al di là del teatro. Il lavoro di Carmelo Bene fu di "Interruzione", di "Impedimento" su più fronti. Un lavoro di interruzione operato sulla lingua e quindi, in questo senso, come dice Deleuze un lavoro di afasia sulla lingua (dizione bisbigliata, balbettante o deformata, suoni appena percettibili oppure assordanti) e un lavoro di ‘impedimento' sulle cose e i gesti: costumi che ostacolano i movimenti invece di assecondarli, accessori che rendono difficoltoso lo spostarsi, gesti troppo rigidi o eccessivamente ‘fiacchi' (...) fino alla postura impossibile (il Cristo di Salomè che non riesce a crocifiggersi da solo: come potrebbe l'ultima mano inchiodarsi da sé?). Ci occuperemo qui del lavoro di Bene sulla lingua e sulla phoné e lo paragoneremo al modo di intendere la citazione di cui abbiamo parlato di recente. Veniamo dunque alla Macchina Attoriale: che cos'è? In "Vita di Carmelo Bene", Giancarlo Dotto dice:

Il C.B. degli anni '80 viaggia su enormi tir e i suoi diventano allestimenti da grandi concerti rock. Gli ingegneri del suono, i suoi interlocutori privilegiati. Le sue "scatole sonore", il play-back, l'amplificazione, i microfoni ipersensibili, monitor-spie da diecimila watt in scena, banchi effetti capaci di riverberare, clonare, echeggiare, registratori multipiste digitali, campionature elettroniche del suono e della voce, ecc. Si familiarizza sempre meno con gli attori e sempre più con i "Beyer", i "Sennheiser", gli "Akg", le "Midas", gli "Otari", gli "Akai", ecc.

Una sorta di sala operatoria sulla lingua e sulla phoné è allestita sulla scena, mediante una sofisticatissima apparecchiatura sonora. Là ci sono gli strumenti di un chirurgo, Carmelo Bene, che interviene oltre che sul testo, sulla voce, sul dire, sul proferire. Distorce, sperimenta, gorgheggia e "si ascolta" farlo. Il pubblico pare quasi secondario in questa decostruzione creativa della voce e del "dire". E' appunto questa la Macchina Attoriale: l'attore, il suo ventre faremmo meglio a dire, diviene macchina per esperimenti vocali. Nasce la voce-orchestra in cui il "normale" dire viene messo in discussione mediante una sperimentazione vocale polifonica (l'attore è come se possedesse in sé un'intera orchestra di voci diverse cui attingere). Una parola normalmente proferita in un dato modo, viene balbettata scompostamente, sussurrata, biasciata, deglutita: messa in crisi intimamente, oltre che nel modo in cui deve "esser detta", nel suo significante e, infine, nel suo significato. Mediante una variazione continua di gorgheggi, suoni, stridori, infinite modulazioni da parte dell'attore. Stridori che fanno venir meno il modo "normale" di dire e mettono in discussione l'idea stessa che esista un modo "normale", "in maggiore" direbbe Bene, di "dire". Ma andiamo avanti, leggiamo come Carmelo Bene descrive se stesso come Macchina Attoriale:

Fin dagli esordi, senza alcun supporto elettronico, mi producevo oralmente come già avessi incorporata una strumentazione fonica a venire.
Non recitavo, non ho mai recitato, per un "di fuori". In occasione della prima edizione del Pinocchio, più d'uno spettatore ipersensibile registrò il "prodigioso, magico recitarsi addosso" (non nella bassa accezione, è chiaro, che di solito si appioppa al proferire d'un attore).(...)
Pur ricattando da quel minimo soffio (flatus), disarticolavo l'orale in una ininterrotta implosione a dispetto del "portato". Suoni masticati e deglutiti all'interno della cavità orale, piuttosto che estroversi.

Questa continua modulazione, questo esperimento sulla voce portato alle estreme conseguenze, quasi a dirci che non c'è niente che viene sperimentato, che è l'esperimento stesso, la messa in discussione che conta, tutto questo fa venir meno il concetto stesso di appartenenza: appartenenza della parola a qualcosa. Modulare in infinite varianti una frase di Amleto, foss'anche la più famosa, la mette in crisi. Ci fa dubitare di tutto ciò che sapevamo e davamo per scontato di essa ("ah, ma allora non si doveva pronunciare così!" "ah, ma allora non intendeva dire così!"). Ci fa dubitare del fatto che l'intenzione di Shakespeare fosse quella piuttosto che quell'altra, che Amleto fosse quel personaggio lì piuttosto che un altro che non c'aspettavamo, magari una comparsa. Fa venir meno l'idea stessa che esista un "possessore" di quella frase, di quelle parole. Che sia Amleto o Shakespeare tramite lui. E spalanca l'abisso, stupendo e affascinante, di una loro infinita possibilità. Anzi ci spinge a provare ogni possibilità quasi fosse un monito. Un comportamento morale. Deleuze descrive così questa pratica:

Supponiamo che Lady Anna dica a Riccardo III: mi fai ribrezzo! Non sarà in nessun caso lo stesso enunciato, a secondo che sia il grido di una donna in guerra, quello di una bambina davanti a un rospo, quello di una fanciulla che senta una pietà già consenziente e innamorata... Bisogna che Lady Anna attraversi tutte queste variabili, che si erga come donna di guerra, regredisca a bambina, rinasca come fanciulla, su una linea di variazione continua, e ciò il più rapidamente possibile. Bene non smette di tracciare queste linee in cui in cui si concatenano posizioni, regressioni, rinascite. Mette la lingua e la parola in variazione continua.

Ma che cosa succede una volta che si applica questa "Variazione continua"? Cosa capita in concreto alla lingua? E al parlante? Quest'ultimo pare diventato da colui che esercita un potere su ciò che dice, a vittima, schiavo di ciò che dice. Ostaggio delle sue parole. Ecco ancora Deleuze:

Cos'è quest'uso della lingua secondo la variazione? Lo si potrebbe esprimere in più modi: essere bilingui, ma in una sola lingua, in una lingua unica... Essere uno straniero, ma nella propria lingua... Balbettare, ma essendo balbuziente nel linguaggio stesso, e non soltanto nella parola... Bene aggiunge: parlare a se stesso, nel proprio orecchio, ma in pieno mercato, sulla piazza pubblica..

Divenire stranieri nella propria lingua, dunque, far balbettare il linguaggio, ascoltarlo sempre come fosse la prima volta, aggiungiamo. Sentirsi parlare come si fosse degli ignoranti. E, per farlo, liberare le parole dal Potere. Potere del Parlante. Prenderle come occasioni. Occasioni, impagabili, per far partire qualcosa di nuovo, attraverso l'esperimento della variazione continua.
Le parole, cioè, non come "assenso", ma come "esperimento". Parole attive. Non statiche. Non depositi stantii di senso acquisito e condiviso. Ma nuovi agglomerati sonori che per prima cosa vanno ascoltati. E capiti. Come fa Carmelo Bene: prima di tutto si ascolta parlare, come se le parole giungessero dall'antro della sua cavità orale a lui per primo. In questo senso, dicevamo, nella Macchina attoriale il pubblico pare secondario. Per restituire a se stesso in modo intatto prima, e quindi solo poi alla platea, le parole, Bene arriva a recitare isolato, chiuso in un teatro senza pubblico, mentre un impianto sonoro riproduce la sua voce alla platea in un altro teatro:

mentre il palcoscenico del "Quirino", a sipario chiuso, è assordato da dieci-dodicimila watt emessi dall'assemblaggio distinto di tre-quattro impianti acustici (e in cui io, in assoluta riservatezza e in tutto abbandono, farnetico la mia lettura come non-ricordo), gli spettatori al Teatro Argentina sono penetrati all'interno del loro corpo d'ascolto.

Interrompere le parole, dunque, dimenticarle per come le conosciamo, togliendole dal loro normale flusso, mediante l'estraniamento totale di se stessi da esse e dalla propria voce: tutto questo in realtà è un farle ripartire. Da capo. Interrotta, deviata una strada, ne si intraprende una nuova. Una parola deviata dal suo senso comune, parte per un'altra direzione. Comincia una nuova vita.
Come nei gesti mancati dei personaggi kafkiani: smettono di fare, non riescono a portare a termine ciò che devono o dovrebbero, eppure paradossalmente proprio nel loro non riuscire a portare a termine, in realtà sono deviati verso qualcosa di nuovo. Verso un altro gesto, un altro fare, del tutto nuovi e del tutto sconosciuti.
Ogni gesto mancato in Kafka, ogni parola mancata in Bene sono le occasioni per una ripartenza. Secondo Benjamin, infatti, gli "aiutanti" nei romanzi di Kafka , personaggi secondari, apparentemente inconsistenti, incapaci di avere uno spessore, sono in realtà punti zero: occasioni per possibili ripartenze. Per questo non devono avere spessore, e sembrano inconsistenti. Perché devono deviare dal senso comune e dalla comune concezione che abbiamo di loro. Deviare verso un'altra, nuova strada. Sono occasioni, dice Benjamin, per far arrivare il messia. La nascita di un uovo mondo. E occasioni per far arrivare il messia sono anche le parole sottoposte alla variazione continua di Carmelo Bene: nullificate mediante una sorta di demolizione nichilistica nietzscheiana, per essere in realtà deviate dal loro normale corso e fatte ripartire verso un altro. Con altre regole. Con altri sensi. Che avevamo dimenticato.
Come si fosse, cioè, bambini che ricominciano a parlare per la prima volta: per farlo dobbiamo prima disimparare, "non ricordare" regole e modi. E non ricordare, disimparare è la cosa più difficile che si possa imparare. Non tutti ci riescono. In molti ne hanno semplicemente paura. Eppure bisogna correre il rischio.
Ritorniamo allora al nostro discorso sulla citazione. Anche per essa, ci pare, vale lo stesso meccanismo di interruzione e ripartenza. Se una citazione viene ascoltata come fosse la prima volta che la si sente, non sapendo niente del suo autore, del suo contesto, di quel che si dice di lui, delle "regole" del citare, pur sapendole (come faceva Benjamin quando trasgrediva, citando senza il virgolettato o senza riportare la fonte), sarà come farla accadere per la prima volta. Coglierla nuovamente come fosse appena nata. Come accadesse, venisse detta lì in quel momento e non prima. Quale tesoro migliore? Le citazione come le parole di Carmelo Bene, o gli aiutanti di Kafka sono innanzitutto deviazioni, imprevisti, interruzioni. Spaccature per poter saltare a piè pari in un altrove e rinascere. Occasioni da prendere al volo.Dobbiamo imparare a distrarci dal normale corso delle cose, e le citazioni ci possono aiutare: sono le nostre fedeli alleate per strapparci all'ozioso assenso cui siamo abituati. Questo è il nostro lavoro: imparare a distrarci, a capovolgere l'attenzione, a deviare. Non è facile deviare, non è facile farlo volontariamente. Bisogna allenarsi, saper prendere per buona ogni strada: sbagliandone tante, finendo fuori carreggiata, ma sapendo sempre che ogni strada, ogni occasione potrebbero essere quelle buone. E che "là dove c'è il pericolo, cresce anche ciò che salva". Come in Carmelo Bene, come in Kafka.




(I brani di Giancarlo Dotto e di Carmelo Bene sono tratti da Carmelo Bene, Giancarlo Dotto Vita di Carmelo Bene, Bompiani 1998; i brani di Deleuze da Gilles Deleuze Un manifesto di meno, Minuit 1979, oggi in Carmelo Bene, Gilles Deleuze Sovrapposizioni, Quodilbet 2002)

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12-10-10, 11:47
Carmelo Bene, la voce




Alessandro Baricco

La Stampa



Carmelo Bene. Me l'ero immaginato definitivamente ingoiato da una vita quotidiana inimmaginabile, e triturata dal suo stesso genio, portato via su galassie tutte sue, a doppiare pianeti che sapeva solo lui. Perduto, insomma. Poi ha iniziato a girare con questo suo spettacolo anomalo, una letture dei Canti Orfici di Dino Campana.

L'ho mancato per un pelo un sacco di volte, e alla fine ci sono riuscito a trovarmi una poltrona, in un teatro, con davanti lui. A Napoli, all'Augusteo. Scena buia, solo un leggio. Lui, lì, con una fascia sulla fronte alla McEnroe, e dei segni di cerone bianco sotto gli occhi. Un microfono davanti alla bocca, e una luce addosso. Cinquanta minuti, non di più. Non so gli altri: ma io me li ricorderò finché campo.

Non è che si possa scrivere quel che ho sentito. Né cosa, precisamente, lui faccia con la sua voce e quelle parole non sue. Dire che legge è ridicolo. Lui diventa quelle parole, e quelle non sono più parole, ma voce, e suono che accade diventa Ciò-che-accade, e dunque tutto, e il resto non è più niente. Chiaro come il regolamento del pallone elastico. Riproviamo.

Quando sono uscito non avrei saputo dire cosa quei testi dicevano. Il fatto è che nell'istante in cui Carmelo Bene pronuncia un parola, in quell'istante, tu sai cosa vuol dire: un istante dopo non lo sai più. Così il significato del testo è una cosa che percepisci, si, ma nella forma aerea di una sparizione. senti il frullare delle ali, ma l'uccello non lo vedi: volato via. così, di continuo, ossessivamente, ad ogni parola. E allora non so gli altri, ma io ho capito quel che non avevo mai capito, e cioè che il senso, nella poesia, è un'apparizione che scompare, e che se alla fine tu sai volgere in prosa una poesia allora hai sbagliato tutto, e, a dirla tutta, la poesia esiste solo quando diventa suono, e dunque quando la pronunci a voce alta, perché se la leggi solo con gli occhi non è nulla, è prosa un po' vaga che va a capo prima della fine della riga ed è scritta bene, ma poesia non è, è un'altra cosa.

Diceva Valéry che il verso poetico è un'esitazione tra suono e senso: ma era un modo di restare a metà del guado. Se senti Carmelo Bene capisci che il suono non è un'altra cosa dal senso, ma la sua stagione estrema, il suo ultimo pezzo, la sua necessaria eclisse. Ho sempre odiato, istintivamente, le poesie in cui non si capisce niente, neanche di cosa si parla. Adesso so che c'è qualcosa di sensato in quel rifiuto: rifiuta una falsa soluzione. Quel che bisognerebbe saper scrivere sono parole che hanno un senso percepibile fino all'istante in cui le pronunci, e allora diventano suono, e allora, solo allora, il senso sparisce. Edifici abbastanza solidi da stare in piedi, e sufficientemente leggeri da volare via al primo colpo di vento.

E' meraviglioso come tutto questo non abbia niente a che fare con l'idea che si ha normalmente della poesia: un poeta soffre, esprime il suo dolore in belle parole, io leggo le parole, incontro il suo dolore, lo intreccio col mio, ci godo. Palle: per anime belle. Tu senti Carmelo Bene e il poeta sparisce, non esprime e comunica niente, l'attore sparisce, non esprime e comunica niente: sono sponde di un biliardo in cui va la biglia del linguaggio a tracciare traiettorie che disegnano figure sonore: e quelle figure, sono icone dell'umano. Le poesie non sono delle telefonate: non le si fanno per comunicare. Le poesie dovrebbero esser pietre: il mare o il vento che le hanno disegnate, sono poco più che un'ipotesi.

Non spiega quasi nulla, Carmelo bene, durante lo spettacolo. Solo un paio di volte annota qualcosa. E quando lo fa lascia il segno. Dice: leggere è un modo di dimenticare. Testualmente, nel suo linguaggio avvitato sul gusto del paradosso: leggere è una non-forma dell'oblio. Non so gli altri: ma a me m'ha fulminato. L'avevo anche già sentita: ma è lì, che l'ho capita. Scrivere e leggere stretti in un unico gesto di sparizione, di commiato. Allora ho pensato che poi uno nella vita scrive tante cose, e molte sono normali: cioè raccontano o spiegano, e va bene così, è comunque una cosa bella, scrivere. Però sarebbe meraviglioso una volta, almeno una volta, riuscire a scrivere qualcosa, anche una pagina soltanto, che poi qualcuno prende in mano, e a voce alta la pronuncia, e nell'istante in cui la pronuncia, parola per parola, sparisce, parola per parola, sparisce per sempre, sparisce anche l'inchiostro sulla pagina, tutto, e quando quello arriva all'ultima parola sparisce anche quella, e alla fine ti restituisce il foglio e il foglio è bianco, neanche tu ti ricordi bene cosa c'avevi scritto, solo ti rimane come una vaga impressione, un'ombra di ricordo, qualcosa come la sensazione che tu, una volta, ce l'avevi fatta, e avevi scritto una poesia.



OceanoMare ___ Alessandro Baricco :: Carmelo Bene, la voce (http://www.oceanomare.com/ipsescripsit/articoli_letteratura/carmelobene.htm)

Avamposto
12-10-10, 11:50
CARMELO BENE : OFELIA, TI PORTERO ’ A PARIGI !


di Dario Venturi


Carmelo bene sull’Espresso del 1 gennaio 2000 (1) parlando di se manifestava l’intenzione di
riservarsi un funerale da vivo.
Genio sregolato, estremo, ultimo grande interprete di un teatro evaporatosi negli anni settanta
soffocato dalle tecnologie e stritolato dal video, l’attore e regista pugliese rimane una presenza
storica nel mondo culturale di questi ultimi anni. Interprete di molti testi della tradizione rivisitati e
demoliti, fatti “a pezzi”, decostruiti, nella sua carriera fin dagli esordi ha fatto parlare molto di sé.
Le relazioni burrascose, i frequenti scandali, le polemiche sugli spettacoli, il ricorso al nudo e
l’accumulo di tecniche di provocazione scenica, ne hanno fatto un nemico acerrimo per alcuni, un
idolo per altri. L’ultimo divo del palcoscenico rifuggendo il minimale, di moda negli ottanta, ha
tradotto – o meglio, stravolto - grandi classici, fra tutti l’Amleto, ripulendo dalla psicologia il
personaggio, azzerato alla pura nudità del palco, eroso, fino a far scomparire il testo dalla scena,
secondo un uso caro ad Artaud. Così fin dal primo incontro col principe di Danimarca, avvenuto
nel 1961 considerato dallo stesso Bene “ la somma degli Amleti passati…un Amleto in negativo,
che sottrae invece di comprendere”, si assiste alla poetica della sottrazione, rivisitando i personaggi,
spogli dai loro attributi, ridotti all’osso, magari attribuendogliene di nuovi, sottoponendoli per
esempio alla terapia psicanalitica. Amleto perciò può aprirsi ad altro: lo possiamo trovare nei
boulevard parigini a cercare la felicità con Ofelia perso nei bagordi notturni, od intento a prodursi
in monologhi psicotici sul senso stesso del suo essere in scena, con l’uso sintetico delle molteplici
tecniche e dei vari stilemi recitativi. A questa esigenza del personaggio di aprirsi, d’accogliere
l’intertestualità del mondo, si deve la ricerca ossessiva sulla lingua e sulla voce dell’attore.
Carmelo dilata la voce, ne esplora le implicazioni espressive, studiandone le intonazioni, le
sfumature, caricando ogni fonema di senso per poi procedere all’inverso, al suono puro, alla
musicalità, continuando in tal modo le esperienze delle avanguardie. In Bene però, quello che nelle
avanguardie, in primis dadaismo e futurismo, era punto d’approdo, diviene qui strumento di
significato. Bene ama dire di se, parlarsi addosso. Hanno detto che si può vedere uno spettacolo di
ore di un bob Wilson e considerare ”insopportabili cinque minuti di Carmelo bene.” Di sicuro è
stato un grande innovatore della scena italiana, sviluppando le ricerche sulla ‘sonorizzazione’
iniziate da Artaud negli anni trenta, recuperando l’ironia dei surrealisti ed il loro gusto per la
provocazione, lo shock emotivo dei futuristi, cercando la citazione fino al parossismo, al kitch, oltre
ogni limite. Quel limite dell’attore che egli mostra di conoscere bene e che porta all’estreme
conseguenze, modulando la voce, cantilenandola, inserendo nella recita parti di canto, nenie,
salmodie, giungendo a negare la stessa storia rappresentata, trasformandola in una partitura
melodica astratta. Rivoluziona quindi l’uso del microfono, assurto agli allori per la prima volta in
teatro.
Al di là di ogni considerazione Carmelo bene è l’ultimo grande abitante di un teatro ormai morente,
che tra sovvenzioni e perdita d’identità sembra non comprendere il valore della sua stessa esistenza.
Drammaturgo, feroce, caustico, Bene sceglie di officiare il proprio funerale in vita, perché detesta la
necrofilia dei vivi; non lascia eredi, ma qualche imitatore e si allontana da noi ripetendosi, poiché le
sue opere, contravvenendo alle regole codificate si fondano sulla ridondanza della parola e sulla
sottrazione del significato, testimoniando così la fine di ogni ulteriore e possibile sperimentazione.
Se si pensa, questo è fatalmente positivo. Dal vuoto, il vuoto degli anni novanta, la scommessa per
il teatro è di ritornare ai fasti originari, mitici, che rivivono seppur parodiati nelle opere di Carmelo.
La stessa tendenza al ripetersi, qui scelta stilistica, che è tipica del teatro contemporaneo, pare
toccare le sue ultime pièce, da Hamlet Suite del 1994 al recente Pinocchio. L’espressionismo di
Carmelo bene è l’espressionismo dei tempi difficili, oltre i quali, ‘per forza occorre andare ’, se si
vuole un futuro che non sia il teatro mortale (istituzionale) o lo sperimentalismo orrendo di certe
compagnie odierne. Il lavoro di distruzione di Carmelo Bene è stato necessario. Ora serve
ricostruire e ricominciare. Daccapo!



1 CARMELO BENE: FATEMI IL FUNERALE DA VIVO

(…) "Il corpo implora il ritorno all'inorganico. Nel frattempo non si nega nulla." (…) "E' tutta la vita che
tolgo di scena il burattino, l'incubo di un pezzo di legno che ci si ostina a voler farcire con carne marcia.
Precipitare nell'umano – che parola schifosa – questa è la disavventura. Gli anatomisti gridano al miracolo
quando parlano del corpo umano. Ma quale miracolo?! Un'accozzaglia orrenda, inutilmente complicata,
piena di imperfezioni e di cose che si guastano." (…) "Me ne fotto di quel che mi riguarda. Malati gravi si è
per definizione." (…) "Con Benigni siamo amici da anni. Lui è grande nel "buffo", ma lasciamo stare il
"comico". I buffi sono concilianti, rallegrano la corte e le masse. Il comico che interessa a me è un'altra cosa.
Cattiveria pura. Il ghigno del cadavere. Il comico è spesso involontario. Specialmente quando si sposa con il
sublime." "La voce dell'opera si è fermata con la Callas, una perfezionista, nel senso che perfezionava i suoi
difetti, come tutti i geni. Trovare e cestinare. Di questo si tratta." (…) In quanto al mio amico Vittorio
Gassman, gli dissi una volta scherzando: "Non puoi accontentarti di essere il meglio del peggio, cioè il
pessimo"" (…) "Ci sono cose che devono restare inedite per le masse anche se editate. Pound o Kafka diffusi
su Internet non diventano più accessibili, al contrario. Quando l'arte era ancora un fenomeno estetico, la sua
destinazione era per i privati. Un Velazquez, solo un principe poteva ammirarlo. Da quando è per le plebi,
l'arte è diventata decorativa, consolatoria. L'abuso d'informazione dilata l'ignoranza con l'illusione di
azzerarla. Del resto anche il facile accesso alla carne ha degradato il sesso." (…) "Nelle aristocrazie il
principe non si fa eleggere, è lui che elegge il suo popolo. In democrazia il popolo è bastonato su mandato




Carmelo Bene

Nasce a Campi Salentina (Lecce) nel 1937. Compie i primi studi classici presso un collegio di
gesuiti. Nel 1957 si iscrive all'Accademia per lasciarla l'anno dopo vedendone l'assoluta inutilità.
Debutta come attore nel 1959 a Roma come protagonista del "Caligola" di Albert Camus.
Successivamente Bene diventa regista di se stesso, inizia a compiere un'opera di manipolazione
integrale e di massacro dei "classici" che egli stesso chiama "variazioni".Esplode il caso Carmelo
Bene. Alberto Moravia, Angelo Maria Ripellino, Enni Flaiano e Pier Paolo Pasolini sono solo
alcuni degli intellettuali che vengono rapiti dal genio beniano; sono di questi anni LO STRANO
CASO DEL DOTT. JEKILL E DEL SIG. HIDE, GREGORIO, PINOCCHIO, SALOME',
AMLETO, IL ROSA E IL NERO. Nel 1965 la casa editrice Sugar pubblica il suo romanzo
"NOSTRA SIGNORA DEI TURCHI" che l'anno dopo metterà in scena al teatro Beat '62. Comincia
ora la sua parentesi cinematografica, prima come attore nel film di Pasolini "Edipo Re" poi come
regista del film "NOSTRA SIGNORA DEI TURCHI. Il film presentato a Venezia vince il premio
speciale della giuria e rimane un caso unico nell'ambito della sperimentazione cinematografica. Poi
ancora due film "CAPRICCI" (1969) e "DON GIOVANNI" (1970). Del 1972 è "L'OCCHIO
MANCANTE" libro edito dalla Feltrinelli rivolto polemicamente ai suoi critici. Con "SALOME'"
(1972) e "UN AMLETO IN MENO" (1973) si chiude la sua esperienza cinematografica.Torna al
teatro con "LA CENA DELLE BEFFE" (1974) e con "S.A.D.E." (1974) e ancora con "AMLETO"
(1975). Seguono numerose opere ,ma molto rilevante è la sua cosidetta "svolta concertistica",
rappresenta infatti MANFRED (1980) un poema sinfonico con musiche di Shumann che raccoglierà
successi di pubblico e critica. Nel 1981 dalla Torre degli Asinelli a Bologna recita la "Lectura
Dantis", poi negli anni '80 PINOCCHIO (1981), ADELCHI (1984), HOMMELETTE FOR
HAMLET (1987), LORENZACCIO (1989) e L'ACHILLEIDE N. 1 E N. 2(1989-1990). Dal 1990
al 1994 la lunga assenza dalle scene, durante i quali come dirà lui stesso si disoccuperà di sé.
Rientra sulla scena nel 1994 e in particolare nelle librerie con la sua opera "omnia" nella collana dei
Classici Bompiani. Di prossima uscita un libro - dialogo con il critico Ghezzi .
del




http://www.dramma.it/articoli/saggietesi/carmelobene.pdf

Strapaesano
15-10-10, 14:19
E' stato (?) un capolavoro.:giagia:

Ottobre Nero
15-10-10, 16:17
tbDnr6PuCrg

Carmelo Bene è stato un grande anticonformista e un ottimo attore di teatro.... Onore!:D

Avamposto
15-10-10, 18:45
E' stato (?) un capolavoro.:giagia:


Essere o non essere capolavori, questo è il problema... :giagia:


Un gigante nel suo genere, un istrione e un dissacratore della morale perbenista e finto-bigotta comune: questo, e molto altro, in sintesi Carmelo Bene!

In breve: un grande! :gluglu:

Strapaesano
15-10-10, 18:49
Essere o non essere capolavori, questo è il problema... :giagia:


Un gigante nel suo genere, un istrione e un dissacratore della morale perbenista e finto-bigotta comune: questo, e molto altro, in sintesi Carmelo Bene!

In breve: un grande! :gluglu:

Ehehe...essere o non essere capolavori, già già...comunque senza ombra di dubbio Bene è stato una delle più grandi menti del novecento italiano ed europeo.:giagia:

Ottobre Nero
27-12-10, 16:11
"Leggere è un modo di dimenticare."

Carmelo Bene

Ottobre Nero
27-12-10, 16:11
"Si nasce e si muore soli, che è già un eccesso di compagnia"


Carmelo Bene

Ottobre Nero
27-12-10, 16:12
"È la folla come fallo, è l'errore di massa. Non l'erranza. È finita quell'erranza, il nomadismo, il pensiero. Dove c'è qualità si muore. Si tocca il filo rosso. Crepi. È cortocircuito"



Carmelo Bene

Ottobre Nero
27-12-10, 16:12
"È tutta la vita che tolgo di scena il burattino, l'incubo di un pezzo di legno che ci si ostina a voler farcire con carne marcia. Precipitare nell'umano - che parola schifosa - questa è la disavventura. Gli anatomisti gridano al miracolo quando parlano del corpo umano. Ma quale miracolo?! Un'accozzaglia orrenda, inutilmente complicata, piena di imperfezioni e di cose che si guastano."


Carmelo Bene

Ottobre Nero
27-12-10, 16:13
"Io sono già dimenticato, meglio ancora ignorato, in vita. Mi hanno promesso a Otranto i funerali da vivo. Non c'è bisogno di consegnare un cadavere in pubblico per meritare la dimenticanza."



Carmelo Bene

Ottobre Nero
27-12-10, 16:14
"I giornalisti sono impermeabili a tutto. Arrivano sul cadavere caldo, sulla partita, a teatro, sul villaggio terremotato, e hanno già il pezzo incorporato. Il mondo frana sotto i loro piedi, s'inabissa davanti ai loro taccuini, e tutto quanto per loro è intercambiabile: letame da tradurre in un preconfezionato compulsare di cazzate sulla tastiera. Cinici? No: frigidi."


Carmelo Bene

Ottobre Nero
27-12-10, 16:14
http://www.taxidrivers.it/wp-content/uploads/2009/11/Carmelo-Bene1.jpg

Ottobre Nero
27-12-10, 16:16
come diceva Carmelo Bene - a vivere "postumo di me stesso".

Ottobre Nero
27-12-10, 16:17
http://mariodesantis.blog.deejay.it/files/photos/uncategorized/carmelo_bene.jpg

Ottobre Nero
27-12-10, 16:34
eG_SInlaW_U&p

Ottobre Nero
27-12-10, 16:35
CNv30WWrj4Y

Ottobre Nero
27-12-10, 16:35
HNFD_Ha58-s

Ottobre Nero
27-12-10, 16:36
PAx3PpvilaE

Ottobre Nero
27-12-10, 16:36
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